I RAPPORTI ECONOMICI La Costituzione fa rientrare nell’ambito dei rapporti economici la disciplina di tutte le attività lavorative, nonché il regime della proprietà dei beni di produzione e consumo. Tali disposizioni rispecchiando le ideologie politiche dei diversi componenti della Costituente (cattolici, comunisti, socialisti, liberali, ecc.) sono permeate da una contraddizione di fondo: il tentativo di compromesso tra l’ideologia liberale (libera iniziativa economica e libera proprietà degli strumenti di produzione), quella sociocomunista (collettivista) e quella cattolica (favorevole ad una terza via, intermedia). Il risultato fu un modello di economia mista in cui la libera iniziativa economica e la solidarietà sociale tentano una quasi impossibile coesistenza. Di qui l’affermazione di alcuni principi nuovi: l’accentuazione della funzione sociale della proprietà, la particolare protezione del lavoro subordinato, il ruolo interventista dello Stato nella gestione diretta dell’economia. ATTIVITÀ LAVORATIVE La Costituzione considera il lavoro come il piùimportante fenomeno della vita sociale, affermando che l’Italia, art. 1, è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. L’espressione “Repubblica democratica fondata sul lavoro” rappresenta una formula di comporomesso cui giunsero, dopo molti contrasti, i membri dell’assemblea costituente: - i gruppi parlamentari socialisti e comunista proposero la formula: <l’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori>, pur precisando che con ciò non intendevano assolutamente dare luogo ad una interpretazione classista, anche se ricalcavano la terminologia delle democrazie popolari filo-sovietiche; - il gruppo democristiano propose la formula compromissoria <fondata sul lavoro>, che fu preferita perché non dare adito ad alcuna interpretazione classista, ma costituiva l’affermazione del dovere di ogni uomo di essre quello che ciascuno può in proporzione dei talenti naturali, contribuendo così al progresso sociale e civile. Il lavoro nell’art. 1 è, quindi, definito non come fine a sé stesso, né come mero strumento di conseguimento dei mezzi di sussistenza, bensì unico tramite necessario per l’affermazione della personalità. Lo stesso concetto è riportato nell’art. 4, c.2, dove si ribadisce che è lavoro qualsiasi attività socialmente utile, cioè ogni attività o funzione che concorra al prgresso materiale o spirituale della società, svolto sia in funzione autonoma che subordinata. Il c.d. principio lavoristico, inteso come connotazione fondamentale dello Stato repubblicano, non può essere modificato neppure tramite il procedimento di revisione costituzionale. Il lavoro come diritto (art. 4 Cost., comma 1) Il diritto al lavoro non attiva un diritto soggettivo perfetto azionabile in giudizio, bensì indica un principio fondamentale di indirizzo per il legislatore ordinario, al fine di promuovere l’effettività di tale diritto. Il diritto al lavoro si configura come: - diritto alla libertà: ogni cittadino, pur essendo tenuto a svolgere un’attività lavorativa, deve essere libero di scegliere quale attività lavorativa svolgere; - come diritto civico: il diritto al lavoro sancito dall’art. 4 attribuisce al cittadino la prestesa ad un <facere> da parte della Repubblica per promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro. Anche se l’articolo sancisce un impegno generico a carico dello Stato di perseguire una politica di pieno impiego per combattere la disoccupazione, esso può considerarsi norma meramente programmatica, ma è una norma immediatamente precettiva, poiché permette e giustifica l’intervento dello Stato nel sistema economico, allo scopo di raggiungere il livello di piena occupazione. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, esso deve essere interpretato in modo da favorire la stabilità dell’occupazione, una volta ottenutala, attraverso una rigorosa disciplina dei licenziamenti. Il lavoro come dovere (art. 4 Cost., comma 1) Non si tratta di un dovere giuridico, bensì esclusivamente morale, in quanto l’obiettivo della piena occupazione, nonostante siano passato cinquant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, non è stato affatto conseguito. L’art. 4 non intende costringere il cittadino a lavorare, ma esprime solo l’ovvia esigenza che, per avere diritto a vivere a spese della collettività, occorre essere in condizioni tali da non potere sostenersi, né con propri beni, né col proprio lavoro: questa norma, cioè esclude ogni forma di parassitismo economico e sociale. Ciò è confernmato dall’art. 38, c.1. PRINCIPI COSTITUZIONALI IN MATERIA DI LAVORO 1) 2) 3) 4) 5) art. 35, c.1: il principio della tutela del lavoro che la Repubblica assume come suo compito fondamentale; art. 36, c.1: principio della retribuzione proporzionata e sufficiente; art. 36, c.3: diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite; art. 37, c.1: eguaglianza dei diritti fra lavoratori e lavoratrici; art. 37, c.1, seconda parte: principio del contemperametno fra la fuznione della maternità, propria della donna, ed il diritto al lavoro spettante ad essa a parità dell’uomo; 6) art. 37, c.3: parità di retribuzione per il lavoro dei minori, rispetto al lavoro ordinario, e tutela legislativa appropriata del lavoro minorile; 7) art. 36-37, c.2: riserva di legge per determinare la durata della giornata lavorativa e l’età minima per poter svolgere il lavoro salariato; 8) art. 38, c.1: diritto al mantenimento ed all’assistenza sociale, riconosciuto a tutti coloro che sono inabili al lavoro; 9) art. 38, c.2: diritto ad ogni forma di previdenza sociale da parte dei lavoratori; 10) art. 38, c.3: diritto all’educazione ed avviamento professioanle anche per coloro che sono inabili o minorati. 11) Art. 39: libertà dell’organizzazione sindacale; 12) art. 39, c.3: capacità dei sindacati registrati, di stiupulare contratti collettivi di lavoro, vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alle categorie che essi rappresentano, anche se non iscritti; 13) art. 40: diritto di sciopero, anche se non illimitato e circoscritto nell’ambito delle leggi che lo regolano. LA PROPRIETÀ L’art. 42 contiene lo statuto costituzionale della proprietà, specificando che la proprietà è pubblica o privata ed indicando i soggetti che possono essere titolari del diritto di proprietà, cioè Stato, enti e privati. La disposizione sottintende una pluralità di situazioni di proprietò ed una conseguente varietà di discipline applicative. È significativo che la proprietà non venga, come in passato, collegata ai diritti ed alle libertà civili, né venga definita come inviolabile: essa, invece, può essere sottoposta a limiti ed espropriata, benchè non possa mai essere abolità come genus, né possano esserle imposti limiti tali da annullarla sostanzialmente.