Incontri educativo-informativi sul tema della fertilita’ Tutela della fertilita’ Eleonora Porcu Università di Bologna Esistono una serie di fattori che influenzano la fertilità in maniera significativa, quali l’età femminile e maschile, l’ indice di massa corporea, la frequenza dei rapporti sessuali, la dieta, le abitudini voluttuarie, le infezioni sessualmente trasmesse, le terapie antineoplastiche. L’età della donna riveste un ruolo di primaria importanza. Il numero di ovociti diminuisce progressivamente con l’età passando da 1 – 2 milioni di ovociti alla nascita , 300.000 – 500.000 alla pubertà , 25.000 all’età di 37 anni e 1.000 all’età di 50 anni. La fertilità inizia a diminuire progressivamente dall’età di 32 anni e subisce una brusca riduzione dall’età di 37 anni con peggioramento della qualità ovocitaria e incremento dei livelli circolanti di FSH. L’incremento dell’età è, inoltre, correlato con un’aumentata incidenza di fattori concomitanti quali miomi uterini, patologie tubariche, endometriosi. Recentemente è stata osservata una correlazione anche tra l’età paterna e la riduzione della fertilità. Infatti la fertilità maschile inizia a diminuire significativamente dai 35-39 anni di età. Il declino è costante, con una riduzione del 21-23% ogni anno a partire dai 39 anni, indipendentemente dall’età della partner (The Committee on Gynecologic Practice, 2008). Le Linee Guida del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists suggeriscono una valutazione dell’indice di massa corporea (BMI) della donna durante le indagini di primo livello. Occorre consigliare un programma dietetico per tutte le pazienti con BMI > 30, indipendentemente dalla presenza dell’ovulazione (livello di evidenza A). L’obesità e le disfunzioni dell’ovulazione sono fenomeni correlati, sebbene solo una minoranza di donne obese abbia cicli anovulatori e l’associazione non sia significativa nelle donne che hanno avuto precedenti gravidanze. E’ più probabile che l’esordio dell’obesità prima del menarca alteri il ciclo mestruale maggiormente rispetto ai casi in cui l’obesità si manifesta dopo il menarca. Diversi studi dimostrano che la riduzione ponderale è importante per il ripristino dell’ovulazione nelle donne obese anovulatorie. Anche una riduzione ponderale a breve termine (3-6 mesi) è efficacie nel rispristino dell’ovulazione. Nelle donne obese, inoltre, il tasso di gravidanza, seppur in presenza di ovulazione, è ridotto sia per le gravidanze spontanee che per quelle ottenute da induzione dell’ovulazione e IVF. Il peso corporeo di per se non è una misura dell’obesità. Si fa diagnosi di obesità quando il 20-30% del peso corporeo è costituito da tessuto adiposo; l’indice di massa corporea è altamente correlato al grasso corporeo. Tra le abitudini voluttuarie, il fumo di sigaretta nella donna risulta essere correlato in maniera negativa con la fecondità. Nell’uomo il fumo di sigaretta è risultato essere associato ad un peggioramento dei parametri del liquido seminale, anche se l’effetto sulla fertilità (valutata in termini di tempo di concepimento) appare controversa I fattori ambientali che nell’uomo sono risultati essere correlati all’infertilità sono: gli agenti chimici per l’agricoltura che determinano oligospermia e in alcuni casi azoospermia, gli esteri del glicol etilenico e loro acetati, utilizzati in preparazioni contenenti solventi, soprattutto vernici, l’esposizione ai metalli pesanti (es. mercurio, arsenico, cadmio, piombo, manganese). Il ruolo dell’esposizione ambientale e professionale sulla fertilità femminile non sembra avere un ruolo altrettanto importante (Royal College, 2002). La frequenza dei rapporti sessuali rappresenta un altro fattore che influenza in maniera significativa la Prevenzione e fattori di rischio dell'infertilità – 18 giugno 2012 Incontri educativo-informativi sul tema della fertilita’ fertilità; intervalli di astinenza superiori a 5 giorni sono associati a una riduzione del numero di spermatozoi mentre la concentrazione spermatica e la motilità non sembrano essere inficiate da rapporti sessuali frequenti, anche giornalieri. Nei pazienti con oligozoospermia (riduzione numerica e alterazione morfologica degli spermatozoi) i parametri seminali quantitativi appaiono migliori in caso di eiaculazione giornaliera. Inoltre la più alta percentuale di fecondazione è associata a rapporti sessuali quotidiani (37% di fecondazione per ciclo in coppie normali) (Practice Committee of the ASRM, 2008). Le infezioni sessualmente trasmesse possono danneggiare la fertilità in diversi modi; nella donna possono determinare malattia infiammatoria pelvica o occlusione tubarica mentre nell’uomo possono provocare danno d’organo, danno cellulare mediato dai fattori della flogosi, ostruzione delle vie seminali, danno diretto allo spermatozoo tramite legame di membrana. Circa il 50% dei casi di sterilità da fattore tubarico è correlato a malattia infiammatoria pelvica di origine batterica (Chlamydia trachomatis, Neisseria Gonorrhoeae, Treponema Pallidum, Tubercolosi). Il 30% delle pazienti con infezione da Chlamydia sviluppa una malattia infiammatoria pelvica. L’infezione danneggia le ciglia che rivestono la tuba inducendo un processo fibrotico irreversibile che induce un significativo aumento del rischio di gravidanza ectopica (l’infezione da Chlamydia è responsabile del 50% delle GEU nel mondo) e di sterilità (Aavonen, 1999). Nell’uomo gli agenti patogeni per i quali è stato accertato un effetto dannoso sulla fertilità sono il Gonococco che può determinare un’orchiepididimite monolaterale e il virus dell’HIV, il cui serbatoio principale nel tratto genitale sono i leucociti infetti. La capacità del virus di infettare gli spermatozoi è controversa ma la morfologia degli spermatozoi subisce progressive alterazioni con il progredire della malattia, probabilmente come effetto della terapia antiretrovirale. Un ruolo controverso nella fertilità maschile è invece rivestito dalla Chlamydia Trachomatis, dall’Ureaplasma Urealiticum, dall’herpes virus e dal papilloma virus, dal Trichomonas vaginalis (Baecher L et al). Le terapie antineoplastiche rappresentano una causa di sterilità acquisita sempre più frequente; infatti i tassi di mortalità per cancro negli uomini e nelle donne in età riproduttiva sono drasticamente diminuiti negli anni, anche grazie ai progressi terapeutici. Nel 1990 la prevalenza di pazienti sopravvissute al cancro era di 1 su 1000 giovani donne di età compresa tra 15 e 45 anni. Si stima che nel 2010, 1 su 250 pazienti che si ammala di cancro sopravviverà (Stroud, 2009). Parimenti, la sopravvivenza a 5 anni degli uomini affetti da neoplasia maligna di età compresa tra 15 e 39 anni è passata dal 59.5% degli anni ’75-’79 al 75.6 % degli anni 1999-2006 negli USA (Murk, 2011). La radioterapia nella donna induce un iniziale danno alle cellule della granulosa dell’ovaio. I fattori che influiscono sull’entità del danneggiamento ovarico prodotto sono: - La dose complessiva di radiazione: dosi superiori a 24 Gy produrranno invariabilmente un fallimento ovarico permanente. La dose di radiazione necessaria per distruggere il 50% dei follicoli primordiali è pari a 1.99 Gy, (equazione di Fallace) (Stroud, 2009). - Il volume irradiato e lo schema di frazionamento. - L’ età della paziente. Per quanto riguarda la chemioterapia, dati recenti del “childhood cancer survivor study” confermano l’effetto particolarmente dannoso degli agenti alchilanti , in particolare di procarbazina e ciclofosfamide. L’aggiunta di un’agente alchilante al protocollo chemioterapico determinava, infatti, un’incidenza di POF del 30% rispetto all’8% che si registrava nel totale dei sopravvissuti (Sklar, 2006) L’ effetto età dipendente della chemioterapia è particolarmente rilevante; le donne di età superiore ai 25 anni hanno un rischio significativamente più elevato di fallimento ovarico dopo trattamento per malattia di Hodgkin, mentre le donne di età superiore a 30 anni hanno un rischio 12 volte maggiore rispetto a quelle più giovani di irregolarità mestruali dopo trattamento chemioterapico. Prevenzione e fattori di rischio dell'infertilità – 18 giugno 2012 Incontri educativo-informativi sul tema della fertilita’ Le terapie antiblastiche rappresentano una delle cause POF (premature ovarian failure) che inducono una riduzione della durata della vita fertile nella donna. La POF è una condizione di ipogonadismo ipergonadotropo che ha una prevalenza dello 0.9-1.2 % nelle donne di età inferiore ai 40 anni (1% prima dei 40 anni, 0.01 % prima dei 20 anni) (Nick P, 2009). Tra le cause di POF si annoverano: • Chirurgia ovarica • Chemioterapia o radioterapia • Cause autoimmuni, diabete mellito, ipotiroidismo • Anomalie cromosomiche (sindrome di Turner) • Anomalie genetiche: o Premutazione del gene FMR 1 (gene alla base della sindrome della X fragile) si riscontra nel 14% delle POF familiari vs il 2% delle POF sporadiche. o Mutazioni del gene per il recettore dell’FSH (rare) o Mutazioni del gene GALT con deficit enzimatico associato a galattosemia. In più del 50% dei casi la causa di POF rimane ignota, anche se la familiarità sembra giocare un ruolo determinante; infatti il 30 % delle pazienti affette da POF ha una parente stretta (madre, zia, nonna) con cessazione dei cicli mestruali prima dei 40 anni. La più comune anomalia del cariotipo causa di POF è la sindrome di Turner (50/100000 nate femmine). Le anomalie genetiche alla base della sindrome sono fortemente variabili, ma consistono in una parziale o totale delezione dei cromosomi sessuali e possono essere presenti anche in forma di mosaico, con due o tre linee cellulari diverse. Il cariotipo 45,X contribuisce per il 50 % dei casi di Sindrome di Turner, mentre i casi rimanenti sono rappresentati da cariotipi a mosaico, con un isocromosoma X, o da cariotipi con un cromosoma Y intero o parziale. Il numero di cellule germinali è normale fino alla 18^ settimana di gestazione, dopo la quale inizia il processo di degenerazione. Già nella prima infanzia (2-5 anni) si misurano alti livelli di FSH e LH, che raggiungono livelli menopausali al raggiungimento dell’età adulta. Fino al 30% di queste pazienti mostrano segni di sviluppo puberale e il 2-5 % hanno regolari cicli mestruali per un periodo di tempo variabile, anche in assenza di terapia. La gravidanza spontanea insorge nel 2% circa dei casi. Segni prognostici positivi per la presenza di follicoli ovarici nelle pazienti affette da Sindrome di Turner sono rappresentati da sviluppo puberale spontaneo, mosaicismo, e normali concentrazioni ormonali, fattori che correlano in maniera statisticamente significativa con la probabilità di avere follicoli ovarici (Borgstrom, 2009) La tutela della fertilità può essere raggiunta principalmente attraverso quattro diverse metodiche: la ovodonazione, la crioconservazione di ovociti, la crioconservazione di embrioni, il trapianto di tessuto ovarico eterologo. La selezione corretta delle pazienti affette da sindrome di Turner candidate a sottoporsi ad un trattamento di tutela della fertilità riveste un’importanza cruciale. La scelta di offrire o meno l’opzione terapeutica alle pazienti con cariotipo non a mosaico resta dibattuta, cosi’ come l’età ideale per eseguire la crioconservazione. Strategie di tutela della fertilità nella donna Le possibili strategie per tutelare la fertilità nelle pazienti a rischio di esaurimento ovario precoce che si devono sottoporre a trattamenti gonadotossici sono l’induzione di un transitorio stato di ipogonadismo Prevenzione e fattori di rischio dell'infertilità – 18 giugno 2012 Incontri educativo-informativi sul tema della fertilita’ ipogonadotropo attraverso l’utilizzo di analoghi del GnRh, la trasposizione delle ovaia, la crioconservazione di tessuto ovario e la crioconservazione preventiva di ovociti o di embrioni in seguito a induzione della superovulazione con gonadotropine. Quest’ultima opzione è attualmente correlata ai migliori outcomes clinici. L’induzione della superovulazione in pazienti affette da neoplasie che esprimono recettori estrogenici (ER) può, potenzialmente, favorire la progressione e/o la recidiva della malattia perché associata ad un incremento dei livelli di estrogeni circolanti. L’associazione delle gonadotropine agli inibitori dell’aromatasi di III generazione (letrozolo, anastrazolo) può ridurre questo rischio, come proposto da Oktay. L’aromatasi è un complesso enzimatico microsomiale della famiglia del citocromo P 450 (gene CYP 19) che sintetizza estrogeni attraverso la conversione di androgeni C19 in estrogeni C18 aromatici (androstenedione in estrone e testosterone in estradiolo). Gli inibitori della aromatasi sono composti di sintesi che bloccano l’attività dell’enzima aromatasi e quindi la conversione di androgeni C19 in estrogeni C18 aromatici. In condizioni fisologiche, quindi, sotto stimolo dell’FSH, a livello ovarico l’aromatasi catalizza la conversione di androgeni in estrogeni producendo un aumento della concentrazione ematica di estradiolo che attiva il feedback negativo sull’ipofisi con conseguente diminuzione del rilascio di FSH. Gli inibitori dell’aromatasi agiscono a livello dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio inducendo un aumento della secrezione di FSH ipofisario in seguito a riduzione del feedback negativo esercitato dagli estrogeni e un incremento della concentrazione di androgeni intraovarici con conseguente aumento della sensibilità follicolare all’FSH. L’effetto complessivo risulta essere stimolante sulla crescita dei follicoli ovarici. Nonostante la crioconservazione preventiva degli ovociti rappresenti una opzione concreta ed efficace per le pazienti affette da patologie neoplastiche, i risultati clinici sono ad oggi limitati; i nati da scongelamento di ovociti in queste pazienti sono 6 fino ad oggi (2 gravidanze singole e 2 gemellari) (Yang, 2007, Porcu, 2008, Sanchez Serrano, 2010, Porcu, 2012 unpublished data). La crioconservazione di tessuto ovarico è l’unica opzione praticabile per le pazienti che devono iniziare immediatamente il trattamento radio-chemioterapico per cui non possono essere sottoposte ad un ciclo di induzione della superovulazione. L’obiettivo è quello di reimpiantare il tessuto ovarico nella pelvi (trapianto ortotopico) o in un sito eterotopico (avambraccio, parete addominale) quando il trattamento antineoplastico è terminato e la paziente viene considerata “desease free” Dopo la prima nascita riportata da Donnez (Donnez J, 2004), il trapianto ortotopico di tessuto ovarico crioconservato in pazienti affette da patologie neoplastiche ha portato alla nascita di 18 bambini (Dittrich, 2012). BIBLIOGRAFIA American Academy of Pediatrics, Committee on Adolescence, American College of Obstetricians and Gynecologists and Committee on Adolescent Health Care. Menstruation in Girls and Adolescents: Using the Menstrual Cycle as a Vital sign. Pediatrics, 2006;118;2245-2250 Avoneen J, Eggert Kruse W. Chlamydia Trachomatis: impact on human reproduction. Human Reproduc update, 1999; 5; 433-447 Baecher L et al. Infectious Disease and Reproductive Health A Review . Obstetrical and gynaecological survey, 2009; 65 (1): 53-65. 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