l`uomo, l`essere più indifeso e più pericoloso «Per raccontare la

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Pagine d'Arte 9
GIORNALE DI SICILIA
Lunedì 10 ottobre 2016
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1., 2, 3. Tre delle immagini scattate da Ferdinando Scianna per la mostra che celebra i 500 anni della fondazione del Ghetto di Venezia: il fotografo bagherese (nella foto in basso) ha vissuto tre settimane condividendo le giornate con la gente del posto
l’intervista. Parla il fotografo bagherese che ha accettato l’invito ad immortalare luoghi e volti del «ghetto» che accolse i profughi da quando fu fondato, 500 anni fa
«Per raccontare la gente devi anche mangiarci insieme»
0 «Il mio non è un atteggiamento entomologico. Per entrare in contatto con le persone devo sentire gl stessi sapori»
Ferdinando Scianna l’ha voluto
lui, Denis Curti, direttore del mensile Il fotografoe de La casa dei tre
oci oltre che critico e curatore delle due mostre veneziane. «Chi altri
avrebbe potuto interpretare lo
spirito di una comunità, se non lui
- dice Curti- l’autore (con Leonardo Sciascia) di Feste religiose in Sicilia pubblicato nel 1965, in cui
guarda gli uomini, i loro sentimenti e le architetture dei luoghi?».
Lui, Ferdinando Scianna, ha accettato perché del ghetto sapeva
poco e «visto che ho un carattere
estremamente curioso, ho accettato perché il popolo ebraico è
speciale oltre che stimolante intellettualmente - dice - tanto che
non vedevo l’ora di entrare in quel
mondo nuovo che mi ha sempre
attratto».
OOO Curti, ma perché ha voluto
unire due mostre nello stesso
luogo: cos’hanno in comune
Burri e Scianna?
«Il primo motivo è che sono due
fotografi dell’Agenzia Magnum e,
da un punto di vista strettamente
professionale, hanno fatto un tratto di strada insieme anche se dopo, tra loro, s’è creato un legame
speciale che si è trasformato in
amicizia. Il secondo motivo è che
a Venezia è in corso la Biennale di
architettura 2016 che riflette sul
rapporto tra forma e composizione, intese non solo come discipline ma anche come organizzazione umana della società civile».
OOO Quindi Burri è il nome giusto, al posto giusto…
«Certo. I suoi scatti non sono soltanto quelli diventati vere e proprie pagine di storia con ritratti
iconici come quello del 1963 di
Che Guevara col sigaro in bocca.
Le sue fotografie hanno contenuti
forti e sottolineano il contrasto tra
sensibilità estetica e aspetto socio-politico del soggetto fotografato: una visione umana della realtà mai fine a se stessa. Mentre
concepiva l’architettura come
un’operazione politico-sociale e,
infatti, ripercorre la nascita dell’architettura sociale dei grandi
del XX secolo, da Le Corbusier a
Oscar Niemeyer e Renzo Piano».
l’Europa ricorda i legami antichi
cinquecento anni con il popolo
ebraico, con le due mostre ai Tre
Oci a farsi sistema è proprio la città lagunare con eventi a tema
spalmati su tutto il territorio».
OOO Da curatore, come si è relazionato con Scianna per la mostra sui 500 anni del ghetto?
«Abbiamo scelto insieme il formato delle foto da stampare, l’allestimento è solo mio con un ordine
diverso delle opere rispetto a
quello scelto per le pagine del catalogo edito da Marsilio. La mostra su Burri, invece, l’ho adattata
apposta per gli spazi dei Tre Oci
(Michael Koetzle, in Svizzera, l’aveva concepita in maniera diversa)».
OOO Qual è stato l’atteggiamento
di Scianna nel ghetto?
«Curioso e rispettoso. Ferdinando,
per la sua “lettura poetica” e per
nulla malinconica, è partito dall’architettura del luogo e dai “grattacieli di Venezia”, come vengono
chiamati i palazzi del ghetto ebraico, che ebbero uno sviluppo in
OOO Scianna, lei cos’ha imparato
nel ghetto di Venezia?
«Che le tre grandi religioni monoteiste si somigliano così tanto da
sembrare quasi un’unica, grande
religione. Ma, al di là dei valori intrinseci, per il mio lavoro quello
che più mi interessa è la forma: un
valore non può essere fotografato,
la forma, sì».
verticale non potendo espandersi
in larghezza. Anche qui è chiara
l’influenza dell’architettura sui
comportamenti sociali. E se Palazzo Ducale con Venezia, gli ebrei e
OOO Il ghetto è un soggetto fotogenico?
«Un piccolo gioiello di Venezia ma
disgiunto da Venezia. Un’esperienza formativa e stimolante:
sembrava d’essere su di un palcoscenico. E, infatti, il lavoro l’ho volutamente concepito come se i
soggetti recitassero su una scena
teatrale, come fossero personaggi
di una rappresentazione».
OOO L’hanno avvertito come
estraneo all’ambiente mentre
fotografava?
«No, perché il mio non è un atteggiamento entomologico. Per entrare in contatto con la gente io
mangio il loro cibo: voglio il loro
sapore in bocca per “vederli” meglio. Ho fatto così anche al ghetto
durante quei ventuno giorni di lavoro dove ho voluto conoscere
tutto, dagli uomini alle cose. Io,
comunque, ho molti amici ebrei
non solo tra i fotografi. A volte, però, giusto per scherzare, davanti al
rabbino, scambiavo i nomi dei
luoghi di culto…».
OOO Cioè? Una sorta di innocente provocazione?
«Chiedevo di portarmi in moschea
sapendo perfettamente che si
chiama sinagoga».
OOO Scianna, ma c’è una fotografia del ghetto che lei ama più di
altre?
«Certo: è la stessa che piace a lei».
(*GIUP*)
sforbiciando
antropologia contemporanea: l’uomo nella sua socialità analizzato in una serie di saggi
l’uomo, l’essere più indifeso e più pericoloso
Aldo Forbice
L
o avevo conosciuto di
recente Massimo Di
Forti, a un premio letterario in Abruzzo
(«Città delle rose»),
dove il giornalista-scrittore
aveva ricevuto un premio per
il suo ultimo libro ,«Un futuro
senza nemici» (Armando editore). Avevamo parlato a lungo dei suoi interessi letterari,
filosofici, sociologici (e non solo), ripromettendoci di scambiarci esperienze e forse anche
di scrivere un libro insieme
sui diritti umani. La notizia
della sua scomparsa ci ha
profondamente
addolorati.
Massimo era molto prolifico
ed eclettico : scriveva sulle pagine culturali di quotidiani,
periodici, riviste straniere ed
aveva prodotto molti libri.
Nel suo ultimo saggio ha raccontato la vicenda dell’uomo,
considerato come “l’essere vivente più indifeso del pianeta,
sprovvisto dalla natura di ogni
elementare risorsa che dovrebbe
consentirgli la sopravvivenza”.
Eppure gli esseri umani hanno
ucciso, torturato, massacrato
miliardi di altri esseri viventi
(mammiferi, rettili, pesci, insetti…) e un numero incalcolabile
di suoi simili (guerre, massacri,
genocidi, criminalità ecc.).
Di Forti aveva osservato
amaramente il paradosso della
storia: l’uomo, che si è definito
Homo sapiens, che si è fatto Dio
(perché ha potuto accedere agli
strumenti della creazione) , è
arrivato all’era nucleare, col
potere di cancellare la vita sulla
terra: un percorso creativo e distruttivo insieme. Le riflessioni
di questo scrittore sulla patologia dei comportamenti degli esseri umani ci lascia sgomenti
per le verità che esprimono, soprattutto ora che ci ha lasciato.
Lo smarrimento viene approfondito anche in un altro saggio, dello studioso Sergio Tram-
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«un futuro senza
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anche la crisi
ma, docente di pedagogia all’Università Bicocca di Milano.
Tramma, che è autore di “Pedagogia della contemporaneità”
(Carocci editore) analizza le diverse variabili dello smarrimento, nell’attuale scenario
della crisi economica, sociale e
culturale. L’autore ne individua
le chiavi di lettura e le propone
al lettore, senza risparmiare
l’approfondimento, fra i tanti
nodi, anche quelli del linguaggio. Ad esempio, nel linguaggio
politico contemporaneo termini come rivoluzione, riformismo, progressismo, migliorismo
si possono ormai definire “etichette impolverate”. Oggi si
“vendono” meglio definizioni
come “Pantheon contemporaneo”, creatività, innovazione,
forza, energia, cambiamento,
giovinezza,aggiornamento. Oggi sappiamo bene che conta
molto di più apparire “nuovo”
che l’essere.
In un certo senso ci stiamo
collegando ai media. E lo facciamo con un saggio di Edoardo Novelli, “La democrazia del
talk show” (Carocci). L’autore,
che è docente di comunicazione
politica all’Università Roma
Tre, compie un’acuta ricognizione sul rapporto tra politica e
televisione, arrivando alla conclusione che il talk show non
nemici», le ultime
riflessioni
di massimo di forti
del linguaggio
ha messo a rischio
le relazioni umane
solo non garantisce un’autentica partecipazione dei cittadinitelespettatori ,non assicura più
uno “spettacolo delle news” e
non è neppure garante della
neutralità dell’informazione.
C’è da aggiungere che l’overdose di programmi modello
talk show non suscita più l’interesse di un tempo, facendo
abbassare in modo preoccupante l’asticella dell’audience (e
dell’apporto pubblicitario). Siamo ormai arrivati alla sclerotizzazione del racconto della
politica, all’impoverimento di
questi contenitori, con l’attualità politica mescolata a ingredienti di spettacolo. Gli esempi
sono numerosi. È sufficiente però fare riferimento a vetusti talk
show , come “Porta a Porta “
all’”Arena “ di Giletti , con la
sua compagnia di giro. E, ovviamente, a tutte le “copie” simili nella tv commerciale
(“Quarto grado”, “Matrix”,
ecc.). Da tempo si parla della
necessità di un cambiamento,
di una svolta in questo settore,ma all’orizzonte non vediamo idee molto originali.
Segnaliamo, infine, un saggio di un’esperta di comunicazione, Luisa Fiato (Università
La Sapienza di Roma). Nel libro
“Link da uno sconosciuto” (edizioni La Rondine) l’autrice affronta un tema delicato e di
grande attualità: il rapporto dei
bambini con Internet .
Sappiamo ormai da tempo
(la cronaca continua a rammentarcelo ogni giorno) i rischi
che i minori corrono ogni giorno se lasciati soli davanti a un
computer. In altre parole, l’esperta mette in guardia educatori, genitori, bambini e adolescenti sul materiale pedo-pornografico che circola fin troppo
liberamente sulla rete, raccomanda gli strumenti di filtraggio e protezione e fornisce indicazioni utili su come snidare e
denunciare i troppi criminali
che utilizzano Internet per traffici pericolosi per i minori.
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