PERSONAGGI 8 30 agosto Sfida di pace a Boko Haram Nigeria. Nasce un centro di collaborazione tra cristiani e musulmani tra le bombe e gli assalti dei fondamentalisti islamici L’arcivescovo di Jos, Ignatius Kaigama: la gente ha paura, spiego che i terroristi non rappresentano la vera religione «La cultura occidentale è peccato». Vuol dire questo la sigla Boko Haram, divenuta tristemente famosa per le migliaia di vittime che ha provocato nel nord della Nigeria. E l’obiettivo dei terroristi è tutto ciò che identificano con l’Occidente: istituzioni, polizia e, soprattutto, i cristiani. Abbiamo incontrato l’arcivescovo di Jos, monsignor Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale nigeriana, in prima linea per far fronte a questa persecuzione e al fianco del suo popolo, dilaniato dalla violenza del fanatismo religioso. Monsignor Kaigama parteciperà oggi alle 15 all’incontro “Testimoni di libertà”. Con un video Boko Haram ha proclamato un Califfato anche in Nigeria. Come valuta questo fatto? È stata una sorpresa, pensavamo che le azioni terroristiche fossero state superate. Attendiamo le mosse del governo e dai servizi di sicurezza. Loro hanno le risorse, l’intelligence per fermare i terroristi. Ma sembra non riescano a cambiare la situazione. Lo sforzo del governo non è proporzionato alla gravità della situazione e il fatto stesso che abbiano proclamato un Califfato vuol dire che è un fenomeno in crescita. Si hanno notizie delle duecento ragazze rapite? Non sono ancora state trovate e salvarle sarà difficile. Il rapimento è stato un successo per Boko Haram, perché gli ha dato un potere contrattuale. Inoltre possono usare le ragazze come scudi umani. È difficile trattare e parlare con chi non usa la ragione, con qualcuno che è pronto a morire in nome di Dio. Mi chiedo, però, di quale Dio. Qual è la situazione dei cristiani oggi? Monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo della città di Jos in Nigeria. Parlerà oggi all’incontro “Testimoni di libertà” Nel nord del Paese siamo molto preoccupati. Nella città di Maiduguri, e nelle zone intorno, molti hanno abbandonato la casa. Nelle altre zone del Paese non è così forte. Il problema è che «È difficile trattare con chi non usa la ragione ed è pronto a morire in nome di Dio. Mi chiedo però di quale Dio» Boko Haram non lo puoi vedere, è invisibile. Percepisci che ci sono i terroristi perché vedi quello che fanno, che uccidono gli altri anche facendosi saltare in aria. Diciamo alla gente di essere attenti e prudenti. Durante le messe abbiamo previsto gruppi di sicurezza, in genere fatti da giovani, che controllano tutto ciò che succede intorno. Come è cambiato la comunità cristiana di fronte a queste difficoltà? C’è paura, sospetto e rabbia. Molti cristiani pensano che la religione musulmana sia violenta. Cerchiamo di dire loro che non è vero, che i terroristi non rappresentano la vera religione dell’islam. Molti dei musulmani sono arrab- biati con Boko Haram, dicono che quella cieca violenza non corrisponde a loro, non li rappresenta. Questo è il motivo per cui Boko Haram ha iniziato a colpire non solo i cristiani, come faceva «Nel mirino dei fanatici ora sono finiti anche i musulmani che dialogano e vengono accusati di non essere buoni fedeli» all’inizio, ma anche i musulmani che collaborano con il governo o cercano di difendere i cristiani. Dicono che non sono buoni fedeli. Per questo noi nella città di Jos abbiamo fondato il Dialogue and peace center dove cristiani e musulmani si incontrano e collaborano. Cosa possono fare l’Europa e l’Occidente per aiutare la Nigeria? Dovete provare a immedesimarvi con la Nigeria, camminare con il nostro governo per bloccare le risorse di Boko Haram, che ha armi più sofisticate dell’esercito regolare nigeriano. Molte di queste arrivano proprio dagli Stati occidentali. C’è una collaborazione internazionale che sostiene Boko Haram, ma è sostenuto anche dall’interno perché molte risorse stanziate per fronteggiare il terrorismo vengono in realtà dirottate proprio a loro favore. Come vive lei questa situazione, come arcivescovo di Jos? È molto triste per me. Mi rapporto direttamente con la gente, sto con loro. Vedo la loro paura, la loro sofferenza, l’angoscia. Sono cose che chi è al governo non vede. Il mio dovere è quello di confortarli e calmarli. Noi stiamo loro vicini, preghiamo che i cristiani non inizino a fare atti di violenza contro i musulmani, perché non identifichino il nome della religione musulmana con quella di Boko Haram. Ma non è facile, se vedi qualcuno uccidere i tuoi amici, i tuoi genitori. Se li vedi morire, non è facile proclamare il Vangelo dell’amore. Francesco Graffagnino «Nelle periferie devastate dalla guerra sono andato a vedere il cuore del mondo» Domenico Quirico, l’inviato della “Stampa”, parla del Medioriente in fiamme Ha seguito da inviato de La Stampa le vicende africane più drammatiche degli ultimi vent’anni. Dal Sudan alla carestia nel Corno d’Africa, dalla guerra in Congo all’Esercito di Resistenza del Signore in Uganda. Fino alle più recenti primavere arabe: Tunisia, Egitto e Libia. Per raccontare il dramma degli sbarchi a Lampedusa, ha percorso il viaggio Tunisia-Italia gomito a gomito con i profughi, in uno dei loro barconi. L’anno scorso è finito nelle prime pagine dei giornali nazionali per i cinque mesi di rapimento scontati in terra siriana. Domenico Quirico, 62 anni e corpo esile, ha dentro un grande fuoco che lo anima, una passione per i luoghi dove si soffre e si combatte: «La profondità dell’animo umano è in questi posti. Dentro di noi c’è il male e il bene e lì trovo assassini e vittime. Un cammino umano affascinante. È lì il cuore del mondo, è lì che bisogna andare». Ucraina, Siria, Iraq. La maggior parte dei conflitti contemporanei sono guerre civili, cosa sta succedendo? Non sono d’accordo, non bisogna mettere tutto nello stesso pentolone. Per me l’ele- mento più preoccupante con cui la politica dovrà fare i conti nei prossimi anni è il sorgere del progetto politico dell’Islam radicale. Siamo di fronte a qualcosa di totalmente nuovo per la determinazione e la rapidità con cui si sta espandendo. L’Isis nasce da una trasformazione di Al Qaeda, il fondamentalismo islamico è un fenomeno che si è spesso modificato, ha avuto molte vite. Come una sorta di batterio ha sempre saputo adattarsi alle diverse condizioni. Ora, a due ore e mezza di aereo da noi, è nata una nuova entità statale tra Siria e Iraq, con le sue leggi e le sue tasse. Il loro progetto è tornare alle dominazioni dei califfi del VI-VII sec. d.C. È questo il nemico con la N maiuscola. Questi focolai stanno creando grandi flussi migratori che rischiano di destabilizzare ancora di più lo scenario internazionale. È vero, questa è l’epoca delle grandi migrazioni. Dicono che ci siano circa 200 milioni di persone in marcia. Però non bisogna strumentalizzare la questione perché chi bus- sa alle porte dell’Occidente non sono gli islamisti ma gente che cerca di sopravvivere. Io non ho paura dei migranti e lo considero un fenomeno di straordinaria importanza. L’Occidente cosa può fare per fermare questi conflitti? Innanzitutto chiariamo che l’Occidente sono solo gli Usa, gli altri Paesi sono scartini di vecchie potenze che alle parole non possono far seguire i fatti. Ma Obama è in confusione, un anno fa voleva bombardare Assad, oggi usa le stesse parole per giustificare un attacco ai nemici del dittatore siriano. Condivide la posizione del Papa che continua a sperare in una soluzione attraverso la diplomazia e il dialogo? Le parole del Pontefice hanno un senso, ma quando si vuole discutere bisogna essere in due. In Medioriente sta sorgendo qualcosa che noi conosciamo bene, il totalitarismo. Come il nazismo e il comunismo, anche le milizie dell’Isis hanno lo scopo di purificare il mondo da tutto ciò che lo contamina, da tutto ciò che è diverso. Dialogare con i tota- Domenico Quirico, inviato della Stampa litarismi non è possibile perché la loro essenza è il rifiuto. Non dico che tutto il mondo musulmano è formato da personaggi simili, ma in questo momento sono loro a guidare la carovana. Il Meeting lancia un messaggio: nelle periferie del mondo, il destino non ha lasciato solo l’uomo. Cosa ne pensa? Se parliamo di qualcosa di trascendentale, non saprei rispondere. Ma chi ha la forza per muovere il destino su questa terra, come gli Usa, non ha fatto niente. In quattro anni sono morti 200mila siriani e noi cosa abbiamo fatto per loro? Ci siamo occupati di spread o delle dichiarazioni di qualche bancario, e al loro grido chi ha risposto? Forse il Papa e pochi altri uomini di buona volontà. Gli altri dov’erano? Niccolò De Carolis