Politicit e giuridicit nel sistema delle fonti come chiave di

Politicità e giuridicità nel sistema delle fonti come chiave di ricostruzione del
sistema di tutela dei diritti costituzionali – tra funzione politico-normativa e
funzione giurisdizionale - nello Stato costituzionale di diritto.
La ricostruzione del paradigma europeo e la delimitazione del concetto di diritto
costituzionale europeo e transnazionale ha condotto a porre in rilievo il ruolo della
giurisprudenza quale fattore di qualificazione dello Stato costituzionale nel diritto, nel
quale l’effettività della rigidità della Costituzione – e quindi il suo primato nel
sistema delle fonti del diritto – è garantita da un organo di giustizia costituzionale.
Tale ruolo – che implica conseguenze tanto sul sistema delle fonti quando
sull’individuazione di norme di diritto sostanziale – non è pienamente conforme con i
postulati tipici dello Stato di diritto. E non a caso si parla in questo contesto di Stato
costituzionale nel diritto come di una formula innovativa rispetto a quella precedente.
Proprio su tali innovazioni strutturali occorre dunque svolgere un ragionamento,
partendo dalla semplice rilevazione empirica circa l’esistenza – nella società italiana
come di ogni altra comunità sociale e politica organizzata unitariamente - di una
pluralità di interessi, non tutti e non sempre reciprocamente compatibili o in sintonia,
ossia potenzialmente in conflitto.
La forma di Stato liberale si fonda sul riconoscimento della legittimità del conflitto
fra interessi. In alternativa, altre forme di Stato corrispondono ad un’ipotesi di
riconoscimento giuridico di un solo interesse sempre e comunque prevalente: ad
esempio, la volontà del monarca (forma di Stato assoluto), l’autorità religiosa (forma
di Stato confessionale), l’interesse nazionale (forma di Stato autoritario), l’interesse
di una classe sociale (forma di Stato socialista sovietico).
Si può ipotizzare in astratto di collocare tutti gli interessi su di un piano di
equiordinazione e di valutarli conseguentemente tutti come “interessi di fatto”.
Si prenda ad esempio la pluralità di figure di aggregazione affettiva fra due persone,
ciascuno coincidente con l’interesse di tali persone di esprimere liberamente le
proprie scelte:
Famiglia/ Unione di fatto incestuosa
Famiglia/ Unione di fatto bi-poligamica
Famiglia fondata sul matrimonio religioso con effetti civili
Famiglia fondata sul matrimonio civile
Famiglia di fatto eterosessuale (qualora disciplinata)
Famiglia di fatto omosessuale (qualora disciplinata)
Unione di fatto fondata sul matrimonio religioso quale manifestazione dell’autonomia
dei privati
Unione di fatto eterosessuale-omosessuale quale manifestazione dell’autonomia dei
privati
Nell’ordinamento italiano vigente, famiglia e/o unione di fatto incestuosa e bipoligamica sono figure selezionate e qualificate come illecito penale e di
conseguenza non solo non possono rientrare in alcuna figura di famiglia ma neppure
rientrano nella disponibilità dei privati quale libera espressione della propria
autonomia. Sicché il conseguente accertamento di fatti legati a quelle esperienze
costituisce notitia criminis e conduce all’incriminazione penale e successivamente
alla condanna degli autori.
Estranea all’ordinamento giuridico italiano è anche la figura della unione di fatto
fondata esclusivamente sul matrimonio religioso quale manifestazione
dell’autonomia dei privati, come risulta quando esiste una consacrazione religiosa (da
parte delle confessioni religiose che vi provvedono e che, in base al proprio
ordinamento, sono considerate famiglie vere e proprie). Si tratta di una prassi spesso
legata alla volontà di non perdere il diritto alla pensione di reversibilità da parte di
uno dei coniugi che è vedovo da precedente matrimonio riconosciuto con effetti
civili.
Nell’ambito della libera disponibilità dei privati – e pertanto senza che ricorrano i
presupposti di un illecito penale – rientrano anche le unioni di fatto fra persone di
sesso diverso o dello stesso sesso, ma l’ordinamento italiano in prevalenza non vi
collega alcun effetto civile (ad esempio, al fine dell’espressione del consenso
informato quale condizione per un intervento chirurgico su paziente incapace di
intendere e di volere, ovvero al fine della donazione di un organo); effetti civili
limitati sono invece di volta in volta rinvenibili anche nella legislazione italiana (ad
esempi, in tema di ammissione alla procreazione medicalmente assistita) senza
peraltro che vengano precisati requisiti di legge per identificare e distinguere fra
unioni fatto stabili e unioni di fatto del tutto provvisorie.
Le sole figure di aggregazione affettiva fra due persone cui l’ordinamento conferisce
effetti civili sono la famiglia fondata sul matrimonio civile e la famiglia fondata sul
matrimonio religioso trascritto, qualora celebrato con confessioni con le quali lo ha
concluso un concordato (art. 7 Cost.) ovvero un’intesa incorporata in una legge (art. 8
Cost.).
Questa rapida ricognizione delle diverse figure assumibili dai rapporti affettivi di
natura familiare ha consentito di identificare i limiti posti dalla legge dello Stato ma
non si può negare che a ciascuna corrispondano interessi di fatto e che vi siano forti
rivendicazioni sociali per conferire alla sfera oggi riconosciuta all’autonomia privata
alcuni effetti civili. Occorre del resto osservare che le scelte del legislatore italiano
sono più circoscritte a quelle del legislatore di altri Stati europei nonché di
ordinamenti extraeuropei che riconoscono anche la famiglia bi-poligamica.
Rispetto ai fini qui rilevanti, il quesito concerne la ripartizione dei ruoli e delle
funzioni nell’ordinamento italiano e negli altri ordinamenti europei. La selezione e
qualificazione giuridica degli interessi cui conferire tutela è attività che viene
attribuita come propria alla sfera della politica, intesa quale sede appropriata per la
determinazione delle finalità dell’ordinamento; mentre al diritto viene attribuito il
compito di garantire le opzioni politiche circa la selezione e qualificazione di quegli
stessi interessi.
La funzione della politica consiste dunque nell’esercizio legittimo del potere di
qualificare gli interessi (e i comportamenti [leciti e illeciti]) e di conferire una
corrispondente tutela di intensità differenziata.
L’esercizio di questo potere, che segue in prevalenza il criterio maggioritario, avviene
attraverso la produzione di norme giuridiche.
La funzione del diritto consiste nella tutela degli interessi dopo che siano stati
selezionati e qualificati dalla politica, ossia dopo l’acquisizione del consenso politico
maggioritario su quella determinata soluzione normativa.
In un sistema, come quello italiano/europeo, nel quale le norme giuridiche sono
ordinate secondo un criterio gerarchico – nel quale cioè le norme hanno un’efficacia
differenziata – la funzione della politica si esercita anche attraverso la scelta del
grado di intensità di tutela da conferire ad alcuni interessi rispetto ad altri.
Le norme costituzionali conferiscono ad una serie di interessi la tutela della massima
intensità e questi interessi - che, prima dell’intervento politico-normativo (ossia, della
politica attraverso il diritto), sono meramente di fatto - divengono interessi, beni o
valori costituzionali (e, in applicazione della rigidità della Costituzione, la loro
abrogazione e/o modifica sono affidate ad un criterio più che maggioritario:
requisito della procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost.).
Altri interessi, tutelati con l’intensità e l’efficacia della legge ordinaria, divengono
interessi giuridicamente rilevanti; ed altri ancora rimangono interessi di fatto,
giuridicamente rilevanti solo in via potenziale).
Si viene pertanto a configurare una stretta relazione fra il sistema delle fonti e le
rivendicazioni politiche: l’obiettivo di queste ultime è di ottenere (a) la qualificazione
di un interesse di fatto quale interesse giuridicamente tutelato (livello minimo) e (b) il
conferimento della tutela dotata della massima intensità, ossia da mero interesse di
fatto a diritto costituzionale o diritto costituzionalmente protetto (livello massimo).
Il pluralismo è un elemento connotativo ed indefettibile di una comunità politica
organizzata secondo le forme istituzionali dello Stato liberale.
Il pluralismo come interesse dell’ordinamento elevato a valore costituzionale
garantisce la pluralità di indirizzi politici alternativi ma tutti necessariamente
conformi alle prescrizioni costituzionali.
In particolare, il pluralismo – quale ad esempio si manifesta nella competizione
elettorale per acquisire la legittimazione ad esercitare la funzione legislativa –
implica una differenziazione nell’intensità di tutela che ci si propone di conferire
a taluni interessi contrapposti ad altri (ad esempio in tema di qualificazione di ogni
ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza nella sfera dell’illecito penale;
ovvero in tema di qualificazione dell’interesse di fatto delle convivenze more uxorio,
fra persone anche dello stesso sesso, quale interesse giuridicamente rilevante se non
addirittura come bene costituzionalmente tutelato alla pari della famiglia fondata sul
matrimonio).
La forma di Stato liberale è caratterizzata dal riconoscimento giuridico costitutivo e
costituzionale della legittimità dell’esistenza di una pluralità di interessi e della
legittimità del loro reciproco conflitto (nell’ambito della sfera del penalmente lecito);
sicché il pluralismo è un elemento connotativo ed indefettibile di una comunità
politica organizzata secondo le forme istituzionali dello Stato liberale.
In relazione alla configurazione della forma di Stato, la dialettica politica riveste
dunque un ruolo primario ed essenziale nella scelta dei valori fondanti di una
comunità politica organizzata e nella allocazione dei mezzi necessari per conseguire
le finalità condivise.
La dimensione della politicità è caratterizzata dalla libertà della scelta dei fini e dei
mezzi: la decisione politica che gode della massima libertà di scelta corrisponde
all’esercizio del potere costituente. In questa occasione, infatti, si selezionano e si
qualificano gli interessi ai quali conferire la massima intensità di tutela giuridica,
collocandone la previsione e la disciplina nella fonte normativa costituzionale.
Di conseguenza, ogni successiva manifestazione della politicità attraverso l’esercizio
del potere normativo (revisione costituzionale, funzione legislativa statale e
regionale, funzione regolamentare) si qualifica come potere costituito.
La finalità del diritto consiste nella garanzia della qualificazione degli interessi già
effettuata dalla politica (minimo: interesse di fatto, massimo: valore costituzionale)
e del corrispondente conferimento di una tutela di intensità differenziata: per
rimanere nell’ambito dell’esempio già adottato, nell’ordinamento italiano vigente si
ha una tutela nulla in conseguenza del mancato intervento del legislatore (coppia
omosessuale), una tutela intermedia conferita dalla fonte legislativa ordinaria (unioni
di fatto eterosessuali e diritto ad alcune prestazioni sociali), una tutela massima
conferita dalla fonte costituzionale alla famiglia fondata sul matrimonio (art. 29
Cost.).
Questa finalità si configura nello Stato di diritto e si riconduce alla matrice storica
ed ideologica della rivoluzione francese, in cui si afferma come assolutamente
prevalente il metodo politico di produzione delle norme, ossia l’esercizio della
funzione normativa ad opera di un’assemblea politica elettiva e rappresentativa, con
corrispondente negazione di ogni altro metodo alternativo.
Il sistema delle fonti dello Stato di diritto che si viene a configurare corrisponde allo
schema ben noto ispirato al principio di separazione dei poteri.
Nel contesto europeo, peraltro, accanto alla tradizione di diritto codificato di
derivazione romano-germanistica dell’Europa continentale, esiste anche, come ben
noto, la tradizione di common law, presso la quale il metodo giurisprudenzialedi
produzione di norme ha invece un ruolo molto maggiore, benché anche in quegli
ordinamenti, quando il legislatore interviene, la sua volontà politico-normativa
prevale sul formante giurisprudenziale.
Benché i principi di legalità e dello Stato di diritto, da un lato, e il principio di rule of
law, dall’altro, siano utilizzati l’uno come la traduzione dell’altro – ad esempio nelle
fonti internazionali – e considerati sinonimi, debbono invece essere valutati piuttosto
e più correttamente come reciproci equivalenti funzionali. Infatti, nel contesto di
common law britannico, esistono poteri dell’esecutivo (prerogative powers) fondati
esclusivamente su norme di common law e dunque parte del law of the land, non
conferiti, né limitati, né limitati quanto all’esercizio da fonti di statutory law e
pertanto correttamente applicati dal giudice britannico.
In sintesi:
* Funzione della politica: selezione e qualificazione (costituzionale = criterio più che
maggioritario ovvero legislativa = criterio maggioritario) degli interessi da tutelare.
* Funzione del diritto: garanzia della selezione e qualificazione degli interessi operata
dalla politica.
* Affermazione del monopolio del metodo politico di produzione delle norme.
Fra i concetti essenziali della costruzione dello Stato di diritto, fondati sul
presupposto di una rigorosa separazione fra la politicità riservata in via esclusiva alla
produzione parlamentare delle leggi e la giuridicità propria delle duen funzioni
applicative delle leggi (la funzione esecutiva-amministrativa e la funzione
giurisdizionale), ricordiamo:
Stato legale: il principio di preferenza per la legge (riserva di legge) quale atto
normativo di manifestazione della volontà politica dello Stato (supremazia del
Parlamento=sovranità parlamentare) e Stato di diritto: l’osservanza delle leggi è
sottoposta al controllo giurisdizionale, sia nei rapporti fra privati sia anche per quanto
concerne l’applicazione amministrativa delle leggi (conformità dell’atto
amministrativo alla legge).
Principio di legalità formale: l’amministrazione e la giurisdizione non hanno poteri se
non quelli conferiti dalla legge; e Principio di legalità sostanziale: l’amministrazione
e la giurisdizione devono esercitare i poteri in conformità con i contenuti prescritti
dalla legge.
Lo Stato di diritto, anche per ragioni storiche di contrapposizione con gli assetti di
potere e con la configurazione del sistema giuridico del passato, esprime un
atteggiamento di diffidenza nei confronti del potere esecutivo (monarchico) ma anche
dell’ordine giudiziario: si consideri in proposito l’art. 73 dello Statuto Albertino,
collocato nel contesto di disciplina dell’Ordine giudiziario, il quale stabiliva che
“l’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al
potere legislativo”).
In particolare, si sviluppa la concezione del giudice «bocca della legge»:
l’applicazione giurisdizionale del diritto viene costruita come mero accertamento
delle norme, ossia come attività esclusivamente cognitiva (teoria cognitiva
dell’interpretazione), nel presupposto che una norma sia suscettibile di un unico
significato oggettivamente accertabile (tendenzialmente corrispondente alla volontà
politica del legislatore storico, cioè che ha prodotto o posto la norma).
In Francia durante l’epoca rivoluzionaria, si arrivò a vietare ai giudici di interpretare
la legge e si istituì il réferé legislatif, ossia l’obbligo per il giudice di rivolgersi, in
caso di dubbi sull’interpretazione, ad un consiglio di cassazione, ossia un organo
politico di origine parlamentare, che avrebbe fornito l’interpretazione esatta con la
quale il giudice avrebbe poi risolto la controversia concreta (in omaggio alla
separazione dei poteri, il consiglio di cassazione non avrebbe potuto appropriarsi
della funzione giurisdizionale e risolvere direttamente la controversia). Solo in
seguito il consiglio di cassazione si sarebbe trasformato in organo giurisdizionale di
ultima istanza (recepito anche in Italia, dove infatti la Corte di Cassazione ha il
compito di garantire l’uniforme interpretazione della legge).
Lo Stato di diritto, (non solo) nell’ordinamento italiano, si è però trasformato nello
Stato costituzionale di diritto e questa trasformazione incide profondamente sulla
configurazione che abbiamo sin qui elaborato.
La Costituzione italiana repubblicana (a differenza dello Statuto Albertino che era
costituzione flessibile, modificabile con legge ordinaria) è giuridica, lunga,
programmatica rigida e garantita. In particolare, per continuità di ragionamento,
conviene soffermarsi sulla natura lunga e programmatica della Costituzione
repubblicana e sul suo carattere rigido e garantito.
In ordine al primo profilo, è sufficiente osservare che all’espansione della politicità
(nuovi compiti e aree di intervento dello Stato) e della giuridicità (prescrittività della
forma di Stato liberale e sociale) non potrebbe non corrispondere un’analoga
espansione della giurisdizione, ossia dell’intervento del giudice nella risoluzione
delle controversie sorte in applicazione del diritto.
L’affermazione circa la giuridicità della Costituzione (di tutta la Costituzione) –
quanto meno in ragione della idoneità anche delle norme di natura programmatica a
vincolare la discrezionalità del legislatore ordinario) anche se non sempre riesce
agevole ricavare la fonte di diritti perfetti (azionabili in giudizio) - rappresenta un
punto fermo della storia costituzionale repubblicana ed è riconducibile
all’interpretazione della Corte costituzionale.
In ordine al secondo profilo, osserviamo che la rigidità della Costituzione e la sua
garanzia implicano, com’è noto, la sovraordinazione dell’efficacia della norma
costituzionale sulla norma ordinaria.
Questo rapporto di sovraordinazione sottolinea come la dimensione della politicità
residua – ossia della discrezionalità politica - del legislatore parlamentare ordinario
sia più ristretta di quella del legislatore costituente: il primo è infatti vincolato dalla
pre-selezione e pre-qualificazione degli interessi e dal conferimento di una tutela
della massima intensità già disposta da quest’ultimo.
In altre parole, il principio di preferenza per la legge viene sostituito dal principio di
preferenza per la Costituzione; il principio di legalità formale e sostanziale vincola
ora anche la discrezionalità politica del legislatore; l’atteggiamento di diffidenza
viene esteso anche nei confronti del Parlamento e della legge ordinaria (sebbene sia
corretto parlare di una presunzione di conformità costituzionale della legge);
l’istituto della riserva di legge viene integrato dalla riserva di legge cosiddetta
rinforzata (in cui la riserva di legge ha come obiettivo non solo di escludere o
limitare l’intervento regolamentare del governo ma anche di orientare e circoscrivere
la discrezionalità politica del legislatore parlamentare (ad esempio, determinati
trattamenti sanitari possono venire resi obbligatori dalla legge (e solo dalla legge) ma
“la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana”, art. 32 Cost.); l’istituto della riserva di legge viene integrato altresì dalla
riserva di legge costituzionale (cfr. articoli 116 e 137 Cost.); anche la legge viene
sottoposta a controllo di legittimità formale e sostanziale, sia pure attraverso un
sistema accentrato (in cui, cioè, la decisione sulla legittimità costituzionale di una
legge è affidata ad un unico organo) espresso dalla Corte costituzionale i cui
membri, a differenza dei giudici comuni, non sono scelti attraverso il metodo
burocratico (un concorso pubblico) ma vengono designati con modalità differenziate
che in ogni caso operano in base ad intuitus personae; la supremazia della legge
viene a cadere insieme alla supremazia del Parlamento, il cui ruolo viene circoscritto
dal vincolo di conformità formale e sostanziale delle leggi con la Costituzione, la
quale, inoltre, pone altresì il fondamento di legittimità della competenza legislativa
regionale, del legislatore comunitario, delle norme internazionali (cfr. articoli 11 e
117 Cost., quest’ultimo nella novella del 2001), del referendum abrogativo (art. 75
Cost.).
E’ da sottolineare che in tutti gli ordinamenti dell’Europa continentale, il criterio per
la composizione degli organi di giustizia costituzionale è sempre diverso dal metodo
di reclutamento per concorso pubblico impiegato per la giurisdizione comune e vede
sempre almeno una partecipazione del potere politico alla selezione dei giudici
costituzionali.
La legge, dunque, non opera più in “regime di monopolio” esclusivo ma si trova a
“competere”con un sistema delle fonti normative tendenzialmente pluralista ed
articolato e con altri metodi di produzione del diritto, recuperando una dinamica ed
una vitalità che la rivoluzione francese aveva tentato di sradicare.
Nello Stato di diritto, il principio di separazione dei poteri richiedeva che l’esercizio
della sovranità unitaria si articoli in tre funzioni distinte.
(i) Funzione legislativa: produzione delle leggi.
(ii) Funzione esecutiva e amministrativa: applicazione delle leggi
(iii) Funzione giurisdizionale: applicazione delle leggi
Nello Stato costituzionale di diritto, il principio di separazione dei poteri richiede che
l’esercizio della sovranità unitaria si articoli in quattro funzioni distinte.
(i) Funzione costituente: produzione della Costituzione
(ii) Funzione legislativa: applicazione della Costituzione
(iii) Funzione esecutiva e amministrativa: applicazione delle leggi
(iv) Funzione giurisdizionale: applicazione delle leggi
Lo Stato costituzionale di diritto, ben più dello Stato di diritto, si propone la
giuridicizzazione della politica (sottoposizione della politica a disciplina giuridica) e
la conseguente giurisdizionalizzazione della politica (sottoposizione della politica a
controllo giurisdizionale) nell’ambito di un quadro normativo costituzionale che
evidentemente vincola anche la giurisdizione, collocandola in un sistema di checks
and balances (controlli ed equilibri).
Per quanto nello Stato costituzionale di diritto la giurisdizione abbia assunto un ruolo
particolarmente rilevante, occorre tenere conto di una serie di elementi strutturali
dello Stato di diritto che sono da considerare sempre presenti.
Riprendendo la materia familiare già più volte adottata a titolo esemplificativo,
ricordiamo che la Costituzione italiana contiene sì un art. 29 (“La Repubblica
riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il
matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti
stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”) ma contiene anche un art. 2 (“La
Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”), alla stregua del
quale – anche in combinato disposto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3
Cost. - dovrebbe (o almeno potrebbe) ritenersi che anche unioni interpersonali
affettive diverse dalla famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio – che certamente
sono formazioni sociali ove si svolge la personalità dei componenti la coppia) – siano
meritevoli di tutela.
Nell’ordinamento italiano, il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi
avviene attraverso un ricorso in via incidentale sollevato da un giudice il quale, dopo
una valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, si
rivolge alla Corte costituzionale. E’ interessante notare che non è infrequente che il
giudice comune solleciti alla Corte un intervento volto a dichiarare l’equiparazione (o
almeno l’equiparabilità) fra la famiglia fondata sul matrimonio e la cosiddetta
famiglia di fatto. Ma la Corte ha sempre rifiutato di pervenire a tale risultato (cfr.
ordinanza n. 313 del 2000), benché in qualche caso, sia pure a sostegno di un altro
bene costituzionalmente tutelato, abbia offerto una tutela indiretta anche a rapporti di
fatto (cfr. sentenza n. 376 del 2000).