Politicità e giuridicità nel sistema delle fonti come chiave di

2. Politicità e giuridicità nel sistema delle fonti.
2.1 La lezione 1 ci consente di trarre alcune conclusioni che
possono essere ridotte a sintesi secondo lo schema seguente:
(a) Maggiore complessità del sistema delle fonti del diritto
interno in generale e del diritto costituzionale in particolare →
(definizione e garanzia giurisdizionale dei diritti fondamentali
→ forma di Stato [connotazione ideologica delle finalità
istituzionali dello Stato e dei diritti dei cittadini]
In materia di protezione dei diritti fondamentali si è oramai
consolidato un assetto plurale di fonti normative: diritto
interno (diritto statale, talvolta diritto regionale) + diritto
sovrannazionale ([UE) + diritto internazionale (CEDU).
(b)
Maggiore complessità dell’operazione intellettiva di
individuazione della fonte normativa applicabile al caso
concreto da parte dell’interprete
→ (operazione comprensiva del “paradigma europeo” quale
clausola implicita di omogeneizzazione della soluzione
normativa).
(c) Espansione materiale della produzione normativa →
Espansione del contenzioso → Espansione del rilievo anche
quantitativo della funzione interpretativa che appartiene ad
una pluralità di soggetti tecnicamente capaci ma che in
quanto esercitata dal giudice acquisisce l’idoneità ad
esprimere l’autorità del giudicato.
(d) Conseguenze sul nuovo modo di essere della sovranità
(identità) dello Stato quanto alla sua forma (sovranità
volontariamente condivisa): ma controtendenza in atto volta a
rafforzare non l’omogeneità ma il diritto alla diversità degli
Stati (sovranità condivisa ma selettiva laddove sia coinvolta
l’identità della comunità politica organizzata: Stato/nazione)
(e) Conseguenze sul difficile/difficilissimo rapporto di
equilibrio fra istituzioni politiche e istituzioni giurisdizionali.
In
realtà,
la
dialettica
fra
dimensione
europea
(sovrannazionale e internazionale) e statale (a volte anche
regionale ovvero di Stato membro di una federazione, come
soprattutto in Belgio e Germania) e fra legislatore politico
intergovernativo e formante giurisprudenziale (a sua volta
articolato nel dialogo fra giudice sovrannazionale, giudice
convenzionale e giudice nazionale) non fa che innestarsi in un
contesto dialettico già consolidato.
2.2 Politicità e giuridicità nel sistema delle fonti come chiave
di ricostruzione del sistema di tutela dei diritti costituzionali –
tra funzione politico-normativa e funzione giurisdizionale nello Stato costituzionale di diritto.
La ricostruzione del paradigma europeo e la delimitazione del
concetto di diritto costituzionale europeo e transnazionale ha
condotto a porre in rilievo il ruolo della giurisprudenza quale
fattore di qualificazione dello Stato costituzionale nel diritto,
nel quale l’effettività della rigidità della Costituzione – e quindi
il suo primato nel sistema delle fonti del diritto – è garantita
da un organo di giustizia costituzionale.
Tale ruolo – che implica conseguenze tanto sul sistema delle
fonti quando sull’individuazione di norme di diritto sostanziale
– non è pienamente conforme con i postulati tipici dello Stato
di diritto. E non a caso si parla in questo contesto di Stato
costituzionale nel diritto come di una formula innovativa
rispetto a quella precedente. Proprio su tali innovazioni
strutturali occorre dunque svolgere un ragionamento,
partendo dalla semplice rilevazione empirica circa l’esistenza
– nella società italiana come di ogni altra comunità sociale e
politica organizzata unitariamente - di una pluralità di
interessi, non tutti e non sempre reciprocamente compatibili o
in sintonia, ossia potenzialmente in conflitto.
La forma di Stato liberale si fonda sul riconoscimento della
legittimità del conflitto fra interessi. In alternativa, altre forme
di Stato corrispondono ad un’ipotesi di riconoscimento
giuridico di un solo interesse sempre e comunque prevalente:
ad esempio, la volontà del monarca (forma di Stato assoluto),
l’autorità religiosa (forma di Stato confessionale), l’interesse
nazionale (forma di Stato autoritario), l’interesse di una classe
sociale (forma di Stato socialista sovietico).
Si può ipotizzare in astratto di collocare tutti gli interessi su di
un piano di equiordinazione e di valutarli conseguentemente
tutti come “interessi di fatto”.
Si prenda ad esempio la pluralità di figure di aggregazione
affettiva fra due persone, ciascuno coincidente con l’interesse
di tali persone di esprimere liberamente le proprie scelte:
Famiglia/ Unione di fatto incestuosa
Famiglia/ Unione di fatto bi-poligamica
Famiglia fondata sul matrimonio religioso con effetti civili
Famiglia fondata sul matrimonio civile
Famiglia di fatto eterosessuale (qualora disciplinata)
Famiglia di fatto omosessuale (qualora disciplinata)
Unione di fatto fondata sul matrimonio religioso quale
manifestazione dell’autonomia dei privati
Unione
di
fatto
eterosessuale-omosessuale
quale
manifestazione dell’autonomia dei privati
Nell’ordinamento italiano vigente, famiglia e/o unione di fatto
incestuosa e bi-poligamica sono figure selezionate e
qualificate come illecito penale e di conseguenza non solo non
possono rientrare in alcuna figura di famiglia ma neppure
rientrano nella disponibilità dei privati quale libera
espressione della propria autonomia. Sicché il conseguente
accertamento di fatti legati a quelle esperienze costituisce
notitia criminis e conduce all’incriminazione penale e
successivamente alla condanna degli autori.
Estranea all’ordinamento giuridico italiano è anche la figura
della unione di fatto fondata esclusivamente sul matrimonio
religioso quale manifestazione dell’autonomia dei privati,
come risulta quando esiste una consacrazione religiosa (da
parte delle confessioni religiose che vi provvedono e che, in
base al proprio ordinamento, sono considerate famiglie vere e
proprie). Si tratta di una prassi spesso legata alla volontà di
non perdere il diritto alla pensione di reversibilità da parte di
uno dei coniugi che è vedovo da precedente matrimonio
riconosciuto con effetti civili.
Nell’ambito della libera disponibilità dei privati – e pertanto
senza che ricorrano i presupposti di un illecito penale –
rientrano anche le unioni di fatto fra persone di sesso diverso
o dello stesso sesso, ma l’ordinamento italiano in prevalenza
non vi collega alcun effetto civile (ad esempio, al fine
dell’espressione del consenso informato quale condizione per
un intervento chirurgico su paziente incapace di intendere e di
volere, ovvero al fine della donazione di un organo); effetti
civili limitati sono invece di volta in volta rinvenibili anche
nella legislazione italiana (ad esempi, in tema di ammissione
alla procreazione medicalmente assistita) senza peraltro che
vengano precisati requisiti di legge per identificare e
distinguere fra unioni fatto stabili e unioni di fatto del tutto
provvisorie.
Le sole figure di aggregazione affettiva fra due persone cui
l’ordinamento conferisce effetti civili sono la famiglia fondata
sul matrimonio civile e la famiglia fondata sul matrimonio
religioso trascritto, qualora celebrato con confessioni con le
quali lo ha concluso un concordato (art. 7 Cost.) ovvero
un’intesa incorporata in una legge (art. 8 Cost.).
Questa rapida ricognizione delle diverse figure assumibili dai
rapporti affettivi di natura familiare ha consentito di
identificare i limiti posti dalla legge dello Stato ma non si può
negare che a ciascuna corrispondano interessi di fatto e che
vi siano forti rivendicazioni sociali per conferire alla sfera oggi
riconosciuta all’autonomia privata alcuni effetti civili. Occorre
del resto osservare che le scelte del legislatore italiano sono
più circoscritte a quelle del legislatore di altri Stati europei
nonché di ordinamenti extraeuropei che riconoscono anche la
famiglia bi-poligamica.
Rispetto ai fini qui rilevanti, il quesito concerne la ripartizione
dei ruoli e delle funzioni nell’ordinamento italiano e negli altri
ordinamenti europei. La selezione e qualificazione giuridica
degli interessi cui conferire tutela è attività che viene
attribuita come propria alla sfera della politica, intesa quale
sede appropriata per la determinazione delle finalità
dell’ordinamento; mentre al diritto viene attribuito il compito
di garantire le opzioni politiche circa la selezione e
qualificazione di quegli stessi interessi.
La funzione della politica consiste dunque nell’esercizio
legittimo del potere di qualificare gli interessi (e i
comportamenti [leciti e illeciti]) e di conferire una
corrispondente tutela di intensità differenziata.
L’esercizio di questo potere, che segue in prevalenza il criterio
maggioritario, avviene attraverso la produzione di norme
giuridiche.
La funzione del diritto consiste nella tutela degli interessi
dopo che siano stati selezionati e qualificati dalla politica,
ossia dopo l’acquisizione del consenso politico maggioritario
su quella determinata soluzione normativa.
In un sistema, come quello italiano/europeo, nel quale le
norme giuridiche sono ordinate secondo un criterio gerarchico
– nel quale cioè le norme hanno un’efficacia differenziata – la
funzione della politica si esercita anche attraverso la scelta
del grado di intensità di tutela da conferire ad alcuni interessi
rispetto ad altri.
Le norme costituzionali conferiscono ad una serie di interessi
la tutela della massima intensità e questi interessi - che,
prima dell’intervento politico-normativo (ossia, della politica
attraverso il diritto), sono meramente di fatto - divengono
interessi, beni o valori costituzionali (e, in applicazione della
rigidità della Costituzione, la loro abrogazione e/o modifica
sono affidate ad un criterio più che maggioritario: requisito
della procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost.).
Altri interessi, tutelati con l’intensità e l’efficacia della legge
ordinaria, divengono interessi giuridicamente rilevanti; ed altri
ancora rimangono interessi di fatto, giuridicamente rilevanti
solo in via potenziale).
Si viene pertanto a configurare una stretta relazione fra il
sistema delle fonti e le rivendicazioni politiche: l’obiettivo di
queste ultime è di ottenere (a) la qualificazione di un interesse
di fatto quale interesse giuridicamente tutelato (livello
minimo) e (b) il conferimento della tutela dotata della
massima intensità, ossia da mero interesse di fatto a diritto
costituzionale o diritto costituzionalmente protetto (livello
massimo).
Il pluralismo è un elemento connotativo ed indefettibile di una
comunità politica organizzata secondo le forme istituzionali
dello Stato liberale.
Il pluralismo come interesse dell’ordinamento elevato a valore
costituzionale garantisce la pluralità di indirizzi politici
alternativi ma tutti necessariamente conformi alle prescrizioni
costituzionali.
In particolare, il pluralismo – quale ad esempio si manifesta
nella competizione elettorale per acquisire la legittimazione
ad esercitare la funzione legislativa – implica una
differenziazione nell’intensità di tutela che ci si propone di
conferire a taluni interessi contrapposti ad altri (ad esempio in
tema di qualificazione di ogni ipotesi di interruzione volontaria
della gravidanza nella sfera dell’illecito penale; ovvero in tema
di qualificazione dell’interesse di fatto delle convivenze more
uxorio, fra persone anche dello stesso sesso, quale interesse
giuridicamente rilevante se non addirittura come bene
costituzionalmente tutelato alla pari della famiglia fondata sul
matrimonio).
La forma di Stato liberale è caratterizzata dal riconoscimento
giuridico costitutivo e costituzionale della legittimità
dell’esistenza di una pluralità di interessi e della legittimità
del loro reciproco conflitto (nell’ambito della sfera del
penalmente lecito); sicché il pluralismo è un elemento
connotativo ed indefettibile di una comunità politica
organizzata secondo le forme istituzionali dello Stato liberale.
In relazione alla configurazione della forma di Stato, la
dialettica politica riveste dunque un ruolo primario ed
essenziale nella scelta dei valori fondanti di una comunità
politica organizzata e nella allocazione dei mezzi necessari
per conseguire le finalità condivise.
La dimensione della politicità è caratterizzata dalla libertà
della scelta dei fini e dei mezzi: la decisione politica che gode
della massima libertà di scelta corrisponde all’esercizio del
potere costituente. In questa occasione, infatti, si selezionano
e si qualificano gli interessi ai quali conferire la massima
intensità di tutela giuridica, collocandone la previsione e la
disciplina nella fonte normativa costituzionale.
Di conseguenza, ogni successiva manifestazione della
politicità attraverso l’esercizio del potere normativo (revisione
costituzionale, funzione legislativa statale e regionale,
funzione regolamentare) si qualifica come potere costituito.
La finalità del diritto consiste nella garanzia della
qualificazione degli interessi già effettuata dalla politica
(minimo: interesse di fatto, massimo: valore costituzionale) e
del corrispondente conferimento di una tutela di intensità
differenziata: per rimanere nell’ambito dell’esempio già
adottato, nell’ordinamento italiano vigente si ha una tutela
nulla in conseguenza del mancato intervento del legislatore
(coppia omosessuale), una tutela intermedia conferita dalla
fonte legislativa ordinaria (unioni di fatto eterosessuali e
diritto ad alcune prestazioni sociali), una tutela massima
conferita dalla fonte costituzionale alla famiglia fondata sul
matrimonio (art. 29 Cost.).
Questa finalità si configura nello Stato di diritto
e si
riconduce alla matrice storica ed ideologica della rivoluzione
francese, in cui si afferma come assolutamente prevalente il
metodo politico di produzione delle norme, ossia l’esercizio
della funzione normativa ad opera di un’assemblea politica
elettiva e rappresentativa, con corrispondente negazione di
ogni altro metodo alternativo.
Il sistema delle fonti dello Stato di diritto che si viene a
configurare corrisponde allo schema ben noto ispirato al
principio di separazione dei poteri.
Nel contesto europeo, peraltro, accanto alla tradizione di
diritto
codificato
di
derivazione
romano-germanistica
dell’Europa continentale, esiste anche, come ben noto, la
tradizione di common law, presso la quale
il metodo
giurisprudenzialedi produzione di norme ha invece un ruolo
molto maggiore, benché anche in quegli ordinamenti, quando
il legislatore interviene, la sua volontà politico-normativa
prevale sul formante giurisprudenziale.
Benché i principi di legalità e dello Stato di diritto, da un lato,
e il principio di rule of law, dall’altro, siano utilizzati l’uno
come la traduzione dell’altro – ad esempio nelle fonti
internazionali – e considerati sinonimi, debbono invece essere
valutati piuttosto e più correttamente come reciproci
equivalenti funzionali. Infatti, nel contesto di common law
britannico, esistono poteri dell’esecutivo (prerogative powers)
fondati esclusivamente su norme di common law e dunque
parte del law of the land, non conferiti, né limitati, né limitati
quanto all’esercizio da fonti di statutory law e pertanto
correttamente applicati dal giudice britannico.
In sintesi:
* Funzione della politica: selezione e qualificazione
(costituzionale = criterio più che maggioritario ovvero
legislativa = criterio maggioritario) degli interessi da tutelare.
* Funzione del diritto: garanzia della selezione e qualificazione
degli interessi operata dalla politica.
* Affermazione del monopolio
produzione delle norme.
del
metodo
politico
di
Fra i concetti essenziali della costruzione dello Stato di
diritto, fondati sul presupposto di una rigorosa separazione fra
la politicità riservata in via esclusiva alla produzione
parlamentare delle leggi e la giuridicità propria delle duen
funzioni applicative delle leggi (la funzione esecutivaamministrativa e la funzione giurisdizionale), ricordiamo:
Stato legale: il principio di preferenza per la legge (riserva di
legge) quale atto normativo di manifestazione della volontà
politica dello Stato (supremazia del Parlamento=sovranità
parlamentare) e Stato di diritto: l’osservanza delle leggi è
sottoposta al controllo giurisdizionale, sia nei rapporti fra
privati sia anche per quanto concerne l’applicazione
amministrativa delle leggi (conformità dell’atto amministrativo
alla legge).
Principio di legalità formale: l’amministrazione e la
giurisdizione non hanno poteri se non quelli conferiti dalla
legge; e Principio di legalità sostanziale: l’amministrazione e
la giurisdizione devono esercitare i poteri in conformità con i
contenuti prescritti dalla legge.
Lo Stato di diritto, anche per ragioni storiche di
contrapposizione con gli assetti di potere e con la
configurazione del sistema giuridico del passato, esprime un
atteggiamento di diffidenza nei confronti del potere esecutivo
(monarchico) ma anche dell’ordine giudiziario: si consideri in
proposito l’art. 73 dello Statuto Albertino, collocato nel
contesto di disciplina dell’Ordine giudiziario, il quale stabiliva
che “l’interpretazione delle leggi, in modo per tutti
obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo”).
In particolare, si sviluppa la concezione del giudice «bocca
della legge»: l’applicazione giurisdizionale del diritto viene
costruita come mero accertamento delle norme, ossia come
attività
esclusivamente
cognitiva
(teoria
cognitiva
dell’interpretazione), nel presupposto che una norma sia
suscettibile di un unico significato oggettivamente accertabile
(tendenzialmente corrispondente alla volontà politica del
legislatore storico, cioè che ha prodotto o posto la norma).
In Francia durante l’epoca rivoluzionaria, si arrivò a vietare ai
giudici di interpretare la legge e si istituì il réferé legislatif,
ossia l’obbligo per il giudice di rivolgersi, in caso di dubbi
sull’interpretazione, ad un consiglio di cassazione, ossia un
organo politico di origine parlamentare, che avrebbe fornito
l’interpretazione esatta con la quale il giudice avrebbe poi
risolto la controversia concreta (in omaggio alla separazione
dei poteri, il consiglio di cassazione non avrebbe potuto
appropriarsi della funzione giurisdizionale e risolvere
direttamente la controversia). Solo in seguito il consiglio di
cassazione si sarebbe trasformato in organo giurisdizionale di
ultima istanza (recepito anche in Italia, dove infatti la Corte di
Cassazione
ha
il
compito
di
garantire
l’uniforme
interpretazione della legge).
Lo Stato di diritto, (non solo) nell’ordinamento italiano, si è
però trasformato nello Stato costituzionale di diritto e questa
trasformazione incide profondamente sulla configurazione che
abbiamo sin qui elaborato.
La Costituzione italiana repubblicana (a differenza dello
Statuto Albertino che era costituzione flessibile, modificabile
con legge ordinaria) è giuridica, lunga, programmatica rigida e
garantita. In particolare, per continuità di ragionamento,
conviene soffermarsi sulla natura lunga e programmatica della
Costituzione repubblicana e sul suo carattere rigido e
garantito.
In ordine al primo profilo, è sufficiente osservare che
all’espansione della politicità (nuovi compiti e aree di
intervento dello Stato) e della giuridicità (prescrittività della
forma di Stato liberale e sociale) non potrebbe non
corrispondere un’analoga espansione della giurisdizione, ossia
dell’intervento del giudice nella risoluzione delle controversie
sorte in applicazione del diritto.
L’affermazione circa la giuridicità della Costituzione (di tutta
la Costituzione) – quanto meno in ragione della idoneità anche
delle norme di natura programmatica a vincolare la
discrezionalità del legislatore ordinario) anche se non sempre
riesce agevole ricavare la fonte di diritti perfetti (azionabili in
giudizio) - rappresenta un punto fermo della storia
costituzionale
repubblicana
ed
è
riconducibile
all’interpretazione della Corte costituzionale.
In ordine al secondo profilo, osserviamo che la rigidità della
Costituzione e la sua garanzia implicano, com’è noto, la
sovraordinazione dell’efficacia della norma costituzionale
sulla norma ordinaria.
Questo rapporto di sovraordinazione sottolinea come la
dimensione della politicità residua – ossia della discrezionalità
politica - del legislatore parlamentare ordinario sia più
ristretta di quella del legislatore costituente: il primo è infatti
vincolato dalla pre-selezione e pre-qualificazione degli
interessi e dal conferimento di una tutela della massima
intensità già disposta da quest’ultimo.
In altre parole, il principio di preferenza per la legge viene
sostituito dal principio di preferenza per la Costituzione; il
principio di legalità formale e sostanziale vincola ora anche la
discrezionalità politica del legislatore;
l’atteggiamento di
diffidenza viene esteso anche nei confronti del Parlamento e
della legge ordinaria (sebbene sia corretto parlare di una
presunzione di conformità costituzionale della legge);
l’istituto della riserva di legge viene integrato dalla riserva di
legge cosiddetta rinforzata (in cui la riserva di legge ha come
obiettivo non solo di escludere o limitare l’intervento
regolamentare del governo ma anche di orientare e
circoscrivere la discrezionalità politica del legislatore
parlamentare (ad esempio, determinati trattamenti sanitari
possono venire resi obbligatori dalla legge (e solo dalla legge)
ma “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana”, art. 32 Cost.); l’istituto della
riserva di legge viene integrato altresì dalla riserva di legge
costituzionale (cfr. articoli 116 e 137 Cost.); anche la legge
viene sottoposta a controllo di legittimità formale e
sostanziale, sia pure attraverso un sistema accentrato (in cui,
cioè, la decisione sulla legittimità costituzionale di una legge
è affidata ad un unico organo) espresso dalla Corte
costituzionale i cui membri, a differenza dei giudici comuni,
non sono scelti attraverso il metodo burocratico (un concorso
pubblico) ma vengono designati con modalità differenziate che
in ogni caso operano in base ad intuitus personae;
la
supremazia della legge viene a cadere insieme alla
supremazia del Parlamento, il cui ruolo viene circoscritto dal
vincolo di conformità formale e sostanziale delle leggi con la
Costituzione, la quale, inoltre, pone altresì il fondamento di
legittimità
della competenza legislativa regionale, del
legislatore comunitario, delle norme internazionali (cfr. articoli
11 e 117 Cost., quest’ultimo nella novella del 2001), del
referendum abrogativo (art. 75 Cost.).
E’ da sottolineare che in tutti gli ordinamenti dell’Europa
continentale, il criterio per la composizione degli organi di
giustizia costituzionale è sempre diverso dal metodo di
reclutamento per concorso pubblico impiegato per la
giurisdizione
comune
e
vede
sempre
almeno
una
partecipazione del potere politico alla selezione dei giudici
costituzionali.
La legge, dunque, non opera più in “regime di monopolio”
esclusivo ma si trova a “competere”con un sistema delle fonti
normative tendenzialmente pluralista ed articolato e con altri
metodi di produzione del diritto, recuperando una dinamica ed
una vitalità che la rivoluzione francese aveva tentato di
sradicare.
Nello Stato di diritto, il principio di separazione dei poteri
richiedeva che l’esercizio della sovranità unitaria si articoli in
tre funzioni distinte.
(i) Funzione legislativa: produzione delle leggi.
(ii) Funzione
leggi
esecutiva e amministrativa: applicazione delle
(iii) Funzione giurisdizionale: applicazione delle leggi
Nello Stato costituzionale di diritto, il principio di separazione
dei poteri richiede che l’esercizio della sovranità unitaria si
articoli in quattro funzioni distinte.
(i) Funzione costituente: produzione della Costituzione
(ii) Funzione legislativa: applicazione della Costituzione
(iii) Funzione
leggi
esecutiva e amministrativa: applicazione delle
(iv) Funzione giurisdizionale: applicazione delle leggi
Lo Stato costituzionale di diritto, ben più dello Stato di diritto,
si propone la giuridicizzazione della politica (sottoposizione
della politica a disciplina giuridica) e la conseguente
giurisdizionalizzazione della politica (sottoposizione della
politica a controllo giurisdizionale) nell’ambito di un quadro
normativo costituzionale che evidentemente vincola anche la
giurisdizione, collocandola in un sistema di checks and
balances (controlli ed equilibri).
Per quanto nello Stato costituzionale di diritto la giurisdizione
abbia assunto un ruolo particolarmente rilevante, occorre
tenere conto di una serie di elementi strutturali dello Stato di
diritto che sono da considerare sempre presenti.
Riprendendo la materia familiare già più volte adottata a titolo
esemplificativo, ricordiamo che la Costituzione italiana
contiene sì un art. 29 (“La Repubblica riconosce i diritti della
famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il
matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità
familiare”) ma contiene anche un art. 2 (“La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili
di solidarietà politica, economica e sociale”), alla stregua del
quale – anche in combinato disposto con il principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. - dovrebbe (o almeno
potrebbe) ritenersi che anche unioni interpersonali affettive
diverse dalla famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio –
che certamente sono formazioni sociali ove si svolge la
personalità dei componenti la coppia) – siano meritevoli di
tutela.
Nell’ordinamento italiano, il giudizio sulla legittimità
costituzionale delle leggi avviene attraverso un ricorso in via
incidentale sollevato da un giudice il quale, dopo una
valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza
della questione, si rivolge alla Corte costituzionale. E’
interessante notare che non è infrequente che il giudice
comune solleciti alla Corte un intervento volto a dichiarare
l’equiparazione (o almeno l’equiparabilità) fra la famiglia
fondata sul matrimonio e la cosiddetta famiglia di fatto. Ma la
Corte ha sempre rifiutato di pervenire a tale risultato (cfr.
ordinanza n. 313 del 2000), benché in qualche caso, sia pure a
sostegno di un altro bene costituzionalmente tutelato, abbia
offerto una tutela indiretta anche a rapporti di fatto (cfr.
sentenza n. 376 del 2000).