2. Politicità e giuridicità nel sistema delle fonti. 2.1 La lezione 1 ci consente di trarre alcune conclusioni che possono essere ridotte a sintesi secondo lo schema seguente: (a) Maggiore complessità del sistema delle fonti del diritto interno in generale e del diritto costituzionale in particolare → (definizione e garanzia giurisdizionale dei diritti fondamentali → forma di Stato [connotazione ideologica delle finalità istituzionali dello Stato e dei diritti dei cittadini] In materia di protezione dei diritti fondamentali si è oramai consolidato un assetto plurale di fonti normative: diritto interno (diritto statale, talvolta diritto regionale) + diritto sovrannazionale ([UE) + diritto internazionale (CEDU). (b) Maggiore complessità dell’operazione intellettiva di individuazione della fonte normativa applicabile al caso concreto da parte dell’interprete → (operazione comprensiva del “paradigma europeo” quale clausola implicita di omogeneizzazione della soluzione normativa). (c) Espansione materiale della produzione normativa → Espansione del contenzioso → Espansione del rilievo anche quantitativo della funzione interpretativa che appartiene ad una pluralità di soggetti tecnicamente capaci ma che in quanto esercitata dal giudice acquisisce l’idoneità ad esprimere l’autorità del giudicato. (d) Conseguenze sul nuovo modo di essere della sovranità (identità) dello Stato quanto alla sua forma (sovranità volontariamente condivisa): ma controtendenza in atto volta a rafforzare non l’omogeneità ma il diritto alla diversità degli Stati (sovranità condivisa ma selettiva laddove sia coinvolta l’identità della comunità politica organizzata: Stato/nazione) (e) Conseguenze sul difficile/difficilissimo rapporto di equilibrio fra istituzioni politiche e istituzioni giurisdizionali. In realtà, la dialettica fra dimensione europea (sovrannazionale e internazionale) e statale (a volte anche regionale ovvero di Stato membro di una federazione, come soprattutto in Belgio e Germania) e fra legislatore politico intergovernativo e formante giurisprudenziale (a sua volta articolato nel dialogo fra giudice sovrannazionale, giudice convenzionale e giudice nazionale) non fa che innestarsi in un contesto dialettico già consolidato. 2.2 Politicità e giuridicità nel sistema delle fonti come chiave di ricostruzione del sistema di tutela dei diritti costituzionali – tra funzione politico-normativa e funzione giurisdizionale nello Stato costituzionale di diritto. La ricostruzione del paradigma europeo e la delimitazione del concetto di diritto costituzionale europeo e transnazionale ha condotto a porre in rilievo il ruolo della giurisprudenza quale fattore di qualificazione dello Stato costituzionale nel diritto, nel quale l’effettività della rigidità della Costituzione – e quindi il suo primato nel sistema delle fonti del diritto – è garantita da un organo di giustizia costituzionale. Tale ruolo – che implica conseguenze tanto sul sistema delle fonti quando sull’individuazione di norme di diritto sostanziale – non è pienamente conforme con i postulati tipici dello Stato di diritto. E non a caso si parla in questo contesto di Stato costituzionale nel diritto come di una formula innovativa rispetto a quella precedente. Proprio su tali innovazioni strutturali occorre dunque svolgere un ragionamento, partendo dalla semplice rilevazione empirica circa l’esistenza – nella società italiana come di ogni altra comunità sociale e politica organizzata unitariamente - di una pluralità di interessi, non tutti e non sempre reciprocamente compatibili o in sintonia, ossia potenzialmente in conflitto. La forma di Stato liberale si fonda sul riconoscimento della legittimità del conflitto fra interessi. In alternativa, altre forme di Stato corrispondono ad un’ipotesi di riconoscimento giuridico di un solo interesse sempre e comunque prevalente: ad esempio, la volontà del monarca (forma di Stato assoluto), l’autorità religiosa (forma di Stato confessionale), l’interesse nazionale (forma di Stato autoritario), l’interesse di una classe sociale (forma di Stato socialista sovietico). Si può ipotizzare in astratto di collocare tutti gli interessi su di un piano di equiordinazione e di valutarli conseguentemente tutti come “interessi di fatto”. Si prenda ad esempio la pluralità di figure di aggregazione affettiva fra due persone, ciascuno coincidente con l’interesse di tali persone di esprimere liberamente le proprie scelte: Famiglia/ Unione di fatto incestuosa Famiglia/ Unione di fatto bi-poligamica Famiglia fondata sul matrimonio religioso con effetti civili Famiglia fondata sul matrimonio civile Famiglia di fatto eterosessuale (qualora disciplinata) Famiglia di fatto omosessuale (qualora disciplinata) Unione di fatto fondata sul matrimonio religioso quale manifestazione dell’autonomia dei privati Unione di fatto eterosessuale-omosessuale quale manifestazione dell’autonomia dei privati Nell’ordinamento italiano vigente, famiglia e/o unione di fatto incestuosa e bi-poligamica sono figure selezionate e qualificate come illecito penale e di conseguenza non solo non possono rientrare in alcuna figura di famiglia ma neppure rientrano nella disponibilità dei privati quale libera espressione della propria autonomia. Sicché il conseguente accertamento di fatti legati a quelle esperienze costituisce notitia criminis e conduce all’incriminazione penale e successivamente alla condanna degli autori. Estranea all’ordinamento giuridico italiano è anche la figura della unione di fatto fondata esclusivamente sul matrimonio religioso quale manifestazione dell’autonomia dei privati, come risulta quando esiste una consacrazione religiosa (da parte delle confessioni religiose che vi provvedono e che, in base al proprio ordinamento, sono considerate famiglie vere e proprie). Si tratta di una prassi spesso legata alla volontà di non perdere il diritto alla pensione di reversibilità da parte di uno dei coniugi che è vedovo da precedente matrimonio riconosciuto con effetti civili. Nell’ambito della libera disponibilità dei privati – e pertanto senza che ricorrano i presupposti di un illecito penale – rientrano anche le unioni di fatto fra persone di sesso diverso o dello stesso sesso, ma l’ordinamento italiano in prevalenza non vi collega alcun effetto civile (ad esempio, al fine dell’espressione del consenso informato quale condizione per un intervento chirurgico su paziente incapace di intendere e di volere, ovvero al fine della donazione di un organo); effetti civili limitati sono invece di volta in volta rinvenibili anche nella legislazione italiana (ad esempi, in tema di ammissione alla procreazione medicalmente assistita) senza peraltro che vengano precisati requisiti di legge per identificare e distinguere fra unioni fatto stabili e unioni di fatto del tutto provvisorie. Le sole figure di aggregazione affettiva fra due persone cui l’ordinamento conferisce effetti civili sono la famiglia fondata sul matrimonio civile e la famiglia fondata sul matrimonio religioso trascritto, qualora celebrato con confessioni con le quali lo ha concluso un concordato (art. 7 Cost.) ovvero un’intesa incorporata in una legge (art. 8 Cost.). Questa rapida ricognizione delle diverse figure assumibili dai rapporti affettivi di natura familiare ha consentito di identificare i limiti posti dalla legge dello Stato ma non si può negare che a ciascuna corrispondano interessi di fatto e che vi siano forti rivendicazioni sociali per conferire alla sfera oggi riconosciuta all’autonomia privata alcuni effetti civili. Occorre del resto osservare che le scelte del legislatore italiano sono più circoscritte a quelle del legislatore di altri Stati europei nonché di ordinamenti extraeuropei che riconoscono anche la famiglia bi-poligamica. Rispetto ai fini qui rilevanti, il quesito concerne la ripartizione dei ruoli e delle funzioni nell’ordinamento italiano e negli altri ordinamenti europei. La selezione e qualificazione giuridica degli interessi cui conferire tutela è attività che viene attribuita come propria alla sfera della politica, intesa quale sede appropriata per la determinazione delle finalità dell’ordinamento; mentre al diritto viene attribuito il compito di garantire le opzioni politiche circa la selezione e qualificazione di quegli stessi interessi. La funzione della politica consiste dunque nell’esercizio legittimo del potere di qualificare gli interessi (e i comportamenti [leciti e illeciti]) e di conferire una corrispondente tutela di intensità differenziata. L’esercizio di questo potere, che segue in prevalenza il criterio maggioritario, avviene attraverso la produzione di norme giuridiche. La funzione del diritto consiste nella tutela degli interessi dopo che siano stati selezionati e qualificati dalla politica, ossia dopo l’acquisizione del consenso politico maggioritario su quella determinata soluzione normativa. In un sistema, come quello italiano/europeo, nel quale le norme giuridiche sono ordinate secondo un criterio gerarchico – nel quale cioè le norme hanno un’efficacia differenziata – la funzione della politica si esercita anche attraverso la scelta del grado di intensità di tutela da conferire ad alcuni interessi rispetto ad altri. Le norme costituzionali conferiscono ad una serie di interessi la tutela della massima intensità e questi interessi - che, prima dell’intervento politico-normativo (ossia, della politica attraverso il diritto), sono meramente di fatto - divengono interessi, beni o valori costituzionali (e, in applicazione della rigidità della Costituzione, la loro abrogazione e/o modifica sono affidate ad un criterio più che maggioritario: requisito della procedura aggravata di cui all’art. 138 Cost.). Altri interessi, tutelati con l’intensità e l’efficacia della legge ordinaria, divengono interessi giuridicamente rilevanti; ed altri ancora rimangono interessi di fatto, giuridicamente rilevanti solo in via potenziale). Si viene pertanto a configurare una stretta relazione fra il sistema delle fonti e le rivendicazioni politiche: l’obiettivo di queste ultime è di ottenere (a) la qualificazione di un interesse di fatto quale interesse giuridicamente tutelato (livello minimo) e (b) il conferimento della tutela dotata della massima intensità, ossia da mero interesse di fatto a diritto costituzionale o diritto costituzionalmente protetto (livello massimo). Il pluralismo è un elemento connotativo ed indefettibile di una comunità politica organizzata secondo le forme istituzionali dello Stato liberale. Il pluralismo come interesse dell’ordinamento elevato a valore costituzionale garantisce la pluralità di indirizzi politici alternativi ma tutti necessariamente conformi alle prescrizioni costituzionali. In particolare, il pluralismo – quale ad esempio si manifesta nella competizione elettorale per acquisire la legittimazione ad esercitare la funzione legislativa – implica una differenziazione nell’intensità di tutela che ci si propone di conferire a taluni interessi contrapposti ad altri (ad esempio in tema di qualificazione di ogni ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza nella sfera dell’illecito penale; ovvero in tema di qualificazione dell’interesse di fatto delle convivenze more uxorio, fra persone anche dello stesso sesso, quale interesse giuridicamente rilevante se non addirittura come bene costituzionalmente tutelato alla pari della famiglia fondata sul matrimonio). La forma di Stato liberale è caratterizzata dal riconoscimento giuridico costitutivo e costituzionale della legittimità dell’esistenza di una pluralità di interessi e della legittimità del loro reciproco conflitto (nell’ambito della sfera del penalmente lecito); sicché il pluralismo è un elemento connotativo ed indefettibile di una comunità politica organizzata secondo le forme istituzionali dello Stato liberale. In relazione alla configurazione della forma di Stato, la dialettica politica riveste dunque un ruolo primario ed essenziale nella scelta dei valori fondanti di una comunità politica organizzata e nella allocazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità condivise. La dimensione della politicità è caratterizzata dalla libertà della scelta dei fini e dei mezzi: la decisione politica che gode della massima libertà di scelta corrisponde all’esercizio del potere costituente. In questa occasione, infatti, si selezionano e si qualificano gli interessi ai quali conferire la massima intensità di tutela giuridica, collocandone la previsione e la disciplina nella fonte normativa costituzionale. Di conseguenza, ogni successiva manifestazione della politicità attraverso l’esercizio del potere normativo (revisione costituzionale, funzione legislativa statale e regionale, funzione regolamentare) si qualifica come potere costituito. La finalità del diritto consiste nella garanzia della qualificazione degli interessi già effettuata dalla politica (minimo: interesse di fatto, massimo: valore costituzionale) e del corrispondente conferimento di una tutela di intensità differenziata: per rimanere nell’ambito dell’esempio già adottato, nell’ordinamento italiano vigente si ha una tutela nulla in conseguenza del mancato intervento del legislatore (coppia omosessuale), una tutela intermedia conferita dalla fonte legislativa ordinaria (unioni di fatto eterosessuali e diritto ad alcune prestazioni sociali), una tutela massima conferita dalla fonte costituzionale alla famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.). Questa finalità si configura nello Stato di diritto e si riconduce alla matrice storica ed ideologica della rivoluzione francese, in cui si afferma come assolutamente prevalente il metodo politico di produzione delle norme, ossia l’esercizio della funzione normativa ad opera di un’assemblea politica elettiva e rappresentativa, con corrispondente negazione di ogni altro metodo alternativo. Il sistema delle fonti dello Stato di diritto che si viene a configurare corrisponde allo schema ben noto ispirato al principio di separazione dei poteri. Nel contesto europeo, peraltro, accanto alla tradizione di diritto codificato di derivazione romano-germanistica dell’Europa continentale, esiste anche, come ben noto, la tradizione di common law, presso la quale il metodo giurisprudenzialedi produzione di norme ha invece un ruolo molto maggiore, benché anche in quegli ordinamenti, quando il legislatore interviene, la sua volontà politico-normativa prevale sul formante giurisprudenziale. Benché i principi di legalità e dello Stato di diritto, da un lato, e il principio di rule of law, dall’altro, siano utilizzati l’uno come la traduzione dell’altro – ad esempio nelle fonti internazionali – e considerati sinonimi, debbono invece essere valutati piuttosto e più correttamente come reciproci equivalenti funzionali. Infatti, nel contesto di common law britannico, esistono poteri dell’esecutivo (prerogative powers) fondati esclusivamente su norme di common law e dunque parte del law of the land, non conferiti, né limitati, né limitati quanto all’esercizio da fonti di statutory law e pertanto correttamente applicati dal giudice britannico. In sintesi: * Funzione della politica: selezione e qualificazione (costituzionale = criterio più che maggioritario ovvero legislativa = criterio maggioritario) degli interessi da tutelare. * Funzione del diritto: garanzia della selezione e qualificazione degli interessi operata dalla politica. * Affermazione del monopolio produzione delle norme. del metodo politico di Fra i concetti essenziali della costruzione dello Stato di diritto, fondati sul presupposto di una rigorosa separazione fra la politicità riservata in via esclusiva alla produzione parlamentare delle leggi e la giuridicità propria delle duen funzioni applicative delle leggi (la funzione esecutivaamministrativa e la funzione giurisdizionale), ricordiamo: Stato legale: il principio di preferenza per la legge (riserva di legge) quale atto normativo di manifestazione della volontà politica dello Stato (supremazia del Parlamento=sovranità parlamentare) e Stato di diritto: l’osservanza delle leggi è sottoposta al controllo giurisdizionale, sia nei rapporti fra privati sia anche per quanto concerne l’applicazione amministrativa delle leggi (conformità dell’atto amministrativo alla legge). Principio di legalità formale: l’amministrazione e la giurisdizione non hanno poteri se non quelli conferiti dalla legge; e Principio di legalità sostanziale: l’amministrazione e la giurisdizione devono esercitare i poteri in conformità con i contenuti prescritti dalla legge. Lo Stato di diritto, anche per ragioni storiche di contrapposizione con gli assetti di potere e con la configurazione del sistema giuridico del passato, esprime un atteggiamento di diffidenza nei confronti del potere esecutivo (monarchico) ma anche dell’ordine giudiziario: si consideri in proposito l’art. 73 dello Statuto Albertino, collocato nel contesto di disciplina dell’Ordine giudiziario, il quale stabiliva che “l’interpretazione delle leggi, in modo per tutti obbligatorio, spetta esclusivamente al potere legislativo”). In particolare, si sviluppa la concezione del giudice «bocca della legge»: l’applicazione giurisdizionale del diritto viene costruita come mero accertamento delle norme, ossia come attività esclusivamente cognitiva (teoria cognitiva dell’interpretazione), nel presupposto che una norma sia suscettibile di un unico significato oggettivamente accertabile (tendenzialmente corrispondente alla volontà politica del legislatore storico, cioè che ha prodotto o posto la norma). In Francia durante l’epoca rivoluzionaria, si arrivò a vietare ai giudici di interpretare la legge e si istituì il réferé legislatif, ossia l’obbligo per il giudice di rivolgersi, in caso di dubbi sull’interpretazione, ad un consiglio di cassazione, ossia un organo politico di origine parlamentare, che avrebbe fornito l’interpretazione esatta con la quale il giudice avrebbe poi risolto la controversia concreta (in omaggio alla separazione dei poteri, il consiglio di cassazione non avrebbe potuto appropriarsi della funzione giurisdizionale e risolvere direttamente la controversia). Solo in seguito il consiglio di cassazione si sarebbe trasformato in organo giurisdizionale di ultima istanza (recepito anche in Italia, dove infatti la Corte di Cassazione ha il compito di garantire l’uniforme interpretazione della legge). Lo Stato di diritto, (non solo) nell’ordinamento italiano, si è però trasformato nello Stato costituzionale di diritto e questa trasformazione incide profondamente sulla configurazione che abbiamo sin qui elaborato. La Costituzione italiana repubblicana (a differenza dello Statuto Albertino che era costituzione flessibile, modificabile con legge ordinaria) è giuridica, lunga, programmatica rigida e garantita. In particolare, per continuità di ragionamento, conviene soffermarsi sulla natura lunga e programmatica della Costituzione repubblicana e sul suo carattere rigido e garantito. In ordine al primo profilo, è sufficiente osservare che all’espansione della politicità (nuovi compiti e aree di intervento dello Stato) e della giuridicità (prescrittività della forma di Stato liberale e sociale) non potrebbe non corrispondere un’analoga espansione della giurisdizione, ossia dell’intervento del giudice nella risoluzione delle controversie sorte in applicazione del diritto. L’affermazione circa la giuridicità della Costituzione (di tutta la Costituzione) – quanto meno in ragione della idoneità anche delle norme di natura programmatica a vincolare la discrezionalità del legislatore ordinario) anche se non sempre riesce agevole ricavare la fonte di diritti perfetti (azionabili in giudizio) - rappresenta un punto fermo della storia costituzionale repubblicana ed è riconducibile all’interpretazione della Corte costituzionale. In ordine al secondo profilo, osserviamo che la rigidità della Costituzione e la sua garanzia implicano, com’è noto, la sovraordinazione dell’efficacia della norma costituzionale sulla norma ordinaria. Questo rapporto di sovraordinazione sottolinea come la dimensione della politicità residua – ossia della discrezionalità politica - del legislatore parlamentare ordinario sia più ristretta di quella del legislatore costituente: il primo è infatti vincolato dalla pre-selezione e pre-qualificazione degli interessi e dal conferimento di una tutela della massima intensità già disposta da quest’ultimo. In altre parole, il principio di preferenza per la legge viene sostituito dal principio di preferenza per la Costituzione; il principio di legalità formale e sostanziale vincola ora anche la discrezionalità politica del legislatore; l’atteggiamento di diffidenza viene esteso anche nei confronti del Parlamento e della legge ordinaria (sebbene sia corretto parlare di una presunzione di conformità costituzionale della legge); l’istituto della riserva di legge viene integrato dalla riserva di legge cosiddetta rinforzata (in cui la riserva di legge ha come obiettivo non solo di escludere o limitare l’intervento regolamentare del governo ma anche di orientare e circoscrivere la discrezionalità politica del legislatore parlamentare (ad esempio, determinati trattamenti sanitari possono venire resi obbligatori dalla legge (e solo dalla legge) ma “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, art. 32 Cost.); l’istituto della riserva di legge viene integrato altresì dalla riserva di legge costituzionale (cfr. articoli 116 e 137 Cost.); anche la legge viene sottoposta a controllo di legittimità formale e sostanziale, sia pure attraverso un sistema accentrato (in cui, cioè, la decisione sulla legittimità costituzionale di una legge è affidata ad un unico organo) espresso dalla Corte costituzionale i cui membri, a differenza dei giudici comuni, non sono scelti attraverso il metodo burocratico (un concorso pubblico) ma vengono designati con modalità differenziate che in ogni caso operano in base ad intuitus personae; la supremazia della legge viene a cadere insieme alla supremazia del Parlamento, il cui ruolo viene circoscritto dal vincolo di conformità formale e sostanziale delle leggi con la Costituzione, la quale, inoltre, pone altresì il fondamento di legittimità della competenza legislativa regionale, del legislatore comunitario, delle norme internazionali (cfr. articoli 11 e 117 Cost., quest’ultimo nella novella del 2001), del referendum abrogativo (art. 75 Cost.). E’ da sottolineare che in tutti gli ordinamenti dell’Europa continentale, il criterio per la composizione degli organi di giustizia costituzionale è sempre diverso dal metodo di reclutamento per concorso pubblico impiegato per la giurisdizione comune e vede sempre almeno una partecipazione del potere politico alla selezione dei giudici costituzionali. La legge, dunque, non opera più in “regime di monopolio” esclusivo ma si trova a “competere”con un sistema delle fonti normative tendenzialmente pluralista ed articolato e con altri metodi di produzione del diritto, recuperando una dinamica ed una vitalità che la rivoluzione francese aveva tentato di sradicare. Nello Stato di diritto, il principio di separazione dei poteri richiedeva che l’esercizio della sovranità unitaria si articoli in tre funzioni distinte. (i) Funzione legislativa: produzione delle leggi. (ii) Funzione leggi esecutiva e amministrativa: applicazione delle (iii) Funzione giurisdizionale: applicazione delle leggi Nello Stato costituzionale di diritto, il principio di separazione dei poteri richiede che l’esercizio della sovranità unitaria si articoli in quattro funzioni distinte. (i) Funzione costituente: produzione della Costituzione (ii) Funzione legislativa: applicazione della Costituzione (iii) Funzione leggi esecutiva e amministrativa: applicazione delle (iv) Funzione giurisdizionale: applicazione delle leggi Lo Stato costituzionale di diritto, ben più dello Stato di diritto, si propone la giuridicizzazione della politica (sottoposizione della politica a disciplina giuridica) e la conseguente giurisdizionalizzazione della politica (sottoposizione della politica a controllo giurisdizionale) nell’ambito di un quadro normativo costituzionale che evidentemente vincola anche la giurisdizione, collocandola in un sistema di checks and balances (controlli ed equilibri). Per quanto nello Stato costituzionale di diritto la giurisdizione abbia assunto un ruolo particolarmente rilevante, occorre tenere conto di una serie di elementi strutturali dello Stato di diritto che sono da considerare sempre presenti. Riprendendo la materia familiare già più volte adottata a titolo esemplificativo, ricordiamo che la Costituzione italiana contiene sì un art. 29 (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”) ma contiene anche un art. 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”), alla stregua del quale – anche in combinato disposto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. - dovrebbe (o almeno potrebbe) ritenersi che anche unioni interpersonali affettive diverse dalla famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio – che certamente sono formazioni sociali ove si svolge la personalità dei componenti la coppia) – siano meritevoli di tutela. Nell’ordinamento italiano, il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi avviene attraverso un ricorso in via incidentale sollevato da un giudice il quale, dopo una valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, si rivolge alla Corte costituzionale. E’ interessante notare che non è infrequente che il giudice comune solleciti alla Corte un intervento volto a dichiarare l’equiparazione (o almeno l’equiparabilità) fra la famiglia fondata sul matrimonio e la cosiddetta famiglia di fatto. Ma la Corte ha sempre rifiutato di pervenire a tale risultato (cfr. ordinanza n. 313 del 2000), benché in qualche caso, sia pure a sostegno di un altro bene costituzionalmente tutelato, abbia offerto una tutela indiretta anche a rapporti di fatto (cfr. sentenza n. 376 del 2000).