Miti antichi e moderne mitologie

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Alessandro Testa
Miti antichi e moderne mitologie
Saggi di storia delle religioni
e storia degli studi sul mondo antico
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–3378–4
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 2010
A mio padre
A mia madre
ὁ σύμπας αἰών
Indice
11 Prefazione
15 parte prima
Hic sunt leones
17 1. Annibale in Italia Meridionale. Una lettura storico–religiosa
1.1. Introduzione annibalica – 1.2. Dopo il Trasimeno – 1.3. Aspetti della
caratterizzazione di Annibale nelle fonti – 1.4. Cartaginesi, Romani, ed
Italioti in Livio e Polibio – 1.5. Hercules, Herakles, Melqart. I motivi di
un’identificazione
63 2. Il mondo in disordine. I prodigi nella terza deca di Livio
83 3. Paganesimo e Neopaganesimo
107 parte seconda
Discorso sul mito. Il mito greco interpretato dagli storici
delle religioni italiani e dagli storici–antropologi francesi
109 1. Introduzione
119 2. due “scuole” a confronto
2.1. La “scuola” storico–religiosa italiana e la “scuola” storico–antropolo-
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Indice
gica francese – 2.2. Angelo Brelich: le forme e la storia – 2.3. Dario Sabbatucci: le strutture e la storia – 2.4. Analisi strutturale e analisi storica nel
pensiero di Claude Lévi–Strauss – 2.5. Jean–Pierre Vernant, storico e antropologo della Grecia antica – 2.6. Il convegno internazionale di Urbino:
il metodo e le tesi di altri studiosi
291 3. momenti interpretativi
3.1. Il “caso Adonis” – 3.2. Dioniso – 3.3. La ricezione del Saggio sul misticismo greco
379 4. Conclusioni
389 Appendice 1. Diagrammi
407 Appendice 2. Un entretien avec Claude Calame
419 Bibliografia
Prefazione
I testi che qui raccolgo sono il frutto delle mie prime ricerche
scientifiche, portate avanti negli ultimi anni della mia formazione
universitaria o nei primi mesi successivi alla Laurea “Specialistica”.
Essi sono stati rivisti, corretti, talvolta radicalmente modificati e
spesso integrati con notizie e dati provenienti dagli studi che nel
frattempo andavo incontrando nel quadro di altre ricerche e, soprattutto, del Dottorato in Antropologia.
Il primo e il secondo saggio sono intimamente legati, sia da un
punto di vista tematico che metodologico. Essi risultano da una
riscrittura della mia tesi di Laurea e compaiono in questa raccolta
principalmente per l’impossibilità, visto il loro volume, a comparire in rivista.
Paganesimo e Neopaganesimo è invece un recente scritto apparso
come postfazione a un libro più “neopagano” che sul Paganesimo (si tratta della traduzione italiana di A History of Pagan Europe).
Questo terzo saggio propone una panoramica sugli studi riguardanti il Neopaganesimo e consimili nuovi movimenti religiosi e
mette inoltre in guardia il lettore dai pericoli insiti nelle letture
religiose della storia delle religioni; costituisce per questo un testo
critico concentrato sulla storicizzazione della categoria di “paganità” tanto nel mondo moderno che nel mondo antico.
Il quarto saggio (l’intera “Parte seconda”) è il più importante per
grandezza, respiro e impostazione teorica. Nonostante presenti una
indubbia coerenza interna ed arrivi a conclusioni che sottoscriverei
anche oggi, a un anno dalla sua prima stesura questo studio avrebbe
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Prefazione
forse potuto trarre beneficio dalle riflessioni nate da alcune nuove
letture che hanno notevolmente allargato il campo delle opzioni
teoriche e interpretative che, implicitamente o meno, sono mobilitate in quelle stesse pagine. Tuttavia, la mole e quella che mi pare
l’intrinseca uniformità di questo lungo studio mi hanno convinto a
evitare ogni sorta di nuovo intervento su di esso.
Giudicherà il lettore sulla bontà delle mie scelte e sugli esiti delle rielaborazioni di questi testi.
Il grande storico francese Pierre Vidal–Naquet scrive, nella prefazione alla sua poderosa raccolta di articoli dedicati alla storia sociale del mondo greco, che «une coutume veut que les savants, quand
vient le temps de la retraite, rassemblent en un ou plusieurs volumes leurs
scripta minora, leurs kleine Schriften»1. L’Autore nota come, lungi
dal considerarli exempla minora, molti studiosi ritengano in realtà
l’articolo o il saggio breve le forme ideali del saggio storico, e dunque le raccolte di saggi come i libri più accattivanti tanto per l’autore che per il lettore: concisione, diversità, densità di contenuti,
leggibilità. Preciso che per lo scrivente non è propriamente giunto
il tempo “de la retraite” e che egli non considera minora questi scritti in primis per la personale e spero condivisibile convinzione del
loro valore scientifico, poi, più grossolanamente, a causa della loro
lunghezza. Ciononostante condivido l’idea che l’inevitabile disomogeneità ed eterogeneità di una raccolta di saggi — quale che sia
la loro lunghezza — costituiscano, tutto sommato, un fattore di
positività piuttosto che una debolezza e ritengo di poterla portare
come uno degli argomenti a favore di questa mia opera. Del resto, non è casuale che nell’introduzione a questa raccolta la prima
citazione sia dedicata ad un autore francese. Mi pare infatti che
la prassi di raccogliere il proprio materiale “disperso”, di difficile
reperibilità o giudicato semplicemente degno di riapparire in volume sia tipica degli studiosi francesi di storia ed antropologia della
seconda metà del XX secolo, studiosi che, tra l’altro, saranno gli
1. P. Vidal–Naquet, Le chasseur noir. Formes de pensée et formes de société dans le monde
grec, Paris 1981, p. 11.
Prefazione
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interlocutori privilegiati nelle pagine a venire. Esemplari sono, al
riguardo, i casi editoriali di Pierre Vidal–Naquet, Jean–Pierre Vernant, Marcel Detienne, Claude Calame e, naturalmente, Claude
Lévi–Strauss, la cui prima raccolta di saggi (Anthropologie structurale) ha, di fatto, sistematizzato un metodo, organizzato una scuola
di pensiero, rivoluzionato il pensiero antropologico contemporaneo. Basterà sfogliare la bibliografia alla fine di questo volume per
rendersi conto di quanto l’espediente del recueil sia diffuso presso
questi studiosi e quanto, d’altronde, esso sia stato praticato non
solo «quand vient le temps de la retraite».
Il richiamarsi a questi grandi nomi per giustificare una personale iniziativa editoriale potrà sembrare velleitario o addirittura arrogante, ma in realtà ciò che mi preme è mettere in luce un aspetto che probabilmente accomuna questi esempi: a mio avviso, una
sottile e, più o meno, manifesta volontà di messa in prospettiva del
proprio pensiero e, sicuramente (ma solo in seconda misura), dei
propri risultati scientifici spinge uno studioso a ordinare, archiviare una parte del proprio materiale, edito o inedito che sia, e a consegnarlo alla storia degli studi. Di solito, ciò avviene in prossimità
di un importante methodological turn, anche se questa non è che
una mia suggestione, e di carattere autobiografico, per giunta. Mi
sembra però chiaro che — per dirla metaforicamente — quando
un cambiamento sopraggiunge a modificare le proprie abitudini
intellettuali e la propria posizione euristica nei confronti di problemi vecchi o nuovi, si è pur costretti a “far le valigie” e a mettersi in
marcia su una nuova strada. Tanto meglio, dunque, farlo in modo
ragionato e nella consapevolezza di conservare in questo modo
una traccia concreta e reperibile del proprio lavoro.
Per avermi sostenuto o per aver contribuito, in vario modo, alla
realizzazione di questi scritti, la mia profonda gratitudine va alla
mia famiglia, ad Anna Maria Gloria Capomacchia e a Paola Pisi,
esemplari relatrici rispettivamente delle mie tesi di Laurea Triennale e Specialistica, tesi entrambe riunite in questa raccolta sotto spoglie diverse dalle originali; a Igor Baglioni per i consigli, ad
Adolfo La Rocca per il prezioso sostegno, ad alcuni miei ex o attua-
14
Prefazione
li colleghi, ai miei preziosi amici più o meno interessati alla storia e
all’antropologia, a Gilberto Mazzoleni, Giordana Charuty, Francesco Faeta. Un ringraziamento particolare rivolgo al professor Jacques Poucet, ad Alessandra Ciattini per aver considerato già alla
prima lettura “degna di pubblicazione” la mia tesi di Specialistica
e a Claude Calame, la cui cortesia mi ha permesso di completare
con successo una parte delle mie ricerche presso il Centre Louis
Gernet di Parigi.
parte prima
Hic sunt leones
1. Annibale in Italia Meridionale
Una lettura storico–religiosa
1.1. Introduzione annibalica
Questa ricerca ha per oggetto tre aspetti specifici della storia
dell’Italia durante la Seconda Guerra Punica: il rapporto instauratosi, all’indomani del passaggio delle Alpi, tra Annibale e le popolazioni italiche e italiote dell’Italia Meridionale e Centro–Meridionale, e
tra queste popolazioni ed Annibale; l’atteggiamento dei Romani nei
confronti dell’inconciliabile diversità che caratterizzava il Cartaginese ed i suoi alleati1; le ragioni che per brevità potremmo definire
“religiose” di tali atteggiamenti e delle relative rappresentazioni.
La bibliografia (che Giovanni Brizzi, studioso italiano di cose
annibaliche tra i più importanti, definisce «di mole assolutamente
spropositata»)2 sulla campagna in Italia del celebre generale cartaginese ha offerto molteplici spunti, anche se l’analisi e l’attenzione sono state focalizzate principalmente sullo studio delle fonti e
delle loro relazioni di significati rilevanti sul piano storico–religioso.
Tra di esse, ricordo sin da ora l’assoluta preminenza dell’opera di
Tito Livio, fondamentale per la storia di Roma tutta e della Seconda Guerra Punica in particolare (a cui l’Autore dedica, lo ricordo,
1. Un atteggiamento di opposizione incolmabile ed irrisolvibile, non solo politica
e militare, ma anche religiosa, come mette bene in evidenza G. Piccaluga nel suo articolo
Fondare Roma, domare Cartagine: un mito delle origini, in Atti del I Congresso internazionale di
studi fenici e punici: Roma, 5–10 novembre 1979, Roma 1983, pp. 409–424.
2.G. Brizzi, Annibale. Come un’autobiografia, Milano 2003, p. 302.
17
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parte prima – Hic sunt leones
un’intera deca). Un ruolo rilevante hanno avuto anche le pagine di
Polibio e di altri annalisti di lingua greca.
Pressoché totale la mancanza di fonti cartaginesi o filocartaginesi, oppure di opere che illustrassero la prospettiva e le motivazioni delle genti che si unirono ad Annibale contro Roma: nulla ci
è pervenuto di autori iberici, galli o italici. Perdute sono invece le
opere (in greco) di Sosilo e Sileno, autori delle res gestae del condottiero africano.
Quanto alla delimitazione spazio–temporale dell’ambito della
trattazione, essa coincide grosso modo con i limiti dell’impresa di
Annibale nella penisola: il secondo conflitto contro Cartagine si
protrasse, con fortune alterne da ambo le parti, per circa diciotto
anni (219–202); di questi, sedici furono spesi da Annibale in Italia,
e tra questi sedici più di quattordici nel Meridione della penisola
(l’avventura italica di Annibale ebbe una struttura singolarmente
graduale; dalle gravi sconfitte romane dei primi tre anni, alle poche e relativamente poco importanti battaglie degli anni 215–212,
alle scaramucce degli anni 211–207, alla quasi completa inattività,
infine, negli anni 206–203). Non verrà presa in considerazione, se
si esclude qualche sporadico cenno, l’area insulare, nonostante abbia avuto un ruolo importante nell’economia del conflitto (anche
nelle altre due guerre contro Cartagine).
Ciò è dovuto al fatto che, malgrado le due isole fossero teatro
di massicce operazioni militari, Annibale non vi portò mai le sue
truppe, e della Sicilia vide forse le sole coste, in lontananza, dalle
spiagge del Bruzio.
Per sedici anni i Romani furono costretti a guardarsi perfino dai
propri alleati, e a sostenere con disperata efficienza i propri apparati politici, militari e religiosi. La storia della guerra annibalica è
la storia, per Romani come per Cartaginesi, di una crisi, anche (e
forse soprattutto) religiosa, dalla quale i primi uscirono prostrati, i secondi, per quanto ne sappiamo, quasi del tutto sconfitti, o
meglio, avviati verso un declino inesorabile. Pochi decenni più
tardi, questo declino venne suggellato dalla damnatio terrae e dalla
scomparsa, non solo geografica e politica, ma anche sacrale, della
civiltà cartaginese.
parte seconda
Discorso sul mito
Il mito greco interpretato
dagli storici delle religioni italiani
e dagli storici–antropologi francesi
1. Introduzione
Questa ricerca si divide in due parti, nella prima vengono analizzate le posizioni dei vari autori in paragrafi di carattere sostanzialmente
monografico, anche se mi preme sottolineare già da ora che in realtà
in essi le varie posizioni sono sempre comparate: non di monologhi si
tratta, ma sempre dell’incontro e del dialogo tra uno studioso con altri
studiosi; non la presentazione di singoli temi scevri dalle loro radici e
dalle loro propaggini, ma riconduzione di un tema (metodologico, epistemologico, “mitico”) nella sua rete di articolazioni ed interrelazioni
con altri temi. In quei paragrafi, oltre alla presentazione dei rispettivi
metodi e ad una storia degli studi sul mito “ragionata”, sono presenti
anche (soprattutto nelle pagine dedicate agli autori italiani) delle riletture, talvolta anche radicali, delle posizioni dei vari studiosi alla luce del
rapporto con i colleghi connazionali o d’oltralpe. Come in ogni esegesi
su maestri che hanno sviluppato (o addirittura fondato) discipline relativamente giovani, il rischio di “abusi” nelle interpretazioni è di fatto attuale, soprattutto se compiuti da chi di quei maestri non ha conosciuto
che i lasciti bibliografici, e che talvolta ha la presunzione di ricostruire
filiazioni intellettuali che potrebbero anche risultare indebite.
La seconda parte dello studio è invece esemplificativa, si cercherà
cioè di chiarire, richiamandosi a tre casi specifici, come i vari procedimenti d’analisi di alcuni tra gli studiosi incontrati nella prima parte siano stati effettivamente e concretamente messi a frutto1, e quali proble
1. La scelta dei temi è stata, ovviamente, alquanto convenzionale. Ho scelto
dei casi in cui le diverse interpretazioni hanno costituito elementi di sostanziale dif109
110 parte seconda – Discorso sul mito
matiche suscitino la mobilitazione dei loro procedimenti d’indagine.
Concludono e completano la ricerca due appendici, la cui importanza
nell’economia dell’intera trattazione spero venga valutata proprio tenendo conto del fatto che esse sono, appunto, appendici.
Spesso si parlerà di “mito” tout court, spesso del più specifico ed attinente — ma di fatto dipendente dal primo, e viceversa — problema del
mito greco. Da questo punto di vista, tuttavia, è bene ricordare che, se la
buona parte degli studi di cui sarà questione nelle prossime pagine è datata2, pure essa costituisce le basi della più moderna “scienza del mito”,
oltre che, a mio personale parere, il punto di partenza per ogni ricerca in
questi ambiti. Infatti, alcuni dei testi su cui si tornerà spesso continuano
a confermare la loro ricchezza anche a distanza di molti anni, e sono
fonte inesauribile di spunti e supporto intellettuale per chi abbordi problemi inattuali ma allo stesso tempo, per la nostra cultura, basilari come
quelli legati al mito. Proprio a causa dell’importanza di alcuni tra i numerosi testi che si incontreranno nelle prossime pagine, il discorso sembrerà, forse, prendere talvolta una piega piuttosto “discorsiva”: spero
che la misura della dissertazione scientifica non ne soffra, anche perché
ritengo che in alcuni casi quello di una certa “libertà” nella lettura delle
fonti e delle opere sia un momento alquanto utile ad un approccio che
ho tentato — giudicherà il lettore con quanto successo — di conservare
quanto più scevro da ogni ipoteca accademica, pur sempre tenendo in
debito conto che, come ogni cosa su questa terra, anche lo studioso
(ed a maggior ragione lo “studente”) è soggetto a influenze specifiche,
suggestioni, apporti più o meno consci che convenzionalmente si definiscono “formazione”, a sua volta soggetta alle “trasformazioni” di ogni
microstoria intellettuale. D’altronde, in discipline come l’antropologia
o la storia delle religioni, lavorare serenamente e senza prevenzioni sulla
ferenza o persino di conflittualità, e quindi terreno di polemica, terreno fertile nei
nostri studi.
2. Ovviamente, non mancheranno riferimenti a dibattiti più attuali. Un recente
intervento di Claude Calame sull’argomento permette di capire dove sta andando oggi la
ricerca legata ai problemi di mitologia (almeno in Francia): «Du muthos des anciens Grecs
au mythe des anthropologues» (in «Europe», nn. 904–905, 2004). Al medesimo proposito si
veda anche infra l’Appendice n. 2.
1. Introduzione 111
metodologia vuol dire prima di tutto fare i conti con la propria “genealogia culturale”, e porsi in modo critico e dialettico nei confronti degli
autori che questa disciplina l’hanno fondata, migliorata, aggiornata.
Lontano dall’essere un mero esercizio compilativo, l’analisi del
modus operandi di quegli studiosi che più hanno contribuito allo
svilupparsi delle nostre scienze sociali e storiche mi sembra rappresentare un obbligato punto di partenza, imprescindibile tappa nella
preparazione umana e scientifica dello studioso. Penso dunque che
il modo corretto di avvicinarsi a questo contributo sia di leggerlo
sotto la luce di un personale dialogo con una parte — forse non
la maggiore, ma di certo, a mio parere, la più importante — degli
studiosi che hanno, tramite i loro scritti ed il loro insegnamento,
contribuito in modo sostanziale alla mia formazione, e nella certezza che ragionare sulle interpretazioni di un mito (anzi del mito,
greco) vuol dire del resto ragionare sul “mito” tout court.
Questo studio è quindi finalizzato alla ricerca di “scarti differenziali” — a voler parafrasare Claude Lévi–Strauss — che sussistono
nella teorizzazione e nell’applicazione dei differenti metodi da parte
dei diversi autori nei riguardi di un unico oggetto di studi, il mito
appunto, dai contorni talvolta alquanto vaghi.
Ho menzionato Lévi–Strauss, e colgo dunque l’occasione per anticipare una delle poche certezze raggiunte in seguito allo studio per il
presente lavoro: come tenterò di fare sistematicamente sia nelle prossime pagine che nel paragrafo a lui dedicato, non si può fare a meno
di sottolineare l’importanza e la presenza di questo studioso e della
sua immensa opera nel pensiero e dunque negli studi della “scuola”
francese e, anche se in misura minore, in quelli della “scuola” italiana.
In particolare, nel caso degli autori francesi, anticipo già da ora che,
se nessuno dei lavori di questi autori «procede direttamente dall’analisi lévi–straussiana dei miti [tranne, forse, il caso del “primo” Marcel
Detienne], tutti più o meno rientrano in quella che si può chiamare
l’analisi strutturalistica [corsivo mio]»3. Ma ogni riferimento a Lévi–
3. M. Detienne, Mito e linguaggio. Da Max Müller à Claude Lévi–Strauss, in M. Detienne (a cura di) Il mito. Guida storica e critica, Roma–Bari 1975, p. 18. Preferirò usare
d’ora in poi la dicitura “analisi strutturale”. Avremo purtroppo altre occasioni per far
112 parte seconda – Discorso sul mito
Strauss, ed a maggior ragione se concernente applicazioni dell’analisi
strutturale in ambiti storici, non può non eludere quello che è stato,
ed in parte è ancora, il “grande dibattito” sullo strutturalismo e sulle prospettive di studio sincroniche e diacroniche. Proprio come nel
caso, comunque non fuor di tema in questa sede, dello strutturalismo, le problematiche risultanti non solo dalla dialettica tra le due
“scuole”, ma anche tra studiosi di medesima formazione, si sono rivelate concernere, sovente, meno posizioni metodologiche stricto senso
che più generalmente epistemologiche. Sulla questione basti per ora
— di questi problemi si parlerà diffusamente nelle pagine di tutto il
primo capitolo — questo riferimento ad un importante studioso, Algirdas Julien Greimas, il quale, proprio negli anni in cui le due “scuole” erano in pieno fermento intellettuale, ed i più importanti studi
venivano pubblicati, con queste poche parole coglieva uno dei nodi
fondamentali relativo alle prassi interpretative ed alla metodologia di
entrambe le scuole, astraendolo dalle posizioni di determinati autori
o dalle applicazioni specifiche nei differenti ambiti di studio4:
Il semble que la relation entre la structure et l’histoire et, du même coup, une
méthodologie commune aux sciences sociales et aux sciences historiques, ne
pourra être définie que si l’on sait répondre de façon satisfaisante, à deux ordres de questions: en quoi consiste le caractère historique des structures sociales? Comment rendre compte des transformations diachroniques qui se situent
entre structures juxtaposées sur une même ligne de succession temporelle5.
Queste parole sono state scritte nel 1966, e da allora molte sono
state le risposte date a questi interrogativi, anche se, sia ben chiaro,
postille alla claudicante traduzione di Giuliana Lanata di questo articolo di Detienne,
scritto in francese ma tradotto e pubblicato, che io sappia, solo in Italia per il succitato
volume edito da Laterza.
4. Gli interlocutori di Greimas furono del resto piuttosto i linguisti francesi, ma
lo spunto che cito resta, a mio avviso, ugualmente valido, soprattutto se si considera
che l’articolo dal quale l’ho tratto fu pubblicato, in un capitolo chiamato “L’histoire et la
comparaison”, subito prima dell’articolo La mythologie comparée. È chiaro che la convergenza delle medesime problematiche, dunque, non sia affatto casuale.
5. A.J. Greimas, Structure et histoire, in Du sens, Paris 1970, p. 109.
3. Momenti interpretativi
3.1. Il “caso Adonis”
Tra le prospettive teoriche delle due scuole e le procedure interpretative applicate dai particolari studiosi, abbiamo visto esserci
state convergenze metodologiche e sinergie, di cui è stato talvolta
possibile render conto delle condizioni, o degli effetti. Tuttavia,
non sempre l’auspicio di una comunione d’intenti (che risulta, ad
esempio, dalle parole entusiastiche pronunciate da Brelich durante
il convegno di Urbino) è valso a neutralizzare le radicali differenze
di fondo, che si sono in particolare manifestate nel caso di diverse
(o addirittura conflittuali) conclusioni scientifiche al riguardo di
un medesimo oggetto di indagine. Il caso delle interpretazioni dei
miti e dei riti di Adone rispettivamente in Marcel Detienne e in
Giulia Piccaluga durante gli anni Settanta, e delle reciproche confutazioni, costituisce un esempio sicuramente calzante, prolifico
e, per alcuni versi, “drammatico”.
Le pagine che seguono hanno dunque come fine quello di
proporre una lettura, in chiave tanto metodologica quanto più
generalmente critica, dei testi che hanno veicolato (e concluso)
una vera e propria polemica scientifica, spesso dai toni decisamente duri.
Due anni dopo la pubblicazione in Francia del libro di Detienne
Les jardins d’Adonis, venne pubblicata su una rinomata rivista italiana di cultura classica una recensione preceduta dalla seguente nota
introduttiva:
291
292 parte seconda – Discorso sul mito
È particolarmente opportuno pubblicare quest’ampia discussione
che Giulia Piccaluga, libera docente di storia delle religioni, svolge
sul libro di Detienne intorno al mito di Adone. Ciò per tre motivi: 1)
perché mostra con quale faciloneria e con quale arbitrio sono state
usate fonti e ricostruite le vicende culturali da certi “studiosi” che si
richiamano allo strutturalismo; 2) perché la dimostrazione potrà riuscire utile a quanti da noi si lanciano sull’ultima moda, senza spirito
critico, per mostrarsi aggiornati (il che non vuol dire che l’aggiornamento sia sempre inutile); 3) perché se è giusto attaccare [sic] lo
strutturalismo svelandone i presupposti culturali o filosofici o ideologici [?], altrettanto giusto è discutere le soluzioni che dà a problemi
singoli: l’efficacia dello strutturalismo non è tanto dovuta alla lucidità e solidità delle sue teorie quanto alla capacità di affrontare una
folla di problemi in vari campi (linguistica, etnologia, antropologia,
storia delle religioni e del folklore, persino, hélas, critica letteraria)1.
Questo intervento di Antonio La Penna apre un lungo, puntiglioso e assai polemico articolo di Piccaluga, che ha come scopo
apertamente dichiarato quello di mostrare le leggerezze, le scorrettezze o addirittura i veri e propri svarioni di uno studioso a suo
parere poco attento o addirittura tendenzioso. La querelle accademica che ne è risultata è stata spesso usata come un vero e proprio
banco di prova (o campo di battaglia…) sul quale sono stati comparati e polemicamente messi in discussione un certo metodo storico–strutturale ed un certo metodo storico–religioso. Sono cinque
(o sei) le principali sedi in cui si articola questa polemica, o meglio
i testi dai quali non si può prescindere per una corretta impostazione dei problemi che solleva: Les jardins d’Adonis di Detienne;
l’articolo di Piccaluga, Adonis, i cacciatori falliti e l’avvento dell’agricoltura2; la di poco successiva recensione di Piccaluga appena citata, aperta dalle suggestioni un po’ confuse di La Penna; la replica
1. G. Piccaluga, Adonis e i profumi di certo strutturalismo, in «Maya», n. 26, 1974,
p. 33.
2. G. Piccaluga, Adonis, i cacciatori falliti e l’avvento dell’agricoltura, in B. Gentili, G.
Paioni (a cura di), Il mito greco. Atti del convegno internazionale (Urbino 7–12 maggio 1973),
Urbino 1977.
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