La mente umana, la mente animale Mind: Essence of

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Gli speciali
La mente umana, la mente animale Mind: Essence of Humanity /4
di Marco Boscolo, 31 ottobre 2011
Disciplina: BIOLOGIA NEUROSCIENZE
Tipo: APPROFONDIMENTO INTERVISTA
Studiare il comportamento degli animali per capire in che modo funziona
il cervello è una strategia di ricerca con una lunga e solida tradizione. Oggi
ci sono neuroscienziati come Giorgio Vallortigara del Center for
Mind/Brain Sciences dell’Università di Trento, che scelgono
accuratamente le specie animali con le quale cimentarsi in laboratorio: si
individuano quelle che hanno caratteristiche simili alle nostre. Quindi è il
caso di concentrarsi sulle galline, una specie «molto visiva» e dallo sviluppo precoce che permette di
studiare il comportamento dei pulcini fin dalla schiusa dell'uovo o quasi.
Studiamo la mente degli animali per capire qual’è la natura della nostra mente o ci sono
altre motivazioni?
Io e il mio gruppo di ricerca siamo interessati a studiare la mente in generale e, in determinate
circostanze, adottiamo dei modelli perché sono particolarmente adatti ad aiutarci a rispondere a certe
domande. Ora ci stiamo interessando all’origine della conoscenza e a cercare di capire con che genere
di sapienza vengono al mondo gli organismi biologici. Questa è una domanda generale – dato che è
possibile che per specie diverse si abbiano risposte diverse – e anche molto complessa in quanto è
complicato fare studi tanto sui piccoli della nostra specie quanto sui piccoli delle altre. Non ci sono
infatti solo problemi di tipo etico ma anche di tipo pratico, dato che bisogna combinare la possibilità di
controllare le esperienze pregresse dei piccoli con la possibilità di effettuare, molto precocemente, dei
test di tipo cognitivo.
Tutto questo è possibile solo nelle specie dette a «sviluppo precoce»: ad esempio alcune specie tra i
volatili o tra i mammiferi. Per i nostri studi serviva non solo una specie a sviluppo precoce ma
caratterizzata anche da una modalità sensoriale visiva molto rilevante. I volatili ci assomigliano molto
perché sono degli animali visivi, tra i più visivi all'interno dei vertebrati. Alcune specie hanno poi
anche la caratteristica di essere molto precoci tanto che, appena nati, se ne possono andare in subito
giro. Hanno quindi determinate necessità, prima tra tutti quella di riconoscere rapidamente i partner
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sociali. Riescono a non perdersi, a trovare i genitori, grazie ad un meccanismo ben conosciuto e reso
noto da Lorenz: l’imprinting filiale. La prima cosa che i piccoli vedono appena usciti dal guscio viene
fissata come immagine materna o in generale come partner sociale dato che non avviene solo sulla
madre ma anche sugli altri pulcini. Noi lo usiamo come una specie di strumento, non siamo interessati
all’aspetto motivazionale, emozionale o all’attaccamento affettivo, lo usiamo come una specie di trucco
per indagare sia la memoria di riconoscimento dell’animale che l’esistenza di predisposizioni ad
«imprintarsi» su certe caratteristiche particolari degli oggetti.
In questa serie di esperimenti che cosa avete fatto praticamente?
Ci siamo quindi chiesti: se l’animale vede degli stimoli in movimento, ed è la prima cosa che vede al
mondo, avrà una preferenza ad «imprintarsi» su stimoli che si muovono in un certo modo? E questo
movimento, costituisce un indizio del loro essere animati? Quando un pulcino esce dall’uovo ci sono
molte cose che si muovono nel mondo ed è probabile che la selezione naturale abbia operato in modo
tale da agire come un filtro, e far si che di tutte le cose che si muovono l’animale presti
tendenzialmente attenzione a certi tipi di movimento, ad esempio quelli della madre o degli altri
partner sociali. Effettivamente questi indizi ci sono, ad esempio ce n’è uno che riguarda le
caratteristiche di movimento semi rigido tipico dei vertebrati, un altro riguarda la semovenza (gli
oggetti animati sono capaci di mettersi in moto da soli mentre gli oggetti inerti si mettono in moto solo
se colpiti da un altro oggetto).
Noi pensiamo che queste caratteristiche siano generali dato che, in alcuni casi, siamo riusciti a
documentare che sono presenti nei piccoli della nostra specie così come sono presenti nei piccoli del
modello animale che abbiamo usato. Strategie simili le utilizziamo per studiare non solo le proprietà
degli oggetti animati ma anche le proprietà generali degli oggetti fisici. Sappiamo che nei piccoli della
nostra specie, come negli adulti, è presente una specie di fisica intuitiva ovvero una conoscenza
generale delle proprietà degli oggetti fisici del mondo che non deriva da un insegnamento formale; è
una specie di pre-fisica che precede la fisica che impariamo a scuola ed è anche molto diversa da
quest’ultima: assomiglia più alla teoria medievale dell’impetus piuttosto che alla fisica newtoniana e
assomiglia un po’ alla fisica da cartone animato. Noi stiamo studiando questo tipo di conoscenze
utilizzando trucchi sperimentali associati all’imprinting; in una serie di esperimenti abbiamo ad
esempio provato a far sì che l’oggetto di imprinting, la mamma, scomparisse dietro schermi inclinati in
modo diverso, facendo in modo che in alcuni casi ci fosse spazio per la mamma e in altri invece no.
Siccome gli oggetti fisici non sono comprimibili e sono impenetrabili, guardando l’inclinazione dello
schermo capiamo subito se c’è o meno spazio per un oggetto ma pensiamo che questa conoscenza
derivi dalla nostra interazione con gli oggetti che ci circondano. I nostri animali invece non avevano
avuto questo tipo di conoscenza, non avevano avuto modo di interagire con gli oggetti ma dalle
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osservazioni è risultato che gli animali hanno comunque questo tipo di conoscenza meccanica. La
nostra idea è quindi che esista una fisica intuitiva di base che riguarda il comportamento grossolano
degli oggetti macroscopici che è già scritta nel cervello ed è il risultato della selezione naturale.
Il video mostra un’esperimento condotto dal gruppo di Giorgio Vallortigara che mette in evidenza il
possesso di una certa «fisica intuitiva» nei pulcini appena nati (Video: Giorgio Vallortigara)
Quindi qualcosa di innato nel cervello…
Sì, è un po’ il pensiero di Kant: l’idea che affinché sia possibile l’acquisizione della conoscenza, bisogna
che certe categorie siano innate, siano a priori. Anche se adesso gli etologi e i neuroscienziati
comparativi sostituiscono l’«a priori» di Kant con l’«a posteriori» filogenetico di Lorenz.
Ritornando alla domanda iniziale ovvero se studiamo la mente degli animali per capire
qualcosa della nostra. Da molti studi è emerso che non c’è molta distanza tra la mente
umana e quella di altri animali come ad esempio i primati. Anche nei vostri studi è così
difficile fare una distinzione netta tra la nostra mente degli altri animali?
Da una parte ci aspettiamo che sia così perché stiamo indagando quelle proprietà generali attraverso le
quali gli organismi acquisiscono la conoscenza; abbiamo indizi per credere che proprietà come la
rappresentazione dello spazio, del tempo, del numero e il riconoscimento degli oggetti animati e non
animati siano diffuse almeno tra tutti i vertebrati. Ed è molto ragionevole pensarlo. Però, su questa
struttura di base, su questo «kit» di strumenti cognitivi basilari, si costruiscono effetti diversi a
seconda delle esperienze vissute o di meccanismi che molto probabilmente sono specie-specifici.
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Conosciamo bene evidenze di circostanze nelle quali specie diverse appaiono cognitivamente molto
diverse in domini specifici. Non necessariamente la specie umana risulta essere alla sommità: ci sono
molti casi particolari in cui molte specie possono presentare una sofisticazione cognitiva anche
maggiore della nostra, limitatamente a singoli aspetti.
Un esempio è quello della memoria spaziale, della memoria dei luoghi. Noi ce la caviamo abbastanza
bene ma non siamo capaci di fare le cose che fanno ad esempio gli uccelli o i mammiferi durante la
raccolta del cibo. Alla fine dell’estate corvi e cornacchie di varie specie raccolgono le provviste e le
nascondono in vari nascondigli che sono dell’ordine delle migliaia. A distanza di vari mesi questi
animali sono capaci di ritrovare i nascondigli con una percentuale di successi molto alta, attorno al 70,
80 e in alcuni casi 90 %. La stessa prestazione, a parità di mezzi, noi non la sapremmo realizzare. Se
porto una persona nel bosco e gli chiedo di nascondere 10 oggetti, a distanza di due mesi, con una
prestazione nella media per un soggetto umano, ne saprebbe ritrovare tre o quattro.
Corvi e cornacchie riescono invece a farlo perché sono dotati di un extra neurologico: si sa che durante
la stagione di formazione della memoria c’è un incremento selettivo nell’ippocampo, che serve
specificatamente a questa funzione. È importante sottolineare che è un’abilità specializzata: non è che
questi animali sono dei geni in generale, sono bravissimi a fare questo e per il resto hanno
comportamenti normali, non notevoli.
Questo però è anche un buon esempio per sottolineare che cosa potrebbe essere speciale nella mente
della nostra specie. Nell’esempio ho sottolineato «a parità di condizioni» ma in realtà noi possiamo
eguagliare le prestazioni del corvo ad esempio facendo una mappa dei vari nascondigli. Non è un
combattimento leale dato che il corvo sta usando solo l’ippocampo mentre l’uomo può usare
l’ippocampo e molti altri strumenti ma la differenza è proprio questa, l’uomo sa usare questi strumenti
mentre il corvo no.
La differenza è quindi data dal fatto che da una parte non abbiamo bisogno di imparare
tutto da zero, abbiamo una specie di patrimonio culturale evolutivo, dall’altra…
Esatto. In un certo senso, se ragioniamo in termini strettamente neurologici, non ci aspettiamo che ci
sia una grande differenza tra il funzionamento basilare e le strutture del cervello di un primate o
dell’uomo o anche tra specie evolutivamente molto distanti tra loro (come una cornacchia e l’uomo).
Ma la differenza con la nostra specie è che il nostro cervello è esteso fuori da noi: gran parte della
nostra sapienza non sta letteralmente nei circuiti cerebrali individuali ma sta fuori: nelle scuole, nelle
biblioteche, nelle istituzioni, nella vita sociale e culturale che la specie umana ha creato e che è stata
possibile solo grazie al linguaggio. Ed è lì che si vede la differenza con le altre specie.
Riferimenti
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1. Giorgio Vallortigara - Cervello di gallina (Bollati Boringhieri) | Link
2. Giorgio Vallortigara - Altre menti (IlMulino) | Link
Tag: conoscenza, imprinting, mente
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