Revisione per errore delle tabelle millesimali condominiali

Revisione per errore delle tabelle
millesimali condominiali
Quesito n. 26
Nel 2010 Tizio acquista un appartamento sito nel condominio dell’edificio di Via
Tuscolana n.5. Nell’atto di acquisto dichiara di accettare anche il regolamento condominiale e le tabelle millesimali ad esso allegate, predisposte dall’unico ed originario costruttore-venditore, così accettate da tutti gli iniziali acquirenti delle singole proprietà immobiliari.
Dopo qualche mese, tuttavia, Tizio si rende conto che le tabelle sono state calcolate sulla base dell’errata indicazione della superficie del suo appartamento, in realtà meno ampio di quanto indicato nelle tabelle.
Tizio, allora, decide di rivolgersi ad un legale per sapere come poter ottenere la
correzione delle tabelle millesimali inficiate da errore, pur avendole espressamente accettate.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga parere motivato.
Svolgimento
Il condominio degli edifici è la figura più importante ed anche più complessa di comunione. La sua particolarità sta nel fatto che il singolo condomino
è al contempo proprietario esclusivo del suo appartamento e comproprietario,
in virtù di una comunione forzosa, di alcune parti dell’edificio (art. 1117 c.c.).
La materia è stata, da ultimo riformata con L. 11-12-2012, n. 220, in vigore dal
18-6-2013.
Il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni è proporzionato al valore
del piano o porzione di piano (ora dell’unità immobiliare) che gli appartiene, se
il titolo non dispone altrimenti (art. 1118, co. 1, c.c.). Tale criterio proporzionale
viene applicato anche per la ripartizione delle spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione di
servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza,
che, difatti, sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore del-
144
Quesito n. 26
la proprietà di ciascuno, salva diversa convenzione (art. 1123 c.c. non riformato).
Tale valore si determina attraverso le cd. tabelle millesimali, che rappresentano
una traduzione in frazioni millesimali del rapporto di valori esistente tra ciascuna
singola proprietà e l’intero edificio del condominio. Esse possono essere più di
una: infatti quando alcune spese riguardano le cose destinate a servire alcuni
condomini, in misura diversa, la ripartizione è proporzionale all’uso.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, resa a Sezioni Unite (Cass.
18477/2010), ha introdotto un’importante modifica nella disciplina relativa all’approvazione e alla revisione delle tabelle millesimali. Tale sentenza, infatti, disattendendo l’orientamento prevalente in base al quale per l’approvazione o la
revisione delle tabelle millesimali era necessario il consenso di tutti i condomini o, in mancanza, un provvedimento del giudice reso su istanza degli interessati in contraddittorio di tutti i condomini, ha affermato che «l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha
natura negoziale; ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con
il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, co. 2, c.c.».
A tali conclusioni la Corte è pervenuta partendo dall’osservazione che la
deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta
dell’obbligo contributivo del condomino, che è nella legge previsto, ma solo
come parametro di quantificazione dell’obbligo determinato in base a una valutazione tecnica, per cui il semplice riconoscimento dell’esattezza delle operazioni di calcolo in quanto compiute in conformità del precetto legislativo, non
può qualificarsi come attività negoziale. Difatti, in base all’art. 68 disp. att. c.c.,
le tabelle servono ai fini di cui agli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136, ossia ai fini
della ripartizione delle spese e del computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede assembleare, per cui non sembra si possa affermare che una determinazione ad opera dell’assemblea possa incidere sul diritto di proprietà del
singolo condomino, ma, tutt’al più, nel caso non rispecchiasse il valore effettivo
di un piano o porzione di piano rispetto all’intero edificio, potrebbe risultare
pregiudizievole per il singolo condomino solo incidendo sulle obbligazioni che
gravano su di lui in funzione di tale diritto e a cui, comunque, è possibile porre
riparo mediante la revisione delle tabelle ex. art. 69 disp. att. c.c. (vedi infra).
Pertanto, se la regola fondamentale del condominio è il principio dell’approvazione a maggioranza, non si vede perché, conclude la Corte, anche le tabelle
millesimali non possono essere approvate secondo tale principio. Da ciò ne
discende, inoltre, che se le tabelle vengono formate o modificate dall’assemblea
con criteri errati, il condomino leso nel suo diritto può impugnare la delibera
davanti all’autorità giudiziaria convenendo solo l’amministratore del condominio e non più tutti i condomini.
Revisione per errore delle tabelle millesimali condominiali
145
In seguito alla riforma, il novellato art. 69 disp. att. dispone invece, ma per
la rettifica o la modifica delle tabelle millesimali, che ciò debba avvenire all’unanimità salvo che nei casi previsti dalla stessa norma (errore, incremento o decremento di superfici).
Organo fondamentale per il funzionamento del condominio è l’assemblea
dei condomini, che è l’organo deliberativo del condominio. Ai fini del suo
corretto funzionamento, la legge fissa alcuni principi.
Secondo il principio della valida costituzione dell’assemblea, l’assemblea dei
condomini, per poter validamente deliberare, deve essere regolarmente costituita: a tal fine tutti i condomini devono essere invitati a parteciparvi e, inoltre, ad
essa deve intervenire un numero minimo di condomini che sia espressione di
un determinato valore dell’intero edificio (quorum).
Secondo il principio maggioritario, invece, per le decisione dell’assemblea
è, di regola, necessaria la maggioranza semplice. Diversamente è richiesta una
maggioranza qualificata per la validità delle deliberazioni aventi ad oggetto innovazioni (art. 1136, co. 5, c.c.). Occorre, inoltre, il consenso di tutti i condomini per gli atti di disposizione.
Infine, la legge sulle locazioni (L. 392/1978) consente all’inquilino la partecipazione ed il voto in sede di assemblea condominiale.
Le delibere dell’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini (art. 1137
c.c.). Possono essere impugnate davanti all’Autorità Giudiziaria entro trenta
giorni dalla data della delibera: a tale proposito, un autorevole orientamento
giurisprudenziale della Corte di Cassazione (Sez. Un. 4806/2005), ha affermato
che «la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporta non la nullità ma l’annullabilità
della delibera condominiale, la quale ove non impugnata nel termine di trenta
giorni previsto dall’art. 1137, co. 3, c.c. (decorrente, per i condomini assenti,
dalla comunicazione, e per i condomini dissenzienti, dalla sua approvazione),
è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio».
Nel caso in esame, dunque, il condomino Tizio si rivolge al suo legale per
sapere come poter ottenere la revisione delle tabelle millesimali che siano
frutto di un errore, anche se da lui accettate nell’atto di acquisto dell’immobile.
A tale proposito bisogna ricordare che l’art. 69, n. 1, disp. att. c.c., nel testo
antecedente la riforma, applicabile al caso in questione, prevedeva che i valori
proporzionali dei vari piani o porzioni di piano potevano essere riveduti o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, quando risultava che erano
conseguenza di un errore.
Sull’ambito di applicazione di tale norma si era espressa la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (6222/97), affermando il principio di diritto secondo cui
l’errore il quale giustifica la revisione delle tabelle millesimali non coincide
146
Quesito n. 26
con l’errore vizio del consenso, disciplinato dagli artt. 1428 ss. c.c., ma consiste
nell’obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, senza che
in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse. Pertanto,
la possibilità di impugnare le tabelle millesimali sotto il profilo dell’errore, chiedendone la revisione in corrispondenza degli effettivi valori delle singole unità
immobiliari, sussiste anche qualora esse siano state predisposte dal venditorecostruttore ed accettate dagli acquirenti delle singole porzioni di piano in sede
di stipula dei contratti di compravendita, cui siano allegate.
A tale conclusione le Sezioni Unite erano giunte rilevando che l’art. 69 disp.
att. c.c. (testo vecchio) considerava l’errore nella determinazione dei valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano non già come causa di annullamento, bensì come causa di revisione delle tabelle.
Dopo la pronuncia di tale sentenza, tuttavia, si sono riproposti, in seno alla
stessa Corte di Cassazione, orientamenti non convergenti.
Secondo un primo orientamento, in conformità alla pronuncia sopra citata, l’errore va identificato anche là dove ci si trovi di fronte a tabelle millesimali allegate ad un regolamento di condominio avente natura contrattuale, nella
obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il
valore proporzionale ad esse attribuite nelle tabelle (Cass. 4421/2001; 4528/2001).
Secondo un altro indirizzo, invece, in caso di tabella cosiddetta contrattuale, l’errore non rileva nella sua oggettività, ma solo in quanto abbia determinato
un vizio del consenso: in tal caso, pertanto, non è esperibile l’azione prevista
dall’art. 69 disp. att. c.c., ma solo l’ordinaria azione di annullamento del contratto, previa allegazione di un vizio della volontà. Tale orientamento si fonda sul
rilievo che i criteri legali sanciti dall’art. 68 disp. att. c.c. per la determinazione
della caratura millesimale dell’edificio condominiale sono sicuramente derogabili dalla volontà di tutti i condomini, perché attengono a diritti dei quali essi
possono liberamente disporre; se, dunque, i condomini nell’esercizio della loro
autonomia privata, stipulano una tabella millesimale diversa da quella che conseguirebbe dall’applicazione degli anzidetti criteri legali, deve ritenersi che tale
diversità essi abbiano voluto, diversità che non costituisce errore emendabile ai
sensi dell’art. 69 disp. att. c.c. (Cass. 2253/2000; 7908/2001).
Una posizione intermedia tra i due opposti orientamenti, invece, è quella
assunta da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (7300/2010) che
ha tenuto conto della concreta volontà manifestata dalle parti in sede di adozione del regolamento che contiene, in allegato, le tabelle millesimali.
Secondo tale pronuncia, dunque, qualora i condomini abbiano in modo
espresso dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp.
Revisione per errore delle tabelle millesimali condominiali
147
att. c.c., dando vita alla «diversa convenzione» di cui all’art. 1123, co. 1, ultima
parte, c.c., in questo caso la dichiarazione di accettazione ha un indubbio valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote
in un certo modo, impedisce di ottenere la revisione ai sensi dell’art. 69 disp.
att. c.c. attribuendo rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore
effettivo delle singole unità immobiliari dell’edificio ed il valore proporzionale
ad esse attribuito nelle tabelle. Opinare diversamente significherebbe, infatti,
condizionare la permanenza degli obblighi contrattuali assunti al mero arbitrio
di ciascuno di essi, ed in tal modo non riconoscere valore alla loro autonomia
negoziale, pur essendo coinvolti soltanto diritti disponibili, e ciò in pieno contrasto con quanto sancito dall’art. 1123, co. 1, c.c., che consente espressamente
deroghe convenzionali ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali.
Questa ipotesi, peraltro, non corrisponde all’id quod plerumque accidit, perché, anche quando la tabella millesimale è approvata in forma contrattuale, in
quanto predisposta dall’unico originario proprietario ed accettata dagli iniziali
acquirenti delle singole unità immobiliari ovvero abbia formato oggetto di accordo da parte di tutti i partecipanti al condominio, con essa i condomini, di
regola, non intendono in alcun modo modificare la portata dei loro rispettivi
diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, ma mirano, invece,
a determinare quantitativamente tale portata: la tabella, cioè, non si pone come
fonte diretta dell’obbligo contributivo dei singoli condomini, che è, invece, previsto dalla legge, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo stesso, determinato in base ad una valutazione tecnica.
In tal caso, dunque, poiché nonostante la forma adottata, conseguente alla
predisposizione della tabella dall’unico originario proprietario ed alla accettazione degli iniziali acquirenti ovvero al raggiungimento di un accordo unanime
da parte di tutti i condomini, la semplice dichiarazione di approvazione non ha
natura negoziale, l’errore che, ai sensi dell’art. 69 disp.att. c.c., giustifica la revisione delle tabelle millesimali non coincide con l’errore vizio del consenso,
disciplinato dagli artt. 1428 e ss. c.c., ma consiste nella obiettiva divergenza tra
il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad
esse attribuito nelle tabelle.
Nel caso in esame, dunque, alla luce di quanto chiarito da tale ultima sentenza della Corte di Cassazione, si deve ritenere che l’approvazione delle tabelle
millesimali da parte dei condomini del Condominio di Via Tuscolana, pur essendo avvenuta contrattualmente con l’accettazione da parte degli iniziali acquirenti delle tabelle predisposte dall’unico originario proprietario, non ha assunto
natura negoziale, non essendo stata prevista nessuna deroga espressa all’adozione dei criteri legali previsti dagli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c. nella determinazione delle quote di partecipazione di ciascun condomino al condominio.
148
Quesito n. 26
Tizio, dunque, può ottenere la revisione delle tabelle secondo il procedimento previsto dall’art. 69 disp. att. c.c. sulla base della mera ed obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esso attribuito nelle tabelle. A tal fine dovrà chiedere all’assemblea dei
condomini che deliberi a maggioranza la revisione delle tabelle stesse o, in
mancanza, agire in via giudiziaria nei confronti dell’amministratore per ottenere una sentenza costitutiva che disponga tale revisione.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
(V. ampliuss SIMONE, Codice Civile Commentato – C1, ed. 2014)
Sul condominio degli edifici in generale:
• art. 1117 c.c.: Natura del condominio.
Sul diritto dei partecipanti sulle cose comuni:
• art. 1118 c.c.: Profili generali.
• art. 68 disp. att. c.c.
Sul criterio di ripartizione delle spese:
• art. 1123 c.c.: Spese: nozione; natura dell’obbligazione dei condomini;
Tabelle millesimali: a) formazione ed approvazione; b) efficacia; c) revisione e modifica; Criteri di ripartizione e deroghe.
• art. 69 disp. att. c.c.
Appalto, responsabilità del committente
e concorso di colpa del danneggiato
Quesito n. 60
L’Autostrade S.p.A. affidava i lavori di costruzione di un’autostrada all’impresa
Zeta, commissionandole, considerate le risapute capacità tecniche ed organizzative di quest’ultima, la direzione dei lavori e la realizzazione del progetto.
L’impresa Zeta, appaltatrice dei lavori di costruzione dell’autostrada, determinava, in corso d’opera, l’ostruzione dei canali di scolo delle acque reflue a protezione di una linea ferroviaria, con la conseguenza che l’acqua piovana, non trovando una via di deflusso, aveva provocato una frana sui binari e l’interruzione del
traffico ferroviario.
Le Ferrovie dello Stato, pertanto, agivano in giudizio per ottenere il risarcimento
dei danni nei confronti della Autostrade S.p.A., appaltante i lavori all’impresa
Zeta.
L’Autostrade S.p.A. eccepiva la corresponsabilità del gestore della rete ferroviaria
per non avere tempestivamente ripristinato i canali di scolo e nel contempo chiamava in causa l’impresa Zeta sottolineando la negligenza nella gestione del cantiere da parte di quest’ultima.
L’impresa Zeta, dal canto suo, eccepiva di aver eseguito i lavori sottoposta ai poteri di direzione e sorveglianza della Autostrade S.p.A. e senza margini di autonomia e discrezionalità, ed in tal senso non poteva ritenersi responsabile di quanto accaduto, sostenendo, inoltre, anch’essa, la tesi della corresponsabilità del gestore della rete ferroviaria.
Il candidato, premessi brevi cenni sul contratto di appalto e sulla responsabilità del
committente, valuti se nel caso in esame possa rinvenirsi una responsabilità della
Autostrade S.p.A. appaltatrice dei lavori.
Una volta valutato l’aspetto di cui sopra, il candidato dopo aver trattato brevemente della struttura dell’illecito civile ^q art. 2043 c.c., e dell’ipotesi del concorso colposo del danneggiato, esamini la possibilità di configurare una corresponsabilità
in capo al gestore della rete ferroviaria.
356
Quesito n. 60
Svolgimento
Il contratto di appalto è il negozio con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio, dietro corrispettivo in denaro (art.
1655 c.c.).
La prestazione di un bene o di un servizio s’intende sempre come risultato il
cui rischio è a carico dell’appaltatore.
L’appaltatore, di norma un imprenditore, deve compiere l’opera direttamente, e con la propria organizzazione, non è di regola ammesso il subappalto a
terzi, a meno che il committente non sia d’accordo. Egli assume i rischi che
incidono sull’opera, durante il corso dell’esecuzione e, quindi, deve compiere
l’opera secondo le modalità convenute, a regola d’arte, nel termine e per il
prezzo pattuito.
Se l’opera è difforme da quanto previsto nel contratto, o se presenta vizi,
infatti, l’appaltatore è tenuto alla garanzia.
Se l’opera è stata accettata, la garanzia ai sensi dall’art. 1667, co. 1, c.c. si limita alle difformità o ai vizi non riconoscibili dal committente o dolosamente
taciuti dall’appaltatore. Negli altri casi la garanzia opererà in modo analogo a
quanto disposto per la vendita: è previsto un termine di decadenza se non vi è
stata denuncia dei vizi entro sessanta giorni dalla scoperta, e un termine di prescrizione breve, di due anni dalla consegna.
Nel caso vi sia stata denuncia, il committente può opporre i vizi per rifiutare
il pagamento, oppure può chiedere che tali vizi vengano eliminati a spese
dell’appaltatore o che il prezzo venga diminuito proporzionalmente, ma se le
difformità o i vizi sono tali da rendere l’opera del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto.
Il committente, nell’ipotesi in cui l’opera sia stata realizzata con cura, dovrà
invece pagare il prezzo pattuito per l’esecuzione e provvedere al collaudo della stessa: nel caso in cui, ricevuto l’invito al collaudo, il committente sia in mora,
l’opera s’intende accettata.
In ogni caso, è sempre ammessa la revisione del prezzo, qualora per effetto
di circostanze imprevedibili si siano verificate variazioni nel costo dei materiali
o della mano d’opera (art. 1664 co. 2, c.c.).
Causa di estinzione del contratto di appalto, oltre quelle tipiche previste per
i contratti in generale, è il recesso da parte del committente; mentre non è considerata causa di scioglimento del contratto in corso di esecuzione, la morte
dell’appaltatore, salvo che la considerazione della persona dell’appaltatore abbia
costituito motivo determinante del contratto e gli eredi non diano affidamento
per la buona esecuzione dell’opera.
Appalto, responsabilità del committente e concorso di colpa del danneggiato
357
Alla luce dei caratteri generali sull’appalto appena esposti, l’appaltatore,
quindi, esplica l’attività contrattualmente prevista in piena autonomia, con
propria organizzazione e a proprio rischio, apprestando i mezzi adatti e
curando le modalità esecutive per il raggiungimento del risultato e ciò implica
anche che, di regola, egli solo debba ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera.
Il committente, tuttavia, può essere corresponsabile eccezionalmente dei
suddetti danni quando si ravvisino, a suo carico, specifiche violazioni del
principio del neminem laedere riconducibili all’art. 2043 c.c. (e tale potrebbe
essere il tralasciare ogni sorveglianza nella fase esecutiva nell’esercizio del potere di cui all’art. 1662 c.c.), ovvero quando l’evento dannoso gli sia addebitabile a titolo di culpa in eligendo per essere stata affidata l’opera ad impresa
che palesemente difettava delle necessarie capacità tecniche ed organizzative
per eseguirla correttamente, o ancora quando l’appaltatore, in base ai patti
contrattuali o nel concreto svolgimento del contratto, sia stato un semplice
esecutore di ordine del committente e privato della sua autonomia a tal
punto da aver agito come «nudus minister» di questi, o infine quando il committente abbia imposto singole e specifiche direttive nella esecuzione del
contratto o abbia concordato con l’appaltatore singole fasi o modalità dell’
appalto (Cass. civ. 7273/2003).
Tale concetto è stato, da ultimo, ribadito da Cass. 538/2012 e Cass. 25-9-2012,
n. 16254, secondo cui l’autonomia con cui vengono eseguiti i lavori determina,
di regola, una responsabilità esclusiva in capo all’appaltatore, a meno che il
committente non si sia ingerito con direttive vincolanti, tali da ridurre l’appaltatore al rango di nudus minister o se ha una culpa in eligendo, avendo affidato
l’opera ad un’impresa assolutamente inidonea.
La configurabilità di una responsabilità in capo al committente, entro i limiti
suddetti, è stata poi ribadita anche dalla Suprema Corte con la pronuncia 10588/2008.
Nel caso in esame è da escludersi una corresponsabilità della Autostrade
S.p.A., non essendo possibile configurare in capo alla stessa né una responsabilità per violazione del principio del neminem laedere in quanto, per esempio,
non può essere rimproverato all’Autostrade S.p.A. il fatto di aver tralasciato ogni
sorveglianza nella fase esecutiva, dato che la verifica nel corso di esecuzione
dell’opera (art. 1662 c.c.) costituisce una mera facoltà della committente; né
possiamo parlare di culpa in eligendo dato che l’opera era stata affidata all’impresa Zeta di «risapute capacità tecniche ed organizzative»; né possiamo affermare che l’Autostrade S.p.A. si sia riservata i poteri di direzione e sorveglianza,
senza margini di autonomia e discrezionalità tecnica per l’appaltatrice Zeta, visto
che a quest’ultima veniva addirittura affidata la direzione dei lavori e la realizzazione del progetto.
358
Quesito n. 60
In realtà, la responsabilità per l’ostruzione dei canali di scolo delle acque
reflue a protezione della linea ferroviaria, che aveva provocato una frana sui
binari e l’interruzione del traffico ferroviario, deve gravare esclusivamente sull’appaltatore a causa della negligente gestione del cantiere e della mancanza
di interventi ripristinatori dello scolo dei canali.
Passiamo ora ad esaminare il secondo aspetto, quello relativo alla struttura
dell’illecito civile ex art. 2043 c.c., e dell’ipotesi del concorso colposo del danneggiato, e della relativa possibilità di configurare una corresponsabilità, nel
caso de quo, in capo al gestore della rete ferroviaria.
L’art. 2043 c.c. dispone che qualunque fatto doloso o colposo che cagioni
ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire
il danno.
La norma costituisce il cardine del sistema della responsabilità extracontrattuale o aquiliana, cioè del principio in virtù del quale la lesione di una
posizione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento obbliga l’autore della
lesione a risarcire le conseguenze negative patrimoniali e, in certi casi, non patrimoniali (art. 2059 c.c.) che sono derivate dalla medesima.
Affinché una condotta comporti l’obbligo di risarcire il danno non è sufficiente la lesione di una situazione soggettiva altrui giuridicamente rilevante, ma
occorre che tale condotta abbia causato un danno. Sul piano strutturale, quindi,
l’illecito civile è costituito da tre elementi: il fatto materiale, l’antigiuridicità e la
colpevolezza.
Il fatto materiale comprende la condotta della persona, che può consistere in un’azione o in un’omissione, e l’evento dannoso, ovvero il verificarsi di
una situazione sfavorevole per il destinatario della condotta lesiva.
Tra la condotta e l’evento deve intercorrere un nesso di causalità, che costituisce il criterio d’imputazione del fatto illecito e la regola operativa per il
successivo accertamento dell’entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto,
che si traducono in danno risarcibile.
L’antigiuridicità è la difformità tra il fatto e l’ordinamento, è l’ingiustizia del
danno.
Il danno è ingiusto quando consiste nella lesione di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela e, quindi, protetta dall’ordinamento con
il divieto del neminem laedere.
L’atto per essere illecito dev’essere, infine, colpevole, ossia dev’essere frutto
di un comportamento riprovato dall’ordinamento, e può consistere sia nella
volontaria trasgressione del dovere giuridico (dolo), sia essere conseguenza
della violazione di una regola di diligenza, cautela o perizia (colpa).
In ordine alla problematica del concorso di colpa della vittima, va ricordato che l’art. 1127 c.c. dispone che «Se il fatto colposo del creditore ha concor-
Appalto, responsabilità del committente e concorso di colpa del danneggiato
359
so a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della
colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate».
Tale regola va inquadrata nell’ambito del rapporto causale ed è espressione
del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello
che ciascuno procura a se stesso (Cass. 3957/1994; 6988/2003).
La colpa, cui fa riferimento l’art. 1227 c.c., va intesa non nel senso di criterio
di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie
un atto illecito di cui all’art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato.
Stante la genericità dell’art. 1227 c.c., la colpa del creditore – danneggiato
sussiste non solo nell’ipotesi di violazione da parte di quest’ultimo di un obbligo giuridico, ma anche nella violazione della norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica (Cass. 584/2001; 6616/2000).
Veniamo ora al caso concreto in esame e passiamo, quindi, a valutare se le
Ferrovie dello Stato potevano aver determinato in via concorsuale l’evento dannoso con una inefficiente manutenzione dei canali di scolo della rete ferrata.
L’obbligo della società ferroviaria di provvedere alla manutenzione della rete
e dell’apparato di protezione può essere fatto valere dai terzi che di quel servizio vengano a fruire in condizioni ridotte o che subiscono un danno a causa di
esse ma non può costituire una esimente a favore proprio di chi ha creato quelle condizioni di ridotta utilizzabilità della rete.
Una volta che il danneggiato abbia offerto la prova del danno e della sua
derivazione causale dall’illecito costituisce onere probatorio del danneggiante dimostrare che il danno sia stato prodotto, pur se in parte, anche dal comportamento del danneggiato (art. 1227 co. 1, c.c.) ovvero che il danno sia stato
ulteriormente aggravato da quest’ultimo (art. 1227 co. 2, c.c.).
Ma evidentemente il comportamento concorsuale non può consistere
nel non aver il danneggiato eliminato le conseguenze del precedente
comportamento lesivo del danneggiante (comportamento produttivo di una
situazione che è all’origine, insieme all’ulteriore comportamento illecito del
danneggiante, del successivo evento dannoso).
Né evidentemente, nei confronti del danneggiante, può valere come fonte di
riduzione della responsabilità la circostanza dell’inerzia del danneggiato a fronte
dell’illegittimo rifiuto o della colpevole omissione del danneggiante di eliminare
le conseguenze lesive del suo precedente comportamento (Cass. civ. 564/2005).
Ne consegue che nel caso de quo, è da escludere una corresponsabilità
del gestore della rete ferroviaria, per non avere tempestivamente ripristinato i
canali di scolo.
360
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
(V. ampliuss SIMONE, Codice Civile Commentato – C1, ed. 2014)
Sull’appalto in generale:
• artt. 1655 c.c. e ss.
Sulla difformità e i vizi dell’opera:
• art. 1667 c.c.
Sull’onerosità o la difficoltà nell’esecuzione:
• art. 1664 c.c.
Sulla verifica in corso di esecuzione dell’opera:
• art. 1662 c.c.
Sulla responsabilità extracontrattuale:
• art. 2043 c.c.
Sul concorso del fatto colposo del creditore-danneggiato:
• art. 1227 c.c.
Quesito n. 60