SINTESI DEL DIBATTITO NEL SEMINARIO DI MILANO Il prof. Siro Lombardini, presidente della Banca Popolare di Novara, ha esaminato soprattutto il fenomeno della globalizzazione finanziaria, a partire dal suo sorgere. Tale fenomeno è ambivalente, a seconda dell’uso che se ne fa: se viene posto al servizio dell’uomo o esclusivamente a profitto di uno sviluppo svincolato dai princìpi della solidarietà, della partecipazione e della sussidiarietà. È avvenuto un cambiamento radicale del mercato finanziario mondiale: crescono i mezzi disponibili (la liquidità) e crescono gli impieghi; si finanziano le multinazionali e altri operatori; sui mercati finanziari si acquistano e si vendono nuovi prodotti, i derivati, che — a differenza delle azioni e delle obbligazioni le quali hanno un riferimento diretto con l’economia reale — esprimono impegni a pagare o diritti di incassare determinate somme al verificarsi di certe situazioni: ad esempio, variazione di tassi d’interesse o di cambi. Al processo di finanziarizzazione è associata una maggiore mobilità dei capitali: esso accentua l’instabilità del sistema finanziario mondiale. Per il prof. Lorenzo Caselli, dell’Università di Genova, il tema della democrazia economica è un’utile chiave per ripensare gli assetti del capitalismo italiano. Nei grandi gruppi privati la formula della proprietà familiare, che controlla e governa con la cooptazione di alcuni grandi manager di fiducia e il beneplacito di talune istituzioni finanziarie, sembra reggere sempre meno. L’opzione a favore della democrazia economica — qualcuno, a proposito dell’azioniariato diffuso, ha parlato di democrazia «azionaria» — può aiutare a fare chiarezza tra proprietà, governo, controllo. Il lavoro e il sindacato possono essere una leva per innescare un discorso incidente in tema di democrazia economica e di partecipazione le più ampie possibili. L’investimento nell’intelligenza, il più possibile distribuita, presuppone da un lato la solidarietà tra uomini e donne, tra generazioni, tra chi ha i soldi e non li investe e chi ha capacità d’iniziativa e, dall’altro, un clima di fiducia: il riferimento d’obbligo è alla concertazione e alla partecipazione. In tal senso occorre fare i conti con la discriminante tra integrati ed esclusi, con riferimento all’impresa, alla città, all’Europa. Secondo mons. Fernando Charrier, vescovo di Alessandria, il pensiero sociale cristiano mira alla difesa dell’essere umano in quanto tale, al di là della condizione di credenti o non credenti. In particolare ha messo evidenza il momento applicativopolitico del pensiero sociale, conseguente al lavoro di analisi e poi di confronto dei risultati con il Magistero. C’è bisogno quindi, con lo stesso coraggio e la stessa convinzione della prima comunità cristiana, di diffondere una cultura nuova su questi temi, per cercare di cambiare la realtà, anche economica e finanziaria. Il prof. Giorgio Campanini, dell’Università di Parma, ha offerto un contributo di riflessione sui rapporti tra democrazia ed economia, soprattutto esaminando la categoria di sviluppo. Nonostante si parli in Occidente da quasi 60 anni di crisi economica, soltanto in un anno il PIL (prodotto interno lordo) è diminuito, e non di molto, all’epoca della crisi petrolifera. Ora lo sviluppo dell’economia continua, ma quelli che sono cambiati sono i luoghi tradizionali dello sviluppo: non è più forse l’Europa, potrebbe non esserlo più l’Italia. Quali potrebbero essere le conseguenze sulla democrazia di un’eventuale stagnazione o di un arretramento dell’economia in Italia? La democrazia è stata stabile in presenza di un continuo sviluppo, ma nel caso contrario quali le conseguenze sulle istituzioni democratiche? Il prof. Renato Balduzzi, presidente del MEIC, a proposito del principio di sussidiarietà, ha notato che esiste un’ambiguità nella discussione. Sul profilo verticale c’è una recente sentenza della Corte Costituzionale in materia di legge obiettivo sulle grandi opere, che utilizza il principio di sussidiarietà in negativo, a svantaggio in qualche modo del livello regionale o locale: si fa qui un utilizzo del principio senza cautela. Ambiguità è presente anche nel profilo orizzontale: c’è nel dibattito, talvolta anche in campo cattolico, un’accentuazione esagerata del profilo difensivo, a scapito del profilo promozionale. Circa le fondazioni, dopo le due sentenze della Corte Costituzionale, rimane ancora qualcosa di incompiuto: per valorizzare la sussidiarietà orizzontale, si è un pochino mortificata quella verticale; inoltre la negazione completa della competenza regionale in questa materia fa sì che sia rimasto incerto il problema dei limiti dell’intervento politico (statale, regionale o locale) nei confronti di questi soggetti. Secondo il prof. Gianni Manzone, dell’Università Lateranense, la Chiesa si pone, fra l’altro, l’interrogativo circa le forme istituzionali che meglio consentano il governo del processo del mercato e la giusta distribuzione dei relativi benefici. La critica della civiltà mercantile elaborata dal punto di vista della coscienza, che è quella propria della missione ecclesiale, permette di elaborare un progetto politico che non sia precipitosamente determinato dall’ottica del mercato, ma risponda alla domanda sulla qualità della vita. Il dott. Edoardo Patriarca, portavoce del Forum permanente del Terzo Settore, ha sottolineato come il mondo del no-profit, aiutato e sostenuto, può diventare un laboratorio per elaborare nuovi paradigmi e nuove prospettive della società civile; questo mondo è in grande evoluzione: nel giro di dieci anni, secondo l’ISTAT, è più che raddoppiato; produce ricchezza: quasi il 3% del PIL, con più di 800.000 occupati e tre milioni di volontari; è un mondo in forte evoluzione, con una presenza molto variegata, che richiede maggiore attenzione da parte di tutti. Ha sottolineato lo sviluppo delle imprese sociali, capaci di produrre beni e rimanere sul mercato, senza «assistenze» esterne, e di interloquire col territorio. Il prof. Pippo Ranci, presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, ha rilevato la tendenza ormai generalizzata verso la liberalizzazione nel settore dei servizi di pubblica utilità (trasporti, energia, telecomunicazione, acqua). Finiscono i monopoli e si tende ad affidare questi servizi al mercato, che si spera concorrenziale. Questo movimento è stato avviato in un contesto di liberismo «thatcheriano» ed è stato abbracciato dall’Unione Europea, in una trasformazione veloce non sempre condivisa e compresa fino in fondo, talvolta realizzata soprattutto per «fare cassa», vendendo aziende, più che per liberalizzare il mercato. Il prof. Ranci ritiene che il fenomeno sia governabile, con il rispetto dei diritti essenziali della comunità, ma questo richiede interventi normativi precisi; quindi la sfida è tutta sul «come» e non sul «se». Ad esempio, come si fa a non permettere che il consumatore possa scegliersi il fornitore oppure a non rispettare la libertà d’impresa? Per costruire il quadro delle regole, accettando la logica del profitto e la complessità del sistema — a differenza di quello monopolistico che è semplice —, alcune regole vanno tolte, per la deregulation, ma altre vanno messe per salvare l’interesse del consumatore. Il prof. Salvatore Rizza, dell’Università di Teramo, si è chiesto: che cosa non deve cambiare nell’economia e nella finanza? L’etica. La variabile etica dell’economia risiede fondamentalmente nello stabilire la tradizionale e perenne gerarchia dell’ordine dei fini e dell’ordine dei mezzi. L’economia appartiene all’ordine dei mezzi: sembra invece prevalere un primato dell’economia in tutti i campi, tale che essa sembra essere diventata un fine, a cui tutto indirizzare e immolare. Inoltre i tentativi di smantellamento e di riduzione del welfare sono una prova del rischio della prosecuzione in una cultura e in una prassi che fa considerare i temi economici e finanziari prioritari su quelli sociali, societari e solidaristici. Il welfare è un indicatore di buona economia e di efficiente finanza. Il prof. Francesco Compagnoni, rettore magnifico dell’Angelicum, ha sottolineato la scoperta della società civile all’interno del mondo cattolico non specialistico italiano, ma insieme ha manifestato il dubbio che tale scoperta possa essere anche una rivalsa rispetto al ruolo svolto prima in politica. Ha poi ricordato i documenti su Etica e finanza e su Etica e finanza internazionale pubblicati dall’Ufficio CEI per la pastorale sociale e del lavoro, che rimangono ancora attuali. Il prof. Luigi Fusco Girard, dell’Università di Napoli, ha ripreso il tema ambientale, a cui aveva accennato il prof. Bazoli. Parlare dell’uguaglianza come superamento delle disuguaglianze significa affrontare il nodo spaziale-territoriale, perché nello spazio concreto si può ricostruire. C’è un documento dell’Unione Europea del 1999 nel quale viene posto in rilievo anche un altro elemento tipico della cultura europea: la sostenibilità dello sviluppo, la quale ha un connotato etico intenso. Nella riflessione economica fattori produttivi sono stati considerati tradizionalmente il capitale e il lavoro, raramente la natura, mai l’energia. La sfida della sostenibilità, una sfida anche tecnologica, è quella di riuscire a dare di più a molti sottraendo di meno alla natura. Il prof. Giuliano Petrovich, dell’Università di Venezia, ha posto due domande: come eviterà l’Unione Europea il pericolo di diventare una grande «Svizzera», bel Paese, ordinato, pulito, un continente vecchio proiettato alla difesa del benessere acquisito più che alla produzione di nuova ricchezza. «Di recente il prof. Livi Bacci ha calcolato che l’Europa geografica, dall’Atlantico agli Urali, nel 1913 aveva un terzo della popolazione mondiale, il 40% se consideriamo gli europei emigrati nelle Americhe; al 2050 la popolazione dell’Europa geografica sarà l’8-10%, o il 15% comprendendo gli europei nelle Americhe. Nel 1913 il PIL (prodotto interno lordo) europeo era più della metà del PIL mondiale; considerando anche le Americhe era il 75%. Sarà il 20% nel 2050; considerando le Americhe il 40%». C’è spazio allora per un nuovo Rinascimento? Seconda domanda: controllo delle risorse, ambiente, non c’è un pericolo di ritorno agli imperi che controllano le risorse, a un sistema di dominio fondato sulla forza? Il prof. Angelo Ferro, dell’Università di Verona, ha comunicato che nel 2002 l’Uniapac (l’organizzazione mondiale degli imprenditori e dirigenti cattolici), durante il Convegno di Buenos Aires, ha proposto la creazione di un network, nel quale ogni partecipante, alla luce della propria ispirazione cristiana, si impegna automaticamente ad applicare nei confronti dei propri fornitori, del mercato e all’interno delle imprese standard precisi in tema di lavoro e di ambiente. A sua volta, nel Veneto l’Ucid sta stendendo un rapporto, che è legato al nome di Imprenditori per il bene comune; esso prevede un decalogo di aree: lotta allo sfruttamento esercitato attraverso l’usura, integrazione degli immigrati, anziano come risorsa e così via. Il prof. Ferruccio Marzano, dell’Università «La Sapienza» di Roma, ha ricordato come la finanza sia una componente dell’economia: essa si occupa della intermediazione dei flussi monetari e finanziari che consentono il trasferimento di risorse da un settore all’altro (questo è il ruolo della finanza che sostiene gli investimenti) e della intermediazione nella commercializzazione e nella utilizzazione dei beni (questo è il ruolo della moneta). Egli ha sottolineato la distinzione tra etiche interne, deontologiche, degli affari trasparenti, nell’attività finanziaria ed etiche esterne ad essa, cioè l’etica tout court, e la necessità di entrambe. Il dott. Paolo Ciocca, direttore dell’Ufficio Relazioni Internazionali nel Dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell’Economia, ha messo in evidenza la necessità di guardare all’Italia dalla prospettiva dell’Unione Europea: non c’è Europa senza Italia e viceversa. Circa il mercato e le Autorità indipendenti di controllo ritiene che all’elenco fatto dal prof. Ranci in proposito si possono aggiungere la trasparenza, la certezza delle regole, la necessità di abituarsi a gestire meglio questi strumenti. Infine, a proposito del sistema fiscale, ha richiamato l’esigenza di ripensare l’equità fiscale sia nella sua funzione di redistribuzione, sia nell’attuazione della progressività, oggi non tenute sempre nel debito conto. In proposito non va dimenticato che la diminuzione assoluta del carico fiscale comporta tagli drastici nelle politiche di welfare. Per il prof. Oscar Garavello, dell’Università statale di Milano, insieme alla globalizzazione, vanno considerati altri due processi altrettanto importanti: la regionalizzazione e la multipolarità. Oggi le regioni sono un insieme di Stati che comprendono significative porzioni di popolazione, con redditi forti, investimenti forti, risorse naturali estese. Si tratta, ad esempio, dell’Unione Europea, che comprende 15 Paesi, a cui presto se ne aggiungeranno altri 10, ma alla quale fanno capo anche 77 Paesi di Africa, Caraibi e Pacifico, Paesi strutturalmente deboli che costituiscono uno dei veri problemi dell’economia mondiale; e poi 12 Paesi del Mediterraneo (Marocco, Algeria, Libano e così via) con problemi altrettanto gravi. Gli scambi commerciali avvengono soprattutto a questo livello regionale. Ma i problemi sono gravi, perché è cambiata la struttura geopolitica del mondo: prima monopolare, oggi almeno tripolare (Stati Uniti, UE, Giappone) e tendenzialmente multipolare, e quindi con bassa capacità di risolvere i problemi esistenti, ad esempio, in campo monetario. Il dott. Pietro Lacorte, del Meic di Brindisi, ha richiamato l’attenzione sulla realtà del Meridione, nel quale non cambia l’economia, non cambia la finanza, non ci sono nuovi scenari e nuovi poteri, ma ci sono vecchi scenari e vecchi poteri. Ad esempio, in occasione del blackout elettrico a livello nazionale, Brindisi, con una centrale di 4.000 megawatt che produce energia per mezza Italia, è stata l’ultima località nella quale è avvenuto il ripristino della distribuzione dell’energia elettrica. Perciò ha ripetuto la denuncia sull’abbandono del Mezzogiorno da parte delle autorità centrali e lo sforzo di volontà che si è costretti a fare per non cedere alla tentazione di abbandonare il Sud e trasferirsi al Nord, in cerca di una qualità della vita sufficiente. Gianfranco Camponuovo, della pastorale sociale della diocesi di Bergamo, ha rilevato che un modo per affrontare i problemi sollevati dalla globalizzazione è l’impegno per la pace: in tal senso un’occasione privilegiata è stato l’anniversario della pubblicazione dell’enciclica Pacem in terris. In Italia poi la sussidiarietà verticale rimane ancora in alto mare. Sergio Slavazza, della rivista «Valori», mensile di economia sociale e finanza etica, si è interrogato e ha interrogato il Comitato delle Settimane Sociali sul ruolo che, nell’ambito dei cambiamenti dell’economia e della finanza, possono assumere la finanza etica, il commercio equo, le reti informali di economia solidale, i quali hanno già raggiunto un certo livello di maturità. Ha poi sottolineato il problema del mito dello sviluppo. Un PIL alto e in crescita infatti può essere presente in una società ad alta densità di criminalità, che richiede un esteso servizio di polizia, produzione di armi, elementi che fanno innalzare il PIL, ma forse non sono segni di vero benessere, mentre altre società, che sviluppano grandi reti di solidarietà, le quali non sono misurate dal PIL, vivono un benessere autentico: quindi il PIL va integrato da altri elementi come indicatore di benessere. Vittorio Villa, esponente delle ACLI, ha posto in evidenza come aumentino le situazioni di ingiustizia e di emarginazione; crescono perciò le preoccupazioni per la democrazia. Va perciò favorita la formazione culturale e utilizzati tutti gli spazi di partecipazione, con il coinvolgimento dei movimenti e delle organizzazioni esistenti. Il dott. Stefano Gaeta, esponente del Rinnovamento nello Spirito, ha esaminato il divario della conoscenza tra i popoli, che è in aumento, ad esempio, nelle tecnologie informatiche: esso non potrà che alimentare ulteriori forme di schiavitù, mentre la conoscenza è uno dei fondamenti della democrazia. Connesso a tale aspetto è il problema della proprietà intellettuale: quale deve essere il punto di equilibrio tra la condivisione della conoscenza e la privatizzazione della conoscenza (esempio ne sono, fra gli altri, il caso del genoma umano o la brevettibilità del software)? Infine ha sottolineato i limiti della concorrenza esistenti nella formazione. Riccardo Milano, di Banca Popolare Etica, circa il titolo del Seminario: «Come stanno cambiando l’economia e la finanza?» ha osservato che economia e finanza possono essere considerati, anziché come soggetti, complementi oggetto, e quindi può essere intesa così: c’è qualcuno che sta cambiando l’economia e la finanza? Oppure cambia tutto affinché non cambi niente? Allora – ha aggiunto – arriverà il giorno in cui economia e antropologia potranno andare a braccetto? Il prof. Franco Garelli, dell’Università di Torino, segretario del Comitato scientifico organizzatore delle Settimane Sociali, ha concluso il Seminario, dando una valutazione molto positiva dei lavori svolti. Un primo elemento rilevato è la necessità di entrare nel merito dei problemi: il crinale oggi percorso è la domanda sullo specifico dei cattolici nei confronti dell’economia e della finanza. Un secondo elemento riguarda l’attenzione da rivolgere alle esperienze presenti all’interno del mondo cattolico, anche da un punto di vista culturale, e il raccordo da operare con le realtà di base. Un terzo elemento tocca il superamento del semplice impegno nella società civile per assumere ruoli anche istituzionali nell’economia, nella finanza, nella politica e così via.