Donne e uomini non più incolori
Il dono della luce di Natale
«Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». Sembra
che Simone Martini abbia intinto i pennelli direttamente dentro questa frase
di Giovanni per dipingere la sua Annunciazione. L’ Avvento comincia con il
Concepimento, come sa ogni madre, la cui vita si converte tutta in attesa del
piccolo in ogni dettaglio: dal corpo all’ ultimo dei pensieri. Tutto è colorato
dalla luce della nascita.
Ma come si fa a dipingere la luce? E in particolare quella che illumina ogni
uomo? Così come ha fatto Simone Martini. L’ angelo sembra tessuto nella
luce e ne ha la leggerezza diafana. Il suo messaggio è immerso nell’ oro
bizantino di un evento che, pur collocato nel tempo, avviene per "tutto" il
tempo. Dio entra nella storia illuminandola, ma passa sempre dal singolo
uomo, ogni uomo. In questo caso ad essere illuminata è una ragazza. Rispetto
al resto del quadro lei non è intessuta di luce, ma di colore. Il blu e il rosso, la
sua regalità e umanità, la avvolgono elegantemente nel gesto di donna
sorpresa dalla seduzione divina.
Ma è il colore che spicca in tutta questa luce. Il colore è proprio il vessillo
dell’ uomo nella storia. Il divino è luce, l’ uomo è colore. Gli antichi, di cui
conosciamo le statue bianche, in realtà le coloravano o le ricoprivano d’ oro.
Il marchio dell’ umano è il colore. Ma senza luce, il colore di ogni uomo,
rimarrebbe nelle tenebre, spento, inutile, nessuna gioia per l’ occhio. La
piena di grazia è in questo quadro la piena di colore, perché piena di luce. Il
contrario dell’ uomo illuminato dalla luce vera è l’ uomo incolore.
Il colore è ciò che l’ uomo ha da aggiungere all’ affresco della storia, ma
senza la luce i colori della storia sono vani: svaniscono. Dio non vuole
uomini di luce, non sarebbero umani (per quello ci sono gli angeli), ma vuole
uomini dai colori pieni, intensi, delicati, sfumati, di tutti i tipi che l’ umana
varietà può concepire. Tutti quei colori illuminati da quella luce acquistano
nuova leggerezza, diventano diafani come la luce, pur mantenendo la loro
corposità e unicità.
È la paradossale coloritura dei santi, corposa e diafana al tempo stesso:
«Nessuno prende la realtà sul serio come il santo» (R. Guardini). Per questo i
primi cristiani indicavano i battezzati come neophotistoi (i neo-illuminati) e
si chiamavano tra loro "santi", perché l’ evento della luce aveva reso pieni i
loro colori: ciò era accaduto una volta per tutte con l’ incarnazione di Dio in
un uomo e poteva accadere ogni giorno, unendosi a quell’ uomo-Dio.
San Bonaventura nei suoi discorsi sull’ Avvento spiegava che chi si lascia
conquistare dalla luce di Dio «deve alzare il capo rivolgendo verso l’ alto i
suoi pensieri. Deve alzare i suoi occhi a percepire tutte le dimensioni della
realtà. Deve alzare il cuore disponendo i suoi affetti per il sommo amore e
per tutti i suoi riflessi nel mondo. Deve muovere le sue mani nel lavoro».
C’ è un’ intera antropologia messa in moto dalla luce del Natale che va dai
pensieri al cuore, dagli occhi alle mani. La luce mette i colori in movimento e
illumina una vita piena (di grazia).
L’ Avvento è l’ occasione per lasciare che i nostri colori ritrovino vigore
grazie alla luce che forse abbiamo trascurato, scivolando in un agnosticismo
di fatto: Dio c’ è, ma con me, adesso, con la mia vita, oggi, con le mie mani,
in questa ora, non c’ entra niente. Così il nostro quotidiano precipita in
accidia o attivismo (due facce della stessa assenza di luce vera) incolori.
Incolori diventano le chiese in cui non c’ è un tempo per le confessioni,
incolori le prediche senza Cristo, incolori i rapporti con i colleghi di lavoro e
gli amici, incolori le parole, incolore il lavoro, incolori le giornate ripetitive,
incolori i fine settimana tanto attesi... Incolore: buio, noia, tristezza.
I colori nei dipinti medioevali come quello di Simone si ottenevano dall’ uso
di minerali veri: foglie d’ oro per lo sfondo e i ricami, costosi lapislazzuli per
il blu ad indicare la più alta nobiltà dovuta all’ intervento "celeste", le
preziose lacche cremisi simboleggianti, a contatto con il corpo, l’ umano
abbracciato nella sua pienezza. Per dare colore alla luce non si badava a
spese.
Per la realizzazione piena del proprio essere, c’ è bisogno della luce divina, e
la luce divina rende luminoso tutto il nostro essere messo a disposizione,
costi quel che costi, in un gioco di andata e ritorno in cui divino e umano si
intrecciano pur rimanendo separati, proprio come luce e colori. Se la nostra
vita perde colore, forse è solo perché, a differenza della ragazza nel quadro
con un dito ancora nel libro per non perdere il segno, abbiamo smesso di
pregare, cioè di dare la possibilità alla luce di raggiungere proprio noi.
Proprio i nostri colori.
Alessandro D'Avenia
(articolo tratto da www.avvenire.it)
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