L`industria del tessile abbigliamento

L’industria del tessile abbigliamento
Cia Diffusione
Gennaio 2009
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PREFAZIONE
Il presente lavoro è il risultato delle ricerche e delle discussioni del gruppo
di lavoro di Cia diffusione, costituito da docenti universitari, professionisti
e amministratori dell’azienda. Le parti più tecniche sono rielaborazioni di
importanti contributi scientifici e di settore, in particolar modo dei lavori di
Ricchetti-Cietta (2006) e del rapporto della Camera di Commercio di Prato (2007). L’intento è quello di fornire un valore aggiunto alle conoscenze
d’impresa del quale possano beneficiare tutte le aziende che hanno rapporti
commerciali con Cia diffusione.
Cia diffusione ha già da tempo avviato un progetto di investimento in
ricerche avanzate e studi di settore, che hanno prodotto una prima importante pubblicazione dal titolo ‘Homo Economicus? Dinamiche imprenditoriali in laboratorio - ed. Il Mulino (2008)’ , curata da un gruppo di ricerca
dell’Università di Viterbo, diretto dal Professor Giuseppe Garofalo. Questo
lavoro è da intendersi come una continuazione delle ricerche fino ad ora
effettuate e vuole essere stimolo per tutte le imprese che costituiscono la
rete di rapporti commerciali di Cia diffusione, con la speranza che si possa
arrivare ad una integrazione di tale rete sempre più forte e solida. Come
emerge dalla ricerca, infatti, questa sembra essere l’unica strategia in grado
di garantire la sopravvivenza del settore tessile-abbigliamento italiano alla luce della crescente concorrenza di imprese estere che basano le proprie
strategie di mercato su una assoluta integrazione verticale della filiera risolvendo, in questo modo, tutti i problemi tipici della filiera non integrata
quali la doppia marginalizzazione (prezzi alti) e il free-riding nella fornitura
di servizi.
Indice
1 Caratteri generali
1.1 Le specificità e i fattori di rischio . . . . . . . . . . . . . .
1.1.1 Cenni storico-evolutivi . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1.2 La natura del prodotto . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Il rischio di predite nell’industria della moda . . . . . . .
1.2.1 Il rischio di previsione . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2.2 Il rischio di progettazione . . . . . . . . . . . . . .
1.2.3 Il rischio di comunicazione . . . . . . . . . . . . . .
1.3 La situazione in Italia: dalla crisi alle strategie di rilancio
1.3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.3.2 La crisi del modello distrettuale . . . . . . . . . . .
1.3.3 L’adeguamento veloce dell’offerta alla domanda . .
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2 Il carattere strategico del controllo della filiera
2.1 La filiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1.1 Il meccano tessile . . . . . . . . . . . . . .
2.2 L’evoluzione del concetto di filiera . . . . . . . .
2.3 L’offerta di servizi per la distribuzione . . . . . .
2.4 L’importanza della filiera integrata . . . . . . . .
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3 Studio di casi
3.1 Introduzione . . . . . . . .
3.2 Il ’modello’ Zara . . . . .
3.3 CIA diffusione . . . . . .
3.4 Considerazioni conclusive
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4 I vantaggi della filiera integrata
4.1 La doppia marginalizzazione . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Profitti senza integrazione della filiera . . . . .
4.1.2 Profitti con integrazione della filiera . . . . . .
4.2 Il fenomeno del free-riding . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2.1 Un modello di fornitura subottimale dei servizi
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Capitolo 1
Caratteri generali
1.1
1.1.1
Le specificità e i fattori di rischio
Cenni storico-evolutivi
Nei primi anni Settanta, all’inizio dell’ingresso dei concorrenti asiatici nell’arena dei mercati internazionali, era diffusa la previsione della migrazione
dell’industria tessile e dell’abbigliamento verso i Paesi a basso costo del lavoro. Questa tesi ha trovato solo parzialmente conferma nei fatti. Tra gli
anni Settanta e Ottanta tale migrazione è stata infatti frenata dallo sviluppo di una nuova classe di prodotti, i prodotti a elevato contenuto moda. In
breve tempo, settori importanti dell’industria tessile e dell’abbigliamento in
Europa e negli Stati Uniti si sono trasformati in industria della moda, con
rilevanti conseguenze sui comportamenti delle imprese, l’organizzazione e la
struttura dei mercati.
Altri fattori, comunque, hanno contribuito al cambiamento dell’industria
tessile. Tra questi i principali sono: il sistema di regolamentazione degli
scambi internazionali e l’innovazione tecnologica del macchinario tessile.
La regolamentazione del commercio internazionale ha avuto il suo momento
cruciale nel 1974, quando oltre 40 paesi negoziarono un accordo multilaterale, l’Accordo Multifibre, ponendo fine a una serie di misure bilaterali
di protezione volute dai Paesi di prima industrializzazione in violazione dei
principi del GATT, per opporsi all’aggressività dei produttori asiatici. L’elemento di maggior peso dell’Accordo Multifibre, rimasto in vigore fino al 2005
sotto la sigla di ATC, è stato l’istituzione di un sistema di contingenti quantitativi alle esportazioni dei prodotti tessili e dell’abbigliamento dei paesi
emergenti verso l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone. Intento principale
dell’Accordo Multifibre è stato quello di consentire ai Paesi di più vecchia
industrializzazione un’uscita ordinata, graduale e senza traumi dall’industria tessile. Questo cambio strutturale è effettivamente avvenuto in alcuni
Paesi, portando alla scomparsa o a una drastica riduzione nella presenza
del settore tessile e dell’abbigliamento; in altri, come ad esempio l’Italia, ha
3
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
4
invece avuto l’effetto di trasformare con un vero e proprio salto di qualità
parte dell’industria tessile e abbigliamento in industria della moda.
Negli anni Settanta lo sviluppo tecnologico dei sistemi di produzione è stato
particolarmente intenso, soprattutto nel campo della filatura e della tessitura. Si è aperto, in quel decennio, una nuova stagione di modernizzazione
del settore. Un consistente sforzo di investimento da parte delle imprese dei
paesi di prima industrializzazione è stato rivolto all’introduzione di nuovi
macchinari che permettevano una maggiore produttività1 . Una sostanziale
differenza esiste, tuttavia, tra l’effetto moda e gli effetti regolamentazione e
tecnologia. Questi ultimi, infatti, sono il risultato dei comportamenti delle
imprese, pronte ad applicare le nuove tecnologie e, più in generale, dell’industria pronta a esercitare una pressione sui governi per ottenere regole più
favorevoli. Nel caso dello sviluppo della moda, invece, si è di fronte al risultato dell’interazione tra le scelte di comportamento dell’industria e i grandi
cambiamenti di fondo della società, non solo economici, ma anche culturali.
Negli anni settanta il lungo ciclo di sviluppo dei consumi avviatosi nel dopoguerra giunse al suo culmine. Negli Stati Uniti, tra il 1970 e il 1980 i
consumi di vestiario sono cresciuti del 60% e in tutti i maggiori Paesi europei si è superato il 25%; in Giappone l’aumento è stato del 39%.
In Italia, dopo la crisi petrolifera del 1973, la seconda metà degli anni Settanta vide un vero boom dei consumi, con quelli di vestiario che correvano
più della media. Tra il 1970 e il 1980 i consumi privati sono cresciuti del 49%,
quelli di vestiario e calzature sono quasi raddoppiati (98%); nel paniere degli
acquisti la quota di spesa per abbigliamento è passao dall’8,3% del 1970 all’11,4% del 1980 (Ricchetti-Cietta, 2006). Un contesto macroeconomico cosı̀
favorevole ai consumi non si è più verificato nei venti anni successivi e molto
difficilmente potrà ripetersi con lo stesso vigore in un futuro prossimo. Il
boom dei consumi della moda avrebbe dovuto però attendere fino alla fine
degli anni Settanta, anche se fu in questo decennio che nacquero molti dei
fenomeni sociali e culturali che lo avrebbero favorito. Tra essi, di fondamentale importanza è stato l’emergere dei giovani come gruppo sociale in grado
di esprimere una leadership culturale e dei movimenti di emancipazione della
donna. Con il giovanilismo e il femminismo si è affermata l’attenzione per
l’abbigliamento e per la moda, che sarebbe poi esplosa negli anni Ottanta.
A questa evoluzione dei consumi e della domanda ha fatto eco una parallela
evoluzione dell’offerta. La moda come prodotto industriale si è sviluppata in
Europa e negli Stati Uniti proprio negli anni Settanta, quando la concorrenza basata sul prezzo dei Paesi emergenti cominciata a sottrarre mercato ai
produttori dei paesi di prima industrializzazione. Prima di allora l’industria
dell’abbigliamento assecondava la tendenza dei consumatori ad acquistare
1
L’introduzione delle nuove tecnologie di filatura open-end, ad esempio, ha determinato
la riduzione a meno della metà del tempo di produzione del filato. La velocità e la
produttività dei telai, con l’introduzione delle nuove tecnologie senza navetta, è triplicata.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
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beni standardizzati, ai quali si richiedevano soprattutto funzionalità e prezzi
accessibili. D’altro canto la moda era identificata e si rappresentava come
alta moda, restando confinata nel mondo elitario o nelle attività artigianali
delle sartorie.
Per l’abbigliamento, come per gli altri beni di consumo, lo sviluppo del
nascente mercato di massa richiedeva preventivamente lo sradicamento degli
stili tradizionali di consumo e, in particolare, di quella diffusa cultura sartoriale che per tanto tempo era stata parte integrante dello stile di vita delle
famiglie. Alla varietà ed eterogeneità dei modi di vestire tradizionali si sostituiva l’uniformità tipica dell’abbigliamento confezionato in serie.
In Italia, per tutti gli anni Cinquanta, Sessanta e parte dei Settanta il mondo dell’alta moda e quello dell’industria dell’abbigliamento si sono evoluti
in ambiti separati e non comunicanti. Da una parte, nel 1952 con le presentazioni nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, l’alta moda italiana acquisiva una
sua autonomia rispetto a quella francese, che aveva dominato quasi monopolisticamente la scena internazionale e imposto i suoi ritmi e le sue regole
all’evoluzione del mercato e la conquistava esplorando nuove formule di relazione con il mercato stesso.
Dall’altra, nel 1954 il Gruppo Finanziario Tessile (GFT) con il marchio
Facis introduceva in Italia dagli Stati Uniti la rivoluzione delle taglie, che
ha consentito un’elevata standardizzazione della produzione e l’applicazione
di moderni sistemi manifatturieri all’industria dell’abbigliamento.
Il connubio tra mondo della moda e mondo industriale si realizzò in Italia
quando, nel 1979, il GFT e Giorgio Armani strinsero un accordo per la produzione di una linea di abbigliamento.
Questa fu la prima espressione dell’originale figura dello stilista dell’industria
della moda, cui spetta cogliere le tendenze emergenti nella società, organizzarle entro immagini coordinate, tradurle in prodotti industriali collaborando con l’imprenditore e riportando cosı̀ la fase creativa e progettuale sotto il
controllo del sistema industriale (Codeluppi, 2002), con un ruolo non troppo
dissimile da quello che, in altri settori, è svolto dalla figura dell’industrial
designer che si era affermata un decennio prima.
Dalla sintesi tra mondo della moda e mondo dell’industria nacque, dunque,
quel complesso apparato di attività di produzione e di servizi che oggi viene
definito industria della moda, ma che possiamo anche chiamare, per le sue
origini italiane, il modello della moda made in Italy.
1.1.2
La natura del prodotto
Al processo industriale manifatturiero, che ne determina le caratteristiche
funzionali, l’industria della moda ha aggiunto una forte carica progettuale in
grado di riflettere, nella sua mutevolezza, lo spirito del tempo. Ai consumatori viene offerto, insieme ai semplici vestiti, un medium per manifestare
la propria identità e mantenerla al passo coi tempi. La moda diventa un
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
6
prodotto industriale a contenuto culturale, il risultato della combinazione di
elementi materiali e immateriali.
Il contenuto culturale di un prodotto della moda non diventa parte del circuito economico, non si realizza sul piano commerciale, finché non si traduce anche in un prezzo accettato dal mercato e il prodotto non si offre
al consumatore dagli scaffali del negozio. Nell’epoca dei consumi di massa la dialettica tra le due anime dei capi di vestiario produce fenomeni di
grande rilevanza economica, il più importante dei quali è stato l’affermarsi su ampia scala e su un orizzonte internazionale di mercato, quello dei
consumi di moda, in cui il valore simbolico e informativo incorporato nei
beni è spesso maggiore del supporto fisico - il tessuto, l’abito - che lo veicola. Nell’industria che stiamo studiando, molto più che nelle altre industrie
manifatturiere, il valore dei prodotti e i profitti sono generati in larga misura
da fattori derivanti proprio dal ruolo della moda come fenomeno sociale, culturale e spettacolare.
L’industria della moda si colloca in una posizione borderline tra, da un lato,
le core cultural industries, la cui attività consiste in massima parte nella
produzione di beni immateriali come le idee - ad esempio l’industria del cinema, della musica leggera o dell’editoria - e dall’altro le industrie dei beni
di consumo che producono beni acquistati prevalentemente per le loro funzionalità.
In sintesi si deve distinguere tra le forme di generazione del valore proprie
dell’industria della moda e quelle tradizionalmente proprie delle semplici
produzioni tessili, dell’abbigliamento, delle calzature e degli accessori che
non incorporano un importante contenuto moda.
La produzione di filati, tessuti e abiti, anche quando raggiunge un elevato
grado di qualità e di raffinatezza tecnica, non è sufficiente a configurare quel
complesso apparato di attività di produzione e di servizi al quale pensiamo
quando si parla di industria della moda. Alle conoscenze tecniche e alle
più raffinate tradizioni manifatturiere, l’industria della moda aggiunge una
carica progettuale in grado di rinnovarsi continuamente in sintonia con lo
spirito del tempo nella sua mutevolezza. Ai consumatori, insieme ai semplici
vestiti, l’industria della moda offre una piattaforma esistenziale nella quale
possano riconoscersi, manifestare la propria identità e mantenerla al passo
coi tempi (Balestri, Ricchetti, 1998).
Da un punto di vista merceologico, l’industria della moda non si identifica,
quindi, con la lavorazione, a un grado più o meno elevato di qualità, di una
determinata gamma di materie prime o con uno specifico insieme di tecniche
di produzione, ma con la capacità di sviluppare prodotti sempre nuovi con
un forte contenuto culturale e in sintonia con i desideri dei consumatori.
Nell’industria della moda si realizza un complesso intreccio fra materiale e
immateriale, attività manifatturiere, attività di servizi, industria culturale
in cui il valore riferibile ad attività puramente manifatturiere può non essere
predominante.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
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In termini generali, tre problemi assumono una rilevanza molto maggiore
nell’industria dell’abbigliamento rispetto alle altre industrie, assimilandola
per più versi alle industrie culturali (Hesmondhalgh, 2002):
• L’elevata probabilità di insuccesso di ogni singolo prodotto, che genera
un alto rischio di perdite;
• Un costo di produzione del prototipo molto maggiore del costo di produzione delle copie successive, che rende elevato il rapporto tra costi
fissi e costi variabili;
• La natura semipubblica dei beni, che rende difficile la protezione dalla copia, dalla contraffazione e dall’imitazione e richiede forme di
regolazione pubblica.
Le formule attraverso cui le imprese affrontano e cercano di superare questi
problemi influenzano le strategie e i modelli organizzativi e definiscono i fattori competitivi e la struttura dei mercati prevalenti 2 .
Benché i problemi del rapporto tra costi fissi e costi variabili e della (scarsa)
natura semipubblica dei prodotti della moda meritino un approfondimento, riteniamo opportuno concentrarci sul problema dell’elevato rischio di
perdite, in quanto coinvolge aspetti tipici dell’industria della moda quali,
ad esempio, la creazione/previsione di stili e gusti, e il coordinamento tra la
parte creativa e quella commerciale dell’industria.
1.2
Il rischio di predite nell’industria della moda
Un primo fattore generatore di rischio è l’elevato tasso di innovazione del
prodotto. La moda è cambiamento: il successo nel produrre e nel vendere
moda si genera con la capacità di cogliere e materializzare, in vestiti e accessori sempre nuovi, lo sfuggente spirito del tempo e i volubili desideri dei
consumatori. Per chi produce e vende moda l’introduzione di nuovi modelli,
l’innovazione di prodotto, è la routine di ogni collezione.
La continua produzione di nuovi progetti creativi resta un tratto fondamentale dell’industria della moda e l’alto tasso di innovazione si traduce in un
alto livello di rischio. L’introduzione di ogni nuovo prodotto, il lancio di
ogni nuovo progetto creativo porta, infatti, con sé una quota di rischio che
si genera in almeno tre momenti dello sviluppo dell’innovazione:
• Il rischio di previsione, legato alla corretta previsione dei fattori a cui
il consumatore attribuisce valore;
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Il caso che noi riteniamo emblematico è quello di Zara, che attraverso un radicale
ripensamento dell’organizzazione della filiera produttiva ha saputo superare brillantemente
questi problemi. Questo caso è analizzato più approfonditamente nell’ultimo capitolo di
questa lavoro.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
8
• Il rischio di progettazione, dovuto alla possibilità che il design del
prodotto non incorpori veramente i fattori che sono stati oggetto della
previsione;
• Il rischio di comunicazione, con una duplice valenza: in primo luogo la
comunicazione al consumatore delle caratteristiche del prodotto è particolarmente complessa dato che il giudizio sui beni si forma compiutamente solo dopo che gli stessi sono stati consumati (sulla base, dunque,
dell’esperienza che offrono e non sulla base di informazioni tecniche
disponibili a priori); in secondo luogo il contesto sociale, il sistema dei
rapporti in cui il consumatore si trova inserito è di grande importanza
per questi prodotti. La comunicazione e l’informazione del prodotto si diffonde e assume valore per il consumatore in forme e canali
vari e articolati, che solo in parte sono controllabili o influenzabili dal
produttore.
I prossimi paragrafi analizzano nel dettaglio i tre tipi di rischi.
1.2.1
Il rischio di previsione
L’utilizzo da parte dei consumatori dei contenuti semantici ed emozionali
incorporati nei prodotti di quella che prima abbiamo definito industria culturale, di cui è parte l’industria della moda, è caratterizzato da un’elevata
volatilità e imprevedibilità.
La difficoltà di prevedere i comportamenti è accresciuta dal fatto che tra le
motivazioni del consumo di un prodotto culturale vi è spesso anche quella
di differenziarsi e distinguersi consumatori di prodotti culturali. Il consumo
di un bene, quindi, può anche svilupparsi in opposizione a un trend socioculturale dominante.
L’elevata incertezza e variabilità si traduce in un elevato rischio di previsione che, a sua volta, comporta un’alta percentuale di insuccessi nel lancio
di nuovi prodotti e servizi. L’incertezza riguardo al gradimento da parte dei
consumatori cresce al crescere dell’intensità del contenuto moda dei capi. È
molto basso nei prodotti basici e per quelli continuativi; tra questi ultimi vi
sono anche i classici di ogni fascia di prezzo, inclusi quelli di lusso. Cresce
sia nelle fasce di prezzo medie sia in quelle di lusso per tutti quei prodotti la
cui vita è limitata al massimo a una stagione e che sono scelti proprio per il
loro contenuto di novità. Nella moda prevalgono i prodotti a vita breve. Più
in particolare, per la maggior parte delle imprese del settore vale la regola
che ogni collezione incorpora una quota più o meno elevata di capi a vita
breve (innovativi) e una quota di capi più continuativi.
Quando entra in gioco la moda, la vita commerciale di un capo di vestiario
diventa quindi molto breve, spesso inferiore ai quattro mesi. L’investimento
in ricerca stilistica e sviluppo che, come vedremo nel capitolo 2, nell’insieme
della filiera produttiva si realizza generalmente in un periodo di circa due
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
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anni, si brucia in pochi mesi: per meglio dire, il valore per il consumatore
generato nel lungo processo di ideazione e produzione di tutta la filiera può
approssimarsi a zero alla fine della stagione di vendita. La parte delle vendite realizzate a prezzi ribassati a fine stagione può essere considerata un
approssimativo indicatore del grado di rischio.
Il fattore distintivo del prodotto moda è che il suo valore per il consumatore
tende rapidamente a zero quando il ciclo della moda cambia e ciò che è stato
di moda durante la stagione non lo sarà più nella successiva. Il mercato va,
quindi, immediatamente sgombrato dai prodotti che non hanno corrisposto alle decisioni di spesa dei consumatori, durante la stagione, ai prezzi di
stagione.
1.2.2
Il rischio di progettazione
Nell’industria della moda non è banale la relazione tra creativi interessati
all’originalità, alla novità, alla visione creativa che si trasmette nei prodotti
e, dall’altro lato, le sensibilità degli uomini dell’area commerciale, interessati
invece alle indicazioni provenienti dalle vendite della stagione precedente o
di quella in corso. Le caratteristiche del prodotto e i termini dell’impiego
degli input creativi devono essere negoziati con i creativi che, in generale,
non sono disposti a vincolare a priori le proprie scelte a un risultato definito
preventivamente con gli uomini del commerciale (Caves 2000).
Per la moda vale il principio che il concreto processo creativo, estetico e
simbolico è radicato in un sistema di relazioni e in un particolare contesto
sociale, sia quando esso ha come centro di gravitazione un individuo (lo
stilista) sia quando si realizza all’interno di un contesto aziendale.
Maggiori sono il controllo e il coinvolgimento diretto del creativo nelle attività di natura industriale, minore è il rischio che il progetto non trovi una
adeguata trasposizione nel prodotto che è portato al mercato. D’altro canto
un forte coinvolgimento del creativo tende a limitare la sua autonomia e,
quindi, l’originalità del progetto stesso.
Le formule che consentono di trovare un efficace compromesso tra bisogno di autonomia creativa e vincoli industriali e di mercato possono essere
codificate in regole contrattuali riguardanti lo scambio di servizi e diritti di
proprietà intellettuale. Una formula diffusa nell’industria della moda è quella che prevede un rapporto di mercato tra il creativo e l’impresa industriale,
formalizzato da un contratto di licenza.
Esempio significativo di un accordo di questo tipo è stato quello già citato
tra Armani e il GFT. Questo accordo, che ha fatto da modello a più di una
generazione di rapporti tra creativo e industria della moda, è improntato a
obiettivi di lungo periodo, in cui il licenziatario si assume il carico di tutte
le attività manifatturiere e il licenziante si afferma come società di servizi
progettuali e di comunicazione.
Il modello del rapporto basato sul contratto di licenza è il risultato di una
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
10
convergenza di interessi tra attività creative e industriali, con orizzonte di
breve periodo per il licensing opportunistico e di lungo periodo per il licensing strategico, ma con una netta separazione di compiti, regolata da rapporti
contrattuali di mercato. Questo modello, tuttavia, comporta il rischio di disallineamento tra progetto creativo e prodotto industriale.
La formula del contratto di licenza si è mostrata adeguata per tutti gli anni
Ottanta, ma alla fine del decennio lo stesso Armani, che ne era stato l’iniziatore, ha preferito seguire un approccio diverso, riproponendo un modello
basato su una maggiore integrazione tra creativo e industria. Precorrendo
ancora una volta i tempi, Armani ha infatti acquisito i suoi principali licenziatari. Dieci anni dopo, nel 1999, un’altra delle griffe italiane più importanti,
Dolce e Gabbana, cresciuta dal 1985 alla metà degli anni Novanta con una
serie di accordi di licenza, sia nell’abbigliamento sia in business collaterali,
ha avviato una strategia di integrazione verticale, acquisendo un suo importante licenziatario, la Saverio Dolce di Legnano, riportando negli anni
successivi diverse linee di produzione all’interno e chiudendo, di conseguenza, i rapporti con altri importanti licenziatari.
La storia dei rapporti tra creativi e industria dal secondo dopoguerra a oggi
presenta un’oscillazione tra la prevalenza del principio dell’autonoma originalità e di quello del controllo industriale.
L’evoluzione del mercato della moda negli anni Novanta ha reso necessario
ridurre la componente di rischio di progettazione attraverso un maggiore
controllo e coinvolgimento reciproco della parti creativa e industriale: lo
sviluppo del fast fashion ha richiesto di massimizzare il controllo della fase
creativa, al fine di velocizzarlo e di allineare tutti gli strumenti attraverso i
quali l’impresa comunica con il consumatore.
Il maggior bisogno di compattezza della filiera del progetto creativo introduce la terza componente generatrice di rischio nella realizzazione di un
nuovo progetto, di cui ci occuperemo nel prossimo capitolo.
1.2.3
Il rischio di comunicazione
Come abbiamo anticipato, esistono almeno due motivi che rendono problematico il processo di comunicazione tra industria della moda e consumatori.
Il primo è che, nella maggior parte dei casi, per il consumatore la qualità e
l’utilità di questi beni rimangono incerte fino al momento del loro acquisto,
o meglio del loro consumo. Il secondo è che il contesto sociale, il sistema dei
rapporti in cui il consumatore si trova inserito, è di grande importanza nel
consumo di tali beni.
Un prodotto non può essere definito di moda se non per il fatto che è già stato
acquistato da molti consumatori. I consumatori, cioè, sono in grado di giudicare la maggior parte dei prodotti della moda solo dopo averli acquistati e
consumati, sulla base dell’esperienza che ottengono proprio consumandoli. I
prodotti che hanno questa caratteristica sono stati definiti da Nelson (1970)
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
11
experience goods, in contrapposizione ai search goods che vengono scelti a
partire dalle caratteristiche tecniche o oggettive e sono facilmente valutabili
prima dell’acquisto.
Per gli experience goods il trasferimento delle informazioni dal produttore al
consumatore è problematico dato che le caratteristiche funzionali misurabili
che possono indurre all’acquisto e che il produttore può comunicare attraverso la pubblicità, non sono sufficienti o decisive nell’influenzare la scelta del
consumatore. Il prodotto creativo si presenta dunque come un experience
good, ma con una caratteristica aggiuntiva: la soddisfazione del consumatore
è definita secondo una reazione soggettiva. La conoscenza specifica del modo
in cui il prodotto è fabbricato non permette ai consumatori di discriminare
tra ciò che piace o non piace.
La scelta del consumatore dipende meno dalle caratteristiche intrinseche del
prodotto e più da fattori soggettivi instabili, meno dalle informazioni dirette sul prodotto e più dalle esperienze indirette riguardo al consumo di
quel prodotto ricavabili dal passaparola, dall’imitazione, dall’opinione degli
esperti o dei consumatori leader. Questi soggetti, indipendenti dal sistema
della produzione, o almeno esterni a esso, hanno il ruolo non solo di mediatori
(opinion leaders) tra i produttori e i consumatori, ma anche di selezionatori
(gatekeepers) dei prodotti che avranno effettivamente accesso al mercato con
buone probabilità di successo.
Per le imprese ciò comporta la necessità di costruire un sistema comunicativo
sofisticato che mobiliti un gran numero di soggetti indipendenti e anticipi o
accompagni l’esperienza del consumo. I produttori dipendono, quindi, crucialmente da altre imprese, ad esempio da quelle di distribuzione e dai negozi
indipendenti, o da soggetti, ad esempio dai giornalisti di moda, per trasmettere indirettamente al pubblico dei consumatori le informazioni riguardo alla
soddisfazione delle emozioni che il prodotto può generare.
L’indipendenza e l’imprevedibilità dell’informazione che giunge ai consumatori, mediata ad esempio da una sfilata di moda o dall’apprezzamento di
un opinion maker, si trasformano in una maggiore imprevedibilità del rendimento economico di un progetto creativo.
1.3
1.3.1
La situazione in Italia: dalla crisi alle strategie
di rilancio
Introduzione
L’industria italiana del tessile-abbigliamento costituisce uno dei comparti
più importanti del Made in Italy, distinguendosi per creatività, originalità
e giusto rapporto tra qualità e prezzo. Si tratta tuttavia di un settore nel
quale sono concentrate buona parte delle debolezze del sistema produttivo
italiano, e che proprio per questo è entrato in un periodo di profonda crisi
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
12
che ne sta rimettendo in seria discussione sia la struttura organizzativa che
l’approccio strategico. La figura 1, che riporta la serie storica del saldo della
bilancia commerciale del settore tessile abbigliamento in Italia, dà un quadro
abbastanza chiaro della situazione negativa che sta interessando il settore
mostrando una graduale perdita di competitività sui mercati internazionali.
Le principali motivazioni vanno ricercate, oltre che nella ormai riconosciuta
debolezza strutturale del sistema riassumibile nell’eccessiva frammentazione
della filiera produttiva e nelle basse barriere all’ingresso, in una situazione
competitiva avversa, venutasi a creare sui mercati internazionali non solo
per questioni monetarie (forte apprezzamento dell’euro), ma anche e soprattutto per le strategie aggressive adottate dai competitor.
Emblematico è al riguardo il fenomeno della concorrenza esercitata dalle
aziende cinesi, particolarmente sentita nel settore tessile-abbigliamento. La
Cina detiene una quota di mercato che si aggira attorno al 30% del totale
mondiale: tuttavia non figura fra i primi 10 paesi clienti dell’Italia per il
settore tessile-abbigliamento, come risulta dalle tabelle 1 e 2 che riportano i
dati sul commercio estero dell’industria tessile-moda italiana per il periodo
gennaio-giugno 2007.
Saldo bil.comm. tessile-abb.
15000000
14000000
13000000
12000000
11000000
10000000
Y ear
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
Figura 1.1: Andamento della bilancia commerciale del settore tessile abbigliamento in
Italia (dati in migliaia di euro). Fonte: Nostra elaborazione su dati ISTAT
Al momento i settori che meglio riescono a penetrare il mercato cinese
sono quelli dei macchinari e degli impianti (circa il 16,7% dell’export totale
italiano). Questo fatto, paradossalmente, finisce con il favorire la competitività del prodotto cinese nel settore moda attraverso l’aumento della capacità
di accesso dei competitor asiatici alle tecnologie produttive più evolute.
La Cina, quindi, pur rappresentando un mercato appetibile per chiunque,
costituisce in questa fase il principale problema per la competitività dell’industria italiana dell’abbigliamento. Ciò perché, oltre agli oggettivi vantaggi
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
13
Tabella 1 – Le importazioni italiane del tessile
Tabella 2 – Le esportazioni italiane del tessile
abbigliamento
abbigliamento
(principali fornitori)
(principali clienti)
Paes i di
origine
TOTALE
di cui:
Cina
Germ ania
Turchia
Francia
Rom ania
Tunis ia
India
Spagna
Belgio
Bulgaria
Regno Unito
Paes i Bas s i
Ungheria
Banglades h
Pakis tan
Rep. Ceca
Croazia
Svizzera
Portogallo
Aus tria
Mil. di
Euro
Var. %
Quota
%
8 858
5,8
100,0
1 810
659
598
575
534
485
443
285
219
201
185
182
175
163
156
142
116
110
108
100
20,8
5,9
9,5
9,7
-13,7
14,7
-0,7
14,9
-1,4
2,6
9,5
10,3
0,0
-1,8
4,0
20,3
0,0
7,8
10,2
-19,4
20,4
7,4
6,8
6,5
6,0
5,5
5,0
3,2
2,5
2,3
2,1
2,1
2,0
1,8
1,8
1,6
1,3
1,2
1,2
1,1
Paes i di
des tinazione
TOTALE
di cui:
Germ ania
Francia
Spagna
Stati Uniti
Regno Unito
Svizzera
Rus s ia
Hong Kong
Rom ania
Giappone
Grecia
Tunis ia
Paes i Bas s i
Belgio
Turchia
Polonia
Aus tria
Portogallo
Cina
Ungheria
Mil. di
Euro
Var. %
Quota
%
13 704
5,2
100,0
1 471
1 387
1 010
816
744
718
640
491
476
450
356
343
335
326
313
255
247
243
173
161
-0,1
6,0
5,3
-2,0
8,0
12,7
25,7
5,1
-20,9
-6,8
13
18,3
5,0
8,3
12,6
13,3
10,3
0,4
22,7
0,6
10,7
10,1
7,4
6,0
5,4
5,2
4,7
3,6
3,5
3,3
2,6
2,5
2,4
2,4
2,3
1,9
1,8
1,8
1,3
1,2
Fonte: SMI-ATI su ISTAT
Figura 1.2: Importazioni ed Esportazione italiane del tessile-abbigliamento.
Fonte: Pitti Press 2008
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
14
legati ad un costo del fattore lavoro nettamente inferiore al nostro, permangono molteplici asimmetrie in ambito istituzionale, finanziario e commerciale. In primo luogo, come già accennato, le esportazioni italiane sono
fortemente svantaggiate dalle alte quotazioni dell’euro rispetto alla moneta
cinese3 . A questo aspetto si aggiungono gli aiuti all’export che le aziende
cinesi ricevono e che incidono in modo rilevante sul giro di affari creando un
vantaggio sleale. Un ulteriore elemento che contribuisce a favorire la produzione cinese è il ruolo svolto dal sistema bancario locale che, fortemente
controllato dallo Stato, sostiene artificiosamente aziende che in condizioni
di libero mercato sarebbero destinate a scomparire. Un ultimo ostacolo alla
competitività delle imprese italiane è rappresentato dalla pressione fiscale
che per le aziende cinesi si aggira intorno al 20%, di molto inferiore a quella
italiana.
Tali anomalie generano una concorrenza sleale che si traduce in una vera
e propria attività di dumping economico verso la quale sembra impossibile
reagire con i normali strumenti competitivi4 .
Una risposta alla perdita di competitività della produzione tessile (ma non
solo) italiana può essere trovata in strategie di politica internazionale e comunitaria che coinvolgano un ampio numero di paesi e che siano in grado di
ristabilire il giusto equilibrio tra le parti.
Gli strumenti per difendere le produzioni nazionali devono puntare su:
1. parità di regole, al fine di creare condizioni di competizione confrontabili
e reciprocità di trattamento tra paesi;
2. tracciabilità dei prodotti;
3. norme rigorose comuni a difesa della proprietà intellettuale e contro la
contraffazione.
Ad oggi, comunque, i fattori competitivi messi in campo dai produttori
cinesi appaiono un vincolo con cui le imprese italiane dovranno confrontarsi a
lungo e di fronte al quale l’insieme delle opzioni strategiche disponibili tende
a restringersi di molto5 . L’individuazione di tali opzioni rappresenta la sfida
principale che l’industria del tessile-abbigliamento italiana ha di fronte a sé
e su di essa, quindi, si concentrerà il nostro studio.
3
Uno studio della Camera di commercio di Prato afferma che, qualora il cambio fosse
più equilibrato, i prodotti cinesi costerebbero dal 30% al 50% in più.
4
Secondo i dati della Commissione Europea, tra gennaio e luglio del 2005 le importazioni di prodotti tessili cinesi è aumentata del 543%. Nel corso del 2005 l’Unione Europea ha esportato in Cina prodotti tessili per un valore di 514 milioni di euro, importandone
però l’equivalente di 16 miliardi di euro.
5
Un caso interessante di un’impresa italiana che ha saputo resistere alla tentazione
della delocalizzazione dell’attività produttiva è quello di Liolà (www.liola.it).
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
1.3.2
15
La crisi del modello distrettuale
Il tessile-abbigliamento è un settore fortemente radicato nel territorio nazionale,
soprattutto nel centro-nord Italia ed è principalmente organizzato in distretti industriali.
Si tratta di un settore molto frammentato articolato su una lunga serie di
relazioni di filiera che dalla filatura giungono al capo di abbigliamento finito
destinato all’acquirente finale.
L’Italia è certamente un paese leader nel settore soprattutto per ragioni
qualitative, vantando una lunga tradizione produttiva alla quale si accompagnano una forte specializzazione, alte competenze e un progressivo consolidamento delle attività produttive.
Il principale vantaggio competitivo del prodotto italiano risiede nella costante
ricerca di originalità supportata da un costante rinnovamento dell’offerta. A
tutto questo si aggiungono gli effetti prodotti dalle esternalità positive che
si originano all’interno del distretto industriale e che sono il risultato della
continua interazione fra le diverse componenti del sistema, che collega in rete
i soggetti che lavorano le materie prime con i distributori finali, passando
per gli artefici del design e i produttori meccanotessili (si veda al riguardo
il cap.2). Queste relazioni di filiera hanno costituito finora motivo di vantaggio competitivo e, in virtù della loro concentrazione in specifiche aree
geografiche, lo scheletro e l’anima dell’economia dei distretti.
L’industria del tessile-abbigliamento risulta frammentata in una serie molto
numerosa di imprese specializzate nell’esecuzione di piccole parti dell’intero
processo di produzione6 .
Ciò ha determinato nel tempo l’accumulazione all’interno del distretto di un
importante livello di competenze tecnico-produttive. Al tempo stesso, tuttavia, tale modello ha prodotto una eccessiva concentrazione della posizione
di ogni singola azienda all’interno della catena del valore complessiva, facendo sı̀ che la singola realtà produttiva finisse per dipendere totalmente dagli
operatori a monte e a valle del processo .
Infine, la realizzazione dell’intero processo di filiera avviene inevitabilmente
attraverso una molteplicità di passaggi intermedi ognuno dei quali determina allungamento dei tempi, accumulo di scorte intermedie e fenomeni di
doppia marginalizzazione7 .
6
Si stima che la filiera del settore tessile-abbigliamento sia composta da poco meno di
70.000 imprese, il 90% delle quali impiega meno di 15 addetti, rientrando per questo nella
categoria delle micro e piccole imprese.
Secondo i dati forniti dal Sistema Moda Italia (www.sistemamodaitalia.it), il restante
10% è formato da aziende proprietarie di marchi importanti e presenti ovunque nel mondo
grazie alla capacità di innovare, di scegliere la giusta qualità dei materiali e di fornire
servizi in linea con le aspettative di mercato.
7
La doppia marginalizzazione è una diretta conseguenza delle relazioni verticali non
integrate, in cui ogni impresa lungo la filiera tende in modo autonomo a calcolare una
propria quota di ricarico sul bene acquistato dall’impresa immediatamente a monte, senza
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
16
Tali processi hanno provocato una vera e propria crisi del tradizionale distretto industriale, che è ora costretto a ripensarsi radicalmente, alla luce del
fatto che le relazioni di filiera hanno ormai carattere internazionale e non
trovano più corrispondenza con una visione locale e territoriale dei processi
produttivi.
La strategia di risposta si è tuttavia concentrata sulla delocalizzazione di
fasi produttive che, se da un lato ha permesso di recuperare buona parte
della competitività persa, dall’altro ha iniziato a svuotare il distretto dei
suoi tradizionali contenuti mettendo in serio pericolo sia la sopravvivenza
degli attori intermedi al processo di lavorazione sia il capitale di conoscenze
e relazioni accumulato in anni di economia di rete8 .
4100
4000
numero imprese
3900
3800
3700
3600
3500
3400
3300
3200
Y ear
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Figura 1.3: Andamento del numero di imprese localizzate nel distretto industriale di Prato. Fonte: nostra elaborazione su dati della Camera di
Commercio di Prato
Un esempio emblematico è quello del distretto tessile di Prato, il più
importante a livello nazionale, dove il calo del numero di imprese è davvero
significativo (figura 2). A partire dal 2002 si è verificata una graduale e
inesorabile emorragia di imprese soprattutto della parte tecnico-produttiva,
che si è poi estesa anche alle altre attività del distretto causando un progressivo impoverimento dei legami di rete. Alla piccola impresa di distretto,
specializzata in fasi circoscritte del processo produttivo, si pone quindi l’ardua sfida di ripensare il proprio ruolo all’interno della complessiva catena
del valore in una dimensione che non può che essere internazionale.
considerare che anche questa ha a sua volta applicato una percentuale di ricarico. Qualora
venga a mancare un efficace coordinamento tra tutte le sezioni della filiera, il fenomeno
della doppia marginalizzazione può generare serie inefficienze e un notevole aumento dei
prezzi finali. Per una discussione più dettagliata si veda Motta-Polo (2004).
8
Si veda a tal proposito il lavoro di Correani (2008).
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
1.3.3
17
L’adeguamento veloce dell’offerta alla domanda
L’importanza del lato della domanda
A causa della continua evoluzione dei gusti dei consumatori si impone agli
operatori commerciali la necessità di assecondare, sempre con maggiore tempismo e corrispondenza, le istanze della clientela potenziale, con prodotti che
corrispondano ai bisogni di target di persone sempre più specifici e assecondando la crescente esigenza di esprimere la propria individualità. Tutto
questo richiede una forte predisposizione a considerare il contesto in cui si
opera come soggetto a continue e imprevedibili trasformazioni, che si deve
essere in grado di cogliere tempestivamente9 .
In un mercato difficile e in continua evoluzione come quello attuale, a causa
del ruolo molto più attivo del consumatore e delle diverse associazioni che lo
rappresentano, adattabilità e trasparenza sono diventati valori importanti (si
pensi anche al fenomeno dei numeri verdi aziendali). In altre parole: meno
furbizia e più efficienza. Per questo è difficile che oggi possano risultare
vincenti comportamenti meramente speculativi che potevano caratterizzare
i rapporti di una volta.
È in questa logica di processo che possono trovare maggiore spazio anche
reti di piccole imprese che assieme possano sviluppare, in modo coordinato ed efficiente, una parte sempre più ampia del complessivo processo di
produzione, ivi inclusa anche la fase a valle di distribuzione commerciale al
dettaglio (si veda al riguardo il paragrafo successivo).
Rapidità di cambiamento di proposta si traducono oggi, nel mondo dell’abbigliamento, nell’immissione continua sul mercato di minicollezioni, la cui
realizzazione viene coniugata con la costante ricerca del miglior compromesso tra qualità e prezzo.
Agire con minicollezioni di breve durata non solo permette di differenziarsi,
ma di ricreare le opportunità di mercato: infatti, la continua varietà delle
collezioni se da una parte comporta maggiori costi progettuali e di processo produttivo, da un’altra induce il potenziale consumatore a tornare ad
acquistare più spesso, determinando un aumento dei volumi complessivi di
vendita. In questo modo si arriva a realizzare quella varietà che motiva il
consumatore all’acquisto.
Ovviamente varietà non vuol dire necessariamente proposte fra loro diverse
in tutto e per tutto: un’efficace gestione della varietà implica anche la
definizione di basi comuni standardizzate e fatte di componenti del prodotto
che possono essere sviluppate in modo identico per più modelli, in modo
da ripristinare, intorno alla realizzazione di queste componenti, logiche da
grandi serie.
9
Come sarà più chiaro nel capitolo 3, il grande successo di Zara è proprio legato alla
sua esclusiva capacità di anticipare le tendenze collocando tempestivamente sul mercato i
prodotti richiesti dalla clientela.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
18
Ci si riferisce in particolare a elementi meno identificabili da parte del cliente
e relativi a cuciture, fodere, bottoni ecc., la cui standardizzazione viene inevitabilmente definita a partire dalla fase di progettazione di ogni modello e
di ogni collezione. L’agire per collezioni di breve durata dà vita a quella che
viene chiamata la rivoluzione del calendario, la quale si dipana attraverso i
seguenti punti:
1. Abbandono dello schema classico delle collezioni pensate 18 mesi prima.
2. Innovazione continua su sollecitazione dei clienti (collezioni continue),
con una durata del ciclo dei prodotti che tende ad avvicinarsi alle tre
settimane (nel caso di Zara si arriva a due settimane). La proposta
al mercato si compone di collezioni-base (basic), cui successivamente
si affiancano prodotti inseriti in vendita a stagione iniziata, sulla base
delle tendenze rilevate direttamente nel mercato.
3. Innovazione come motivo di differenziazione e quindi strumento di difesa dalla concorrenza, non solo interna ma anche dei paesi emergenti.
L’innovazione, comunque, non va intesa come riproposizione della logica del pronto-moda, ma deve puntare al restringimento dei tempi tra
la progettazione della collezione e l’approdo in vetrina.
4. Riorganizzazione radicale dei processi industriali, necessaria per introdurre in modo definitivo una mentalità Time Based : ciò richiede
l’acquisizione di competenze elevate in fatto di progettazione.
5. Realizzazione di processi di aggregazione fra molteplici componenti
della filiera, sfruttando cosı̀ le consistenti economie da integrazione,
tra le quali la maggiore efficienza nell’introduzione di innovazioni di
interesse comune.
Soprattutto la realizzazione dell’ultimo punto rappresenta una sfida difficile
da superare, implicando per le imprese di rete una totale riorganizzazione
della filiera, per garantire, in ogni suo snodo, standard di qualità adeguati,
efficienza e rispetto di tempi brevissimi.
Sul piano dei processi, questi fenomeni implicano un radicale cambiamento di mentalità operativa in direzione di processi Time Based, dove conta
capire molto velocemente ciò che si può vendere, realizzarlo e farlo arrivare
nei negozi prima della concorrenza. Ciò è necessario poiché, soprattutto
rispetto al mercato della Grande Distribuzione Organizzata, l’obsolescenza
di determinate proposte risulta quanto mai rapida.
La mentalità Time Based si esprime in tre fasi o declinazioni fondamentali:
• Time To Market, che si traduce nella progressiva riduzione del tempo
di progettazione.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
19
• Time To Order, che si esprime nella riduzione dei tempi di evasione
degli ordini.
• Time To React, che si esprime nella capacità di modificare rapidamente
la propria proposta di prodotto di fronte a variazioni di comportamento della domanda. Ciò rappresenta un aspetto chiave nel passaggio
ad una programmazione della produzione sempre più trainata dalla
domanda.
Mentre il primo e il terzo aspetto implicano per le aziende di produzione la
necessità di potenziare il proprio reparto di progettazione, rendendolo anche efficiente, il secondo richiede una crescente razionalizzazione dei processi
produttivi, di immagazzinamento e gestione logistica tale da minimizzare i
tempi operativi.
È inevitabile che attraverso le strategie dei principali competitor basate sul
continuo ricambio delle collezioni si modifichino aspettative e comportamenti
della domanda: il potenziale cliente se da una parte trova nuove motivazioni
a visitare più spesso il punto vendita, dall’altra è abituato a ricevere proposte
di collezioni sempre aggiornate. In questo scenario, non entrare nella logica
time based può significare non solo l’impossibilità di sfruttare le opportunità
che potrebbero scaturire da un ritorno più frequente della domanda, ma anche un ritardo nel formulare le prime proposte della stagione, quando altri
hanno già soddisfatto le attese del mercato.
L’evoluzione dei processi nelle direzioni viste non si esaurisce all’interno delle
singole aziende o operatori coinvolti, ma coinvolge le loro reciproche relazioni
rispetto sia ai flussi fisici sia alle informazioni. Ovviamente interruzioni o inefficienze in tali flussi lungo tutta la filiera diverrebbero causa di allungamento dei tempi necessari per passare dalla materia prima al prodotto finito, il
che risulterebbe inaccettabile rispetto alle necessità di rapida mutevolezza e
variabilità sulle cui basi competono gli operatori della Grande Distribuzione
Organizzata.
Rispetto alle implicazioni di flusso informativo nelle relazioni tra produttori
e operatori al dettaglio, quanto sopra implica un’analisi continua dell’andamento del sell-out ovvero delle vendite, come informazione vitale per la
formulazione di previsioni di breve periodo valide e l’attivazione a tal fine
di un Just in Time 10 , un Manufacturing Resources Planning ( in particolare Material Requirement Planning 11 ) e un piano di risposta veloce (Quick
Reponse 12 ); il tutto mediante condivisione di informazioni con Fornitori e
10
JIT (Just in Time) ovvero sistema di produzione unitaria del lotto, con fasi in stretta
sequenza e tempi di consegna pressoché immediati.
11
MRP, da intendersi in due accezioni: la prima, più specifica, è relativa ai sistemi per
la pianificazione dei processi di fornitura dei materiali (Material Requirement Planning);
la seconda, più ampia, è relativa ai sistemi per la pianificazione dell’intero processo di
lavorazione (Manufacturing Resources Planning).
12
QR (Quick Reponse) è un’evoluzione del Just in Time nel senso di un traino della
domanda sulla produzione, con l’obiettivo di minimizzare le giacenze di prodotto finito
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
20
Clienti finali13 .
Un esempio in tal senso è il gruppo Bernardi: l’azienda è impegnata sul piano
della ricerca della massima efficienza operativa possibile, agendo in primo
luogo su un’informatizzazione spinta della propria struttura organizzativa e
distributiva e sull’integrazione informatica con quella dei partner produttivi.
L’obiettivo è quello di giungere al pieno controllo dell’intero ciclo produttivo
e distributivo con l’ausilio di sistemi informativi su rete, ovvero basati sulla
piena collaborazione di tutti i fornitori. In questo modo, dall’acquisto dei
tessuti, passando per le linee di produzione e fino all’immissione dei capi
pronti nei punti vendita, si può aspirare ad offrire più qualità, più moda,
più prezzo, rinnovando continuamente l’offerta al Cliente.
L’obiettivo è quello di arrivare, attraverso la gestione sempre più razionale
delle informazioni, dove il punto vendita rappresenta il momento di avvio
dei flussi, ad una programmazione della produzione il più possibile trainata
dalla domanda, sulla base dei dati che in tempo reale pervengono dai negozi.
La pianificazione dei processi di lavorazione e produzione discende dai processi di previsione di vendite, dai quali si originano i piani degli acquisti,
formulati con un respiro di medio-lungo termine e con continui assestamenti di breve periodo. Per un produttore, poter erogare servizi di fornitura
secondo logiche just in time, se non anche Quick Reponse, con la capacità
quindi di rispondere ai continui bisogni di cambiamento, può essere ancora
destinate a garantire un’adeguata copertura della domanda futura e che, per questo, hanno
una più elevata attitudine a tradursi in invenduti. In questo caso l’integrazione lungo
tutta la filiera raggiunge la sua massima espressione sia in termini di pluri-direzionalità
dei flussi informativi e di conseguente integrazione dei sistemi informativi, che di massima
collaborazione fra gli attori coinvolti.
Sul piano fisico si rende necessario ridurre al minimo i flussi intermedi: la flessibilità viene
raggiunta mediante l’articolazione della filiera per unità in grado di realizzare quantità
ridotte ma complete di prodotto. In questo modo si riducono sia i tempi di passaggio di
materie prime, prodotti intermedi ecc. che le conseguenti scorte intermedie di materiali e
semilavorati.
13
Tale condivisione di informazioni è possibile mediante una piattaforma EDI (Electronic Data Interchange). EDI sta ad indicare la scelta, ormai fatta da molte aziende che
hanno rapporti commerciali abbastanza stretti, di ricorrere ad una Intranet che permetta
il trasferimento su rete delle informazioni contabili (ordini, fatture, forme di pagamento
ecc.) o relative agli aspetti logistici della merce (cataloghi, controllo in tempo reale della
fase di consegna ecc.), sotto forma di documenti elettronici strutturati e standardizzati,
di agevole e sicura gestione, sia in invio che in ricezione e utilizzando sistemi di codifica
elettronica dei prodotti e di lettura dei codici, come la codifica a barre. In questo modo si
possono sviluppare procedure che rendono integrati i processi interaziendali e in particolare quelli dell’industria e della distribuzione, per ridurre le inefficienze nella trasmissione
dei dati e, quindi, operare in modo molto più rapido, preciso e meno costoso. È come
se i processi fra più aziende (compresi quelli fra distribuzione e produzione industriale)
funzionassero come flussi continui capaci anche di fornire, a tutti gli snodi della rete, le
informazioni di ritorno sulle vendite necessarie per lo svolgimento dei processi decisionali.
Il sistema EDI costituisce quindi la piattaforma logica degli altri processi informativi per
l’implementazione sia della logica time to market, che di quelle time to order e time to
react.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
21
considerato elemento differenziante e motivo di vantaggio competitivo della
propria organizzazione rispetto a buona parte delle altre. Ovviamente, quando l’innovazione sottostante all’adozione di nuove logiche di servizio viene
sviluppata attraverso network fra imprese (che possono essere fra loro collegate per complementarità di filiera o di prodotto), le logiche Just in Time o
Quick Reponse devono esprimersi a livello complessivo, il che comporta ben
più elevati livelli di complessità.
Le alleanze tra imprese
Come in parte già accennato nei paragrafi precedenti, il modello di successo
del made in Italy discende dalla migliore combinazione dei seguenti fattori:
• Creatività o originalità, con la conseguente reputazione che le stesse
hanno garantito ai nostri stilisti ed agli articoli da loro proposti su
tutti i mercati del mondo.
• Autenticità conferita dall’importanza che nel tempo ha assunto il made
in Italy e consolidata in virtù di una continua attività di Ricerca e
Sviluppo, che ha definito una sorta di primato sul piano dello stile e
dell’innovazione.
• Esclusività.
Questi fattori differenzianti, tuttavia, sono solitamente assenti o presenti
in modo scarso nelle piccole aziende. Ciò si verifica soprattutto in quelle
terziste, ovvero in quelle in cui è predominante il saper fare bene un prodotto, ma nelle quali spesso il fattore creativo passa in secondo piano, essendo
questo prerogativa del committente.
Si tratta in ogni caso di fattori scarsi all’interno delle aziende di dimensione più piccola, dove solitamente, sul piano della struttura organizzativa,
assumono peso predominante le figure tecniche di produzione, seguite, in
proporzione molto ridotta, dal personale amministrativo e commerciale. In
questi casi spesso non si verifica la presenza di un vero e proprio ufficio stile
che, attraverso la ricerca di una specifica identità di prodotto, possa condurre l’impresa al raggiungimento di una sia pur minima riconoscibilità sul
mercato per originalità, autenticità, se non anche esclusività.
Queste aziende finiscono per basarsi esclusivamente su una strategia competitiva giocata tutta sul piano del prezzo più basso, salvo casi isolati in
cui la differenza è fatta da lavorazioni eccellenti per materiali impiegati e
cura dei procedimenti di lavorazione adottati, e che preservano un’evidente
esclusività di lavorazione. La competizione basata solo sulla leva del prezzo
espone le aziende ai rischi di una concorrenza emergente che, come si è già
visto nei primi paragrafi, gode su questo piano di molteplici motivi di vantaggio.
Occorre allora operare per la massima differenziazione possibile, ricercando
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
22
l’ unicità (basata, come si è precedentemente affermato, sulla ricerca dell’originalità, dell’autenticità e dell’esclusività), con un rafforzamento a tal fine
sul piano strategico, organizzativo e commerciale.
Tuttavia si tratta di un assioma strategico difficilmente realizzabile stante
le note caratteristiche di debolezza strutturale della piccola impresa di produzione e va quindi integrato con uno complementare volto a definire le
strade per cui la strategia suggerita diventi praticabile. In questo senso, una
delle poche prassi possibili appare quella dell’unione fra aziende. Ciò va ad
individuare il secondo assioma complementare al precedente e che potrebbe
definirsi organizzativo: mediante questa soluzione possono rendersi disponibili, per le piccole aziende, competenze e meccanismi altrimenti inaccessibili.
In sintesi le nostre imprese si muovono in un range estremamente ristretto
di opzioni, cosı̀ riassumibili:
• iper-specializzazione (con obiettivi di leadership in piccolissime nicchie
di mercato): viene cosı̀ precisato ulteriormente il nostro primo assioma
competitivo, ovvero quello che abbiamo definito strategico;
• alleanza/aggregazione/integrazione (in un contesto di network con altre imprese): viene cosı̀ specificato ulteriormente il secondo assioma
competitivo, definito organizzativo.
Si può dire infatti che soltanto una piccola minoranza di imprese presenta
dimensioni aziendali tali da consentire un corretto esercizio dell’attività di
Ricerca e Sviluppo, unica strada probabilmente in grado di condurre ad un
vantaggio competitivo. Per tutte le altre, in assenza di esercizio delle opzioni
precedentemente indicate (leadership, difficile da esprimere in mercati troppo piccoli, o rete che integri più imprese), la prospettiva rimane quella di
una forte compressione sui prezzi che pregiudica la redditività e, nel lungo
andare, la stessa sopravvivenza.
In sintesi si può dire che nel mercato della moda, per un’azienda italiana il
modello strategico orientato alla creazione di un vantaggio competitivo può
basarsi su un mix di opzioni cosı̀ composto:
• ricerca di una propria originalità di prodotto, pur nel rispetto dei vincoli di qualità realizzativa, di efficienza produttiva e di giusto rapporto
qualità/prezzo;
• ricerca di una specifica nicchia di mercato;
• ricerca di alleanze strategiche con altre imprese.
Si tratta purtroppo di un mix non facilmente realizzabile date le caratteristiche di fondo che vincolano le capacità d’agire delle nostre imprese:
• bassa capitalizzazione e forte dipendenza dall’autofinanziamento;
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
23
• difficoltà a gestire i processi di accumulazione di risorse e competenze;
• incapacità di controllo dei mercati in cui si opera;
• impossibilità di crescita per acquisizioni;
• incertezza nell’affrontare alti investimenti e ritorni a lungo termine;
• difficoltà a gestire i rapporti con imprese medio-grandi per basso potere
contrattuale e scarsa capacità di garantire standard elevati nel rapporto qualità-prezzo;
• rischio di essere assorbiti o acquisiti.
A questi elementi di criticità strutturali si aggiunge la caratteristica peculiare delle imprese distrettuali, l’essere specializzate in fasi molto circoscritte
dell’intero processo produttivo, con la conseguente necessità di un numero
elevato di passaggi intermedi di materiali e semilavorati. Tale aspetto rende
altamente problematica la possibilità di adottare principi operativi quale
quello del QR (Quick Reponse). Tale principio infatti si basa sulla possibilità per una cella produttiva di svolgere un ciclo completo di produzione,
riducendo cosı̀ i passaggi esterni fra fasi e minimizzando gli stock intermedi
di materiali e semilavorati.
I criteri da seguire per la realizzazione delle alleanze tra imprese
Nella realizzazione di un piano sistematico di riorganizzazione del sistema
produttivo del tessile-abbigliamento occorre fare attenzione ai seguenti aspetti14 :
1. il tipo di produttori da integrare: i produttori devono essere fra loro
complementari per gamma di prodotto. In altre parole, se la proposta è
orientata all’abbigliamento donna, l’integrazione potrebbe vertere sulle
diverse tipologie di capi e accessori destinati ad uno specifico sottotarget del settore. Questo tipo di integrazione eviterebbe di doversi
fare carico di problemi complessi di processo poiché ogni partner, per
quanto riguarda il prodotto di propria competenza, sarebbe già organizzativamente pronto. Viceversa avviare oggi un’integrazione di
imprese in relazione di filiera comporterebbe la complessità accessoria
di strutturare ex novo i processi di lavorazione e le reciproche forniture
e di doverli condurre ad adeguati livelli di efficienza e funzionalità, in
modo tale da puntare comunque a logiche JIT (Just in Time) se non
anche QR (Quick Reponse). Procedendo per questa via, l’approccio al
mercato diventerebbe molto più difficoltoso. Viceversa l’integrazione
14
Si veda a tal proposito il documento della Camera di Commercio di Prato (2007) sulla
situazione del settore tessile-abbigliamento in Italia.
CAPITOLO 1. CARATTERI GENERALI
24
a valle, attraverso imprese specializzate nella realizzazione di prodotti
finiti, consentirebbe, almeno in via teorica, al gruppo di aziende di
dotarsi di un comune ufficio stile capace di conferire identità e coordinamento alla proposta complessiva, oltre che di un comune ufficio
commerciale. Inoltre, operare sulle complementarità di prodotto fra
aziende potrebbe consentire una migliore declinazione dell’offerta, rendendo più completa la gamma e garantendo cosı̀ maggiore appeal e
valore. Questo tipo di azione renderebbe possibili per il gruppo anche
altre opzioni strategiche, quale quella di agire per la strutturazione di
propri punti vendita con una comune insegna.
2. La numerosità dei partner : un numero elevato di partner comporta indubbiamente elementi di complessità supplementari. In fase di
nascita, un raggruppamento di imprese e organizzazioni presenta dinamiche, problematiche e implicazioni analoghe a quelle di un nascente
gruppo di persone, sebbene su scala diversa. Un gruppo si forma e si
consolida sempre attorno ad un numero limitato di componenti, in modo tale da mantenere continuità di partecipazione, maggiore coesione
fra componenti e condivisione di un progetto. Tali aspetti tendono a
perdersi nelle aggregazioni che superano certe soglie (oltre 7 componenti). Qualcosa di analogo si verifica anche fra imprese e organizzazioni.
Orientativamente si può dire che un raggruppamento potrebbe avviarsi
attorno a 2-3 componenti aziendali.
3. Coerenza dei partner : è necessaria un’affinità per comunanza di target
di clientela o fascia di mercato, livello qualitativo del prodotto e, non
ultimo, per capacità di interazione. Quest’ultima dipende dal possesso di strutture aziendali dimensionalmente e organizzativamente simili,
con la condivisione di problematiche, procedure e prassi non troppo
differenziate. L’affinità attiene invece al sentimento di reciproca stima
e fiducia fra gli imprenditori che dovrebbero allearsi. Da non sottovalutare è l’importanza di una base comune fatta di linguaggi, modalità
di coordinamento, processi decisionali, criteri di scelta ecc.
4. La leadership del raggruppamento. Il raggruppamento deve essere
gestito come un’impresa di imprese: in tal senso deve poter autonomamente definire una strategia unitaria nel mercato cui intende rivolgersi
e prendere le decisioni operative idonee ad implementarla. In linea di
principio la leadership può essere individuata all’interno dei partner del
gruppo. La scelta del leader dovrebbe corrispondere a logiche di autorevolezza del soggetto: tale scelta dovrebbe riguardare le specifiche
competenze nello sviluppo del prodotto e/o nella gestione dei rapporti commerciali. Insomma colui che possiede le competenze a maggior
valore aggiunto per il raggruppamento dovrebbe essere il soggetto che
ne assume la direzione.
Capitolo 2
Il carattere strategico del
controllo della filiera
2.1
La filiera
Quando parliamo di filiera tessile consideriamo quei settori industriali coinvolti nel processo di realizzazione e vendita di un manufatto tessile stampato, comprendenti cioè tutte quelle operazioni necessarie a trasformare una
materia prima tessile in prodotto finito (sempre più frequentemente il confezionato); in termini temporali dalla prima all’ultima operazione occorrono
mediamente un paio d’anni. Molte volte il sistema moda viene inteso erroneamente con riferimento solo al prodotto finito. Ma l’abito è il frutto di
ricerche che vanno dall’utilizzo di determinate fibre allo sviluppo di un certo
tessuto, alla ricerca del colore delle forme e dello stile. Questo sistema di
interrelazioni è scomponibile in più parti e secondo logiche diverse.
Una prima distinzione può essere fatta tra fasi a monte del ciclo produttivo,
che producono semilavorati per gli stadi successivi, e fasi a valle, che producono e distribuiscono i beni di consumo finale. Su questa distinzione si
fonda un concetto basilare per l’analisi del sistema moda: quello di filiera,
con cui s’intende il processo di produzione-trasformazione- distribuzione e
coordinamento tra le fasi.
Del sistema moda fanno parte anche settori non disposti lungo il ciclo produttivo, dalla materia prima al prodotto finito, ma che svolgono una funzione
di supporto all’intera filiera, tra cui la stampa, i media, le associazioni di
categoria, ecc... Il fatto che un paese sviluppi un vantaggio competitivo
all’interno di più fasi della filiera è in genere determinante ai fini della leadership dei suoi prodotti finiti a livello internazionale.
In questo senso il successo del made in Italy nell’abbigliamento è sempre
stato legato alla padronanza dell’intera filiera tessile, in tutte le sue fasi.
L’Italia, oggi, è l’unico paese industrializzato che ospita ancora imprese,
impianti e professionalità nella lavorazione di tutte le fibre tessili, seta,
25
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA26
lana, cotone, lino, cellulosiche e sintetiche. Buona parte della creatività
e della flessibilità alla base della competitività del sistema moda italiano
dipende proprio dalle interazioni tra le diverse imprese che collaborano in
continuazione per dar vita alla creazione di nuovi prodotti. L’efficiente collaborazione tra le imprese del settore moda sussiste soprattutto grazie alle
piccole dimensioni delle diverse imprese. In più l’esistenza dei distretti,
specializzati in ogni fase del processo produttivo, garantisce una maggiore
flessibilità. L’analisi della struttura della filiera tessile è condotta sulla base
di uno schema di classificazione tradizionalmente utilizzato dalle associazioni
di categoria dei comparti indagati (figura 2).
La filiera del tessile presenta la seguente struttura:
• settore delle fibre
• settore del tessile:
– comparto laniero;
– comparto cotoniero;
– comparto serico;
– comparto nobilitazione;
– comparto tessili vari e prodotti tecnici;
• settore abbigliamento:
– comparto abbigliamento in tessuto;
– comparto abbigliamento in maglia e calzetteria.
Il primo anello della filiera tessile è costituito dai produttori di fibre. La
fibra è la componente più piccola del tessuto, ma è anche quella che gli conferisce colore, peso, solidità. Il settore delle fibre è, all’interno della filiera
tecnica, l’ambito in cui si realizzano le più importanti innovazioni in termini
di ricerca di nuove funzionalità e nuovi materiali.
Successivamente le fibre vengono trasformate in filati. Le fasi di cui si
compone sono, in generale:
• la fase di filatura delle fibre, che prepara le diverse tipologie di materia
prima alle lavorazioni successive allo scopo di ottenere il filato;
• la fase di tessitura dei filati, prepara i filati in vista della produzione
dei tessuti;
• la fase di nobilitazione tecnica, comprende una serie di trattamenti che
possono interessare la fibra, il filato, il tessuto e talvolta anche il capo
finito.
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA27
Nel settore dell’abbigliamento, infine, rientrano le fasi a valle che si differenziano a seconda che si tratti di maglieria o confezione. Infatti la fase di
confezione comprende taglio e cucito, mentre l’attività di maglieria riguarda
tutte le fasi a partire dalla realizzazione del filato fino al prodotto finito.
L’ultimo anello della catena riguarda la distribuzione ossia la vendita del
prodotto finito al consumatore finale.
Abbiamo parlato di filiera generica, perché è possibile che in alcuni processi
particolari, le macrofasi considerate possano essere disposte in altre successioni. Tipicamente, può accadere che le tre sottofasi nelle quali può essere
scorporata la macrofase della nobilitazione tessile (tintura, stampa e fissaggio) vadano ad occupare altre posizioni della filiera: la tintura, per esempio,
può essere effettuata prima della tessitura ( processo che porta alla lavorazione jaquard, con la quale si ottengono poi i cosiddetti capi tinti in fil), o
addirittura, a volte, può essere effettuata in parallelo alla filatura (processi
detti di filo tinto in pasta o filo tinto in fiocco ); può succedere che le fasi
di stampa e finissaggio vengano effettuate dopo la confezione (per esempio
per t-shirt o per abbigliamento sportivo); vi sono poi processi in cui alcune
fasi non vengono nemmeno effettuate. Nella figura 1 vengono schematizzati
alcuni esempi.
La leadership del sistema moda italiano ha il suo punto di forza nel prèt-àporter alto, di lusso, che a livello mondiale ha una notevole importanza, in
quanto origina lavoro e ricchezza per l’intera filiera: per il tessile a monte e
per il terziario a valle. Un elemento distintivo del successo del Made in Italy
è costituito indubbiamente dall’integrità della sua filiera produttiva.
Il grande vantaggio della filiera è quello di rafforzare la competitività
rispetto ai concorrenti esteri: il sistema moda italiano, che ha un’elevata
qualità del prodotto finito, ha un’indiscussa posizione di leadership sul mercato internazionale.
Grazie alla padronanza dell’intera filiera il prodotto italiano risulta essere
di elevata qualità, stile e innovazione, dato che le strette relazioni tra gli
operatori consentono la ricerca di soluzioni collaborative.
Il sistema moda è un aggregato di operatori economici e organizzazioni strettamente interconnesse e correlate tra loro. L’esistenza della filiera è anche
dovuta alle caratteristiche del sistema di imprese italiano caratterizzato da
(Brusco e Paba, 1997) :
• elevata specializzazione in uno specifico settore o comparto produttivo manifatturiero, nella fattispecie il cosiddetto Made in Italy, ovvero
l’insieme dei settori industriali prevalentemente legati al settore moda, ed estensivamente a tutti gli altri settori in cui la componente
immateriale dei prodotti riveste un ruolo strategicamente rilevante;
• elevata popolazione di piccole medie imprese che rappresentano le
tipologie imprenditoriali predominanti del nostro tessuto industriale;
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA28
Figura 2.1: La filiera del tessile (Fonte: Enciclopedia della stampa tessile)
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA29
• scomposizione dei processi produttivi in fasi differenti caratterizzate
da dimensioni ottimali ridotte: ogni azienda presente in un determinato territorio distrettuale, in corrispondenza delle proprie competenze
distintive, si fa carico della realizzazione di un segmento specifico della
catena del valore;
• sviluppo di contratti di sub fornitura e di comportamenti cooperativi
tra le imprese locali, che, il più delle volte, si configurano come i veri
e propri propulsori per l’imprenditorialità territoriale.
All’interno della filiera esiste un timing ben preciso con il quale i vari operatori dovranno lavorare per presentare le novità sul mercato attraverso eventi
quali sfilate, presentazioni o fiere.
Questi eventi sono organizzati da associazioni di categoria che sono all’interno di ciascuna fase del ciclo produttivo. Gli eventi principali per esempio per
la presentazione dei filati e fibre sono Pitti filati, Modaprima, ModaIn, in
Italia; Expofil e PremiereVision in Francia. I filati vengono presentati circa
due anni prima che il capo finito sia presente nei negozi. Per i tessuti invece
gli eventi principali sono ModaIn, Prato Export, Idea Biella. Gli eventi per
il prodotto finito invece si distinguono per sesso del cliente di riferimento:
per l’uomo abbiamo Pitti Uomo e Milano Collezioni uomo, mentre per la
donna Momi e Milano Collezioni Donna.
Ovviamente, in assenza di relazioni di partnership all’interno del settore,
sarebbe impossibile porsi qualsiasi obiettivo di miglioramento all’interno del
proprio sistema di business.
Questi eventi sono, come anticipato in precedenza, organizzati da alcune associazioni, quali: Pitti Firenze, Associazione Tessile Italiana, Sistema Moda
Italia, Camera Nazionale della Moda Italiana.
2.1.1
Il meccano tessile
Un settore di elevato supporto alla filiera è sicuramente il comparto meccano
tessile, che comprende macchinari e impianti destinati alla trasformazione
di materie prime e semilavorati (macchine per: filare, tessere, tingere, nobilitare, confezionare...) utilizzati. Le attività del meccano tessile si suddividono in quattro macro aree: progettazione della macchina, approvvigionamento di materie prime (parti elettriche e meccaniche), processo produttivo e logistico (assemblaggio dei sistemi elettronici e meccanici e prove di
funzionamento, imballaggio e trasporto), servizio al cliente (monitoraggio,
collaudo, addestramento, servizio post-vendita). Le attività a maggior valore per le imprese sono la progettazione e il servizio al cliente. La prima
può essere distinta in una fase preliminare e in una fase esecutiva o di industrializzazione. Nella fase preliminare, che riguarda la progettazione della
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA30
Figura 2.2: La filiera del tessile (Fonte: it Consult 2005)
macchina, si arriva al punto di allestire, presso le stesse aziende di clienti,
laboratori di progettazione in cui testare nuove macchine e soluzioni produttive. Anche la fase di servizio prevede una forte interazione con il cliente ed
è naturalmente favorita dalla prossimità delle parti.
Un settore meccanico competitivo a livello internazionale determina notevoli
vantaggi per le fasi successive della filiera: il più rilevante è riconducibile
proprio al continuo processo di innovazione incrementale che emerge dalla
stretta relazione tra fornitori e clienti e si diffonde lungo l’intera filiera. Il
meccano tessile è, in Italia, piuttosto frammentato e caratterizzato da imprese di dimensione contenuta rispetto ai principali concorrenti internazionali.
La motivazione sottostante ad una tale struttura è da ricondursi proprio alle
caratteristiche del mercato di sbocco: il sistema moda. Dato il dinamismo e
la frammentazione dei comparti a valle, ai fornitori di macchinario è richiesto
un sistema di offerta specializzato e flessibile che privilegi la piccola dimensione.
Il meccano tessile italiano è considerato un comparto innovativo, nonostante l’investimento in ricerca da parte delle imprese non sia elevato. Tale
innovazione è dovuta soprattutto al rapporto esistente tra fornitori di macchine e clienti e dalla ricerca applicata svolta da entrambi. La vicinanza fra
produttori di macchinari e utilizzatori è stata spesso determinante per le innovazioni proprie del settore moda: le torsioni sui filati, gli effetti sulla mano
dei tessuti. L’integrità della filiera e il meccano-tessile consentono di massimizzare le risorse di innovazione di creatività e, soprattutto, di flessibilità.
Essendo collegate strettamente le une alle altre, tutte le fasi della filiera
si prestano alla elaborazione creativa, il che si risolve in un’immissione di
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA31
valore aggiunto determinato dalla creatività di ogni singola fase, in ogni sottoprodotto.
Per produrre gli effetti importanti che abbiamo visto questi fattori devono
essere combinati, coniugati in modo adeguato dagli attori, dai protagonisti
del Sistema Moda.
2.2
L’evoluzione del concetto di filiera
Dal punto di vista manifatturiero, l’industria della moda-abbigliamento è
caratterizzata da un’elevata decomponibilità del ciclo produttivo. Il processo di produzione che parte dalle materie prime (fibre tessili ) si articola in
una lunga catena di fasi che, in genere, è conveniente siano svolte da soggetti
indipendenti e specializzati, benché in qualche caso possano essere realizzate
all’interno o sotto il controllo di un’unica impresa.
Ci si può quindi riferire all’industria della moda-abbigliamento come a una
filiera industriale in cui i passaggi da uno stadio produttivo all’altro sono mediati dal mercato1 . La rappresentazione canonica è stata per molto tempo,
fino agli anni Novanta, di tipo industrialista e ingegneristico, nel senso che
della filiera era riconosciuta la sequenza tecnica delle fasi di trasformazione
manifatturiera. La rappresentazione che questo approccio fornisce del settore è di una sequenza di attività tutta interna all’industria che, in estrema
sintesi, si articola in: preparazione delle fibre, filatura tessitura, confezione
dell’abito.
La sequenza può essere complicata aggiungendo ulteriori differenziazioni per
tipo di fibra, tecniche di lavorazione e usi finali dei prodotti2 .
Dagli anni Novanta questa rappresentazione ha cominciato progressivamente
ad essere sostituita da un’altra, che tiene maggiormente in considerazione i
servizi. Da un lato si è iniziato a parlare di estensione della filiera, in primo
luogo alla distribuzione commerciale. L’idea di considerare la distribuzione
come interna alla filiera è l’effetto di alcuni fenomeni importanti:
• La tendenza di molte imprese a integrarsi verticalmente a valle con proprie catene di punti vendita, una tendenza che ha costituito il fenomeno
1
Il termine filiera, entrato nell’uso comune per definire il sistema verticalmente integrato
dell’industria della moda, è mutuato dalla tradizione francese, in cui negli anni Sessanta
si sviluppò un corpus di studi applicati sui sistemi verticalmente integrati dell’industria
agroalimentare, con particolare riferimento alle relazioni con le ex colonie francesi (Kydd,
Pearce, Stockbridge, 1996).
2
Questa rappresentazione ha raggiunto un grado di approfondimento e dettaglio assai elevato. Gli esempi più significativi sono: la Textiles Flow Chart messa a punto dal
Comitato Europeo dei Produttori di Fibre Chimiche (CIRFS); il Tableau Textile in Francia, prodotto dall’Istituto Nazionale di Statistica (INSEE) e in Italia la matrice Tessile
realizzata prima dai produttori di fibre chimiche, poi da Federtessile, l’associazione delle
imprese del settore e, infine, dall’Associazione Matrice Tessile.
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA32
più importante nello sviluppo del sistema distributivo della moda negli
anni Novanta;
• L’affermarsi di forme di cooperazione tra industria e distribuzione e di
formule di trade marketing;
• Lo sviluppo pervasivo del modello Quick Response, che ha messo in
evidenza il ruolo del punto vendita come possibile driver di una filiera trainata dalla distribuzione, in alternativa a una filiera spinta
dall’industria.
Dall’altro lato, la stessa discussione sulla Quick Response ha introdotto l’idea
della filiera come il luogo degli scambi di informazioni, oltre che di merci.
L’immagine che ne è emersa è quella di una filiera industriale che interagisce
con numerosi servizi di supporto che ne condizionano e orientano l’attività.
Nella seconda metà degli anni Novanta le rappresentazioni grafiche della filiera contenuti negli studi sull’industria della moda (si veda a tal proposito
Ricchetti-Cietta 2006) si sono arricchite di una nuova parte che include il
sistema dei servizi distributivi di comunicazione e design, in genere collocata
ai margini di quella che rappresenta la filiera industriale.
2.3
L’offerta di servizi per la distribuzione
La relazione con il sistema distributivo è senza dubbio quella nella quale
le aziende della moda hanno investito maggiormente negli ultimi anni. Il
risultato è una mutazione dei rapporti tra sistema distributivo e produttivo,
ma anche una crescente integrazione della filiera, al punto da rendere spesso
poco agevole distinguere se il modello di business alla base del successo di
alcuni marchi o insegne si fondi sul produrre o sul vendere.
L’integrazione tra produttore e distributore non solo elimina la distinzione
dei ruoli, ma modifica la concezione stessa di azienda della moda. Lo sviluppo delle catene specializzate è in qualche modo il segno di un mestiere che
cambia. La gestione della propria catena di negozi ha caratteristiche solo parzialmente simili alla gestione dei clienti multimarca. Il produttore
deve acquisire nuove competenze: diventa direttamente responsabile di tutte
quelle decisioni che prima erano delegate al dettagliante. D’altra parte il
distributore che si integra si trova alle prese con scelte riguardo alla progettazione dei capi, la gestione del marchio e della comunicazione, la gestione
della produzione prima delegate al fornitore. In sintesi le imprese della
moda sono state costrette ad ampliare il proprio patrimonio di conoscenze
integrando il sapere industriale sui processi operativi con le conoscenze distributive.
Questa trasformazione ha implicato non solo un maggior ricorso ai professionisti della vendita, ma anche un loro maggiore coinvolgimento nell’orga-
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA33
nizzazione del processo produttivo in connessione sia con la funzione creativa/stilistica sia con il marketing e la comunicazione. Nella progettazione,
il feedback col cliente, gestito in modo diretto dall’azienda attraverso i propri punti vendita, ha consentito un approccio diverso alla creazione di una
nuova collezione, migliorando la capacità di sintonizzarsi con le richieste del
mercato. Nel rapporto con il consumatore il negozio è stato trasformato in
un vero e proprio medium di comunicazione e di interazione tra l’azienda e
il cliente. Il settore produttivo dei punti vendita è quindi un mercato di rilevanti dimensioni perché la realizzazione del prodotto negozio richiede una
filiera di competenze molto diversificate.
Se l’obiettivo fondamentale di ogni impresa orientata al mercato, la piena
soddisfazione dei bisogni della propria clientela, è di per sé di non semplice
realizzazione, esso comporta difficoltà ancora maggiori nei settori caratterizzati da comportamenti di consumo assai complessi ed imprevedibili.
In particolare con riferimento al comparto della moda, i cambiamenti intervenuti in questi ultimi anni nel sistema competitivo hanno indotto molte
imprese ad intraprendere iniziative di razionalizzazione dei processi operativi, finalizzate essenzialmente a migliorare la capacità di risposta alle istanze
del mercato in termini sia di adeguatezza delle proposte commerciali sia di
qualità dei prodotti; tutto ciò senza tralasciare, nel contempo, gli sforzi per
migliorare efficienza e velocità nell’intera filiera.
La crescente complessità della domanda, e in particolare l’evoluzione del gusto dei consumatori nella direzione di una maggiore maturità, autonomia e
selettività, si ripercuote inevitabilmente sulle modalità di gestione dell’offerta, attraverso le quali gli operatori del settore devono riuscire ad individuare
e a presidiare nel tempo la formula aziendale più adatta ad interpretare e
a soddisfare, senza compromettere la profittabilità, i bisogni di varietà e di
innovazione esistenti nel mercato. Nel caso dei prodotti ad elevato contenuto moda, infatti, per le imprese si pone il problema di riuscire a valorizzare
tutti gli elementi di novità necessari ai fini di un’efficace politica di differenziazione, disponendo di un arco temporale assai ristretto per ammortizzare
gli investimenti necessari per realizzare ogni collezione.
Se si considera nello specifico il settore dell’abbigliamento, il paniere di
prodotti è definito da numerosi aspetti che riguardano i caratteri intrinseci del bene (materiali, modello, lavorazione, vestibilità, finiture), il suo
utilizzo (funzione d’uso, praticità, durata), le valenze estetiche e di stile, il
livello d’innovazione e la ricchezza di varianti proposte. È tuttavia divenuto
sempre più cruciale, ai fini del successo di mercato, il controllo del grado di
soddisfazione del consumatore finale con riferimento al mix qualità-prezzostyling dei prodotti commercializzati, il presidio dei canali di distribuzione,
lo sviluppo di efficaci ed innovative politiche di comunicazione, l’integrazione
tra i diversi attori della filiera.
Soprattutto nel settore del pronto-moda, il management dei tempi (di approvvigionamento dei tessuti, di produzione e consegna dei capi finiti) rapp-
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA34
resenta il vero fattore critico nella competizione. La necessità di abbreviare
il ciclo operativo trova tuttavia ostacoli sia a monte dei processi di confezionamento (filatura, tessitura), tra i fornitori di materie prime, sia lungo
la catena di operatori dediti alle attività di distribuzione.
La rilevanza degli elementi di complessità sul fronte sia del marketing che
della produzione si combina con le caratteristiche fondamentali del prodotto moda e con le principali problematiche ad esso legate. In primo luogo,
la stagionalità del prodotto, che rende di fatto invendibili a prezzo pieno i
capi rimasti sugli scaffali dei negozi alla fine del ciclo naturale; non meno
importante è la maggiore o minore adesione dello styling dell’articolo alle
tendenze moda, che può generare problemi di overstock nel corso della stagione di vendita (Forza, Vinelli, 1996). I costi ed i rischi dell’obsolescenza
vengono solitamente trasferiti a valle in capo ai dettaglianti, ai quali si impone di effettuare ordini completi con largo anticipo rispetto all’inizio della stagione; sussistono, però, anche problemi di natura opposta legati alle
mancate vendite, causate da errate previsioni (verso il basso). Ciò spiega
la propensione spiccata dei retailer, stretti dalla morsa della crisi di questi
ultimi anni, verso canali e modalità di fornitura marcatamente più flessibili.
A tal riguardo, le strategie adottate dalle imprese del pronto-moda mirano a
seguire più da vicino l’evoluzione del mercato, al fine di aumentare il grado
di soddisfazione dei consumatori, senza compromettere l’equilibrio del business dei rivenditori al dettaglio, che possono effettuare le proprie decisioni
di assortimento al più tardi, riducendo gli oneri e i rischi cui si accennava
poc’anzi3 .
2.4
L’importanza della filiera integrata
L’organizzazione tradizionale della filiera, quella cioè costruita intorno al
modello del ciclo stagionale delle vendite, si basa su una netta cesura nella
gestione del rischio tra la componente industriale e quella distributiva. Gli
acquisti dei consumatori avvengono alcuni mesi dopo le scelte di approvvigionamento del negoziante. Il gestore del punto vendita ordina e quindi, in
definitiva, si impegna a pagare al buio, assumendosi un rischio, gli abiti che
pensa ragionevolmente di vendere. Questo problema, che potenzialmente
investe tutta la catena produttiva e richiederebbe un allineamento ex-post
3
Fisher e Raman (1996, 1999) hanno sviluppato un nuovo approccio alla previsione
della domanda di prodotti innovativi (per i quali non esistono dati storici), definito Accurate Response, che consente di effettuare le stime di più lungo periodo estrapolando i dati
di fatturato delle prime due settimane di vendita. Gli autori citati sostengono che l’applicazione di questo semplice metodo riduce in modo significativo l’errore di previsione.
Naturalmente, l’implementazione di questa tecnica richiede adeguate dotazioni di strumenti informatici, un canale veloce e flessibile che produca e consegni in piccole quantità e
con ridotti ritardi nonchè modelli di supporto alle decisioni efficaci per gestire i livelli delle
giacenze di prodotto, tutti fattori importanti, ma anche reciprocamente in un rapporto di
trade-off.
CAPITOLO 2. IL CARATTERE STRATEGICO DEL CONTROLLO DELLA FILIERA35
delle decisioni di produzione di un gran numero di soggetti con una moltiplicazione dei fattori di rischio, è risolto con l’adozione da parte della componente industriale della filiera del modello della produzione su ordinazione,
di cui l’idea della Quick Response rappresenta, almeno nelle intenzioni, la
razionalizzazione estrema e l’ottimizzazione.
Diversamente da quanto avviene nelle relazioni tra negoziante e consumatore, nelle relazioni tra produttore e negoziante e tra i produttori ai
diversi stadi del ciclo produttivo, la produzione si attiva soltanto quando le
informazioni sugli ordini da parte dei negozianti sono in gran parte note. In
linea di principio, la produzione inizia solo quando i contratti con i clienti
sono stati perfezionati: si produce solamente ciò che è già stato venduto. I
contratti di acquisto non sono sottoscritti a fronte di merce già prodotta, ma
di progetti. I progetti sono materializzati con l’attuazione di prototipi, campioni, collezioni che il produttore si dichiara pronto a realizzare, ma che non
rischiano di accumularsi invenduti nei magazzini. Questo complesso e originale incrocio di informazioni e di impegni a produrre, che offre una soluzione
alla contraddizione tra elevata componente di rischio dell’innovazione nella
moda e avversione al rischio dei produttori, affida alle fiere di settore un
ruolo cruciale.
Capitolo 3
Studio di casi
3.1
Introduzione
La discussione sviluppata fino a questo momento ci porta ad analizzare
un caso emblematico di azienda che ha saputo brillantemente far fronte a
tutte le difficoltà che hanno interessato (e in parte ancora interessano) il
settore del tessile-abbigliamento, coniugando innovazione gestionale con integrazione assoluta della filiera. Si tratta di Inditex, uno dei più grandi
gruppi di distribuzione di moda a livello internazionale, che conta più di
3840 punti vendita in 70 Paesi tra Europa, America, Asia e Africa. Oltre a
Zara, la più grande delle catene commerciali, Inditex raggruppa altri brand :
Bershka, Massimo Dutti, Oysho, Pull and Bear, Stradivarius, Zara home e
un centinaio di società vincolate alle diverse attività che costituiscono il business del design, della fabbricazione e della distribuzione tessile. Il modello
organizzativo di Inditex comincia solo ora ad essere adottato dalle imprese
italiane; queste tuttavia incontrano seri ostacoli all’adozione a causa delle
limitate dimensioni ma, soprattutto, alle difficoltà di reperimento degli enormi capitali necessari per realizzare una filiera integrata.
Esistono tuttavia esempi di imprese italiane che hanno saputo cogliere i vantaggi del modello gestionale di Inditex adottando strategie differenti dall’acquisizione del completo controllo di tutti i passaggi della filiera. Questo risultato è stato reso possibile attraverso un’integrazione che potremmo definire
virtuale, cioè basata su rapporti di stretta fiducia tra fornitori e distributori
e sullo scambio veloce di informazioni tra i vari livelli della filiera.
La Cia Diffusione, la cui strategia è brevemente discussa nel paragrafo 3, è
uno di questi esempi.
36
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
3.2
37
Il ’modello’ Zara
L’impresa spagnola titolare del brand Zara, presente in oltre 40 paesi con
più di 1600 punti di vendita, con un fatturato 2005 prossimo ai 4 miliardi di euro, rappresenta una realtà imprenditoriale di grande successo (vedi
figura 1). L’analisi di questo caso di successo può contribuire a chiarire la
collocazione del ’modello Zara’ nell’attuale panorama tipologico del fashion business e gli aspetti principali che lo differenziano dagli altri attori del
settore. Zara propone, a prezzi particolarmente contenuti, articoli di abbigliamento femminile e maschile di tendenza - che si ispirano alle collezioni
di stilisti rinomati - disegnati, prodotti e distribuiti in poche settimane1 .
La politica aziendale, simile per molti aspetti a quella adottata dalle imprese del pronto-programmato2 , si fonda essenzialmente su una struttura
operativa integrata, che permette di controllare l’intera filiera produttiva e
di rinnovare parte dell’offerta finanche due volte a settimana. Il management
aziendale ritiene, infatti, che soltanto alimentando sul mercato un sentimento diffuso di escasezy oportunidad (scarsità e opportunità), si può riuscire a
spingere la clientela ad acquistare d’impulso, condizionata dal timore di non
trovare più ciò che ha visto la settimana precedente.
I prodotti a marchio Zara sono realizzati per il 60% circa in house: esso sono
venduti mediante punti vendita, in prevalenza, diretti. Le logiche di fondo e
le fonti del vantaggio competitivo del ’modello Zara’ possono essere desunte
comparando la tempistica stagionale del ciclo completo delle attività produttive con i benchmark medi del settore ed analizzando lo schema generale
dei flussi operativi . Le attività di design e approvvigionamento materiali
1
In questo settore non è prioritario essere dei leader, ma è sufficiente operare come
dei follower. I leader determinano in base alle proprie politiche le tendenze nei luoghi
storici della moda: Parigi, Milano, New York, Londra e Tokio. Per coloro che operano
nella dimensione dei follower, invece, il vantaggio competitivo risiede nel time management (giudicare velocemente ciò che si vende e farlo arrivare nei propri negozi prima dei
concorrenti, Blackburn, 1993, p.201).
2
La tempistica di produzione, insieme al numero di collezioni annuali realizzate, consente di classificare le imprese del settore in due tipologie, imprese del pronto-moda e imprese del programmato. Le imprese del pronto-moda sono continuamente alla ricerca
di tendenze-moda da tradurre tempestivamente in lanci di campionario di piccole dimensioni. Per implementare una tale strategia è necessario disporre di una struttura produttiva
reticolare e di una organizzazione distributiva incentrata su punti di diffusione all’ingrosso
localizzati in luoghi facilmente accessibili ai retailer, che siano efficienti, capaci di calibrare
al meglio le scelte di referenziamento qualitativo e quantitativo rispetto alle esigenze del
mercato spaziale di riferimento e dotati di immagine coerente con il prodotto trattato. In
genere, i prontisti realizzano internamente le fasi di progettazione, campionatura, taglio,
finissaggio e spedizione, delegando le lavorazioni intermedie a terzisti specializzati.
Le imprese del programmato, a differenza di quelle del pronto-moda, cercano di affermarsi come market-maker, elaborando idee e produzioni che anticipino le tendenze di
mercato. Evidentemente queste differenze di filosofia aziendale si riflettono sulla durata
del lead time industriale, che varia a seconda del grado di accuratezza e di complessità
delle produzioni e del grado di propensione al rischio del management. In questo caso il
principale problema è la riduzione dei tempi di consegna ai dettaglianti.
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
38
cominciano da tre a sei mesi prima dell’inizio della stagione di vendita, in
modo da acquisire la disponibilità di circa il 65% del fabbisogno di tessuti,
subordinando la definizione della restante parte agli andamenti di mercato.
li a
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4000
3500
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
Figura 3.1: Fatturato (anno 2005) dei principali operatori del pronto moda.
Fonte: nostra elaborazione su dati della Camera di Commercio di Prato.
Gli ordini di prodotti finiti, realizzati per intero da fornitori esterni al
gruppo, si effettuano: per un 15-20% del totale da tre a sei mesi prima dell’inizio della stagione, per un più consistente 50-60% all’inizio della stagione,
per poi completarsi durante le vendite al consumo, al fine di ridurre in modo
sostanziale il ’rischio moda’. Allo stesso modo, anche la parte predominante
della collezione confezionata internamente (circa l’85%) è prodotta sulla base
degli andamenti delle vendite.
Per quanto concerne, invece, le consegne ai punti di vendita, ad inizio stagione si spedisce la cosiddetta ’collezione base’, pari al 15-20% dell’offerta
complessiva collocata solitamente sul mercato, che poi viene continuamente
revisionata ed integrata con straordinaria rapidità sulla base delle informazioni commerciali raccolte ’world wide’ dai negozi della rete. Grazie a
questa ’ricetta’, si riesce a comprimere in modo rilevante la quantità di
prodotto venduta a prezzi scontati durante il periodo dei saldi. La compressione dei tempi di approvvigionamento dipende dalla capacità di governo dell’intera catena di fornitura, che consente all’azienda di ’riassortire’
- apportando anche delle piccole modifiche, se necessario - un prodotto di
successo a marchio Zara in due settimane, ovvero di lanciare sul mercato un
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
39
articolo di nuova ’creazione’ in non più di cinque settimane.
Le fasi di progettazione e disegno dei capi e di approvvigionamento materiali e prodotti finiti competono al ’Dipartimento Commerciale’, costituito da tre unità operative (’Disegno’, ’Prodotto’ e ’Acquisti’), che lavorano
in maniera integrata per gestire al meglio l’evoluzione delle tendenze della
moda, la risposta commerciale delle scelte di assortimento e la catena di
fornitura. Le attività del personale responsabile del design si compongono
delle seguenti fasi:
1. disegno e styling dei capi con scelta degli abbinamenti tessuto, colore
ed accessori (ricerca stilistica);
2. rielaborazione computerizzata dei ’bozzetti’ per lo sviluppo puntuale
di taglie e modelli (industrializzazione);
3. realizzazione dei prototipi per ciascun modello (prototipia).
Le fonti d’ispirazione dei designer di Zara sono quelle classiche degli specialisti del pronto moda (servizi fotografici delle più note fiere mondiali di
settore, riviste di moda, ecc.), cui si aggiungono le informazioni raccolte
quotidianamente all’interno dei punti vendita della rete.
Queste ultime sono preziose anche per il lavoro degli addetti al prodotto, che
hanno il compito di analizzare il grado di successo delle collezioni e di stimolare gli altri Queste ultime sono preziose anche per il lavoro degli addetti
al prodotto, che hanno il compito di analizzare il grado di successo delle
collezioni e di stimolare gli altri componenti dello staff commerciale affinché
studino e implementino tempestivamente gli aggiustamenti e le integrazioni
più opportune sulla base degli andamenti di mercato.
Nell’approvvigionamento dei tessuti gioca un ruolo fondamentale Comditel,
società con sede operativa in Spagna, di cui Inditex è proprietaria al 100%,
che soddisfa circa il 45% del fabbisogno di tessuto finito e gestisce, in esclusiva per il gruppo, le seguenti attività: acquisto materie prime (principalmente
filo) e trasformazione in tessuto, acquisto di tessuto non finito, tintura, stampa e rifinitura (con il supporto di Fibracolor, leader europeo nel settore, di
cui Inditex è proprietaria al 39%). La restante parte degli acquisti di tessuto proviene da fornitori esterni al gruppo, localizzati in massima parte in
Europa (95%) ed in misura marginale in Asia (4%) e America centrale (1%).
La produzione interna si concentra essenzialmente sugli articoli a più elevata
rotazione, e su quelli con maggior rischio moda, per i quali sono stati effettuati gli investimenti di Ricerca e Sviluppo più rilevanti e che rappresentano
i capisaldi della politica di caratterizzazione della brand image del gruppo.
Dall’analisi dei dati riportati nella tabella 3 emerge una tendenza a ridurre
la percentuale di lavorazioni ’in house’ a favore delle gestioni terziarizzate, in
parte spiegabile osservando i mutamenti della struttura delle collezioni, che
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
40
evidenziano un orientamento aziendale nella direzione di un irrobustimento
della componente ’basic’ della gamma di vendita.
L’assemblaggio dei capi viene gestito affidando il lavoro ad una fitta rete di
laboratori esterni, localizzati in prevalenza in Spagna e Portogallo, dotati di
un organico medio di 40-50 persone, cui il Gruppo Inditex fornisce i supporti tecnologici e logistici necessari per ottimizzare tempi di consegna e livelli
qualitativi delle lavorazioni, che vengono comunque controllate e perfezionate (attraverso le attività di stiro, etichettatura) internamente.
La funzione logistica ricopre un ruolo fondamentale nell’àmbito del mix di
risorse, che contribuiscono a creare il vantaggio competitivo e il successo di
Zara. Tutto ruota intorno alla grande piattaforma distributiva di La Coruña,
che rappresenta l’hub primario nel quale si concentrano sia i prodotti provenienti dagli stabilimenti del Gruppo sia quelli realizzati da fornitori esterni
(con poche eccezioni) che vengono poi essere smistati in tutto il mondo.
Sul piano operativo, il lay-out del ’magazzino’ è diviso in due parti: una
destinata alla merce ’piegata’ (maglie, camicie, ecc.) e l’altra destinata ai
capi ’appesi’ (giacche, cappotti, ecc). La struttura dispone di sorter automatici adibiti allo smistamento dei prodotti ’stesi’ - suddivisi e collocati
’a scaffale’ per tipologia, modello, taglia e colore - che vengono inviati alle
macchine all’interno di appositi contenitori movimentati all’interno del magazzino mediante nastri trasportatori. In pratica, il sorter attinge allo stock
per comporre e confezionare, con la massima velocità e precisione, gli ordini di merce da inviare ai negozi che - ad eccezione della spedizione ’prestagionale’ concepita ed implementata seguendo una logica di tipo push vengono alimentati ’on demand’, con cadenza regolare e prestabilita (due
volte a settimana; martedı̀ e venerdı̀ in alcuni paesi, mercoledı̀ e sabato in
altri), con un lead time medio di consegna di 24- 36 ore in Europa e di
24-48 ore nel resto del mondo. La base logistica di Inditex movimenta ogni
settimana oltre 2 milioni di capi, in larga maggioranza gestibili utilizzando tecnologie che permettono di raggiungere elevati standard di efficienza
e di velocità. Naturalmente, anche la logistica in entrata del centro di distribuzione assume un’importanza fondamentale per assicurare regolarità al
flusso a valle verso i punti di vendita; a tal riguardo la programmazione
delle attività di produzione ha come obiettivo proprio la costituzione e il
mantenimento di livelli di giacenza adeguati in termini sia quantitativi sia
assortimentali.
3.3
CIA diffusione
La CIA Diffusione è uno dei più importanti gruppi di distribuzione di moda
nel centro Italia. Conta nove punti vendita: Viterbo (5000 mq), Roma (2000
mq), Grosseto (2000 mq), Terni (1200 mq), Foligno (1200 mq), Orvieto (600
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
41
mq) e Civitavecchia (600 mq), nei quali operano più di 100 dipendenti tra
personale dirigente e addetto alle vendite.
Il suo particolare modello di gestione, basato sulla continua innovazione della logistica, del trattamento dati aziendali e formazione del personale, hanno
permesso una veloce espansione sul territorio.
Rilevante è il valore aggiunto derivante dall’ottima reputazione che la Cia
Diffusione vanta tra i propri clienti e, a livello nazionale, tra i propri fornitori. Un notevole vantaggio competitivo è rappresentato dalla politica
aziendale dei prezzi, mirante a mantenere alti livelli di qualità del prodotto
a un prezzo inferiore a quello della concorrenza.
Obiettivo primario è l’ottenimento di profitti non attraverso la leva dei prezzi
alti o, comunque, attraverso ricarichi elevati, bensı̀ per mezzo di una incessante valorizzazione dei fattori produttivi interni (capitale umano e innovazione del capitale fisico). Una commessa, infatti, può contribuire in misura
rilevante al fatturato aziendale se si investono risorse sulla sua formazione
commerciale e umana. Per questo motivo la Cia Diffusione ha instaurato un’intensa collaborazione con docenti universitari al fine di proporre ai
propri dipendenti corsi interni all’azienda non solo dedicati alla formazione
di tipo commerciale, ma anche a quella culturale in genere coinvolgendo i
dipendenti in discussioni e problematiche che possono riguardare la gestione
dell’azienda3 .
La Cia Diffusione ha sperimentato un’importante crescita del fatturato (più
del 100%) negli ultimi anni, dai 6.500.000 euro del 2000 ai 18.000.000 del
2007.
Anche se buona parte dell’incremento è attribuibile all’apertura di nuovi
punti vendita, molto ha contribuito il modello di business di Cia Diffusione,
che si contraddistingue per l’elevato grado di coinvolgimento nella propria
attività dei fornitori.
L’idea è quella (già ampiamente adottata da Zara) di adattare l’offerta, nel
minor tempo possibile, ai desideri del cliente. Per Cia Diffusione il tempo è
il fattore principale da considerare, prima dei costi di produzione.
Non esistendo una vera e propria integrazione verticale, dato che, comunque,
i fornitori rimangono ditte indipendenti, la Cia Diffusione ha pensato di
creare una sorta di integrazione basata non sull’acquisizione di attività produttive, bensı̀ sull’instaurazione di rapporti con i propri fornitori fondati
su:
1. fiducia assoluta;
2. flusso continuo di informazioni sulle tendenze della moda e sui volumi
di vendite.
3
Alcuni corsi hanno riguardato la certificazione oeco-tex dei capi di abbigliamento;
altre lezioni invece si sono concentrate sull’approfondimento di tematiche economiche e
ambientali di interesse per l’azienda.
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
42
La fiducia permette di ridurre notevolmente i costi di gestione degli acquisti,
del settore commerciale, del controllo qualità, assicurativi e di approvvigionamento4 .
Tuttavia è nella gestione delle informazioni che risiede il fulcro del vantaggio competitivo della Cia. Il successo delle collezioni, infatti, risiede nella
capacità di riconoscere e assimilare i costanti cambiamenti di tendenza della moda, disegnando nuovi modelli che rispondano ai desideri dei clienti.
Per questo motivo la Cia Diffusione si è dotata di un ufficio specifico nel
quale alcuni incaricati effettuano un continuo monitoraggio sia delle ultime
tendenze della moda che delle effettive richieste dei clienti, informando poi
tempestivamente i fornitori.
Cia Diffusione sfrutta cosı̀ la flessibilità del proprio modello di business per
adattarsi ai cambiamenti che si possono verificare durante le campagne e, in
questo modo, rispondere a questi cambiamenti con nuovi prodotti presentati
in negozio prima possibile. Il punto vendita non è la fine del processo bensı̀
l’inizio, diventando un terminale di raccolta delle informazioni che alimenta
i team di design dei fornitori.
Cia Diffusione considera le variabili sociali e ambientali un asset strategico
della propria gestione. La crescita sostenibile è un valore condiviso a livello
interno e che l’azienda estende ai propri fornitori. Tutte le operazioni di Cia
Diffusione si svolgono in base a un prisma etico e responsabile, che implica
interventi in vari ambiti come quello della garanzia sulla innocuità per la
salute e sulla sicurezza dei prodotti, il controllo della catena di fornitura e
il rapporto con l’ambiente sociale di riferimento, ponendo attenzione all’implementazione del capitale sociale.
La componente ambientale è sempre stata presente nell’attività di Cia Diffusione. Questa politica è stata sistematizzata negli ultimi anni mediante un
sistema di gestione ambientale elaborato all’interno e adattato alle esigenze
del proprio modello commerciale, con una valutazione periodica dell’impatto
potenziale dell’attività in materia di biodiversità e ambiente naturale. A tal
proposito si è pensato di rendere il punto vendita di Viterbo autonomo in termini energetici, dotandolo di un sistema di pannelli fotovoltaici della potenza
di quasi 100.000 kW. A questo progetto, ormai in fase di realizzazione, se ne
sta aggiungendo un altro che punta alla realizzazione di appositi spazi nei
punti vendita dedicati a capi di abbigliamento biologici.
4
Molti fornitori, infatti, aspettano il pagamento dell’ultimo ordine prima di inviare
altra merce. Per molti fornitori, quindi, esiste una sorta di castelletto, al di sopra del
quale si attende un rientro del cliente prima di evadere un nuovo ordine.
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
3.4
43
Considerazioni conclusive
Il business della moda rappresenta senza dubbio un ambito applicativo da
cui gli studiosi di management possono trarre insegnamenti e spunti di riflessione preziosi. Innanzi tutto, il vantaggio competitivo si basa sul tempo e
sul know-how, rendendo sempre più importante l’integrazione tra i processi
di gestione delle attività di marketing e di produzione. In particolare, le
analisi sulle dinamiche del settore, accompagnate da un approfondimento
specifico sulle peculiarità e sulle esperienze degli operatori prontisti cosiddetti ’puri’, hanno permesso di evidenziare, oltre alle indubbie potenzialità
delle organizzazioni più marcatamente orientate a seguire ’just in time’ le
tendenze del mercato, anche le principali problematiche ’strutturali’, tipiche
(con le dovute eccezioni) di queste tipologie aziendali. Tali problematiche
sono richiamate sinteticamente nei punti elencati di seguito, la cui comprensione è fondamentale per valutare appieno i limiti che ne condizionano lo
sviluppo:
1. Bassa qualità dei prodotti (tessuti non esclusivi, rifiniture approssimative, vestibilità incostante).
2. Incoerenza tra scelte di posizionamento, brand image e caratteristiche
costruttive del prodotto (accade spesso che le proposte deludano le
aspettative dei consumatori).
3. Scarsa personalità nelle collezioni (sforzo creativo volto a caratterizzare
l’offerta, modesto o completamente assente).
4. Produzione continuamente ’in affanno’ ed ’in lotta’ con terzisti non
sempre all’altezza, reclutati sovente solo a ridosso dei momenti di necessità che, al più, rispondono al bisogno di flessibilità dell’impresa,
ma non garantiscono prestazioni affidabili.
5. Presenza di ’buchi’ nell’assortimento, con riferimento sia alle varianti
di prodotto sia ai quantitativi in giacenza, causati da carenze culturali
nell’area della programmazione e gestione degli approvvigionamenti e
del manufacturing.
6. Fenomeni diffusi di insoddisfazione registrati in capo ai dettaglianti,
specie se legati da rapporti di franchising: essi sono dovuti proprio
all’incapacità di molti prontisti di assicurare la necessaria stabilità ed
equità nella gestione dei rifornimenti alla rete di vendita.
A tal riguardo, si è avuto modo di rilevare che cresce il numero delle imprese
la cui politica industriale e commerciale viene impostata seguendo modelli
di gestione ibridi; proliferano, infatti, le sperimentazioni manageriali basate
CAPITOLO 3. STUDIO DI CASI
44
sulla combinazione delle logiche del ’pronto’ e del ’programmato’, finalizzate ad individuare la ricetta più appropriata per fronteggiare le difficoltà
derivanti dalla ricerca del ’compromesso vincente’ tra styling (tendenza e
innovazione di prodotto) e qualità.
La politica aziendale di Zara, simile per molti aspetti a quella adottata dalle
imprese del pronto-programmato, si fonda essenzialmente su una struttura
operativa integrata, che consente di controllare l’intera filiera produttiva e
di rinnovare parte dell’offerta anche due volte a settimana. La produzione
interna si concentra essenzialmente sugli articoli con maggior rischio moda,
che rappresentano i capisaldi della politica di caratterizzazione della brand
image del gruppo.
In sostanza, la ’formula magica’ del successo di questa realtà, divenuta
oramai famosa in tutto il mondo, prevede:
1. uno stretto controllo (in prevalenza proprietario) della rete di vendita
al dettaglio, fondamentale per potere ottenere i vantaggi della scala
dimensionale elevata nella produzione e per monitorare ’in tempo reale’
le risposte di mercato alle proposte commerciali;
2. un dosaggio sapiente di elementi di standardizzazione dell’offerta (la
collezione base) e di efficiency development, abbinati a significative
integrazioni progettate, realizzate e distribuite in tempi rapidissimi,
grazie soprattutto al contributo determinante - sul piano della gestione
del rischio operativo e di mercato - della riserva di capacità produttiva
interna e dei negozi diretti.
Capitolo 4
I vantaggi della filiera
integrata
4.1
La doppia marginalizzazione
La strategia adottata da Zara si basa principalmente sul controllo totale
della filiera di produzione; dall’ottenimento delle materie prime, alla loro
lavorazione alla creazione del prodotto finito fino alla sua commercializzazione. Si tratta di una strategia che richiede notevoli doti organizzative
e di gestione, ma che produce incredibili benefici in termini di profitto e
di benessere del consumatore. A prima vista può sembrare strano che il
consumatore possa trarre giovamento da una cosı̀ marcata concentrazione
del potere di controllo di una singola azienda; in realtà l’integrazione della
filiera permette di evitare il manifestarsi del fenomeno di ’doppia marginalizzazione’ (Spengler 1950) consistente in una concatenazione di mark-up
dovuti ai continui ricarichi sul prezzo fatti dagli intermediari indipendenti.
Di seguito è sviluppato un semplice modello che mostra i vantaggi in termini
di profitto e surplus del consumatore derivanti dall’integrazione della filiera.
Consideriamo una filiera semplicissima (ma il discorso resta valido per filiere
ben più lunghe) formata da un produttore a monte e un rivenditore a valle
(figura 4.1).
Il produttore ha un costo marginale pari a c < 1 e vende al rivenditore ad
un prezzo q. Il rivenditore vende ai consumatori al prezzo p. La funzione di
domanda è q = 1 − p.
Per verificare i benefici dell’integrazione verticale procediamo calcolando
dapprima i profitti senza integrazione poi quelli con integrazione. Verifichiamo che questi ultimi risultano maggiori dei primi.
45
CAPITOLO 4. I VANTAGGI DELLA FILIERA INTEGRATA
46
c
Produttore
g
Rivenditore
p
Figura 4.1: Modello di filiera con un solo produttore e un solo venditore.
4.1.1
Profitti senza integrazione della filiera
Si tratta di risolvere un gioco dinamico à la Stakelberg1 attraverso il metodo dell’induzione all’indietro, cioè iniziando da problema del rivenditore per
passare poi a quello del produttore.
Il dettagliante risolve
maxp (1 − p) (p − g) .
Dalla massimizzazione si ottiene p = 1+g
2 . La domanda del bene finale (e
quindi quella del bene intermedio) sarà q = 1−g
2 e il profitto del rivenditore
2
Πr = 1−g
.
2
Il produttore invece risolve
1−g
maxg (g − c)
2
da cui deriva g = 1+c
2 .
Con le opportune sostituzioni otteniamo la somma dei profitti del produttore
((Πpr ) e del rivenditore, che corrisponde ai profitti della filiera non integrata:
Πni = Πpr + Πr =
Il prezzo finale è p =
3
(1 − c)2 .
16
3+c
4 .
1
Il modello descrive forme di rapporto tra un leader (produttore) e un follower
(rivenditore).
CAPITOLO 4. I VANTAGGI DELLA FILIERA INTEGRATA
4.1.2
47
Profitti con integrazione della filiera
Consideriamo ora il caso in cui ci sia perfetta integrazione della filiera. Produttore e rivenditore, in pratica, costituiscono un unico soggetto che massimizza i profitti avendo come dati i costi marginali c.
Il problema diventa
maxp (1 − p) (p − c)
2
(1−c)
dal quale si ricava p = 1+c
2 e Πin =
4 . Si vede subito che Πin > Πni
; dunque l’industria integrata ottiene un profitto maggiore di quella non
integrata. Inoltre il prezzo al consumo nel caso di integrazione è inferiore,
producendosi cosı̀ un aumento del surplus del consumatore.
4.2
Il fenomeno del free-riding
Accanto all’esternalità verticale tra un produttore e i rivenditori che commercializzano i suoi prodotti, di frequente esistono altre esternalità, quelle
orizzontali tra rivenditori, che determinano un esito inefficiente dal punto di
vista dell’intera struttura verticale. Un esempio di tali esternalità riguarda
il livello (e la qualità) dei servizi offerti dai rivenditori. Se un rivenditore non
può appropriarsi completamente di tali servizi (ossia, se esistono spillovers
che beneficiano anche altri rivenditori, i quali trattano la stessa marca),
allora i servizi diventano un bene pubblico, rispetto al quale i rivenditori
si comportano in modo opportunistico (cioè da free-riders). Tale atteggiamento si traduce in una sottofornitura dei servizi, a scapito dei profitti del
produttore. Ancora una volta, quindi, l’integrazione verticale può aiutare
il produttore a risolvere questo problema di esternalità. Per comprendere
il problema (sollevato per la prima volta da Telser [1960]), si consideri il
seguente esempio. Ipotizziamo che in una città operino alcuni negozi che
vendono un dato prodotto. Al fine di far aumentare l’interesse del consumatore nei confronti di tale prodotto, i vari negozi possono intraprendere
diverse attività. Ad esempio, essi possono assumere del personale che assista
i consumatori nel corso dei loro acquisti, rispondendo alle loro domande, spiegando le caratteristiche del prodotto e cosı̀ via. Molte di queste attività
possono rendere il potenziale cliente più propenso ad acquistare quella particolare marca, ma non necessariamente presso il negozio che tali attività
sta esercitando.
Supponiamo, inoltre, che alcuni rivenditori concorrenti siano localizzati molto
vicino uno all’altro e che per il consumatore non sia eccessivamente costoso,
rispetto al valore del bene, effettuare una piccola ricerca, prima del suo acquisto.
In un contesto simile, ogni negozio rifletterà a lungo prima di investire in un
significativo sforzo per commercializzare la marca: un qualsiasi negozio concorrente vicino potrebbe avere l’incentivo a evitare il costo di queste attività,
CAPITOLO 4. I VANTAGGI DELLA FILIERA INTEGRATA
48
comportandosi in modo opportunistico nella fornitura dei servizi e offrendo
lo stesso bene ad u prezzo inferiore (avendo costi più bassi). Potrebbe verificarsi, infatti, che un consumatore visiti dapprima il negozio che offre un
servizio aggiuntivo, qui prenda tutte le informazioni necessarie, ma poi compri al negozio che vende lo stesso prodotto al prezzo più conveniente. Ogni
negozio anticiperà questa eventualità e sarà restio a fornire questi servizi.
Come situazione limite, se i servizi offerti dai rivenditori vanno a vantaggio
soltanto della marca, senza che essi possano appropriarsene e se i negozi
sono sufficientemente vicini, allora può succedere che non sia fornito alcun
servizio aggiuntivo. Questa situazione sarà subottimale sia per il produttore,
dal momento che la sua marca non sarà supportata da servizi alla vendita,
sia per i consumatori, i quali non riceveranno delle informazioni cui essi assegnano un elevato valore.
L’integrazione verticale consentirebbe di superare il problema dell’esternalità orizzontale che abbiamo descritto: se il produttore possedesse i negozi,
esso prenderebbe in considerazione l’esternalità che ognuno di essi impone
all’altro e impedirebbe che i direttori dei punti vendita taglino i prezzi e
riducano il livello dei servizi forniti.
4.2.1
Un modello di fornitura subottimale dei servizi
Si consideri un mercato in cui operano un’impresa a monte che produce un
bene al costo marginale costante c e due imprese a valle che debbono scegliere
quale livello di sforzo (servizi) offrire, per vendere la marca dell’impresa a
monte, competendo sui prezzi e senza sopportare costi marginali aggiuntivi
a parte il prezzo all’ingrosso w pagato al produttore.
Ipotizziamo che i servizi incrementino la qualità percepita della marca, ma
non possano essere appropriati dal rivenditore che li fornisce. La qualità
percepita della marca è data da
u=v+e
dove il livello di sforzo è e = e1 + e2 , cioè la somma degli sforzi (servizi)
offerti dalle due imprese. In assenza di un qualsiasi sforzo avremo u = v,
che è il livello base di qualità percepita dai consumatori. La struttura dei
costi dei rivenditori è rappresentata da
C = wq + e2i
Si noti che stiamo assumendo che il costo dei servizi sia fisso, ovvero
indipendente dal numero delle unità vendute. Questa ipotesi corrisponde, ad
esempio, al caso in cui i servizi sono rappresentati dalle spese pubblicitarie.
La domanda dei consumatori è rappresentata da
CAPITOLO 4. I VANTAGGI DELLA FILIERA INTEGRATA
49
q = (v + e) − p
con v che aumenta di e quando viene offerto un servizio aggiuntivo di
qualità superiore al livello standard. Il fatto che le imprese a valle competano
nei prezzi elimina il problema della doppia marginalizzazione (dal momento
che tra di essi la concorrenza è alla Bertrand con prezzi finali uguali ai costi
marginali) e fa sı̀ che l’unica esternalità presente in questo semplice modello
sia il fenomeno del free-riding nella fornitura di servizi. Ciò accade perché,
per ipotesi, i rivenditori non riescono a differenziarsi attraverso l’uso dei
servizi che essi offrono e quindi sono visti dai consumatori come perfetti
sostituti. Consideriamo, innanzitutto, il caso in cui vi è separazione tra
l’impresa a monte e quella a valle, per poi passare al caso di integrazione
verticale.
Separazione
Se i due rivenditori competono sui prezzi, l’unico equilibrio del gioco è quello
in cui p1 = p2 e e1 = e2 = 0. Dal momento che esiste un’esternalità totale
nell’offerta di servizi, un rivenditore non riesce a differenziarsi dall’altro,
qualunque sia il numero ed il livello di servizi proposto ai consumatori. Di
conseguenza, una concorrenza à la Bertrand implica che i prezzi eguaglino
il costo marginale (ossia il prezzo all’ingrosso w). Tuttavia i rivenditori
conseguono profitti nulli e, per tale ragione, essi non saranno in grado di
coprire il loro costo di fornitura della qualità. In un simile scenario, quindi,
non sarà possibile sostenere nessun equilibrio con e > 0. L’impresa a monte
anticiperà correttamente che il prezzo finale sarà p = w e che la domanda
finale sarà q = v − w . Il suo problema, dunque, è quello di massimizzare i
profitti π = (w − c) (v − w), che è risolto per w = (v + c) /2. Ne consegue
che il surplus dei produttori, dei consumatori e il benessere sociale sono dati
rispettivamente da:
PS = π =
(v − c)2
4
CS =
(v − c)2
8
W =
3 (v − c)2
.
8
Integrazione verticale
Consideriamo adesso il caso in cui l’impresa a monte e i due rivenditori
siano integrati poiché, ad esempio, il produttore ha acquisito il controllo di
maggioranza delle due imprese a valle. L’obiettivo dell’impresa integrata
verticalmente è:
maxp,e1 ,e2 πiv = (p − c) (v + e1 + e2 − p) − e21 − e22 .
Risolvendo il sistema delle tre condizioni del primo ordine:
CAPITOLO 4. I VANTAGGI DELLA FILIERA INTEGRATA
∂πiv
= p − c − 2ei
∂ei
50
(i = 1, 2)
∂πiv
= v + e1 + e2 − 2p + c = 0
∂p
si ottengono le seguenti soluzioni: e1 = e2 = (v − c) /2; p = v. Ogni
rivenditore venderà q = (v − c) /2 . Andando a sostituire, ricaviamo le
espressioni del surplus dei produttori, del surplus dei consumatori e del
benessere sociale:
P Siv = πiv =
(v − c)2
2
CSiv =
(v − c)2
2
Wiv > W.
Ancora una volta Ancora una volta l’integrazione verticale è più efficiente, poiché Wiv > W . In questo esempio l’integrazione verticale permette di controllare l’esternalità orizzontale che esiste tra rivenditori e che è
causa per la struttura integrata di una fornitura subottimale di servizi.
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