Il lavoro, croce e delizia dell`umanità

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[PREVIDENZA]
Un breve viaggio nella storia e nel significato della libera professione
Il LAVORO, croce e delizia dell’umanità
MARIO SCHIAVON*
All’art. 1 della Costituzione italiana si legge: “L’Italia è una repubblica fondata sul
lavoro”. Poco oltre, il secondo comma dell’art. 3 recita: “ È compito della Repubblica italiana rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di
fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di
tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Definisce l’art. 4: “La Repubblica riconosce a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
È questo il solenne riconoscimento che i
costituenti italiani fra il 1946 e 1947 diedero al concetto di lavoro, dimostrando
per questo e per gli altri principi di aver
saputo ben rappresentare i fondamenti sui
quali nella storia dell’uomo, da sempre, si
regge la vita sociale. Ancor di più questo
vale per il lavoro se, come suggeriscono i
più importanti linguisti, il lavoro spesso
viene usato come sinonimo della vita umana al punto che non è necessario alcun
concetto teorico per definirlo. Infatti, gli
studiosi delle società primitive e antiche
osservano che ai primordi della storia della esistenza umana la distinzione non viene fatta tra lavoro e non lavoro, bensì soltanto fra il sonno e la veglia perché essere desti significava di fatto lavorare. Solo
più tardi, con l’affermazione di modelli di
vita alternativi come quelli monastici, l’esser desti prese ad indicare le azioni specifiche che si richiedevano all’uomo, ad
esempio quelle del monito benedettino
“ora et labora!”.
Gradualmente nelle comunità medievali
e rinascimentali, alla preghiera e al lavoro si sono andate aggiungendo altre attività e il lavoro si è specializzato, suddiviso fra più persone, organizzato, affiancato da mezzi e da strumenti tecnologici: il
suo significato, però, non è mutato da
quello di azione intenzionale, compiuta
dalla persona con un certo dispendio di
tempo e di energia, rivolta a modificare
oggetti e simboli onde trarne una certa
utilità per sé o per altri. La sua differenziazione ha favorito comunque anche analisi di diversa aspirazione. Ecco quindi, intendere il lavoro in senso morale come
espiazione delle colpe terrene, politico-so-
ciale come condizione di reciprocità per
l’appartenenza della persona alla società,
antropologico come tratto distintivo del genere umano, organizzativo-aziendale come
condizione di scambio nell’ambito del sistema economico.
Tutte queste diverse interpretazioni sono
state approfondite soprattutto in quella
che comunemente è definita l’età moderna e che si fa convenzionalmente partire
dall’evento della scoperta dell’America: l’incontro di altre culture e stili di vita, i cambiamenti delle dimensioni dello spazio e
del tempo hanno prodotto fenomeni sociali di tale portata da trasformare anche
il significato del lavoro. In primis, il lavoro
stesso subisce tali trasformazioni rispetto
al passato da far valutare negativamente
gli effetti che se ne produssero. Fra questi
effetti si annovera quello del sistema gerarchico che viene a porre nelle comunità in rapporto di subordinazione gli operai, ossia coloro che dispongono della sola forza-lavoro e non anche di quella del
capitale necessaria alla professione, al punto da strutturare conseguentemente la società. Certamente, dall’evidenza di questi
processi”…di disparità di condizione e di
ineguale coltivazione della mente (…) che
risulta dalla varietà di impieghi e di applicazioni che separano gli uomini in uno stadio avanzato delle arti commerciali”, come
notava nel 1767 Adam Ferguson, si producevano sempre più forti aneliti ad una condizione “libera” del lavoro. Il processo di
industrializzazione che si stava affermando in quei tempi poteva favorire un deciso miglioramento delle capacità produttive e della creatività scomponendo le professioni in tante distinte operazioni come
scriveva un altro Adam, Smith, qualche anno più tardi. La creatività, però, poteva pericolosamente trasformarsi nel suo opposto, nella negazione della libertà decretata da quelle macchine che dalla tecnologia dovevano migliorare la qualità del lavoro. Dapprima i luddisti, operai specializzati che cominciano a distruggere le
macchine e, poi, il 1842 con il primo sciopero generale della storia, rappresentarono il punto più alto del malcontento popolare per le durissime condizioni che il
lavoro meccanizzato e alienante della fabbrica li costringevano a subire. Sebbene è
del 1847 la prima legge promulgata dal
Parlamento inglese per la limitazione a dieci ore giornaliere del lavoro, solo 1867 è
datato il manifesto sulla divisione del lavoro e sulla lotta fra operaio e macchina
che stava progressivamente soppiantando
il talento e la libertà del primo con il perfezionamento della seconda: Il Capitale. Il
lavoro, così, andava assumendo nel XIX secolo, con la cosiddetta modernità, una centralità assoluta: per sociologi come Durkheim era il fattore principale di solidarietà all’interno della società, mentre per industriali come Frederich Winslow Taylor
un mix di programmazione, preparazione,
esecuzione, fasi di un processo lavorativo
a catena che dominerà fino almeno alla
metà del secolo XX attraverso la nascita
delle grandi fabbriche, come Ford, Renault
o Fiat, la mimica espressiva di un Charlie
Chaplin in Tempi Moderni o la fierezza impressa nella celeberrima tela di Pelizza da
Volpedo. Questi tratti storici sono essenziali per capire cosa è il lavoro oggi, quale il suo rapporto con il principio di libertà
che i costituenti italiani sancirono proprio
alla metà del secolo scorso a modello per
tanti altri ordinamenti contemporanei. Fra
le tante descrizioni che fino ad oggi tratteggiano i principali fenomeni del lavoro
ci piace ricordare quella del pensatore francese Alain Touraine che proprio nella libertà riconosce un fattore essenziale per
distinguere le professioni. E lo fa in senso
costruttivo. Infatti, ricordando che dapprima il lavoro era costituito interamente
dalle abilità dell’uomo, le sole necessarie
per realizzare un prodotto, e che, successivamente le macchine sono assurte al ruolo di produzione specializzata, riducendo
l’uomo a servirla con una serie reiterata di
operazioni elementari, Touraine sottolinea
l’importanza della successiva automazione per ricomporre una certa unità del lavoro al livello della macchina.
che del quinario, i cosiddetti “liberi professionisti”. Si viene qui a ricomporre il binomio “costituzionale” di lavoro e libertà,
la cui validità universale non passò sottaciuta, paradossalmente, neanche agli ideatori di un luogo di lavoro perverso quale
era il campo di lavoro forzato, poi lager, di
Auschwitz alla cui entrata campeggiava il
motto “Il lavoro rende liberi”. Indubbiamente, il lavoro è …croce e delizia dell’umanità. È quel fattore che da sempre produce gli elementi della cultura materiale
e non materiale, accrescendo così le distanze fra l’uomo e gli animali. È il fattore
di maggiore trasformazione dell’ambiente
naturale, ma anche di quello artificiale, così modificando incessantemente le condizioni dell’esistenza umana. È il principale
elemento su cui si fondano i rapporti sociali e grazie a cui si formano collettività,
gruppi, organizzazioni, integrazioni. È fattore di orientamento, significato, identità
della vita individuale in quanto concorre
a proteggere, sviluppare, umanizzare l’esistenza umana. È motivo di scontro e confronto fra bisogni e valori di diversi gruppi sociali. È spesso elemento complementare al tempo libero in cui gli individui sono portati a cercare le gratificazioni che il
lavoro nega. Quale presidente di un ente
previdenziale che tutela la libera professione infermieristica, da me medesimo praticata, trovo che questo breve identikit del
lavoro possa ben tracciare l’evoluzione delle abilità professionali di cui sono rappresentante. Dal “giuramento” che Ippocrate
di Cos nel V sec. A.C. pronunciò promettendo l’assistenza
Giuseppe Pelizza Da Volpedo, “Il cammino dei lavoratori”. Il quadro è più noto come
umana, oltre che
“Il quarto Stato”, immagine simbolo del lavoro nel Novecento.
medica, ai malati, fino alla missione cristiana di molti che
poi furono santi, per
arrivare all’attuale
specializzazione della professione, la
funzione sociale e
culturale della professione infermieristica è cresciuta, misurandosi oggi con
la crisi della domanEssa, infatti, incorpora le competenze tec- da e dell’offerta di lavoro, così come l’afniche occorrenti per fabbricare anche le fermazione del principio di libertà e della
parti complesse, ma l’operaio è il sorve- dignità umana. L’assistenza infermieristigliante del ciclo produttivo. Senza dubbio, ca è servizio alla persona e alla collettivile riflessioni di Touraine hanno aperto le tà e si realizza attraverso interventi specifrontiere degli studi e delle interpretazio- fici, autonomi e complementari, di natura
ni anche a forme di lavoro nuove che l’in- tecnica, relazionale ed educativa.
dustrializzazione ha portato, oltre a quel- Come recita il Codice deontologico di quela dell’operaio: gli impiegati, gli operatori
del terziario, poi del quaternario e oggi an[SEGUE a pag. 20]
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