CORSO NAZIONALE ESPERTO EDIFICIO SALUBRE
Umidità – Muffe – Materiali Salubri ed Innovativi
Responsabilità Civili, Penali e Disciplinari
Storia dell’Abitazione a Roma: Domus, Insulae e Villae
Sviluppo di un Caso di Studio
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
AUTORI:
Geom. ALICE PAGNETTI
nata a Fano (Pu) il 05.10.1984
Iscritta al Collegio dei Geometri di Pesaro-Urbino al n. 1904
Via 2 Giugno, 14 – 61037 Mondolfo Fraz. Marotta (PU)
[email protected]
Ing. VITTORIO ASCARI
nato a Modena (Mo) il 27.09.1956
Iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Modena al n. 1092
P.za Tien An Men, 9– 41049 Sassuolo (MO)
[email protected]
Geom. ANDREA GROSSI
nato a Vimercate (Mi) il 20.06.1969
Iscritto al Collegio dei Geometri di Milano al n. 11019
Via Mincio, 24 – 20139 Milano
[email protected]
Geom. DANIELE BERTON
nato a Lido di Venezia (Ve) il 28.07.1977
Iscritto al Collegio dei Geometri di Venezia al n. 2547
Via Fausta, 458 – 30013 Cavallino-Treporti (VE)
[email protected]
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
Il concetto di casa si è evoluto nel tempo, parallelamente allo sviluppo culturale e
tecnologico della società, generalmente legato agli strati sociali, che nel passato, anche non
tanto lontano nel tempo, rappresentavano un diversissimo livello culturale ed economico.
La “casa”, passata da un semplice e spesso occasionale riparo dagli agenti atmosferici,
ad una struttura di facile e rapido assemblaggio, che seguiva l’uomo nel suo migrare, è
arrivata fino ad un complesso sempre più articolato di vari componenti strutturali ed
impiantistici volti a creare un ambiente sempre più confortevole per l’uomo.
Siamo gradatamente passati, da una vita dell’uomo che si svolgeva essenzialmente
all’aperto con un uso limitato della “casa”, a vivere la maggior parte della nostra
esistenza in “casa” o in ambienti confinati con caratteristiche molto simili.
Nelle righe precedenti è stato volutamente utilizzato il termine “confortevole” invece
di “salubre”, proprio perché spesso i due concetti non coincidono.
La tecnologia ci ha reso la vita più facile ed ha consentito a tutti di poter usufruire di
tante comodità. L’industria è stata in grado di generare prodotti a prezzi accessibili,
impiegando tuttavia, anche con inconsapevolezza, materiali e sostanze che nel tempo
hanno evidenziato delle caratteristiche nocive per l’uomo, compromettendo appunto
la salubrità dei locali abitativi.
Negli ultimi anni, con l’adozione di scelte progettuali che mirano al raggiungimento
del massimo risparmio energetico, ottenuto con la costruzione di edifici sempre più
ermeticamente chiusi ed isolati, è stato purtroppo trascurato l’aspetto della salubrità
degli ambienti confinati, tanto che ormai si parla di “Sick Building Syndrome” (SBS),
dall'inglese: "Sindrome dell'edificio malato".
In sostanza stiamo creando degli edifici confortevoli a basso consumo energetico ma
che potrebbero risultare poco salubri. Le muffe, i composti organici volatici, le
polveri sottili ed altri elementi nocivi, sono problemi che possono manifestarsi molto
più frequentemente di quanto si pensi, nei locali che abitiamo.
La scienza e la medicina hanno già individuato queste problematiche e suggerito il
modo di affrontarle, al fine di tutelare in primis la salute delle persone ed evitare un
vertiginoso aumento dei costi (sanitari, civili, penali ecc…) per la collettività, derivanti
dalle cure che le persone ammalate per questi motivi, richiedono.
In questa tesina sono trattate solamente alcune delle problematiche che posso crearsi
in un ambiente confinato e che sono dannose per la salute dell’uomo, tuttavia la
consapevolezza e la conoscenza di tale situazione, appresa al Corso di Esperto
Edificio Salubre, ha trasmesso a noi progettisti un grande stimolo, affinché ci si
adoperi subito per contrastare le condizioni favorevoli allo sviluppo di tali
problematiche, ma soprattutto si diffonda sempre più la tematica per una cognizione
del problema da parte di tutta la società.
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INDICE:
Umidità
Muffe
Materiali salubri ed innovativi
Responsabilità Civili, Penali e Disciplinari
⟩
Riferimenti Legislativi
⟩
Figure Professionali coinvolte
⟩
Evoluzione Giurisprudenziale in materia
Storia dell’abitazione a Roma
⟩
Domus
⟩
Insulae
⟩
Villa
Sviluppo di un Caso di Studio
Conclusioni
Biblio/Sitografia
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
UMIDITA’
“L’umidità è uno dei fattori fondamentali del benessere ambientale: infatti,
oltre ad influire direttamente sulla sensazione di comfort percepita
dall’individuo, ha un effetto diretto anche sull’eventuale diffondersi di
patologie di tipo virale e batterico.”
L’umidità è la quantità di vapore acqueo che si trova in una determinata massa d’aria.
Le misure dell’umidità sono diverse:
L’Umidità assoluta misura la quantità, in grammi, di vapore acque in un metro
cubo d’aria. Più è alta la temperatura dell’aria e più vapore essa può contenere (è per
questo motivo che l’andamento dell’umidità assoluta media mensile ricalca a grandi
linee quello della temperatura, con un massimo nei mesi estivi ed un minimo in quelli
invernali (per esempio l’aria ad una temperatura di 20° C può assorbire al massimo
17,7 g di vapore acqueo al metro cubo, mentre ad una temperatura di 10° C ne può
assorbire al massimo 9,5).
L’Umidità specifica, è la misura più utilizzata, si riferisce al rapporto tra il vapore
acqueo e la massa d’aria che risulta umida; questa misura cambia con il variare della
temperatura e della pressione.
L’Umidità relativa invece indica la percentuale di vapore acqueo contenuto nell’aria
e la quantità massima che quella stessa massa d’aria potrebbe contenere, a pari
condizioni di pressione e temperatura. Quando l’aria risulta satura di vapore acqueo,
il vapore passa dallo stato gassoso allo stato liquido, in altre parole, viene superato il
punto di rugiada e l’umidità si condensa (formazione di pioggia, gocce di condensa sulla
parete, appannamento dei vetri).
Figura 1 - Diagramma di Carrier: Indicazione grafica del punto di rugiada
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Uno dei fenomeni più tangibili ed evidenti della presenza dell’acqua nell’atmosfera è
rappresentato dalla nebbia e dalla brina mattutina. La nebbia, infatti, consiste in una
massa di piccole goccioline d’acqua che si formano per condensazione del vapore in
prossimità della superficie terrestre quando la stessa presenta una temperatura
inferiore alla temperatura di rugiada. Per capire meglio il significato di temperatura di
rugiada bisogna sapere che in una data quantità (ad esempio un metro cubo) di aria, a
temperatura e pressione determinate e fisse, può essere presente al massimo una certa
quantità di vapore (in genere espressa in grammi) che dipende appunto dalla
pressione e dalla temperatura. Poiché, fissata la pressione, la quantità massima di
vapore che l’aria può contenere diminuisce al diminuire della temperatura, la
temperatura di rugiada rappresenta la condizione d’incipiente condensazione, in
corrispondenza della quale l’aria viene considerata satura. Ad una ulteriore
diminuzione di temperatura, l’acqua in eccesso verrebbe rilasciata dall’aria sotto
forma di acqua liquida ed il nome di temperatura di rugiada ben descrive tale processo
poiché ricorda le goccioline che si formano sulle foglioline d’erba, ossia la rugiada.
La quantità di vapore acqueo contenuta nell’aria si riduce progressivamente al
diminuire della temperatura, fino ad annullarsi del tutto a – 40° C.
La determinazione della quantità di vapore d’acqua contenuta nell’aria è di
fondamentale importanza sia per gli esseri viventi sia anche per il mantenimento,
immagazzinamento di prodotti o materiali. Anche se l’acqua presente in questa forma
gassosa nell’atmosfera intorno a noi costituisce solo una percentuale estremamente
ridotta (addirittura inferiore all’uno per cento), la sua presenza riesce a condizionare
notevolmente moltissimi fenomeni che interessano la nostra vita quotidiana. In
generale, infatti, condizioni di freddo umido incidono sul benessere dell’organismo
umano, favorendo affezioni artroreumatiche, infiammazioni delle prime vie aeree e
generando sensazioni di malessere fisiologico.
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Allo stesso modo, il caldo umido favorisce altre patologie generando una condizione
di malessere per il nostro organismo.
L’umidità, in termini pratici, è un valore che influisce molto sul nostro stato di
benessere e sulla nostra percezione della temperatura e del clima, quindi del freddo e
del caldo. La percentuale generale di umidità nell’aria varia da una zona all’altra del
mondo ed anche dell’Italia, variando tra il 30% ed il 100%, mentre risulta più bassa,
ad esempio, nei Tropici.
Il Diagramma di Olgyay (figura sopra) ci indica la zona di comfort termo-igrometrico
dove, per sintetizzare, è stato rilevato statisticamente che il 90 % delle persone
possono sopportare, ad esempio, alti tassi di umidità relativa (UR) fino ad una
determinata temperatura (T). Per rimanere all’interno della zona di comfort termoigrometrico all’aumentare della temperatura T deve necessariamente corrispondere
una riduzione dell’umidità relativa UR.
I primi riferimenti storici sulla misura dell’umidità risalgono agli anni precedenti la
nascita di Cristo. A quel tempo in Cina era stato realizzato il primo igrometro di tipo
a bilancia di cui sia abbia traccia nella storia. Risale al 1450 il primo igroscopio
descritto da Nicholas Cryfts dicendo che “se qualcuno avesse a disposizione una buona
quantità di lana, la legasse alle estremità di una bilancia e, in condizioni di aria temperata,
bilanciasse il peso della lana con delle pietre, potrebbe osservare che il peso della lana aumenta
all’aumentare dell’umidità dell’aria e diminuisce quando l’aria tende a divenire più secca”. Il
dispositivo fu poi migliorato dal nostro Leonardo da Vinci il quale, sostituendo la
lana con una spugna, gettò le basi del metodo gravimetrico di misura dell’umidità,
utilizzato dall’igrometro che attualmente rappresenta il campione nazionale di
riferimento.
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Negli ultimi anni i sensori utilizzati nella
misura dell’umidità sono stati oggetto di
approfondite ricerche e le loro prestazioni
sono state incrementate in modo rilevante.
La ricerca mirata al miglioramento dei
sensori per la misura dell’umidità è ad oggi
molto attiva ed attuale e diversi metodi di
misura e tipologia di sensori sono stati
sviluppati in funzione dei diversi campi di
applicazione.
Il rapporto tra l’acqua e gli edifici in generale è sempre stato molto difficile e
conflittuale poiché la presenza, o meglio, l’eccesso di umidità nelle costruzioni, fin
nell’antichità, ha rappresentato un serio problema per le opere, per tutto quanto viene
custodito al loro interno e per la salute degli occupanti.
La presenza eccessiva di acqua sotto forma di umidità all’interno della casa, è ormai
un problema riconosciuto anche dal punto di vista igienico e sanitario. La sua
eliminazione non è possibile, poiché qualsiasi materiale edile, stabilizza la sua umidità,
definita “fisiologica” o naturale, secondo l’umidità presente nell’aria dell’ambiente.
Questi valori oscillano nel tempo, ma si mantengono sufficientemente bassi, e tali da
non costituire un problema, né per i materiali né per le persone. Possiamo quindi
dire, pur non essendo rigorosi, che in queste condizioni il muro è “asciutto”. Ma
quali sono le cause che provocano un aumento dell’acqua all’interno della casa?
Immaginiamo l’edificio come un sistema chiuso, dove esiste la possibilità di ingresso
dell’acqua da diverse fonti, ed esiste parimenti una certa produzione di vapore acqueo
al suo interno, in relazione alle varie attività correlate con la presenza dei suoi
occupanti. Questi flussi sono per loro natura discontinui, e sono soggetti a variabilità
giornaliera e stagionale, ed a situazioni eccezionali. La regola principale è quella di
evitare che l’acqua possa entrare nella costruzione, e di far evacuare il prima possibile
quella già presente.
Da quanto sopra, si deduce che la formazione di umidità all’interno di un edificio
può derivare da diversi fattori (esterni ed interni all’edificio), di diversa natura, con
differenti cause e relative soluzioni e spesso sommati tra di loro.
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Di seguito un breve elenco delle principali cause che determinano la presenza di
umidità:
Umidità capillare ascendente dal terreno
L’umidità che si manifesta sotto forma d’impregnazione parziale dei supporti porosi
verticali, prende il nome di risalita capillare. L’umidità da risalita capillare richiama
l’immagine di una spugna che assorbe acqua: in questo caso il muro assorbe l’acqua
del terreno sul quale è fondato, provocando un
progressivo aumento di volume della muratura che, nel
tempo, potrà provocare danni estetici e strutturali.
In realtà il fenomeno della capillarità si manifesta in
tutte le direzioni, sia in orizzontale che dall’alto verso il
basso, ma essendo quasi insensibile alla gravità, lo si è
quasi sempre associato alla risalita verticale. La risalita
muraria è un fenomeno lento e progressivo, che si
manifesta quasi esclusivamente su murature antiche, di
forte spessore, sprovviste di protezione dal terreno.
Le manifestazioni che si verificano su muri recenti, di basso spessore, che poggiano
su calcestruzzo o su cemento armato, sono classificabili come “risalita secondaria”
ovvero derivante da apporti diversi. Quando è presente la risalita capillare, non è
possibile che vi sia dell’acqua liquida, poiché la fisica del fenomeno lo impedisce.
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La risalita capillare è sempre associata alla presenza di sali solubili provenienti dal
terreno dovuti all’evaporazione dell’acqua. Ma la sola presenza di sali non indica in
maniera univoca l’esistenza della risalita. Se c’è risalita, raramente sarà presente la
muffa. L’umidità di risalita favorisce la deposizione di sali sulle superfici murarie, e
questo rende l’ambiente non favorevole alla proliferazione delle muffe.
Nella foto si evidenzia la presenza di efflorescenze saline sulla parte alta della
muratura ed al suo piede. Nel primo caso si tratta di sali disciolti dall’acqua piovana
ricristallizzatisi sulle superfici esterne. Nel secondo invece, si ha un’azione combinata
della pioggia e della risalita capillare. La macchia bassa infatti è più scura ed ha una
forma più regolare. Questi elementi sono caratteristici della risalita capillare.
Esistono diversi metodi per la risoluzione di questo tipo di problema e di seguito ne
elencheremo i principali specificandone le tecniche d’esecuzione, i vantaggi e gli
svantaggi di ognuno.
Soluzione con Metodo Meccanico
Si tratta di eseguire un vero e proprio taglio meccanico nella
muratura soggetta alla problematica per poi inserire uno
strato di guaina o lastra impermeabile; è necessario poi
riempire lo strappo così creato con del materiale che sia
impermeabile e capace di resistere al carico statico imposto
alla muratura soprastante.
I maggiori svantaggi del metodo del taglio dei muri sono
però i seguenti:
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È invasivo, sporco e rumoroso (non si può fare se la casa è abitata).
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E' necessario scanalare poi ogni tipo di impianto, sia idraulico che elettrico,
per poter isolare anche queste parti.
Crea problemi d'assestamento (sopra il foglio si mettono delle zeppe e del
cemento antiritiro per poter chiudere al meglio la fuga tagliata. Tra il foglio ed
il sotto della fuga però, non c'è assolutamente niente, quindi questo foglio fa
da cuscinetto).
Non si può eseguire in zone sismiche.
Prosciugamento assente sotto il foglio isolante (l'umidità di risalita dal
terreno, trovandosi il foglio isolante come ostacolo, aumenta la sua forza,
poiché non ha più uno sfogo verso l'alto, comincia ad uscire all'altezza del
battiscopa e del pavimento con maggiore intensità.
Viene così a crearsi uno scompenso ai piedi della muratura e una condensa
all'interno dell'edificio.
Metodo molto costoso soprattutto quando abbiamo edifici che presentano
un rivestimento interno in mattonelle e impianti particolari.
Soluzione con Metodo Chimico
Questo metodo consiste nella formazione di una barriera chimica alla risalita di
umidità mediante la formazione di fori nella muratura per inserire delle resine
silaniche ad iniettori pronti all’uso. Anche il metodo delle iniezioni di resine
chimiche, d'altro canto, comporta degli svantaggi.
E' infatti un metodo:
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-
-
Invasivo, sporco e maleodorante
(questo è un sistema che permette di
lavorare solo da una parte del muro
facendo dei fori fino ai 3/4 della
muratura).
Viene iniettata una resina chimica
che ha un odore maleodorante che
permane per qualche periodo
all'interno dell'abitazione. Richiede
opere murarie (bisogna togliere
l'intonaco prima dell'intervento e aspettare qualche mese, affinché il muro si
asciughi almeno superficialmente per poter dare poi l'intonaco nuovo).
Non garantisce il completo prosciugamento (si inietta una certa quantità di
liquido che si presume vada a bagnare tutto lo spessore del muro).
Dentro le muratura ci sono una serie di fughe e vuoti, soprattutto nei muri
vecchi, oppure nelle fughe dei poroton o bimattoni, dove il liquido che si
inietta scorre via.
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-
Non potendo vedere dove si
distribuisce il liquido all'interno del
muro si garantisce il lavoro tranne
i vizi occulti.
Durata limitata (non si sa per quanto
tempo questa resina possa avere la
meglio sull'acqua).
Prosciugamento assente sotto la
barriera chimica (come il taglio
anche la barriera chimica non
risolve il problema dell'umidità ai
piedi della muratura, ma la ferma
solo ad una certa altezza).
Esecuzione non sempre possibile e costosa (non è sempre possibile lavorare
con la resina perché ci sono dei muri fatti a sacco, dove all'interno ci sono dei
vuoti: la resina, materiale molto costoso, rischia così di perdersi senza
garantire il lavoro).
Intonaco Deumidificante
Per quanto riguarda invece gli intonaci deumidificanti (che non sono altro che delle
malte chimiche dove la traspirabilità dell'intonaco è molto alta rispetto agli intonaci
pre-miscelati), non sono una soluzione definitiva al problema dell'umidità di risalita,
in quanto l'acqua che sale dal terreno porta con sé anche i sali del terreno stesso,
assieme a quelli dei materiali da costruzione, i quali vanno a compromettere la
traspirabilità dell'intonaco.
La differenza tra un intonaco normale e uno deumidificante sta solo nella dimensione
dei pori di quest'ultimo, che garantiscono maggior traspirabilità. Queste malte non
risolvono però il problema dei sali, i quali tardano solo di qualche anno prima di
riaffiorare in superficie.
Metodo Elettrofisico
Fra i veri metodi di prosciugamento per
l'umidità di risalita esiste anche il metodo
elettrofisico,
dove,
con
dei
campi
elettromagnetici, si riesce a polarizzare le
molecole dell'acqua dentro la muratura e a
spingerla verso il basso.
Per quanto strano possa sembrare questo sistema, costituisce una rivoluzione in
quanto non è più necessario intervenire sulla muratura per prosciugare l'edificio.
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L'unico svantaggio di questo apparecchio è che si alimenta a corrente elettrica ed ha
un assorbimento di 5-7 Watt. Per quanto bassi possano essere questi valori,
posizionati sicuramente sotto la soglia prevista dalla legge, creano tuttavia un campo
elettromagnetico, simile a quello creato dal cellulare, con la sola differenza che
mentre l'utilizzo di quest'ultimo è saltuario, nel caso dell'apparecchio elettrofisico
installato in casa, è continuo.
Metodi Naturali
Esiste poi un metodo che utilizza le vibrazioni naturali mediante degli apparecchi che
non usano elettricità per il loro funzionamento e quindi non provocano campi
elettromagnetici. Un apparecchio costituito di un materiale non deteriorabile capta al
suo interno le vibrazioni naturali della Terra (onde magnetogravitazionali) con
un’antenna ricevente; dette vibrazioni vengono poi invertite di direzione da una unità
di polarizzazione.
Come risulta evidente, questo metodo offre molti vantaggi:
-
E’ un sistema ecologico che sfrutta energia naturale;
Non è invasivo poiché non richiede opere murarie all’interno dell’edificio;
E’ fiscalmente detraibile poichè rientra nelle agevolazioni del risparmio
energetico;
Non ha spese di gestione, una volta installato non necessita di manutenzione
alcuna;
E’ molto economico rispetto ad altri sistemi precedentemente menzionati;
Ha un effetto biologico positivo.
Umidità Igroscopica
Ogni parete ed ogni intonaco contengono, dopo il prosciugamento, una certa
quantità di sali igroscopici (che attraggono l’umidità) propri della struttura muraria,
ma anche sali estranei ad essa (per esempio i sali del terreno). A causa della continua
risalita capillare di umidità questi sali fuoriescono dal muro e dal terreno fino a
depositarsi nella zona di evaporazione sull’intonaco o sulla pittura.
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Dopo un prosciugamento interno
delle mura ben riuscito, sull’intonaco o
sulla pittura rimangono dei residui di
sali capaci d’assorbire solo una certa
quantità di umidità dell’aria: esiste
quindi la possibilità che il muro si
asciughi all’interno ma che l’intonaco
o la pittura con eccessivo contenuto di
sali rimangano umide.
Per
eliminare
l’umidità
da
assorbimento igroscopico, occorre
tenere bassa l’umidità relativa dell’aria,
e
contemporaneamente
bisogna
aumentare la sua temperatura.
Il fenomeno del desorbimento è piuttosto lento, e corrisponde ad una asciugatura dei
supporti porosi. Talvolta occorrono alcuni mesi per poter raggiungere valori di
umidità muraria abbastanza bassi.
Umidità Residua
L’umidità residua è presente nelle murature durante tutte le fasi di costruzione e
ristrutturazione di un edificio, specialmente (purtroppo, sta diventando cattiva norma
per i tempi ristretti richiesti dal committente) se non vengono rispettati i tempi
tecnici e naturali di messa in opera dei materiali. Generalmente l’umidità residua, in
condizioni di buona ventilazione e di temperatura non troppo bassa, si dissipa rapidamente all’esterno.
Umidità Meteorica
Questa è la principale causa di deterioramento delle costruzioni, ed è quella che
arreca i maggiori danni in assoluto alle opere edili. L’acqua meteorica si manifesta
sotto forma di pioggia, ma in particolari condizioni climatiche, anche come neve,
ghiaccio, brina, rugiada o nebbia.
Si tratta sempre e comunque di acqua, che causa dei danni importanti alle parti della
costruzione più soggette ad aggressione da acqua meteorica quali il tetto e le pareti
soprattutto nelle loro parti più prossime al terreno.
L’azione combinata dell’acqua piovana e del vento risulta particolarmente dannosa
per qualsiasi edificio. Estrema attenzione dovrà essere posta laddove vi siano delle
discontinuità. Per esempio un attraversamento di un tetto o di un terrazzo, che
costituisce una discontinuità dell’impermeabilizzazione, sarà un punto preferenziale dove
l’acqua potrà passare.
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Tutte le situazioni dove sia presente una variazione di forma o dimensione, o dove
sia stato praticato un attraversamento, sarà un punto sensibile.
Questa maggiore propensione a far passare l’acqua, ed a creare le condizioni affinché
questo possa avvenire, permarrà durante l’intera vita utile dell’edificio.
Gli infissi o serramenti esterni sono
un
importante
elemento
di
discontinuità della muratura e/o della
copertura, e rappresentano un serio
problema di impermeabilità per
l’edificio.
Anche una realizzazione a regola
d’arte, non preclude la possibilità che
nel tempo vi possano essere
infiltrazioni, o perdita di tenuta delle
sigillature.
Umidità dovuta ad Infiltrazione Laterale
Si verifica in presenza di danni o difetti nell’isolamento verticale (di solito si riscontra
nei muri di cantine e garage parzialmente o completamente interrati), l’umidità può
penetrare lateralmente dai capillari fino ad attraversare l’intero muro.
Acqua di pendio con pressione, quando il livello d’acqua è temporaneamente
alto (esempio in presenza d’inondazione o appunto quella che fluisce da un pendio),
la pressione esercitata dall’acqua sulle mura fa si che questa penetri all’interno.
Il sistema capillare delle murature farà il resto spingendo l’acqua verso l’alto
sfruttando il fenomeno naturale denominato pressione idrostatica.
Spruzzi d’Acqua
L’Umidità causata da spruzzi d’acqua provenienti da veicoli di passaggio nella strada
vicina e dalla pioggia battente sulla base di una muratura sono le principali cause delle
infiltrazioni laterali nei piani fuori terra. Un tipico esempio di della presenza di
spruzzi d’acqua piovana è osservabile dalla formazione di muschio alla base del
muro.
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In figura, evidente esempio di umidità e muschio dovuti da spruzzi d’acqua piovana.
Umidità da danni Tecnici di Costruzione, Danni alle Installazioni
Questo tipo d’umidità deriva da
una
scarsa
manutenzione
dell’edificio, dei difetti tecnici
costruttivi
dovuti
dalla
mancanza o da una inadeguata
protezione contro l'infiltrazione
d'acqua piovana (danno al tetto
o al materiale del tetto, camino
insufficientemente
sigillato,
mancanza del materiale di
protezione della superfìcie del
tetto,
camini
inutilizzati.
drenaggio del tetto mancante
etc.) e/o da guasti alle
condutture
(danni/ostruzioni
alle grondaie, ostruzioni dei tubi di scolo, tubi di scarico, tubi rotti ecc..)
Umidità dovuta da fattori di disturbo Geologici o Tecnici
I fattori di disturbo di tipo geologico sono di tipo naturale e si formano causati dalla
presenza di sorgenti d’acqua nel sottosuolo, corsi d’acqua sotterranei, fratture
teutoniche ecc.; quelli di disturbo tecnico invece sono causati dai trasmettitori di
radio, TV, Radar, cellulari ecc. che producono il cosiddetto fenomeno di “Elettrosmog”, oppure da conduttori elettrici o metallici non isolati.
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Umidità da Condensazione
La condensa può formarsi sulla superficie ma anche all’interno dei muri, questione
più insidiosa poiché non visibile, e che col passare del tempo provoca muffe, può
corrodere le tubazioni, creare rischi in prossimità d’impianti elettrici, sgretolare
intonaci e provocare efflorescenze. Per capire il fenomeno riprendiamo l’esempio “idraulico”.
II recipiente A è l’ambiente, B è il primo strato di muro, C il secondo, D è l’ambiente
esterno; r1, r2, r3 sono le resistenze al passaggio del vapore cioè la impermeabilità
degli strati di muratura.
Se tutto va bene l’umidità dell’ambiente viene smaltita da V, ventilazione, ma se
quest’ultima non è sufficiente, aumenta il livello nel recipiente A. Una parte di vapore
passa attraverso i muri, dove incontra una certa resistenza R, fino ad evaporare
all’esterno (D). Ma se il rubinetto r3 è chiuso (cioè il rivestimento esterno del muro è
impermeabile come la ceramica, gli intonaci plastici o una guaina impermeabilizzante)
allora siamo nei guai: C si riempie e trabocca. Si forma la condensa nel muro!
La condensazione può verificarsi sia a causa di un generale abbassamento della
temperatura, sia in seguito a migrazioni del vapore acqueo in zone a temperatura più
bassa. In base alla struttura dei materiali, la condensazione può presentarsi sotto
forma di goccioline, se si tratta di superfici impermeabili come la ceramica, o sotto
forma di macchie scure generate dallo sviluppo di muffe, funghi e batteri se l’umidità
viene assorbita dalla porosità del materiale come nel caso d’intonaci, laterizi, pietre
porose, gesso ecc.
Immagine termografica di ponte termico della muratura sotto finestra
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Le cause principali di questo fenomeno sono spesso riconducibili ad un isolamento
termico difettoso dovuto a muri esterni sottili (che creano un ponte freddo-caldo),
un’eccessiva umidità nelle stanze (quali bagno, camera da letto, cucina, lavanderia, o
stanze dove vi sono acquari, molte piante ecc...), finestre a tenuta d'aria che non
permettono all'aria umida di fuoriuscire, mancanza di ventilazione, riscaldamento
difettoso, pittura organica (pittura ad emulsione) che costituisce terreno fertile per la muffa.
Avendo quindi la possibilità di scegliere la tipologia della stratificazione della
muratura, si possono adottare dei concetti generali che eviteranno poi il formarsi di
questo fenomeno, e più precisamente:
-
Posizionare il più possibile verso l’interno dell’ambiente gli strati a più alta
resistenza al passaggio del vapore;
Posizionare il più possibile verso l’esterno gli strati con la più alta resistenza
termica.
Il primo punto aiuta a ridurre la quantità di vapore che raggiunge gli strati più esterni
e quindi più freddi del componente opaco. Il secondo punto serve per mantenere la
temperatura dei vari strati interni più alta, in modo che il vapore, mentre li attraversa,
non vada incontro a zone fredde e quindi possa condensare.
Umidità causata da Fattori Chimici
I differenti materiali da costruzione che compongono l’edificio hanno qualità e
caratteristiche chimiche diverse. Un esempio è dato dalla vecchia muratura che è
leggermente acida e dagli intonaci di cemento che invece sono fortemente alcalini
con conseguenti valori di PH differenti tra loro. Questi effetti chimici causano un
trasporto elettrochimico dell'umidità muraria che attira altra umidità e/o mantiene
l'umidità alta. Materiali arrugginiti (tubi d'acciaio, telai di ferro etc.) hanno un simile
effetto sull'umidità nei muri. Un completo prosciugamento delle mura è solamente
possibile con una rimozione preventiva di tutti questi fattori chimici di disturbo.
IMPATTO DELL’UMIDITA’ SULL’EDIFICIO
Abbiamo visto nello specifico le varie tipologie e manifestazioni possibili di umidità
all’interno ed esterno dell’edificio, che possono causare problemi all’intero involucro
abitativo. I danni più evidenti come le macchie di umidità, la presenza di
efflorescenze di salnitro sulle murature ed intonaci, lo sfarinamento e rottura degli
stessi, la creazione di muffe interne ed esterne, il distacco di rivestimenti verticali ecc.
sono comunque accompagnati, se non si è intervenuto tempestivamente per
sistemare la situazione di pericolo, a danni ben più gravi di carattere strutturale
dell’edificio nonché a danni di carattere igienico-sanitario alle persone presenti all’interno dei locali.
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IMPATTO DELL’UMIDITA’ SULLA SALUTE
Il tasso di umidità e la qualità dell’aria all’interno dell’abitazione (e di tutti gli ambienti
confinati, siano essi lavorativi che scolastici) sono elementi che influenzano il
comfort e la salute delle persone che li occupano.
In generale, un tasso di umidità alto, superiore all’80%, crea dei problemi al nostro
corpo sia in caso di caldo che di freddo facendo quindi percepire una temperatura
troppo alta (caldo afoso), nel primo caso (sopra i 24,8°C), e di freddo umido nel
secondo caso (sotto i 2,2°C). Al contrario, se l’umidità scende al di sotto del 20%,
quindi troppo bassa, diventando troppo asciutta, l’aria causa altri problemi (secchezza
alle vie respiratorie, rischi d’infiammazione, fastidio e difficoltà a respirare e produrre
saliva. Si deduce quindi che il tasso di umidità ottimale deve restare tra il 40 ed il 65
% a seconda della temperatura.
Il tasso di umidità ideale varia però da persona a persona ed in funzione di altri
fattori:
-
Età, il corpo ha esigenze differenti a seconda che sia neonato, giovane, adulto
o anziano;
Attività fisica che si pratica in quel momento all’interno dell’ambiente;
Stato di salute dell’individuo;
Tipologia d’ambiente che si frequenta.
L’eccesso di umidità dovuto a
tutte
le
differenti
cause
precedentemente menzionate e la
presenza di muffe, acari ed altri
parassiti all’interno dell’edificio
possono causare delle infezioni
respiratorie gravi alle persone che
soggiornano all’interno dei locali, e
le persone più deboli (bambini,
adolescenti, persone anziane)
saranno soggette ai primi sintomi.
Una ricerca sulla correlazione esistente tra le condizioni di umidità presente nelle
abitazioni e la patologia dell’asma negli adolescenti ha rilevato che su 134 pazienti
aventi asma, bronchite asmatica e bronchite cronica, il 5% risiedeva in abitazioni
molto secche, il 17% in abitazioni secche ed il restante 78% in abitazioni umide.
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ALLERGIE RESPIRATORIE
Le allergie respiratorie sono causate da sostanze allergene
come micotossine e spore prodotte da muffe, allergeni
contenuti nello sterco degli acari, emissioni tossiche causate
dal degrado chimico di alcuni materiali edili attaccati
dall’umidità. La reazione allergica si manifesta con una rinite
(naso tappato, congiuntivite, raffreddore) oppure una tosse
che precede la comparsa dell’asma.
RINITE
La rinite allergica cronica si manifesta con un’infiammazione e congestione delle vie
nasali, irritazione oculare, tosse, stanchezza e mal di testa. La rinite stagionale è
provocata dal polline mentre quella permanente è causata da un ambiente troppo
umido e male areato, presenza di acari, peli di animali e muffe.
ASMA
L’Asma è una malattia è una malattia infiammatoria caratterizzata da ostruzione
generalmente reversibile delle vie aeree inferiori, spesso in seguito a sensibilizzazione
da parte di allergeni. Talvolta però l’ostruzione bronchiale può essere irreversibile.
CONGIUNTIVITE
La congiuntivite è il risultato di un’infiammazione della membrana sotto la palpebra e
della cornea. E’ normalmente diagnosticabile con certezza alzando la palpebra e
verificandone il colore rosso ed infiammato. Altro problema è la cheratite che causa
un infiammazione della cornea. Tali patologie possono avere origine per via ereditaria
anche se l’ambiente in cui si vive e trascorre la maggior parte della giornata ha un
ruolo predominante; gli acari presenti all’interno di una casa, nonché le muffe,
scarafaggi sono una causa molto comune ed importante, come l’inquinamento.
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E’ stato dimostrato che, purificando l’ambiente in cui soggiorna un bimbo dalla sua
nascita, il 50% del rischio di contrarre allergie può essere evitato. I gesti per prevenire
tale patologia sono semplici: eliminare la moquette, ventilare ed arieggiare gli
ambienti e diminuire l’umidità dove proliferano i batteri.
ACARI
Sono degli animali di piccole dimensioni (da meno di un
mm. fino a cm. 3 di lunghezza) e comprendono numerose
specie parassite temporanee o permanenti di animali e
vegetali e sono responsabili di infestazioni denominate
acariasi.
Gli acari vivono in ambienti caldi, umidi e mal ventilati, nascosti nei tappeti, nei tessili
e nei peluches dei bambini. Conosciuti come acari della polvere della casa, si nutrono
di squame, pelle morta, capelli, peli briciole e muffa. La loro riproduzione è molto
rapida specialmente in primavera ed in autunno: alla temperatura di 26-30°C ed un
tasso di umidità del 75-80%, una femmina di acaro deposita circa 25-30 uova ogni tre
settimane. E’ importante capire che in un grammo di polvere a terra ci sono 3 acari in
ambienti secchi mentre arrivano ad 83 in ambienti umidi. Un solo grammo di polvere
può contenere fino a 1.500 acari!
Tutte queste malattie respiratorie sono l’effetto
indesiderato di eccesso di umidità in casa che, se
viene ignorato, può trasformarsi in un problema
incontrollabile ed irreversibile.
La salute della vostra casa è quindi la
salute della vostra famiglia!
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MUFFE
Le muffe sono una particolare categoria di microrganismi, appartenenti al regno dei
funghi, detti anche miceti, le cui spore (o Ife), si spostano nell’aria fino a depositarsi
all’interno degli edifici se trovano delle condizioni ottimali per attecchire e riprodursi.
In natura sono presenti oltre 100.000 specie fra muffe e lieviti, e l’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità), individua in circa 200 il numero di specie
presenti negli ambienti domestici. In realtà poi il numero si restringe a circa solo 30
quelle permanentemente presenti nelle abitazioni, e fra queste, quattro o cinque sono
quelle più invasive, che di seguito riportiamo:
■
Cladosporium
È il genere di muffa più presente in Italia, con oltre 50
specie diverse, le cui spore rappresentano oltre il 50% del
totale fra quelle aerodiffuse. Cresce su diversi supporti
vegetali, compresa la cellulosa, e predilige temperature fra
i 18°C ed i 28°C. Sviluppa colonizzazioni di color verde
oliva ad accrescimento lento.
(Nella foto, spore di Cladosporium)
■
Aspergillus
Anche questa è una muffa molto diffusa nei nostri climi,
con centinaia di specie diverse. Le più comuni sono
Aspergillus fumigatus, Aspergillus niger, ed Aspergillus versicolor.
Le prime due sono di colore nero o scuro, mentre l’ultima
assume colorazioni variabili dal verde al marrone. Si nutre
prevalentemente di cellulosa e di scarti vegetali, e provoca
gravi forme allergiche specifiche, dette appunto “aspergillosi” .
(Nella foto formazioni di Aspergillus niger sulla superficie di una parete in mattone in un locale molto umido)
■
Stachybotris Chartarum
Deve il suo nome alla carta da parati, dove fu individuata
per la prima volta nel 1837 dal micologo ceco August Carl
Joseph Corda. Insieme all’Aspergillus niger fa parte delle
“Toxic Black Mould”, cioè muffe nere tossiche. Sono molto
fre- quenti nelle abitazioni dove vi è presenza
contemporanea di umidità e cellulosa.
(Nella foto, colonia di Stachybotrys chartarum in corrispondenza di un ponte termico)
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■
Penicillum
Sono molto frequenti in natura, con oltre 300 specie
diverse, molte di queste non sono tossiche e vengono
impiegate per la produzione di formaggi, o di antibiotici.
Negli ambienti domestici è presente soprattutto nella
polvere, negli impianti di condizionamento e negli
umidificatori.
(Nella foto, Penicillum).
■
Alternaria
Si tratta di una muffa notevolmente allergenica, molto
diffusa in natura. Attacca numerose specie vegeta- li nei
climi temperati, in presenza di umidità superiore al 65%. Le
colonie sono a rapido accrescimento, di colore inizialmente
grigio, che vira al nero più o meno intenso.
Negli edifici residenziali le muffe trovano le migliori condizioni possibili per il loro
insediamento, e per la loro proliferazione poiché, per vivere, necessitano di tre
elementi fondamentali:
-
Acqua o umidità sufficiente
Piccolissime quantità di cibo
Una superficie sulla quale insediarsi (substrato fecondo, ad esempio carta
terra, gesso, pelle, colla ecc.)
Aria viziata ed assenza di sole.
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Il ciclo vitale delle muffe è costituito da tre stadi:
1) la germinazione, nella quale le spore si
posano sulle superfici e restano inattive
fino a quando non si vengano a creare le
condizioni ottimali per la loro crescita,
ovvero per l’assorbimento di umidità e
sostanze nutritive. Le spore germinano
in 12 ore e formano spore nell’arco di 510 giorni;
2) la crescita delle Ife (filamenti uni o pluricellulari, uni o polinucleati e di forma
cilindrica allungata) che, agglomerandosi, formano una massa denominata
micelio (ossia il corpo vegetativo dei funghi);
3) la riproduzione/sporulazione: una volta creatasi un’unità produttiva i funghi
iniziano la riproduzione per mezzo di spore. Quando queste spore entrano in
ambienti chiusi si posano su superfici umide o bagnate, sviluppandosi e
distruggendo tutto ciò con cui vengono a contatto.
Spesso i locali soggetti a tali fenomeni sono ai piani interrati o seminterrati oppure ai
piani sottotetto, i primi perché soggetti spesso ad umidità di risalita ed i secondi
perché soggetti a maggiori variazioni termiche in quanto sempre orientati verso le
parti meno soleggiate (Nord-Nord/Est), e spesso senza coperture adeguatamente
coibentate. Gli ambienti interni in cui più facilmente si sviluppano muffe sono
pertanto il bagno, la cucina e la camera da letto (poiché sono spesso più fresche e
durante la notte viene emessa una considerevole e prolungata umidità attraverso la
respirazione e la sudorazione degli occupanti), i muri di cantine e di seminterrati, le
superfici intorno alle finestre dove si forma condensa, i lavelli ecc.
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Nell’aria sono sempre presenti le spore, che sono le cellule riproduttrici dei funghi,
perciò anche delle muffe. L’OMS stima che le spore contenute in un metro cubo
d’aria, possono variare fra le 100 e le 10.000, con i valori più alti in estate ed in
autunno.
Respirare quantità moderate di spore, in un individuo sano non costituisce un
problema; se invece l’organismo è debilitato da altre cause, oppure quando la quantità
di spore aumenta a dismisura, possono insorgere diversi stati patologici anche gravi.
Con larga approssimazione, possiamo assimilare le spore a dei semi, che germogliano
trasformandosi in pianta, ma possono farlo solo in presenza di umidità. Se invece
non entrano in contatto con l’acqua, le spore restano in stato di quiescenza per
diversi anni, pronte a generare nuovi individui, appena l’umidità diventa
sufficientemente alta.
Appare chiaro che l’unico metodo certo per eliminare la muffa, o meglio, per
impedire il suo sviluppo, è quello di tenere sotto controllo l’umidità.
Parlando di umidità abbiamo visto tutte
le cause possibili che ne creano un
eccessivo quantitativo all’interno del
fabbricato e che quindi possono
generare il sorgere di muffe. Ciascuna di
queste forme di umidità, ha degli effetti
diversi sulle muffe, per questo motivo di
seguito le analizzeremo singolarmente
per specificarne le caratteristiche.
-
L’umidità di origine meteorica è
nella maggior parte dei casi acqua
piovana, che penetra nell’edificio per
infiltrazione. È acqua quasi pura,
come quella distillata, ma ha un pH
acido, che varia fra 3,5 e 5,3 a causa
del contatto con l’anidride carbonica
e con altri gas presenti in atmosfera.
Le infiltrazioni di umidità meteorica sono molto spesso una rilevante fonte di
umidità, capace di alimentare abbondantemente un gran numero di specie diverse
di muffe, prevalentemente idrofile.
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-
Se l’apporto è di tipo accidentale, è di natura continua, come ad esempio un
tubo d’acqua con minime perdite idriche, gli effetti sono simili a quelli infiltrativi
descritti al punto precedente. Nel caso in cui si verifichi un evento episodico,
anche di entità rilevante, come un allagamento, le muffe non avranno la
possibilità di germinare, e né tantomeno di colonizzare. Eventuali formazioni di
muffa, di minore entità, che dovessero aver attecchito durante il processo di
asciugatura, si arresteranno spontaneamente non appena l’umidità scenderà sotto
i valori di rischio.
-
L’umidità da condensa, è quella che crea la maggior parte dei problemi dovuti
alle muffe, per una serie di motivi. Innanzitutto perché durante la condensazione
si forma dell’acqua quasi pura e leggermente acida, quindi ideale per le muffe. Poi
perché la condensa si deposita generalmente sulle superfici, che contengono
sempre delle minime quantità di nutrienti, sufficienti per innescare la
germinazione delle spore. Un aspetto poco conosciuto riguarda la composizione
delle pitture e degli intonaci. Molto spesso questi prodotti contengono quantità
variabili di metilcellulosa, che viene impiegata come addensante, e che
successivamente diventa un ottimo terreno di coltura per le muffe, poiché queste
si nutrono di cellulosa.
-
L’umidità di natura igroscopica incide pochissimo, e solo occasionalmente sulla
formazione delle muffe. Un motivo è dovuto alla percentuale di umidità, che
spesso è tale da creare fenomeni igroscopici, ma non lo è abbastanza da
alimentare la formazione di muffe. E questo avviene fino all’UR dell’80%. Ma
principalmente dipende dal fatto che le formazioni igroscopiche avvengono
all’interno della massa porosa dei muri o fibrosa nei materiali isolanti, dove
generalmente non sono presenti nutrienti in quantità adeguata, o dove il pH è
troppo alto. Occorre tenere sotto controllo gli isolanti naturali, come la cellulosa,
le fibre di legno, o la lana di pecora, che in occasione di formazioni di umidità
igroscopica, possono dar luogo (anche se raramente), allo sviluppo interstiziale di muffe.
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-
L’umidità proveniente dal terreno, può causare lo sviluppo di muffe, anche se
normalmente ciò avviene in quantità modesta, a causa della grande quantità di sali
che vengono disciolti dall’acqua e trasportati sulle superfici. Generalmente i sali
presenti nel terreno, rallentano o addirittura impediscono la formazione di muffe.
I nitrati sono una categoria di sali che frequentemente si trovano sui terreni e sui
muri, e vengono impiegati come conservanti nei salumi, proprio perché
inibiscono le formazioni biologiche.
-
L’umidità di risalita contrariamente a ciò che si crede, di solito non consente la
formazione di muffe, perché le macchie umide dovute a questo fenomeno, sono
una soluzione satura di acqua contenente numerosi sali. Questo ambiente non
consente la proliferazione delle muffe. È vero però che se in conseguenza della
risalita, le murature apportano quantità rilevanti di umidità ai locali, cioè all’aria
interna, l’aumento dell’umidità relativa derivante da tale immissione può creare le
condizioni per la formazione di condensa su altre superfici dello stesso locale. In
linea di massima, se su una superficie sono presenti delle muffe, è quasi certo che
la stessa superficie non è interessata da fenomeni di risalita. Tuttavia è vero che la
risalita può generare muffa su altre superfici dello stesso ambiente, a causa del già
citato apporto di umidità all’aria interna.
-
Infine l’umidità residua di costruzione, generalmente non fa sviluppare le
muffe, perché le masse porose costituite dai muri, dagli intonaci e dai massetti,
hanno ancora un pH molto alto che impedisce le formazioni biologiche, ed i
nutrienti presenti sono ancora molto pochi. Durante il processo di asciugatura,
l’umidità tenderà gradualmente a ridursi fino a scendere sotto il limite che
consente alla muffa di crescere.
Tra le sette cause di umidità in eccesso sopra citate, abbiamo notato che solo due
sono significative ai fini della proliferazione di muffe, cioè quella condensativa e
quella infiltrativa di origine meteorica, con notevole prevalenza della prima rispetto
alla seconda. È altrettanto vero però, che qualsiasi causa di umidità tende ad
aumentare l’umidità relativa dell’aria interna, creando indirettamente le condizioni per
un incremento dei fenomeni condensativi. Ad esempio, l’umidità residua da
costruzione, così come quella di risalita, non sono in grado di far proliferare muffe,
ma rendono l’aria interna dei locali più umida, innescando fenomeni condensativi.
Un altro aspetto importante riguarda la continuità. Se l’acqua e l’umidità si
mantengono sulle superfici per un tempo abbastanza lungo, o peggio se sono
presenti permanentemente, le muffe possono attecchire facilmente. Se invece si tratta
solo di un singolo evento episodico di bagnatura o di umidità eccessiva, o di eventi
che si susseguono solitamente in maniera sporadica, la muffa non ha modo di
svilupparsi.
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Come abbiamo visto in precedenza, le muffe prediligono sempre le superfici protette
dalla luce diretta, con ventilazione scarsa o nulla e si formano prevalentemente nei
punti più freddi dell’edificio, che corrispondono a quelli più umidi, anche per effetto
dei fenomeni condensativi. La presenza di cellulosa sulle superfici ne rende la loro
crescita più rapida, perché funge da nutrimento naturale delle muffe. Inoltre la
cellulosa è fortemente igroscopica, e tende a trattenere l’umidità, esaltando
ulteriormente le loro proliferazione. Le lastre in cartongesso, la carta da parati, quasi
tutte le pitture per interni ed alcuni intonaci, contengono cellulosa, perciò
rappresentano una fonte naturale per le muffe.
Nella foto, rappresentazione alla termocamera di un ponte termico con
proliferazione di muffe in un angolo tra struttura orizzontale e verticale (solaio-murature).
Data la stretta correlazione tra Umidità e Muffe negli ambienti domestici, anche gli
effetti nocivi che provocano sulle persone e di
degrado sui materiali che compongono l’involucro
edilizio. Le muffe causano numerosi disturbi e
patologie vere e proprie, sia direttamente che
indirettamente, all’organismo umano anche se, una
persona sana è in grado di convivere in presenza di
piccole/moderate contaminazioni da muffe. Non
esiste comunque un valore di soglia minima o
massima che rendano una muffa innocua o nociva
anche perché l’individuo con soglie immunitarie
inferiori alla normalità (bambini, anziani, soggetti immunodepressi e lungodegenti)
risultano più facilmente attaccabili dagli effetti nocivi delle muffe, esaltandone anzi le
proprietà.
Quasi tutte le muffe domestiche producono delle sostanze tossiche, dette
“micotossine”, che danno luogo a manifestazioni specifiche chiamate “micotossicosi”. Si
tratta di patologie molto varie, che vanno dai disturbi respiratori, alla stanchezza
cronica, fino a forme di malessere diffuso come mal di testa, inappetenza, disturbi del
sonno, fino all’indebolimento del sistema immunitario, con possibili insorgenze di tumori.
Praticamente, le tossine contenute nei frammenti di muffa, nelle spore e nelle sostanze
volatili che queste emanano, sottopongono a stress continuativo l’intero organismo umano.
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Quella che viene comunemente chiamata “puzza di muffa”, è in realtà una miscela
molto varia di numerose sostanze tossiche, generate dalle muffe quando sono sotto
stress o quando muoiono. Vengono rilevate dall’uomo già a concentrazioni
estremamente basse, e consentono generalmente di individuare le formazioni di
muffe, prima ancora che siano visibili. Fra queste si cita la “geosmina”, dal
caratteristico odore di terra bagnata.
Vari studi nel corso degli
anni hanno dimostrato che
l’inquinamento
indoor
(dovuto ad arredi, materiali
edili, detergenti, aria ecc.) è
purtroppo più elevato di
quello outdoor e che bastano
anche piccole concentrazioni
di inquinanti per avere effetti
negativi
sulla
salute,
specialmente nelle persone
più vulnerabili (bambini,
anziani
e
soggetti
predisposti, allergici).
La stessa Organizzazione Mondiale per la Sanità
(OMS) sottolinea l’importanza per ogni Paese di
munirsi di un Piano Nazionale per la creazione di
un ambiente indoor sostenibile, definendo delle
linee guida per la gestione del problema riguardante
le WHO Guidelines for indoor air quality: dampness and
mould (2009): umidità e muffe negli edifici, rischi
sanitari e misure di prevenzione. In questo quadro
le muffe presenti in eccesso in un ambiente indoor
rappresentano dunque un serio inquinante biologico
ed il Centre of Disease Control and Prevention (CDC)
degli Stati Uniti d’America è giunto a stabilire che tutte
le muffe sono potenzialmente pericolose per la salute.
L’insieme delle sostanze volatili prodotte dai microrganismi, comprende più di 200
composti diversi, fra i quali troviamo vari alcoli, esteri, aldeidi, chetoni, terpeni,
ammine, composti aromatici e solforati, che vengono classificati con l’acronimo
mVOC (microbial Volatile Organic Compounds) cioè sostanze organiche volatili di origine microbica.
La continua sollecitazione indotta sull’organismo dai composti tossici generati dalle
muffe, affatica le naturali difese dei diversi apparati, e può indurre svariate condizioni
patologiche, più o meno importanti, anche in forma associata.
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LIMITI DI ACCETTABILITA’
Concentrazioni di funghi vitali al di sotto di 100 CFU/mc d’aria (CFU-Unità
Formanti Colonia) sono usualmente considerate “basse”, mentre quelle che superano
i 1000 CFU/mc sono ritenute “elevate”. La valutazione di tali concentrazioni può
essere utilizzata per stimare condizioni microbiologiche inusuali nelle costruzioni pur
essendo uno solo dei parametri da tenere in considerazione nella stima del rischio
derivante dall’esposizione a muffe in ambiente confinato. I limiti di accettabilità sono
inferiori negli ambienti a rischio (ad esempio negli ospedali).
Effetti infettivi
Questo tipo di effetti sono causati principalmente dalle muffe del genere Aspergillus e
provocano infezioni molto acute a carico dell’apparato respiratorio che in pazienti già
debilitati possono dare luogo ad esiti anche molto gravi.
Effetti allergici
Le muffe inducono lo sviluppo di numerosissime e svariate forme di allergia, come
ad esempio asma, rinite allergica, allergie cutanee, oltre a diversi disturbi correlati a
tale fastidiosa patologia.
Effetti irritanti
Gli effetti tossici causati dalle muffe provocano irritazioni alle mucosi ed
infiammazioni di diverso tipo anche sulla pelle, bulbi oculari e tutti i tessuti esposti al
contatto. Un’aumento di casi di raffreddore, bronchite, tosse, fino alla polmonite, alla
micosi ed altre irritazioni di tipo cutaneo sono spesso dovuti all’azione delle
micotossine.
Effetti sui materiali
La
correzione
dei
problemi causati dalle
muffe si può eseguire in
due differenti modalità,
ossia in fase preventiva
(quando i problemi non
sono ancora sopraggiunti
e quindi evitandone il
sorgere) oppure di
bonifica o risanamento
(quando i problemi sono
già evidenti).
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Nella maggior parte dei climi italiani, se si riesce a mantenere il valore di
Umidità Relativa invernale dell’aria interna sempre intorno al 50% o inferiore,
in assenza di fenomeni infiltrativi di acqua piovana o accidentali da rottura di
tubazioni, la formazione di muffe è molto improbabile se non impossibile.
Il sistema più efficace per tenere bassa l’umidità all’interno della casa, è quella di
aerare frequentemente aprendo spesso le finestre, oppure di installare un idoneo
apparato di ventilazione meccanica controllata VMC a flussi continui.
Altre modalità di prevenzione consistono nel creare sulle superfici più fredde, perciò
più umide, delle condizioni ambientali che impediscono lo sviluppo delle muffe.
Questo può essere fatto con dei biocidi, cioè delle sostanze chimiche dotate di
proprietà disinfettanti, antibatteriche ed antifungine a lungo termine, o alcalinizzanti,
applicati sulle superfici. Questi prodotti vengono disciolti in acqua, sono anche
chiamati sanitizzanti, o igienizzanti, e generalmente si applicano a pennello sulle
superfici (sali di boro, ioni di rame ed argento, prodotti a base di calce ecc.).
Un’altra possibilità consiste nel rivestire le superfici più fredde, perciò più umide
come ad esempio i ponti termici, con dei materiali fortemente igroscopici. Con
questo accorgimento, l’umidità superficiale, e l’eventuale condensa, vengono
immediatamente ridistribuiti sul materiale, riducendo il valore massimo di UR a livelli
più bassi rispetto a quelli di rischio. Uno dei migliori materiali utilizzati in tal senso, è
il silicato di calcio, che ha l’ulteriore vantaggio di avere un pH superiore a 10, sul
quale le muffe non possono attecchire. I materiali da rivestimento si applicano
generalmente sotto forma di lastra da incollare sulle superfici, o d’intonaco, ed i più
usati in commercio sono i silicati di calcio, intonaci di argilla, pannelli in fibra e lana
di legno (Eraclit, Celenit ecc.), pannelli di sughero, lastre di gessofibra ecc.
Se la muffa si forma solo in corrispondenza dei ponti termici, si può agire anche
attraverso la loro correzione, che può essere attiva o passiva. La correzione attiva
consiste nell’impiego di un cavo elettrico scaldante tipo “Thermistore”, per
aumentare leggermente la temperatura della superficie, al fine di impedire la
formazione di umidità eccessiva e di condensa; in quella passiva invece si applica un
rivestimento isolante avente spessore variabile da qualche mm fino a diversi cm, che
limita la dispersione di calore, e di conseguenza mantiene la superficie
sufficientemente calda da non rendere possibile lo sviluppo di muffe.
In fase costruttiva o di ristrutturazione, è preferibile utilizzare sempre materiali a base
di calce, sia sugli intonaci che sulle finiture. La calce si ottiene da rocce naturali, ed ha
un valore di pH abbastanza alto da impedire sia le proliferazioni batteriche sia quelle
fungine. In pratica è un disinfettante naturale delle superfici, con l’ulteriore vantaggio
di essere notevolmente traspirante, e adatto quindi ad evitare fenomeni di condensa
superficiale.
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MODALITÀ DI BONIFICA DA MUFFE
La bonifica degli ambienti infestati dalle muffe, deve innanzitutto impedire che le
spore possano diffondersi nei locali contigui, creando quindi ulteriori
contaminazioni. È importante aspirare la polvere utilizzando degli elettrodomestici
dotati di filtro HEPA, in modo che le spore vengano trattenute nel filtro, e non
diffuse nei locali dal getto d’aria. Inoltre si dovrà pulire accuratamente qualsiasi
manifestazione visibile di colonie fungine, con idonei prodotti disinfettanti, che
generalmente sono fortemente basici (candeggina, idrossido di sodio o soda caustica,
acqua ossigenata, bicarbonato di sodio, alcool etilico, ecc.).
I prodotti disinfettanti sono irritanti e nocivi, e inoltre possono essere pericolosi per
chi li utilizza e spesso danneggiano le superfici con le quali vengono a contatto,
rendendole inservibili. Hanno effetto
nell’immediato, ma non sono persistenti,
perciò nel giro di pochi giorni esauriscono
completamente la loro capacità di contrastare
le muffe. In qualche caso si adoperano anche
dei disinfettanti naturali ottenuti da resine
vegetali o essenze ricavate dai fiori, che fanno
parte dei composti antibatterici naturali, come
il limone, il pino, l’olio di malaleuca e tante altre. Occorre impiegarle con estrema
attenzione ed utilizzando dispositivi personali di protezione, perché tali sostanze
sono spesso fortemente sensibilizzanti, come ad esempio i terpeni noti coi nomi di
limonene e pinene, e possono dar luogo a disturbi di varia natura anche nei soggetti sani.
Sono inoltre disponibili in commercio svariati disinfettanti ed igienizzanti a pH
neutro, non tossici, che non danneggiano le superfici e che sono idonei per la pulizia
delle superfici infestate dalle muffe (si raccomanda comunque di seguire sempre le
indicazioni e modalità d’uso fornite dal produttore).
Per la rimozione di materiali contaminati da muffe si consiglia di procedere in questo
modo:
Cercare la causa e prendere le relative contromisure.
Prima di procedere al risanamento dalla muffa bisogna individuare le cause
dell’eccesso di umidità e prendere le contromisure adeguate per bloccarne il
proliferare della muffa.
-
Proteggere gli oggetti del locale dalla contaminazione togliendoli o coprendoli con un
lenzuolo;
Tenere chiusa la porta durante i lavori per evitare che la contaminazione si
propaghi ad altri locali;
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-
-
Arieggiare il locale durante le lavorazioni aprendo le finestre per tutta la durata
dei lavori ed a lavori ultimati;
Prendere un sacco di plastica capiente e raccogliere tutto ciò che è contaminato
dalla muffa per poi eseguire la pulizia;
Preparare un secchio d’acqua con un po’ di detersivo per il lavaggio dei capi a
mano ed alcuni stracci da gettare dopo le lavorazioni. Lavorare in modo spedito e
proteggere le altre persone;
Non fumare, non bere, non mangiare durante le operazioni perché alcune muffe
producono sostanze velenose (tossine).
Tutti i passaggi della pulizia vanno eseguiti indossando
i dispositivi personali di protezione!
Per prevenire la formazione di eccesso d’umidità all’interno degli ambienti domestici
e la conseguente formazione di muffe si possono seguire queste semplici
raccomandazioni per una corretta conduzione della casa:
-
-
Non asciugare mai i panni in casa;
Non avere troppe piante nei locali e non annaffiarle troppo;
Installare una cappa d’aspirazione in cucina ed una ventola sia in bagno che in
cucina per evitare il depositarsi di vapore acque quando si cucina e ci si fa la
doccia/bagno: la ventola deve restare accesa almeno per 15 minuti dopo che si
esce dal bagno o si finisce di cucinare;
Non montare armadi a muro troppo ingombranti;
Tinteggiare le pareti con pitture a calce che evitano il proliferare delle spore;
Assicurarsi che tra le mattonelle del bagno non vi siano fessure;
Garantire sempre un buon ricambio d’aria all’interno dei locali per tenere
controllata l’umidità!
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MATERIALI SALUBRI ED INNOVATIVI
La sostenibilità energetica degli edifici in previsione di una progressiva diminuzione
delle risorse tradizionali, l’impatto ambientale legato all’inquinamento, hanno
disegnato un nuovo scenario di cui tutti stanno prendendo le misure, a partire dagli
operatori del settore delle costruzioni. Negli ultimi anni ci sono state novità forti sul
piano legislativo, su tutte la Direttiva europea 2002/91/Ce sul rendimento energetico
nell’edilizia, ma il cammino sembra appena cominciato. In tutta l’Unione Europea, a
partire dal 2020, dovranno essere applicate norme ancora più rigorose di efficienza
energetica per gli edifici di nuova costruzione. Da qui al 2018, la normativa fisserà
anche un pacchetto di incentivi per favorire l’adeguamento ai nuovi standard
energetici. Una casa ad “emissioni zero” è quella dove si realizza un livello molto alto
di rendimento energetico (grazie soprattutto all’isolamento termico dell’involucro e
all’efficienza degli impianti) al punto che il consumo totale annuo di energia primaria
risulta uguale o inferiore alla produzione energetica ottenuta in loco con energie
rinnovabili. Che ce la si faccia oppure no nei tempi previsti, la direzione è presa ed è
quella di un’edilizia sempre più “bio” ed ecologicamente sostenibile: Bioedilizia,
Bioclimatica, Ecosostenibile, sono i tre pilastri del costruire moderno.
Il termine bioedilizia negli ultimi anni è entrato anche in Wikipedia, dove è definito
come “l’applicazione di criteri di ecosostenibilità nel campo dell’edilizia poiché, diversamente dal
solito, nel settore edilizio, dove si usano e si sono usati per migliaia di anni materiali da costruzione
creati dall’uomo, la bioedilizia sfrutta prodotti naturali per la realizzazione di strutture, opere, edifici
in materiali ecocompatibili”.
La prima regola dell’architettura biologica è costruire una casa “che respiri”.
Su un autorevole testo del settore, alla voce bioarchitettura leggiamo: “il progetto
bioecologico si propone di recuperare la centralità dell’uomo, avendo come obiettivo principale la
creazione di spazi che gli assicurino quotidianamente benessere psicofisico”. Questa peculiarità è
rintracciabile nell’etimologia del vocabolo “bioecologico” in cui “bio” si riferisce alla vita
dell’uomo, “eco” si ricollega alle relazioni fra gli esseri viventi (l’ecosistema e quindi la
natura) e allude alla logica del costruire, e quindi dell’architettura, ai suoi materiali e
alle sue tecniche costruttive per cercare di stabilire connessioni positive fra luoghi,
spazi di vita e utenti finali. In tema di materiali da costruzione, la bioedilizia cerca di
usare quelli con il minore impatto ambientale, considerando l’intero ciclo di vita del
materiale, dalla produzione allo smaltimento. I materiali della bioedilizia rispettano
l’ambiente e la salute delle persone, non esauriscono le risorse del pianeta (sono
rigenerabili), non inquinano in fase di produzione e di esercizio, sono riciclabili o
smaltibili con facilità.
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Bioclimatica è invece un concetto di costruzione che utilizza soluzioni progettuali in
grado di garantire adeguati livelli di comfort ambientale interno (dalle condizioni
termoigrometriche a quelle di ventilazione e illuminazione) limitando al massimo il
ricorso a impianti che comportino consumi energetici da fonti convenzionali. Ciò
avviene soprattutto attraverso l’uso di appropriati materiali, stratificazioni costruttive
e forme nell’involucro dell’edificio.
Un edificio bioclimatico interagisce non solo con l’ambiente esterno, ma anche con i
suoi abitanti. Esistono tre tipi di pelle: la prima è l’epidermide, la seconda è costituita
dai vestiti che indossiamo, la terza è l’edificio che ci circonda. Come una terza pelle,
l’edificio bioclimatico deve proteggere e traspirare, creando le condizioni ottimali di
comfort ambientale. L’isolamento igrotermico, bioclimatico e bioedile dell’involucro
è efficace perché consente di ridurre il fabbisogno di energia e crea le condizioni di
comfort che rendono la casa vivibile al meglio in ogni stagione dell’anno. Per
costruire una casa in grado di adattarsi al cambiamento delle condizioni esterne al
pari di un organismo vivente è necessaria una profonda conoscenza delle tecnologie e
dei materiali, lo studio dei fattori climatici e un’analisi precisa dell’influenza degli
agenti esterni (temperatura, umidità, rumori) sui materiali stessi.
Per tutte queste motivazioni e per il raggiungimento di questi nuovi obiettivi si
stanno riscoprendo e recuperando materiali naturali che venivano utilizzati in
passato: sembra un paradosso ma per ottenere risultati ottimali nel futuro si fa
ricorso a materiali e metodologie del passato!
Ecco allora riscoprire materiali naturali come:
-
I mattoni pieni di argilla o legno che hanno il potere di assorbire l’umidità
interna in eccesso rilasciandola poi in un secondo momento. Pareti costruite
in questo modo funzionano da ammortizzatore termico riducendo le
escursioni di temperatura all’interno delle abitazioni;
-
Tutti quei materiali naturali che non emettono sostanze dannose che
contengono poliuretano, formaldeide, piombo e solventi sintetici;
Riportandoci a quanto pubblicato dal Prof. Anton Schneider dell’IBN di Neubeuern
nella sua “lista dei 25 principi per la per la costruzione di un edificio sano”, cerchiamo di
riassumere alcune delle linee guida per la scelta dei materiali da costruzione:
-
Meglio costruire le pareti esterne in mattoni laterizi con capacità
termoisolante;
Preferire pareti multistrato utilizzando materiali omogenei della struttura di
base per evitare vizi costruttivi (ad esempio, con struttura portante in legno
utilizzare un materiale isolante in fibra di legno);
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-
-
-
-
-
Le pareti esterne dell’edificio (eccezion fatta per quelle della cantina)
dovrebbero permettere la dispersione dell’umidità dall’interno all’esterno e,
viceversa, impedirne la penetrazione dall’esterno all’interno, per prevenire
danni alla costruzione e favorire un microclima interno gradevole;
Impiegare materiali certificati per realizzare una struttura isolata contro le
precipitazioni, il vento ed il calore;
Per proteggere dai raggi solari estivi i muri esterni ed il tetto dovrebbero
impedire la penetrazione del calore esterno per almeno 10 ore (i materiali
naturali sono più efficaci di quelli sintetici);
Per le pareti interne portanti è preferibile materiale pesante, con buona
capacità di accumulo (per garantire temperature costanti) e caratteristiche
fonoassorbenti;
Usare elementi riciclabili ed evitare quindi l’uso di collanti (ad esempio legno
pressato al posto di truciolare); garantire la facilità di smontaggio delle pareti
costruttive utilizzando tecniche di assemblaggio di elementi modulari;
Realizzare gli interni con prodotti naturali (legno, lino, lana, argilla, pietra
naturale ecc.) che accrescono il benessere anche sotto il profilo visivo e
tattile.
Quello che segue è un elenco dei principali materiali usati in edilizia facendo
particolare attenzione a quella proprietà che rendono i prodotti particolarmente adatti
ad un utilizzo basato sui principi dell’architettura bio-ecologica.
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ARGILLA COTTA - LATERIZI
Sono ottenuti da impasti di argille, acqua, essiccati e
successivamente cotti a temperatura elevata per
ottenere mattoni pieni o forati. Si deve controllare
che non vengano aggiunti nell’impasto, additivi
chimici e che eventuali porizzazioni, nel caso di
termo-laterizi, siano effettuate con elementi naturali,
quali ad esempio, pula di riso, farina di legno e
perlite. I laterizi hanno buone caratteristiche
termoigrometriche e sono dotati di buona inerzia
termica, sono usati in opere strutturali, murature perimetrali, pareti interne,
rivestimenti, coperture, pavimenti e solai (nella foto, esempio mattone termodissipatore).
ARGILLA ESPANSA
Argilla che cotta ad elevata temperatura (1100° - 1200°C) aumenta il proprio volume
fino a sei volte quello iniziale. E’ dotata di notevole leggerezza, di buone proprietà
termoisolanti, ottima resistenza al fuoco e non assorbe umidità. L’estrazione avviene
in cave a cielo aperto, l’argilla è prelevata da strati abbastanza superficiali. Viene
impiegata principalmente per coibentazioni di intercapedini ed alleggerimenti di solai,
sia a secco che legata con malte. Addizionata con conglomerato cementizio si
ottengono blocchi con buona resistenza a compressione e moderate proprietà
termoisolanti, che vengono usati per pareti di tamponamento.
ARGILLA – TERRA CRUDA
E’ probabilmente il più antico e diffuso
materiale da costruzione, è presente
praticamente in modo illimitato. Oggi è
utilizzato sostanzialmente in forma di
mattoni essiccati al sole o in blocchi di
terra compressi per erigere murature non
portanti, come riempimento di pavimenti
e, mischiato con sabbia e in alcuni casi
paglia, come intonaco.
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La terra cruda ha ottime capacità assorbenti, di regolazione dell’umidità, di
traspirabilità, e di accumulo inerziale, ed è perciò un materiale in grado di favorire
condizioni ambientali confortevoli (nella foto, esempio di realizzazione di intonaco in
terra cruda).
Nel caso di edifici in legno o misti legno-paglia la terra cruda si sposa perfettamente
con la struttura lignea e vegetale aumentandone anche la protezione al fuoco.
CALCE
La calce aerea (presa ed indurimento avvengono solo in presenza di aria) è costituita
da calcare che subisce una trasformazione in forni a 900°C diventando calce viva
(ossido di calcio) e successivamente, per essere impiegata in edilizia, con l’aggiunta di
acqua viene ridotta a calce spenta. La calce idraulica è invece prodotta da calcari
contenenti argilla in percentuali maggiori del 6%, essa da luogo a presa e indurimento
anche in presenza d’acqua. Se prodotta senza aggiunte di scarti industriali o elementi
chimici, la calce è traspirabile, assorbente, coibente e quindi in grado di assicurare una
buona regolazione termoigrometrica. Deriva da materia prima facilmente reperibile e
non ha contenuti energetici elevati in fase produttiva, viene utilizzata principalmente
per intonaci e come legante in sostituzione del cemento.
CANAPA
La canapa è una materia prima rinnovabile, e
completamente riciclabile; per la sua coltivazione non
è necessario l’utilizzo di pesticidi o erbicidi e sono
quindi da escludere rischi per l’ambiente e per l’uomo
sia durante la produzione che durante la messa in
opera. Utilizzato per coibentare tetti, pavimenti e
pareti ha ottime qualità igrometriche essendo un
materiale traspirante; è inattaccabile dai parassiti (nella
foto, isolamento di pareti con pannelli di canapa).
CARTA, CARTONE E CELLULOSA
La carta oleata e la carta Kraft sono utilizzate in sostituzione delle barriere al vapore di
origine sintetica in quanto, anche se meno resistenti di queste al passaggio del vapore,
hanno discrete doti d’Impermeabilità. La carta Kraft è utilizzata quando è sufficiente
una barriera al vento e non è indispensabile una barriera al vapore.
La fibra di cellulosa è ottenuta dalla macinazione di carta di recupero, trattata con sali
di boro, che la rendono ignifuga e inattaccabile da insetti e roditori. E’ usata come
materiale coibente per intercapedini di pareti, solai e tetti. Oltre che a secco può
essere messa in opera anche a spruzzo, se lievemente bagnata, fornendo un ottimo
isolamento termoacustico.
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CERE
Sono ottenute dalla cera d’api, dall’olio di lino, da scorze d’agrumi e propoli, senza
l’aggiunta di solventi derivati dalla sintesi chimica dei prodotti petroliferi. Sono
utilizzate come protezione, impermeabilizzazione, manutenzione delle superfici
lignee, e in cotto e per l’impregnazione di carte di cellulosa alle quali conferiscono
buone capacità di idrorepellenza.
FIBRA DI COCCO
E’ ottenuta dalla lavorazione della parte esterna
della noce di cocco, le cellule piene d’aria della sua
fibra e la sua struttura irregolare garantiscono
buone capacità di isolamento termico e acustico,
buone capacità idrometriche; la fibra di cocco non si
carica elettrostaticamente.
FIBRA DI LEGNO
Ottenuta dagli scarti non contenenti sostanze
tossiche, delle lavorazioni in segheria. Possono
essere assemblate in pannelli, mediante legante a
base di magnesite, calce e cemento bianco,
oppure possono essere auto incollate tramite la
resina naturale contenuta. Resistenza al fuoco,
coibenza termica, acustica, traspirabilità,
igroscopicità,
inattaccabilità
da
insetti,
riciclabilità e ricusabilità sono le principali
caratteristiche che lo rendono impiegabile per
tutte le opere di coibentazione per solai, coperture e pareti perimetrali (a cassa vuota
o monostrato con cappotto).
FIBRE DI ROCCIA E DI VETRO
Sono prodotte dalla fusione a 1600°C di rocce
d’origine
vulcanica
con
conseguente
trasformazione in fibre della massa liquida
prodotta; analogo è il procedimento per
ottenere le fibre di vetro, ottenuto
prevalentemente da vetro di recupero. Le
fibre sono impiegate per produrre pannelli e
materassini generalmente utilizzando collanti sintetici. Sono incombustibili ed hanno
buone qualità di isolamento termico. Essendo costituite da microfibre sono
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particolarmente irritanti per l’apparato respiratorio,
soprattutto in fase di messa in opera.
GESSO
Il gesso naturale utilizzato in edilizia si ottiene da
estrazione in cave e successiva cottura. La struttura
microporosa ne favorisce la permeabilità al vapore
acqueo, consentendo una buona traspirazione delle
superfici che lo rende adatto all’uso come intonaco e per finiture superficiali.
Esistono in commercio pannelli di gesso e fibra di cellulosa con ottime qualità
insonorizzanti e traspiranti da utilizzare come rivestimenti e pareti divisorie.
LANA DI PECORA
Ottenuta dagli scarti della lavorazione della lana.
Viene lavata, trattata con sali di boro e pettinata, ha
ottime capacità igroscopiche, di coibenza termica ed
acustica, è riciclabile ed è una materia prima
rinnovabile. E’ usata come isolante, in murature e
solai (nella foto, stesura di rotolo di lana di pecora per
isolamento di solaio).
LEGNO
Ricavato
dagli
alberi,
attraverso
lavorazioni che lo rendono adatto alla sua
utilizzazione, il legno è un ottimo
materiale da costruzione. Le principali
caratteristiche sono, leggerezza e buona
resistenza
meccanica,
facilità
di
lavorazione senza produzione di rifiuti
tossici, facilità di assemblaggio, buona
resistenza agli agenti atmosferici, buone
caratteristiche di isolamento termico e capacità termoigrometriche. Il legno non
interferisce con il campo elettrico, elettrostatico e magnetico naturale, è rinnovabile
ed è una risorsa praticamente inesauribile se proveniente da coltivazioni impostate
sulla forestazione produttiva che utilizzano specie con crescita rapida. Generalmente
il legno non necessita di particolari trattamenti, sono da sconsigliare, in ogni modo,
tutti quei modi di trattare basati sull’uso di sostanze di sintesi chimica: sono in grado
di annullare buona parte delle caratteristiche del legno e di creare considerevoli
problemi al benessere e alla salute umana. Si pensi per esempio all’uso di colle,
vernici e solventi, ricchi di formaldeide.
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Tra i difetti del legno possiamo elencare l’anisotropia, l’attaccabilità, da parte di insetti
e parassiti se messo in opera senza adeguate ventilazioni. All’infiammabilità si può
dare un freno utilizzando sezioni maggiori di quelle necessarie ai soli fini statici,
permettendo in caso d’incendio la carbonizzazione dello strato superficiale che forma
una protezione capace di preservare a lungo, la sezione resistente dal calore. E’
possibile trattare superficialmente il legno con sali di boro, mentre sono da evitare
tutti quei trattamenti sintetici che, una volta avviato l’incendio sprigionano gas tossici.
Compensati, truciolari, panforti, pannelli multistrato, sono derivati del legno che
utilizzano, generalmente, collanti chimici, con tutti i limiti che ne derivano. Il legno è
impiegato per la realizzazione di elementi strutturali come soffitti, travi, pilastri, per
murature perimetrali e pareti interne, come rivestimento per esterni e interni,
pavimenti, coibentazioni, e in opere di fondazione come le palificazioni.
OLIO DI LINO
Ottenuto dalla spremitura dei semi di lino contiene solventi ed essiccanti solo di
origine naturale, è utilizzato per la protezione e il trattamento di superfici in legno e
in cotto preservandone la traspirabilità.
PERLITE
Ottenuta da una roccia vulcanica è prodotta in granuli tramite un procedimento di
cottura che ne fa evaporare l’acqua contenuta e genera la formazione di micro-alveoli.
Può essere utilizzata sfusa all’interno di intercapedini, o per alleggerire intonaci e
malte ai quali conferisce, in funzione della sua struttura, caratteristiche termoisolanti.
PIETRA
In funzione dell’origine la pietra si divide in ignea, sedimentaria e metamorfica. A
queste categorie corrispondono proprietà specifiche che la rendono adatta a diversi
usi. E’ stato uno degli elementi fondamentali della nostra tradizione costruttiva,
tuttavia l’attività di cavazione ha un notevole impatto sull’ambiente. Si deve ricordare
che alcune famiglie di pietre come per esempio graniti, tufi, pozzolane posseggono
un elevato grado di radioattività naturale che varia a seconda della provenienza.
Utilizzato per murature, opere strutturali, rivestimenti esterni e interni se ne consiglia,
in virtù di quanto detto, un uso moderato, soprattutto se non proviene da manufatti demoliti.
SALI DI BORO
Sono ottenuti da tetraborato di sodio. Diluiti in acqua sono utilizzati come
trattamento ignifugo, antiparassitario e antimuffa per superfici in legno e murature.
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SUGHERO
E’ ottenuto dalla corteccia della quercia da sughero, che è costituita da milioni di
alveoli di materiale spugnoso. Se ne ricava tramite frantumazione, un granulato che,
previa ventilazione necessaria ad eliminare le impurità, può essere utilizzato sfuso o
impastato con leganti quali calci, trass, vetrificanti minerali.
E’ fornito anche in pannelli che sono assemblati, tramite colle (con i limiti di salubrità
che ciò comporta) o metodi auto incollati, (attraverso un procedimento di cottura e
contemporanea compressione che fa si che la corteccia ridotta in granuli, liberi la
resina contenuta e funga da collante). Altra modalità di assemblaggio è il trattamento
con onde ad alta frequenza. La particolare struttura cellulare del sughero gli
conferisce ottime caratteristiche di permeabilità e imputrescibilità, bassa conducibilità
termica e acustica e una temperatura superficiale elevata; è debolmente infiammabile.
E’ un materiale rinnovabile, a patto che si rispetti il ciclo produttivo della corteccia
che, una volta asportata, si rinnova nell’arco di circa 10 anni. Per le sue proprietà è
utilizzato come coibente termico ed acustico, in intercapedini di pareti, a cappotto
interno ed esterno, nelle coperture e nei solai.
VERMICULITE ESPANSA
E’ ottenuta da un minerale micaceo di origine
vulcanica che viene frantumato è sottoposto a
cottura; l’evaporazione dell’acqua contenuta
espande i granuli. E’ un isolante che tende ad
assorbire l’umidità presente nell’ambiente. Può
essere impiegata per confezionare calcestruzzi
alleggeriti (trattiene però per lungo tempo l’umidità,
aumentandone il ritiro) o a secco, per riempire
intercapedini di solai e murature. Ha buone
caratteristiche d’isolamento termico e acustico ed è
riutilizzabile.
VERNICI
La maggior parte dei prodotti in commercio sono derivati dalla sintesi chimica del
petrolio e quindi causa di notevole impatto su ambiente ed esser umani. Anche le
vernici “ad acqua” chiamate così perchè utilizzano come solvente principale l’acqua,
sono generalmente aggiunte di conservanti, leganti e addensanti di origine
petrolchimica. Oggi sono reperibili prodotti che utilizzano come composti base e
solventi, materie prime naturali rinnovabili, di origine naturale.
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L’uso e di conseguenza l’offerta di prodotti biologici per costruire e rifinire gli spazi i
cui viviamo si sta espandendo sotto la spinta di una crescente presa di coscienza delle
differenze esistenti tra i materiali derivati dal petrolio, (ricchi di scorie, di emissioni
tossiche e difficili da smaltire) e quelli realizzati con materie in grado di rigenerarsi e
di diminuire il loro impatto in termini di emissioni inquinanti, verso l’esterno e
l’interno delle abitazioni.
Tuttavia, anche materiali che possono apparire privi di controindicazioni, come i
materiali naturali, se trattati non adeguatamente, possono indurre effetti negativi alla
salute umana e all’ambiente. Da tutto questo si deduce che alla base di tutti i discorsi
bisogna sempre prestare attenzione alle scelte progettuali e costruttive riconducendo
la responsabilità ed i meriti alla persona che ha in mano le chiavi del nuovo edificio: il
professionista!
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RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI
Costruttore Tecnico Libero Professionista Condominio Proprietario/Affittuario
Leggi/Codici/Decreti/Normative principali di riferimento in Italia
Riferimenti Legislativi Storici - giurisprudenziali, non più in vigore
Costituzione Siciliana; primo esempio in Italia di statuto costituzionale, si ebbe a
Palermo quando il 19 luglio 1812 il Parlamento del Regno di Sicilia, lo promulgò.
Codice Civile Sabaudo o Albertino; fu promulgato da Carlo Alberto il 20 giugno
1837 per il Regno di Sardegna.
Codice Penale Sabaudo; fu il primo Codice Penale dell'Italia unita emanato
nell’anno 1839 per il Regno di Sardegna.
Codice Civile Regno d’Italia; (emanazione 02/04/1865), detto anche Codice
Pisanelli, rappresentò il primo codice civile del Regno d'Italia e fu emanato insieme
ad altri codici. Sostituì le leggi e i codici civili che vigevano autonomamente e
separatamente negli antichi Stati pre-unitari.
Legge 2892 del 15.01.1885; Legge “Risanamento Città di Napoli” emanata a seguito
di una grave epidemia di colera che colpì la città nel 1884. (Cause principali
l’affollamento abitativo e le pessime condizioni igienico sanitarie). Per porre fine
all’insalubrità, il piano di risanamento, prevedeva ampie zone di demolizione e
ricostruzione.
Legge N° 5849 del 22.12.1888; “Legge per la tutela dell’igiene e della sanità
pubblica” Legge Crispi-Pagliani. (Primi passi del Certificato di Agibilità art. 39).
Regio Decreto – R.D. N° 636 del 1907; “Testo unico delle leggi Sanitarie.”
Codice Penale Regno d’Italia; (in vigore dal 1890 al 1930); comunemente Codice
Zanardelli da Giuseppe Zanardelli, allora ministro di Grazia e Giustizia che ne
promosse l'approvazione.
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Riferimenti Legislativi medio storici - in vigore e/o parzialmente in vigore
Codice Penale Italiano – C.P.; noto come Codice Rocco, dal nome
dell’estensore, il guardasigilli del Governo Mussolini Alfredo Rocco entrò in vigore
nel 1931 è un corpo di norme in tema di diritto penale. Insieme alla Costituzione e
alle leggi speciali è una delle fonti del diritto penale italiano, ancora oggi
vigente e s.m.i.
Regio Decreto - R.D. N° 1265 del 27/07/1934; Testo Unico delle Leggi Sanitarie.
(Gli articoli principali inerenti sono: CAP IV da art. 218 a 230 e 344).
Codice Civile Italiano – C.C.; entrata in vigore 21/04/1942. Emanato con il Regio
decreto-legge 16 marzo 1942, n. 262, in materia di "Approvazione del testo del Codice
civile.", insieme alle leggi speciali, costituisce una delle fonti del diritto civile italiano,
ancora oggi vigente nell'attuale Repubblica Italiana e s.m.i.
Legge Urbanistica N° 1150 del 07/08/1942; sulla disciplina urbanistica e suoi
scopi. Prima legge generale italiana di coordinamento urbanistico territoriale. Primo
esempio in Italia di Piano Regolatore fu nel 1884, dell'ingegner Cesare Beruto che
redisse per la città di Milano un piano d'espansione.
Decreto Legge N° 417 del 12.07.1945; Istituzione dell’Alto Commissariato per
l’Igiene e la Sanità pubblica, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
Costituzione della Repubblica Italiana; è la legge fondamentale della Repubblica
Italiana, il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello Stato italiano. E’ in vigore
del 01 gennaio del 1948.
Legge N° 296 del 13.03.1958; Istituzione del Ministero della Sanità, per dare
attuazione all’art. 32 della Costituzione, che afferma: ”La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Legge N° 765 del 06/08/1967; meglio conosciuta come Legge Ponte; introdusse
l'obbligo della Licenza Edilizia, rimanendo comunque gratuita.
Decreto Interministeriale n. 1444 del 02.04.1968; “Limiti inderogabili di densità
edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati
agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei
nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti."
Legge n. 1187 del 19/11/1968; Modifiche e integrazioni alla legge urbanistica del 17
agosto 1942 n. 1150, detta “legge tappo” o “legge tampone”, fu promulgata a seguito
della sentenza 9 maggio 1968, n. 55.
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Decreto Ministeriale – DM 05/07/1975 (G.U. 18.07.1975, N. 190); Modificazioni
alle istruzioni ministeriali del 20.06.1896 relativamente all’altezza minima ed ai
requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione.
Legge n. 10 del 28.01.1977; cosiddetta Legge Bucalossi, "Norme per l’edificabilità dei
suoli." La Licenza Edilizia fu sostituita dalla Concessione Edilizia diventando però un
titolo oneroso.
Legge N° 833 23.12.1978; “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale” e le sue
funzioni sono state trasferite all'unità sanitaria locale USSL, ora azienda sanitaria
locale ASL, che le esercita attraverso il proprio dipartimento di prevenzione.
Promulgata per sopprimere legge 22 dicembre 1888, n. 5849.
Decreto Ministeriale 20/06/1986; Istruzioni Ministeriali, a compilazione dei
regolamenti locali, sull’igiene del suolo e dell’abitato (suolo e acqua).
Decreto Ministeriale del 09/06/1999; aggiornamento al DM 05/07/1975.
Modificazioni in materia dell'altezza minima e dei requisiti igienicosanitari principali
dei locali di abitazione.
Riferimenti Legislativi recenti/attuali - in vigore
Decreto del Presidente della Repubblica – DPR N° 380 del 06/06/2001; Testo
Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia e s.m.i.
Legge N° 317 del 03.08.2001; Conversione in legge, del D.L. 12.06.2001 n. 217,
D.lgs 30.07.1999 n. 300, L. 23.08.1988 n. 400, nasce il “Ministero della Salute”.
Decreto Ministeriale – DM N° 174 del 06/04/2004; Regolamento concernente
materiali e oggetti che possono essere utilizzati negli impianti fissi di captazione,
trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano.
Decreto Legislativo – D.Lgs N° 122 del 20/06/2005; Disposizioni per la tutela
dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire a norma della legge 2
agosto 2004, n. 210.
Decreto Legislativo – D.Lgs N° 163 del 12/04/2006; Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori servizi e forniture (direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
Decreto Legislativo – D.Lgs N° 81 del 09/04/2008; Testo Unico in materia di
salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (TUSL) è un complesso di norme emanato
in attuazione dell'articolo 1 della legge delega 3 agosto 2007 n. 123.
Legge N° 220 del 11.12.2012, “Modifiche alla disciplina del condominio.”
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Norme UNI principali di riferimento
La norma è un documento che dice "come fare bene le cose", garantendo
sicurezza, rispetto per l'ambiente e prestazioni certe. Secondo il Regolamento UE
sulla normazione europea, per norma s’intende: "una specifica tecnica, adottata da un
organismo di normazione riconosciuto, per applicazione ripetuta o continua, alla quale
non è obbligatorio conformarsi, e che appartenga a una delle seguenti categorie: internazionale,
europea, armonizzata (europea adottata sulla base di una richiesta della
Commissione ai fini dell'applicazione della legislazione dell'Unione
sull'armonizzazione); nazionale. Si riportano di seguito le varie norme tecniche
relative all'inquinamento dell'aria recepite/elaborate dall'UNI, della sigla
s’individuano quelle recepite anche a livello europeo e internazionale.
Riferimento Impianti di abbattimento: UNI EN 12753:2010, UNI 11304-1:2008, UNI 113042:2008, UNI 10996-7:2006, UNI 10996-6:2004, UNI 10996-5:2004, UNI 10996-4:2003, UNI 109963:2002, UNI 10996-2:2002, UNI 10996-1:2002, UNI 10861:2000, UNI 10830: UNI 8130:1980.
Riferimento Filtrazione: UNI EN 1822-1:2010, UNI EN 1822-2:2010, UNI EN 1822-3:2010, UNI
EN 1822-4:2010, UNI EN 1822-5:2010, UNI EN 15805:2010, UNI EN 14799:2008, UNI
11254:2007, UNI EN 779:2005. Riferimento Qualità dell’aria: UNI ISO 16702:2010, UNI EN
15267-1:2009, UNI EN 15267-2:2009, UNI EN 15267-3:2008, UNI EN 15483:2009, UNI EN
15841:2010, UNI EN 15852:2010, UNI EN 15853:2010, UNI EN 15859:2010, UNI CEN/TS 161151:2011, UNI EN ISO, 11771:2011, UNI EN ISO 20988:2007, UNI EN 15549:2008, UNI EN
15259:2008, UNI CEN/TS 15674:2008, UNI CEN/TS 15675:2008, UNI EN 15251:2008, UNI EN
ISO 9169:2006, UNI EN ISO 16000-7:2008, UNI EN ISO 16000-9:2006, UNI EN ISO 1600010:2006, UNI EN ISO 16000-11:2006, UNI EN ISO 16000-12:2008, UNI EN ISO 16000-15:2008,
UNI EN 14211:2005, UNI EN 14212:2005, UNI EN 14625:2005, UNI EN 14626:2005, UNI EN
14662-1:2005, UNI EN 14662-2:2005, UNI EN 14662-3:2005, UNI EN 14662-4:2005, UNI EN
14662-5:2005, UNI EN 14902:2005, UNI EN 14907:2005, UNI EN 14412:2005, UNI 11108:2004,
UNI EN 13528-3:2004, UNI EN 13725:2004, UNI EN ISO 14956:2004, UNI EN ISO 160172:2004, UNI EN 13528-1:2003, UNI EN 13528-2:2003, UNI EN ISO 16017-1:2002, UNI EN
12341:2001, UNI 10788:1999, UNI ISO 7708:1998. Riferimento Atmosfera nell’ambiente di
lavoro: UNI EN 13890:2009, UNI CEN/TS 15279:2006, UNI CEN/TR 16013-2:2010, UNI EN
838:2010, UNI ISO/TR 27628:2010, UNI CEN/TR 15547:2007, UNI EN 15051:2006, UNI EN
482:2006, UNI 11090:2005, UNI EN 14042:2005, UNI EN 14031:2005, UNI EN 14530:2005, UNI
EN 14583:2005, UNI 11091:2004, UNI 11092:2004.
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Normative Comunitarie CEE principali di riferimento
Le normative comunitarie in tema di edilizia forniscono alcune indicazioni, per
quanto attiene la salubrità degli edifici, prescrivendo i requisiti essenziali delle opere e
delle componenti per quanto riguarda igiene, salute e ambiente.
"L'opera deve essere concepita e costruita in modo da non compromettere l'igiene e
la salute degli occupanti", soprattutto non deve provocare:
Sviluppo di gas tossici
- In caso di incendio;
- durante la lavorazione;
- durante la vita di esercizio;
- alla fine della vita del prodotto.
Presenza nell’aria di gas tossici
- Emissione di fibre e polveri (amianto);
- Emissione di composti organici volatili.
Emissioni di radiazioni pericolose
- Radon e prodotti edilizi.
Inquinamento e tossicità dell’aria e del suolo (sostanze chimiche, fibre e microrganismi)
- Durante la lavorazione o l'applicazione;
- Durante la vita di esercizio;
- Alla fine del ciclo di vita del prodotto.
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Difetti nell’eliminazione delle acque di scarico, dei fumi, dei rifiuti solidi e liquidi
- Difetti concernenti prodotti (tubazioni, canne di esalazione);
- Difetti concernenti il progetto;
- Difetti concernenti la posa e l'installazione.
Formazione di umidità su parti/pareti (per capillarità, infiltrazioni, condensa,
perdite tubazioni impianti)
- Causata dal progetto;
- Causata dall'esecuzione;
- Causata dalla scelta dei materiali.
Direttiva CEE 89/106: La Salubrità degli Edifici.
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Definizioni delle figure professionali coinvolte
Costruttore
Nello specifico del caso Edile, più comunemente “Impresario Edile” è quella
figura giuridica che costruisce opere e manufatti rientranti nel campo
dell’edilizia, dalla singola casa a uso residenziale ai complessi costruttivi più
impegnativi come una palazzina condominiale nella quale possono essere presenti
unità a uso commerciale, uffici, e nuclei ad uso residenziale, passando ai capannoni
artigianali o industriali. Opera inoltre in tutte le opere di restauro, ristrutturazione,
manutenzione straordinaria e ordinaria.
Condominio
Premesso che il Codice Civile non ne dà una specifica definizione, trattandosi di un
istituto relativamente giovane, viene disciplinato sistematicamente solo nel c.c. del
1942, il codice del 1865, infatti, non conteneva una disciplina compiuta del
condominio. (Libro III, relativo alla proprietà e nello specifico nel Capo II del Titolo
VII relativo alla comunione). Quanto sopra aiuta a comprendere come il
condominio è una particolare forma di comunione nella quale coesistono parti
di proprietà esclusiva e comune.
Data una definizione di condominio, si pone il problema di individuare i casi concreti
ai quali si applica la disciplina codicistica. La questione è stata oggetto negli ultimi
anni di problematiche di non facile soluzione, oggetto d’intervento giurisprudenziale.
In particolare:
- A livello numerico quando si può dire che si è di fronte ad un condominio?
- È sufficiente che i condomini siano due, tre o di più?
- Come s’identifica un condominio?
- Un condominio può svilupparsi solo in senso verticale o anche orizzontale?
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Non si necessita di una formula rigorosa affinché si possa dire che si sia costituito un
condominio. È sufficiente che sia venduta una sola unità immobiliare dell'edificio e
avere la presenza di due differenti proprietari esclusivi di diverse porzioni
dell'immobile “condominio minimo”, definiti ai fini di legge condomini.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con l'importante sentenza n. 2046/2006,
hanno chiarito che l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in
materia non dipende dal numero delle persone che ad essa partecipano.
Pertanto, il numero dei condomini incide solamente sulla necessità di nominare o
meno un amministratore, (quando i condomini sono più di quattro), o per il
regolamento di condominio, (obbligatorio quando i condomini sono più di dieci).
Il condominio, può svilupparsi in senso verticale (classico edificio condominiale a
più piani) quanto in senso orizzontale, basti pensare ai residence composti da
villette mono o bifamiliari con servizi in comune (strade interne, illuminazione).
Diverso è invece, il caso in cui più palazzi, già di per se costituenti degli autonomi
condomini nel senso sinora affermato, abbiano beni e/o servizi in comune. In tal
caso, si è di fronte al "supercondominio", che è composto da più edifici
condominiali legati tra loro da beni e/o servizi comuni. Per esemplificare, un
gruppo di quattro edifici, che abbia in comune un parco i servizi di fognatura ecc…,
è catalogabile come supercondominio.
Proprietario
La persona cui qualcosa, un bene, appartiene per diritto di proprietà; il
proprietario dell'appartamento, del terreno, dell'ufficio, nel linguaggio comune, il
titolare di beni immobili o di un'azienda.
Proprietà, è un diritto reale di godere e di disporre delle cose in modo pieno
ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi previsti dalla legge (art.
832 del c.c.). Si può parlare di proprietà privata, o pubblica, con riferimento allo
status del soggetto giuridico o fisico cui spetta la titolarità del diritto.
Affittuario
Chi prende in affitto qualcosa (nel nostro caso specifico, una casa, un appartamento,
un negozio, ecc…). Più approfonditamente, colui al quale, mediante regolare
contratto di affitto, viene dato in locazione un bene produttivo, per lo più un
immobile, una casa o un podere.
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Locatore
Dal latino locator – oris, in diritto è la parte contrattuale che concede un bene in
locazione, in contrapposizione all'altra parte contrattuale, il locatario ovvero colui
che riceve questo bene. Il locatore rappresenta quindi il soggetto che mette a
disposizione il bene ad un altro soggetto (conduttore, locatario o affittuario) per un
dato tempo, in cambio di un determinato corrispettivo in moneta (art. 1571 del
Codice Civile).
Tecnico Libero Professionista
Nello specifico Geom., Ing., Arch., è un lavoratore che svolge un'attività tecnicoeconomica, a favore di terzi, volta alla prestazione di servizi mediante lavoro
intellettuale. L'attività svolta è detta libera professione. L'etimologia della parola
professionista deriva da "professare" cioè essere fedele a degli statuti ordinistici o
regolamentanti un’attività. I liberi professionisti, per esercitare la loro attività devono
necessariamente possedere dei requisiti previsti dalla legge ed essere iscritti agli albi
professionali quando questi esistono.
Il Tecnico Libero Professionista, (Geom. Ing. o Arch. che sia), all’interno di una
commessa edile, partendo dalla progettazione preliminare, passando per la direzione
dei lavori fino all’ottenimento dell’Agibilità (che assevera), può svolgere la figura del
Progettista e del Direttore dei Lavori.
Progettista è colui che redige un progetto, spesso di carattere architettonico o
tecnico progettuale, attraverso un processo o attività chiamata progettazione.
Si tratta di una figura professionale che con un proprio bagaglio tecnico-culturale ed
una congrua esperienza pensa e concepisce prima, ciò che sarà costruito dopo.
La progettazione, infatti, dovrebbe essere realizzata con scienza, coscienza ed
esperienza ed è il progettista che dovrebbe possedere queste virtù.
Il progettista quindi, redige un progetto e definisce cosa sarà costruito e come verrà
costruito. Per raggiungere quest’obiettivo, il progettista deve possedere
un'approfondita conoscenza dei materiali, delle tecniche di assemblaggio, delle norme
tecniche e delle leggi che insistono sulla materia in cui intende operare.
I progettisti che esercitano la libera professione devono essere abilitati con un
proprio iter formativo ed un esame finale. L'esame dà diritto all’iscrizione ad un
Collegio o Ordine che rilascerà a sua volta un timbro ed un numero di matricola.
Tutti i progetti che saranno redatti dai progettisti a questo punto verranno timbrati e
firmati. Il timbro e la firma hanno due funzioni principalmente; la responsabilità di
quello che si è progettato e la paternità morale delle scelte che si sono operate nella
progettazione.
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Direttore dei Lavori, in breve D.L. è la figura professionale scelta dal committente,
in base alle opere da realizzare (e al titolo professionale richiesto dalle normative
vigenti per l'esecuzione di tali opere), con lo scopo di seguire l'andamento regolare
dei lavori in cantiere.
I compiti del direttore dei lavori sono molteplici, in sintesi:
- Denuncia al comune competente l'apertura del cantiere, Inizio Lavori;
- Dirige l'esecuzione delle opere volte a realizzare un progetto;
- Redige i SAL o se redatti dall'impresa costruttrice, li controlla e avalla;
- Vidima eventuali modifiche tecniche migliorative del progetto;
- Verifica la corretta esecuzione dei lavori;
- Stende i verbali di riunione e di eventuali ordini di servizio;
- Rilascia eventuali certificati (corretta posa in opera, corretta esecuzione lavori);
La figura del D.L. nell’espletamento del proprio incarico è soggetta a due principali
doveri, verso lo stato e verso la committenza, in sintesi:
Doveri del Direttore Lavori verso lo Stato: se in cantiere viene commesso un
abuso edilizio, lavorazioni che possono minare la stabilità stessa della costruzione,
deve segnalarlo alla committenza ed alla pubblica amministrazione con la
sospensione immediata delle lavorazioni. In caso contrario il direttore diventa
complice e passibile di denuncia.
Doveri del direttore lavori verso la committenza: deve stilare un verbale di
apertura del cantiere, redigere periodici verbali anche fotografici sull'esito dei lavori,
verificare la correttezza del progetto e segnalare al committente eventuali correzioni
necessarie al buon esito dei lavori.
Il D.L. è il responsabile della corretta esecuzione delle opere e sorveglia che il
progetto, venga rispettato. Attraverso visite periodiche in cantiere vigila che tutte le
indicazioni del progetto siano attuate correttamente, impartendo anche per iscritto le
necessarie disposizioni al capocantiere. Alla fine dei lavori il D.L. rilascia un
certificato di corretta esecuzione e presenta al comune (qualora necessaria) la
richiesta del rilascio del Certificato di Agibilità.
Certificato di Agibilità (D.P.R. 380/2001, Parte I Titolo III artt. 24-26)
E’ uno dei documenti tecnico - amministrativi più importanti in relazione al proprio
immobile di proprietà. Si tratta infatti di un’attestazione che il Comune rilascia, al fine
di provare l’idoneità dell’edificio a garantire le “condizioni minime” di sicurezza e
di salubrità.
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Ne consegue che il certificato viene rilasciato a margine di una serie di verifiche di
conformità degli standard minimi sulla sicurezza e sulla stabilità dell’immobile, e sul
suo impatto energetico.
Per consentire al Comune di sancire l’effettiva rispondenza dell’immobile agli
standard di conformità, vengono pertanto effettuate una serie di analisi sulla
distribuzione dei vani, sulle volumetrie degli stessi, sulle funzionalità di impianti
idraulici, elettrici, idrici, sul collaudo statico e complessivamente sulla salubrità
dell’ambiente interno ed esterno.
In merito alla domanda di “agibilità”, si ricorda che la richiesta va effettuata allo
Sportello Unico per l’Edilizia Residenziale del Comune, allegando una serie di
documenti specificati in sede d’istanza (essenzialmente, accatastamento, conformità
delle opere, certificazioni impianti di principale riferimento, elettrico e
idrotermosanitario-gas, collaudo statico, dichiarazioni imprese, APE/AQE ecc…).
Salubrità
Da salubre, cioè che fa bene alla salute e contribuisce a conservarla, in materia di
aria, clima, ambiente. Un “Edificio Salubre” di conseguenza può essere definito
come quel luogo indoor (abitativo o lavorativo), dove chi lo vive ha garantito il
benessere psico-fisico. Garantito a sua volta dal benessere ambientale, legato a
temperatura, umidità, ventilazione, luminosità, la salubrità dei materiali utilizzati, la
conformità degli impianti tecnologici e la protezione dai rumori.
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Il Percorso
Committente e Tecnico stipulano
un contratto per la prestazione di
lavoro intellettuale, progettazione
(di un fabbricato, abitazione o
condominio o ristrutturazione).
Il Tecnico assume l’incarico di
progettista, elabora su carta la
propria capacità tecnica con
“scienza, coscienza ed esperienza”
e
predispone
il
progetto
esecutivo.
Committente e Impresario Edile
“costruttore” (o chi per lui ne fa le
veci), sotto la responsabile
“guida” del tecnico, stipulano il
contratto d’appalto per la
realizzazione dell’opera edile.
L’Impresario Edile, “Costruttore”,
con la propria squadra di lavoro,
secondo i crismi del buon padre di
famiglia ma soprattutto secondo
le norme in materia realizza
l’opera edile secondo il progetto
esecutivo di cui sopra.
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Il Direttore dei Lavori – DL (nella
maggior parte dei casi il
progettista) coordina e vigila
rigorosamente in cantiere, la
realizzazione dell’opera.
Proprietario e Direttore Lavori,
quando il “puzzle” è completato,
provvedono a richiedere il
Certificato di Agibilità, allegando
tutta
la
documentazione
indispensabile.
Dopo i dovuti controlli da parte
del Comune competente, se tutto
e ok viene rilasciato il Certificato
di Agibilità.
Direttore dei Lavori e Impresario,
a
questo
punto
possono
consegnare
al
legittimo
proprietario il proprio “nido” per
andare a vivere e abitare Sano
Salubre e Sicuro.
Il
proprietario
dell’immobile
inoltre può affittare la casa
costruita (o locare il condominio
con più unita abitative e non
abitative). Possibile entrata in
scena di Locatore e Locatario.
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L’immobile o l’unità abitativa sono
stati realizzati “sani, salubri e
sicuri” esenti da vizi costruttivi…
… tutti vissero felici e contenti.
L’immobile o l’unità abitativa sono
stati realizzati “insani, insalubri e
insicuri”,
presentano
vizi
costruttivi…
…iniziano i problemi per tutti. Di
salute per gli inquilini, Civili e
Penali per D.L. costruttore ecc
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Responsabilità Civili, Penali e Disciplinari
Responsabilità Civile: l'art. 2043 del c.c. prevede che qualunque fatto doloso o
colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto
a risarcire il danno. Detta norma, che costituisce il cardine del sistema della
responsabilità extracontrattuale o aquiliana, prevede cioè che la lesione di una
posizione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento obbliga l'autore della lesione a
risarcire le conseguenze negative patrimoniali ed, in certi casi, non patrimoniali che
dalla medesima sono derivate. In considerazione del fatto che la norma trova
applicazione a qualunque fatto, l'art. 2043 c.c. viene considerata una clausola di
portata generale in grado di far acquisire alla responsabilità civile la necessaria
flessibilità che la mutevolezza della realtà economico-sociale richiede.
Responsabilità Penale: s’incorre in responsabilità penale se si commette un reato,
vale a dire un fatto cui l’ordinamento giuridico attribuisce come conseguenza una
pena. L’omicidio è un reato, perciò chi lo commette, incorre in responsabilità penale.
I reati colpiscono in modo diretto uno o più soggetto determinati e in modo indiretto
l’intera società. Tutti noi abbiamo, infatti, interesse a che siano prevenuti e puniti i
comportamenti socialmente pericolosi. Questa considerazione spiega perché nei
processi penali siano coinvolte più parti.
Responsabilità Disciplinare: la responsabilità disciplinare è una forma di
responsabilità aggiuntiva rispetto alla penale, alla civile ed all'amministrativa, nella
quale incorre il lavoratore, sia esso pubblico che privato, nel momento in cui non
osservi gli obblighi contrattualmente assunti.
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Dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è emerso che nelle società
industriali si trascorre fino al 95% dell’esistenza in ambienti confinati e ci si può
ammalare della Sindrome da Edificio Malato. Si può arrivare a prevenire le
patologie legate a questa sindrome, intervenendo in fase di progettazione per la
realizzazione o ristrutturazione di un edificio. Sempre l’OMS ha evidenziato che negli
ultimi 40 anni gli edifici sono stati costruiti con materiali nocivi alla salute dell’uomo
e del pianeta. E’ quindi necessaria una rivisitazione degli immobili utilizzando nuovi
modelli costruttivi e materiali intelligenti “Salubri”.
La cosiddetta Sindrome da Edificio Malato (SBS) è stata riconosciuta sin dal
1983 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come patologia associata al
luogo di lavoro e di residenza. Si tratta di una combinazione di disturbi, legati a
tutti gli aspetti del microclima cui le persone sono esposte, che comprendono, fra
l’altro, condizioni d’illuminazione, umidità dell’aria, ricambio della ventilazione,
presenza di muffe e la possibile emissione di alcune sostanze nocive dai materiali
impiegati per la costruzione o la presenza di radon nel sottosuolo. Questa
monografia riunisce professionisti impegnati direttamente sul campo e le rispettive
esperienze maturate. I contenuti spaziano dalla promozione della salute sui luoghi di
lavoro all’evoluzione del concetto di valutazione dei rischi in ambienti indoor, dalle
problematiche edilizie nell’architettura contemporanea alle malattie correlate
all’edificio, fino alla valutazione dei ruoli e delle responsabilità.
La questione della salubrità degli edifici coinvolge molte istituzioni pubbliche. La
prevenzione di malattie e disturbi vari passa da ambienti sani, oltre che da
provvedimenti da prendere nella progettazione e la realizzazione delle nostre
abitazioni, ed ha un ruolo fondamentale anche la modalità di conduzione di una casa
o di un ambiente di lavoro, fondamentale affinché un luogo chiuso possa restare
salubre. Servono, dunque, progettisti e maestranze ben preparati, oltre che
politiche ed incentivi pubblici che possano far decollare il settore.
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Evoluzione Giurisprudenziale in materia
Corte di Cassazione, d’Assise, d’Appello, Tribunale, Giudice di Pace.
Costruttore
Con la Sentenza n. 19483 del 16.09.2014, la Cassazione ha confermato l'oramai
diffuso orientamento secondo cui i termini di decadenza e di prescrizione di cui
all'art. 1669 del c.c. (che recita: Rovina e difetti di cose immobili. “Quando si tratta di
edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni
dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte,
ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del
committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta”),
decorrono soltanto dal momento in cui il vizio di cui l'immobile è affetto sia
percepibile in modo pieno, senza che rilevi, al fine del computo di tali termini, il fatto
che l'acquirente del bene o il committente potesse aver cognizione di alcune
conseguenze del vizio presente.
Nel caso di specie era avvenuto che un condominio aveva lamentato nei confronti
del costruttore dell'immobile la presenza di vizi. Tali denunce, però, erano esposte in
missive dai contenuti generici e senza che vi fossero state individuate in modo
compiuto le esatte cause del vizio riscontrato.
Il condominio faceva dunque eseguire una perizia da un proprio tecnico di fiducia,
all'esito della quale venivano evidenziati in modo esatto le carenze che avevano
condotto alle problematiche in cui versava l'immobile. Sulla base di tale perizia il
condominio formalizzava una denuncia dei vizi e immediatamente dopo, proponeva
l'azione ex art. 1669 c.c. Il convenuto fin dal primo grado di giudizio aveva
contestato che il termine di decadenza, così come il termine di prescrizione di cui
all'art. 1669 c.c. era iniziato a decorrere dalle prime lettere di contestazioni, per cui la
successiva azione proposta dal condominio (a oltre un anno di distanza dalle prime
lettere, era inammissibile). Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla
denunzia.
L'appaltatore risultava soccombente in entrambi i giudizi di merito, per cui
proponeva ricorso per cassazione della pronuncia di secondo grado.
Come già anticipato l'esito del giudizio in Cassazione è stato ancora una volta
favorevole al condominio.
In primo luogo la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui soltanto
dal momento in cui il committente o suo avente causa, ha una piena percezione del
vizio che affetta l'immobile decorrono i termini di decadenza e prescrizione di cui
all'art. 1669 c.c.
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Sul punto viene, infatti, affermato che “il termine di un anno per la denuncia previsto
dall'art. 1669 a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal
giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei
difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti,
viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti a meno che non si sia in presenza di
un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini”.
Di conseguenza, poiché la pronuncia impugnata aveva ben argomentato e
compiutamente illustrato le ragioni logiche in forza delle quali il predetto principio
era stato applicato al caso concreto, la Corte ha svolto un'ulteriore considerazione:
“Essa ha, infatti, ricordato come l'accertamento relativo alla possibilità di percepire
immediatamente la presenza del vizio consta di un apprezzamento di fatto e di
conseguenza è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità,
se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto. In
definitiva, poiché la Corte d'Appello aveva ben illustrato la propria decisione, senza
che vi fossero vizi logici della motivazione, la Corte di Cassazione neppure può
accedere alla verifica in ordine alla presenza, nel caso di specie, degli elementi di fatto
che avrebbero far potuto maturare una decadenza e una prescrizione in capo al
condominio: tale accertamento di fatto era stato già compiuto nei gradi di merito e la
Corte non ha fatto altro che ribadire il predetto orientamento secondo cui in
assenza di un’immediata possibilità di percepire il vizio di cui l'immobile è
affetto, i termini di cui all'art. 1669 c.c. decorrono dall’acquisizione di una
perizia che illustri le cause del vizio presente.
Tecnico Libero Professionista
Nell’adempimento delle proprie “mansioni-intelletuali” (di Progettista e/o Direttore
Lavori), può essere tenuto a risarcire i danni causati nell'esercizio della propria
attività, se nel decorso non si comporta come uno "bravo".
Infatti, mentre nell'adempimento delle obbligazioni comuni il comportamento da
tenere è quello del "cittadino medio", nell'adempimento di quelle professionali è
prescritto un criterio più rigoroso, ossia quello del professionista "medio".
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la Sentenza
24213/2015. Secondo la dottrina maggioritaria, la responsabilità del direttore dei
lavori ex art. 1669 sarebbe di tipo contrattuale; anche la giurisprudenza aveva in un
primo tempo mostrato questo orientamento, sostenendo che il direttore dei lavori
risponde verso il committente secondo la disciplina delle professioni intellettuali.
Pertanto, le responsabilità di appaltatore e Direttore dei Lavori non sarebbero
solidali, bensì alternative l'una all'altra, senza possibilità di regresso. Nella
giurisprudenza di merito, emblematica è la sentenza pronunciata da Corte di
Appello di Milano, il 21 maggio 1974, che riprende i principi espressi dalla
Cassazione negli anni precedenti riguardo al progettista, estendendoli anche al
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direttore dei lavori: con specifico riferimento alla responsabilità del progettista che
questi verso il committente risponde in base ai principi relativi alla disciplina delle
professioni intellettuali Sentenza Corte di Cassazione del 10 maggio 1961, n. 1112.
L'appaltatore e il progettista rispondono dunque verso il committente sulla base di un
diverso titolo; da ciò si fa derivare il principio che le due responsabilità non devono
ritenersi solidali Sentenza Corte di Cassazione del 27 marzo 1965, n. 1520. Esse e
le relative azioni stanno quindi in concorso non cumulativo, né graduale, ma
alternativo; il committente può rivolgersi per l'intero danno contro il solo appaltatore
o contro il solo progettista, a sua scelta; una volta soddisfatto per l'intero da uno dei
due, nulla può pretendere dall'altro; soddisfatto da uno solo in parte, può agire
contro l'altro per la differenza. A sua volta, chi abbia soddisfatto il committente non
ha regresso verso l'altro debitore, perché nei rapporti fra i due debitori non si
possono estendere le regole proprie delle obbligazioni solidali, Sentenza Cassazione
del 6 settembre 1968, n. 2887.
Allo stesso modo, si atteggia il concorso tra la responsabilità del direttore dei lavori e
quella dell'appaltatore, perché anche in questa ipotesi la responsabilità
dell'appaltatore, derivando dalla violazione di un contratto di appalto, è
alternativamente concorrente e non solidale rispetto a quella che può ascriversi o al
direttore dei lavori. Sostengono la responsabilità alternativa anche le Sentenze,
Cassazione del 16 maggio 1973, n. 1388; Appello di Firenze 15 aprile 1966; di
Roma 27 maggio 1964; e il Tribunale di Perugia 16 ottobre 1964. In seguito,
tuttavia, è prevalsa la tesi secondo cui l'art. 1669 configurerebbe una responsabilità
extracontrattuale e la giurisprudenza ha esteso la sua applicabilità anche al
professionista intellettuale incaricato della direzione dei lavori, il quale risponderà in
solido con l'appaltatore e altri soggetti eventualmente responsabili. Si veda la recente
Sentenza della Cassazione del 14 ottobre 2004 n. 20294, per la quale, in tema di
contratto d’appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei
concorrenti inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori e/o del
progettista, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, che per
le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento.
I soggetti chiamati a rispondere in virtù dell'art. 1669 sono precisati dalla Sentenza
della Cassazione del 30 maggio 2003 n. 8811, secondo cui la natura
extracontrattuale di tale responsabilità trova applicazione a carico di coloro che
abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli
relativi alla statica dell'edificio, che in quella di direzione dell'esecuzione dell'opera,
qualora detta rovina o detti difetti siano ricollegabili a fatto loro imputabile. Per la
Cassazione Sentenza del 10 settembre 2002 n. 13158 può essere responsabile (ex
art. 1669) perfino lo stesso committente che abbia provveduto alla costruzione
dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente
l'esecuzione dell'opera, da rendere l'appaltatore, un mero esecutore dei suoi ordini.
Nella specie, la Sentenza di cui sopra, ha escluso che potesse assumere la
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
responsabilità sancita dall'art. 1669 c.c. il fornitore dei materiali utilizzati, non
implicando tale prestazione, che si esaurisce nella consegna dei prodotti richiesti.
Sul tema della responsabilità solidale si è pronunciata anche la Cassazione con la
Sentenza del 22 agosto 2002 n. 12367, secondo cui i coautori di un illecito aquiliano
(extracontrattuale) rispondono in solido nei confronti del danneggiato, quand'anche
le rispettive condotte siano state tra loro indipendenti, a condizione che esse abbiano
concorso in modo efficiente alla produzione dell'evento.
Dello stesso avviso è la Sentenza della Cassazione del 28 novembre 2001 n. 15124,
secondo i principi generali in materia d'illecito, contrattuale o extracontrattuale che
sia, ove un unico evento dannoso sia imputabile a più soggetti, è sufficiente, al fine di
ritenere la solidale responsabilità di tutti nell'obbligo risarcitorio, che le azioni e/o le
omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento.
La Cassazione con sua del 11 agosto 2000 n. 10719 precisa che la responsabilità
(ex art. 1669) esula dai limiti del rapporto contrattuale corso tra le parti, per assumere
la configurazione propria della responsabilità da fatto illecito; accertare se sussista o
meno il nesso causale è poi, questione di fatto, come tale rimessa al giudice del merito.
Conformi all'orientamento sono anche la Sentenza della Cassazione del 28 gennaio
2000 n. 972, qualora il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia
ascrivibile alle condotte concorrenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori,
entrambi sono solidalmente responsabili del danno, a nulla rilevando la diversità dei
titoli cui si ricollega la responsabilità.
Le sentenze della Cassazione del 07 gennaio 2000 n. 81; Cass. del 26 aprile 1993
n. 4900; e Cass. 29 gennaio 1985 n. 488, per le quali sia in tema di responsabilità
contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se l'unico evento dannoso è
imputabile a più persone, è sufficiente al fine di ritenere la responsabilità di tutte
nell'obbligo di risarcimento che le azioni o omissioni di ciascuna abbiano concorso in
modo efficiente a produrre l'evento. Nella specie è stata ritenuta solidale la
responsabilità, per il danno risentito da una cooperativa edilizia, del direttore dei
lavori e dell'impresa appaltatrice per inadempienza ai rispettivi contratti, avendo
l'impresa proceduto alla costruzione di un muro con materiali inidonei e con
modalità, non conformi alle regole tecniche.
Risolve una questione di carattere processuale la Sentenza di Cassazione 27 aprile
1989, n. 1948, secondo cui la deduzione di una responsabilità del progettista e/o del
direttore dei lavori, esclusiva o concorrente con quella dell'appaltatore convenuto in
giudizio per rispondere, ai sensi dell'art. 1669 c.c., dell'esistenza di gravi difetti
costruttivi, non dà luogo a un'ipotesi di litisconsorzio necessario di carattere
sostanziale, bensì può comportare, configurandosi una comunanza di causa, la
chiamata del progettista e/o del direttore dei lavori per ordine del giudice (ex art. 107
c.c.). Sullo stesso punto vi è anche una pronuncia di Appello di Cagliari del 22
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
aprile 1993, per cui la deduzione di una responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669,
concorrente con quella del progettista e del direttore dei lavori, non configura
un'ipotesi di litisconsorzio necessario di carattere sostanziale, poiché la decisione può
essere utilmente pronunciata nei confronti solo di alcuni di tali soggetti, rimanendo
impregiudicata la possibilità di accertare in altro giudizio la concorrente responsabilità
degli altri. Per il Tribunale di Pescara 13 settembre 1999, la natura
extracontrattuale della responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c. a carico del
committente della costruzione comporta che in essa possa concorrere solidalmente il
direttore dei lavori.
In senso conforme si sono pronunciati; l’Appello di Lecce - Taranto il 10 giugno
1997; il Tribunale di Roma 17 novembre 1993, la disciplina dell'art. 1669 c.c. si
applica non solo nei confronti dell'appaltatore ma anche nei riguardi del progettista
e/o direttore dei lavori, poiché la relativa responsabilità esula dai limiti del rapporto
contrattuale intercorso tra le parti per assumere la configurazione propria della
responsabilità per fatto illecito.
L’Appello di Perugia del 12 marzo 1991, non sono cause di esonero della
responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c. né la natura del terreno, né le
manchevolezze del progetto, salvo che l'esecuzione fosse ordinata all'imprenditore
nonostante i suoi contrari rilievi, né la responsabilità del direttore dei lavori, che si
aggiunge eventualmente a quella del primo. A questo punto è constatato che per la
giurisprudenza anche il direttore dei lavori può rispondere a norma dell'art. 1669.
L'obbligazione del direttore dei lavori, a differenza di quella del progettista, è
qualificata tradizionalmente dalla giurisprudenza come un'obbligazione di mezzi vedi
Cassazione del 22 marzo 1995 n. 3624 e del 21 ottobre 1991 n. 11116.
La giurisprudenza più risalente nel tempo sostiene che il direttore dei lavori è tenuto
all'alta sorveglianza dei lavori e alla verifica della rispondenza dell'opera al progetto,
senza tuttavia che egli debba intervenire nell'esecuzione dell'opera. Il direttore deve
eseguire i suoi compiti attraverso l'emanazione di disposizioni e di ordini al
costruttore, controllando inoltre l'avvenuta esecuzione degli ordini stessi. Il controllo,
che deve essere svolto con interventi periodici (non necessariamente continui), non
comprende le operazioni più semplici compiute nel cantiere, la cui corretta
esecuzione rientra nella sfera di responsabilità del materiale esecutore. E’ opportuno
distinguere tra il direttore dei lavori per conto del committente e quello che invece
agisce come dipendente dell'appaltatore; al secondo spetta la sorveglianza sulle
ordinarie operazioni di cantiere. I difetti dell'opera possono essere imputabili al
direttore dei lavori solo quando derivino direttamente dall'inosservanza del dovere di
sorveglianza; non gli sono invece addebitabili i vizi provocati dalle attività per le quali
non è ragionevole aspettarsi un suo intervento. Vedi: Cassazione 9 maggio 1980 n.
3051; e 29 marzo 1979 n. 1818 le quali esonerano il direttore dei lavori dal dover
controllare la qualità del conglomerato cementizio adoperato dall'appaltatore; la
Cassazione del 28 ottobre 1976 n. 3965; del 16 ottobre 1976 n. 3541; del 7
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febbraio 1975 n. 475; e del 12 luglio 1965 n. 1456, secondo cui il direttore dei lavori
è responsabile per la mancata esecuzione degli ordini impartiti, salvo che il tutto sia
avvenuto al di fuori della sua sfera di sorveglianza; Cassazione del 4 luglio 1962, n.
1705. Per la giurisprudenza di merito, si vedano; Tribunale di Oristano 28 giugno
1988, che afferma la responsabilità del direttore quando le difformità derivano da
omissioni del dovere di sorveglianza; Appello di Torino del 21 marzo 1959.
Un orientamento giurisprudenziale più recente ha delineato compiti specifici in capo
al direttore dei lavori. La Sentenza della Cassazione del 27 aprile 1993 n. 4921
impone al direttore dei lavori di richiedere la verifica tecnica dei luoghi qualora i
rilievi sul suolo appaiano inadeguati, con lo sconfinamento in un'area che appartiene
tradizionalmente alla competenza dell'appaltatore Cassazione del 29 gennaio 2002
n. 1154; secondo l'indirizzo tradizionale si è pronunciata invece la Cassazione del 7
novembre 2000 n. 11783, escludendo la responsabilità del direttore in tali casi.
Il direttore dei lavori deve rilevare le inesattezze del progetto e dell'esecuzione,
verificando materialmente l'esito delle sue indicazioni e segnalando tempestivamente
al committente le ulteriori inadempienze da parte dell'appaltatore (Cassazione del
29 agosto 2000 n. 11359 e del 30 maggio 2000 n. 7180.
Il direttore non deve autorizzare l'uso di materiali deteriori rispetto a quanto previsto
nel capitolato, poichè ha il potere di rappresentare il committente limitatamente alla
sfera strettamente tecnica e non di autorizzare variazioni dell'opera. Una
giurisprudenza di merito, l’Appello di Venezia del 24 dicembre 1996, ha esteso gli
obblighi del direttore dei lavori al punto di affermare che, indipendentemente da ogni
eventuale responsabilità come progettista, egli sarebbe tenuto a un’obbligazione di
mezzi consistente nel compimento di tutte le attività necessarie ad evitare il prodursi
di effetti dannosi. Secondo tale impostazione, il verificarsi di un danno comporta
sempre responsabilità del direttore dei lavori, e non si può fare a meno di notare
come tale regime di responsabilità sia sicuramente in contrasto con quello
tradizionalmente ipotizzato per le obbligazioni di mezzi. Ciò implica che il direttore
dei lavori deve controllare molto più assiduamente l'esecuzione, fornendo - insieme
al materiale esecutore dell'opera - un apporto non valutabile secondo il tradizionale
criterio dell'alta sorveglianza.
Va infine precisato che non è ben chiaro se anche per il professionista valgano le
presunzioni di colpa che l'art. 1669 pone a carico dell'appaltatore. Seguendo la tesi
della responsabilità extracontrattuale e quindi solidale, si dovrebbe propendere per la
risposta affermativa. Si è pronunciato in questo senso il Tribunale di Perugia 9
gennaio 1996, in caso di rovina di edificio, la presunzione di responsabilità posta
dalla legge a carico dell'appaltatore si estende anche a progettista e direttore lavori.
Diverso “parere” esprime la Cassazione del 28 gennaio 2000 n. 972, che sottolinea
la necessità che il giudice motivi sulle inadempienze del direttore dei lavori, lasciando
intendere quindi che siano necessarie precise prove in proposito. Tale sentenza non è
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
chiara riguardo al titolo di responsabilità posto alla base della domanda. Pare
evidenziare un atteggiamento preciso riguardo all'onere della prova il Tribunale di
Roma, 20 luglio 2000, che richiede la dimostrazione del nesso causale tra le
inadempienze di quest'ultimo (D.L.) e l'insorgenza del vizio.
Proprietario/Affittuario
Muffa in casa di affitto? Il proprietario dell'alloggio “insalubre” condannato al
risarcimento dei danni alla salute dell'inquilino. Irrilevante la circostanza che
le anomalie fossero note all'inquilino. La tutela del diritto alla salute prevale su
qualsiasi patto di esclusione di colpa tra privati Il locatore di un immobile è
responsabile per i danni alla salute subiti dal conduttore nel corso del contratto e
dovuti alle condizioni abitative dell’alloggio. La tutela del diritto alla salute, infatti,
prevale su qualsiasi patto interpretativo di esclusione o limitazione della
responsabilità. Ne consegue che è del tutto irrilevante che il conduttore fosse a
conoscenza dell’esistenza di anomalie nell’appartamento al momento della
conclusione del contratto. È sostanzialmente questo, il principio stabilito dalla
Corte di Cassazione che, con la Sentenza 38559/14, ha accolto il ricorso di due
coniugi che avevano perso un figlio per avvelenamento da ossido di carbonio mentre si
trovava nel bagno senza finestra dell’appartamento preso in locazione. La coppia aveva
convenuto in giudizio il locatore esponendo che il tragico evento si era verificato a causa del
fatto che lo scaldabagno non era stato installato a regola d’arte per insufficienza tanto della
capienza del locale quanto del sistema di scarico dei fumi. Il condotto di esalazione, risultava
irregolare fin dall’origine in quanto collegato, in modo del tutto anomalo, alla canna di
deflusso dei fumi delle cucine e privo dello sfiato di riserva. Il tribunale ha respinto la
domanda dei genitori mentre la Corte d’appello ha riconosciuto la responsabilità del
proprietario nella misura di un terzo e lo ha condannato a risarcire il danno.
La Cassazione, accolto il ricorso, ha affermato che la responsabilità del locatore per i danni
derivanti dall’esistenza dei vizi sussiste anche in relazione ai quelli preesistenti la consegna del
bene ma manifestatisi successivamente ad essa nel caso in cui il locatore poteva conoscere la
loro esistenza usando l’ordinaria diligenza.Ne deriva, ha concluso la Suprema corte, che il
locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle
condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note al
conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla
salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione di responsabilità.
Condominio
Muffa proveniente dalle pareti perimetrali comuni? Il condominio deve risarcire al
proprietario i danni patrimoniali ed esistenziali, salvo la rivalsa nei confronti del
costruttore dell'immobile.
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
Il Condominio, quale custode delle parti comuni, risponde in via autonoma, ai sensi
dell'art. 2051 c.c., dei danni patrimoniali e non, salva la prova del caso fortuito. Il
Condominio, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell'impresa che ha edificato
l'immobile per la responsabilità extracontrattuale relativa ai vizi di costruzione ex art.
(1669 c.c.), chiedendo la manleva di quanto liquidato a favore del danneggiato.
Questo, in estrema sintesi, il principio di diritto affermato dal Tribunale di Monza,
avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni derivanti da umidità e muffa dovute
alla non corretta impermeabilizzazione delle pareti comuni dell'edificio condominiale.
La responsabilità del condominio-custode ex art. 2051 c.c., nel caso di specie, gli
attori agiscono nei confronti del solo Condominio per omessa custodia delle parti
comuni, per cui il Giudice è chiamato, preliminarmente, a verificare se, nella
fattispecie concreta, ricorrono i presupposti di tale azione.
Il Tribunale di Monza si rifà al consolidato orientamento della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui "l'umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture
perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia compromessa l'abitabilità e il godimento del bene,
grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c. Tuttavia,
qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in
via autonoma ex art. 2051 c.c. il condominio, che è tenuto, quale custode, ad eliminare le
caratteristiche lesive insite nella cosa propria" Sentenza della Cassazione Sezione Civile
del 15/04/1999 n. 3753. Non si tratta, precisa il Tribunale, di una responsabilità a
titolo derivativo, bensì di autonoma fonte di responsabilità che deriva dall'art. 2051 c.c.,
considerato che, peraltro, l'eventuale concorrente responsabilità del costruttore-venditore non può
essere assimilata al caso fortuito idoneo a liberare il Condominio - custode da ogni responsabilità.
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza in commento afferma la responsabilità del
Condominio per omessa custodia e manutenzione dei beni comuni ex art. 2051 c.c.,
condannandolo al risarcimento dei danni. Il Tribunale ha altresì condannato
l'impresa costruttrice a rifondere il Condominio delle spese sostenute, sussistendo i
presupposti (tempestività della domanda e gravità dei vizi) che legittimano l'azione
per rovina e difetto di edifici ex art. 1669 c.c. Detta azione è esercitabile non solo dal
committente contro l'appaltatore, ma anche (come nella fattispecie) dall'acquirente
contro il venditore-costruttore, allorché quest'ultimo abbia assunto, nei confronti dei
terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità della costruzione
dell'opera, (Sentenza del Tribunale di Milano, n. 2901/2013).
Capita spesso che l'appartamento del singolo condomino venga danneggiato da
infiltrazioni d'acqua provocate da rottura di tubazioni o difettosa coibentazione.
Avere il proprio appartamento danneggiato, comporta per il condomino un disagio
nelle relazioni sociali all'interno della collettività condominiale. Molte sono le
sentenze che hanno riconosciuto il danno esistenziale in caso di infiltrazioni.
Tra le più rilevanti sentenze ricordiamo quella emanata dal Giudice di Pace di
Venezia che con Sentenza del 15 dicembre 2009, nella vicenda il ruolo
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
determinante oggetto della tutela è il rispetto del proprio domicilio, all'esistenza
dignitosa, al rispetto della vita privata. Per tali motivi il Giudice di pace riconosce la
proprietaria dell'appartamento al piano superiore responsabile del danno
esistenziale subito. Il Tribunale di Pescara, con sentenza del 27 marzo 2007 n.
230, precisò che in caso di danni arrecati al singolo condomino dal sovrastante
appartamento a causa di infiltrazioni di umidità, tempestivamente segnalate
all'amministratore, ma non eliminate, sussiste la responsabilità solidale del
condominio, del proprietario dell'appartamento da cui sono derivate le perdite e
dell'amministratore in proprio.
In argomento è da segnalare anche una recentissima sentenza emessa dal Tribunale
di Monza n. 1230 del 7 maggio 2013, secondo cui "nel caso d’infiltrazioni d'acqua
nella singola unità immobiliare che portano alla formazione di muffe sui soffitti è il
condominio responsabile in via autonoma nei confronti del proprietario esclusivo ex
articolo 2051 c.c., il quale, laddove non offra la prova del fortuito è tenuto, quale custode, a
eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria e, dunque, a risarcire i danni
patrimoniali e non patrimoniali scaturiti dal mancato pieno godimento dell'immobile".
Il condominio è responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni causati dalle cose comuni alla
porzione di proprietà esclusiva. La responsabilità è esclusa laddove il condominio
dimostri l'esistenza di un fattore esterno idoneo a interrompere il nesso di causalità,
che può anche identificarsi con il fatto dello stesso proprietario danneggiato.
Secondo costante tradizione giurisprudenziale il condominio è il custode dei beni e
dei servizi comuni e, come tale, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie
affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno. In difetto, il condominio
risponde dei danni dalle parti comuni alla proprietà esclusiva di uno dei condomini,
ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile (Cassazione
Sezione Civile del 12/07/2011 n. 15291). Quanto innanzi in forza dell'art. 2051 c.c.,
ai sensi del quale "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in
custodia, salvo che provi il caso fortuito". Si tratta di un'ipotesi di responsabilità
"senza colpa" o oggettiva, per la cui configurabilità è sufficiente la prova della
sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo
all'evento lesivo, indipendentemente dal comportamento doloso o colposo.
La responsabilità è esclusa solo in presenza del caso fortuito, "fattore che attiene
non a un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla
cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno" (Cassazione sezione Civile del
06/04/2004 n. 6753). Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il caso
fortuito "può essere rappresentato con effetto liberatorio totale o parziale anche dal
fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il
nesso tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile
nella produzione del danno" (Cassazione Sez. Civile n. 2881/2008 e del
08/03/2007, n. 5308).
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
Nel caso di specie, in particolare, il Giudice ha ritenuto che la responsabilità delle
muffe e dell'umidità deve farsi risalire alla condotta del proprietario
dell'appartamento, che, trasformando i locali della soffitta in civile abitazione, ha
causato "fenomeni di condensa dovuti alla mancanza d’isolamento termico della copertura, d’idoneo
isolamento termico delle pareti nonché alla mancanza di areazione dei locali", locali che, nella
loro pregressa destinazione non richiedevano "gli stessi accorgimenti di un locale abitato".
La responsabilità delle infiltrazioni, dunque, è da imputare totalmente al proprietario
o comunque a chi ha effettuato il cambio di destinazione d'uso senza apportare tutte
le misure necessarie a consentire l'abitabilità dei locali.
La soluzione adottata dalla Sentenza, si configura come espressione del principio di
autoresponsabilità, desumibile non solo dall'art. 1227 c.c., ma anche dal dovere di
solidarietà sociale sancito dall'art. 2 della Costituzione, che si risolve in uno
strumento per indurre anche gli eventuali danneggiati a contribuire affinché un
pregiudizio non si verifichi ed è finalizzato a ottenere una migliore ripartizione dei
compiti e delle responsabilità tra danneggiante e danneggiato.
I casi particolari
Anche il Comune (inteso come Amministrazione) ha le sue responsabilità.
Casa “insalubre”, era stata dichiarata non agibile dall’amministrazione comunale,
decisione presa in base ai controlli dell’Usl territoriale competente. L’appartamento in
questione, a causa della mancanza delle condizioni di salubrità, viene dichiarato non
abitabile dall’Azienda Sanitaria e il Comune, tramite ordinanza del sindaco e ordina
agli inquilini l’immediato sgombero della casa. La proprietaria dell’appartamento, fa
ricorso al Tar, che annulla il provvedimento e condanna il Comune al pagamento
delle spese legali. (Sentenza del TAR di UD del 2008). La proprietaria, fatto ricorso
al Tar che non solo ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento, ma ha anche
condannato il Comune a rifondere le spese legali, gli accessori di legge e il contributo unificato.
Il Datore di lavoro. Problemi respiratori, mal di testa, scarsa concentrazione, fino a
giungere a gravi patologie, sono solo alcune delle insidie che potrebbero celarsi negli
edifici che ospitano il lavoratore durante il consueto svolgimento delle attività
lavorative. Purtroppo non si tratta più di casi ristretti, ecco perché anche il datore di
lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere delle proprie responsabilità, per danno
biologico morale ecc…
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
STORIA DELL'ABITAZIONE
L'abitazione a Roma. Domus, Insulae e Villae
Scarse notizie si hanno in merito alle abitazioni romane di epoca monarchica. Per i
periodi successivi, repubblicano e imperiale, le documentazioni sono invece più
numerose grazie a quanto riportato negli annales e nelle cronacae. Senza addentrarci
troppo nei particolari, in linea di massima le abitazioni romane possono essere
suddivise in tre categorie principali: domus, insulae e villae.
La Domus
La tipica domus romana, cosi' come e' stata conosciuta soprattutto dagli scavi di
Pompei, risulta una combinazione dell'antica Domus Italica, formata da un solo cortile
aperto (atrium) su cui si aprivano le stanze e da un giardinetto (Hortus), con la casa
greca (peristylium).
E' caratteristico notare come i nomi dei vari elementi del corpo anteriore siano
rimasti quelli latini dell'antica domus italica (atrium, tablinium, cubiculum, ecc.),
mentre invece quelli del corpo posteriore siano derivati dalla moderna casa greca
(peristylium, exedra, triclinium, ecc.).
La domus romana era di pianta rettangolare, solidamente costruita su un solo piano
con mattoni o calcestruzzo (impasto di sabbia, ghiaia, acqua e cemento), e si differiva
dalle odierne case moderne per l'orientamento che era verso l'interno anziché' verso
l'esterno. In pratica era racchiusa su se stessa come un'ostrica, come un piccolo
fortino: senza finestre, se non piccole e rare, e poste sempre in alto, e senza balconi.
Cio' significava che gli ambienti prendevano aria e luce dalle aperture del soffitto in
corrispondenza dei due principali e spaziali ambienti interni dell'atrium e del
peristylium, che costituivano i centri delle due parti in cui la casa era divisa,
rappresentando così la classica abitazione delle popolazioni meridionali e
mediterranee, che invitava alla vita all'aperto.
Spaccato della Domus Romana
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
Esternamente la domus romana aveva un aspetto rigoroso, lineare, e, se c'erano,
poche e strette finestre poste in alto sulla strada (questo per evitare che dall'esterno
potessero entrare rumori o, peggio ancora, ladri), aperte regolarmente nella muratura
esterna, che era spessa e rozza.
Il soffitto era a cassettoni (lacunari) intarsiati o decorati con stucchi. Il pavimento era
ricoperto da mosaici.
Le domus romane erano, spazio permettendo nelle citta' (vedi Roma, per esempio),
grandi e spaziose, areate ed igieniche, fornite di bagni e latrine, dotate di acqua
corrente, calda e fredda, riscaldate d'inverno da un riscaldamento centrale (gli
ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d'aria calda sotto i
pavimenti). Abbellite con vetri colorati e decorazioni con mosaici, affreschi variopinti
e statue, erano abitazioni volte a soddisfare i bisogni dei loro inquilini, abbinandovi
bellezza ed estetica, tanto da poter essere considerate forse, e non a torto, le più
comode che siano state costruite fino al XX secolo.
Logicamente il numero e l'ampiezza degli ambienti e dei giardini, l'arredamento e la
decorazione delle stanze variavano a seconda dell'eta' (repubblicana, imperiale, ecc.) e
della ricchezza del proprietario. Comunque i vari ambienti erano tutti disposti
intorno a due aree centrali aperte da cui ricevevano aria e luce.
Veduta aerea della tipica Domus Romana
Si e' detto in precedenza che la casa era formata da due grandi aree al cui centro vi
erano l'Atrium e il Peristylium:
A) nella parte anteriore della casa, al cui centro vi era l'atrio (Atrium), erano esposte
le immagini degli antenati, le statue dei Lari, dei Mani e dei Penati protettori della casa,
della famiglia e di altre divinita', le opere d'arte, gli oggetti di lusso e altri segni di
nobiltà o di ricchezza; qui il padrone di casa riceveva visitatori e clienti, soci e alleati
politici;
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
B) nella parte posteriore della casa, al cui centro vi era il peristilio (peristylium), si
svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino
ben curato (Hortus), che poteva anche essere circondato da un portico a colonne
(porticus) e ornato da statue, marmi e fontane, dove affacciavano le camere da letto
(i cubicola) padronali.
Ma vediamo, come in un viaggio immaginario di duemila anni indietro nel tempo,
cosa avrebbe visto un visitatore dell'epoca che entrava in una domus romana.
L'entrata principale si trovava generalmente su uno dei due lati più corti della casa e si
affacciava quasi anonimamente sulla strada, ad evidenziare quel volersi distaccare dal
"caos" delle vie e il non voler essere troppo d'invito per i ladri.
La porta era costituita da un alto portone in legno a due battenti con grosse borchie
in bronzo; al centro di ogni battente non era raro trovare raffigurata la testa,
anch'essa in bronzo, di un lupo che stringeva in bocca un grande anello da usare
come batacchio, così come non era raro trovare nelle ville (specie quelle di Pompei)
per terra un mosaico con la figura di un cane minaccioso e con la scritta "Cave canem",
attenti al cane: erano in tanti nell'Impero romano ad aver fatto questa scelta,
considerato che ladri e postulanti erano un problema non secondario.
Ma torniamo all'entrata; questa era preceduta dall'ostium, che era la soglia d'ingresso
che immetteva direttamente in un corridoio, detto vestibolo (vestibulum), che, a
sua volta, conduceva alla vera e propria entrata (fauces); da qui si passava al cortile
interno, detto atrio (atrium), normalmente quadrato con un'ampia apertura sul
soffitto spiovente verso l'interno detta compluvio (compluvium): di qui scendeva
l'acqua piovana, che veniva raccolta in una vasca rettangolare chiamata impluvio
(impluvium) sistemata nello spazio sottostante; quest'acqua era poi convogliata in
una cisterna sotterranea, che costituiva la riserva idrica della casa. Un piccolo pozzo
di marmo consentiva poi di attingere l'acqua per le necessita' quotidiane.
L'impluvio svolgeva anche la funzione di contribuire a rendere più luminosa e bella
la casa, riflettendo la luce solare e l'azzurro del cielo.
L'atrio rappresentava anche la principale fonte di illuminazione della casa che,
praticamente sprovvista di finestre, resterebbe altrimenti buia. Le pareti erano
colorate, come del resto anche gli altri interni, e ovunque vi erano riquadri con figure,
spesso mitologiche, piccoli paesaggi o decorazioni geometriche dai colori sgargianti:
azzurro, rosso e giallo ocra. Il mondo dei romani era decisamente colorato, molto più
del nostro attuale, dagli interni delle case, ai monumenti e agli abiti delle persone che
nelle grandi occasioni esibivano un vero trionfo di tonalità.
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Accanto all'atrio era sempre presente il lararium dove si tenevano le statue dei Lari e
dei Penati, protettori della casa e della famiglia, e dei Mani, per la venerazione delle
anime dei trapassati. Inizialmente, accanto ad essi, veniva alimentato un fuoco sacro,
che
non
doveva
mai
spegnersi,
pena
l'ira
degli
dei.
Nella parete dell'atrium, posta direttamente di fronte all'ingresso, si apriva una grande
stanza detta tablino (tablinum), la stanza-studio del padrone di casa dove erano
conservati gli archivi di famiglia e dove riceveva i suoi clienti: aveva gli angoli delle
pareti foggiate a pilastri, era separata dall'atrium soltanto da tendaggi, e aveva
un'ampia finestra che dava sul peristylium da cui riceveva luce ed aria; era arredata
spesso con un grande tavolo ed una imponente sedia posti al centro della stanza,
mentre di lato erano sistemati alcuni sgabelli, tutti arredi dalle gambe tornite e
decorate con intagli in osso, in avorio o in bronzo; lucerne su lunghi candelabri per
illuminare l'ambiente, un braciere a terra per riscaldarsi, strumenti da scrivere e
oggetti in argento ostentati sul tavolo a far bella mostra completavano l'arredamento
tipico.
Ai lati sinistro e destro dell'atrium si aprivano i cubicula (al singolare cubiculum), le
piccole e buie camere da letto simili a delle cellette senza finestre alla cui
illuminazione provvedevano soltanto delle deboli lucerne che poco evidenziano quei
capolavori di affreschi o di mosaici che spesso decoravano queste stanze e le alae,
due ambienti di disimpegno aperti.
Di fianco a una delle due alae poteva essere ubicato il triclinio (oecus tricliniare o
Triclinium), la grande e sontuosa sala da pranzo, che prendeva luce da una apertura
che dava da una parte sul peristylium (che come si vedra' successivamente, era il
grande giardino all'aperto), e dall'altra sull'atrio. Il Triclinium poteva essere
posizionato anche in altri punti della casa, come mostrato nell'immagine della
planimetria.
Attraverso un corridoio chiamato andron, dall'atrio si raggiungeva il peristylium, la
parte più interna e spettacolare della casa.
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Planimetria della Domus Romana
Era qui, nella parte posteriore della casa, che si svolgeva di solito la vita privata della
famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus).
Il peristilio (peristylium) consisteva in un giardino (Hortus) in cui crescevano con
ordine ed armonia erbe e fiori, con sentieri, aiuole (e a volte piccoli labirinti),
sapientemente curati dal giardiniere che spesso le sagomava a forma di animali; era
circondato su ogni lato da un portico (Porticus) generalmente a due piani, sostenuto
da colonne: il tutto arricchito da numerose opere d'arte, ornamenti marmorei, da
affreschi, statue, fontane e oggetti in marmo (vasi, tavoli e panche). Era la zona più
luminosa, e spesso una delle più sontuose.
Nel peristilio non era raro trovare anche una piscina.
Nel Peristylium affacciavano anche le camere da letto padronali, generalmente a due
piani, sostenuti da colonne: lo arricchivano numerose opere d'arte e ornamenti
marmorei.
Nel peristilio si aprivano due stanze grandi e lussuose:
A) il triclinio (oecus tricliniare o Triclinium), la grande e sontuosa sala da pranzo,
la piu' ampia della casa, dove si tenevano i banchetti con gli ospiti di riguardo.
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I triclini erano lussuosi, con affreschi alle pareti e mosaici ai pavimenti.
In epoca imperiale il triclinio fu sostituito come sala per feste e ricevimenti dall'exedra.
La stanza del triclinium era fornita di tre letti, detti triclinari (da qui il nome della sala),
su ognuno dei quali trovavano posto tre persone, sdraiate sul lato sinistro col gomito
appoggiato ad un cuscino: infatti per i Romani il tre era considerato il numero
perfetto.
Triclinium
I tre letti, all'interno del triclinio, erano disposti a semicerchio in modo da permettere
facilmente il via vai della schiavitù. Il letto centrale, il mediuslectus, era destinato agli
ospiti più importanti, tra i quali vi era il personaggio più prestigioso in assoluto, che
sedeva
sulla
parte
piu'
alta,
il
locus
consularius.
I triclini laterali erano chiamati rispettivamente imuslectus, destinato alle persone
meno importanti (tra le quali, in segno di umilta' si poneva il padrone), e il sumuslectus,
su cui erano gli ospiti di media popolarita'.
Tra i letti triclinari vi era un tavolo che, a seconda della sua forma, assumeva nomi
diversi: quello di forma quadrata era detto cilliba e poggiava su tre piedi, quello
circolare veniva chiamato mensa, e quello utilizzato per le bevande urnarium.
Alla fine di ogni banchetto la servitù provvedeva a rimettere in ordine i letti triclinari
sostituendone le lenzuola macchiate, ed a raccogliere dal pavimento i resti del cibo
gettato,
secondo
usanza,
in
terra
durante
il
pasto.
B) l'esedra (exedra), era un grande ambiente di ricevimento, utilizzato anche per
banchetti e cene, con pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e marmi
colorati.
Sulle due ali del peristylium vi erano le camere da letto padronali (i cubicula), che erano
piu' ampi e luminosi di quelli che si trovavano nelle ali dell'atrio ed erano decorati in
un modo preciso: il mosaico sul pavimento era bianco con semplici ornamenti, le
pitture alle pareti erano diverse per stile e colore da quelle del resto della casa e il
soffitto sopra il letto era sempre a volta.
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Si affacciavano sul peristylium anche la cucina (culina) che, vista la sontuosità dei
banchetti si potrebbe pensare fosse una stanza grande come sullo stile di quelle
medievali, invece era il locale più piccolo e tetro della casa; uno sgabuzzino occupato
quasi tutto da un focolare in muratura, invaso dal fumo che usciva da un buco sul
soffitto vista l'assenza di fumaioli, con la presenza di un camino, un piccolo forno per
il pane e l'acquaio.
La cucina non aveva comunque una ubicazione fissa; a volte la si trovava anche che
affacciava nell'atrium, ma è caratteristica costante che fosse stata sempre un ambiente
piccolo e buio.
Un aspetto comune delle cucine romane erano le casseruole e pentole di rame (o
bronzo) fissate sulla parete in bella mostra, con accanto i colini; arricchivano la
dotazione degli utensili i pestelli in marmo, gli spiedi, le padelle di terracotta, le teglie
a forma di pesce o di coniglio.
Il piano di cottura era costituito da un bancone in muratura dove veniva spianata la
brace come in un barbecue; il fuoco si accendeva grazie ad un acciarino a forma di
ferro di cavallo che, tenuto per la parte centrale, veniva fatto percuotere addosso ad
un pezzo di quarzo tenuto fermo dall'altra mano; da innesco veniva usata una striscia
di fungo legnoso del genere Fomes che cresceva sugli alberi e della paglia quando il
fungo cominciava a rilasciare il calore ricevuto dalle scintille.
Una volta calda la brace, su questa venivano posizionati dei treppiedi di metallo,
come fornelli, dove sopra vi si mettevano le pentole e le marmitte.
Annesso alla cucina c'era il bagno (balneus), riservato alla famiglia padronale, e le
stanze della servitu' (cellae servorum); anche queste non avevano comunque una
disposizione fissa (a volte, infatti, si trovavano nella parte dell'atrium).
In epoca imperiale la domus si fornì anche di una seconda uscita di servizio detta
posticum posta normalmente sul lato della parete più ampia della casa, per
permettere il passaggio della servitù e dei rifornimenti senza ingombrare l'ingresso
principale.
A volte si sono rinvenute negli scavi archeologici delle Domus che, a differenza di
quanto precedentemente descritto per lo schema costituivo classico, nella parte
prospiciente la viabilità principale presentavano dei locali utilizzati, probabilmente in
affitto, come tabernae.
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Sezione della Domus Romana
Infine, non va dimenticato che nelle domus romane, nonostante fossero per ricchi,
non erano presenti mobili, ma solamente piccoli armadi a muro (armarium) e bauli
usati per riporvi i vestiti, i triclinium, e i letti (cubicula); pertanto, le decorazioni alle
pareti presenti in abbondanza miravano ad arricchire lo spoglio ambiente.
Lo splendore della casa quindi si notava principalmente dalla qualità di marmi, statue,
e affreschi parietali.
Da ricordare comunque tra l'arredo, le sedie, delle quali si conoscono molti tipi, come
la sella o seggiola senza schienale, la sedia con schienale e braccioli (cathedra) e la
sedia con un sedile lungo (longa).
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La Insula
La Insula Romana (Insulae), letteralmente isola romana (da cui deriva oggi il termine
isolato), è il tipico esempio di casa popolare, dove viveva la grande massa della
popolazione.
Le insulae erano sorte nel IV sec. a.C., in stridente contrasto con le splendide
abitazioni signorili (Domus), dall'esigenza di offrire alloggio, entro il ristretto
territorio dell'Urbe (Vrbs), ad una popolazione in continuo aumento.
« Vista l'importanza della città e l'estrema densità della popolazione, è necessario che si
moltiplichino in numero incalcolabile gli alloggi. Poiché gli alloggi al solo piano terra non possono
accogliere tale massa di popolazione nella città, siamo stati costretti, considerando questa situazione,
a ricorrere a costruzioni in altezza. »
(Vitruvio, De architectura, II, 8, 17)
Nell'ipotesi che la Roma imperiale si estendesse per una superficie di circa 2.000
ettari, questa era largamente insufficiente per le abitazioni di una popolazione
calcolata di quasi 1.200.000 abitanti. Esistevano una serie di edifici pubblici, santuari,
basiliche, magazzini il cui uso abitativo era riservato a un esiguo numero di persone:
custodi, magazzinieri, scribi ecc. Bisogna tener conto poi, nel restringimento dello
spazio da utilizzare per le abitazioni, di quello occupato dal corso del Tevere, dai
parchi e giardini situati sulle pendici dell'Esquilino e del Pincio, dal quartiere Palatino,
riservato esclusivamente all'imperatore e infine dal vasto terreno riservato al campo
di Marte i cui templi, palestre, tombe, portici occupavano 200 ettari dai quali però le
abitazioni erano escluse per il rispetto dovuto agli dèi.
Se si tiene conto dell’insufficiente sviluppo tecnico dei trasporti si può sostenere che i
Romani fossero condannati ad abitare in limiti territoriali angusti, quali erano quelli
fissati da Augusto e dai suoi successori. I Romani incapaci di adeguare il territorio
abitativo all'aumento della popolazione, a meno di non frantumare l'unità della vita
dell'Urbe, dovettero cercare come rimedio all'esiguità del territorio e alla strettezza
delle strade cittadine lo sviluppo in altezza delle loro case.
Solo dopo gli studi pubblicati ai primi del Novecento sugli scavi archeologici di Ostia
e sui resti trovati sotto la scala dell'Ara Coeli, su quelli vicini al Palatino in via dei
Cerchi, si è potuto avere la reale concezione della struttura della casa romana fino ad
allora confusa con le case trovate negli scavi di Pompei ed Ercolano dove prevaleva
la classica domus dei ricchi che era molto diversa dalle insulae che costituivano la
maggioranza in Roma: tra queste ultime e le domus c'è la stessa differenza che oggi
potremmo vedere tra un palazzo e un villino in una località di villeggiatura.
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Le insulae sfruttavano infatti, come gli attuali condominii, lo spazio in altezza
arrivando a raggiungere nel periodo imperiale, il sesto piano (e oltre), come la famosa
Insula Felicles che si elevava su Roma come un grattacielo.
Le insulae divennero presto il tipo di abitazione piu' diffuso a Roma. Questi palazzi a
più piani, alti oltre venti metri, erano divenuti così numerosi che Cicerone definiva
Roma una città sospesa per aria.
Esempio di Insula
La costruzione delle insulae divenne presto un’attività lucrosa.
Gli imprenditori edili (peraltro gli unici a cui era consentito il traffico su ruote anche
di giorno), per guadagnare di più, costruivano edifici i più alti possibili, dai muri sottili
e con materiali scadenti. Basti pensare che le insulae avevano muri maestri di spessore
non superiore ai 45 cm (valore minimo previsto dalla legge) ed una superficie alla
base di circa 300 mq, che, per gli sviluppi in altezza dell'edificio, erano del tutto
insufficienti per assicurare la necessaria stabilità al palazzo (è stato valutato che ne
sarebbero stati necessari almeno 800 mq).
I proprietari poi, impararono altrettanto presto a suddividere i già angusti alloggi in
celle ancor più esigue, vere tane, per accogliervi inquilini ancor più poveri: più
appartamenti si ottenevano e più affitti si riscuotevano. Ogni insula arrivava a
contenere così anche fino a 200 persone.
Sovraffollamento, eccessiva sopraelevazione e materiali scadenti, fecero delle insulae
abitazioni poco sicure, continuamente preda di incendi e di crolli, tanto da spingere
l'imperatore Augusto a dover proibire ai privati di elevare queste costruzioni sopra i
60 piedi (circa 20 metri).
Durante l'Impero però, dove la speculazione edilizia e la esigenze abitative crebbero
con l'aumentare della popolazione, l'altezza di questi edifici superò di gran lunga il
limite dei 60 piedi imposto da Augusto; il Giovenale nel II sec. d. C. affermava:
“Guarda la massa torreggiante di quella dimora, dove, un piano sopra l'altro, si arriva al decimo”.
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Nel II secolo d.C., sotto l'imperatore Settimio Severo, le insulae erano 46.602,
mentre le domus erano 1797.
Il fenomeno dell'urbanesimo sempre crescente, la necessità di sfruttare lo spazio, la
miseria di gran parte della popolazione cittadina determinarono, nel corso dei secoli,
l'accrescersi di questo tipo di dimore che furono uno dei più chiari esempi di
discutibile organizzazione municipale, ma anche di arricchimento personale.
Per esempio, Crasso, il potente banchiere e triumviro, con le insulae accumulò
ricchezze favolose vantandosi di non aver mai speso nulla per costruirle: per lui era
più vantaggioso acquistare immobili danneggiati (o addirittura crollati) e messi in
vendita a basso prezzo, procedere a sommarie riparazioni (spesso, con le stesse
macerie del palazzo) e poi affittarli (a prezzi maggiorati). Era diventato famoso,
infatti, per la rapidità con cui accorreva sul luogo di un crollo offrendo allo
sfortunato proprietario dello stabile di comprarlo sul momento, ovviamente, a prezzo
stracciato.
La divisione sociale che nei tempi moderni esisterà per "quartieri" all'epoca dei
romani esisteva per "piani" nelle insulae; contrariamente ad oggi, chi abitava al
superattico era un povero, mentre chi occupava il primo piano era un benestante: più
si saliva di piano e più si apparteneva ad una classe sociale bassa; questo, vuoi
per motivi pratici (scomodità dovute all'altezza, impossibilità all'accesso diretto
all'acqua, etc...), vuoi per motivi di sicurezza per i frequenti crolli e incendi (chi era ai
piani bassi aveva piùpossibilità di salvarsi), vuoi perché' la vita nei sottotetti era
terribile per la presenza di colombi, di perdite d'acqua dalla copertura e da un
microclima pessimo (più caldo d'estate e più freddo d'inverno).
Un affitto a Roma costava quattro volte di più che nel resto d'Italia.
Pochi erano quelli che potevano permettersi una domus al pianterreno: al tempo di
Cesare, Celio pagava un affitto annuo di 30.000 sesterzi. Ci si può fare un'idea
dell'esosità degli affitti del tempo se si pensa che un moggio di grano costava tra i 3 e
i 4 sesterzi e che le largitiones prevedevano in 5 moggi la quantità necessaria a una
famiglia media per sostenersi per un mese e che il salario di un manovale era, ai tempi
di Cicerone, di 5 sesterzi al giorno mentre quello di un professore di retorica di una
scuola pubblica, ai tempi di Antonino Pio, ad Atene oscillava dai 24.000 ai 60.000
sesterzi all'anno che era la stessa cifra iniziale, che poteva però arrivare sino a 200.000
sesterzi annui, di un membro del consilium d'Augusto.
La difficoltà di pagare l'affitto costringeva molti inquilini a subaffittare a loro volta le
stanze non strettamente necessarie del proprio appartamento: più si saliva di piano,
più la crescente povertà faceva aumentare la catena dei subaffitti, facendo prosperare
l'affollamento e la promiscuità, e, quindi, la sporcizia, le malattie e le liti,
trasformando la convivenza in una vera lotta per la sopravvivenza.
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Le insulae potevano essere divise sostanzialmente in due categorie: ce ne erano di tipo
più signorile nelle quali alloggiava la classe media (funzionari, mercanti, piccoli
industriali), e altre di tipo più popolare nelle quali viveva il proletariato; nelle prime il
pianterreno costituiva un’unità abitativa a disposizione di un singolo locatario e
assumeva l'aspetto e i vantaggi di una casa signorile, una piccola domus; nelle seconde,
invece, il pianterreno era occupato da magazzini e botteghe, chiamati in generale
tabernae, da "bar" (termopolia), in cui i bottegai (tabernarii) non solo lavoravano,
ma vivevano e dormivano.
In tutte, dal piano superiore in poi erano ubicati gli appartamenti, di varie dimensioni
e spesso sub affittati.
Ma vediamo nel dettaglio la disposizione urbanistica e la struttura di una tipica insula.
Dettaglio Insula
Il canone di affitto veniva pagato ogni sei mesi, il primo gennaio e il primo luglio.
Poiché' gli affitti erano cari, i casi di inquilini morosi erano numerosi e di
conseguenza erano numerosi anche gli sfratti.
Ogni sei mesi, perciò, le strade di Roma, già affollatissime, si riempivano di una folla
di sfrattati che, trascinando con se' i propri miseri averi, si aggirava alla ricerca di un
alloggio e non di rado, l'unica soluzione era dormire sotto i ponti.
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A Roma non vi era un piano regolatore (il primo venne predisposto da Nerone dopo
il grande incendio di Roma, ma durò poco: la necessità di alloggi era più pressante),
così la contingente necessità di dare alloggio ai suoi abitanti portò a non rispettare
particolari regole sulle distanze da tenere tra gli edifici e sulla loro ubicazione; questo
li portava ad essere spesso molto vicini tra loro, venendo a creare vicoli molto stretti
(addirittura, raccontano gli antichi con ironia, che due dirimpettai potevano stringersi
la mano) che, specie la sera, divenivano il rifugio ed il gabinetto di barboni, ubriachi,
malintenzionati e senza tetto. A Roma non dormivano per le strade solo i barboni o
gli ubriachi, ma anche intere famiglie di quella che oggi definiremmo la classe media,
che non potendosi permettere il rincaro semestrale degli affitti (era questa la cadenza
dei rinnovi contrattuali), in attesa di trovare un nuovo alloggio, si adattavano a
dormire in uno dei numerosi vicoli.
E' un equivoco comune, infatti, immaginare Roma con delle strade grandi; il nome di
"via" veniva attribuito soltanto alle strade più larghe (da 4,8 a 6,5 metri circa), quelle
che consentivano a due carri d'incrociarsi o superarsi senza toccarsi, e, nel centro di
Roma, se lo guadagnavano solamente in due. Il resto erano una rete di viuzze (vici) e
vie ancora piu' strette (angiportus), fino addirittura a diventare dei veri e propri
"sentieri" di citta' (semitae). Questo deve far immaginare quanto fossero vicine fra loro
queste insulae e di conseguenza, quanto fossero maleodoranti, rumorose e buie anche
di giorno queste viuzze e angiportus.
La struttura delle insulae poteva essere in legno o in muratura o mista (muratura i
primi piani, e legno gli altri). Entrambi i tipi però, erano continuamente soggetti a
incendi e/o a crolli, a causa, da un lato, dell'utilizzo indiscriminato di fiamme libere
negli appartamenti per riscaldarsi (con i bracieri) e per cucinare (con dei piani di
cottura a brace), e, dall'altro, della presenza di speculatori edilizi che risparmiavano su
materiali di costruzione.
Esternamente, quelle in muratura e miste, erano costituite da mattoni che venivano
interamente ricoperti da un intonaco protettivo di colore bianco-crema, che le
rendeva molto luminose, rischiarando di luce riflessa i vicoli e i portici circostanti
(altrimenti bui).
Per un'altezza di circa un metro e mezzo, lungo la base dell'edificio poteva correre
una fascia di colore rosso pompeiano a dare da un lato eleganza all'insula, dall'altro
svolgeva il non trascurabile compito di mascherare gli schizzi di fango, le manate e
quanto potesse sporcare le bianche pareti. Scritte che manifestavano amore, invettive,
sesso e sport, imbrattavano spesso i muri esterni e soprattutto interni delle insulae,
praticamente come oggi!
Sopra ogni finestra una linea di mattoni rossicci poteva emergere dall'intonaco
bianco-crema, disegnando un piccolo arco, che dava un ulteriore tocco di eleganza
alla struttura.
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Lungo il primo piano poteva correre uno stretto balcone, chiamato maenianum, che
univa tutti gli appartamenti del piano: un piccolo lusso per i suoi proprietari, che
consentiva di uscire a prendere un po' d'aria e di luce.
Il lungo balcone del primo piano non era l'unico, ce ne potevano essere degli altri, di
dimensioni minori e completamente di legno, ai piani superiori.
I più fortunati avevano anche il privilegio di poter godere di logge in legno chiamate
pergulae che sporgevano dall'edificio e che servivano ad ingrandire l'appartamento e
a cogliere un po' di luce in più oltre che a poter "sbirciare" in strada senza essere visti.
Il Piano Terra, abbiamo detto, era la domus, l'appartamento piu' signorile dell'insula.
Non era grande come la domus del ricco romano, ma era di tutto rispetto. Quelle che
sono giunte sino a noi, mostravano un primo ambiente di rappresentanza (un
ingresso abitabile), un soggiorno (tablinum), una sala da pranzo (triclinium) e le
camere da letto (cubicola). Le pareti erano molto colorate, come piaceva ai romani,
che non disdegnavano farvi dipingere dei disegni classici o di fantasia, equivalenti ai
nostri quadri. Anche l'appartamento al primo piano veniva considerato come
abitazione di pregio, aveva molte finestre che davano tutte verso l'esterno, per
prendere più luce possibile, che potevano avere anche i vetri, privilegio che potevano
permettersi in pochi in quanto, all'epoca, materiale costoso e prezioso.
I pavimenti padronali potevano essere ricoperti da mosaici in bianco e nero, costituiti
da pietra calcarea (bianco) e basalto (nero), raffiguranti eleganti forme geometriche:
quelli a colori e raffiguranti immagini umane o di animali erano più costosi, in quanto
richiedevano materiali più pregiati (paste vitree colorate e marmi policromi) e
maestranze
di
alto
livello
per
la
loro
realizzazione.
I pavimenti di servizio o destinati ai domestici erano normalmente costituiti, invece,
da semplici lastre di terracotta, da mattoni a spina di pesce o da rivestimenti di
cocciopesto (miscela di mattoni frammentati impastati con calce).
Il modo in cui si mangiava in casa nella vita di tutti i giorni era esattamente come da
noi oggi: seduti accanto a un tavolo. Ci si sdraiava sui triclini (come si vede spesso nei
film) solo quando si organizzavano banchetti o durante le feste.
Quello che manca, è la cucina come la intendiamo noi oggi: in questi appartamenti
poteva essere posizionata in qualunque stanza o addirittura in un angolo, in quanto
era costituita da un semplice braciere con dei treppiedi in ferro o in bronzo; unica
accortezza era porla vicino ad una finestra, per evitare che il fumo invadesse più del
normale l'appartamento.
Proprio per questo motivo, per ridurre il pericolo di incendi e per avere una maggiore
varietà di pietanze, non era inusuale che si facessero preparare i pasti dalla vicina
taverna.
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
I Piani Superiori dell'insula erano raggiungibili tramite una scala interna, costituita da
gradini di mattoni crudi, messi in fila.
Ogni piano era composto da numerosi appartamenti (o meglio, come venivano
chiamati a Roma, cenacula), piuttosto angusti, areati da finestre che si affacciavano
sulla strada, ma l'aria comunque circolava poco, specie per le scale, dove
probabilmente predominava l'odore di chiuso, di legna combusta e di cibi cotti; gli
appartamenti erano per lo più di piccole dimensioni, con stanze strette, buie, fredde
d'inverno e calde d'estate: le finestre infatti non avevano vetri (erano troppo costosi e
se li potevano permettere solo i più benestanti) ma solo sportelli di legno, teli o pelli
traslucide e quindi in inverno bisognava scegliere se bagnarsi con la pioggia e morire
di freddo o stare al buio. Le stanze erano quasi senza mobili e non avevano funzioni
specifiche come nelle domus: spesso, quindi, uno stesso locale fungeva da stanza da
pranzo e da letto. In mancanza di spazio, anche il pianerottolo era abitato e tutta
l'area
era
invasa
da
panni
stesi
su
corde
e
travi.
Mancavano, inoltre, di tubi di scarico, di gabinetti, di cucine e di riscaldamento. Le
grandi fogne di cui Roma andava fiera non erano collegate alle abitazioni più
affollate. La manutenzione dei piani era quasi assente, per cui lo sporco e il degrado
la facevano da padrone.
Non c'erano quindi molte comodità: solo gli appartamenti signorili del pianterreno
erano collegati all'acquedotto e alla rete fognaria; gli altri erano senz'acqua
(nonostante Roma ne' abbondasse) e senza servizi igienici. Bisognava fare numerosi
viaggi per andare a prendere l'acqua alla fontana pubblica, nella piazza e, dopo tutta
quella fatica, la si centellinava per bere, cucinare e spegnere principi d'incendi (come
obbligava la legge), non "sprecandola" per lavare gli appartamenti (che infatti erano
molto sudici anche per la fuliggine dei bracieri che si diffondeva nell'aria e si
attaccava a pavimenti e pareti); era talmente un problema rifornirsi d'acqua che
nacque la figura degli aquarii, una specie di "fattorini" considerati pochissimo (nella
gerarchia degli schiavi erano ultimi) che prendevano l'acqua soprattutto per le
famiglie più ricche o dal tenore di vita medio.
L'urina veniva usata nelle fullonicae (lavanderie); tuniche, toghe, lenzuola, etc... per
essere lavate, finivano in vasche riempite con acqua mista a sostanze alcaline come la
soda, l'argilla smectica oppure l'urina umana. I panni posti in queste vasche venivano
quindi pigiati per ore degli schiavi che simulavano il lavoro delle moderne lavatrici;
poi, venivano sciacquati, battuti, e trattati con altre sostanze (come la creta fullonica)
per infeltrirli e dar loro maggior consistenza; infine venivano stesi ad asciugare nei
cortili o in strada per poi essere stirati sotto speciali presse. I panni bianchi subivano
anche un trattamento speciale di candeggiatura, distendendoli su di una struttura a
cupola alta meno di un metro, composta da archi di legno, che andava a ricoprire un
braciere nel quale era stato messo a surriscaldare dello zolfo: si procedeva cosi' alla
"zolfatura".
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Quanto ai rifiuti, "tutti" venivano eliminati di notte gettati giù dalle finestre o deposti
in cisterne coperte in fondo alla tromba delle scale dove, periodicamente, venivano
prelevate da contadini in cerca di letame o da spazzini (scoparii). Un'enorme giara
(dolium) piazzata nei sottoscala serviva a raccogliere le urine degli affittuari degli
appartamenti: ognuno di questi vi svuotava il proprio vaso da notte e poi qualcuno,
passava a prelevare questo "prezioso" liquido.
Si immagini quindi quale fosse il fetore di quelle case e come facilmente vi potessero
creare le condizioni per la trasmissione di malattie di ogni genere.
Era comunque abitudine gettare indiscriminatamente urina ed escrementi dalle
finestre e il riceverli addosso non risparmiava nessuno (ne' ricchi ne' poveri); era
diventato un tale problema che a Roma esisteva una severissima legislazione in
merito: le pene variavano a seconda del danno causato (fisico o a vestiti).
Tutto questo rendeva ancora più difficile di quanto già non lo fosse la vita in questi
grandi palazzi: fumo, odori, promiscuità, sporcizia, affollamento e la stretta
convivenza aggravata dall'assenza di ogni forma di privacy (pareti sottili e porte in
legno scadente), portavano inevitabilmente allo scoppio di liti; per evitare che queste
degenerassero in vere e proprie risse, nel condominio era stato istituito un vero e
proprio "corpo di sorveglianza" costituito da schiavi e portieri (ostiarii) agli ordini di
uno schiavo-capo che interveniva prima che accadesse il peggio. Il mestiere del
portiere richiedeva doti molto spicce e decise, indispensabili per sedare risse e litigi
tra gli inquilini. Spesso, quindi, era affidato a ex legionari o a schiavi fisicamente
prestanti.
I "fattorini dell'acqua" (aquarii), i portieri (ostiarii) e gli spazzini (scoparii) erano
così funzionali al buon andamento delle insulae da essere venduti in blocco assieme
allo stabile in caso di passaggio di proprietà dello stesso.
Con queste abitazioni piccole, buie, senza servizi igienici, acqua e cucine, la
stragrande maggioranza dei romani era obbligata a uscire di casa per usufruire di
servizi pubblici collettivi: terme per lavarsi, latrine per i bisogni, di un thermopolium o
di una popina (i nostri bar - tavola calda) per mangiare, etc...
Le insulae romane costituirono l'esempio tipico di una società divisa in una classe di
privilegiati e in un proletariato depresso. Diceva Petronio Arbitro in piena eta'
imperiale:
“La piccola gente se la cava male, perché le mascelle degli aristocratici fanno continuamente festa”.
Ma gia' prima, in eta' repubblicana, Tiberio Gracco cosi' arringava il popolo:
“Le bestie dei campi e gli uccelli del cielo hanno le loro tane ed i loro nascondigli, ma gli uomini che
combattono e muoiono per l'Italia godono soltanto dell'aria e del sole”.
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L'insula, al centro, solitamente aveva un cortile con del verde e una fontana che
riforniva gli inquilini.
Il mobilio tipico della casa plebea e' semplice quanto quello della domus, troviamo
principalmente: le cassepanche (capsa) usate per conservare sia vestiti che oggetti, dei
piccoli letti (cubicula) spesso incassati nei muri, qualche sgabello (scabellum) per sedersi,
un tavolo e talvolta degli armadi (che usualmente erano utilizzati per riporvi
documenti e oggetti e non il vestiario come, invece, si usa fare oggi).
Illuminazione e riscaldamento delle case romane
L'illuminazione della casa romana lasciava molto a desiderare non perché non vi
fossero finestre per illuminare e ventilare gli ambienti ma perché spesso le finestre
delle case romane erano sprovvisti di quel lapis specularis, sottile lastra di vetro o di
mica, di cui non sono stati ritrovati frammenti neppure nelle domus signorili di Ostia.
Il lapis specularis veniva usato per chiudere una serra, o una sala da bagno o una
portantina ma per le finestre delle case anche signorili si utilizzavano solitamente tele
o pelli che lasciavano passare il vento e la pioggia oppure battenti in legno che
riparavano meglio dal freddo o dal calore ma che non lasciavano passare la luce.
Plinio il Giovane racconta come per ripararsi dal freddo era costretto a vivere allo
scuro tanto che neppure si vedeva il bagliore dei lampi.
Scavi delle terme di Juliomagus con le vestigia dell'Ipocaustum (riscaldamento da pavimento)
Molto precaria era la condizione delle insulae per quanto riguarda il riscaldamento
essendo impossibile accendere un fuoco come facevano i contadini nelle loro
capanne con un'apertura in alto per far uscire il fumo e le scintille, né esisteva come si
è per molto tempo creduto che l'insula avesse un riscaldamento centralizzato.
Gli impianti di riscaldamento romani erano costituiti dagli ipocausi , uno o due
fornelli alimentati secondo l'intensità o la durata della fiamma da legna, carbone
vegetale o fascine e da un canale attraverso il quale passava il calore assieme alla
fuliggine e al fumo che arrivavano nell'ipocausto adiacente, formato da piccole pile di
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mattoni (suspensurae) attraverso il quale circolava il calore che scaldava il pavimento
delle stanze sospese sopra lo stesso ipocausto.
Le suspensurae non ricoprivano mai l'intera superficie degli ipocausti (hypocausta) per cui
per scaldare il pavimento di una stanza occorrevano più ipocausi. Era quindi
impossibile che questo sistema di riscaldamento potesse essere applicato in modo
centralizzato a edifici a diversi piani mentre poteva essere utilizzato per riscaldare un
vano unico e isolato come si vede nelle stanza da bagno delle ville pompeiane o nel
calidarium delle terme.
Né esistevano camini nell'insula. A Pompei solo in due casi in negozi di fornai sono
state trovate qualcosa di simile alle nostre canne fumarie: una però era troncata e
un'altra arrivava non al tetto ma a una stufa di un vano superiore.
La mancanza di un sistema efficace di riscaldamento costringeva per riscaldarsi a
usare bracieri portatili o montati su ruote con il pericolo costante di asfissia per i gas
di monossido di carbonio e di incendio.
Gli impianti idraulici delle case romane
Come è sbagliato pensare che l'insula godesse di un impianto di riscaldamento
centrale così è falso credere che nelle case dei romani vi fosse la comodità di avere a
propria disposizione l'acqua corrente.
Non bisogna dimenticare infatti che la fornitura dell'acqua a spese dello stato era
stata concepita fin dall'inizio come un servizio pubblico, ad usum populi, a vantaggio
della collettività e non dell'interesse privato.
Quattordici acquedotti che portavano all'Urbe un miliardo di litri d'acqua al giorno,
247 vasche di decantazione (castella), le numerose fontane ornamentali, le grosse
canalizzazioni delle case private hanno fatto pensare che nella case romane vi fosse
una distribuzione di acqua corrente. Ma non era così: anzitutto solo con il principato
di Traiano l'acqua (aqua Traiana) di sorgente fu portata sulla riva destra del Tevere
dove la gente sino ad allora si era dovuta servire di quella dei pozzi. Poi anche nella
riva sinistra le derivazioni collegate ai castella, venivano concesse dietro pagamento di
un canone solo a titolo strettamente personale e per le terre agricole.
Vi era molto rigore nella concessione di questi attacchi costosissimi all'acquedotto
tanto che dopo poche ore dalla morte di chi ne usufruiva venivano immediatamente
soppresse dall'amministrazione.
Queste derivazioni poi riguardavano come al solito le case signorili della domus o dei
pianterreni: nessuna colonna portante che possa far pensare che l'acqua fosse portata
ai piani superiori è stata mai trovata negli scavi archeologici. I testi antichi
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testimoniano questa situazione: nelle commedie di Plauto il padrone di casa si
preoccupa di avere sempre una riserva d'acqua.
Nelle Satire di Giovenale si indicano i portatori d'acqua (aquarii) come collocati
all'ultimo gradino della schiavitù ma ritenuti così necessari che la legge della
successione stabiliva che essi, con i portieri (ostiarii) e gli spazzini (scoparii), dovessero
passare di proprietà assieme all'edificio. I vigili del fuoco poi imponevano ai padroni
di casa di far trovare sempre delle riserve d'acqua pronte per spegnere gli eventuali
incendi, obbligo questo inutile se vi fosse stata l'acqua corrente nelle insulae che
proprio per questa mancanza, specie nei piani più alti dove ce ne era più bisogno,
difettavano della pulizia necessaria, complicata dalla mancanza di fognature.
Il sistema fognario di Roma
Gabinetti pubblici in Ostia antica
A tutti è noto il sistema fognario romano con la famosa Cloaca Massima, la più antica
delle fogne romane, ancora funzionante, iniziate a costruire nel VI secolo a.C. e
continuamente estese sotto la Repubblica e l'Impero. Il sistema fognario fu merito
soprattutto di Agrippa che fece riversare nel sistema fognario anche l'acqua in
eccesso degli acquedotti e che lo rese così spazioso che poteva essere percorso in
barca.
I romani tuttavia non la utilizzarono al massimo delle sue potenzialità, servendosene
solo per eliminare i liquami delle abitazioni al pianterreno e delle latrine pubbliche.
Mancano prove certe dagli scavi archeologici che i piani alti delle insulae fossero
collegate al sistema fognario e i più poveri dovevano necessariamente, pagando una
modesta somma, far uso delle latrine pubbliche gestite da appaltatori del fisco
(conductores foricarum). Contrariamente a quello che si può pensare le latrine pubbliche
erano dei locali arredati con una certa ricercatezza. Vi era un emiciclo o un rettangolo
attorno al quale scorreva acqua in continuazione in canali davanti ai quali erano una
ventina di sedili in marmo forniti di fori su cui si incastrava tra due braccioli
raffiguranti dei delfini la tavoletta adatta alla bisogna. L'ambiente era riscaldato e
ornato persino con statue.
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I più poveri o avari si servivano invece degli orci sbeccati per l'uso e collocati davanti
al laboratorio di un gualcheraio che usava così gratuitamente l'urina per il suo lavoro.
Poteva esserci poi un recipiente apposito, se il proprietario aveva dato il consenso,
collocato nel vano della scala, il dolium, dove inquilini potessero svuotare i loro vasi.
Da Vespasiano in poi i commercianti di concimi acquistarono il diritto di svuotarli
periodicamente.
Nella Roma imperiale esistevano anche dei pozzi neri (lacus) che deturpavano la città
non solo per gli evidenti motivi ma anche perché spesso le donne di malaffare vi
gettavano o esponevano i loro neonati. Non si riuscì a liberarsi di questa sconcezza,
se ancora sussisteva nella Roma del grande imperatore Traiano.
Per quelli poi che non volevano affaticarsi ad andare ai luoghi di scarico o fare le
ripide scale della loro insula, il metodo più facile per sbarazzarsi delle loro deiezioni
era quello di buttarle in strada dalla finestra, con quale soddisfazione dei passanti è
facile immaginare. Ma nella Roma dei giurisperiti si cercò in tutti i modi di cogliere
questi sciagurati sul fatto organizzando delle sorveglianze apposite e di punirli
duramente con le leggi che, tanto il reato era sentito dall'opinione pubblica, videro la
dotta consulenza del grande giurista Ulpiano.
La Villa
Il termine latino usato dagli antichi scrittori per designare i fabbricati costruiti al di
fuori delle città era villa, una parola che pare individuare uno spettro semantico
piuttosto ampio: per i Romani, infatti, erano villae sia le fattorie destinate alla sola
produzione agricola, da esse denominate rusticae, sia le lussuose residenze pensate per
il riposo ed il tempo libero, le cosiddette ville d'otium.
Tra questi due estremi vi erano naturalmente soluzioni intermedie: esistevano infatti
sia ville produttive adeguatamente attrezzate anche per il soggiorno temporaneo sia
ville di lusso comprendenti settori ideati per colture talvolta a carattere fortemente
specializzato.
Con il progressivo diffondersi presso le classi dirigenti italico-romane di raffinate
abitudini di vita di origine greco-orientale si sviluppò inoltre, già a partire dal II
secolo a.C., la consuetudine di edificare nell'ambito stesso delle città o nelle loro
immediate vicinanze prestigiose ville: queste ultime dette urbanae, erano per lo più
circondate da vasti giardini e godevano di una privilegiata posizione panoramica.
Nella villa rustica vi erano due corti (cortes), una interna, l'altra esterna, e in ciascuna
una vasca (piscina); la vasca della corte interna serviva per abbeverare gli animali,
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l'altra, per alcune operazioni agricole come macerare cuoio, lupini, ecc. Attorno alla
prima delle due corti sorgevano le costruzioni in muratura e formavano, tutte
insieme, la villa rustica in senso più ristretto: cioè, la parte della fattoria dove abitavano
i servi. Ne era il centro una spaziosa cucina (culina): giacché nella fattoria la cucina
non è, come in città, la stanza in cui i cuochi attendono alla loro arte, ma luogo di
riunione e di lavoro. Vicino alla cucina, in modo da poter usufruire del suo calore,
erano le stanze da bagno per i servi, la cantina, le stalle dei buoi (bulina) e dei cavalli
(equilia); se vi era posto, anche il pollaio, ciò per la credenza che il fumo fosse salutare
al pollame.
Lontani dalla cucina e possibilmente rivolti verso nord erano, invece, quegli ambienti
che, per la loro destinazione, richiedevano un luogo asciutto, come i granai (granaria),
i seccatoi (horrea), le stanze in cui veniva conservata la frutta (oporothecae). I magazzini
più esposti al pericolo dell'incendio potevano anche costituire un edificio (villa
fructuaria) completamente separato dalla villa rustica. Adiacente alla villa rustica vi era
l'aia; lì vicino sorgevano alcuni capannoni, come la rimessa dei carri agricoli (plaustra)
o il nubiliarum, un luogo in cui riporre provvisoriamente il grano in caso di
improvviso acquazzone.
E' incerto dove abitassero i servi: sappiamo, però, che vi erano le stanze da letto
(cellae familiares), l'ergastulum, una specie di prigione in cui gli schiavi che scontavano
una mancanza attendevano ai lavori più duri, e il valetudinarium per gli schiavi
ammalati. Mancando la villa urbana, le stanze migliori venivano riservate al padrone.
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Pianta della villa rustica da Boscoreale
A- corte
B- cucina
C- forno
D- apodyterium
E- tepidarium
F- caldarium
G- gabinetto
H- stalla
J- stanza di deposito per
strumenti rustici
K-L- cubicula
M- passaggio
N- stanza da pranzo
O- stanza per il pane
P- stanza del torchio del vino
Q- corridoi
R- cella vinaria
S- fienile
T- aia
V- cubicula
W- stanza per un torchio
X- stanza con molino a mano
Y- frantoio
Z- stanza per la pressa
La villa urbana veniva costruita in un luogo da cui si godesse ampiamente la vista della
campagna o del mare; costruzione di puro lusso, non avendo come la fattoria uno
scopo pratico né una funzione necessaria , questa villa nella complicazione e nella
ricchezza dei suoi ambienti rispecchiava i gusti e attestava i mezzi di chi l'aveva
edificata.
Sulle coste della Campania, saldamente romanizzata, sorgono le prime ville di questo
genere, per iniziativa degli Scipioni, i quali possedettero tutti ville d'otium intorno al
Golfo di Napoli.
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E' importante distinguere tra ville "costiere", poste in prossimità della linea di costa,
ma prive di costruzioni sul mare, e ville "marittime", legate ai porti, peschiere o ad
altre strutture. Le ville marittime, in particolare, godettero di largo favore presso
l'aristocrazia romana soprattutto fra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., quando il possedere
una villa con peschiere divenne, oltre che una moda, anche un simbolo di ricchezza.
Da un punto di vista architettonico si possono individuare due sistemi fondamentali:
da un lato le "ville a peristilio", che richiamano le planimetrie dei palazzi reali
ellenistici e dall'altro le "ville a portico", che discendono dai modelli dell'edilizia
domestica
del
mondo
orientale.
Questo tipo di villa fu il più utilizzato, nel mondo romano, per l'edilizia costiera,
poiché meglio si adattava a seguire il pendio collinare e ad offrire un vasto panorama.
Somme enormi erano profuse nell'allestimento delle sontuose ville: a riprova di ciò si
diffuse un costoso hobby, la piscicoltura, tra i ricchi senatori, alimentando capricciose
follie per l'allevamento di rarità ittiche; il termine "piscinarius" divenne sinonimo di
vizioso scialacquatore. Ma la piscicoltura poteva rivelarsi anche un investimento
oculato.
Vi erano delle ville alle quali non era annessa una tenuta, ma sorgevano in limitate
aree di terreno, in mezzo a boschetti, parchi e giardini; queste ville, che nei testi sono
indicate anche col nome di praetoria, nell'età imperiale divennero numerosissime; se
ne vedono i ruderi in Italia, in Francia, in Svizzera, nella Germania sud-occidentale, in
Inghilterra, nell' Africa settentrionale.
Lo spirito pratico dei Romani, buoni apprezzatori delle comodità della vita, fece
giungere la villa romana dovunque erano penetrate le loro armi e la loro civiltà; ville
grandi e comode, ben areate d'estate, ben riscaldate d'inverno. Queste ville
presentavano i tipi compositivi più diversi. Gli scrittori antichi rilevano come
caratteristica della villa urbana che in essa dal vestibolo si entra direttamente in un
peristilio e non, come nelle case di città, nell'atrio.
A partire dal I secolo a.C., in quanto simbolo del benessere ostentato dai proprietari,
le ville ebbero architetture sempre più articolate, che ben rispondevano al desiderio di
rappresentanza dei committenti. A queste esigenze di rappresentanza e di lusso va
legata la presenza di un vero e proprio repertorio di soluzioni architettoniche, fra le
quali per es. la ricorrenza di ambienti absidati, sempre più frequenti negli ultimi secoli
dell’impero. Nella villa non potevano mancare gli ambienti termali, pertanto erano
preferiti siti caratterizzati dalla vicinanza a un corso d’acqua o a un lago, che
garantissero l’approvvigionamento idrico.
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Le parti più importanti della villa erano le seguenti: Triclini: ve n'erano per l'estate e
per l'inverno, per grandi e piccoli ricevimenti; da grandi finestre lo sguardo dei
commensali spaziava sul paesaggio circostante. Cubicula: non solo quelli destinati al
sonno della notte, ma anche i cubicula diurna, per riposare durante il giorno o studiare;
davanti al cubiculum poteva esservi un'anticamera. Stanze da studio: come la bibliotheca o
la zotheca con quest'ultimo nome si intendeva un cubiculum adatto a salottino. Bagno:
costruito come le grandi thermae pubbliche, ne aveva tutti gli ambienti essenziali:
apodyterium, caldarium, tepidarium, frigidarium, cioè: spogliatoio, stanza per il bagno caldo,
stanza d'aspetto e stanza per il bagno freddo; e inoltre la piscina per nuotare all'aperto
e un area per far la ginnastica dopo il bagno (gymnasium sphaeristerium). Porticati:
sorgevano un po' dappertutto, sostenuti da lunghe file di colonne, servivano per
passeggiare al coperto se il tempo era cattivo (ambulationes) o, più larghi e lunghi,
potevano essere percorsi a cavallo o in lettiga (gestationes).
Calidarium.Pompei
Colonne, porticato. Pompei
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L'esempio più significativo di villa urbana è dato dalla Villa dei Misteri, costruita nelle
immediate vicinanze di Pompei: accurate analisi delle strutture hanno permesso di
dimostrare che l'edificio sorse intorno all'inizio del II secolo a.C. con la precisa
destinazione a villa di riposo e di soggiorno, dal momento che il quartiere rustico fu
aggiunto solo in età giulio- claudia. Il primo periodo di vita di questa costruzione non
corrisponde ai celeberrimi affreschi che tuttora la adornano; è importante
sottolineare il profondo legame con il paesaggio e alcune interessanti caratteristiche
planimetriche. L'edificio sorgeva in declivio verso il mare, sul quale si apriva con
eleganti ed ariosi saloni che offrivano incantevoli panorami del golfo: questi ambienti,
collocati nel lato più a valle dell'intero complesso, erano sostenuti da un criptoportico
che girava per tre lati, destinato a colmare il dislivello altimetrico fungendo da basis
villae ( basamento della villa). La Villa dei Misteri era inoltre contraddistinta da un
elemento che era comune a queste costruzioni: subito dopo l'ingresso si entrava in un
peristilio, al quale seguiva un atrio, con un'inversione della normale successione
presente nelle domus signorili di quest'epoca.
Pianta della Villa dei Misteri. Pompei
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Villa dei Misteri, Pompei
Portico, Villa dei Misteri, Pompei
Dai secoli II-III d.C. nelle rappresentazioni di ville prevale l’aspetto della produzione
agricola, aspetto che diventa decisamente determinante negli ultimi secoli dell’impero,
quando in queste strutture si vide la possibilità di organizzare un piccolo centro
autosufficiente che poteva essere ben difeso, anche con la realizzazione di mura.
I luoghi del lavoro ben presto vennero distinti da quelli per la residenza: nell’impianto
tradizionale la ‘pars urbana’ era destinata alla residenza del proprietario ed era
edificata con criteri architettonici che la rendevano simile alle ricche domus urbane,
ben differenti da quelli della pars rustica, dove i luoghi del lavoro, i locali di servizio,
le stalle e gli spazi in cui si riparavano gli schiavi erano realizzati con materiali poveri
e organizzati in ambienti di dimensioni ridotte.
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Realizzate in prevalenza nelle aree pianeggianti più fertili, in prossimità delle vie di
comunicazione che portavano alle città e ai mercati, furono spesso vere e proprie
aziende agricole, anche se non mancarono i casi con proprietà rurali poco estese.
In Italia settentrionale non si affermò il modello tipico del Centro-Sud, della grande
proprietà terriera (fundus) gestita col lavoro servile, bensì un insediamento piuttosto
diffuso e basato sulla conduzione diretta, con piccole e medie proprietà gestite a
livello familiare: le dimensioni limitate dei singoli siti permettono di spiegare la
presenza di numerose ville, anche in territori poco estesi.
Lo scarso ricorso alla manodopera servile porta a escludere d’altra parte, per le ville
dell’Italia settentrionale, la presenza degli spazi tipicamente finalizzati all’alloggio e al
controllo degli schiavi (o ne giustifica la limitata estensione). Nelle pianure del Nord
Italia sono numerosi i casi di strutture di età romana attribuibili a ville, legate
prevalentemente alla produzione di cereali e erbe foraggere, nonché all’allevamento
stanziale: questi insediamenti insistevano sugli assi della centuriazione e si
concentravano soprattutto nella bassa pianura.
Nella maggior parte dei casi le strutture evidenziano un lungo periodo di vita, con
differenti fasi e interventi di modifica e restauro; in alcuni casi questi insediamenti
dovettero sviluppare una certa autonomia e trasformarsi in centri amministrativi, ai
quali comunque era sovraordinato il controllo da parte del ‘vicus’, e talvolta si
dotarono di aree sepolcrali. Nel passaggio fra romanità e Medioevo alcuni di questi
insediamenti sopravvissero e si munirono di fortificazioni, trasformandosi in veri e
propri nuclei di produzione e autoconsumo, ben difesi.
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SVILUPPO DI UN CASO DI STUDIO – PERIZIA
La sottoscritta Geom. Alice Pagnetti, iscritta al n. 1904 dell’Albo dei Geometri e
Geometri Laureati della Provincia di Pesaro-Urbino, è stata incaricata dal Sig.
Montesi Tonino, proprietario, ed ivi residente, del fabbricato di civile abitazione sito
in Mondolfo (PU), via Pergolese n. 57, di eseguire un sopralluogo tecnico allo scopo
di esaminare le muffe manifestatesi nel fabbricato, le cause provocanti tale
fenomeno, oltre alle opere di risanamento dell’immobile e consigli per la futura
manutenzione dei luoghi.
Stato dei Luoghi
Il fabbricato è stato realizzato negli anni ’60 con struttura in muratura portante
realizzata con blocchi in laterizio, formato doppio Uni 21 fori, e chiusura perimetrale
con cordoli verticali ed orizzontali in c.a. I solai sono in latero-cemento con travetti
in c.a. e pignatte in laterizio, con sovrastante getto in calcestruzzo. Gli infissi sono
tutti in legno, ma di diverse tipologie: al piano primo sono in legno di abete con
doppio vetro, oppure con vetro singolo ove è presente una controfinestra esterna in
alluminio-vetro; nei locali al piano terra, realizzati negli anni ‘80, sono presenti infissi
in legno di pino con doppio vetro.
Il piano terra è adibito a servizi, quali garage, centrale termica, ripostiglio, ad
eccezione del locale taverna e bagno, ampiamente utilizzati; al piano primo si
sviluppa l’abitazione vera e propria, mentre al piano sottotetto, accessibile tramite
una scala esterna posta sul retro, si trova la soffitta, priva di finiture ed impianto di
riscaldamento.
Si evidenzia che l’abitazione al piano primo ed i locali taverna, bagno e ripostiglio al
piano terra, sono provvisti di impianto di riscaldamento tradizionale con termosifoni
in ghisa, alimentato con caldaia murale a gas metano; sono state inoltre installate due
stufe a legna, nella taverna e nella zona pranzo al piano primo.
Dal sopralluogo in loco, si è potuto constatare la presenza di muffe all’interno della
parete perimetrale rivolta verso Nord-Est, sia nella camera al piano primo, ove è
presente in maggiore concentrazione, sia nel locale ripostiglio al piano terra.
Nel ripostiglio al piano terra, ove la parete esterna è controterra, è già stato realizzato
un intervento migliorativo, ovvero è stato demolito il vecchio intonaco interno e poi
realizzato un intonaco traspirante a base di calce fino all’altezza di 1,20 ml. dal
pavimento. L’intervento, a detta del proprietario, è risultato migliorativo, ma non si è
rivelato risolutivo della situazione, in quanto ad oggi la muffa persiste, e si manifesta
proprio nella porzione di parete “normale” che insiste sopra la fascia con intonaco a
calce (foto n. 1-2).
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Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele
Nella camera ubicata al piano primo, la muffa è presente nello spigolo compreso tra
le due pareti esterne, dal soffitto al pavimento, e prosegue diradata nella parete
orientata a Nord-Est fino a concentrarsi in alto, a bordo del soffitto, come meglio
illustrato nelle foto allegate (foto n. 3-4).
Inoltre nella camera è presenta un’altra formazione di muffa, più difficile da
riscontrare, in quanto è situata dietro al termosifone in ghisa, ubicato nella nicchia
sotto la finestra, e nella porzione di parete sottosoglia sopra il termosifone (foto n. 5).
E’ doveroso osservare che l’arredo della camera in questione è disposto con
l’armadio a ridosso della muratura esterna rivolta a Nord-Est, dove oltretutto
esternamente è presente una zona di ricovero legna (foto n. 6).
Da una semplice analisi visiva si ritiene che la muffa presente nel ripostiglio e nella
camera, su pareti, spigolo e soffitto sia dovuta al fenomeno della condensa, ovvero
formazione di goccioline d’acqua dovuta al vapore presente nell’aria che condensa a
contatto con pareti fredde. Il vapore acqueo eccessivo dell’aria si riversa quindi sulle
superfici fredde, pareti esterne e maggiormente nei ponti termici, tipo cassonetti,
bancali delle finestre, cordoli, pilastri in cemento armato, ecc… Nel nostro caso sono
infatti presenti ponti termici strutturali, negli spigoli in alto ed in basso della stanza, e
nella fascia di muratura tra la soglia dell’infisso ed il cordolo perimetrale di piano,
cioè dove due materiali diversi, disomogenei, si incontrano, ed è presente un ridotto
spessore di muratura.
Determinazione degli Interventi
La misura immediata più appropriata in caso di presenza ed odore di muffa è
arieggiare con più frequenza creando corrente d’aria; la rimozione della polvere ha lo
stesso scopo.
In linea di principio, se ci sono problemi di umidità e muffa la causa va sempre
chiarita e rimossa. Se il problema è risolvibile solo in tempi lunghi, a breve termine
bisogna cercare di rendere meno acuta la situazione (es. arieggiare più spesso e
produrre meno umidità).
Per valutare empiricamente il grado di formazione della muffa basta guardare il
colore: inizialmente è beige chiaro, poi passa al colore nero. Inoltre un altro indice è
l’estensione della macchia, che assume con il passare del tempo dimensioni sempre
più estese.
Quando comincia a formarsi della muffa alle pareti, bisogna intervenire con urgenza
per impedire che essa si propaghi sempre più.
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Le principali fasi sono le seguenti:
1. Lavare a fondo le muffe dal muro con un liquido antimuffa (oggi in commercio
sono disponibili nuovi appositi prodotti in sostituzione dei classici rimedi impiegati
per lungo tempo come alcol denaturato o candeggina), o con sostanze più naturali
quali aceto, bicabornato, tea tree oil o acqua ossigenata al 3%, da applicare
direttamente o nebulizzare sull’area; prestare attenzione a non grattare la muffa dai
muri con spazzole o spatole, le spore della muffa si propagherebbero nell’aria, né
risciacquare con acqua. Arieggiare per bene il locale fino a quando scompare ogni
odore lasciando asciugare i muri.
2. Nei casi più gravi, ossia quando la muffa ha danneggiato la pittura o l’intonaco,
dopo il lavaggio (far passare almeno 24 ore) bisogna raschiare le pitture e gli intonaci
e stuccare le parti ammalorate.
3. Quindi dare almeno due mani di pittura antimuffa impregnando le pareti
interessate e facendole asciugare per almeno 24 ore.
4. Infine applicare un additivo antimuffa specifico per idropitture (normalmente un
flaconcino da 250 ml è sufficiente per additivare una latta da 14 lt. di idropittura).
5. E’ importante arieggiare i locali durante e dopo le operazioni di risanamento
evitando di produrre polvere; e ricordarsi che solo dopo la pulizia generale della
stanza è possibile azionare il deumidificatore, altrimenti contribuirebbe alla
proliferazione delle spore fungine nell’aria.
Per effettuare tali operazioni è opportuno indossare varie protezioni, quali tuta
antiacido sopra ai vestiti e guanti in lattice ad alta resistenza chimica adatti a lavori
con solventi ed acidi, mentre ai piedi bisognerà indossare degli stivali in plastica
comuni, come quelli utilizzati per un acquazzone impetuoso. Molto importante è che
la maschera da indossare sia quella indicata per questo lavoro, cioè quella efficace
contro i vapori organici.
Tali precauzioni sono strettamente necessarie in quanto è ormai certo che la
formazione di muffa in locali d’abitazione può mettere a rischio la salute degli
occupanti ed impone quindi un risanamento. Tuttavia, bisogna anche tener presente
che durante i lavori di disinfestazione della muffa aumenta il carico di spore e
componenti della muffa nell’aria interna. Per proteggere il più possibile la salute di
chi esegue il risanamento e dei residenti è perciò necessario che tale operazione venga
eseguita a regola d’arte, pertanto si suggerisce di rivolgersi a personale specializzato.
Il risanamento può essere effettuato anche in modo autonomo, a condizione che
l’incaricato non soffra di malattie respiratorie croniche, come l’asma cronica, o che
abbia un sistema immunitario indebolito (pazienti che hanno ricevuto un trapianto, o
affetti da cancro o HIV), ed inoltre abbia una minima attitudine ai lavori manuali.
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In seguito alla rimozione della muffa ed in previsione di un intervento di
miglioramento del comfort abitativo è necessario procedere con una verifica
termografica, mediante una termocamera ad infrarossi, al fine di individuare
esattamente dove si trovano difetti costruttivi, non visibili ad occhio nudo, dovuti alla
mancanza di un adeguato isolamento termico o cagionati dall'utilizzo di materiali
scadenti, provocanti quindi le dispersioni termiche di calore.
- Esempio di Termografia -
Per le pareti fredde è necessario migliorare la coibentazione con adeguati sistemi
isolanti; la miglior soluzione è isolare le pareti dall’esterno (cosiddetto rivestimento a
cappotto), ottenendo l’eliminazione di tutti i punti freddi e l’aumento della capacità di
accumulo termico dell’edificio.
In alternativa è possibile effettuare un isolamento delle pareti con facciata ventilata,
ovvero lasciando una lama d’aria fra la parete perimetrale ed il rivestimento esterno
dell’edificio: la lama d’aria, comunicante con l’esterno in basso ed in alto, grazie
all’effetto camino favorisce l’instaurarsi di una ventilazione naturale tra il rivestimento
e la parete.
E’ importante considerare che il comfort abitativo dipende anche dalla traspirabilità
delle pareti, oltre all’isolamento termico. A tal proposito è caldamente consigliata la
sostituzione dell’intonaco interno della camera e del ripostiglio al piano terra con
intonaco traspirante a base di calce (come già realizzato in una porzione del
ripostiglio), i quali garantiscono ambienti asciutti, sani e disinfettati grazie al PH
basico della calce, non consentendo a batteri e muffe di attechire alle murature e di
proliferare.
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Il concetto di comfort ambientale viene così definito nel sito internet del Ministero
della Salute, di cui si riporta un estratto della pubblicazione del 16 dicembre 2015, in
materia di microclima e benessere termico, relativamente al tema dell’aria indoor:
“Quando il corpo umano, con minimo impegno dei meccanismi di termoregolazione, non
prova sensazione di freddo o di caldo, l’individuo viene a trovarsi in uno stato di
soddisfazione nei confronti dell'ambiente detto "benessere termico". Tale condizione
ottimale si verifica solo se i parametri ambientali temperatura, umidità relativa e
velocità dell'aria sono opportunamente graduati. La ventilazione, può influenzare i
parametri microclimatici e svolge un ruolo importante nel processo di termoregolazione
del corpo umano e nel garantire situazioni di comfort ambientale.
Benessere microclimatico e comfort ambientale si riferiscono alla condizione ambientale
in cui l'aria interna è percepita come ottimale dalla maggior parte degli occupanti dal
punto di vista delle proprietà sia fisiche (temperatura, umidità, ventilazione) che
chimiche (aria "pulita" o "fresca").
Nella seguente tabella si riportano le condizioni microclimatiche ottimali di un
ambiente, per attività fisica moderata (sedentaria), abbigliamento adeguato e in
assenza di irraggiamento, in cui la maggioranza degli "occupanti", si trova in una
sensazione di benessere termico.
Condizioni microclimatiche ottimali
Stagione
Temperatura della’aria (T)
Umidità Relativa (UR)
Velocità dell’Aria (V)
Inverno*
19-22°C
40-50%
0,01-0,1 m/s
Estate*
24-26°C
50-60%
0,1-0,2 m/s
*Il DPR 16 aprile 2013, n. 74, che fissa i criteri generali in materia di esercizio,
conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la
climatizzazione invernale ed estiva, prevede per gli edifici residenziali che la media
ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti di ciascuna unità
immobiliare, durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione invernale, non
deve superare: 20°C + 2°C di tolleranza; durante il funzionamento dell’impianto di
climatizzazione estiva, non deve essere minore di 26°C – 2°C di tolleranza.”
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Non per ultimo, per il raggiungimento del benessere abitativo, vanno analizzate
assieme agli utilizzatori dell’immobile, quali sono le abitudini, gli orari, ed i modi di
utilizzo dei locali abitativi.
Tali informazioni risultano molto importanti per comprendere se nel fabbricato viene
fatto un corretto uso degli impianti, se viene eseguito un corretto ricambio d’aria, la
fequenza con la quale vengono effettuate le pulizie, ecc…, tutti elementi che se
seguiti con regolarità e correttezza nel modo in cui si vive l’abitazione, incidono
notevolmente sulla qualità dell’aria indoor e del comfort ambientale.
Nel caso in questione si è riscontrato che:
- nel locale ripostiglio al piano terra è stato chiuso il termosifone, pertanto il locale
non viene mai riscaldato; anche l’areazione e l’illuminazione naturale non sono
garantite regolarmente;
- nella camera al piano primo viene effettuata una buona ventilazione sia nel
primo mattino che nel primo pomeriggio, ma il riscaldamento a gas viene attivato
saltuariamente; l’illuminazione naturale in estate viene attenuata con una tenda solare,
visto l’orientamento della finestra verso sud, tuttavia nella stagione invernale tale
tenda non viene richiusa, perdendo così i benefici dell’illuminazione naturale
invernale;
- anche nel locale taverna non viene mai utilizzato il riscaldamento a gas mediante
termosifoni, ma viene sfruttata la stufa a legna utilizzata quotidianamente nel primo
mattino e nell’intero pomeriggio fino alla sera;
- nel locale bagno non viene utilizzato il riscaldamento a gas, l’areazione è
sufficiente in quanto è presente un finestrotto con anta a ribalta regolabile, quasi
sempre aperto; anche qui è stato realizzato un intonaco a calce, come in altre zone, e
non si è più ripresentata alcuna muffa.
In conclusione, seppur l’analisi dell’abitazione non sia stata sviscerata
approfonditamente, e non siano stati utilizzati apparecchi elettronici per il
rilevamento della qualità dell’aria, si suggeriscono degli accorgimenti basilari per un
corretto uso dei locali abitativi al fine di renderli più salubri:
- ventilare i locali creando delle correnti d’aria: aprire le finestre per 1-5 minuti se la
circolazione d’aria è sostenuta, oppure per 5-10 minuti qualora la circolazione fosse
più tenue; tale operazione dovrebbe essere ripetuta dalle 2 alle 4 volte al giorno.
Arieggiare indipendentemente dalle condizioni metereologiche, l’aria fresca esterna è
sempre più asciutta di quella interna: più bassa è la temperatura esterna, minore
dovrebbe essere la durata di ventilazione della casa, inoltre, più bassa è la temperatura
dentro casa, più frequente dovrebbe essere la ventilazione;
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- in ogni abitazione sono presenti alcune stanze con elevati tassi di umidità, quali
bagno, cucina e camere da letto; è un errore arieggiare queste stanze spalancando la
porta che le collega con altri ambienti della casa perché, così facendo, invece di far
uscire l’umidità dall’appartamento la si diffonde anche nelle altre stanze. Se le stanze
sono particolarmente umide è meglio chiudere la porta e ventilarle abbondantemente
aprendo la finestra;
- se ci sono degli ambienti riscaldati vicino a locali non riscaldati è importante non
far penetrare il calore in quest’ultimi (vedasi il ripostiglio al p.t.), ovvero tenere la
porta chiusa; il vapore presente nell’aria riscaldata, infatti, può depositarsi sulla
superficie fredda dei muri perimentrali della stanza non riscaldata e dare luogo alla
formazione di condensa. Per questo motivo bisogna sempre evitare di lasciar
raffreddare troppo le stanze;
-
evitare di asciugare la biancheria all’interno dei locali abitativi;
- non collocare mobili di grandi dimensioni come armadi o pareti componibili
lungo muri o angoli che danno sull’esterno; se non si può fare altrimenti lasciare una
distanza di almeno 10 cm. tra i mobili e le pareti esterne (vedasi la camera al p.1);
- non tenere mai locali non riscaldati, ad eccezione del garage e della soffita,
concepiti come locali freddi; evitare di ritardare l’inizio del riscaldamento e
mantenere una temperatura costante di 20°C mediante installazione di un termostato
ambientale automatico collegato all’impianto di riscaldamento; è inoltre opportuno
posizionare un rilevatore di umidità all’interno dei locali più utilizzati al fine di aerare
subito il locale qualora l’umidità risulti superiore al 50%;
-
non fumare all’interno dell’abitazione;
- al fine di prevenire un’intossicazione da monossido di carbonio (problema di
sanità pubblica rilevante, seppur sconosciuto ai più) provvedere ad una
manutenzione regolare dell’impianto termico da parte di personale
qualificato, verificare
la
pervietà
ed
il
tiraggio
dei
camini,
non otturare le prese d’aria, e non utilizzare bracieri, barbecue e generatori di
corrente in ambienti chiusi.
Quelli elencati poco sopra sono minimi interventi attuabili nell’immediato, per i quali
si può già riscontrare un miglioramento della salubrità dei locali; tuttavia non
permettono di raggiungere il benessere microclimatico, in quanto il fabbricato,
carente di coibentazione perimetrale, subisce una forte dispersione termica.
Viene infatti consigliato come futuro intervento risolutivo la realizzazione di un
rivestimento isolante a cappotto esterno, con abbinato isolamento dei cassettoni delle
tapparelle negli infissi al piano primo, sostituzione degli infissi e taglio termico della soglia.
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- Fot o n . 1 -
- Fot o n . 2 106
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- Fot o n . 3 -
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- Fot o n . 5 -
- Fot o n . 6 108
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CONCLUSIONI
Abbiamo avuto modo di renderci conto che all’interno degli ambienti confinati, ed in
particolare nelle case abitate da noi stessi, si possono creare delle problematiche che
provocano conseguenze anche gravi sulla salute dell’uomo; spesso ancor di più per i
bambini.
Abbiamo anche visto che per noi professionisti del settore edilizio, le responsabilità
civili e penali sono molto gravose, spesso anche per obiettive responsabilità che sono
evidentemente e chiaramente a carico delle ditte che eseguono i lavori e che non
rispettano le indicazioni di progetto e le corrette tecniche applicative e/o di
costruzione.
In sostanza il professionista deve con la propria esperienza, preparazione, sensibilità
e professionalità prevenire e affrontare in fase progettuale, tra le molteplici questioni,
la tematica della salubrità degli ambienti ed assicurarsi, nel corso dei lavori, che le
soluzioni adottate siano adeguatamente realizzate, prima di tutto per una questione di
serietà ed etica professionale, che non andrebbe mai svenduta come si vede
frequentemente, ed inoltre per evitare delle responsabilità dirette in caso di
contestazioni.
Inoltre abbiamo analizzato il “variopinto” sistema giudiziario italiano, dove, i giudici
emanando le loro sentenze, (a seconda del grado di giudizio) fanno giurisprudenza;
considerando l’attuale paralisi politica e l’indifferenza alla tematica dell’edificio
salubre da parte del Legislatore, si può addivenire che molto probabilmente sarà il
decorso del tempo a suon di Sentenze a fare la storia e a “far nascere” una vera
legislazione mirata e chiara in materia.
“La salute dipende dall’ambiente in cui si vive.”
Soffermandosi su questo concetto tutte le altre questioni passano però in secondo
piano. Ecco che si individua lo scopo per cui abbiamo aderito a questo Corso, dopo
il quale è completamente mutato in una vera e propria missione per trasmettere a
tutti una nuova concezione di vivere gli ambienti di lavoro e domestici, al fine di
aumentare il grado di felicità di ognuno e cercare di dare un piccolo contributo a
rendere il mondo in cui viviamo un po’ più … vivibile.
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BIBLIO/SITOGRAFIA
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www.studiocataldi.it
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www.lusletter.com
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Andrea Carandini, Le Case del Potere nell'Antica Roma, Editori Laterza
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Ugo Enrico Paoli, Vita romana, Le Monnier
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John Bryan Ward-Perkins, Architettura Romana, Electa
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Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli, L'arte dell'antichità classica, Utet
-
Alberto Angela, Una giornata nell'antica Roma. Vita quotidiana, segreti e
curiosità, Rai Eri, Mondadori
-
Materiale Didattico del Corso Edificio Salubre
-
Appunti personali del Corso Edificio Salubre
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