CORSO NAZIONALE ESPERTO EDIFICIO SALUBRE Umidità – Muffe – Materiali Salubri ed Innovativi Responsabilità Civili, Penali e Disciplinari Storia dell’Abitazione a Roma: Domus, Insulae e Villae Sviluppo di un Caso di Studio 1 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele AUTORI: Geom. ALICE PAGNETTI nata a Fano (Pu) il 05.10.1984 Iscritta al Collegio dei Geometri di Pesaro-Urbino al n. 1904 Via 2 Giugno, 14 – 61037 Mondolfo Fraz. Marotta (PU) [email protected] Ing. VITTORIO ASCARI nato a Modena (Mo) il 27.09.1956 Iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Modena al n. 1092 P.za Tien An Men, 9– 41049 Sassuolo (MO) [email protected] Geom. ANDREA GROSSI nato a Vimercate (Mi) il 20.06.1969 Iscritto al Collegio dei Geometri di Milano al n. 11019 Via Mincio, 24 – 20139 Milano [email protected] Geom. DANIELE BERTON nato a Lido di Venezia (Ve) il 28.07.1977 Iscritto al Collegio dei Geometri di Venezia al n. 2547 Via Fausta, 458 – 30013 Cavallino-Treporti (VE) [email protected] 2 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Il concetto di casa si è evoluto nel tempo, parallelamente allo sviluppo culturale e tecnologico della società, generalmente legato agli strati sociali, che nel passato, anche non tanto lontano nel tempo, rappresentavano un diversissimo livello culturale ed economico. La “casa”, passata da un semplice e spesso occasionale riparo dagli agenti atmosferici, ad una struttura di facile e rapido assemblaggio, che seguiva l’uomo nel suo migrare, è arrivata fino ad un complesso sempre più articolato di vari componenti strutturali ed impiantistici volti a creare un ambiente sempre più confortevole per l’uomo. Siamo gradatamente passati, da una vita dell’uomo che si svolgeva essenzialmente all’aperto con un uso limitato della “casa”, a vivere la maggior parte della nostra esistenza in “casa” o in ambienti confinati con caratteristiche molto simili. Nelle righe precedenti è stato volutamente utilizzato il termine “confortevole” invece di “salubre”, proprio perché spesso i due concetti non coincidono. La tecnologia ci ha reso la vita più facile ed ha consentito a tutti di poter usufruire di tante comodità. L’industria è stata in grado di generare prodotti a prezzi accessibili, impiegando tuttavia, anche con inconsapevolezza, materiali e sostanze che nel tempo hanno evidenziato delle caratteristiche nocive per l’uomo, compromettendo appunto la salubrità dei locali abitativi. Negli ultimi anni, con l’adozione di scelte progettuali che mirano al raggiungimento del massimo risparmio energetico, ottenuto con la costruzione di edifici sempre più ermeticamente chiusi ed isolati, è stato purtroppo trascurato l’aspetto della salubrità degli ambienti confinati, tanto che ormai si parla di “Sick Building Syndrome” (SBS), dall'inglese: "Sindrome dell'edificio malato". In sostanza stiamo creando degli edifici confortevoli a basso consumo energetico ma che potrebbero risultare poco salubri. Le muffe, i composti organici volatici, le polveri sottili ed altri elementi nocivi, sono problemi che possono manifestarsi molto più frequentemente di quanto si pensi, nei locali che abitiamo. La scienza e la medicina hanno già individuato queste problematiche e suggerito il modo di affrontarle, al fine di tutelare in primis la salute delle persone ed evitare un vertiginoso aumento dei costi (sanitari, civili, penali ecc…) per la collettività, derivanti dalle cure che le persone ammalate per questi motivi, richiedono. In questa tesina sono trattate solamente alcune delle problematiche che posso crearsi in un ambiente confinato e che sono dannose per la salute dell’uomo, tuttavia la consapevolezza e la conoscenza di tale situazione, appresa al Corso di Esperto Edificio Salubre, ha trasmesso a noi progettisti un grande stimolo, affinché ci si adoperi subito per contrastare le condizioni favorevoli allo sviluppo di tali problematiche, ma soprattutto si diffonda sempre più la tematica per una cognizione del problema da parte di tutta la società. 3 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele INDICE: Umidità Muffe Materiali salubri ed innovativi Responsabilità Civili, Penali e Disciplinari 〉 Riferimenti Legislativi 〉 Figure Professionali coinvolte 〉 Evoluzione Giurisprudenziale in materia Storia dell’abitazione a Roma 〉 Domus 〉 Insulae 〉 Villa Sviluppo di un Caso di Studio Conclusioni Biblio/Sitografia 4 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele UMIDITA’ “L’umidità è uno dei fattori fondamentali del benessere ambientale: infatti, oltre ad influire direttamente sulla sensazione di comfort percepita dall’individuo, ha un effetto diretto anche sull’eventuale diffondersi di patologie di tipo virale e batterico.” L’umidità è la quantità di vapore acqueo che si trova in una determinata massa d’aria. Le misure dell’umidità sono diverse: L’Umidità assoluta misura la quantità, in grammi, di vapore acque in un metro cubo d’aria. Più è alta la temperatura dell’aria e più vapore essa può contenere (è per questo motivo che l’andamento dell’umidità assoluta media mensile ricalca a grandi linee quello della temperatura, con un massimo nei mesi estivi ed un minimo in quelli invernali (per esempio l’aria ad una temperatura di 20° C può assorbire al massimo 17,7 g di vapore acqueo al metro cubo, mentre ad una temperatura di 10° C ne può assorbire al massimo 9,5). L’Umidità specifica, è la misura più utilizzata, si riferisce al rapporto tra il vapore acqueo e la massa d’aria che risulta umida; questa misura cambia con il variare della temperatura e della pressione. L’Umidità relativa invece indica la percentuale di vapore acqueo contenuto nell’aria e la quantità massima che quella stessa massa d’aria potrebbe contenere, a pari condizioni di pressione e temperatura. Quando l’aria risulta satura di vapore acqueo, il vapore passa dallo stato gassoso allo stato liquido, in altre parole, viene superato il punto di rugiada e l’umidità si condensa (formazione di pioggia, gocce di condensa sulla parete, appannamento dei vetri). Figura 1 - Diagramma di Carrier: Indicazione grafica del punto di rugiada 5 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Uno dei fenomeni più tangibili ed evidenti della presenza dell’acqua nell’atmosfera è rappresentato dalla nebbia e dalla brina mattutina. La nebbia, infatti, consiste in una massa di piccole goccioline d’acqua che si formano per condensazione del vapore in prossimità della superficie terrestre quando la stessa presenta una temperatura inferiore alla temperatura di rugiada. Per capire meglio il significato di temperatura di rugiada bisogna sapere che in una data quantità (ad esempio un metro cubo) di aria, a temperatura e pressione determinate e fisse, può essere presente al massimo una certa quantità di vapore (in genere espressa in grammi) che dipende appunto dalla pressione e dalla temperatura. Poiché, fissata la pressione, la quantità massima di vapore che l’aria può contenere diminuisce al diminuire della temperatura, la temperatura di rugiada rappresenta la condizione d’incipiente condensazione, in corrispondenza della quale l’aria viene considerata satura. Ad una ulteriore diminuzione di temperatura, l’acqua in eccesso verrebbe rilasciata dall’aria sotto forma di acqua liquida ed il nome di temperatura di rugiada ben descrive tale processo poiché ricorda le goccioline che si formano sulle foglioline d’erba, ossia la rugiada. La quantità di vapore acqueo contenuta nell’aria si riduce progressivamente al diminuire della temperatura, fino ad annullarsi del tutto a – 40° C. La determinazione della quantità di vapore d’acqua contenuta nell’aria è di fondamentale importanza sia per gli esseri viventi sia anche per il mantenimento, immagazzinamento di prodotti o materiali. Anche se l’acqua presente in questa forma gassosa nell’atmosfera intorno a noi costituisce solo una percentuale estremamente ridotta (addirittura inferiore all’uno per cento), la sua presenza riesce a condizionare notevolmente moltissimi fenomeni che interessano la nostra vita quotidiana. In generale, infatti, condizioni di freddo umido incidono sul benessere dell’organismo umano, favorendo affezioni artroreumatiche, infiammazioni delle prime vie aeree e generando sensazioni di malessere fisiologico. 6 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Allo stesso modo, il caldo umido favorisce altre patologie generando una condizione di malessere per il nostro organismo. L’umidità, in termini pratici, è un valore che influisce molto sul nostro stato di benessere e sulla nostra percezione della temperatura e del clima, quindi del freddo e del caldo. La percentuale generale di umidità nell’aria varia da una zona all’altra del mondo ed anche dell’Italia, variando tra il 30% ed il 100%, mentre risulta più bassa, ad esempio, nei Tropici. Il Diagramma di Olgyay (figura sopra) ci indica la zona di comfort termo-igrometrico dove, per sintetizzare, è stato rilevato statisticamente che il 90 % delle persone possono sopportare, ad esempio, alti tassi di umidità relativa (UR) fino ad una determinata temperatura (T). Per rimanere all’interno della zona di comfort termoigrometrico all’aumentare della temperatura T deve necessariamente corrispondere una riduzione dell’umidità relativa UR. I primi riferimenti storici sulla misura dell’umidità risalgono agli anni precedenti la nascita di Cristo. A quel tempo in Cina era stato realizzato il primo igrometro di tipo a bilancia di cui sia abbia traccia nella storia. Risale al 1450 il primo igroscopio descritto da Nicholas Cryfts dicendo che “se qualcuno avesse a disposizione una buona quantità di lana, la legasse alle estremità di una bilancia e, in condizioni di aria temperata, bilanciasse il peso della lana con delle pietre, potrebbe osservare che il peso della lana aumenta all’aumentare dell’umidità dell’aria e diminuisce quando l’aria tende a divenire più secca”. Il dispositivo fu poi migliorato dal nostro Leonardo da Vinci il quale, sostituendo la lana con una spugna, gettò le basi del metodo gravimetrico di misura dell’umidità, utilizzato dall’igrometro che attualmente rappresenta il campione nazionale di riferimento. 7 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Negli ultimi anni i sensori utilizzati nella misura dell’umidità sono stati oggetto di approfondite ricerche e le loro prestazioni sono state incrementate in modo rilevante. La ricerca mirata al miglioramento dei sensori per la misura dell’umidità è ad oggi molto attiva ed attuale e diversi metodi di misura e tipologia di sensori sono stati sviluppati in funzione dei diversi campi di applicazione. Il rapporto tra l’acqua e gli edifici in generale è sempre stato molto difficile e conflittuale poiché la presenza, o meglio, l’eccesso di umidità nelle costruzioni, fin nell’antichità, ha rappresentato un serio problema per le opere, per tutto quanto viene custodito al loro interno e per la salute degli occupanti. La presenza eccessiva di acqua sotto forma di umidità all’interno della casa, è ormai un problema riconosciuto anche dal punto di vista igienico e sanitario. La sua eliminazione non è possibile, poiché qualsiasi materiale edile, stabilizza la sua umidità, definita “fisiologica” o naturale, secondo l’umidità presente nell’aria dell’ambiente. Questi valori oscillano nel tempo, ma si mantengono sufficientemente bassi, e tali da non costituire un problema, né per i materiali né per le persone. Possiamo quindi dire, pur non essendo rigorosi, che in queste condizioni il muro è “asciutto”. Ma quali sono le cause che provocano un aumento dell’acqua all’interno della casa? Immaginiamo l’edificio come un sistema chiuso, dove esiste la possibilità di ingresso dell’acqua da diverse fonti, ed esiste parimenti una certa produzione di vapore acqueo al suo interno, in relazione alle varie attività correlate con la presenza dei suoi occupanti. Questi flussi sono per loro natura discontinui, e sono soggetti a variabilità giornaliera e stagionale, ed a situazioni eccezionali. La regola principale è quella di evitare che l’acqua possa entrare nella costruzione, e di far evacuare il prima possibile quella già presente. Da quanto sopra, si deduce che la formazione di umidità all’interno di un edificio può derivare da diversi fattori (esterni ed interni all’edificio), di diversa natura, con differenti cause e relative soluzioni e spesso sommati tra di loro. 8 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Di seguito un breve elenco delle principali cause che determinano la presenza di umidità: Umidità capillare ascendente dal terreno L’umidità che si manifesta sotto forma d’impregnazione parziale dei supporti porosi verticali, prende il nome di risalita capillare. L’umidità da risalita capillare richiama l’immagine di una spugna che assorbe acqua: in questo caso il muro assorbe l’acqua del terreno sul quale è fondato, provocando un progressivo aumento di volume della muratura che, nel tempo, potrà provocare danni estetici e strutturali. In realtà il fenomeno della capillarità si manifesta in tutte le direzioni, sia in orizzontale che dall’alto verso il basso, ma essendo quasi insensibile alla gravità, lo si è quasi sempre associato alla risalita verticale. La risalita muraria è un fenomeno lento e progressivo, che si manifesta quasi esclusivamente su murature antiche, di forte spessore, sprovviste di protezione dal terreno. Le manifestazioni che si verificano su muri recenti, di basso spessore, che poggiano su calcestruzzo o su cemento armato, sono classificabili come “risalita secondaria” ovvero derivante da apporti diversi. Quando è presente la risalita capillare, non è possibile che vi sia dell’acqua liquida, poiché la fisica del fenomeno lo impedisce. 9 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele La risalita capillare è sempre associata alla presenza di sali solubili provenienti dal terreno dovuti all’evaporazione dell’acqua. Ma la sola presenza di sali non indica in maniera univoca l’esistenza della risalita. Se c’è risalita, raramente sarà presente la muffa. L’umidità di risalita favorisce la deposizione di sali sulle superfici murarie, e questo rende l’ambiente non favorevole alla proliferazione delle muffe. Nella foto si evidenzia la presenza di efflorescenze saline sulla parte alta della muratura ed al suo piede. Nel primo caso si tratta di sali disciolti dall’acqua piovana ricristallizzatisi sulle superfici esterne. Nel secondo invece, si ha un’azione combinata della pioggia e della risalita capillare. La macchia bassa infatti è più scura ed ha una forma più regolare. Questi elementi sono caratteristici della risalita capillare. Esistono diversi metodi per la risoluzione di questo tipo di problema e di seguito ne elencheremo i principali specificandone le tecniche d’esecuzione, i vantaggi e gli svantaggi di ognuno. Soluzione con Metodo Meccanico Si tratta di eseguire un vero e proprio taglio meccanico nella muratura soggetta alla problematica per poi inserire uno strato di guaina o lastra impermeabile; è necessario poi riempire lo strappo così creato con del materiale che sia impermeabile e capace di resistere al carico statico imposto alla muratura soprastante. I maggiori svantaggi del metodo del taglio dei muri sono però i seguenti: - È invasivo, sporco e rumoroso (non si può fare se la casa è abitata). 10 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - - - E' necessario scanalare poi ogni tipo di impianto, sia idraulico che elettrico, per poter isolare anche queste parti. Crea problemi d'assestamento (sopra il foglio si mettono delle zeppe e del cemento antiritiro per poter chiudere al meglio la fuga tagliata. Tra il foglio ed il sotto della fuga però, non c'è assolutamente niente, quindi questo foglio fa da cuscinetto). Non si può eseguire in zone sismiche. Prosciugamento assente sotto il foglio isolante (l'umidità di risalita dal terreno, trovandosi il foglio isolante come ostacolo, aumenta la sua forza, poiché non ha più uno sfogo verso l'alto, comincia ad uscire all'altezza del battiscopa e del pavimento con maggiore intensità. Viene così a crearsi uno scompenso ai piedi della muratura e una condensa all'interno dell'edificio. Metodo molto costoso soprattutto quando abbiamo edifici che presentano un rivestimento interno in mattonelle e impianti particolari. Soluzione con Metodo Chimico Questo metodo consiste nella formazione di una barriera chimica alla risalita di umidità mediante la formazione di fori nella muratura per inserire delle resine silaniche ad iniettori pronti all’uso. Anche il metodo delle iniezioni di resine chimiche, d'altro canto, comporta degli svantaggi. E' infatti un metodo: - - - Invasivo, sporco e maleodorante (questo è un sistema che permette di lavorare solo da una parte del muro facendo dei fori fino ai 3/4 della muratura). Viene iniettata una resina chimica che ha un odore maleodorante che permane per qualche periodo all'interno dell'abitazione. Richiede opere murarie (bisogna togliere l'intonaco prima dell'intervento e aspettare qualche mese, affinché il muro si asciughi almeno superficialmente per poter dare poi l'intonaco nuovo). Non garantisce il completo prosciugamento (si inietta una certa quantità di liquido che si presume vada a bagnare tutto lo spessore del muro). Dentro le muratura ci sono una serie di fughe e vuoti, soprattutto nei muri vecchi, oppure nelle fughe dei poroton o bimattoni, dove il liquido che si inietta scorre via. 11 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - - - - Non potendo vedere dove si distribuisce il liquido all'interno del muro si garantisce il lavoro tranne i vizi occulti. Durata limitata (non si sa per quanto tempo questa resina possa avere la meglio sull'acqua). Prosciugamento assente sotto la barriera chimica (come il taglio anche la barriera chimica non risolve il problema dell'umidità ai piedi della muratura, ma la ferma solo ad una certa altezza). Esecuzione non sempre possibile e costosa (non è sempre possibile lavorare con la resina perché ci sono dei muri fatti a sacco, dove all'interno ci sono dei vuoti: la resina, materiale molto costoso, rischia così di perdersi senza garantire il lavoro). Intonaco Deumidificante Per quanto riguarda invece gli intonaci deumidificanti (che non sono altro che delle malte chimiche dove la traspirabilità dell'intonaco è molto alta rispetto agli intonaci pre-miscelati), non sono una soluzione definitiva al problema dell'umidità di risalita, in quanto l'acqua che sale dal terreno porta con sé anche i sali del terreno stesso, assieme a quelli dei materiali da costruzione, i quali vanno a compromettere la traspirabilità dell'intonaco. La differenza tra un intonaco normale e uno deumidificante sta solo nella dimensione dei pori di quest'ultimo, che garantiscono maggior traspirabilità. Queste malte non risolvono però il problema dei sali, i quali tardano solo di qualche anno prima di riaffiorare in superficie. Metodo Elettrofisico Fra i veri metodi di prosciugamento per l'umidità di risalita esiste anche il metodo elettrofisico, dove, con dei campi elettromagnetici, si riesce a polarizzare le molecole dell'acqua dentro la muratura e a spingerla verso il basso. Per quanto strano possa sembrare questo sistema, costituisce una rivoluzione in quanto non è più necessario intervenire sulla muratura per prosciugare l'edificio. 12 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele L'unico svantaggio di questo apparecchio è che si alimenta a corrente elettrica ed ha un assorbimento di 5-7 Watt. Per quanto bassi possano essere questi valori, posizionati sicuramente sotto la soglia prevista dalla legge, creano tuttavia un campo elettromagnetico, simile a quello creato dal cellulare, con la sola differenza che mentre l'utilizzo di quest'ultimo è saltuario, nel caso dell'apparecchio elettrofisico installato in casa, è continuo. Metodi Naturali Esiste poi un metodo che utilizza le vibrazioni naturali mediante degli apparecchi che non usano elettricità per il loro funzionamento e quindi non provocano campi elettromagnetici. Un apparecchio costituito di un materiale non deteriorabile capta al suo interno le vibrazioni naturali della Terra (onde magnetogravitazionali) con un’antenna ricevente; dette vibrazioni vengono poi invertite di direzione da una unità di polarizzazione. Come risulta evidente, questo metodo offre molti vantaggi: - E’ un sistema ecologico che sfrutta energia naturale; Non è invasivo poiché non richiede opere murarie all’interno dell’edificio; E’ fiscalmente detraibile poichè rientra nelle agevolazioni del risparmio energetico; Non ha spese di gestione, una volta installato non necessita di manutenzione alcuna; E’ molto economico rispetto ad altri sistemi precedentemente menzionati; Ha un effetto biologico positivo. Umidità Igroscopica Ogni parete ed ogni intonaco contengono, dopo il prosciugamento, una certa quantità di sali igroscopici (che attraggono l’umidità) propri della struttura muraria, ma anche sali estranei ad essa (per esempio i sali del terreno). A causa della continua risalita capillare di umidità questi sali fuoriescono dal muro e dal terreno fino a depositarsi nella zona di evaporazione sull’intonaco o sulla pittura. 13 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Dopo un prosciugamento interno delle mura ben riuscito, sull’intonaco o sulla pittura rimangono dei residui di sali capaci d’assorbire solo una certa quantità di umidità dell’aria: esiste quindi la possibilità che il muro si asciughi all’interno ma che l’intonaco o la pittura con eccessivo contenuto di sali rimangano umide. Per eliminare l’umidità da assorbimento igroscopico, occorre tenere bassa l’umidità relativa dell’aria, e contemporaneamente bisogna aumentare la sua temperatura. Il fenomeno del desorbimento è piuttosto lento, e corrisponde ad una asciugatura dei supporti porosi. Talvolta occorrono alcuni mesi per poter raggiungere valori di umidità muraria abbastanza bassi. Umidità Residua L’umidità residua è presente nelle murature durante tutte le fasi di costruzione e ristrutturazione di un edificio, specialmente (purtroppo, sta diventando cattiva norma per i tempi ristretti richiesti dal committente) se non vengono rispettati i tempi tecnici e naturali di messa in opera dei materiali. Generalmente l’umidità residua, in condizioni di buona ventilazione e di temperatura non troppo bassa, si dissipa rapidamente all’esterno. Umidità Meteorica Questa è la principale causa di deterioramento delle costruzioni, ed è quella che arreca i maggiori danni in assoluto alle opere edili. L’acqua meteorica si manifesta sotto forma di pioggia, ma in particolari condizioni climatiche, anche come neve, ghiaccio, brina, rugiada o nebbia. Si tratta sempre e comunque di acqua, che causa dei danni importanti alle parti della costruzione più soggette ad aggressione da acqua meteorica quali il tetto e le pareti soprattutto nelle loro parti più prossime al terreno. L’azione combinata dell’acqua piovana e del vento risulta particolarmente dannosa per qualsiasi edificio. Estrema attenzione dovrà essere posta laddove vi siano delle discontinuità. Per esempio un attraversamento di un tetto o di un terrazzo, che costituisce una discontinuità dell’impermeabilizzazione, sarà un punto preferenziale dove l’acqua potrà passare. 14 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Tutte le situazioni dove sia presente una variazione di forma o dimensione, o dove sia stato praticato un attraversamento, sarà un punto sensibile. Questa maggiore propensione a far passare l’acqua, ed a creare le condizioni affinché questo possa avvenire, permarrà durante l’intera vita utile dell’edificio. Gli infissi o serramenti esterni sono un importante elemento di discontinuità della muratura e/o della copertura, e rappresentano un serio problema di impermeabilità per l’edificio. Anche una realizzazione a regola d’arte, non preclude la possibilità che nel tempo vi possano essere infiltrazioni, o perdita di tenuta delle sigillature. Umidità dovuta ad Infiltrazione Laterale Si verifica in presenza di danni o difetti nell’isolamento verticale (di solito si riscontra nei muri di cantine e garage parzialmente o completamente interrati), l’umidità può penetrare lateralmente dai capillari fino ad attraversare l’intero muro. Acqua di pendio con pressione, quando il livello d’acqua è temporaneamente alto (esempio in presenza d’inondazione o appunto quella che fluisce da un pendio), la pressione esercitata dall’acqua sulle mura fa si che questa penetri all’interno. Il sistema capillare delle murature farà il resto spingendo l’acqua verso l’alto sfruttando il fenomeno naturale denominato pressione idrostatica. Spruzzi d’Acqua L’Umidità causata da spruzzi d’acqua provenienti da veicoli di passaggio nella strada vicina e dalla pioggia battente sulla base di una muratura sono le principali cause delle infiltrazioni laterali nei piani fuori terra. Un tipico esempio di della presenza di spruzzi d’acqua piovana è osservabile dalla formazione di muschio alla base del muro. 15 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele In figura, evidente esempio di umidità e muschio dovuti da spruzzi d’acqua piovana. Umidità da danni Tecnici di Costruzione, Danni alle Installazioni Questo tipo d’umidità deriva da una scarsa manutenzione dell’edificio, dei difetti tecnici costruttivi dovuti dalla mancanza o da una inadeguata protezione contro l'infiltrazione d'acqua piovana (danno al tetto o al materiale del tetto, camino insufficientemente sigillato, mancanza del materiale di protezione della superfìcie del tetto, camini inutilizzati. drenaggio del tetto mancante etc.) e/o da guasti alle condutture (danni/ostruzioni alle grondaie, ostruzioni dei tubi di scolo, tubi di scarico, tubi rotti ecc..) Umidità dovuta da fattori di disturbo Geologici o Tecnici I fattori di disturbo di tipo geologico sono di tipo naturale e si formano causati dalla presenza di sorgenti d’acqua nel sottosuolo, corsi d’acqua sotterranei, fratture teutoniche ecc.; quelli di disturbo tecnico invece sono causati dai trasmettitori di radio, TV, Radar, cellulari ecc. che producono il cosiddetto fenomeno di “Elettrosmog”, oppure da conduttori elettrici o metallici non isolati. 16 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Umidità da Condensazione La condensa può formarsi sulla superficie ma anche all’interno dei muri, questione più insidiosa poiché non visibile, e che col passare del tempo provoca muffe, può corrodere le tubazioni, creare rischi in prossimità d’impianti elettrici, sgretolare intonaci e provocare efflorescenze. Per capire il fenomeno riprendiamo l’esempio “idraulico”. II recipiente A è l’ambiente, B è il primo strato di muro, C il secondo, D è l’ambiente esterno; r1, r2, r3 sono le resistenze al passaggio del vapore cioè la impermeabilità degli strati di muratura. Se tutto va bene l’umidità dell’ambiente viene smaltita da V, ventilazione, ma se quest’ultima non è sufficiente, aumenta il livello nel recipiente A. Una parte di vapore passa attraverso i muri, dove incontra una certa resistenza R, fino ad evaporare all’esterno (D). Ma se il rubinetto r3 è chiuso (cioè il rivestimento esterno del muro è impermeabile come la ceramica, gli intonaci plastici o una guaina impermeabilizzante) allora siamo nei guai: C si riempie e trabocca. Si forma la condensa nel muro! La condensazione può verificarsi sia a causa di un generale abbassamento della temperatura, sia in seguito a migrazioni del vapore acqueo in zone a temperatura più bassa. In base alla struttura dei materiali, la condensazione può presentarsi sotto forma di goccioline, se si tratta di superfici impermeabili come la ceramica, o sotto forma di macchie scure generate dallo sviluppo di muffe, funghi e batteri se l’umidità viene assorbita dalla porosità del materiale come nel caso d’intonaci, laterizi, pietre porose, gesso ecc. Immagine termografica di ponte termico della muratura sotto finestra 17 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Le cause principali di questo fenomeno sono spesso riconducibili ad un isolamento termico difettoso dovuto a muri esterni sottili (che creano un ponte freddo-caldo), un’eccessiva umidità nelle stanze (quali bagno, camera da letto, cucina, lavanderia, o stanze dove vi sono acquari, molte piante ecc...), finestre a tenuta d'aria che non permettono all'aria umida di fuoriuscire, mancanza di ventilazione, riscaldamento difettoso, pittura organica (pittura ad emulsione) che costituisce terreno fertile per la muffa. Avendo quindi la possibilità di scegliere la tipologia della stratificazione della muratura, si possono adottare dei concetti generali che eviteranno poi il formarsi di questo fenomeno, e più precisamente: - Posizionare il più possibile verso l’interno dell’ambiente gli strati a più alta resistenza al passaggio del vapore; Posizionare il più possibile verso l’esterno gli strati con la più alta resistenza termica. Il primo punto aiuta a ridurre la quantità di vapore che raggiunge gli strati più esterni e quindi più freddi del componente opaco. Il secondo punto serve per mantenere la temperatura dei vari strati interni più alta, in modo che il vapore, mentre li attraversa, non vada incontro a zone fredde e quindi possa condensare. Umidità causata da Fattori Chimici I differenti materiali da costruzione che compongono l’edificio hanno qualità e caratteristiche chimiche diverse. Un esempio è dato dalla vecchia muratura che è leggermente acida e dagli intonaci di cemento che invece sono fortemente alcalini con conseguenti valori di PH differenti tra loro. Questi effetti chimici causano un trasporto elettrochimico dell'umidità muraria che attira altra umidità e/o mantiene l'umidità alta. Materiali arrugginiti (tubi d'acciaio, telai di ferro etc.) hanno un simile effetto sull'umidità nei muri. Un completo prosciugamento delle mura è solamente possibile con una rimozione preventiva di tutti questi fattori chimici di disturbo. IMPATTO DELL’UMIDITA’ SULL’EDIFICIO Abbiamo visto nello specifico le varie tipologie e manifestazioni possibili di umidità all’interno ed esterno dell’edificio, che possono causare problemi all’intero involucro abitativo. I danni più evidenti come le macchie di umidità, la presenza di efflorescenze di salnitro sulle murature ed intonaci, lo sfarinamento e rottura degli stessi, la creazione di muffe interne ed esterne, il distacco di rivestimenti verticali ecc. sono comunque accompagnati, se non si è intervenuto tempestivamente per sistemare la situazione di pericolo, a danni ben più gravi di carattere strutturale dell’edificio nonché a danni di carattere igienico-sanitario alle persone presenti all’interno dei locali. 18 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele IMPATTO DELL’UMIDITA’ SULLA SALUTE Il tasso di umidità e la qualità dell’aria all’interno dell’abitazione (e di tutti gli ambienti confinati, siano essi lavorativi che scolastici) sono elementi che influenzano il comfort e la salute delle persone che li occupano. In generale, un tasso di umidità alto, superiore all’80%, crea dei problemi al nostro corpo sia in caso di caldo che di freddo facendo quindi percepire una temperatura troppo alta (caldo afoso), nel primo caso (sopra i 24,8°C), e di freddo umido nel secondo caso (sotto i 2,2°C). Al contrario, se l’umidità scende al di sotto del 20%, quindi troppo bassa, diventando troppo asciutta, l’aria causa altri problemi (secchezza alle vie respiratorie, rischi d’infiammazione, fastidio e difficoltà a respirare e produrre saliva. Si deduce quindi che il tasso di umidità ottimale deve restare tra il 40 ed il 65 % a seconda della temperatura. Il tasso di umidità ideale varia però da persona a persona ed in funzione di altri fattori: - Età, il corpo ha esigenze differenti a seconda che sia neonato, giovane, adulto o anziano; Attività fisica che si pratica in quel momento all’interno dell’ambiente; Stato di salute dell’individuo; Tipologia d’ambiente che si frequenta. L’eccesso di umidità dovuto a tutte le differenti cause precedentemente menzionate e la presenza di muffe, acari ed altri parassiti all’interno dell’edificio possono causare delle infezioni respiratorie gravi alle persone che soggiornano all’interno dei locali, e le persone più deboli (bambini, adolescenti, persone anziane) saranno soggette ai primi sintomi. Una ricerca sulla correlazione esistente tra le condizioni di umidità presente nelle abitazioni e la patologia dell’asma negli adolescenti ha rilevato che su 134 pazienti aventi asma, bronchite asmatica e bronchite cronica, il 5% risiedeva in abitazioni molto secche, il 17% in abitazioni secche ed il restante 78% in abitazioni umide. 19 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele ALLERGIE RESPIRATORIE Le allergie respiratorie sono causate da sostanze allergene come micotossine e spore prodotte da muffe, allergeni contenuti nello sterco degli acari, emissioni tossiche causate dal degrado chimico di alcuni materiali edili attaccati dall’umidità. La reazione allergica si manifesta con una rinite (naso tappato, congiuntivite, raffreddore) oppure una tosse che precede la comparsa dell’asma. RINITE La rinite allergica cronica si manifesta con un’infiammazione e congestione delle vie nasali, irritazione oculare, tosse, stanchezza e mal di testa. La rinite stagionale è provocata dal polline mentre quella permanente è causata da un ambiente troppo umido e male areato, presenza di acari, peli di animali e muffe. ASMA L’Asma è una malattia è una malattia infiammatoria caratterizzata da ostruzione generalmente reversibile delle vie aeree inferiori, spesso in seguito a sensibilizzazione da parte di allergeni. Talvolta però l’ostruzione bronchiale può essere irreversibile. CONGIUNTIVITE La congiuntivite è il risultato di un’infiammazione della membrana sotto la palpebra e della cornea. E’ normalmente diagnosticabile con certezza alzando la palpebra e verificandone il colore rosso ed infiammato. Altro problema è la cheratite che causa un infiammazione della cornea. Tali patologie possono avere origine per via ereditaria anche se l’ambiente in cui si vive e trascorre la maggior parte della giornata ha un ruolo predominante; gli acari presenti all’interno di una casa, nonché le muffe, scarafaggi sono una causa molto comune ed importante, come l’inquinamento. 20 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele E’ stato dimostrato che, purificando l’ambiente in cui soggiorna un bimbo dalla sua nascita, il 50% del rischio di contrarre allergie può essere evitato. I gesti per prevenire tale patologia sono semplici: eliminare la moquette, ventilare ed arieggiare gli ambienti e diminuire l’umidità dove proliferano i batteri. ACARI Sono degli animali di piccole dimensioni (da meno di un mm. fino a cm. 3 di lunghezza) e comprendono numerose specie parassite temporanee o permanenti di animali e vegetali e sono responsabili di infestazioni denominate acariasi. Gli acari vivono in ambienti caldi, umidi e mal ventilati, nascosti nei tappeti, nei tessili e nei peluches dei bambini. Conosciuti come acari della polvere della casa, si nutrono di squame, pelle morta, capelli, peli briciole e muffa. La loro riproduzione è molto rapida specialmente in primavera ed in autunno: alla temperatura di 26-30°C ed un tasso di umidità del 75-80%, una femmina di acaro deposita circa 25-30 uova ogni tre settimane. E’ importante capire che in un grammo di polvere a terra ci sono 3 acari in ambienti secchi mentre arrivano ad 83 in ambienti umidi. Un solo grammo di polvere può contenere fino a 1.500 acari! Tutte queste malattie respiratorie sono l’effetto indesiderato di eccesso di umidità in casa che, se viene ignorato, può trasformarsi in un problema incontrollabile ed irreversibile. La salute della vostra casa è quindi la salute della vostra famiglia! 21 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele MUFFE Le muffe sono una particolare categoria di microrganismi, appartenenti al regno dei funghi, detti anche miceti, le cui spore (o Ife), si spostano nell’aria fino a depositarsi all’interno degli edifici se trovano delle condizioni ottimali per attecchire e riprodursi. In natura sono presenti oltre 100.000 specie fra muffe e lieviti, e l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), individua in circa 200 il numero di specie presenti negli ambienti domestici. In realtà poi il numero si restringe a circa solo 30 quelle permanentemente presenti nelle abitazioni, e fra queste, quattro o cinque sono quelle più invasive, che di seguito riportiamo: ■ Cladosporium È il genere di muffa più presente in Italia, con oltre 50 specie diverse, le cui spore rappresentano oltre il 50% del totale fra quelle aerodiffuse. Cresce su diversi supporti vegetali, compresa la cellulosa, e predilige temperature fra i 18°C ed i 28°C. Sviluppa colonizzazioni di color verde oliva ad accrescimento lento. (Nella foto, spore di Cladosporium) ■ Aspergillus Anche questa è una muffa molto diffusa nei nostri climi, con centinaia di specie diverse. Le più comuni sono Aspergillus fumigatus, Aspergillus niger, ed Aspergillus versicolor. Le prime due sono di colore nero o scuro, mentre l’ultima assume colorazioni variabili dal verde al marrone. Si nutre prevalentemente di cellulosa e di scarti vegetali, e provoca gravi forme allergiche specifiche, dette appunto “aspergillosi” . (Nella foto formazioni di Aspergillus niger sulla superficie di una parete in mattone in un locale molto umido) ■ Stachybotris Chartarum Deve il suo nome alla carta da parati, dove fu individuata per la prima volta nel 1837 dal micologo ceco August Carl Joseph Corda. Insieme all’Aspergillus niger fa parte delle “Toxic Black Mould”, cioè muffe nere tossiche. Sono molto fre- quenti nelle abitazioni dove vi è presenza contemporanea di umidità e cellulosa. (Nella foto, colonia di Stachybotrys chartarum in corrispondenza di un ponte termico) 22 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele ■ Penicillum Sono molto frequenti in natura, con oltre 300 specie diverse, molte di queste non sono tossiche e vengono impiegate per la produzione di formaggi, o di antibiotici. Negli ambienti domestici è presente soprattutto nella polvere, negli impianti di condizionamento e negli umidificatori. (Nella foto, Penicillum). ■ Alternaria Si tratta di una muffa notevolmente allergenica, molto diffusa in natura. Attacca numerose specie vegeta- li nei climi temperati, in presenza di umidità superiore al 65%. Le colonie sono a rapido accrescimento, di colore inizialmente grigio, che vira al nero più o meno intenso. Negli edifici residenziali le muffe trovano le migliori condizioni possibili per il loro insediamento, e per la loro proliferazione poiché, per vivere, necessitano di tre elementi fondamentali: - Acqua o umidità sufficiente Piccolissime quantità di cibo Una superficie sulla quale insediarsi (substrato fecondo, ad esempio carta terra, gesso, pelle, colla ecc.) Aria viziata ed assenza di sole. 23 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Il ciclo vitale delle muffe è costituito da tre stadi: 1) la germinazione, nella quale le spore si posano sulle superfici e restano inattive fino a quando non si vengano a creare le condizioni ottimali per la loro crescita, ovvero per l’assorbimento di umidità e sostanze nutritive. Le spore germinano in 12 ore e formano spore nell’arco di 510 giorni; 2) la crescita delle Ife (filamenti uni o pluricellulari, uni o polinucleati e di forma cilindrica allungata) che, agglomerandosi, formano una massa denominata micelio (ossia il corpo vegetativo dei funghi); 3) la riproduzione/sporulazione: una volta creatasi un’unità produttiva i funghi iniziano la riproduzione per mezzo di spore. Quando queste spore entrano in ambienti chiusi si posano su superfici umide o bagnate, sviluppandosi e distruggendo tutto ciò con cui vengono a contatto. Spesso i locali soggetti a tali fenomeni sono ai piani interrati o seminterrati oppure ai piani sottotetto, i primi perché soggetti spesso ad umidità di risalita ed i secondi perché soggetti a maggiori variazioni termiche in quanto sempre orientati verso le parti meno soleggiate (Nord-Nord/Est), e spesso senza coperture adeguatamente coibentate. Gli ambienti interni in cui più facilmente si sviluppano muffe sono pertanto il bagno, la cucina e la camera da letto (poiché sono spesso più fresche e durante la notte viene emessa una considerevole e prolungata umidità attraverso la respirazione e la sudorazione degli occupanti), i muri di cantine e di seminterrati, le superfici intorno alle finestre dove si forma condensa, i lavelli ecc. 24 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Nell’aria sono sempre presenti le spore, che sono le cellule riproduttrici dei funghi, perciò anche delle muffe. L’OMS stima che le spore contenute in un metro cubo d’aria, possono variare fra le 100 e le 10.000, con i valori più alti in estate ed in autunno. Respirare quantità moderate di spore, in un individuo sano non costituisce un problema; se invece l’organismo è debilitato da altre cause, oppure quando la quantità di spore aumenta a dismisura, possono insorgere diversi stati patologici anche gravi. Con larga approssimazione, possiamo assimilare le spore a dei semi, che germogliano trasformandosi in pianta, ma possono farlo solo in presenza di umidità. Se invece non entrano in contatto con l’acqua, le spore restano in stato di quiescenza per diversi anni, pronte a generare nuovi individui, appena l’umidità diventa sufficientemente alta. Appare chiaro che l’unico metodo certo per eliminare la muffa, o meglio, per impedire il suo sviluppo, è quello di tenere sotto controllo l’umidità. Parlando di umidità abbiamo visto tutte le cause possibili che ne creano un eccessivo quantitativo all’interno del fabbricato e che quindi possono generare il sorgere di muffe. Ciascuna di queste forme di umidità, ha degli effetti diversi sulle muffe, per questo motivo di seguito le analizzeremo singolarmente per specificarne le caratteristiche. - L’umidità di origine meteorica è nella maggior parte dei casi acqua piovana, che penetra nell’edificio per infiltrazione. È acqua quasi pura, come quella distillata, ma ha un pH acido, che varia fra 3,5 e 5,3 a causa del contatto con l’anidride carbonica e con altri gas presenti in atmosfera. Le infiltrazioni di umidità meteorica sono molto spesso una rilevante fonte di umidità, capace di alimentare abbondantemente un gran numero di specie diverse di muffe, prevalentemente idrofile. 25 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - Se l’apporto è di tipo accidentale, è di natura continua, come ad esempio un tubo d’acqua con minime perdite idriche, gli effetti sono simili a quelli infiltrativi descritti al punto precedente. Nel caso in cui si verifichi un evento episodico, anche di entità rilevante, come un allagamento, le muffe non avranno la possibilità di germinare, e né tantomeno di colonizzare. Eventuali formazioni di muffa, di minore entità, che dovessero aver attecchito durante il processo di asciugatura, si arresteranno spontaneamente non appena l’umidità scenderà sotto i valori di rischio. - L’umidità da condensa, è quella che crea la maggior parte dei problemi dovuti alle muffe, per una serie di motivi. Innanzitutto perché durante la condensazione si forma dell’acqua quasi pura e leggermente acida, quindi ideale per le muffe. Poi perché la condensa si deposita generalmente sulle superfici, che contengono sempre delle minime quantità di nutrienti, sufficienti per innescare la germinazione delle spore. Un aspetto poco conosciuto riguarda la composizione delle pitture e degli intonaci. Molto spesso questi prodotti contengono quantità variabili di metilcellulosa, che viene impiegata come addensante, e che successivamente diventa un ottimo terreno di coltura per le muffe, poiché queste si nutrono di cellulosa. - L’umidità di natura igroscopica incide pochissimo, e solo occasionalmente sulla formazione delle muffe. Un motivo è dovuto alla percentuale di umidità, che spesso è tale da creare fenomeni igroscopici, ma non lo è abbastanza da alimentare la formazione di muffe. E questo avviene fino all’UR dell’80%. Ma principalmente dipende dal fatto che le formazioni igroscopiche avvengono all’interno della massa porosa dei muri o fibrosa nei materiali isolanti, dove generalmente non sono presenti nutrienti in quantità adeguata, o dove il pH è troppo alto. Occorre tenere sotto controllo gli isolanti naturali, come la cellulosa, le fibre di legno, o la lana di pecora, che in occasione di formazioni di umidità igroscopica, possono dar luogo (anche se raramente), allo sviluppo interstiziale di muffe. 26 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - L’umidità proveniente dal terreno, può causare lo sviluppo di muffe, anche se normalmente ciò avviene in quantità modesta, a causa della grande quantità di sali che vengono disciolti dall’acqua e trasportati sulle superfici. Generalmente i sali presenti nel terreno, rallentano o addirittura impediscono la formazione di muffe. I nitrati sono una categoria di sali che frequentemente si trovano sui terreni e sui muri, e vengono impiegati come conservanti nei salumi, proprio perché inibiscono le formazioni biologiche. - L’umidità di risalita contrariamente a ciò che si crede, di solito non consente la formazione di muffe, perché le macchie umide dovute a questo fenomeno, sono una soluzione satura di acqua contenente numerosi sali. Questo ambiente non consente la proliferazione delle muffe. È vero però che se in conseguenza della risalita, le murature apportano quantità rilevanti di umidità ai locali, cioè all’aria interna, l’aumento dell’umidità relativa derivante da tale immissione può creare le condizioni per la formazione di condensa su altre superfici dello stesso locale. In linea di massima, se su una superficie sono presenti delle muffe, è quasi certo che la stessa superficie non è interessata da fenomeni di risalita. Tuttavia è vero che la risalita può generare muffa su altre superfici dello stesso ambiente, a causa del già citato apporto di umidità all’aria interna. - Infine l’umidità residua di costruzione, generalmente non fa sviluppare le muffe, perché le masse porose costituite dai muri, dagli intonaci e dai massetti, hanno ancora un pH molto alto che impedisce le formazioni biologiche, ed i nutrienti presenti sono ancora molto pochi. Durante il processo di asciugatura, l’umidità tenderà gradualmente a ridursi fino a scendere sotto il limite che consente alla muffa di crescere. Tra le sette cause di umidità in eccesso sopra citate, abbiamo notato che solo due sono significative ai fini della proliferazione di muffe, cioè quella condensativa e quella infiltrativa di origine meteorica, con notevole prevalenza della prima rispetto alla seconda. È altrettanto vero però, che qualsiasi causa di umidità tende ad aumentare l’umidità relativa dell’aria interna, creando indirettamente le condizioni per un incremento dei fenomeni condensativi. Ad esempio, l’umidità residua da costruzione, così come quella di risalita, non sono in grado di far proliferare muffe, ma rendono l’aria interna dei locali più umida, innescando fenomeni condensativi. Un altro aspetto importante riguarda la continuità. Se l’acqua e l’umidità si mantengono sulle superfici per un tempo abbastanza lungo, o peggio se sono presenti permanentemente, le muffe possono attecchire facilmente. Se invece si tratta solo di un singolo evento episodico di bagnatura o di umidità eccessiva, o di eventi che si susseguono solitamente in maniera sporadica, la muffa non ha modo di svilupparsi. 27 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Come abbiamo visto in precedenza, le muffe prediligono sempre le superfici protette dalla luce diretta, con ventilazione scarsa o nulla e si formano prevalentemente nei punti più freddi dell’edificio, che corrispondono a quelli più umidi, anche per effetto dei fenomeni condensativi. La presenza di cellulosa sulle superfici ne rende la loro crescita più rapida, perché funge da nutrimento naturale delle muffe. Inoltre la cellulosa è fortemente igroscopica, e tende a trattenere l’umidità, esaltando ulteriormente le loro proliferazione. Le lastre in cartongesso, la carta da parati, quasi tutte le pitture per interni ed alcuni intonaci, contengono cellulosa, perciò rappresentano una fonte naturale per le muffe. Nella foto, rappresentazione alla termocamera di un ponte termico con proliferazione di muffe in un angolo tra struttura orizzontale e verticale (solaio-murature). Data la stretta correlazione tra Umidità e Muffe negli ambienti domestici, anche gli effetti nocivi che provocano sulle persone e di degrado sui materiali che compongono l’involucro edilizio. Le muffe causano numerosi disturbi e patologie vere e proprie, sia direttamente che indirettamente, all’organismo umano anche se, una persona sana è in grado di convivere in presenza di piccole/moderate contaminazioni da muffe. Non esiste comunque un valore di soglia minima o massima che rendano una muffa innocua o nociva anche perché l’individuo con soglie immunitarie inferiori alla normalità (bambini, anziani, soggetti immunodepressi e lungodegenti) risultano più facilmente attaccabili dagli effetti nocivi delle muffe, esaltandone anzi le proprietà. Quasi tutte le muffe domestiche producono delle sostanze tossiche, dette “micotossine”, che danno luogo a manifestazioni specifiche chiamate “micotossicosi”. Si tratta di patologie molto varie, che vanno dai disturbi respiratori, alla stanchezza cronica, fino a forme di malessere diffuso come mal di testa, inappetenza, disturbi del sonno, fino all’indebolimento del sistema immunitario, con possibili insorgenze di tumori. Praticamente, le tossine contenute nei frammenti di muffa, nelle spore e nelle sostanze volatili che queste emanano, sottopongono a stress continuativo l’intero organismo umano. 28 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Quella che viene comunemente chiamata “puzza di muffa”, è in realtà una miscela molto varia di numerose sostanze tossiche, generate dalle muffe quando sono sotto stress o quando muoiono. Vengono rilevate dall’uomo già a concentrazioni estremamente basse, e consentono generalmente di individuare le formazioni di muffe, prima ancora che siano visibili. Fra queste si cita la “geosmina”, dal caratteristico odore di terra bagnata. Vari studi nel corso degli anni hanno dimostrato che l’inquinamento indoor (dovuto ad arredi, materiali edili, detergenti, aria ecc.) è purtroppo più elevato di quello outdoor e che bastano anche piccole concentrazioni di inquinanti per avere effetti negativi sulla salute, specialmente nelle persone più vulnerabili (bambini, anziani e soggetti predisposti, allergici). La stessa Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) sottolinea l’importanza per ogni Paese di munirsi di un Piano Nazionale per la creazione di un ambiente indoor sostenibile, definendo delle linee guida per la gestione del problema riguardante le WHO Guidelines for indoor air quality: dampness and mould (2009): umidità e muffe negli edifici, rischi sanitari e misure di prevenzione. In questo quadro le muffe presenti in eccesso in un ambiente indoor rappresentano dunque un serio inquinante biologico ed il Centre of Disease Control and Prevention (CDC) degli Stati Uniti d’America è giunto a stabilire che tutte le muffe sono potenzialmente pericolose per la salute. L’insieme delle sostanze volatili prodotte dai microrganismi, comprende più di 200 composti diversi, fra i quali troviamo vari alcoli, esteri, aldeidi, chetoni, terpeni, ammine, composti aromatici e solforati, che vengono classificati con l’acronimo mVOC (microbial Volatile Organic Compounds) cioè sostanze organiche volatili di origine microbica. La continua sollecitazione indotta sull’organismo dai composti tossici generati dalle muffe, affatica le naturali difese dei diversi apparati, e può indurre svariate condizioni patologiche, più o meno importanti, anche in forma associata. 29 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele LIMITI DI ACCETTABILITA’ Concentrazioni di funghi vitali al di sotto di 100 CFU/mc d’aria (CFU-Unità Formanti Colonia) sono usualmente considerate “basse”, mentre quelle che superano i 1000 CFU/mc sono ritenute “elevate”. La valutazione di tali concentrazioni può essere utilizzata per stimare condizioni microbiologiche inusuali nelle costruzioni pur essendo uno solo dei parametri da tenere in considerazione nella stima del rischio derivante dall’esposizione a muffe in ambiente confinato. I limiti di accettabilità sono inferiori negli ambienti a rischio (ad esempio negli ospedali). Effetti infettivi Questo tipo di effetti sono causati principalmente dalle muffe del genere Aspergillus e provocano infezioni molto acute a carico dell’apparato respiratorio che in pazienti già debilitati possono dare luogo ad esiti anche molto gravi. Effetti allergici Le muffe inducono lo sviluppo di numerosissime e svariate forme di allergia, come ad esempio asma, rinite allergica, allergie cutanee, oltre a diversi disturbi correlati a tale fastidiosa patologia. Effetti irritanti Gli effetti tossici causati dalle muffe provocano irritazioni alle mucosi ed infiammazioni di diverso tipo anche sulla pelle, bulbi oculari e tutti i tessuti esposti al contatto. Un’aumento di casi di raffreddore, bronchite, tosse, fino alla polmonite, alla micosi ed altre irritazioni di tipo cutaneo sono spesso dovuti all’azione delle micotossine. Effetti sui materiali La correzione dei problemi causati dalle muffe si può eseguire in due differenti modalità, ossia in fase preventiva (quando i problemi non sono ancora sopraggiunti e quindi evitandone il sorgere) oppure di bonifica o risanamento (quando i problemi sono già evidenti). 30 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Nella maggior parte dei climi italiani, se si riesce a mantenere il valore di Umidità Relativa invernale dell’aria interna sempre intorno al 50% o inferiore, in assenza di fenomeni infiltrativi di acqua piovana o accidentali da rottura di tubazioni, la formazione di muffe è molto improbabile se non impossibile. Il sistema più efficace per tenere bassa l’umidità all’interno della casa, è quella di aerare frequentemente aprendo spesso le finestre, oppure di installare un idoneo apparato di ventilazione meccanica controllata VMC a flussi continui. Altre modalità di prevenzione consistono nel creare sulle superfici più fredde, perciò più umide, delle condizioni ambientali che impediscono lo sviluppo delle muffe. Questo può essere fatto con dei biocidi, cioè delle sostanze chimiche dotate di proprietà disinfettanti, antibatteriche ed antifungine a lungo termine, o alcalinizzanti, applicati sulle superfici. Questi prodotti vengono disciolti in acqua, sono anche chiamati sanitizzanti, o igienizzanti, e generalmente si applicano a pennello sulle superfici (sali di boro, ioni di rame ed argento, prodotti a base di calce ecc.). Un’altra possibilità consiste nel rivestire le superfici più fredde, perciò più umide come ad esempio i ponti termici, con dei materiali fortemente igroscopici. Con questo accorgimento, l’umidità superficiale, e l’eventuale condensa, vengono immediatamente ridistribuiti sul materiale, riducendo il valore massimo di UR a livelli più bassi rispetto a quelli di rischio. Uno dei migliori materiali utilizzati in tal senso, è il silicato di calcio, che ha l’ulteriore vantaggio di avere un pH superiore a 10, sul quale le muffe non possono attecchire. I materiali da rivestimento si applicano generalmente sotto forma di lastra da incollare sulle superfici, o d’intonaco, ed i più usati in commercio sono i silicati di calcio, intonaci di argilla, pannelli in fibra e lana di legno (Eraclit, Celenit ecc.), pannelli di sughero, lastre di gessofibra ecc. Se la muffa si forma solo in corrispondenza dei ponti termici, si può agire anche attraverso la loro correzione, che può essere attiva o passiva. La correzione attiva consiste nell’impiego di un cavo elettrico scaldante tipo “Thermistore”, per aumentare leggermente la temperatura della superficie, al fine di impedire la formazione di umidità eccessiva e di condensa; in quella passiva invece si applica un rivestimento isolante avente spessore variabile da qualche mm fino a diversi cm, che limita la dispersione di calore, e di conseguenza mantiene la superficie sufficientemente calda da non rendere possibile lo sviluppo di muffe. In fase costruttiva o di ristrutturazione, è preferibile utilizzare sempre materiali a base di calce, sia sugli intonaci che sulle finiture. La calce si ottiene da rocce naturali, ed ha un valore di pH abbastanza alto da impedire sia le proliferazioni batteriche sia quelle fungine. In pratica è un disinfettante naturale delle superfici, con l’ulteriore vantaggio di essere notevolmente traspirante, e adatto quindi ad evitare fenomeni di condensa superficiale. 31 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele MODALITÀ DI BONIFICA DA MUFFE La bonifica degli ambienti infestati dalle muffe, deve innanzitutto impedire che le spore possano diffondersi nei locali contigui, creando quindi ulteriori contaminazioni. È importante aspirare la polvere utilizzando degli elettrodomestici dotati di filtro HEPA, in modo che le spore vengano trattenute nel filtro, e non diffuse nei locali dal getto d’aria. Inoltre si dovrà pulire accuratamente qualsiasi manifestazione visibile di colonie fungine, con idonei prodotti disinfettanti, che generalmente sono fortemente basici (candeggina, idrossido di sodio o soda caustica, acqua ossigenata, bicarbonato di sodio, alcool etilico, ecc.). I prodotti disinfettanti sono irritanti e nocivi, e inoltre possono essere pericolosi per chi li utilizza e spesso danneggiano le superfici con le quali vengono a contatto, rendendole inservibili. Hanno effetto nell’immediato, ma non sono persistenti, perciò nel giro di pochi giorni esauriscono completamente la loro capacità di contrastare le muffe. In qualche caso si adoperano anche dei disinfettanti naturali ottenuti da resine vegetali o essenze ricavate dai fiori, che fanno parte dei composti antibatterici naturali, come il limone, il pino, l’olio di malaleuca e tante altre. Occorre impiegarle con estrema attenzione ed utilizzando dispositivi personali di protezione, perché tali sostanze sono spesso fortemente sensibilizzanti, come ad esempio i terpeni noti coi nomi di limonene e pinene, e possono dar luogo a disturbi di varia natura anche nei soggetti sani. Sono inoltre disponibili in commercio svariati disinfettanti ed igienizzanti a pH neutro, non tossici, che non danneggiano le superfici e che sono idonei per la pulizia delle superfici infestate dalle muffe (si raccomanda comunque di seguire sempre le indicazioni e modalità d’uso fornite dal produttore). Per la rimozione di materiali contaminati da muffe si consiglia di procedere in questo modo: Cercare la causa e prendere le relative contromisure. Prima di procedere al risanamento dalla muffa bisogna individuare le cause dell’eccesso di umidità e prendere le contromisure adeguate per bloccarne il proliferare della muffa. - Proteggere gli oggetti del locale dalla contaminazione togliendoli o coprendoli con un lenzuolo; Tenere chiusa la porta durante i lavori per evitare che la contaminazione si propaghi ad altri locali; 32 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - - Arieggiare il locale durante le lavorazioni aprendo le finestre per tutta la durata dei lavori ed a lavori ultimati; Prendere un sacco di plastica capiente e raccogliere tutto ciò che è contaminato dalla muffa per poi eseguire la pulizia; Preparare un secchio d’acqua con un po’ di detersivo per il lavaggio dei capi a mano ed alcuni stracci da gettare dopo le lavorazioni. Lavorare in modo spedito e proteggere le altre persone; Non fumare, non bere, non mangiare durante le operazioni perché alcune muffe producono sostanze velenose (tossine). Tutti i passaggi della pulizia vanno eseguiti indossando i dispositivi personali di protezione! Per prevenire la formazione di eccesso d’umidità all’interno degli ambienti domestici e la conseguente formazione di muffe si possono seguire queste semplici raccomandazioni per una corretta conduzione della casa: - - Non asciugare mai i panni in casa; Non avere troppe piante nei locali e non annaffiarle troppo; Installare una cappa d’aspirazione in cucina ed una ventola sia in bagno che in cucina per evitare il depositarsi di vapore acque quando si cucina e ci si fa la doccia/bagno: la ventola deve restare accesa almeno per 15 minuti dopo che si esce dal bagno o si finisce di cucinare; Non montare armadi a muro troppo ingombranti; Tinteggiare le pareti con pitture a calce che evitano il proliferare delle spore; Assicurarsi che tra le mattonelle del bagno non vi siano fessure; Garantire sempre un buon ricambio d’aria all’interno dei locali per tenere controllata l’umidità! 33 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele MATERIALI SALUBRI ED INNOVATIVI La sostenibilità energetica degli edifici in previsione di una progressiva diminuzione delle risorse tradizionali, l’impatto ambientale legato all’inquinamento, hanno disegnato un nuovo scenario di cui tutti stanno prendendo le misure, a partire dagli operatori del settore delle costruzioni. Negli ultimi anni ci sono state novità forti sul piano legislativo, su tutte la Direttiva europea 2002/91/Ce sul rendimento energetico nell’edilizia, ma il cammino sembra appena cominciato. In tutta l’Unione Europea, a partire dal 2020, dovranno essere applicate norme ancora più rigorose di efficienza energetica per gli edifici di nuova costruzione. Da qui al 2018, la normativa fisserà anche un pacchetto di incentivi per favorire l’adeguamento ai nuovi standard energetici. Una casa ad “emissioni zero” è quella dove si realizza un livello molto alto di rendimento energetico (grazie soprattutto all’isolamento termico dell’involucro e all’efficienza degli impianti) al punto che il consumo totale annuo di energia primaria risulta uguale o inferiore alla produzione energetica ottenuta in loco con energie rinnovabili. Che ce la si faccia oppure no nei tempi previsti, la direzione è presa ed è quella di un’edilizia sempre più “bio” ed ecologicamente sostenibile: Bioedilizia, Bioclimatica, Ecosostenibile, sono i tre pilastri del costruire moderno. Il termine bioedilizia negli ultimi anni è entrato anche in Wikipedia, dove è definito come “l’applicazione di criteri di ecosostenibilità nel campo dell’edilizia poiché, diversamente dal solito, nel settore edilizio, dove si usano e si sono usati per migliaia di anni materiali da costruzione creati dall’uomo, la bioedilizia sfrutta prodotti naturali per la realizzazione di strutture, opere, edifici in materiali ecocompatibili”. La prima regola dell’architettura biologica è costruire una casa “che respiri”. Su un autorevole testo del settore, alla voce bioarchitettura leggiamo: “il progetto bioecologico si propone di recuperare la centralità dell’uomo, avendo come obiettivo principale la creazione di spazi che gli assicurino quotidianamente benessere psicofisico”. Questa peculiarità è rintracciabile nell’etimologia del vocabolo “bioecologico” in cui “bio” si riferisce alla vita dell’uomo, “eco” si ricollega alle relazioni fra gli esseri viventi (l’ecosistema e quindi la natura) e allude alla logica del costruire, e quindi dell’architettura, ai suoi materiali e alle sue tecniche costruttive per cercare di stabilire connessioni positive fra luoghi, spazi di vita e utenti finali. In tema di materiali da costruzione, la bioedilizia cerca di usare quelli con il minore impatto ambientale, considerando l’intero ciclo di vita del materiale, dalla produzione allo smaltimento. I materiali della bioedilizia rispettano l’ambiente e la salute delle persone, non esauriscono le risorse del pianeta (sono rigenerabili), non inquinano in fase di produzione e di esercizio, sono riciclabili o smaltibili con facilità. 34 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Bioclimatica è invece un concetto di costruzione che utilizza soluzioni progettuali in grado di garantire adeguati livelli di comfort ambientale interno (dalle condizioni termoigrometriche a quelle di ventilazione e illuminazione) limitando al massimo il ricorso a impianti che comportino consumi energetici da fonti convenzionali. Ciò avviene soprattutto attraverso l’uso di appropriati materiali, stratificazioni costruttive e forme nell’involucro dell’edificio. Un edificio bioclimatico interagisce non solo con l’ambiente esterno, ma anche con i suoi abitanti. Esistono tre tipi di pelle: la prima è l’epidermide, la seconda è costituita dai vestiti che indossiamo, la terza è l’edificio che ci circonda. Come una terza pelle, l’edificio bioclimatico deve proteggere e traspirare, creando le condizioni ottimali di comfort ambientale. L’isolamento igrotermico, bioclimatico e bioedile dell’involucro è efficace perché consente di ridurre il fabbisogno di energia e crea le condizioni di comfort che rendono la casa vivibile al meglio in ogni stagione dell’anno. Per costruire una casa in grado di adattarsi al cambiamento delle condizioni esterne al pari di un organismo vivente è necessaria una profonda conoscenza delle tecnologie e dei materiali, lo studio dei fattori climatici e un’analisi precisa dell’influenza degli agenti esterni (temperatura, umidità, rumori) sui materiali stessi. Per tutte queste motivazioni e per il raggiungimento di questi nuovi obiettivi si stanno riscoprendo e recuperando materiali naturali che venivano utilizzati in passato: sembra un paradosso ma per ottenere risultati ottimali nel futuro si fa ricorso a materiali e metodologie del passato! Ecco allora riscoprire materiali naturali come: - I mattoni pieni di argilla o legno che hanno il potere di assorbire l’umidità interna in eccesso rilasciandola poi in un secondo momento. Pareti costruite in questo modo funzionano da ammortizzatore termico riducendo le escursioni di temperatura all’interno delle abitazioni; - Tutti quei materiali naturali che non emettono sostanze dannose che contengono poliuretano, formaldeide, piombo e solventi sintetici; Riportandoci a quanto pubblicato dal Prof. Anton Schneider dell’IBN di Neubeuern nella sua “lista dei 25 principi per la per la costruzione di un edificio sano”, cerchiamo di riassumere alcune delle linee guida per la scelta dei materiali da costruzione: - Meglio costruire le pareti esterne in mattoni laterizi con capacità termoisolante; Preferire pareti multistrato utilizzando materiali omogenei della struttura di base per evitare vizi costruttivi (ad esempio, con struttura portante in legno utilizzare un materiale isolante in fibra di legno); 35 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - - - - - Le pareti esterne dell’edificio (eccezion fatta per quelle della cantina) dovrebbero permettere la dispersione dell’umidità dall’interno all’esterno e, viceversa, impedirne la penetrazione dall’esterno all’interno, per prevenire danni alla costruzione e favorire un microclima interno gradevole; Impiegare materiali certificati per realizzare una struttura isolata contro le precipitazioni, il vento ed il calore; Per proteggere dai raggi solari estivi i muri esterni ed il tetto dovrebbero impedire la penetrazione del calore esterno per almeno 10 ore (i materiali naturali sono più efficaci di quelli sintetici); Per le pareti interne portanti è preferibile materiale pesante, con buona capacità di accumulo (per garantire temperature costanti) e caratteristiche fonoassorbenti; Usare elementi riciclabili ed evitare quindi l’uso di collanti (ad esempio legno pressato al posto di truciolare); garantire la facilità di smontaggio delle pareti costruttive utilizzando tecniche di assemblaggio di elementi modulari; Realizzare gli interni con prodotti naturali (legno, lino, lana, argilla, pietra naturale ecc.) che accrescono il benessere anche sotto il profilo visivo e tattile. Quello che segue è un elenco dei principali materiali usati in edilizia facendo particolare attenzione a quella proprietà che rendono i prodotti particolarmente adatti ad un utilizzo basato sui principi dell’architettura bio-ecologica. 36 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele ARGILLA COTTA - LATERIZI Sono ottenuti da impasti di argille, acqua, essiccati e successivamente cotti a temperatura elevata per ottenere mattoni pieni o forati. Si deve controllare che non vengano aggiunti nell’impasto, additivi chimici e che eventuali porizzazioni, nel caso di termo-laterizi, siano effettuate con elementi naturali, quali ad esempio, pula di riso, farina di legno e perlite. I laterizi hanno buone caratteristiche termoigrometriche e sono dotati di buona inerzia termica, sono usati in opere strutturali, murature perimetrali, pareti interne, rivestimenti, coperture, pavimenti e solai (nella foto, esempio mattone termodissipatore). ARGILLA ESPANSA Argilla che cotta ad elevata temperatura (1100° - 1200°C) aumenta il proprio volume fino a sei volte quello iniziale. E’ dotata di notevole leggerezza, di buone proprietà termoisolanti, ottima resistenza al fuoco e non assorbe umidità. L’estrazione avviene in cave a cielo aperto, l’argilla è prelevata da strati abbastanza superficiali. Viene impiegata principalmente per coibentazioni di intercapedini ed alleggerimenti di solai, sia a secco che legata con malte. Addizionata con conglomerato cementizio si ottengono blocchi con buona resistenza a compressione e moderate proprietà termoisolanti, che vengono usati per pareti di tamponamento. ARGILLA – TERRA CRUDA E’ probabilmente il più antico e diffuso materiale da costruzione, è presente praticamente in modo illimitato. Oggi è utilizzato sostanzialmente in forma di mattoni essiccati al sole o in blocchi di terra compressi per erigere murature non portanti, come riempimento di pavimenti e, mischiato con sabbia e in alcuni casi paglia, come intonaco. 37 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele La terra cruda ha ottime capacità assorbenti, di regolazione dell’umidità, di traspirabilità, e di accumulo inerziale, ed è perciò un materiale in grado di favorire condizioni ambientali confortevoli (nella foto, esempio di realizzazione di intonaco in terra cruda). Nel caso di edifici in legno o misti legno-paglia la terra cruda si sposa perfettamente con la struttura lignea e vegetale aumentandone anche la protezione al fuoco. CALCE La calce aerea (presa ed indurimento avvengono solo in presenza di aria) è costituita da calcare che subisce una trasformazione in forni a 900°C diventando calce viva (ossido di calcio) e successivamente, per essere impiegata in edilizia, con l’aggiunta di acqua viene ridotta a calce spenta. La calce idraulica è invece prodotta da calcari contenenti argilla in percentuali maggiori del 6%, essa da luogo a presa e indurimento anche in presenza d’acqua. Se prodotta senza aggiunte di scarti industriali o elementi chimici, la calce è traspirabile, assorbente, coibente e quindi in grado di assicurare una buona regolazione termoigrometrica. Deriva da materia prima facilmente reperibile e non ha contenuti energetici elevati in fase produttiva, viene utilizzata principalmente per intonaci e come legante in sostituzione del cemento. CANAPA La canapa è una materia prima rinnovabile, e completamente riciclabile; per la sua coltivazione non è necessario l’utilizzo di pesticidi o erbicidi e sono quindi da escludere rischi per l’ambiente e per l’uomo sia durante la produzione che durante la messa in opera. Utilizzato per coibentare tetti, pavimenti e pareti ha ottime qualità igrometriche essendo un materiale traspirante; è inattaccabile dai parassiti (nella foto, isolamento di pareti con pannelli di canapa). CARTA, CARTONE E CELLULOSA La carta oleata e la carta Kraft sono utilizzate in sostituzione delle barriere al vapore di origine sintetica in quanto, anche se meno resistenti di queste al passaggio del vapore, hanno discrete doti d’Impermeabilità. La carta Kraft è utilizzata quando è sufficiente una barriera al vento e non è indispensabile una barriera al vapore. La fibra di cellulosa è ottenuta dalla macinazione di carta di recupero, trattata con sali di boro, che la rendono ignifuga e inattaccabile da insetti e roditori. E’ usata come materiale coibente per intercapedini di pareti, solai e tetti. Oltre che a secco può essere messa in opera anche a spruzzo, se lievemente bagnata, fornendo un ottimo isolamento termoacustico. 38 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele CERE Sono ottenute dalla cera d’api, dall’olio di lino, da scorze d’agrumi e propoli, senza l’aggiunta di solventi derivati dalla sintesi chimica dei prodotti petroliferi. Sono utilizzate come protezione, impermeabilizzazione, manutenzione delle superfici lignee, e in cotto e per l’impregnazione di carte di cellulosa alle quali conferiscono buone capacità di idrorepellenza. FIBRA DI COCCO E’ ottenuta dalla lavorazione della parte esterna della noce di cocco, le cellule piene d’aria della sua fibra e la sua struttura irregolare garantiscono buone capacità di isolamento termico e acustico, buone capacità idrometriche; la fibra di cocco non si carica elettrostaticamente. FIBRA DI LEGNO Ottenuta dagli scarti non contenenti sostanze tossiche, delle lavorazioni in segheria. Possono essere assemblate in pannelli, mediante legante a base di magnesite, calce e cemento bianco, oppure possono essere auto incollate tramite la resina naturale contenuta. Resistenza al fuoco, coibenza termica, acustica, traspirabilità, igroscopicità, inattaccabilità da insetti, riciclabilità e ricusabilità sono le principali caratteristiche che lo rendono impiegabile per tutte le opere di coibentazione per solai, coperture e pareti perimetrali (a cassa vuota o monostrato con cappotto). FIBRE DI ROCCIA E DI VETRO Sono prodotte dalla fusione a 1600°C di rocce d’origine vulcanica con conseguente trasformazione in fibre della massa liquida prodotta; analogo è il procedimento per ottenere le fibre di vetro, ottenuto prevalentemente da vetro di recupero. Le fibre sono impiegate per produrre pannelli e materassini generalmente utilizzando collanti sintetici. Sono incombustibili ed hanno buone qualità di isolamento termico. Essendo costituite da microfibre sono 39 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele particolarmente irritanti per l’apparato respiratorio, soprattutto in fase di messa in opera. GESSO Il gesso naturale utilizzato in edilizia si ottiene da estrazione in cave e successiva cottura. La struttura microporosa ne favorisce la permeabilità al vapore acqueo, consentendo una buona traspirazione delle superfici che lo rende adatto all’uso come intonaco e per finiture superficiali. Esistono in commercio pannelli di gesso e fibra di cellulosa con ottime qualità insonorizzanti e traspiranti da utilizzare come rivestimenti e pareti divisorie. LANA DI PECORA Ottenuta dagli scarti della lavorazione della lana. Viene lavata, trattata con sali di boro e pettinata, ha ottime capacità igroscopiche, di coibenza termica ed acustica, è riciclabile ed è una materia prima rinnovabile. E’ usata come isolante, in murature e solai (nella foto, stesura di rotolo di lana di pecora per isolamento di solaio). LEGNO Ricavato dagli alberi, attraverso lavorazioni che lo rendono adatto alla sua utilizzazione, il legno è un ottimo materiale da costruzione. Le principali caratteristiche sono, leggerezza e buona resistenza meccanica, facilità di lavorazione senza produzione di rifiuti tossici, facilità di assemblaggio, buona resistenza agli agenti atmosferici, buone caratteristiche di isolamento termico e capacità termoigrometriche. Il legno non interferisce con il campo elettrico, elettrostatico e magnetico naturale, è rinnovabile ed è una risorsa praticamente inesauribile se proveniente da coltivazioni impostate sulla forestazione produttiva che utilizzano specie con crescita rapida. Generalmente il legno non necessita di particolari trattamenti, sono da sconsigliare, in ogni modo, tutti quei modi di trattare basati sull’uso di sostanze di sintesi chimica: sono in grado di annullare buona parte delle caratteristiche del legno e di creare considerevoli problemi al benessere e alla salute umana. Si pensi per esempio all’uso di colle, vernici e solventi, ricchi di formaldeide. 40 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Tra i difetti del legno possiamo elencare l’anisotropia, l’attaccabilità, da parte di insetti e parassiti se messo in opera senza adeguate ventilazioni. All’infiammabilità si può dare un freno utilizzando sezioni maggiori di quelle necessarie ai soli fini statici, permettendo in caso d’incendio la carbonizzazione dello strato superficiale che forma una protezione capace di preservare a lungo, la sezione resistente dal calore. E’ possibile trattare superficialmente il legno con sali di boro, mentre sono da evitare tutti quei trattamenti sintetici che, una volta avviato l’incendio sprigionano gas tossici. Compensati, truciolari, panforti, pannelli multistrato, sono derivati del legno che utilizzano, generalmente, collanti chimici, con tutti i limiti che ne derivano. Il legno è impiegato per la realizzazione di elementi strutturali come soffitti, travi, pilastri, per murature perimetrali e pareti interne, come rivestimento per esterni e interni, pavimenti, coibentazioni, e in opere di fondazione come le palificazioni. OLIO DI LINO Ottenuto dalla spremitura dei semi di lino contiene solventi ed essiccanti solo di origine naturale, è utilizzato per la protezione e il trattamento di superfici in legno e in cotto preservandone la traspirabilità. PERLITE Ottenuta da una roccia vulcanica è prodotta in granuli tramite un procedimento di cottura che ne fa evaporare l’acqua contenuta e genera la formazione di micro-alveoli. Può essere utilizzata sfusa all’interno di intercapedini, o per alleggerire intonaci e malte ai quali conferisce, in funzione della sua struttura, caratteristiche termoisolanti. PIETRA In funzione dell’origine la pietra si divide in ignea, sedimentaria e metamorfica. A queste categorie corrispondono proprietà specifiche che la rendono adatta a diversi usi. E’ stato uno degli elementi fondamentali della nostra tradizione costruttiva, tuttavia l’attività di cavazione ha un notevole impatto sull’ambiente. Si deve ricordare che alcune famiglie di pietre come per esempio graniti, tufi, pozzolane posseggono un elevato grado di radioattività naturale che varia a seconda della provenienza. Utilizzato per murature, opere strutturali, rivestimenti esterni e interni se ne consiglia, in virtù di quanto detto, un uso moderato, soprattutto se non proviene da manufatti demoliti. SALI DI BORO Sono ottenuti da tetraborato di sodio. Diluiti in acqua sono utilizzati come trattamento ignifugo, antiparassitario e antimuffa per superfici in legno e murature. 41 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele SUGHERO E’ ottenuto dalla corteccia della quercia da sughero, che è costituita da milioni di alveoli di materiale spugnoso. Se ne ricava tramite frantumazione, un granulato che, previa ventilazione necessaria ad eliminare le impurità, può essere utilizzato sfuso o impastato con leganti quali calci, trass, vetrificanti minerali. E’ fornito anche in pannelli che sono assemblati, tramite colle (con i limiti di salubrità che ciò comporta) o metodi auto incollati, (attraverso un procedimento di cottura e contemporanea compressione che fa si che la corteccia ridotta in granuli, liberi la resina contenuta e funga da collante). Altra modalità di assemblaggio è il trattamento con onde ad alta frequenza. La particolare struttura cellulare del sughero gli conferisce ottime caratteristiche di permeabilità e imputrescibilità, bassa conducibilità termica e acustica e una temperatura superficiale elevata; è debolmente infiammabile. E’ un materiale rinnovabile, a patto che si rispetti il ciclo produttivo della corteccia che, una volta asportata, si rinnova nell’arco di circa 10 anni. Per le sue proprietà è utilizzato come coibente termico ed acustico, in intercapedini di pareti, a cappotto interno ed esterno, nelle coperture e nei solai. VERMICULITE ESPANSA E’ ottenuta da un minerale micaceo di origine vulcanica che viene frantumato è sottoposto a cottura; l’evaporazione dell’acqua contenuta espande i granuli. E’ un isolante che tende ad assorbire l’umidità presente nell’ambiente. Può essere impiegata per confezionare calcestruzzi alleggeriti (trattiene però per lungo tempo l’umidità, aumentandone il ritiro) o a secco, per riempire intercapedini di solai e murature. Ha buone caratteristiche d’isolamento termico e acustico ed è riutilizzabile. VERNICI La maggior parte dei prodotti in commercio sono derivati dalla sintesi chimica del petrolio e quindi causa di notevole impatto su ambiente ed esser umani. Anche le vernici “ad acqua” chiamate così perchè utilizzano come solvente principale l’acqua, sono generalmente aggiunte di conservanti, leganti e addensanti di origine petrolchimica. Oggi sono reperibili prodotti che utilizzano come composti base e solventi, materie prime naturali rinnovabili, di origine naturale. 42 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele L’uso e di conseguenza l’offerta di prodotti biologici per costruire e rifinire gli spazi i cui viviamo si sta espandendo sotto la spinta di una crescente presa di coscienza delle differenze esistenti tra i materiali derivati dal petrolio, (ricchi di scorie, di emissioni tossiche e difficili da smaltire) e quelli realizzati con materie in grado di rigenerarsi e di diminuire il loro impatto in termini di emissioni inquinanti, verso l’esterno e l’interno delle abitazioni. Tuttavia, anche materiali che possono apparire privi di controindicazioni, come i materiali naturali, se trattati non adeguatamente, possono indurre effetti negativi alla salute umana e all’ambiente. Da tutto questo si deduce che alla base di tutti i discorsi bisogna sempre prestare attenzione alle scelte progettuali e costruttive riconducendo la responsabilità ed i meriti alla persona che ha in mano le chiavi del nuovo edificio: il professionista! 43 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele RESPONSABILITA’ CIVILI E PENALI Costruttore Tecnico Libero Professionista Condominio Proprietario/Affittuario Leggi/Codici/Decreti/Normative principali di riferimento in Italia Riferimenti Legislativi Storici - giurisprudenziali, non più in vigore Costituzione Siciliana; primo esempio in Italia di statuto costituzionale, si ebbe a Palermo quando il 19 luglio 1812 il Parlamento del Regno di Sicilia, lo promulgò. Codice Civile Sabaudo o Albertino; fu promulgato da Carlo Alberto il 20 giugno 1837 per il Regno di Sardegna. Codice Penale Sabaudo; fu il primo Codice Penale dell'Italia unita emanato nell’anno 1839 per il Regno di Sardegna. Codice Civile Regno d’Italia; (emanazione 02/04/1865), detto anche Codice Pisanelli, rappresentò il primo codice civile del Regno d'Italia e fu emanato insieme ad altri codici. Sostituì le leggi e i codici civili che vigevano autonomamente e separatamente negli antichi Stati pre-unitari. Legge 2892 del 15.01.1885; Legge “Risanamento Città di Napoli” emanata a seguito di una grave epidemia di colera che colpì la città nel 1884. (Cause principali l’affollamento abitativo e le pessime condizioni igienico sanitarie). Per porre fine all’insalubrità, il piano di risanamento, prevedeva ampie zone di demolizione e ricostruzione. Legge N° 5849 del 22.12.1888; “Legge per la tutela dell’igiene e della sanità pubblica” Legge Crispi-Pagliani. (Primi passi del Certificato di Agibilità art. 39). Regio Decreto – R.D. N° 636 del 1907; “Testo unico delle leggi Sanitarie.” Codice Penale Regno d’Italia; (in vigore dal 1890 al 1930); comunemente Codice Zanardelli da Giuseppe Zanardelli, allora ministro di Grazia e Giustizia che ne promosse l'approvazione. 44 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Riferimenti Legislativi medio storici - in vigore e/o parzialmente in vigore Codice Penale Italiano – C.P.; noto come Codice Rocco, dal nome dell’estensore, il guardasigilli del Governo Mussolini Alfredo Rocco entrò in vigore nel 1931 è un corpo di norme in tema di diritto penale. Insieme alla Costituzione e alle leggi speciali è una delle fonti del diritto penale italiano, ancora oggi vigente e s.m.i. Regio Decreto - R.D. N° 1265 del 27/07/1934; Testo Unico delle Leggi Sanitarie. (Gli articoli principali inerenti sono: CAP IV da art. 218 a 230 e 344). Codice Civile Italiano – C.C.; entrata in vigore 21/04/1942. Emanato con il Regio decreto-legge 16 marzo 1942, n. 262, in materia di "Approvazione del testo del Codice civile.", insieme alle leggi speciali, costituisce una delle fonti del diritto civile italiano, ancora oggi vigente nell'attuale Repubblica Italiana e s.m.i. Legge Urbanistica N° 1150 del 07/08/1942; sulla disciplina urbanistica e suoi scopi. Prima legge generale italiana di coordinamento urbanistico territoriale. Primo esempio in Italia di Piano Regolatore fu nel 1884, dell'ingegner Cesare Beruto che redisse per la città di Milano un piano d'espansione. Decreto Legge N° 417 del 12.07.1945; Istituzione dell’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità pubblica, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Costituzione della Repubblica Italiana; è la legge fondamentale della Repubblica Italiana, il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello Stato italiano. E’ in vigore del 01 gennaio del 1948. Legge N° 296 del 13.03.1958; Istituzione del Ministero della Sanità, per dare attuazione all’art. 32 della Costituzione, che afferma: ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Legge N° 765 del 06/08/1967; meglio conosciuta come Legge Ponte; introdusse l'obbligo della Licenza Edilizia, rimanendo comunque gratuita. Decreto Interministeriale n. 1444 del 02.04.1968; “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti." Legge n. 1187 del 19/11/1968; Modifiche e integrazioni alla legge urbanistica del 17 agosto 1942 n. 1150, detta “legge tappo” o “legge tampone”, fu promulgata a seguito della sentenza 9 maggio 1968, n. 55. 45 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Decreto Ministeriale – DM 05/07/1975 (G.U. 18.07.1975, N. 190); Modificazioni alle istruzioni ministeriali del 20.06.1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione. Legge n. 10 del 28.01.1977; cosiddetta Legge Bucalossi, "Norme per l’edificabilità dei suoli." La Licenza Edilizia fu sostituita dalla Concessione Edilizia diventando però un titolo oneroso. Legge N° 833 23.12.1978; “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale” e le sue funzioni sono state trasferite all'unità sanitaria locale USSL, ora azienda sanitaria locale ASL, che le esercita attraverso il proprio dipartimento di prevenzione. Promulgata per sopprimere legge 22 dicembre 1888, n. 5849. Decreto Ministeriale 20/06/1986; Istruzioni Ministeriali, a compilazione dei regolamenti locali, sull’igiene del suolo e dell’abitato (suolo e acqua). Decreto Ministeriale del 09/06/1999; aggiornamento al DM 05/07/1975. Modificazioni in materia dell'altezza minima e dei requisiti igienicosanitari principali dei locali di abitazione. Riferimenti Legislativi recenti/attuali - in vigore Decreto del Presidente della Repubblica – DPR N° 380 del 06/06/2001; Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia e s.m.i. Legge N° 317 del 03.08.2001; Conversione in legge, del D.L. 12.06.2001 n. 217, D.lgs 30.07.1999 n. 300, L. 23.08.1988 n. 400, nasce il “Ministero della Salute”. Decreto Ministeriale – DM N° 174 del 06/04/2004; Regolamento concernente materiali e oggetti che possono essere utilizzati negli impianti fissi di captazione, trattamento, adduzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano. Decreto Legislativo – D.Lgs N° 122 del 20/06/2005; Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210. Decreto Legislativo – D.Lgs N° 163 del 12/04/2006; Codice dei contratti pubblici relativi a lavori servizi e forniture (direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). Decreto Legislativo – D.Lgs N° 81 del 09/04/2008; Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (TUSL) è un complesso di norme emanato in attuazione dell'articolo 1 della legge delega 3 agosto 2007 n. 123. Legge N° 220 del 11.12.2012, “Modifiche alla disciplina del condominio.” 46 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Norme UNI principali di riferimento La norma è un documento che dice "come fare bene le cose", garantendo sicurezza, rispetto per l'ambiente e prestazioni certe. Secondo il Regolamento UE sulla normazione europea, per norma s’intende: "una specifica tecnica, adottata da un organismo di normazione riconosciuto, per applicazione ripetuta o continua, alla quale non è obbligatorio conformarsi, e che appartenga a una delle seguenti categorie: internazionale, europea, armonizzata (europea adottata sulla base di una richiesta della Commissione ai fini dell'applicazione della legislazione dell'Unione sull'armonizzazione); nazionale. Si riportano di seguito le varie norme tecniche relative all'inquinamento dell'aria recepite/elaborate dall'UNI, della sigla s’individuano quelle recepite anche a livello europeo e internazionale. Riferimento Impianti di abbattimento: UNI EN 12753:2010, UNI 11304-1:2008, UNI 113042:2008, UNI 10996-7:2006, UNI 10996-6:2004, UNI 10996-5:2004, UNI 10996-4:2003, UNI 109963:2002, UNI 10996-2:2002, UNI 10996-1:2002, UNI 10861:2000, UNI 10830: UNI 8130:1980. Riferimento Filtrazione: UNI EN 1822-1:2010, UNI EN 1822-2:2010, UNI EN 1822-3:2010, UNI EN 1822-4:2010, UNI EN 1822-5:2010, UNI EN 15805:2010, UNI EN 14799:2008, UNI 11254:2007, UNI EN 779:2005. Riferimento Qualità dell’aria: UNI ISO 16702:2010, UNI EN 15267-1:2009, UNI EN 15267-2:2009, UNI EN 15267-3:2008, UNI EN 15483:2009, UNI EN 15841:2010, UNI EN 15852:2010, UNI EN 15853:2010, UNI EN 15859:2010, UNI CEN/TS 161151:2011, UNI EN ISO, 11771:2011, UNI EN ISO 20988:2007, UNI EN 15549:2008, UNI EN 15259:2008, UNI CEN/TS 15674:2008, UNI CEN/TS 15675:2008, UNI EN 15251:2008, UNI EN ISO 9169:2006, UNI EN ISO 16000-7:2008, UNI EN ISO 16000-9:2006, UNI EN ISO 1600010:2006, UNI EN ISO 16000-11:2006, UNI EN ISO 16000-12:2008, UNI EN ISO 16000-15:2008, UNI EN 14211:2005, UNI EN 14212:2005, UNI EN 14625:2005, UNI EN 14626:2005, UNI EN 14662-1:2005, UNI EN 14662-2:2005, UNI EN 14662-3:2005, UNI EN 14662-4:2005, UNI EN 14662-5:2005, UNI EN 14902:2005, UNI EN 14907:2005, UNI EN 14412:2005, UNI 11108:2004, UNI EN 13528-3:2004, UNI EN 13725:2004, UNI EN ISO 14956:2004, UNI EN ISO 160172:2004, UNI EN 13528-1:2003, UNI EN 13528-2:2003, UNI EN ISO 16017-1:2002, UNI EN 12341:2001, UNI 10788:1999, UNI ISO 7708:1998. Riferimento Atmosfera nell’ambiente di lavoro: UNI EN 13890:2009, UNI CEN/TS 15279:2006, UNI CEN/TR 16013-2:2010, UNI EN 838:2010, UNI ISO/TR 27628:2010, UNI CEN/TR 15547:2007, UNI EN 15051:2006, UNI EN 482:2006, UNI 11090:2005, UNI EN 14042:2005, UNI EN 14031:2005, UNI EN 14530:2005, UNI EN 14583:2005, UNI 11091:2004, UNI 11092:2004. 47 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Normative Comunitarie CEE principali di riferimento Le normative comunitarie in tema di edilizia forniscono alcune indicazioni, per quanto attiene la salubrità degli edifici, prescrivendo i requisiti essenziali delle opere e delle componenti per quanto riguarda igiene, salute e ambiente. "L'opera deve essere concepita e costruita in modo da non compromettere l'igiene e la salute degli occupanti", soprattutto non deve provocare: Sviluppo di gas tossici - In caso di incendio; - durante la lavorazione; - durante la vita di esercizio; - alla fine della vita del prodotto. Presenza nell’aria di gas tossici - Emissione di fibre e polveri (amianto); - Emissione di composti organici volatili. Emissioni di radiazioni pericolose - Radon e prodotti edilizi. Inquinamento e tossicità dell’aria e del suolo (sostanze chimiche, fibre e microrganismi) - Durante la lavorazione o l'applicazione; - Durante la vita di esercizio; - Alla fine del ciclo di vita del prodotto. 48 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Difetti nell’eliminazione delle acque di scarico, dei fumi, dei rifiuti solidi e liquidi - Difetti concernenti prodotti (tubazioni, canne di esalazione); - Difetti concernenti il progetto; - Difetti concernenti la posa e l'installazione. Formazione di umidità su parti/pareti (per capillarità, infiltrazioni, condensa, perdite tubazioni impianti) - Causata dal progetto; - Causata dall'esecuzione; - Causata dalla scelta dei materiali. Direttiva CEE 89/106: La Salubrità degli Edifici. 49 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Definizioni delle figure professionali coinvolte Costruttore Nello specifico del caso Edile, più comunemente “Impresario Edile” è quella figura giuridica che costruisce opere e manufatti rientranti nel campo dell’edilizia, dalla singola casa a uso residenziale ai complessi costruttivi più impegnativi come una palazzina condominiale nella quale possono essere presenti unità a uso commerciale, uffici, e nuclei ad uso residenziale, passando ai capannoni artigianali o industriali. Opera inoltre in tutte le opere di restauro, ristrutturazione, manutenzione straordinaria e ordinaria. Condominio Premesso che il Codice Civile non ne dà una specifica definizione, trattandosi di un istituto relativamente giovane, viene disciplinato sistematicamente solo nel c.c. del 1942, il codice del 1865, infatti, non conteneva una disciplina compiuta del condominio. (Libro III, relativo alla proprietà e nello specifico nel Capo II del Titolo VII relativo alla comunione). Quanto sopra aiuta a comprendere come il condominio è una particolare forma di comunione nella quale coesistono parti di proprietà esclusiva e comune. Data una definizione di condominio, si pone il problema di individuare i casi concreti ai quali si applica la disciplina codicistica. La questione è stata oggetto negli ultimi anni di problematiche di non facile soluzione, oggetto d’intervento giurisprudenziale. In particolare: - A livello numerico quando si può dire che si è di fronte ad un condominio? - È sufficiente che i condomini siano due, tre o di più? - Come s’identifica un condominio? - Un condominio può svilupparsi solo in senso verticale o anche orizzontale? 50 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Non si necessita di una formula rigorosa affinché si possa dire che si sia costituito un condominio. È sufficiente che sia venduta una sola unità immobiliare dell'edificio e avere la presenza di due differenti proprietari esclusivi di diverse porzioni dell'immobile “condominio minimo”, definiti ai fini di legge condomini. Le Sezioni Unite della Cassazione, con l'importante sentenza n. 2046/2006, hanno chiarito che l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero delle persone che ad essa partecipano. Pertanto, il numero dei condomini incide solamente sulla necessità di nominare o meno un amministratore, (quando i condomini sono più di quattro), o per il regolamento di condominio, (obbligatorio quando i condomini sono più di dieci). Il condominio, può svilupparsi in senso verticale (classico edificio condominiale a più piani) quanto in senso orizzontale, basti pensare ai residence composti da villette mono o bifamiliari con servizi in comune (strade interne, illuminazione). Diverso è invece, il caso in cui più palazzi, già di per se costituenti degli autonomi condomini nel senso sinora affermato, abbiano beni e/o servizi in comune. In tal caso, si è di fronte al "supercondominio", che è composto da più edifici condominiali legati tra loro da beni e/o servizi comuni. Per esemplificare, un gruppo di quattro edifici, che abbia in comune un parco i servizi di fognatura ecc…, è catalogabile come supercondominio. Proprietario La persona cui qualcosa, un bene, appartiene per diritto di proprietà; il proprietario dell'appartamento, del terreno, dell'ufficio, nel linguaggio comune, il titolare di beni immobili o di un'azienda. Proprietà, è un diritto reale di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi previsti dalla legge (art. 832 del c.c.). Si può parlare di proprietà privata, o pubblica, con riferimento allo status del soggetto giuridico o fisico cui spetta la titolarità del diritto. Affittuario Chi prende in affitto qualcosa (nel nostro caso specifico, una casa, un appartamento, un negozio, ecc…). Più approfonditamente, colui al quale, mediante regolare contratto di affitto, viene dato in locazione un bene produttivo, per lo più un immobile, una casa o un podere. 51 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Locatore Dal latino locator – oris, in diritto è la parte contrattuale che concede un bene in locazione, in contrapposizione all'altra parte contrattuale, il locatario ovvero colui che riceve questo bene. Il locatore rappresenta quindi il soggetto che mette a disposizione il bene ad un altro soggetto (conduttore, locatario o affittuario) per un dato tempo, in cambio di un determinato corrispettivo in moneta (art. 1571 del Codice Civile). Tecnico Libero Professionista Nello specifico Geom., Ing., Arch., è un lavoratore che svolge un'attività tecnicoeconomica, a favore di terzi, volta alla prestazione di servizi mediante lavoro intellettuale. L'attività svolta è detta libera professione. L'etimologia della parola professionista deriva da "professare" cioè essere fedele a degli statuti ordinistici o regolamentanti un’attività. I liberi professionisti, per esercitare la loro attività devono necessariamente possedere dei requisiti previsti dalla legge ed essere iscritti agli albi professionali quando questi esistono. Il Tecnico Libero Professionista, (Geom. Ing. o Arch. che sia), all’interno di una commessa edile, partendo dalla progettazione preliminare, passando per la direzione dei lavori fino all’ottenimento dell’Agibilità (che assevera), può svolgere la figura del Progettista e del Direttore dei Lavori. Progettista è colui che redige un progetto, spesso di carattere architettonico o tecnico progettuale, attraverso un processo o attività chiamata progettazione. Si tratta di una figura professionale che con un proprio bagaglio tecnico-culturale ed una congrua esperienza pensa e concepisce prima, ciò che sarà costruito dopo. La progettazione, infatti, dovrebbe essere realizzata con scienza, coscienza ed esperienza ed è il progettista che dovrebbe possedere queste virtù. Il progettista quindi, redige un progetto e definisce cosa sarà costruito e come verrà costruito. Per raggiungere quest’obiettivo, il progettista deve possedere un'approfondita conoscenza dei materiali, delle tecniche di assemblaggio, delle norme tecniche e delle leggi che insistono sulla materia in cui intende operare. I progettisti che esercitano la libera professione devono essere abilitati con un proprio iter formativo ed un esame finale. L'esame dà diritto all’iscrizione ad un Collegio o Ordine che rilascerà a sua volta un timbro ed un numero di matricola. Tutti i progetti che saranno redatti dai progettisti a questo punto verranno timbrati e firmati. Il timbro e la firma hanno due funzioni principalmente; la responsabilità di quello che si è progettato e la paternità morale delle scelte che si sono operate nella progettazione. 52 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Direttore dei Lavori, in breve D.L. è la figura professionale scelta dal committente, in base alle opere da realizzare (e al titolo professionale richiesto dalle normative vigenti per l'esecuzione di tali opere), con lo scopo di seguire l'andamento regolare dei lavori in cantiere. I compiti del direttore dei lavori sono molteplici, in sintesi: - Denuncia al comune competente l'apertura del cantiere, Inizio Lavori; - Dirige l'esecuzione delle opere volte a realizzare un progetto; - Redige i SAL o se redatti dall'impresa costruttrice, li controlla e avalla; - Vidima eventuali modifiche tecniche migliorative del progetto; - Verifica la corretta esecuzione dei lavori; - Stende i verbali di riunione e di eventuali ordini di servizio; - Rilascia eventuali certificati (corretta posa in opera, corretta esecuzione lavori); La figura del D.L. nell’espletamento del proprio incarico è soggetta a due principali doveri, verso lo stato e verso la committenza, in sintesi: Doveri del Direttore Lavori verso lo Stato: se in cantiere viene commesso un abuso edilizio, lavorazioni che possono minare la stabilità stessa della costruzione, deve segnalarlo alla committenza ed alla pubblica amministrazione con la sospensione immediata delle lavorazioni. In caso contrario il direttore diventa complice e passibile di denuncia. Doveri del direttore lavori verso la committenza: deve stilare un verbale di apertura del cantiere, redigere periodici verbali anche fotografici sull'esito dei lavori, verificare la correttezza del progetto e segnalare al committente eventuali correzioni necessarie al buon esito dei lavori. Il D.L. è il responsabile della corretta esecuzione delle opere e sorveglia che il progetto, venga rispettato. Attraverso visite periodiche in cantiere vigila che tutte le indicazioni del progetto siano attuate correttamente, impartendo anche per iscritto le necessarie disposizioni al capocantiere. Alla fine dei lavori il D.L. rilascia un certificato di corretta esecuzione e presenta al comune (qualora necessaria) la richiesta del rilascio del Certificato di Agibilità. Certificato di Agibilità (D.P.R. 380/2001, Parte I Titolo III artt. 24-26) E’ uno dei documenti tecnico - amministrativi più importanti in relazione al proprio immobile di proprietà. Si tratta infatti di un’attestazione che il Comune rilascia, al fine di provare l’idoneità dell’edificio a garantire le “condizioni minime” di sicurezza e di salubrità. 53 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Ne consegue che il certificato viene rilasciato a margine di una serie di verifiche di conformità degli standard minimi sulla sicurezza e sulla stabilità dell’immobile, e sul suo impatto energetico. Per consentire al Comune di sancire l’effettiva rispondenza dell’immobile agli standard di conformità, vengono pertanto effettuate una serie di analisi sulla distribuzione dei vani, sulle volumetrie degli stessi, sulle funzionalità di impianti idraulici, elettrici, idrici, sul collaudo statico e complessivamente sulla salubrità dell’ambiente interno ed esterno. In merito alla domanda di “agibilità”, si ricorda che la richiesta va effettuata allo Sportello Unico per l’Edilizia Residenziale del Comune, allegando una serie di documenti specificati in sede d’istanza (essenzialmente, accatastamento, conformità delle opere, certificazioni impianti di principale riferimento, elettrico e idrotermosanitario-gas, collaudo statico, dichiarazioni imprese, APE/AQE ecc…). Salubrità Da salubre, cioè che fa bene alla salute e contribuisce a conservarla, in materia di aria, clima, ambiente. Un “Edificio Salubre” di conseguenza può essere definito come quel luogo indoor (abitativo o lavorativo), dove chi lo vive ha garantito il benessere psico-fisico. Garantito a sua volta dal benessere ambientale, legato a temperatura, umidità, ventilazione, luminosità, la salubrità dei materiali utilizzati, la conformità degli impianti tecnologici e la protezione dai rumori. 54 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Il Percorso Committente e Tecnico stipulano un contratto per la prestazione di lavoro intellettuale, progettazione (di un fabbricato, abitazione o condominio o ristrutturazione). Il Tecnico assume l’incarico di progettista, elabora su carta la propria capacità tecnica con “scienza, coscienza ed esperienza” e predispone il progetto esecutivo. Committente e Impresario Edile “costruttore” (o chi per lui ne fa le veci), sotto la responsabile “guida” del tecnico, stipulano il contratto d’appalto per la realizzazione dell’opera edile. L’Impresario Edile, “Costruttore”, con la propria squadra di lavoro, secondo i crismi del buon padre di famiglia ma soprattutto secondo le norme in materia realizza l’opera edile secondo il progetto esecutivo di cui sopra. 55 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Il Direttore dei Lavori – DL (nella maggior parte dei casi il progettista) coordina e vigila rigorosamente in cantiere, la realizzazione dell’opera. Proprietario e Direttore Lavori, quando il “puzzle” è completato, provvedono a richiedere il Certificato di Agibilità, allegando tutta la documentazione indispensabile. Dopo i dovuti controlli da parte del Comune competente, se tutto e ok viene rilasciato il Certificato di Agibilità. Direttore dei Lavori e Impresario, a questo punto possono consegnare al legittimo proprietario il proprio “nido” per andare a vivere e abitare Sano Salubre e Sicuro. Il proprietario dell’immobile inoltre può affittare la casa costruita (o locare il condominio con più unita abitative e non abitative). Possibile entrata in scena di Locatore e Locatario. 56 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele L’immobile o l’unità abitativa sono stati realizzati “sani, salubri e sicuri” esenti da vizi costruttivi… … tutti vissero felici e contenti. L’immobile o l’unità abitativa sono stati realizzati “insani, insalubri e insicuri”, presentano vizi costruttivi… …iniziano i problemi per tutti. Di salute per gli inquilini, Civili e Penali per D.L. costruttore ecc 57 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Responsabilità Civili, Penali e Disciplinari Responsabilità Civile: l'art. 2043 del c.c. prevede che qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Detta norma, che costituisce il cardine del sistema della responsabilità extracontrattuale o aquiliana, prevede cioè che la lesione di una posizione giuridica soggettiva tutelata dall'ordinamento obbliga l'autore della lesione a risarcire le conseguenze negative patrimoniali ed, in certi casi, non patrimoniali che dalla medesima sono derivate. In considerazione del fatto che la norma trova applicazione a qualunque fatto, l'art. 2043 c.c. viene considerata una clausola di portata generale in grado di far acquisire alla responsabilità civile la necessaria flessibilità che la mutevolezza della realtà economico-sociale richiede. Responsabilità Penale: s’incorre in responsabilità penale se si commette un reato, vale a dire un fatto cui l’ordinamento giuridico attribuisce come conseguenza una pena. L’omicidio è un reato, perciò chi lo commette, incorre in responsabilità penale. I reati colpiscono in modo diretto uno o più soggetto determinati e in modo indiretto l’intera società. Tutti noi abbiamo, infatti, interesse a che siano prevenuti e puniti i comportamenti socialmente pericolosi. Questa considerazione spiega perché nei processi penali siano coinvolte più parti. Responsabilità Disciplinare: la responsabilità disciplinare è una forma di responsabilità aggiuntiva rispetto alla penale, alla civile ed all'amministrativa, nella quale incorre il lavoratore, sia esso pubblico che privato, nel momento in cui non osservi gli obblighi contrattualmente assunti. 58 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è emerso che nelle società industriali si trascorre fino al 95% dell’esistenza in ambienti confinati e ci si può ammalare della Sindrome da Edificio Malato. Si può arrivare a prevenire le patologie legate a questa sindrome, intervenendo in fase di progettazione per la realizzazione o ristrutturazione di un edificio. Sempre l’OMS ha evidenziato che negli ultimi 40 anni gli edifici sono stati costruiti con materiali nocivi alla salute dell’uomo e del pianeta. E’ quindi necessaria una rivisitazione degli immobili utilizzando nuovi modelli costruttivi e materiali intelligenti “Salubri”. La cosiddetta Sindrome da Edificio Malato (SBS) è stata riconosciuta sin dal 1983 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come patologia associata al luogo di lavoro e di residenza. Si tratta di una combinazione di disturbi, legati a tutti gli aspetti del microclima cui le persone sono esposte, che comprendono, fra l’altro, condizioni d’illuminazione, umidità dell’aria, ricambio della ventilazione, presenza di muffe e la possibile emissione di alcune sostanze nocive dai materiali impiegati per la costruzione o la presenza di radon nel sottosuolo. Questa monografia riunisce professionisti impegnati direttamente sul campo e le rispettive esperienze maturate. I contenuti spaziano dalla promozione della salute sui luoghi di lavoro all’evoluzione del concetto di valutazione dei rischi in ambienti indoor, dalle problematiche edilizie nell’architettura contemporanea alle malattie correlate all’edificio, fino alla valutazione dei ruoli e delle responsabilità. La questione della salubrità degli edifici coinvolge molte istituzioni pubbliche. La prevenzione di malattie e disturbi vari passa da ambienti sani, oltre che da provvedimenti da prendere nella progettazione e la realizzazione delle nostre abitazioni, ed ha un ruolo fondamentale anche la modalità di conduzione di una casa o di un ambiente di lavoro, fondamentale affinché un luogo chiuso possa restare salubre. Servono, dunque, progettisti e maestranze ben preparati, oltre che politiche ed incentivi pubblici che possano far decollare il settore. 59 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Evoluzione Giurisprudenziale in materia Corte di Cassazione, d’Assise, d’Appello, Tribunale, Giudice di Pace. Costruttore Con la Sentenza n. 19483 del 16.09.2014, la Cassazione ha confermato l'oramai diffuso orientamento secondo cui i termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1669 del c.c. (che recita: Rovina e difetti di cose immobili. “Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta”), decorrono soltanto dal momento in cui il vizio di cui l'immobile è affetto sia percepibile in modo pieno, senza che rilevi, al fine del computo di tali termini, il fatto che l'acquirente del bene o il committente potesse aver cognizione di alcune conseguenze del vizio presente. Nel caso di specie era avvenuto che un condominio aveva lamentato nei confronti del costruttore dell'immobile la presenza di vizi. Tali denunce, però, erano esposte in missive dai contenuti generici e senza che vi fossero state individuate in modo compiuto le esatte cause del vizio riscontrato. Il condominio faceva dunque eseguire una perizia da un proprio tecnico di fiducia, all'esito della quale venivano evidenziati in modo esatto le carenze che avevano condotto alle problematiche in cui versava l'immobile. Sulla base di tale perizia il condominio formalizzava una denuncia dei vizi e immediatamente dopo, proponeva l'azione ex art. 1669 c.c. Il convenuto fin dal primo grado di giudizio aveva contestato che il termine di decadenza, così come il termine di prescrizione di cui all'art. 1669 c.c. era iniziato a decorrere dalle prime lettere di contestazioni, per cui la successiva azione proposta dal condominio (a oltre un anno di distanza dalle prime lettere, era inammissibile). Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia. L'appaltatore risultava soccombente in entrambi i giudizi di merito, per cui proponeva ricorso per cassazione della pronuncia di secondo grado. Come già anticipato l'esito del giudizio in Cassazione è stato ancora una volta favorevole al condominio. In primo luogo la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui soltanto dal momento in cui il committente o suo avente causa, ha una piena percezione del vizio che affetta l'immobile decorrono i termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1669 c.c. 60 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Sul punto viene, infatti, affermato che “il termine di un anno per la denuncia previsto dall'art. 1669 a pena di decadenza dall'azione di responsabilità contro l'appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti a meno che non si sia in presenza di un problema di immediata percezione sia nella sua reale entità che nelle sue possibili origini”. Di conseguenza, poiché la pronuncia impugnata aveva ben argomentato e compiutamente illustrato le ragioni logiche in forza delle quali il predetto principio era stato applicato al caso concreto, la Corte ha svolto un'ulteriore considerazione: “Essa ha, infatti, ricordato come l'accertamento relativo alla possibilità di percepire immediatamente la presenza del vizio consta di un apprezzamento di fatto e di conseguenza è riservato al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici o da errori di diritto. In definitiva, poiché la Corte d'Appello aveva ben illustrato la propria decisione, senza che vi fossero vizi logici della motivazione, la Corte di Cassazione neppure può accedere alla verifica in ordine alla presenza, nel caso di specie, degli elementi di fatto che avrebbero far potuto maturare una decadenza e una prescrizione in capo al condominio: tale accertamento di fatto era stato già compiuto nei gradi di merito e la Corte non ha fatto altro che ribadire il predetto orientamento secondo cui in assenza di un’immediata possibilità di percepire il vizio di cui l'immobile è affetto, i termini di cui all'art. 1669 c.c. decorrono dall’acquisizione di una perizia che illustri le cause del vizio presente. Tecnico Libero Professionista Nell’adempimento delle proprie “mansioni-intelletuali” (di Progettista e/o Direttore Lavori), può essere tenuto a risarcire i danni causati nell'esercizio della propria attività, se nel decorso non si comporta come uno "bravo". Infatti, mentre nell'adempimento delle obbligazioni comuni il comportamento da tenere è quello del "cittadino medio", nell'adempimento di quelle professionali è prescritto un criterio più rigoroso, ossia quello del professionista "medio". Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la Sentenza 24213/2015. Secondo la dottrina maggioritaria, la responsabilità del direttore dei lavori ex art. 1669 sarebbe di tipo contrattuale; anche la giurisprudenza aveva in un primo tempo mostrato questo orientamento, sostenendo che il direttore dei lavori risponde verso il committente secondo la disciplina delle professioni intellettuali. Pertanto, le responsabilità di appaltatore e Direttore dei Lavori non sarebbero solidali, bensì alternative l'una all'altra, senza possibilità di regresso. Nella giurisprudenza di merito, emblematica è la sentenza pronunciata da Corte di Appello di Milano, il 21 maggio 1974, che riprende i principi espressi dalla Cassazione negli anni precedenti riguardo al progettista, estendendoli anche al 61 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele direttore dei lavori: con specifico riferimento alla responsabilità del progettista che questi verso il committente risponde in base ai principi relativi alla disciplina delle professioni intellettuali Sentenza Corte di Cassazione del 10 maggio 1961, n. 1112. L'appaltatore e il progettista rispondono dunque verso il committente sulla base di un diverso titolo; da ciò si fa derivare il principio che le due responsabilità non devono ritenersi solidali Sentenza Corte di Cassazione del 27 marzo 1965, n. 1520. Esse e le relative azioni stanno quindi in concorso non cumulativo, né graduale, ma alternativo; il committente può rivolgersi per l'intero danno contro il solo appaltatore o contro il solo progettista, a sua scelta; una volta soddisfatto per l'intero da uno dei due, nulla può pretendere dall'altro; soddisfatto da uno solo in parte, può agire contro l'altro per la differenza. A sua volta, chi abbia soddisfatto il committente non ha regresso verso l'altro debitore, perché nei rapporti fra i due debitori non si possono estendere le regole proprie delle obbligazioni solidali, Sentenza Cassazione del 6 settembre 1968, n. 2887. Allo stesso modo, si atteggia il concorso tra la responsabilità del direttore dei lavori e quella dell'appaltatore, perché anche in questa ipotesi la responsabilità dell'appaltatore, derivando dalla violazione di un contratto di appalto, è alternativamente concorrente e non solidale rispetto a quella che può ascriversi o al direttore dei lavori. Sostengono la responsabilità alternativa anche le Sentenze, Cassazione del 16 maggio 1973, n. 1388; Appello di Firenze 15 aprile 1966; di Roma 27 maggio 1964; e il Tribunale di Perugia 16 ottobre 1964. In seguito, tuttavia, è prevalsa la tesi secondo cui l'art. 1669 configurerebbe una responsabilità extracontrattuale e la giurisprudenza ha esteso la sua applicabilità anche al professionista intellettuale incaricato della direzione dei lavori, il quale risponderà in solido con l'appaltatore e altri soggetti eventualmente responsabili. Si veda la recente Sentenza della Cassazione del 14 ottobre 2004 n. 20294, per la quale, in tema di contratto d’appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori e/o del progettista, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, che per le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento. I soggetti chiamati a rispondere in virtù dell'art. 1669 sono precisati dalla Sentenza della Cassazione del 30 maggio 2003 n. 8811, secondo cui la natura extracontrattuale di tale responsabilità trova applicazione a carico di coloro che abbiano collaborato nella costruzione, sia nella fase di progettazione o dei calcoli relativi alla statica dell'edificio, che in quella di direzione dell'esecuzione dell'opera, qualora detta rovina o detti difetti siano ricollegabili a fatto loro imputabile. Per la Cassazione Sentenza del 10 settembre 2002 n. 13158 può essere responsabile (ex art. 1669) perfino lo stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera, da rendere l'appaltatore, un mero esecutore dei suoi ordini. Nella specie, la Sentenza di cui sopra, ha escluso che potesse assumere la 62 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele responsabilità sancita dall'art. 1669 c.c. il fornitore dei materiali utilizzati, non implicando tale prestazione, che si esaurisce nella consegna dei prodotti richiesti. Sul tema della responsabilità solidale si è pronunciata anche la Cassazione con la Sentenza del 22 agosto 2002 n. 12367, secondo cui i coautori di un illecito aquiliano (extracontrattuale) rispondono in solido nei confronti del danneggiato, quand'anche le rispettive condotte siano state tra loro indipendenti, a condizione che esse abbiano concorso in modo efficiente alla produzione dell'evento. Dello stesso avviso è la Sentenza della Cassazione del 28 novembre 2001 n. 15124, secondo i principi generali in materia d'illecito, contrattuale o extracontrattuale che sia, ove un unico evento dannoso sia imputabile a più soggetti, è sufficiente, al fine di ritenere la solidale responsabilità di tutti nell'obbligo risarcitorio, che le azioni e/o le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento. La Cassazione con sua del 11 agosto 2000 n. 10719 precisa che la responsabilità (ex art. 1669) esula dai limiti del rapporto contrattuale corso tra le parti, per assumere la configurazione propria della responsabilità da fatto illecito; accertare se sussista o meno il nesso causale è poi, questione di fatto, come tale rimessa al giudice del merito. Conformi all'orientamento sono anche la Sentenza della Cassazione del 28 gennaio 2000 n. 972, qualora il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia ascrivibile alle condotte concorrenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi sono solidalmente responsabili del danno, a nulla rilevando la diversità dei titoli cui si ricollega la responsabilità. Le sentenze della Cassazione del 07 gennaio 2000 n. 81; Cass. del 26 aprile 1993 n. 4900; e Cass. 29 gennaio 1985 n. 488, per le quali sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se l'unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo di risarcimento che le azioni o omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento. Nella specie è stata ritenuta solidale la responsabilità, per il danno risentito da una cooperativa edilizia, del direttore dei lavori e dell'impresa appaltatrice per inadempienza ai rispettivi contratti, avendo l'impresa proceduto alla costruzione di un muro con materiali inidonei e con modalità, non conformi alle regole tecniche. Risolve una questione di carattere processuale la Sentenza di Cassazione 27 aprile 1989, n. 1948, secondo cui la deduzione di una responsabilità del progettista e/o del direttore dei lavori, esclusiva o concorrente con quella dell'appaltatore convenuto in giudizio per rispondere, ai sensi dell'art. 1669 c.c., dell'esistenza di gravi difetti costruttivi, non dà luogo a un'ipotesi di litisconsorzio necessario di carattere sostanziale, bensì può comportare, configurandosi una comunanza di causa, la chiamata del progettista e/o del direttore dei lavori per ordine del giudice (ex art. 107 c.c.). Sullo stesso punto vi è anche una pronuncia di Appello di Cagliari del 22 63 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele aprile 1993, per cui la deduzione di una responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669, concorrente con quella del progettista e del direttore dei lavori, non configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario di carattere sostanziale, poiché la decisione può essere utilmente pronunciata nei confronti solo di alcuni di tali soggetti, rimanendo impregiudicata la possibilità di accertare in altro giudizio la concorrente responsabilità degli altri. Per il Tribunale di Pescara 13 settembre 1999, la natura extracontrattuale della responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c. a carico del committente della costruzione comporta che in essa possa concorrere solidalmente il direttore dei lavori. In senso conforme si sono pronunciati; l’Appello di Lecce - Taranto il 10 giugno 1997; il Tribunale di Roma 17 novembre 1993, la disciplina dell'art. 1669 c.c. si applica non solo nei confronti dell'appaltatore ma anche nei riguardi del progettista e/o direttore dei lavori, poiché la relativa responsabilità esula dai limiti del rapporto contrattuale intercorso tra le parti per assumere la configurazione propria della responsabilità per fatto illecito. L’Appello di Perugia del 12 marzo 1991, non sono cause di esonero della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c. né la natura del terreno, né le manchevolezze del progetto, salvo che l'esecuzione fosse ordinata all'imprenditore nonostante i suoi contrari rilievi, né la responsabilità del direttore dei lavori, che si aggiunge eventualmente a quella del primo. A questo punto è constatato che per la giurisprudenza anche il direttore dei lavori può rispondere a norma dell'art. 1669. L'obbligazione del direttore dei lavori, a differenza di quella del progettista, è qualificata tradizionalmente dalla giurisprudenza come un'obbligazione di mezzi vedi Cassazione del 22 marzo 1995 n. 3624 e del 21 ottobre 1991 n. 11116. La giurisprudenza più risalente nel tempo sostiene che il direttore dei lavori è tenuto all'alta sorveglianza dei lavori e alla verifica della rispondenza dell'opera al progetto, senza tuttavia che egli debba intervenire nell'esecuzione dell'opera. Il direttore deve eseguire i suoi compiti attraverso l'emanazione di disposizioni e di ordini al costruttore, controllando inoltre l'avvenuta esecuzione degli ordini stessi. Il controllo, che deve essere svolto con interventi periodici (non necessariamente continui), non comprende le operazioni più semplici compiute nel cantiere, la cui corretta esecuzione rientra nella sfera di responsabilità del materiale esecutore. E’ opportuno distinguere tra il direttore dei lavori per conto del committente e quello che invece agisce come dipendente dell'appaltatore; al secondo spetta la sorveglianza sulle ordinarie operazioni di cantiere. I difetti dell'opera possono essere imputabili al direttore dei lavori solo quando derivino direttamente dall'inosservanza del dovere di sorveglianza; non gli sono invece addebitabili i vizi provocati dalle attività per le quali non è ragionevole aspettarsi un suo intervento. Vedi: Cassazione 9 maggio 1980 n. 3051; e 29 marzo 1979 n. 1818 le quali esonerano il direttore dei lavori dal dover controllare la qualità del conglomerato cementizio adoperato dall'appaltatore; la Cassazione del 28 ottobre 1976 n. 3965; del 16 ottobre 1976 n. 3541; del 7 64 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele febbraio 1975 n. 475; e del 12 luglio 1965 n. 1456, secondo cui il direttore dei lavori è responsabile per la mancata esecuzione degli ordini impartiti, salvo che il tutto sia avvenuto al di fuori della sua sfera di sorveglianza; Cassazione del 4 luglio 1962, n. 1705. Per la giurisprudenza di merito, si vedano; Tribunale di Oristano 28 giugno 1988, che afferma la responsabilità del direttore quando le difformità derivano da omissioni del dovere di sorveglianza; Appello di Torino del 21 marzo 1959. Un orientamento giurisprudenziale più recente ha delineato compiti specifici in capo al direttore dei lavori. La Sentenza della Cassazione del 27 aprile 1993 n. 4921 impone al direttore dei lavori di richiedere la verifica tecnica dei luoghi qualora i rilievi sul suolo appaiano inadeguati, con lo sconfinamento in un'area che appartiene tradizionalmente alla competenza dell'appaltatore Cassazione del 29 gennaio 2002 n. 1154; secondo l'indirizzo tradizionale si è pronunciata invece la Cassazione del 7 novembre 2000 n. 11783, escludendo la responsabilità del direttore in tali casi. Il direttore dei lavori deve rilevare le inesattezze del progetto e dell'esecuzione, verificando materialmente l'esito delle sue indicazioni e segnalando tempestivamente al committente le ulteriori inadempienze da parte dell'appaltatore (Cassazione del 29 agosto 2000 n. 11359 e del 30 maggio 2000 n. 7180. Il direttore non deve autorizzare l'uso di materiali deteriori rispetto a quanto previsto nel capitolato, poichè ha il potere di rappresentare il committente limitatamente alla sfera strettamente tecnica e non di autorizzare variazioni dell'opera. Una giurisprudenza di merito, l’Appello di Venezia del 24 dicembre 1996, ha esteso gli obblighi del direttore dei lavori al punto di affermare che, indipendentemente da ogni eventuale responsabilità come progettista, egli sarebbe tenuto a un’obbligazione di mezzi consistente nel compimento di tutte le attività necessarie ad evitare il prodursi di effetti dannosi. Secondo tale impostazione, il verificarsi di un danno comporta sempre responsabilità del direttore dei lavori, e non si può fare a meno di notare come tale regime di responsabilità sia sicuramente in contrasto con quello tradizionalmente ipotizzato per le obbligazioni di mezzi. Ciò implica che il direttore dei lavori deve controllare molto più assiduamente l'esecuzione, fornendo - insieme al materiale esecutore dell'opera - un apporto non valutabile secondo il tradizionale criterio dell'alta sorveglianza. Va infine precisato che non è ben chiaro se anche per il professionista valgano le presunzioni di colpa che l'art. 1669 pone a carico dell'appaltatore. Seguendo la tesi della responsabilità extracontrattuale e quindi solidale, si dovrebbe propendere per la risposta affermativa. Si è pronunciato in questo senso il Tribunale di Perugia 9 gennaio 1996, in caso di rovina di edificio, la presunzione di responsabilità posta dalla legge a carico dell'appaltatore si estende anche a progettista e direttore lavori. Diverso “parere” esprime la Cassazione del 28 gennaio 2000 n. 972, che sottolinea la necessità che il giudice motivi sulle inadempienze del direttore dei lavori, lasciando intendere quindi che siano necessarie precise prove in proposito. Tale sentenza non è 65 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele chiara riguardo al titolo di responsabilità posto alla base della domanda. Pare evidenziare un atteggiamento preciso riguardo all'onere della prova il Tribunale di Roma, 20 luglio 2000, che richiede la dimostrazione del nesso causale tra le inadempienze di quest'ultimo (D.L.) e l'insorgenza del vizio. Proprietario/Affittuario Muffa in casa di affitto? Il proprietario dell'alloggio “insalubre” condannato al risarcimento dei danni alla salute dell'inquilino. Irrilevante la circostanza che le anomalie fossero note all'inquilino. La tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto di esclusione di colpa tra privati Il locatore di un immobile è responsabile per i danni alla salute subiti dal conduttore nel corso del contratto e dovuti alle condizioni abitative dell’alloggio. La tutela del diritto alla salute, infatti, prevale su qualsiasi patto interpretativo di esclusione o limitazione della responsabilità. Ne consegue che è del tutto irrilevante che il conduttore fosse a conoscenza dell’esistenza di anomalie nell’appartamento al momento della conclusione del contratto. È sostanzialmente questo, il principio stabilito dalla Corte di Cassazione che, con la Sentenza 38559/14, ha accolto il ricorso di due coniugi che avevano perso un figlio per avvelenamento da ossido di carbonio mentre si trovava nel bagno senza finestra dell’appartamento preso in locazione. La coppia aveva convenuto in giudizio il locatore esponendo che il tragico evento si era verificato a causa del fatto che lo scaldabagno non era stato installato a regola d’arte per insufficienza tanto della capienza del locale quanto del sistema di scarico dei fumi. Il condotto di esalazione, risultava irregolare fin dall’origine in quanto collegato, in modo del tutto anomalo, alla canna di deflusso dei fumi delle cucine e privo dello sfiato di riserva. Il tribunale ha respinto la domanda dei genitori mentre la Corte d’appello ha riconosciuto la responsabilità del proprietario nella misura di un terzo e lo ha condannato a risarcire il danno. La Cassazione, accolto il ricorso, ha affermato che la responsabilità del locatore per i danni derivanti dall’esistenza dei vizi sussiste anche in relazione ai quelli preesistenti la consegna del bene ma manifestatisi successivamente ad essa nel caso in cui il locatore poteva conoscere la loro esistenza usando l’ordinaria diligenza.Ne deriva, ha concluso la Suprema corte, che il locatore è tenuto a risarcire il danno alla salute subito dal conduttore in conseguenza delle condizioni abitative dell’immobile locato quand’anche tali condizioni fossero note al conduttore al momento della conclusione del contratto, in quanto la tutela del diritto alla salute prevale su qualsiasi patto interprivato di esclusione o limitazione di responsabilità. Condominio Muffa proveniente dalle pareti perimetrali comuni? Il condominio deve risarcire al proprietario i danni patrimoniali ed esistenziali, salvo la rivalsa nei confronti del costruttore dell'immobile. 66 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Il Condominio, quale custode delle parti comuni, risponde in via autonoma, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni patrimoniali e non, salva la prova del caso fortuito. Il Condominio, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell'impresa che ha edificato l'immobile per la responsabilità extracontrattuale relativa ai vizi di costruzione ex art. (1669 c.c.), chiedendo la manleva di quanto liquidato a favore del danneggiato. Questo, in estrema sintesi, il principio di diritto affermato dal Tribunale di Monza, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni derivanti da umidità e muffa dovute alla non corretta impermeabilizzazione delle pareti comuni dell'edificio condominiale. La responsabilità del condominio-custode ex art. 2051 c.c., nel caso di specie, gli attori agiscono nei confronti del solo Condominio per omessa custodia delle parti comuni, per cui il Giudice è chiamato, preliminarmente, a verificare se, nella fattispecie concreta, ricorrono i presupposti di tale azione. Il Tribunale di Monza si rifà al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "l'umidità conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, può integrare, ove sia compromessa l'abitabilità e il godimento del bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilità del costruttore ex art. 1669 c.c. Tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei confronti di costoro è responsabile in via autonoma ex art. 2051 c.c. il condominio, che è tenuto, quale custode, ad eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria" Sentenza della Cassazione Sezione Civile del 15/04/1999 n. 3753. Non si tratta, precisa il Tribunale, di una responsabilità a titolo derivativo, bensì di autonoma fonte di responsabilità che deriva dall'art. 2051 c.c., considerato che, peraltro, l'eventuale concorrente responsabilità del costruttore-venditore non può essere assimilata al caso fortuito idoneo a liberare il Condominio - custode da ogni responsabilità. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza in commento afferma la responsabilità del Condominio per omessa custodia e manutenzione dei beni comuni ex art. 2051 c.c., condannandolo al risarcimento dei danni. Il Tribunale ha altresì condannato l'impresa costruttrice a rifondere il Condominio delle spese sostenute, sussistendo i presupposti (tempestività della domanda e gravità dei vizi) che legittimano l'azione per rovina e difetto di edifici ex art. 1669 c.c. Detta azione è esercitabile non solo dal committente contro l'appaltatore, ma anche (come nella fattispecie) dall'acquirente contro il venditore-costruttore, allorché quest'ultimo abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilità della costruzione dell'opera, (Sentenza del Tribunale di Milano, n. 2901/2013). Capita spesso che l'appartamento del singolo condomino venga danneggiato da infiltrazioni d'acqua provocate da rottura di tubazioni o difettosa coibentazione. Avere il proprio appartamento danneggiato, comporta per il condomino un disagio nelle relazioni sociali all'interno della collettività condominiale. Molte sono le sentenze che hanno riconosciuto il danno esistenziale in caso di infiltrazioni. Tra le più rilevanti sentenze ricordiamo quella emanata dal Giudice di Pace di Venezia che con Sentenza del 15 dicembre 2009, nella vicenda il ruolo 67 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele determinante oggetto della tutela è il rispetto del proprio domicilio, all'esistenza dignitosa, al rispetto della vita privata. Per tali motivi il Giudice di pace riconosce la proprietaria dell'appartamento al piano superiore responsabile del danno esistenziale subito. Il Tribunale di Pescara, con sentenza del 27 marzo 2007 n. 230, precisò che in caso di danni arrecati al singolo condomino dal sovrastante appartamento a causa di infiltrazioni di umidità, tempestivamente segnalate all'amministratore, ma non eliminate, sussiste la responsabilità solidale del condominio, del proprietario dell'appartamento da cui sono derivate le perdite e dell'amministratore in proprio. In argomento è da segnalare anche una recentissima sentenza emessa dal Tribunale di Monza n. 1230 del 7 maggio 2013, secondo cui "nel caso d’infiltrazioni d'acqua nella singola unità immobiliare che portano alla formazione di muffe sui soffitti è il condominio responsabile in via autonoma nei confronti del proprietario esclusivo ex articolo 2051 c.c., il quale, laddove non offra la prova del fortuito è tenuto, quale custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria e, dunque, a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali scaturiti dal mancato pieno godimento dell'immobile". Il condominio è responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni causati dalle cose comuni alla porzione di proprietà esclusiva. La responsabilità è esclusa laddove il condominio dimostri l'esistenza di un fattore esterno idoneo a interrompere il nesso di causalità, che può anche identificarsi con il fatto dello stesso proprietario danneggiato. Secondo costante tradizione giurisprudenziale il condominio è il custode dei beni e dei servizi comuni e, come tale, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno. In difetto, il condominio risponde dei danni dalle parti comuni alla proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile (Cassazione Sezione Civile del 12/07/2011 n. 15291). Quanto innanzi in forza dell'art. 2051 c.c., ai sensi del quale "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito". Si tratta di un'ipotesi di responsabilità "senza colpa" o oggettiva, per la cui configurabilità è sufficiente la prova della sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, indipendentemente dal comportamento doloso o colposo. La responsabilità è esclusa solo in presenza del caso fortuito, "fattore che attiene non a un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno" (Cassazione sezione Civile del 06/04/2004 n. 6753). Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il caso fortuito "può essere rappresentato con effetto liberatorio totale o parziale anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno" (Cassazione Sez. Civile n. 2881/2008 e del 08/03/2007, n. 5308). 68 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Nel caso di specie, in particolare, il Giudice ha ritenuto che la responsabilità delle muffe e dell'umidità deve farsi risalire alla condotta del proprietario dell'appartamento, che, trasformando i locali della soffitta in civile abitazione, ha causato "fenomeni di condensa dovuti alla mancanza d’isolamento termico della copertura, d’idoneo isolamento termico delle pareti nonché alla mancanza di areazione dei locali", locali che, nella loro pregressa destinazione non richiedevano "gli stessi accorgimenti di un locale abitato". La responsabilità delle infiltrazioni, dunque, è da imputare totalmente al proprietario o comunque a chi ha effettuato il cambio di destinazione d'uso senza apportare tutte le misure necessarie a consentire l'abitabilità dei locali. La soluzione adottata dalla Sentenza, si configura come espressione del principio di autoresponsabilità, desumibile non solo dall'art. 1227 c.c., ma anche dal dovere di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 della Costituzione, che si risolve in uno strumento per indurre anche gli eventuali danneggiati a contribuire affinché un pregiudizio non si verifichi ed è finalizzato a ottenere una migliore ripartizione dei compiti e delle responsabilità tra danneggiante e danneggiato. I casi particolari Anche il Comune (inteso come Amministrazione) ha le sue responsabilità. Casa “insalubre”, era stata dichiarata non agibile dall’amministrazione comunale, decisione presa in base ai controlli dell’Usl territoriale competente. L’appartamento in questione, a causa della mancanza delle condizioni di salubrità, viene dichiarato non abitabile dall’Azienda Sanitaria e il Comune, tramite ordinanza del sindaco e ordina agli inquilini l’immediato sgombero della casa. La proprietaria dell’appartamento, fa ricorso al Tar, che annulla il provvedimento e condanna il Comune al pagamento delle spese legali. (Sentenza del TAR di UD del 2008). La proprietaria, fatto ricorso al Tar che non solo ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento, ma ha anche condannato il Comune a rifondere le spese legali, gli accessori di legge e il contributo unificato. Il Datore di lavoro. Problemi respiratori, mal di testa, scarsa concentrazione, fino a giungere a gravi patologie, sono solo alcune delle insidie che potrebbero celarsi negli edifici che ospitano il lavoratore durante il consueto svolgimento delle attività lavorative. Purtroppo non si tratta più di casi ristretti, ecco perché anche il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a rispondere delle proprie responsabilità, per danno biologico morale ecc… 69 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele STORIA DELL'ABITAZIONE L'abitazione a Roma. Domus, Insulae e Villae Scarse notizie si hanno in merito alle abitazioni romane di epoca monarchica. Per i periodi successivi, repubblicano e imperiale, le documentazioni sono invece più numerose grazie a quanto riportato negli annales e nelle cronacae. Senza addentrarci troppo nei particolari, in linea di massima le abitazioni romane possono essere suddivise in tre categorie principali: domus, insulae e villae. La Domus La tipica domus romana, cosi' come e' stata conosciuta soprattutto dagli scavi di Pompei, risulta una combinazione dell'antica Domus Italica, formata da un solo cortile aperto (atrium) su cui si aprivano le stanze e da un giardinetto (Hortus), con la casa greca (peristylium). E' caratteristico notare come i nomi dei vari elementi del corpo anteriore siano rimasti quelli latini dell'antica domus italica (atrium, tablinium, cubiculum, ecc.), mentre invece quelli del corpo posteriore siano derivati dalla moderna casa greca (peristylium, exedra, triclinium, ecc.). La domus romana era di pianta rettangolare, solidamente costruita su un solo piano con mattoni o calcestruzzo (impasto di sabbia, ghiaia, acqua e cemento), e si differiva dalle odierne case moderne per l'orientamento che era verso l'interno anziché' verso l'esterno. In pratica era racchiusa su se stessa come un'ostrica, come un piccolo fortino: senza finestre, se non piccole e rare, e poste sempre in alto, e senza balconi. Cio' significava che gli ambienti prendevano aria e luce dalle aperture del soffitto in corrispondenza dei due principali e spaziali ambienti interni dell'atrium e del peristylium, che costituivano i centri delle due parti in cui la casa era divisa, rappresentando così la classica abitazione delle popolazioni meridionali e mediterranee, che invitava alla vita all'aperto. Spaccato della Domus Romana 70 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Esternamente la domus romana aveva un aspetto rigoroso, lineare, e, se c'erano, poche e strette finestre poste in alto sulla strada (questo per evitare che dall'esterno potessero entrare rumori o, peggio ancora, ladri), aperte regolarmente nella muratura esterna, che era spessa e rozza. Il soffitto era a cassettoni (lacunari) intarsiati o decorati con stucchi. Il pavimento era ricoperto da mosaici. Le domus romane erano, spazio permettendo nelle citta' (vedi Roma, per esempio), grandi e spaziose, areate ed igieniche, fornite di bagni e latrine, dotate di acqua corrente, calda e fredda, riscaldate d'inverno da un riscaldamento centrale (gli ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d'aria calda sotto i pavimenti). Abbellite con vetri colorati e decorazioni con mosaici, affreschi variopinti e statue, erano abitazioni volte a soddisfare i bisogni dei loro inquilini, abbinandovi bellezza ed estetica, tanto da poter essere considerate forse, e non a torto, le più comode che siano state costruite fino al XX secolo. Logicamente il numero e l'ampiezza degli ambienti e dei giardini, l'arredamento e la decorazione delle stanze variavano a seconda dell'eta' (repubblicana, imperiale, ecc.) e della ricchezza del proprietario. Comunque i vari ambienti erano tutti disposti intorno a due aree centrali aperte da cui ricevevano aria e luce. Veduta aerea della tipica Domus Romana Si e' detto in precedenza che la casa era formata da due grandi aree al cui centro vi erano l'Atrium e il Peristylium: A) nella parte anteriore della casa, al cui centro vi era l'atrio (Atrium), erano esposte le immagini degli antenati, le statue dei Lari, dei Mani e dei Penati protettori della casa, della famiglia e di altre divinita', le opere d'arte, gli oggetti di lusso e altri segni di nobiltà o di ricchezza; qui il padrone di casa riceveva visitatori e clienti, soci e alleati politici; 71 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele B) nella parte posteriore della casa, al cui centro vi era il peristilio (peristylium), si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus), che poteva anche essere circondato da un portico a colonne (porticus) e ornato da statue, marmi e fontane, dove affacciavano le camere da letto (i cubicola) padronali. Ma vediamo, come in un viaggio immaginario di duemila anni indietro nel tempo, cosa avrebbe visto un visitatore dell'epoca che entrava in una domus romana. L'entrata principale si trovava generalmente su uno dei due lati più corti della casa e si affacciava quasi anonimamente sulla strada, ad evidenziare quel volersi distaccare dal "caos" delle vie e il non voler essere troppo d'invito per i ladri. La porta era costituita da un alto portone in legno a due battenti con grosse borchie in bronzo; al centro di ogni battente non era raro trovare raffigurata la testa, anch'essa in bronzo, di un lupo che stringeva in bocca un grande anello da usare come batacchio, così come non era raro trovare nelle ville (specie quelle di Pompei) per terra un mosaico con la figura di un cane minaccioso e con la scritta "Cave canem", attenti al cane: erano in tanti nell'Impero romano ad aver fatto questa scelta, considerato che ladri e postulanti erano un problema non secondario. Ma torniamo all'entrata; questa era preceduta dall'ostium, che era la soglia d'ingresso che immetteva direttamente in un corridoio, detto vestibolo (vestibulum), che, a sua volta, conduceva alla vera e propria entrata (fauces); da qui si passava al cortile interno, detto atrio (atrium), normalmente quadrato con un'ampia apertura sul soffitto spiovente verso l'interno detta compluvio (compluvium): di qui scendeva l'acqua piovana, che veniva raccolta in una vasca rettangolare chiamata impluvio (impluvium) sistemata nello spazio sottostante; quest'acqua era poi convogliata in una cisterna sotterranea, che costituiva la riserva idrica della casa. Un piccolo pozzo di marmo consentiva poi di attingere l'acqua per le necessita' quotidiane. L'impluvio svolgeva anche la funzione di contribuire a rendere più luminosa e bella la casa, riflettendo la luce solare e l'azzurro del cielo. L'atrio rappresentava anche la principale fonte di illuminazione della casa che, praticamente sprovvista di finestre, resterebbe altrimenti buia. Le pareti erano colorate, come del resto anche gli altri interni, e ovunque vi erano riquadri con figure, spesso mitologiche, piccoli paesaggi o decorazioni geometriche dai colori sgargianti: azzurro, rosso e giallo ocra. Il mondo dei romani era decisamente colorato, molto più del nostro attuale, dagli interni delle case, ai monumenti e agli abiti delle persone che nelle grandi occasioni esibivano un vero trionfo di tonalità. 72 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Accanto all'atrio era sempre presente il lararium dove si tenevano le statue dei Lari e dei Penati, protettori della casa e della famiglia, e dei Mani, per la venerazione delle anime dei trapassati. Inizialmente, accanto ad essi, veniva alimentato un fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, pena l'ira degli dei. Nella parete dell'atrium, posta direttamente di fronte all'ingresso, si apriva una grande stanza detta tablino (tablinum), la stanza-studio del padrone di casa dove erano conservati gli archivi di famiglia e dove riceveva i suoi clienti: aveva gli angoli delle pareti foggiate a pilastri, era separata dall'atrium soltanto da tendaggi, e aveva un'ampia finestra che dava sul peristylium da cui riceveva luce ed aria; era arredata spesso con un grande tavolo ed una imponente sedia posti al centro della stanza, mentre di lato erano sistemati alcuni sgabelli, tutti arredi dalle gambe tornite e decorate con intagli in osso, in avorio o in bronzo; lucerne su lunghi candelabri per illuminare l'ambiente, un braciere a terra per riscaldarsi, strumenti da scrivere e oggetti in argento ostentati sul tavolo a far bella mostra completavano l'arredamento tipico. Ai lati sinistro e destro dell'atrium si aprivano i cubicula (al singolare cubiculum), le piccole e buie camere da letto simili a delle cellette senza finestre alla cui illuminazione provvedevano soltanto delle deboli lucerne che poco evidenziano quei capolavori di affreschi o di mosaici che spesso decoravano queste stanze e le alae, due ambienti di disimpegno aperti. Di fianco a una delle due alae poteva essere ubicato il triclinio (oecus tricliniare o Triclinium), la grande e sontuosa sala da pranzo, che prendeva luce da una apertura che dava da una parte sul peristylium (che come si vedra' successivamente, era il grande giardino all'aperto), e dall'altra sull'atrio. Il Triclinium poteva essere posizionato anche in altri punti della casa, come mostrato nell'immagine della planimetria. Attraverso un corridoio chiamato andron, dall'atrio si raggiungeva il peristylium, la parte più interna e spettacolare della casa. 73 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Planimetria della Domus Romana Era qui, nella parte posteriore della casa, che si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus). Il peristilio (peristylium) consisteva in un giardino (Hortus) in cui crescevano con ordine ed armonia erbe e fiori, con sentieri, aiuole (e a volte piccoli labirinti), sapientemente curati dal giardiniere che spesso le sagomava a forma di animali; era circondato su ogni lato da un portico (Porticus) generalmente a due piani, sostenuto da colonne: il tutto arricchito da numerose opere d'arte, ornamenti marmorei, da affreschi, statue, fontane e oggetti in marmo (vasi, tavoli e panche). Era la zona più luminosa, e spesso una delle più sontuose. Nel peristilio non era raro trovare anche una piscina. Nel Peristylium affacciavano anche le camere da letto padronali, generalmente a due piani, sostenuti da colonne: lo arricchivano numerose opere d'arte e ornamenti marmorei. Nel peristilio si aprivano due stanze grandi e lussuose: A) il triclinio (oecus tricliniare o Triclinium), la grande e sontuosa sala da pranzo, la piu' ampia della casa, dove si tenevano i banchetti con gli ospiti di riguardo. 74 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele I triclini erano lussuosi, con affreschi alle pareti e mosaici ai pavimenti. In epoca imperiale il triclinio fu sostituito come sala per feste e ricevimenti dall'exedra. La stanza del triclinium era fornita di tre letti, detti triclinari (da qui il nome della sala), su ognuno dei quali trovavano posto tre persone, sdraiate sul lato sinistro col gomito appoggiato ad un cuscino: infatti per i Romani il tre era considerato il numero perfetto. Triclinium I tre letti, all'interno del triclinio, erano disposti a semicerchio in modo da permettere facilmente il via vai della schiavitù. Il letto centrale, il mediuslectus, era destinato agli ospiti più importanti, tra i quali vi era il personaggio più prestigioso in assoluto, che sedeva sulla parte piu' alta, il locus consularius. I triclini laterali erano chiamati rispettivamente imuslectus, destinato alle persone meno importanti (tra le quali, in segno di umilta' si poneva il padrone), e il sumuslectus, su cui erano gli ospiti di media popolarita'. Tra i letti triclinari vi era un tavolo che, a seconda della sua forma, assumeva nomi diversi: quello di forma quadrata era detto cilliba e poggiava su tre piedi, quello circolare veniva chiamato mensa, e quello utilizzato per le bevande urnarium. Alla fine di ogni banchetto la servitù provvedeva a rimettere in ordine i letti triclinari sostituendone le lenzuola macchiate, ed a raccogliere dal pavimento i resti del cibo gettato, secondo usanza, in terra durante il pasto. B) l'esedra (exedra), era un grande ambiente di ricevimento, utilizzato anche per banchetti e cene, con pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e marmi colorati. Sulle due ali del peristylium vi erano le camere da letto padronali (i cubicula), che erano piu' ampi e luminosi di quelli che si trovavano nelle ali dell'atrio ed erano decorati in un modo preciso: il mosaico sul pavimento era bianco con semplici ornamenti, le pitture alle pareti erano diverse per stile e colore da quelle del resto della casa e il soffitto sopra il letto era sempre a volta. 75 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Si affacciavano sul peristylium anche la cucina (culina) che, vista la sontuosità dei banchetti si potrebbe pensare fosse una stanza grande come sullo stile di quelle medievali, invece era il locale più piccolo e tetro della casa; uno sgabuzzino occupato quasi tutto da un focolare in muratura, invaso dal fumo che usciva da un buco sul soffitto vista l'assenza di fumaioli, con la presenza di un camino, un piccolo forno per il pane e l'acquaio. La cucina non aveva comunque una ubicazione fissa; a volte la si trovava anche che affacciava nell'atrium, ma è caratteristica costante che fosse stata sempre un ambiente piccolo e buio. Un aspetto comune delle cucine romane erano le casseruole e pentole di rame (o bronzo) fissate sulla parete in bella mostra, con accanto i colini; arricchivano la dotazione degli utensili i pestelli in marmo, gli spiedi, le padelle di terracotta, le teglie a forma di pesce o di coniglio. Il piano di cottura era costituito da un bancone in muratura dove veniva spianata la brace come in un barbecue; il fuoco si accendeva grazie ad un acciarino a forma di ferro di cavallo che, tenuto per la parte centrale, veniva fatto percuotere addosso ad un pezzo di quarzo tenuto fermo dall'altra mano; da innesco veniva usata una striscia di fungo legnoso del genere Fomes che cresceva sugli alberi e della paglia quando il fungo cominciava a rilasciare il calore ricevuto dalle scintille. Una volta calda la brace, su questa venivano posizionati dei treppiedi di metallo, come fornelli, dove sopra vi si mettevano le pentole e le marmitte. Annesso alla cucina c'era il bagno (balneus), riservato alla famiglia padronale, e le stanze della servitu' (cellae servorum); anche queste non avevano comunque una disposizione fissa (a volte, infatti, si trovavano nella parte dell'atrium). In epoca imperiale la domus si fornì anche di una seconda uscita di servizio detta posticum posta normalmente sul lato della parete più ampia della casa, per permettere il passaggio della servitù e dei rifornimenti senza ingombrare l'ingresso principale. A volte si sono rinvenute negli scavi archeologici delle Domus che, a differenza di quanto precedentemente descritto per lo schema costituivo classico, nella parte prospiciente la viabilità principale presentavano dei locali utilizzati, probabilmente in affitto, come tabernae. 76 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Sezione della Domus Romana Infine, non va dimenticato che nelle domus romane, nonostante fossero per ricchi, non erano presenti mobili, ma solamente piccoli armadi a muro (armarium) e bauli usati per riporvi i vestiti, i triclinium, e i letti (cubicula); pertanto, le decorazioni alle pareti presenti in abbondanza miravano ad arricchire lo spoglio ambiente. Lo splendore della casa quindi si notava principalmente dalla qualità di marmi, statue, e affreschi parietali. Da ricordare comunque tra l'arredo, le sedie, delle quali si conoscono molti tipi, come la sella o seggiola senza schienale, la sedia con schienale e braccioli (cathedra) e la sedia con un sedile lungo (longa). 77 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele La Insula La Insula Romana (Insulae), letteralmente isola romana (da cui deriva oggi il termine isolato), è il tipico esempio di casa popolare, dove viveva la grande massa della popolazione. Le insulae erano sorte nel IV sec. a.C., in stridente contrasto con le splendide abitazioni signorili (Domus), dall'esigenza di offrire alloggio, entro il ristretto territorio dell'Urbe (Vrbs), ad una popolazione in continuo aumento. « Vista l'importanza della città e l'estrema densità della popolazione, è necessario che si moltiplichino in numero incalcolabile gli alloggi. Poiché gli alloggi al solo piano terra non possono accogliere tale massa di popolazione nella città, siamo stati costretti, considerando questa situazione, a ricorrere a costruzioni in altezza. » (Vitruvio, De architectura, II, 8, 17) Nell'ipotesi che la Roma imperiale si estendesse per una superficie di circa 2.000 ettari, questa era largamente insufficiente per le abitazioni di una popolazione calcolata di quasi 1.200.000 abitanti. Esistevano una serie di edifici pubblici, santuari, basiliche, magazzini il cui uso abitativo era riservato a un esiguo numero di persone: custodi, magazzinieri, scribi ecc. Bisogna tener conto poi, nel restringimento dello spazio da utilizzare per le abitazioni, di quello occupato dal corso del Tevere, dai parchi e giardini situati sulle pendici dell'Esquilino e del Pincio, dal quartiere Palatino, riservato esclusivamente all'imperatore e infine dal vasto terreno riservato al campo di Marte i cui templi, palestre, tombe, portici occupavano 200 ettari dai quali però le abitazioni erano escluse per il rispetto dovuto agli dèi. Se si tiene conto dell’insufficiente sviluppo tecnico dei trasporti si può sostenere che i Romani fossero condannati ad abitare in limiti territoriali angusti, quali erano quelli fissati da Augusto e dai suoi successori. I Romani incapaci di adeguare il territorio abitativo all'aumento della popolazione, a meno di non frantumare l'unità della vita dell'Urbe, dovettero cercare come rimedio all'esiguità del territorio e alla strettezza delle strade cittadine lo sviluppo in altezza delle loro case. Solo dopo gli studi pubblicati ai primi del Novecento sugli scavi archeologici di Ostia e sui resti trovati sotto la scala dell'Ara Coeli, su quelli vicini al Palatino in via dei Cerchi, si è potuto avere la reale concezione della struttura della casa romana fino ad allora confusa con le case trovate negli scavi di Pompei ed Ercolano dove prevaleva la classica domus dei ricchi che era molto diversa dalle insulae che costituivano la maggioranza in Roma: tra queste ultime e le domus c'è la stessa differenza che oggi potremmo vedere tra un palazzo e un villino in una località di villeggiatura. 78 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Le insulae sfruttavano infatti, come gli attuali condominii, lo spazio in altezza arrivando a raggiungere nel periodo imperiale, il sesto piano (e oltre), come la famosa Insula Felicles che si elevava su Roma come un grattacielo. Le insulae divennero presto il tipo di abitazione piu' diffuso a Roma. Questi palazzi a più piani, alti oltre venti metri, erano divenuti così numerosi che Cicerone definiva Roma una città sospesa per aria. Esempio di Insula La costruzione delle insulae divenne presto un’attività lucrosa. Gli imprenditori edili (peraltro gli unici a cui era consentito il traffico su ruote anche di giorno), per guadagnare di più, costruivano edifici i più alti possibili, dai muri sottili e con materiali scadenti. Basti pensare che le insulae avevano muri maestri di spessore non superiore ai 45 cm (valore minimo previsto dalla legge) ed una superficie alla base di circa 300 mq, che, per gli sviluppi in altezza dell'edificio, erano del tutto insufficienti per assicurare la necessaria stabilità al palazzo (è stato valutato che ne sarebbero stati necessari almeno 800 mq). I proprietari poi, impararono altrettanto presto a suddividere i già angusti alloggi in celle ancor più esigue, vere tane, per accogliervi inquilini ancor più poveri: più appartamenti si ottenevano e più affitti si riscuotevano. Ogni insula arrivava a contenere così anche fino a 200 persone. Sovraffollamento, eccessiva sopraelevazione e materiali scadenti, fecero delle insulae abitazioni poco sicure, continuamente preda di incendi e di crolli, tanto da spingere l'imperatore Augusto a dover proibire ai privati di elevare queste costruzioni sopra i 60 piedi (circa 20 metri). Durante l'Impero però, dove la speculazione edilizia e la esigenze abitative crebbero con l'aumentare della popolazione, l'altezza di questi edifici superò di gran lunga il limite dei 60 piedi imposto da Augusto; il Giovenale nel II sec. d. C. affermava: “Guarda la massa torreggiante di quella dimora, dove, un piano sopra l'altro, si arriva al decimo”. 79 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Nel II secolo d.C., sotto l'imperatore Settimio Severo, le insulae erano 46.602, mentre le domus erano 1797. Il fenomeno dell'urbanesimo sempre crescente, la necessità di sfruttare lo spazio, la miseria di gran parte della popolazione cittadina determinarono, nel corso dei secoli, l'accrescersi di questo tipo di dimore che furono uno dei più chiari esempi di discutibile organizzazione municipale, ma anche di arricchimento personale. Per esempio, Crasso, il potente banchiere e triumviro, con le insulae accumulò ricchezze favolose vantandosi di non aver mai speso nulla per costruirle: per lui era più vantaggioso acquistare immobili danneggiati (o addirittura crollati) e messi in vendita a basso prezzo, procedere a sommarie riparazioni (spesso, con le stesse macerie del palazzo) e poi affittarli (a prezzi maggiorati). Era diventato famoso, infatti, per la rapidità con cui accorreva sul luogo di un crollo offrendo allo sfortunato proprietario dello stabile di comprarlo sul momento, ovviamente, a prezzo stracciato. La divisione sociale che nei tempi moderni esisterà per "quartieri" all'epoca dei romani esisteva per "piani" nelle insulae; contrariamente ad oggi, chi abitava al superattico era un povero, mentre chi occupava il primo piano era un benestante: più si saliva di piano e più si apparteneva ad una classe sociale bassa; questo, vuoi per motivi pratici (scomodità dovute all'altezza, impossibilità all'accesso diretto all'acqua, etc...), vuoi per motivi di sicurezza per i frequenti crolli e incendi (chi era ai piani bassi aveva piùpossibilità di salvarsi), vuoi perché' la vita nei sottotetti era terribile per la presenza di colombi, di perdite d'acqua dalla copertura e da un microclima pessimo (più caldo d'estate e più freddo d'inverno). Un affitto a Roma costava quattro volte di più che nel resto d'Italia. Pochi erano quelli che potevano permettersi una domus al pianterreno: al tempo di Cesare, Celio pagava un affitto annuo di 30.000 sesterzi. Ci si può fare un'idea dell'esosità degli affitti del tempo se si pensa che un moggio di grano costava tra i 3 e i 4 sesterzi e che le largitiones prevedevano in 5 moggi la quantità necessaria a una famiglia media per sostenersi per un mese e che il salario di un manovale era, ai tempi di Cicerone, di 5 sesterzi al giorno mentre quello di un professore di retorica di una scuola pubblica, ai tempi di Antonino Pio, ad Atene oscillava dai 24.000 ai 60.000 sesterzi all'anno che era la stessa cifra iniziale, che poteva però arrivare sino a 200.000 sesterzi annui, di un membro del consilium d'Augusto. La difficoltà di pagare l'affitto costringeva molti inquilini a subaffittare a loro volta le stanze non strettamente necessarie del proprio appartamento: più si saliva di piano, più la crescente povertà faceva aumentare la catena dei subaffitti, facendo prosperare l'affollamento e la promiscuità, e, quindi, la sporcizia, le malattie e le liti, trasformando la convivenza in una vera lotta per la sopravvivenza. 80 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Le insulae potevano essere divise sostanzialmente in due categorie: ce ne erano di tipo più signorile nelle quali alloggiava la classe media (funzionari, mercanti, piccoli industriali), e altre di tipo più popolare nelle quali viveva il proletariato; nelle prime il pianterreno costituiva un’unità abitativa a disposizione di un singolo locatario e assumeva l'aspetto e i vantaggi di una casa signorile, una piccola domus; nelle seconde, invece, il pianterreno era occupato da magazzini e botteghe, chiamati in generale tabernae, da "bar" (termopolia), in cui i bottegai (tabernarii) non solo lavoravano, ma vivevano e dormivano. In tutte, dal piano superiore in poi erano ubicati gli appartamenti, di varie dimensioni e spesso sub affittati. Ma vediamo nel dettaglio la disposizione urbanistica e la struttura di una tipica insula. Dettaglio Insula Il canone di affitto veniva pagato ogni sei mesi, il primo gennaio e il primo luglio. Poiché' gli affitti erano cari, i casi di inquilini morosi erano numerosi e di conseguenza erano numerosi anche gli sfratti. Ogni sei mesi, perciò, le strade di Roma, già affollatissime, si riempivano di una folla di sfrattati che, trascinando con se' i propri miseri averi, si aggirava alla ricerca di un alloggio e non di rado, l'unica soluzione era dormire sotto i ponti. 81 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele A Roma non vi era un piano regolatore (il primo venne predisposto da Nerone dopo il grande incendio di Roma, ma durò poco: la necessità di alloggi era più pressante), così la contingente necessità di dare alloggio ai suoi abitanti portò a non rispettare particolari regole sulle distanze da tenere tra gli edifici e sulla loro ubicazione; questo li portava ad essere spesso molto vicini tra loro, venendo a creare vicoli molto stretti (addirittura, raccontano gli antichi con ironia, che due dirimpettai potevano stringersi la mano) che, specie la sera, divenivano il rifugio ed il gabinetto di barboni, ubriachi, malintenzionati e senza tetto. A Roma non dormivano per le strade solo i barboni o gli ubriachi, ma anche intere famiglie di quella che oggi definiremmo la classe media, che non potendosi permettere il rincaro semestrale degli affitti (era questa la cadenza dei rinnovi contrattuali), in attesa di trovare un nuovo alloggio, si adattavano a dormire in uno dei numerosi vicoli. E' un equivoco comune, infatti, immaginare Roma con delle strade grandi; il nome di "via" veniva attribuito soltanto alle strade più larghe (da 4,8 a 6,5 metri circa), quelle che consentivano a due carri d'incrociarsi o superarsi senza toccarsi, e, nel centro di Roma, se lo guadagnavano solamente in due. Il resto erano una rete di viuzze (vici) e vie ancora piu' strette (angiportus), fino addirittura a diventare dei veri e propri "sentieri" di citta' (semitae). Questo deve far immaginare quanto fossero vicine fra loro queste insulae e di conseguenza, quanto fossero maleodoranti, rumorose e buie anche di giorno queste viuzze e angiportus. La struttura delle insulae poteva essere in legno o in muratura o mista (muratura i primi piani, e legno gli altri). Entrambi i tipi però, erano continuamente soggetti a incendi e/o a crolli, a causa, da un lato, dell'utilizzo indiscriminato di fiamme libere negli appartamenti per riscaldarsi (con i bracieri) e per cucinare (con dei piani di cottura a brace), e, dall'altro, della presenza di speculatori edilizi che risparmiavano su materiali di costruzione. Esternamente, quelle in muratura e miste, erano costituite da mattoni che venivano interamente ricoperti da un intonaco protettivo di colore bianco-crema, che le rendeva molto luminose, rischiarando di luce riflessa i vicoli e i portici circostanti (altrimenti bui). Per un'altezza di circa un metro e mezzo, lungo la base dell'edificio poteva correre una fascia di colore rosso pompeiano a dare da un lato eleganza all'insula, dall'altro svolgeva il non trascurabile compito di mascherare gli schizzi di fango, le manate e quanto potesse sporcare le bianche pareti. Scritte che manifestavano amore, invettive, sesso e sport, imbrattavano spesso i muri esterni e soprattutto interni delle insulae, praticamente come oggi! Sopra ogni finestra una linea di mattoni rossicci poteva emergere dall'intonaco bianco-crema, disegnando un piccolo arco, che dava un ulteriore tocco di eleganza alla struttura. 82 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Lungo il primo piano poteva correre uno stretto balcone, chiamato maenianum, che univa tutti gli appartamenti del piano: un piccolo lusso per i suoi proprietari, che consentiva di uscire a prendere un po' d'aria e di luce. Il lungo balcone del primo piano non era l'unico, ce ne potevano essere degli altri, di dimensioni minori e completamente di legno, ai piani superiori. I più fortunati avevano anche il privilegio di poter godere di logge in legno chiamate pergulae che sporgevano dall'edificio e che servivano ad ingrandire l'appartamento e a cogliere un po' di luce in più oltre che a poter "sbirciare" in strada senza essere visti. Il Piano Terra, abbiamo detto, era la domus, l'appartamento piu' signorile dell'insula. Non era grande come la domus del ricco romano, ma era di tutto rispetto. Quelle che sono giunte sino a noi, mostravano un primo ambiente di rappresentanza (un ingresso abitabile), un soggiorno (tablinum), una sala da pranzo (triclinium) e le camere da letto (cubicola). Le pareti erano molto colorate, come piaceva ai romani, che non disdegnavano farvi dipingere dei disegni classici o di fantasia, equivalenti ai nostri quadri. Anche l'appartamento al primo piano veniva considerato come abitazione di pregio, aveva molte finestre che davano tutte verso l'esterno, per prendere più luce possibile, che potevano avere anche i vetri, privilegio che potevano permettersi in pochi in quanto, all'epoca, materiale costoso e prezioso. I pavimenti padronali potevano essere ricoperti da mosaici in bianco e nero, costituiti da pietra calcarea (bianco) e basalto (nero), raffiguranti eleganti forme geometriche: quelli a colori e raffiguranti immagini umane o di animali erano più costosi, in quanto richiedevano materiali più pregiati (paste vitree colorate e marmi policromi) e maestranze di alto livello per la loro realizzazione. I pavimenti di servizio o destinati ai domestici erano normalmente costituiti, invece, da semplici lastre di terracotta, da mattoni a spina di pesce o da rivestimenti di cocciopesto (miscela di mattoni frammentati impastati con calce). Il modo in cui si mangiava in casa nella vita di tutti i giorni era esattamente come da noi oggi: seduti accanto a un tavolo. Ci si sdraiava sui triclini (come si vede spesso nei film) solo quando si organizzavano banchetti o durante le feste. Quello che manca, è la cucina come la intendiamo noi oggi: in questi appartamenti poteva essere posizionata in qualunque stanza o addirittura in un angolo, in quanto era costituita da un semplice braciere con dei treppiedi in ferro o in bronzo; unica accortezza era porla vicino ad una finestra, per evitare che il fumo invadesse più del normale l'appartamento. Proprio per questo motivo, per ridurre il pericolo di incendi e per avere una maggiore varietà di pietanze, non era inusuale che si facessero preparare i pasti dalla vicina taverna. 83 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele I Piani Superiori dell'insula erano raggiungibili tramite una scala interna, costituita da gradini di mattoni crudi, messi in fila. Ogni piano era composto da numerosi appartamenti (o meglio, come venivano chiamati a Roma, cenacula), piuttosto angusti, areati da finestre che si affacciavano sulla strada, ma l'aria comunque circolava poco, specie per le scale, dove probabilmente predominava l'odore di chiuso, di legna combusta e di cibi cotti; gli appartamenti erano per lo più di piccole dimensioni, con stanze strette, buie, fredde d'inverno e calde d'estate: le finestre infatti non avevano vetri (erano troppo costosi e se li potevano permettere solo i più benestanti) ma solo sportelli di legno, teli o pelli traslucide e quindi in inverno bisognava scegliere se bagnarsi con la pioggia e morire di freddo o stare al buio. Le stanze erano quasi senza mobili e non avevano funzioni specifiche come nelle domus: spesso, quindi, uno stesso locale fungeva da stanza da pranzo e da letto. In mancanza di spazio, anche il pianerottolo era abitato e tutta l'area era invasa da panni stesi su corde e travi. Mancavano, inoltre, di tubi di scarico, di gabinetti, di cucine e di riscaldamento. Le grandi fogne di cui Roma andava fiera non erano collegate alle abitazioni più affollate. La manutenzione dei piani era quasi assente, per cui lo sporco e il degrado la facevano da padrone. Non c'erano quindi molte comodità: solo gli appartamenti signorili del pianterreno erano collegati all'acquedotto e alla rete fognaria; gli altri erano senz'acqua (nonostante Roma ne' abbondasse) e senza servizi igienici. Bisognava fare numerosi viaggi per andare a prendere l'acqua alla fontana pubblica, nella piazza e, dopo tutta quella fatica, la si centellinava per bere, cucinare e spegnere principi d'incendi (come obbligava la legge), non "sprecandola" per lavare gli appartamenti (che infatti erano molto sudici anche per la fuliggine dei bracieri che si diffondeva nell'aria e si attaccava a pavimenti e pareti); era talmente un problema rifornirsi d'acqua che nacque la figura degli aquarii, una specie di "fattorini" considerati pochissimo (nella gerarchia degli schiavi erano ultimi) che prendevano l'acqua soprattutto per le famiglie più ricche o dal tenore di vita medio. L'urina veniva usata nelle fullonicae (lavanderie); tuniche, toghe, lenzuola, etc... per essere lavate, finivano in vasche riempite con acqua mista a sostanze alcaline come la soda, l'argilla smectica oppure l'urina umana. I panni posti in queste vasche venivano quindi pigiati per ore degli schiavi che simulavano il lavoro delle moderne lavatrici; poi, venivano sciacquati, battuti, e trattati con altre sostanze (come la creta fullonica) per infeltrirli e dar loro maggior consistenza; infine venivano stesi ad asciugare nei cortili o in strada per poi essere stirati sotto speciali presse. I panni bianchi subivano anche un trattamento speciale di candeggiatura, distendendoli su di una struttura a cupola alta meno di un metro, composta da archi di legno, che andava a ricoprire un braciere nel quale era stato messo a surriscaldare dello zolfo: si procedeva cosi' alla "zolfatura". 84 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Quanto ai rifiuti, "tutti" venivano eliminati di notte gettati giù dalle finestre o deposti in cisterne coperte in fondo alla tromba delle scale dove, periodicamente, venivano prelevate da contadini in cerca di letame o da spazzini (scoparii). Un'enorme giara (dolium) piazzata nei sottoscala serviva a raccogliere le urine degli affittuari degli appartamenti: ognuno di questi vi svuotava il proprio vaso da notte e poi qualcuno, passava a prelevare questo "prezioso" liquido. Si immagini quindi quale fosse il fetore di quelle case e come facilmente vi potessero creare le condizioni per la trasmissione di malattie di ogni genere. Era comunque abitudine gettare indiscriminatamente urina ed escrementi dalle finestre e il riceverli addosso non risparmiava nessuno (ne' ricchi ne' poveri); era diventato un tale problema che a Roma esisteva una severissima legislazione in merito: le pene variavano a seconda del danno causato (fisico o a vestiti). Tutto questo rendeva ancora più difficile di quanto già non lo fosse la vita in questi grandi palazzi: fumo, odori, promiscuità, sporcizia, affollamento e la stretta convivenza aggravata dall'assenza di ogni forma di privacy (pareti sottili e porte in legno scadente), portavano inevitabilmente allo scoppio di liti; per evitare che queste degenerassero in vere e proprie risse, nel condominio era stato istituito un vero e proprio "corpo di sorveglianza" costituito da schiavi e portieri (ostiarii) agli ordini di uno schiavo-capo che interveniva prima che accadesse il peggio. Il mestiere del portiere richiedeva doti molto spicce e decise, indispensabili per sedare risse e litigi tra gli inquilini. Spesso, quindi, era affidato a ex legionari o a schiavi fisicamente prestanti. I "fattorini dell'acqua" (aquarii), i portieri (ostiarii) e gli spazzini (scoparii) erano così funzionali al buon andamento delle insulae da essere venduti in blocco assieme allo stabile in caso di passaggio di proprietà dello stesso. Con queste abitazioni piccole, buie, senza servizi igienici, acqua e cucine, la stragrande maggioranza dei romani era obbligata a uscire di casa per usufruire di servizi pubblici collettivi: terme per lavarsi, latrine per i bisogni, di un thermopolium o di una popina (i nostri bar - tavola calda) per mangiare, etc... Le insulae romane costituirono l'esempio tipico di una società divisa in una classe di privilegiati e in un proletariato depresso. Diceva Petronio Arbitro in piena eta' imperiale: “La piccola gente se la cava male, perché le mascelle degli aristocratici fanno continuamente festa”. Ma gia' prima, in eta' repubblicana, Tiberio Gracco cosi' arringava il popolo: “Le bestie dei campi e gli uccelli del cielo hanno le loro tane ed i loro nascondigli, ma gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia godono soltanto dell'aria e del sole”. 85 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele L'insula, al centro, solitamente aveva un cortile con del verde e una fontana che riforniva gli inquilini. Il mobilio tipico della casa plebea e' semplice quanto quello della domus, troviamo principalmente: le cassepanche (capsa) usate per conservare sia vestiti che oggetti, dei piccoli letti (cubicula) spesso incassati nei muri, qualche sgabello (scabellum) per sedersi, un tavolo e talvolta degli armadi (che usualmente erano utilizzati per riporvi documenti e oggetti e non il vestiario come, invece, si usa fare oggi). Illuminazione e riscaldamento delle case romane L'illuminazione della casa romana lasciava molto a desiderare non perché non vi fossero finestre per illuminare e ventilare gli ambienti ma perché spesso le finestre delle case romane erano sprovvisti di quel lapis specularis, sottile lastra di vetro o di mica, di cui non sono stati ritrovati frammenti neppure nelle domus signorili di Ostia. Il lapis specularis veniva usato per chiudere una serra, o una sala da bagno o una portantina ma per le finestre delle case anche signorili si utilizzavano solitamente tele o pelli che lasciavano passare il vento e la pioggia oppure battenti in legno che riparavano meglio dal freddo o dal calore ma che non lasciavano passare la luce. Plinio il Giovane racconta come per ripararsi dal freddo era costretto a vivere allo scuro tanto che neppure si vedeva il bagliore dei lampi. Scavi delle terme di Juliomagus con le vestigia dell'Ipocaustum (riscaldamento da pavimento) Molto precaria era la condizione delle insulae per quanto riguarda il riscaldamento essendo impossibile accendere un fuoco come facevano i contadini nelle loro capanne con un'apertura in alto per far uscire il fumo e le scintille, né esisteva come si è per molto tempo creduto che l'insula avesse un riscaldamento centralizzato. Gli impianti di riscaldamento romani erano costituiti dagli ipocausi , uno o due fornelli alimentati secondo l'intensità o la durata della fiamma da legna, carbone vegetale o fascine e da un canale attraverso il quale passava il calore assieme alla fuliggine e al fumo che arrivavano nell'ipocausto adiacente, formato da piccole pile di 86 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele mattoni (suspensurae) attraverso il quale circolava il calore che scaldava il pavimento delle stanze sospese sopra lo stesso ipocausto. Le suspensurae non ricoprivano mai l'intera superficie degli ipocausti (hypocausta) per cui per scaldare il pavimento di una stanza occorrevano più ipocausi. Era quindi impossibile che questo sistema di riscaldamento potesse essere applicato in modo centralizzato a edifici a diversi piani mentre poteva essere utilizzato per riscaldare un vano unico e isolato come si vede nelle stanza da bagno delle ville pompeiane o nel calidarium delle terme. Né esistevano camini nell'insula. A Pompei solo in due casi in negozi di fornai sono state trovate qualcosa di simile alle nostre canne fumarie: una però era troncata e un'altra arrivava non al tetto ma a una stufa di un vano superiore. La mancanza di un sistema efficace di riscaldamento costringeva per riscaldarsi a usare bracieri portatili o montati su ruote con il pericolo costante di asfissia per i gas di monossido di carbonio e di incendio. Gli impianti idraulici delle case romane Come è sbagliato pensare che l'insula godesse di un impianto di riscaldamento centrale così è falso credere che nelle case dei romani vi fosse la comodità di avere a propria disposizione l'acqua corrente. Non bisogna dimenticare infatti che la fornitura dell'acqua a spese dello stato era stata concepita fin dall'inizio come un servizio pubblico, ad usum populi, a vantaggio della collettività e non dell'interesse privato. Quattordici acquedotti che portavano all'Urbe un miliardo di litri d'acqua al giorno, 247 vasche di decantazione (castella), le numerose fontane ornamentali, le grosse canalizzazioni delle case private hanno fatto pensare che nella case romane vi fosse una distribuzione di acqua corrente. Ma non era così: anzitutto solo con il principato di Traiano l'acqua (aqua Traiana) di sorgente fu portata sulla riva destra del Tevere dove la gente sino ad allora si era dovuta servire di quella dei pozzi. Poi anche nella riva sinistra le derivazioni collegate ai castella, venivano concesse dietro pagamento di un canone solo a titolo strettamente personale e per le terre agricole. Vi era molto rigore nella concessione di questi attacchi costosissimi all'acquedotto tanto che dopo poche ore dalla morte di chi ne usufruiva venivano immediatamente soppresse dall'amministrazione. Queste derivazioni poi riguardavano come al solito le case signorili della domus o dei pianterreni: nessuna colonna portante che possa far pensare che l'acqua fosse portata ai piani superiori è stata mai trovata negli scavi archeologici. I testi antichi 87 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele testimoniano questa situazione: nelle commedie di Plauto il padrone di casa si preoccupa di avere sempre una riserva d'acqua. Nelle Satire di Giovenale si indicano i portatori d'acqua (aquarii) come collocati all'ultimo gradino della schiavitù ma ritenuti così necessari che la legge della successione stabiliva che essi, con i portieri (ostiarii) e gli spazzini (scoparii), dovessero passare di proprietà assieme all'edificio. I vigili del fuoco poi imponevano ai padroni di casa di far trovare sempre delle riserve d'acqua pronte per spegnere gli eventuali incendi, obbligo questo inutile se vi fosse stata l'acqua corrente nelle insulae che proprio per questa mancanza, specie nei piani più alti dove ce ne era più bisogno, difettavano della pulizia necessaria, complicata dalla mancanza di fognature. Il sistema fognario di Roma Gabinetti pubblici in Ostia antica A tutti è noto il sistema fognario romano con la famosa Cloaca Massima, la più antica delle fogne romane, ancora funzionante, iniziate a costruire nel VI secolo a.C. e continuamente estese sotto la Repubblica e l'Impero. Il sistema fognario fu merito soprattutto di Agrippa che fece riversare nel sistema fognario anche l'acqua in eccesso degli acquedotti e che lo rese così spazioso che poteva essere percorso in barca. I romani tuttavia non la utilizzarono al massimo delle sue potenzialità, servendosene solo per eliminare i liquami delle abitazioni al pianterreno e delle latrine pubbliche. Mancano prove certe dagli scavi archeologici che i piani alti delle insulae fossero collegate al sistema fognario e i più poveri dovevano necessariamente, pagando una modesta somma, far uso delle latrine pubbliche gestite da appaltatori del fisco (conductores foricarum). Contrariamente a quello che si può pensare le latrine pubbliche erano dei locali arredati con una certa ricercatezza. Vi era un emiciclo o un rettangolo attorno al quale scorreva acqua in continuazione in canali davanti ai quali erano una ventina di sedili in marmo forniti di fori su cui si incastrava tra due braccioli raffiguranti dei delfini la tavoletta adatta alla bisogna. L'ambiente era riscaldato e ornato persino con statue. 88 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele I più poveri o avari si servivano invece degli orci sbeccati per l'uso e collocati davanti al laboratorio di un gualcheraio che usava così gratuitamente l'urina per il suo lavoro. Poteva esserci poi un recipiente apposito, se il proprietario aveva dato il consenso, collocato nel vano della scala, il dolium, dove inquilini potessero svuotare i loro vasi. Da Vespasiano in poi i commercianti di concimi acquistarono il diritto di svuotarli periodicamente. Nella Roma imperiale esistevano anche dei pozzi neri (lacus) che deturpavano la città non solo per gli evidenti motivi ma anche perché spesso le donne di malaffare vi gettavano o esponevano i loro neonati. Non si riuscì a liberarsi di questa sconcezza, se ancora sussisteva nella Roma del grande imperatore Traiano. Per quelli poi che non volevano affaticarsi ad andare ai luoghi di scarico o fare le ripide scale della loro insula, il metodo più facile per sbarazzarsi delle loro deiezioni era quello di buttarle in strada dalla finestra, con quale soddisfazione dei passanti è facile immaginare. Ma nella Roma dei giurisperiti si cercò in tutti i modi di cogliere questi sciagurati sul fatto organizzando delle sorveglianze apposite e di punirli duramente con le leggi che, tanto il reato era sentito dall'opinione pubblica, videro la dotta consulenza del grande giurista Ulpiano. La Villa Il termine latino usato dagli antichi scrittori per designare i fabbricati costruiti al di fuori delle città era villa, una parola che pare individuare uno spettro semantico piuttosto ampio: per i Romani, infatti, erano villae sia le fattorie destinate alla sola produzione agricola, da esse denominate rusticae, sia le lussuose residenze pensate per il riposo ed il tempo libero, le cosiddette ville d'otium. Tra questi due estremi vi erano naturalmente soluzioni intermedie: esistevano infatti sia ville produttive adeguatamente attrezzate anche per il soggiorno temporaneo sia ville di lusso comprendenti settori ideati per colture talvolta a carattere fortemente specializzato. Con il progressivo diffondersi presso le classi dirigenti italico-romane di raffinate abitudini di vita di origine greco-orientale si sviluppò inoltre, già a partire dal II secolo a.C., la consuetudine di edificare nell'ambito stesso delle città o nelle loro immediate vicinanze prestigiose ville: queste ultime dette urbanae, erano per lo più circondate da vasti giardini e godevano di una privilegiata posizione panoramica. Nella villa rustica vi erano due corti (cortes), una interna, l'altra esterna, e in ciascuna una vasca (piscina); la vasca della corte interna serviva per abbeverare gli animali, 89 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele l'altra, per alcune operazioni agricole come macerare cuoio, lupini, ecc. Attorno alla prima delle due corti sorgevano le costruzioni in muratura e formavano, tutte insieme, la villa rustica in senso più ristretto: cioè, la parte della fattoria dove abitavano i servi. Ne era il centro una spaziosa cucina (culina): giacché nella fattoria la cucina non è, come in città, la stanza in cui i cuochi attendono alla loro arte, ma luogo di riunione e di lavoro. Vicino alla cucina, in modo da poter usufruire del suo calore, erano le stanze da bagno per i servi, la cantina, le stalle dei buoi (bulina) e dei cavalli (equilia); se vi era posto, anche il pollaio, ciò per la credenza che il fumo fosse salutare al pollame. Lontani dalla cucina e possibilmente rivolti verso nord erano, invece, quegli ambienti che, per la loro destinazione, richiedevano un luogo asciutto, come i granai (granaria), i seccatoi (horrea), le stanze in cui veniva conservata la frutta (oporothecae). I magazzini più esposti al pericolo dell'incendio potevano anche costituire un edificio (villa fructuaria) completamente separato dalla villa rustica. Adiacente alla villa rustica vi era l'aia; lì vicino sorgevano alcuni capannoni, come la rimessa dei carri agricoli (plaustra) o il nubiliarum, un luogo in cui riporre provvisoriamente il grano in caso di improvviso acquazzone. E' incerto dove abitassero i servi: sappiamo, però, che vi erano le stanze da letto (cellae familiares), l'ergastulum, una specie di prigione in cui gli schiavi che scontavano una mancanza attendevano ai lavori più duri, e il valetudinarium per gli schiavi ammalati. Mancando la villa urbana, le stanze migliori venivano riservate al padrone. 90 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Pianta della villa rustica da Boscoreale A- corte B- cucina C- forno D- apodyterium E- tepidarium F- caldarium G- gabinetto H- stalla J- stanza di deposito per strumenti rustici K-L- cubicula M- passaggio N- stanza da pranzo O- stanza per il pane P- stanza del torchio del vino Q- corridoi R- cella vinaria S- fienile T- aia V- cubicula W- stanza per un torchio X- stanza con molino a mano Y- frantoio Z- stanza per la pressa La villa urbana veniva costruita in un luogo da cui si godesse ampiamente la vista della campagna o del mare; costruzione di puro lusso, non avendo come la fattoria uno scopo pratico né una funzione necessaria , questa villa nella complicazione e nella ricchezza dei suoi ambienti rispecchiava i gusti e attestava i mezzi di chi l'aveva edificata. Sulle coste della Campania, saldamente romanizzata, sorgono le prime ville di questo genere, per iniziativa degli Scipioni, i quali possedettero tutti ville d'otium intorno al Golfo di Napoli. 91 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele E' importante distinguere tra ville "costiere", poste in prossimità della linea di costa, ma prive di costruzioni sul mare, e ville "marittime", legate ai porti, peschiere o ad altre strutture. Le ville marittime, in particolare, godettero di largo favore presso l'aristocrazia romana soprattutto fra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., quando il possedere una villa con peschiere divenne, oltre che una moda, anche un simbolo di ricchezza. Da un punto di vista architettonico si possono individuare due sistemi fondamentali: da un lato le "ville a peristilio", che richiamano le planimetrie dei palazzi reali ellenistici e dall'altro le "ville a portico", che discendono dai modelli dell'edilizia domestica del mondo orientale. Questo tipo di villa fu il più utilizzato, nel mondo romano, per l'edilizia costiera, poiché meglio si adattava a seguire il pendio collinare e ad offrire un vasto panorama. Somme enormi erano profuse nell'allestimento delle sontuose ville: a riprova di ciò si diffuse un costoso hobby, la piscicoltura, tra i ricchi senatori, alimentando capricciose follie per l'allevamento di rarità ittiche; il termine "piscinarius" divenne sinonimo di vizioso scialacquatore. Ma la piscicoltura poteva rivelarsi anche un investimento oculato. Vi erano delle ville alle quali non era annessa una tenuta, ma sorgevano in limitate aree di terreno, in mezzo a boschetti, parchi e giardini; queste ville, che nei testi sono indicate anche col nome di praetoria, nell'età imperiale divennero numerosissime; se ne vedono i ruderi in Italia, in Francia, in Svizzera, nella Germania sud-occidentale, in Inghilterra, nell' Africa settentrionale. Lo spirito pratico dei Romani, buoni apprezzatori delle comodità della vita, fece giungere la villa romana dovunque erano penetrate le loro armi e la loro civiltà; ville grandi e comode, ben areate d'estate, ben riscaldate d'inverno. Queste ville presentavano i tipi compositivi più diversi. Gli scrittori antichi rilevano come caratteristica della villa urbana che in essa dal vestibolo si entra direttamente in un peristilio e non, come nelle case di città, nell'atrio. A partire dal I secolo a.C., in quanto simbolo del benessere ostentato dai proprietari, le ville ebbero architetture sempre più articolate, che ben rispondevano al desiderio di rappresentanza dei committenti. A queste esigenze di rappresentanza e di lusso va legata la presenza di un vero e proprio repertorio di soluzioni architettoniche, fra le quali per es. la ricorrenza di ambienti absidati, sempre più frequenti negli ultimi secoli dell’impero. Nella villa non potevano mancare gli ambienti termali, pertanto erano preferiti siti caratterizzati dalla vicinanza a un corso d’acqua o a un lago, che garantissero l’approvvigionamento idrico. 92 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Le parti più importanti della villa erano le seguenti: Triclini: ve n'erano per l'estate e per l'inverno, per grandi e piccoli ricevimenti; da grandi finestre lo sguardo dei commensali spaziava sul paesaggio circostante. Cubicula: non solo quelli destinati al sonno della notte, ma anche i cubicula diurna, per riposare durante il giorno o studiare; davanti al cubiculum poteva esservi un'anticamera. Stanze da studio: come la bibliotheca o la zotheca con quest'ultimo nome si intendeva un cubiculum adatto a salottino. Bagno: costruito come le grandi thermae pubbliche, ne aveva tutti gli ambienti essenziali: apodyterium, caldarium, tepidarium, frigidarium, cioè: spogliatoio, stanza per il bagno caldo, stanza d'aspetto e stanza per il bagno freddo; e inoltre la piscina per nuotare all'aperto e un area per far la ginnastica dopo il bagno (gymnasium sphaeristerium). Porticati: sorgevano un po' dappertutto, sostenuti da lunghe file di colonne, servivano per passeggiare al coperto se il tempo era cattivo (ambulationes) o, più larghi e lunghi, potevano essere percorsi a cavallo o in lettiga (gestationes). Calidarium.Pompei Colonne, porticato. Pompei 93 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele L'esempio più significativo di villa urbana è dato dalla Villa dei Misteri, costruita nelle immediate vicinanze di Pompei: accurate analisi delle strutture hanno permesso di dimostrare che l'edificio sorse intorno all'inizio del II secolo a.C. con la precisa destinazione a villa di riposo e di soggiorno, dal momento che il quartiere rustico fu aggiunto solo in età giulio- claudia. Il primo periodo di vita di questa costruzione non corrisponde ai celeberrimi affreschi che tuttora la adornano; è importante sottolineare il profondo legame con il paesaggio e alcune interessanti caratteristiche planimetriche. L'edificio sorgeva in declivio verso il mare, sul quale si apriva con eleganti ed ariosi saloni che offrivano incantevoli panorami del golfo: questi ambienti, collocati nel lato più a valle dell'intero complesso, erano sostenuti da un criptoportico che girava per tre lati, destinato a colmare il dislivello altimetrico fungendo da basis villae ( basamento della villa). La Villa dei Misteri era inoltre contraddistinta da un elemento che era comune a queste costruzioni: subito dopo l'ingresso si entrava in un peristilio, al quale seguiva un atrio, con un'inversione della normale successione presente nelle domus signorili di quest'epoca. Pianta della Villa dei Misteri. Pompei 94 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Villa dei Misteri, Pompei Portico, Villa dei Misteri, Pompei Dai secoli II-III d.C. nelle rappresentazioni di ville prevale l’aspetto della produzione agricola, aspetto che diventa decisamente determinante negli ultimi secoli dell’impero, quando in queste strutture si vide la possibilità di organizzare un piccolo centro autosufficiente che poteva essere ben difeso, anche con la realizzazione di mura. I luoghi del lavoro ben presto vennero distinti da quelli per la residenza: nell’impianto tradizionale la ‘pars urbana’ era destinata alla residenza del proprietario ed era edificata con criteri architettonici che la rendevano simile alle ricche domus urbane, ben differenti da quelli della pars rustica, dove i luoghi del lavoro, i locali di servizio, le stalle e gli spazi in cui si riparavano gli schiavi erano realizzati con materiali poveri e organizzati in ambienti di dimensioni ridotte. 95 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Realizzate in prevalenza nelle aree pianeggianti più fertili, in prossimità delle vie di comunicazione che portavano alle città e ai mercati, furono spesso vere e proprie aziende agricole, anche se non mancarono i casi con proprietà rurali poco estese. In Italia settentrionale non si affermò il modello tipico del Centro-Sud, della grande proprietà terriera (fundus) gestita col lavoro servile, bensì un insediamento piuttosto diffuso e basato sulla conduzione diretta, con piccole e medie proprietà gestite a livello familiare: le dimensioni limitate dei singoli siti permettono di spiegare la presenza di numerose ville, anche in territori poco estesi. Lo scarso ricorso alla manodopera servile porta a escludere d’altra parte, per le ville dell’Italia settentrionale, la presenza degli spazi tipicamente finalizzati all’alloggio e al controllo degli schiavi (o ne giustifica la limitata estensione). Nelle pianure del Nord Italia sono numerosi i casi di strutture di età romana attribuibili a ville, legate prevalentemente alla produzione di cereali e erbe foraggere, nonché all’allevamento stanziale: questi insediamenti insistevano sugli assi della centuriazione e si concentravano soprattutto nella bassa pianura. Nella maggior parte dei casi le strutture evidenziano un lungo periodo di vita, con differenti fasi e interventi di modifica e restauro; in alcuni casi questi insediamenti dovettero sviluppare una certa autonomia e trasformarsi in centri amministrativi, ai quali comunque era sovraordinato il controllo da parte del ‘vicus’, e talvolta si dotarono di aree sepolcrali. Nel passaggio fra romanità e Medioevo alcuni di questi insediamenti sopravvissero e si munirono di fortificazioni, trasformandosi in veri e propri nuclei di produzione e autoconsumo, ben difesi. 96 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele SVILUPPO DI UN CASO DI STUDIO – PERIZIA La sottoscritta Geom. Alice Pagnetti, iscritta al n. 1904 dell’Albo dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Pesaro-Urbino, è stata incaricata dal Sig. Montesi Tonino, proprietario, ed ivi residente, del fabbricato di civile abitazione sito in Mondolfo (PU), via Pergolese n. 57, di eseguire un sopralluogo tecnico allo scopo di esaminare le muffe manifestatesi nel fabbricato, le cause provocanti tale fenomeno, oltre alle opere di risanamento dell’immobile e consigli per la futura manutenzione dei luoghi. Stato dei Luoghi Il fabbricato è stato realizzato negli anni ’60 con struttura in muratura portante realizzata con blocchi in laterizio, formato doppio Uni 21 fori, e chiusura perimetrale con cordoli verticali ed orizzontali in c.a. I solai sono in latero-cemento con travetti in c.a. e pignatte in laterizio, con sovrastante getto in calcestruzzo. Gli infissi sono tutti in legno, ma di diverse tipologie: al piano primo sono in legno di abete con doppio vetro, oppure con vetro singolo ove è presente una controfinestra esterna in alluminio-vetro; nei locali al piano terra, realizzati negli anni ‘80, sono presenti infissi in legno di pino con doppio vetro. Il piano terra è adibito a servizi, quali garage, centrale termica, ripostiglio, ad eccezione del locale taverna e bagno, ampiamente utilizzati; al piano primo si sviluppa l’abitazione vera e propria, mentre al piano sottotetto, accessibile tramite una scala esterna posta sul retro, si trova la soffitta, priva di finiture ed impianto di riscaldamento. Si evidenzia che l’abitazione al piano primo ed i locali taverna, bagno e ripostiglio al piano terra, sono provvisti di impianto di riscaldamento tradizionale con termosifoni in ghisa, alimentato con caldaia murale a gas metano; sono state inoltre installate due stufe a legna, nella taverna e nella zona pranzo al piano primo. Dal sopralluogo in loco, si è potuto constatare la presenza di muffe all’interno della parete perimetrale rivolta verso Nord-Est, sia nella camera al piano primo, ove è presente in maggiore concentrazione, sia nel locale ripostiglio al piano terra. Nel ripostiglio al piano terra, ove la parete esterna è controterra, è già stato realizzato un intervento migliorativo, ovvero è stato demolito il vecchio intonaco interno e poi realizzato un intonaco traspirante a base di calce fino all’altezza di 1,20 ml. dal pavimento. L’intervento, a detta del proprietario, è risultato migliorativo, ma non si è rivelato risolutivo della situazione, in quanto ad oggi la muffa persiste, e si manifesta proprio nella porzione di parete “normale” che insiste sopra la fascia con intonaco a calce (foto n. 1-2). 97 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Nella camera ubicata al piano primo, la muffa è presente nello spigolo compreso tra le due pareti esterne, dal soffitto al pavimento, e prosegue diradata nella parete orientata a Nord-Est fino a concentrarsi in alto, a bordo del soffitto, come meglio illustrato nelle foto allegate (foto n. 3-4). Inoltre nella camera è presenta un’altra formazione di muffa, più difficile da riscontrare, in quanto è situata dietro al termosifone in ghisa, ubicato nella nicchia sotto la finestra, e nella porzione di parete sottosoglia sopra il termosifone (foto n. 5). E’ doveroso osservare che l’arredo della camera in questione è disposto con l’armadio a ridosso della muratura esterna rivolta a Nord-Est, dove oltretutto esternamente è presente una zona di ricovero legna (foto n. 6). Da una semplice analisi visiva si ritiene che la muffa presente nel ripostiglio e nella camera, su pareti, spigolo e soffitto sia dovuta al fenomeno della condensa, ovvero formazione di goccioline d’acqua dovuta al vapore presente nell’aria che condensa a contatto con pareti fredde. Il vapore acqueo eccessivo dell’aria si riversa quindi sulle superfici fredde, pareti esterne e maggiormente nei ponti termici, tipo cassonetti, bancali delle finestre, cordoli, pilastri in cemento armato, ecc… Nel nostro caso sono infatti presenti ponti termici strutturali, negli spigoli in alto ed in basso della stanza, e nella fascia di muratura tra la soglia dell’infisso ed il cordolo perimetrale di piano, cioè dove due materiali diversi, disomogenei, si incontrano, ed è presente un ridotto spessore di muratura. Determinazione degli Interventi La misura immediata più appropriata in caso di presenza ed odore di muffa è arieggiare con più frequenza creando corrente d’aria; la rimozione della polvere ha lo stesso scopo. In linea di principio, se ci sono problemi di umidità e muffa la causa va sempre chiarita e rimossa. Se il problema è risolvibile solo in tempi lunghi, a breve termine bisogna cercare di rendere meno acuta la situazione (es. arieggiare più spesso e produrre meno umidità). Per valutare empiricamente il grado di formazione della muffa basta guardare il colore: inizialmente è beige chiaro, poi passa al colore nero. Inoltre un altro indice è l’estensione della macchia, che assume con il passare del tempo dimensioni sempre più estese. Quando comincia a formarsi della muffa alle pareti, bisogna intervenire con urgenza per impedire che essa si propaghi sempre più. 98 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Le principali fasi sono le seguenti: 1. Lavare a fondo le muffe dal muro con un liquido antimuffa (oggi in commercio sono disponibili nuovi appositi prodotti in sostituzione dei classici rimedi impiegati per lungo tempo come alcol denaturato o candeggina), o con sostanze più naturali quali aceto, bicabornato, tea tree oil o acqua ossigenata al 3%, da applicare direttamente o nebulizzare sull’area; prestare attenzione a non grattare la muffa dai muri con spazzole o spatole, le spore della muffa si propagherebbero nell’aria, né risciacquare con acqua. Arieggiare per bene il locale fino a quando scompare ogni odore lasciando asciugare i muri. 2. Nei casi più gravi, ossia quando la muffa ha danneggiato la pittura o l’intonaco, dopo il lavaggio (far passare almeno 24 ore) bisogna raschiare le pitture e gli intonaci e stuccare le parti ammalorate. 3. Quindi dare almeno due mani di pittura antimuffa impregnando le pareti interessate e facendole asciugare per almeno 24 ore. 4. Infine applicare un additivo antimuffa specifico per idropitture (normalmente un flaconcino da 250 ml è sufficiente per additivare una latta da 14 lt. di idropittura). 5. E’ importante arieggiare i locali durante e dopo le operazioni di risanamento evitando di produrre polvere; e ricordarsi che solo dopo la pulizia generale della stanza è possibile azionare il deumidificatore, altrimenti contribuirebbe alla proliferazione delle spore fungine nell’aria. Per effettuare tali operazioni è opportuno indossare varie protezioni, quali tuta antiacido sopra ai vestiti e guanti in lattice ad alta resistenza chimica adatti a lavori con solventi ed acidi, mentre ai piedi bisognerà indossare degli stivali in plastica comuni, come quelli utilizzati per un acquazzone impetuoso. Molto importante è che la maschera da indossare sia quella indicata per questo lavoro, cioè quella efficace contro i vapori organici. Tali precauzioni sono strettamente necessarie in quanto è ormai certo che la formazione di muffa in locali d’abitazione può mettere a rischio la salute degli occupanti ed impone quindi un risanamento. Tuttavia, bisogna anche tener presente che durante i lavori di disinfestazione della muffa aumenta il carico di spore e componenti della muffa nell’aria interna. Per proteggere il più possibile la salute di chi esegue il risanamento e dei residenti è perciò necessario che tale operazione venga eseguita a regola d’arte, pertanto si suggerisce di rivolgersi a personale specializzato. Il risanamento può essere effettuato anche in modo autonomo, a condizione che l’incaricato non soffra di malattie respiratorie croniche, come l’asma cronica, o che abbia un sistema immunitario indebolito (pazienti che hanno ricevuto un trapianto, o affetti da cancro o HIV), ed inoltre abbia una minima attitudine ai lavori manuali. 99 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele In seguito alla rimozione della muffa ed in previsione di un intervento di miglioramento del comfort abitativo è necessario procedere con una verifica termografica, mediante una termocamera ad infrarossi, al fine di individuare esattamente dove si trovano difetti costruttivi, non visibili ad occhio nudo, dovuti alla mancanza di un adeguato isolamento termico o cagionati dall'utilizzo di materiali scadenti, provocanti quindi le dispersioni termiche di calore. - Esempio di Termografia - Per le pareti fredde è necessario migliorare la coibentazione con adeguati sistemi isolanti; la miglior soluzione è isolare le pareti dall’esterno (cosiddetto rivestimento a cappotto), ottenendo l’eliminazione di tutti i punti freddi e l’aumento della capacità di accumulo termico dell’edificio. In alternativa è possibile effettuare un isolamento delle pareti con facciata ventilata, ovvero lasciando una lama d’aria fra la parete perimetrale ed il rivestimento esterno dell’edificio: la lama d’aria, comunicante con l’esterno in basso ed in alto, grazie all’effetto camino favorisce l’instaurarsi di una ventilazione naturale tra il rivestimento e la parete. E’ importante considerare che il comfort abitativo dipende anche dalla traspirabilità delle pareti, oltre all’isolamento termico. A tal proposito è caldamente consigliata la sostituzione dell’intonaco interno della camera e del ripostiglio al piano terra con intonaco traspirante a base di calce (come già realizzato in una porzione del ripostiglio), i quali garantiscono ambienti asciutti, sani e disinfettati grazie al PH basico della calce, non consentendo a batteri e muffe di attechire alle murature e di proliferare. 100 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Il concetto di comfort ambientale viene così definito nel sito internet del Ministero della Salute, di cui si riporta un estratto della pubblicazione del 16 dicembre 2015, in materia di microclima e benessere termico, relativamente al tema dell’aria indoor: “Quando il corpo umano, con minimo impegno dei meccanismi di termoregolazione, non prova sensazione di freddo o di caldo, l’individuo viene a trovarsi in uno stato di soddisfazione nei confronti dell'ambiente detto "benessere termico". Tale condizione ottimale si verifica solo se i parametri ambientali temperatura, umidità relativa e velocità dell'aria sono opportunamente graduati. La ventilazione, può influenzare i parametri microclimatici e svolge un ruolo importante nel processo di termoregolazione del corpo umano e nel garantire situazioni di comfort ambientale. Benessere microclimatico e comfort ambientale si riferiscono alla condizione ambientale in cui l'aria interna è percepita come ottimale dalla maggior parte degli occupanti dal punto di vista delle proprietà sia fisiche (temperatura, umidità, ventilazione) che chimiche (aria "pulita" o "fresca"). Nella seguente tabella si riportano le condizioni microclimatiche ottimali di un ambiente, per attività fisica moderata (sedentaria), abbigliamento adeguato e in assenza di irraggiamento, in cui la maggioranza degli "occupanti", si trova in una sensazione di benessere termico. Condizioni microclimatiche ottimali Stagione Temperatura della’aria (T) Umidità Relativa (UR) Velocità dell’Aria (V) Inverno* 19-22°C 40-50% 0,01-0,1 m/s Estate* 24-26°C 50-60% 0,1-0,2 m/s *Il DPR 16 aprile 2013, n. 74, che fissa i criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva, prevede per gli edifici residenziali che la media ponderata delle temperature dell’aria, misurate nei singoli ambienti di ciascuna unità immobiliare, durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione invernale, non deve superare: 20°C + 2°C di tolleranza; durante il funzionamento dell’impianto di climatizzazione estiva, non deve essere minore di 26°C – 2°C di tolleranza.” 101 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele Non per ultimo, per il raggiungimento del benessere abitativo, vanno analizzate assieme agli utilizzatori dell’immobile, quali sono le abitudini, gli orari, ed i modi di utilizzo dei locali abitativi. Tali informazioni risultano molto importanti per comprendere se nel fabbricato viene fatto un corretto uso degli impianti, se viene eseguito un corretto ricambio d’aria, la fequenza con la quale vengono effettuate le pulizie, ecc…, tutti elementi che se seguiti con regolarità e correttezza nel modo in cui si vive l’abitazione, incidono notevolmente sulla qualità dell’aria indoor e del comfort ambientale. Nel caso in questione si è riscontrato che: - nel locale ripostiglio al piano terra è stato chiuso il termosifone, pertanto il locale non viene mai riscaldato; anche l’areazione e l’illuminazione naturale non sono garantite regolarmente; - nella camera al piano primo viene effettuata una buona ventilazione sia nel primo mattino che nel primo pomeriggio, ma il riscaldamento a gas viene attivato saltuariamente; l’illuminazione naturale in estate viene attenuata con una tenda solare, visto l’orientamento della finestra verso sud, tuttavia nella stagione invernale tale tenda non viene richiusa, perdendo così i benefici dell’illuminazione naturale invernale; - anche nel locale taverna non viene mai utilizzato il riscaldamento a gas mediante termosifoni, ma viene sfruttata la stufa a legna utilizzata quotidianamente nel primo mattino e nell’intero pomeriggio fino alla sera; - nel locale bagno non viene utilizzato il riscaldamento a gas, l’areazione è sufficiente in quanto è presente un finestrotto con anta a ribalta regolabile, quasi sempre aperto; anche qui è stato realizzato un intonaco a calce, come in altre zone, e non si è più ripresentata alcuna muffa. In conclusione, seppur l’analisi dell’abitazione non sia stata sviscerata approfonditamente, e non siano stati utilizzati apparecchi elettronici per il rilevamento della qualità dell’aria, si suggeriscono degli accorgimenti basilari per un corretto uso dei locali abitativi al fine di renderli più salubri: - ventilare i locali creando delle correnti d’aria: aprire le finestre per 1-5 minuti se la circolazione d’aria è sostenuta, oppure per 5-10 minuti qualora la circolazione fosse più tenue; tale operazione dovrebbe essere ripetuta dalle 2 alle 4 volte al giorno. Arieggiare indipendentemente dalle condizioni metereologiche, l’aria fresca esterna è sempre più asciutta di quella interna: più bassa è la temperatura esterna, minore dovrebbe essere la durata di ventilazione della casa, inoltre, più bassa è la temperatura dentro casa, più frequente dovrebbe essere la ventilazione; 102 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - in ogni abitazione sono presenti alcune stanze con elevati tassi di umidità, quali bagno, cucina e camere da letto; è un errore arieggiare queste stanze spalancando la porta che le collega con altri ambienti della casa perché, così facendo, invece di far uscire l’umidità dall’appartamento la si diffonde anche nelle altre stanze. Se le stanze sono particolarmente umide è meglio chiudere la porta e ventilarle abbondantemente aprendo la finestra; - se ci sono degli ambienti riscaldati vicino a locali non riscaldati è importante non far penetrare il calore in quest’ultimi (vedasi il ripostiglio al p.t.), ovvero tenere la porta chiusa; il vapore presente nell’aria riscaldata, infatti, può depositarsi sulla superficie fredda dei muri perimentrali della stanza non riscaldata e dare luogo alla formazione di condensa. Per questo motivo bisogna sempre evitare di lasciar raffreddare troppo le stanze; - evitare di asciugare la biancheria all’interno dei locali abitativi; - non collocare mobili di grandi dimensioni come armadi o pareti componibili lungo muri o angoli che danno sull’esterno; se non si può fare altrimenti lasciare una distanza di almeno 10 cm. tra i mobili e le pareti esterne (vedasi la camera al p.1); - non tenere mai locali non riscaldati, ad eccezione del garage e della soffita, concepiti come locali freddi; evitare di ritardare l’inizio del riscaldamento e mantenere una temperatura costante di 20°C mediante installazione di un termostato ambientale automatico collegato all’impianto di riscaldamento; è inoltre opportuno posizionare un rilevatore di umidità all’interno dei locali più utilizzati al fine di aerare subito il locale qualora l’umidità risulti superiore al 50%; - non fumare all’interno dell’abitazione; - al fine di prevenire un’intossicazione da monossido di carbonio (problema di sanità pubblica rilevante, seppur sconosciuto ai più) provvedere ad una manutenzione regolare dell’impianto termico da parte di personale qualificato, verificare la pervietà ed il tiraggio dei camini, non otturare le prese d’aria, e non utilizzare bracieri, barbecue e generatori di corrente in ambienti chiusi. Quelli elencati poco sopra sono minimi interventi attuabili nell’immediato, per i quali si può già riscontrare un miglioramento della salubrità dei locali; tuttavia non permettono di raggiungere il benessere microclimatico, in quanto il fabbricato, carente di coibentazione perimetrale, subisce una forte dispersione termica. Viene infatti consigliato come futuro intervento risolutivo la realizzazione di un rivestimento isolante a cappotto esterno, con abbinato isolamento dei cassettoni delle tapparelle negli infissi al piano primo, sostituzione degli infissi e taglio termico della soglia. 103 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele 104 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele 105 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - Fot o n . 1 - - Fot o n . 2 106 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - Fot o n . 3 - - Fot o n . 4 107 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele - Fot o n . 5 - - Fot o n . 6 108 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele CONCLUSIONI Abbiamo avuto modo di renderci conto che all’interno degli ambienti confinati, ed in particolare nelle case abitate da noi stessi, si possono creare delle problematiche che provocano conseguenze anche gravi sulla salute dell’uomo; spesso ancor di più per i bambini. Abbiamo anche visto che per noi professionisti del settore edilizio, le responsabilità civili e penali sono molto gravose, spesso anche per obiettive responsabilità che sono evidentemente e chiaramente a carico delle ditte che eseguono i lavori e che non rispettano le indicazioni di progetto e le corrette tecniche applicative e/o di costruzione. In sostanza il professionista deve con la propria esperienza, preparazione, sensibilità e professionalità prevenire e affrontare in fase progettuale, tra le molteplici questioni, la tematica della salubrità degli ambienti ed assicurarsi, nel corso dei lavori, che le soluzioni adottate siano adeguatamente realizzate, prima di tutto per una questione di serietà ed etica professionale, che non andrebbe mai svenduta come si vede frequentemente, ed inoltre per evitare delle responsabilità dirette in caso di contestazioni. Inoltre abbiamo analizzato il “variopinto” sistema giudiziario italiano, dove, i giudici emanando le loro sentenze, (a seconda del grado di giudizio) fanno giurisprudenza; considerando l’attuale paralisi politica e l’indifferenza alla tematica dell’edificio salubre da parte del Legislatore, si può addivenire che molto probabilmente sarà il decorso del tempo a suon di Sentenze a fare la storia e a “far nascere” una vera legislazione mirata e chiara in materia. “La salute dipende dall’ambiente in cui si vive.” Soffermandosi su questo concetto tutte le altre questioni passano però in secondo piano. Ecco che si individua lo scopo per cui abbiamo aderito a questo Corso, dopo il quale è completamente mutato in una vera e propria missione per trasmettere a tutti una nuova concezione di vivere gli ambienti di lavoro e domestici, al fine di aumentare il grado di felicità di ognuno e cercare di dare un piccolo contributo a rendere il mondo in cui viviamo un po’ più … vivibile. 109 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele BIBLIO/SITOGRAFIA - www.ilsole24.com - www.bosetti&gatti.eu - www.salute.gov.it - www.sportellodeidiritti.org - www.ambientediritto.it - ww.alètheia.it - www.condominioweb.it - www.wikipedia.org - www.messaggeroveneto.it - www.studiocataldi.it - www.lusletter.com - Andrea Carandini, Le Case del Potere nell'Antica Roma, Editori Laterza - Ugo Enrico Paoli, Vita romana, Le Monnier - John Bryan Ward-Perkins, Architettura Romana, Electa - Ranuccio Bianchi Bandinelli e Mario Torelli, L'arte dell'antichità classica, Utet - Alberto Angela, Una giornata nell'antica Roma. Vita quotidiana, segreti e curiosità, Rai Eri, Mondadori - Materiale Didattico del Corso Edificio Salubre - Appunti personali del Corso Edificio Salubre 110 Pagnetti Alice – Ascari Vittorio – Grossi Andrea – Berton Daniele