Lingue creole e lingue segniche - Dipartimento di Filosofia

S. Zucchi - Lingua dei segni e teoria linguistica
Lingue creole e lingue segniche
Alcuni linguisti (tra cui Fischer 1978; Edwards e Ladd 1984) hanno notato certe
affinità tra lingue creole e lingue segniche.
Queste affinità sono di diversi tipi:
• affinità che riguardano la struttura linguistica
• affinità che riguardano lo status della lingua
• affinità che riguardano il fenomeno della variabilità
Esaminiamo queste affinità una per una.
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Affinità che riguardano la struttura linguistica
Uno
Un aspetto condiviso da diverse lingue creole e lingue segniche è, l’uso per funzioni
grammaticali di parole con contenuto lessicale (Fischer, 1978).
Vediamo un esempio.
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Azioni compiute
In italiano, il passato remoto indica che l’azione descritta dal verbo è stata portata
a termine prima del momento in cui l’enunciato viene emesso.
Per esempio, se ora asserisco l’enunciato (1), ciò che asserisco è vero esattamente
a queste condizioni: Gianni ha portato a termine l’attraversamento della strada
prima di ora.
(1)
Gianni attraversò la strada
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Azioni in svolgimento
Invece, l’enunciato (2) può essere asserito in modo veritiero senza che Gianni
abbia portato a termine l’attraversamento della strada prima di ora:
(2)
Gianni stava attraversando la strada
Si pensi ad un caso malaugurato in cui Gianni è stato investito da un’automobile
e non ha potuto terminare l’attraversamento. In questo caso, possiamo ancora
affermare in modo veritiero che, ad un certo punto, Gianni stava attraversando la
strada. Per completezza di informazione dovremo però aggiungere
(3)
. . . quando è stato investito da un automobile
La costruzione “stava attraversando” in (2) è detta perifrastica progressiva passata.
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Indicatori aspettuali
Dunque, in italiano, abbiamo delle forme verbali, come il passato remoto, che
indicano che l’azione si è già conclusa nel momento in cui l’enunciato viene
proferito.
E abbiamo inoltre delle forme verbali, come la perifrastica progressiva passata,
che indicano invece che l’azione è in corso in un tempo che precede il momento in
cui l’enunciato viene proferito.
Forme che esprimono che l’azione è compiuta oppure è in corso sono detti talvolta
indicatori aspettuali.
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Indicatori di azione compiuta in alcune lingue creole
Creolo delle Mauritius
Lessificatore: francese
(4)
mo fin mahze
io finire mangiare
“ho mangiato”
Sranan Tongo
(creolo parlato in Surinam, costa settentrionale del Sudamerica)
Lessificatore: inglese
kba deriva da kaba “finire” (dal portoghese acabar )
(5)
mi waka
kba
io camminare finire
“avevo camminato”
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Indicatori di azione compiuta in alcuni pidgin
Tok Pisin
Lessificatore: inglese
pinis dall’inglese finish (“finire”)
(6)
mipela i ting
olsem
i mas dai
pinis
noi
lui pensiamo comunque lui deve morire finire
“noi pensiamo che lui debba essere morto”
Pidgin dell’Africa Occidentale
Lessificatore: inglese
don dall’inglese done (“fatto”)
(7)
a don kom
io fatto venire
“io sono venuto”
7
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Commento
Le parole “fin”, “kba”, “pinis”, “don” in queste lingue indicano che l’azione descritta
dal verbo è compiuta.
Ma sono anche parole con un contenuto lessicale che significa “finire” o “fatto”.
Dunque, mentre in italiano l’azione compiuta è indicata da certe forme del verbo
come il passato remoto, in queste lingue creole e pidgin si usa una parola con
contenuto lessicale per svolgere questa funzione grammaticale, cioè per indicare
che l’azione è compiuta.
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Lingue segniche
Esaminiamo ora alcuni fatti che riguardano la LIS.
Verbi U16, Tempi U1-2
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FATTO in LIS
A volte, in alcuni enunciati della LIS compare dopo il verbo un segno che indica
che l’azione descritta dal verbo è stata portata a termine prima del momento in cui
l’enunciato viene emesso.
Questo segno compare anche come verbo principale e significa finire. Di solito,
quando occorre dopo il verbo per indicare che l’azione del verbo è stata portata a
termine, questo segno viene glossato con FATTO.
Per esempio, un modo per tradurre gli enunciati (8-a) e (8-b) in lingua dei segni
italiana è di eseguire i segni che corrispondono alle glosse in (9-a) e (9-b):
(8)
(9)
a.
Gianni ha comprato una casa
b.
Gianni ha corso
a.
GIANNI CASA COMPRARE FATTO
b.
GIANNI CORRERE FATTO
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Commento
Il segno FATTO è dunque un esempio in LIS di segno con contenuto lessicale che
viene anche usato con una funzione grammaticale (cioè per indicare che l’azione
è stata portata a termine).
Dunque, FATTO è assai simile alle parole “fin”, “kba”, “pinis”, “don” nelle lingue
creole e pidgin che abbiamo visto. Anche queste sono parole con contenuto
lessicale che vengono usate per indicare che l’azione è stata portata a termine.
Elementi simili a FATTO sono presenti non solo nella LIS, ma anche in altre lingue
segniche, come ad esempio l’ASL (Fischer, 1978), il BSL (Edwards and Ladd,
1984) e la lingua dei segni israeliana (Meir 1999).
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Affinità che riguardano la struttura linguistica
Due
Un altro aspetto condiviso da diverse lingue creole e lingue segniche è l’uso di
elementi soprasegmentali al posto dei connettori per collegare le frasi (Fischer,
1978).
Vediamo un esempio.
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Condizionali nel pidgin della Melanesia
In italiano l’antecedente di un enunciato condizionale è collegato al conseguente per mezzo
della parola “se”:
antecedente
(10)
conseguente
Se vuoi diventare un dottore devi studiare molto
Slobin (1985) ha osservato che nel pidgin della Melanesia (la famiglia di pidgin che include
il tok pisin) i condizionali non sono collegati per mezzo di una parola come “se”. Invece, l’antecedente del condizionale è indicato da una intonazione speciale che assomiglia
all’intonazione di una domanda.
(11)
You like come one doctor? You gotta study hard.
“Se vuoi diventare un dottore, devi studiare molto”
In questo senso, nel pidgin della Melanesia il condizionale è indicato da un elemento
soprasegmentale, l’intonazione. Diciamo che l’intonazione è un elemento soprasegmentale
in quanto si accompagna a, è imposto su, un segmento della frase.
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Condizionali in LIS
In LIS, come nel pidgin della Melanesia, l’antecedente del condizionale non è
indicato per mezzo di una parola connettore come “se”. Come abbiamo già visto, è
indicato invece dall’espressione facciale e dalla posizione del capo: le sopracciglia
sono alzate e il capo è in avanti.
sopr.alzate, testa avanti
(12)
a.
SOLE
b.
“se c’è il sole, esco”
io − USCIRE
Dunque, anche in LIS, come nel pidgin della Melanesia, il condizionale è indicato
da un elemento soprasegmentale: l’espressione e la posizione del capo mentre
viene segnato l’antecedente.
Tipi di condizionali U1-2
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Affinità che riguardano la struttura linguistica
Tre
Un terzo aspetto condiviso da diverse lingue creole e le lingue segniche, secondo Fischer (1978), è la tendenza a usare l’ordine delle parole invece di morfemi
vincolati (affissi) per indicare il caso.
Vediamo cosa si intende con questo.
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Un quesito latino
Si consideri la frase latina in (13) (la riga sottostante glossa le parole latine in
italiano):
(13)
taurus agricolam fugat
toro contadino mette-in-fuga
Questo enunciato latino ha lo stesso significato dell’enunciato italiano (14):
(14)
il toro mette in fuga il contadino
Come facciamo a sapere che (13) vuol dire che è il toro che mette in fuga il
contadino e non il contadino che mette in fuga il toro?
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Ruoli tematici e caso
I
L’enunciato latino (13) vuol dire che il toro mette in fuga il contadino perché il caso
del nome “taurus” è nominativo (questo è indicato dal suffisso -us), mentre il caso
del nome “agricolam” è accusativo (questo è indicato dal suffisso -am).
(13)
taurus agricolam fugat
toro contadino mette-in-fuga
Dunque, in latino la forma del nome ci permette di stabilire se il nome è accusativo
o nominativo, e in questo modo ci permette di determinare chi compie l’azione
(agente) e chi subisce l’azione (paziente). In linguistica, ruoli come agente e
paziente sono detti ruoli tematici.
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Ruoli tematici e caso
II
Per dire in latino che il contadino mette in fuga il toro, dobbiamo usare il suffisso
del caso nominativo per la parola latina che corrisponde a “contadino” e quello del
caso accusativo per la parola latina che corrisponde a “toro”:
(15)
agricola taurum fugat
contadino toro
mette-in-fuga
“il contadino mette in fuga il toro”
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Ordine delle parole e caso
Il latino ha un sistema assai ricco di suffissi per esprimere i casi. Nei linguaggi
con un ricco sistema di morfemi per marcare i casi l’ordine delle parole è spesso
piuttosto libero. Per esempio, gli enunciati seguenti sono tutti grammaticali in latino
e significano che il toro mette in fuga il contadino:
(13)
taurus agricolam fugat
toro contadino mette-in-fuga
(16)
agricolam taurus fugat
contadino toro mette-in-fuga
(17)
fugat
taurus agricolam
mette-in-fuga toro contadino
I diversi ordini delle parole, in questo caso, hanno la funzione di mettere l’accento
su un elemento della frase piuttosto che su un altro.
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Morfemi per il caso in italiano e in inglese
Esistono anche lingue che hanno un sistema di morfemi per marcare i casi piuttosto
povero. L’inglese e l’italiano sono tra queste.
Si noti, per esempio, che, per sintagmi nominali come il contadino e il toro, il caso
nominativo e il caso accusativo non sono marcati esplicitamente in italiano.
In italiano il caso è marcato invece esplicitamente nei pronomi: per esempio “io” è
nominativo, “me” è accusativo.
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Ruoli tematici e ordine delle parole
In lingue con un un sistema povero di morfemi per i casi, l’ordine delle parole è spesso
meno libero che in latino. In queste lingue, l’ordine delle parole serve ad indicare il caso e
permette dunque di stabilire chi è l’agente e chi è il paziente.
Per esempio, in inglese, per dire che il toro mette in fuga il contadino diciamo:
(18)
the bull chases
il
the farmer
toro mette-in-fuga il
contadino
Mentre per dire che il contadino mette in fuga il toro diciamo:
(19)
the farmer
il
chases
the bull
contadino mette-in-fuga il
toro
In questo caso, la posizione nella frase dei sintagmi nominali the bull (“il toro”) e the farmer
(“il contadino”) ci dice quale dei due ha il caso accusativo e quale dei due ha il caso
nominativo, e questo ci permette di ricostruire chi è l’agente e chi è il paziente. Lo stesso
vale per l’italiano.
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In sintesi
Ordine delle parole e caso
• In lingue come il latino, il caso grammaticale è indicato da un ricco sistema di
morfemi.
• In lingue come l’italiano e l’inglese, invece, il caso è segnalato dall’ordine delle
parole.
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Lingue dei segni e caso
Le lingue segniche tendono a usare l’ordine delle parole per indicare il caso.
Per esempio gli enunciati italiani (20-a) e (20-b)
(20)
a.
Gianni ama Maria
b.
Maria ama Gianni
vengono segnati cosı̀ in LIS:
(21)
a.
GIANNI MARIA AMARE
b.
MARIA GIANNI AMARE
Ordine parole U1-U2
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Lingue Creole e ordine delle parole
Bakker (1994) riporta che “quasi tutte le lingue creole hanno un ordine delle parole
strettamente SVO.” Sebba (1997) non riporta casi di lingue creole con un sistema
di suffissi nominali per esprimere i casi. In queste lingue, il caso, e quindi i ruoli
tematici (agente paziente, ecc.), sono indicati dall’ordine delle parole.
Dunque, un altro aspetto che accomuna le lingue creole e le lingue segniche è
l’uso dell’ordine delle parole per indicare il caso.
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Una domanda per il linguista
Sulla base dei dati che abbiamo descritto è naturale porsi questa domanda:
• Perché le lingue segniche hanno questi aspetti in comune con le lingue creole?
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L’ipotesi di Fischer
S. Fischer formula questa ipotesi (condivisa anche da Edwards e Ladd) per spiegare come
mai le lingue segniche hanno delle somiglianze strutturali con le lingue creole:
“Woodward (1973), insieme ad altri, ha fatto notare che solo il 10% dei bambini
sordi ha dei genitori sordi. Anche se assumiamo che una grande maggioranza di
quel 10% sta imparando l’ASL come prima lingua, questo significa che il 90% dei
bambini sordi imparerà l’ASL ‘per strada,’ o più probabilmente nei dormitori delle
scuole residenziali per sordi. Se un bambino sordo di genitori udenti è davvero
fortunato, i suoi genitori. . . tenteranno di imparare l’ASL. Tuttavia, come persone
che imparano da adulti una seconda lingua, e come udenti che attribuiscono un
forte valore positivo all’inglese, la grande maggioranza userà una forma di pidgin
inglese segnato con i propri bambini, non l’ASL. Questo è anche ciò che la maggior
parte dei sordi userà in classe, ammesso che la lingua dei segni sia permessa a
scuola. . . . Dunque, la maggior parte dei bambini sordi è forzata a ricreolizzare
l’ASL a ogni generazione.”
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L’ipotesi di Fischer (schema)
• Nel caso dell’acquisizione delle lingue segniche, la lingua che viene trasmessa è, nella
maggior parte dei casi, una lingua semplificata. (Questo a causa del fatto che il 90%
dei sordi ha genitori udenti).
• Anche nel caso dei bambini che imparano un pidgin e danno vita a una lingua creola
la lingua trasmessa è una lingua semplificata.
• Essendo esposti ad una lingua semplificata, sia i sordi che i bambini che apprendono
un pidgin devono ‘inventare’ una lingua complessa basata sulla lingua semplificata a
cui vengono esposti (la maggior parte dei bambini sordi ripete questo processo ad
ogni generazione).
• Questa è dunque la causa delle affinità tra lingue segniche e lingue creole: i sordi
che imparano una lingua segnica, cosı̀ come i bambini udenti che imparano un pidgin,
devono elaborare una lingua complessa sulla base di una lingua ‘semplificata.’ Le
strategie per elaborare questa lingua complessa, quali che siano, sono evidentemente
le stesse per i bambini udenti e i bambini sordi.
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Un’obiezione
L’idea che i bambini sordi compiano un processo di creolizzazione ad ogni generazione non è accettata da tutti gli studiosi.
Sebba (1997) solleva questa obiezione all’ipotesi della ricreolizzazione.
Se i bambini sordi ricreolizzassero la lingua ad ogni generazione, oltre che delle
somiglianze, dovremmo aspettarci delle forti differenze strutturali nelle lingue dei
segni di generazioni diverse.
Non è cosı̀. Dunque, il processo di apprendimento delle lingue segniche non
può essere assimilato alla creazione di una nuova lingua in presenza di un input
frammentario, come nel caso delle lingue creole.
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Una conclusione provvisoria
Pare plausibile supporre che le affinità tra lingue creole e lingue segniche dipendano
in qualche modo dal fatto che ambedue sono lingue ‘speciali’ dal punto di vista
dell’apprendimento, ambedue vengono apprese in condizioni diverse da quelle in
cui vengono apprese le lingue parlate standard.
Ma non è chiaro quali siano esattamente i meccanismi che determinano queste
affinità. In particolare, non è ovvio che sia corretto supporre che i bambini sordi
‘reinventano’ la lingua ad ogni generazione.
Per il momento, dunque, possiamo solo concludere che la ragione dell’esistenza
di tratti comuni tra lingue creole e lingue segniche è ancora una questione aperta.
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Affinità che riguardano lo status della lingua
Edwards e Ladd hanno osservato che lingue creole e lingue segniche, oltre ad
avere strutture simili, hanno anche uno status simile (la stessa osservazione era
anche implicita nel passo di Fischer che abbiamo citato).
Vediamo cosa si intende esattamente con questo.
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Lo status delle lingue creole
Sebba (1997) afferma:
“Le lingue creole e pidgin hanno quasi sempre uno status ‘basso’, anche
quando sono le lingue della maggioranza. Tipicamente c’è una situazione di
diglossia in comunità in cui si parlano le lingue pidgin e creole. In una situazione
diglossica, una lingua (la lingua ‘alta’) verrà usata per le funzioni ‘importanti’
. . . come l’amministrazione, l’educazione e la cultura ‘alta’. . . . La lingua ‘bassa’ in questo caso il pidgin o la lingua creola - sarà usata per altre funzioni associate
alla vita quotidiana e alla comunicazione all’interno della famiglia. . . . È probabile
che l’intera società consideri il pidgin o la lingua creola come la lingua delle classi
sociali inferiori e come appropriata solo per funzioni ritenute meno importanti. . . .
Naturalmente, la questione dello status è strettamente connessa alla questione
di chi detiene il potere in una società particolare in cui una lingua creola o pidgin
è parlata. . . . Nei tempi coloniali, i padroni delle colonie . . . erano in grado di
definire il linguaggio standard della comunità dei colonizzatori come la norma, e i
linguaggi locali, inclusi i pidgin e le lingue creole, come inferiori o al di sotto dello
standard. . . ”
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Alcune opinioni sul Creolo delle Indie Occidentali
riportate da Edwards e Ladd
• “idioma barbaro”
(da Chambre 1858)
• “infantile”, “trascurato e sciatto”, “privo di grammatica appropriata”, “molto rilassato, come il modo in cui camminano”
(dal Rapporto del gruppo di lavoro sugli studenti delle Indie Occidentali, 1970,
a cura dell’Associazione degli Insegnanti di Inglese per Studenti di Oltremare
(ATEPO), Filiale di Birmingham)
• “non fornisce una base adeguata per il pensiero astratto”
(da un esperimento su un gruppo di insegnanti riportato in Edwards 1976)
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Alcune opinioni sulle lingue segniche
• “. . . la voce è l’interprete del cuore, il segno delle passioni e della concupiscenza.” (da J. K. Amman Dissertatio de loquela, 1700)
• “violazione delle regole di sintassi; flagrante violazione delle forme grammaticali, inversione di elementi diversi. . . un gergo di parole”.
(Cochrane 1871)
• “rallentano il pensiero”, “decisamente troppo concrete e frammentate” (van
Uden, A World of Language for Deaf Children, 1970)
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Lo status dell’ASL
Oliver Sacks in Seeing Voices, un testo del 1989, descrive cosı̀ la situazione
dell’American Sign Language negli Stati Uniti:
“Ancora oggi si preferisce l’uso dell’inglese segnato∗ , in questa o quella
forma, all’uso dell’ASL. L’istruzione impartita ai sordi, quando si avvale di
segni, usa per lo più l’inglese segnato; la maggior parte degli insegnanti
per sordi, se mai conosce dei segni, conosce l’inglese segnato e non l’ASL.
E i piccoli riquadri che appaiono sugli schermi televisivi usano tutti l’inglese
segnato e non l’ASL. Cosi, un secolo dopo il congresso di Milano,∗∗ i sordi
sono ancora in grandissima parte privati della loro lingua madre.”
∗
Sistema di segni che traduce parola per parola la frase inglese, inclusi gli affissi e
i suffissi.
∗∗
Congresso per l’Educazione dei Sordi, che nel 1880 votò contro l’uso dei segni
e in favore dell’istruzione orale.
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Lo status della LIS
Elena Radutzky nel 1989 descrive cosı̀ la situazione della lingua italiana dei segni:
“Il linguaggio dei segni non è usato nelle scuole, non è accettato nei circoli
ufficiali, o al lavoro. Non esiste un accesso speciale ai programmi televisivi, con l’eccezione dei sottotitoli per alcuni film. I programmi non sono
interpretati nella lingua dei segni. Gli interpreti di solito non sono richiesti,
neppure a riunioni in cui l’individuo sordo, anche quello che è abile a leggere le labbra, non può seguire.”
(da E. Radutzky, La Lingua Italiana dei Segni: Historical Change in the Sign
Language of the Deaf People in Italy, tesi di PhD, New York University)
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Affinità che riguardano la variabilit à
Una terzo fenomeno che accomuna lle ingue segniche a molte lingue creole è
quello della variabilità.
Vediamo in che cosa consiste.
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Un esempio di variabilità nella lingua creola giamaicana
Si consideri l’enunciato seguente dell’inglese standard:
(22)
I am eating
“io sto mangiando”
Sebba (1997) riporta che ci sono cinque modi possibili in cui i giamaicani esprimono la frase inglese
in (22):
(23)
a.
I is eatin’
b.
I eatin’
c.
me eatin’
d.
me a eat
e.
mi a nyam
Il modo di esprimersi in (23-e) è il creolo giamaicano più ‘puro’, quello più ‘lontano’ dall’inglese
standard. Infatti, (23-e) differisce dall’inglese standard sia lessicalmente (nyam invece di eat), che
morfologicamente (me invece di I), che sintatticamente (la particella progressiva a invece del verbo
to be con il suffisso progressivo ing). (23-a) è invece la forma più vicina all’inglese standard.
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Un continuum linguistico?
Nella lingua creola giamaicana, la variabilità illustrata dall’esempio precedente è
assai diffusa.
Questo ha indotto alcuni ricercatori a parlare di ‘continuum post-creolo’ di dialetti.
Per esempio, De Camp (1971) afferma:
. . . nessuno può negare l’estrema variabilità dell’inglese giamaicano. . . . In
Giamaica non c’è un solco netto tra il creolo e lo standard. C’è invece un
continuum linguistico, uno spettro continuo di varianti di modi di parlare. . . Ogni parlante giamaicano fa uso di una porzione di questo continuum, l’ampiezza di questa porzione dipende dall’ampiezza dei suoi contatti
sociali.
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Basiletto, mesoletto, acroletto
Per riferirsi alle diverse varianti del creolo giamaicano, alcuni linguisti hanno introdotto i
termini basiletto, mesoletto, acroletto:
• L’acroletto è la variante più simile alla lingua standard (all’inglese, per il giamaicano).
• Il basiletto è la variante più distante dalla lingua standard.
• Il mesoletto è costituito dalle varianti che si collocano tra il basiletto e l’acroletto.
Secondo questa classificazione, la frase (23-a) appartiene all’acroletto, mentre la frase
(23-e) appartiene al basiletto:
(23)
a.
I is eatin’
b.
I eatin’
c.
me eatin’
d.
me a eat
e.
mi a nyam
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Decreolizzazione
Non tutte le lingue creole esibiscono il tipo di variabilità del creolo giamaicano.
Per esempio, lo sranan, una lingua creola il cui lessificatore è l’inglese (come per il
creolo giamaicano), non mostra affatto uno spettro di varianti che possono essere
ordinate secondo la loro distanza dal lessificatore. Tutte le varianti di Sranan sono
estremamente diverse dall’inglese.
Questo dipende evidentemente dal fatto che, mentre in Giamaica l’inglese ha continuato ad essere presente e ha influenzato il creolo giamaicano, in Surinam (l’area
dell’America del Sud dove si parla lo sranan) l’inglese è scomparso da secoli e
dunque lo sranan non è rimasto in contatto con il linguaggio lessificatore.
D. Bickerton chiama decreolizzazione il processo storico per cui una lingua creola
diventa più simile al lessificatore a causa di pressioni di carattere sociale.
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Attenzione
Il rimanere a contatto con il lessificatore, mentre è una condizione necessaria
affinché si determini un continuum postcreolo, non è una condizione sufficiente.
Vale a dire. . .
non esistono lingue creole che hanno sviluppato una variazione simile a quella del
creolo giamaicano senza essere rimaste a contatto con il linguaggio lessificatore;
esistono però delle lingue creole che sono rimaste a contatto con il linguaggio
lessificatore che non hanno sviluppato un continuum. Per esempio, come osserva
Sebba, il creolo haitiano è rimasto in contatto con il lessificatore (il francese) senza
sviluppare un continuum.
Le ragioni di questa differenza tra creolo giamaicano e creolo haitiano rimangono
da spiegare.
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Altri tipi di variazione
L’esempio dello sranan mostra che esistono tipi di variazione nelle lingue creole
che non sono classificabili rispetto alla dimensione della distanza dal lessificatore.
Le varianti di una lingua creola, cosı̀ come le varianti di lingue quali l’italiano,
l’inglese, ecc., possono riflettere ad esempio delle differenze geografiche: una
certa variante viene usata in una certa area geografica, un’altra variante in un altra
area geografica.
Altre varianti possono avere a che fare con l’uso di un registro stilistico ‘alto’ oppure
di un registro stilistico ‘basso’ (la variante ‘alta’ viene usata in situazioni di carattere
formale, la variante ‘bassa’ in situazioni informali).
Ecc.
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Scelta di una variante e code switching
I parlanti di una lingua creola, in alcuni casi, possono scegliere di passare da una
variante della lingua ad un altra. A volte questo può accadere nel corso della stessa
interazione comunicativa.
L’alternanza tra lingue o varianti di una lingua nel corso della stessa interazione
comunicativa è detta cambiamento di codice (code switching).
La scelta di una variante al posto di un’altra può avvenire per ragioni diverse. Per
esempio, una certa variante può essere adottata per segnalare l’appartenenza ad
un certo gruppo sociale. Oppure può essere scelta in funzione dell’interlocutore (se il parlante pensa che una certa variante sia più comprensibile di un’altra
all’interlocutore).
Casi di scelta di una variante e code switching, naturalmente, possono aver luogo
anche nel caso di lingue che non sono lingue creole.
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Scelta di una variante
Un esempio dal norvegese
Blom e Gumperz (1972) riportano che nel villaggio di Hemnes, nella Norvegia settentrionale, si parlano due varianti distinte di Norvegese, il dialetto locale ranamål
e una delle forme di norvegese standard, il bokmål:
(24)
da dove vieni?
ke du e ifrå
vor ær du fra
(ranamål)
( bokmål)
Il bokmål è usato in situazioni ‘ufficiali’, ma non viene usato tra i locali in situazioni
non formali. In queste situazioni il ranamål viene usato.
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Code switching
Milanese/italiano
(25)
“Eh, a Milan l’è un’altra roba, sveglia alle sette, doccia, e giù in fabbrica a
lavorar come matti.” (da R. La Capria, Ferito a morte).
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Fischer sulla variazione in ASL
Fischer (1978) afferma che nella lingua dei segni americana (ASL) è riscontrabile una variazione analoga a quella riscontrata in lingue creole come il creolo
giamaicano.
Secondo Fischer, esistono cioè varianti di ASL che sono più distanti dalla lingua
standard (l’inglese) e varianti dell’ASL più vicine alla lingua standard.
Qui vedremo un esempio di un fenomeno simile nel caso della LIS.
Frasi con avverbi U1-10
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Variazione in LIS
Avverbi
Esistono due modi in cui un segnante può esprimere l’enunciato (26):
(26)
Gianni parla dolcemente
(27)
a.
GIANNI PARLARE DOLCE
espressione dolce
b.
GIANNI PARLARE
La traduzione (27-a) è evidentemente più vicina all’italiano: cosı̀ come nella frase
italiana l’avverbio è espresso da una parola che segue il verbo, in (27-a) l’avverbio
viene segnato manualmente dopo il verbo.
La traduzione (27-b) è meno vicina all’italiano: l’avverbio viene segnato per mezzo
di un elemento soprasegmentale, l’espressione (e attraverso il movimento più lento
del segno PARLARE).
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LIS e italiano segnato
Nel caso degli avverbi, diversi segnanti hanno indicato chiaramente che, pur essendo
consapevoli che altri segnanti esprimono il significato di avverbi come “dolcemente” o
“lentamente” attraverso segni manuali che seguono il verbo, questa scelta non è accettabile
per loro, in quanto è semplicemente un tentativo di replicare la struttura della frase italiana.
Questi segnanti usano invece le componenti non manuali per segnare questi avverbi.
Questo suggerisce che l’uso di segni manuali per avverbi come “dolcemente” o “lentamente” sia una forma di ‘italiano segnato’: l’uso di questi segni manuali sarebbe cioè
determinato dalla percezione che il modo di segnare corretto è quello che si avvicina di più
alla lingua standard, cioè all’italiano.
Molti segnanti considerano più opportuno riservare il termine “Lingua dei Segni Italiana”
per il sistema segnico che segue meno da vicino la struttura della frase italiana (quello
che corrisponde al basiletto, secondo la terminologia adottata per le lingue creole) e usare
altri termini come “Italiano Segnato” per riferirsi a modi di segnare più vicini alla struttura
dell’italiano.
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Un’altro caso di variazione
Un altro caso di variazione in LIS riguarda l’ordine delle parole.
Vediamo in cosa consiste.
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La LIS come lingua SOV
Per i segnanti che avete visto, l’ordine di base delle parole in LIS è SOV. Questo è l’ordine
che questi segnanti hanno prodotto spontaneamente quando gli è stato chiesto di tradurre
gli enunciati italiani. Per esempio, questi segnanti traducono la frase italiana (28-a) con
(28-b):
(28)
a.
Gianni ama Maria
b.
GIANNI MARIA AMARE
Gli altri ordini per segnare (28-a), in assenza di pause o altri meccanismi che indicano una
diversa struttura frasale, sono considerati anomali da questi segnanti:
(29)
a.
*MARIA GIANNI AMARE
b.
*GIANNI AMARE MARIA
c.
*AMARE GIANNI MARIA
d.
*AMARE MARIA GIANNI
e.
*MARIA AMARE GIANNI
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Dati contrastanti
Laudanna (1987) e Volterra e Laudanna (1984) riportano dati diversi riguardo
all’ordine delle parole in LIS.
Questi dati si basano sia su giudizi di segnanti riguardo all’accettabilità di certi
enunciati in LIS che su enunciati prodotti da segnanti per descrivere alcune figure
mostrate nel corso di un esperimento.
Per presentare questi dati, dobbiamo prima introdurre una distinzione.
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Frasi reversibili
Prendete di nuovo la frase (28-a):
(28)
a.
Gianni ama Maria
In questa frase, l’ordine delle parole indica chi compie l’azione e chi la subisce:
Gianni è l’agente e Maria il paziente. Se invertiamo l’ordine di soggetto e oggetto,
si invertono anche i ruoli tematici. Per esempio, in (30) Maria è l’agente e Gianni il
paziente:
(30)
Maria ama Gianni
Enunciati in cui invertendo l’ordine degli argomenti del verbo si invertono i ruoli
tematici sono dette frasi reversibili.
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Frasi irreversibili
Non tutte le frasi si comportano come le frasi reversibili. Prendete la frase (31-a).
In questa frase, Gianni è l’agente e il cinema è il luogo verso cui tende il movimento.
(31)
a.
Gianni va al cinema
In questo caso, tuttavia, se invertiamo l’ordine degli argomenti del verbo, non
otteniamo affatto una frase in cui i ruoli tematici sono invertiti, ma otteniamo una
frase anomala:
(32)
il cinema va a Gianni
Enunciati in cui invertendo l’ordine degli argomenti del verbo si ottiene una frase
anomala sono dette frasi irreversibili.
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I dati di Laudanna e Volterra
Laudanna e Volterra riportano che alcuni segnanti adottano ordini diversi secondo il tipo
di frase. Per questi segnanti, l’ordine di gran lunga prevalente negli enunciati reversibili
è SVO, mentre negli enunciati irreversibili si riscontra anche una presenza significativa
dell’ordine SOV.
Per esempio, questi segnanti usano solitamente (28)c per esprimere (28)a, mentre per
esprimere (31)a usano (31)b:
(28)
(31)
a.
Gianni ama Maria
c.
GIANNI AMARE MARIA
a.
Gianni va al cinema
b.
GIANNI CINEMA ANDARE
Dunque, nel caso delle frasi reversibili, questi segnanti adottano prevalentemente un ordine
delle parole più simile all’italiano.
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Una domanda
Come possiamo riconciliare i dati riportati da Laudanna e Volterra con il fatto che
molti segnanti considerano invece SOV come l’ordine di base della LIS?
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Un’ipotesi
Un’ipotesi possibile è che, come per l’occorrenza di segni manuali per “dolcemente”
o “lentamente,” l’occorrenza dell’ordine SVO tra alcuni segnanti sia un tentativo di
conformarsi all’ordine di parole dell’italiano. Dal momento che l’italiano è la lingua
dominante ed è una lingua SVO, l’ordine SVO verrebbe percepito come più ‘corretto’
da questi segnanti.
Geraci (2002) ha suggerito che la pressione per conformarsi all’ordine delle parole
della lingua standard sarebbe più forte per gli enunciati reversibili (“Gianni ama Maria”) in quanto per questi enunciati l’ordine delle parole è cruciale per determinare
l’interpretazione della frase (chi compie l’azione e chi la subisce).
Questo spiegherebbe la maggiore occorrenza dell’ordine SVO per gli enunciati
reversibili. Vale a dire, secondo questa ipotesi, la strategia seguita dai segnanti di
Laudanna e Volterra sarebbe quella di attenersi all’ordine delle parole della lingua
standard quando l’ordine delle parole è determinante per l’interpretazione.
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Lingue segniche e lingue creole
Riassumendo
Abbiamo condotto un esame parallelo delle lingue segniche e delle lingue creole.
• Abbiamo mostrato che certi aspetti delle lingue segniche, che a prima vista potrebbero sembrare peculiarità delle lingue visivo-gestuali, sono invece
riscontrabili anche in lingue uditivo-vocali, come appunto le lingue creole.
• Abbiamo utilizzato alcune nozioni che sono state introdotte nello studio delle
lingue creole per analizzare fenomeni analoghi nelle lingue segniche.
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Letture
• S. Pinker, L’istinto del linguaggio, cap. 2, pagg. 33-39
• R. Jackendoff, Linguaggio e natura umana, cap. 10, pagg. 126-130