VERSIONI Dl RICAPITOLAZIONE GENERALE Dall’italiano Adrasto e Creso Gli dèi avevano predetto a Creso in sogno la morte del figlio e avevano indicato (come) causa della morte la lancia. Pertanto il re aveva asportato dalla camera del figlio tutte le armi; inoltre tenne lontano il figlio con ogni cura da tutte le gare e dalle contese. Ma poiché una volta un cinghiale devastava i campi della Lidia, i Lidi volevano l’aiuto del figlio contro la belva. Il re dapprima si oppose alle preghiere dei cittadini, ma poi mandò il figlio insieme con gli altri cacciatori e lo affidò all’ospite Adrasto. Ma proprio questi colpì con l’asta non il cinghiale, ma il figlio del re. Fra molte lacrime restituirono al padre il cadavere del figlio. Pieno di grande dolore s’avvicinò anche Adrasto al re e: « Uccidimi », disse (inquit), « perché io sono stato la causa dell’uccisione di tuo figlio ». Il re pieno di compassione rispose: « Non accuso te; gli dèi hanno decretato la morte di mio figlio ». Ma le parole di Creso non placarono il rimorso e la tristezza di Adrasto: egli durante la notte si uccise sul sepolcro del giovane amico. Il mito di Filemone e Bauci (I) Una volta Giove desiderò conoscere la pietà degli uomini: pertanto scese in terra e condusse seco Mercurio. Insieme attraversarono tutta la Frigia ma gli abitanti di quella regione, che erano empi, rifiutarono l’ospitalità ai forestieri e chiusero con sbarre le porte delle loro case. Invano batterono le porte di molte e belle dimore di ricchi cittadini; infine raggiunsero una piccola capanna di legno, dove abitavano due vecchi coniugi. Al marito era nome Filemone, alla moglie Bauci. Questi invitarono gli dèi e prepararono loro la mensa: offrirono olive, corniole, ravanelli e vino. Il mito di Filemone e Bauci (II) Ma gli dèi desiderarono rivelare la loro vera natura e accrebbero smisuratamente il vino nei crateri. Quindi Giove, sorridendo benevolmente, disse: « Siamo dèi e a voi daremo una giusta ricompensa per la vostra pietà; gli abitanti di questa regione invece pagheranno il fio della loro empietà. Chiedete con libertà e ve lo concederemo. Intanto lasciate la casa e salite con noi il monte ». I vecchi raggiunsero la cima del monte: subito dopo le acque invasero tutta la regione e sommersero le case, gli alberi, le messi, gli uomini. Solamente rimase la capanna dei due vecchi, ma gli dèi la sostituirono con un tempio. Filemone e Bauci, come avevano desiderato, furono i sacerdoti di quel tempio, vissero lungamente e finirono la vita insieme. Il fiume Po Il fiume Po, il più grande fiume d’Italia, ha inizio da un’altissima cima delle Alpi. Nel Po confluiscono molti fiumi, ma di tutti il più copioso di acque (abl.) è il Ticino. Scorre attraverso una grande pianura: di essa nessun’altra è più ferace. Le acque del Po sono più torbide che le acque del Tevere. In primavera, quando tiepide aure sciolgono le nevi delle Alpi, e in autunno, quando continue piogge precipitano nei campi, le acque del Po talvolta inondano i campi e le pianure e deludono le speranze degli agricoltori. Tuttavia sulle rive del fiume fioriscono molte e bellissime città; infatti il fiume irriga con le sue acque moltissimi campi. La battaglia di Maratona Dario, re dei Persiani, nella primavera dell’anno 490 mandò in Grecia due generali con una potente flotta di 500 navi e con un esercito di 20.000 fanti e 10.000 cavalieri. Gli Ateniesi crearono comandante Milziade. I due eserciti combatterono presso Maratona, ma infine gli Ateniesi sconfissero i Persiani: così il valore dei soldati salvò la libertà della Patria. Gli storici commemorano l’Ateniese Fidippide, il quale annunziò ai suoi concittadini la vittoria, dopo che (postquam) a piedi superò, senza sosta, il lungo intervallo tra Maratona ed Atene. La guerra di Troia (I) Omero cantò nei suoi carmi la famosa guerra di Troia, nata dal ratto di Elena. Infatti il giovane Paride, figlio di Priamo, re dei Troiani, aveva sottratto Elena al marito Menelao, re degli Spartani: per questo affronto scoppiò la guerra fra i Greci e i Romani. Tutti i re della Grecia, fra essi Agamennone argivo e Achille, figlio di Peleo e della dea Teti, desiderarono vendicare la grave offesa. Tutte le navi si radunarono nel porto (di) Aulide, ma per molto tempo non spiegarono le vele, perché gli dei erano avversi. Agamennone infatti in una caccia aveva ucciso una cerva sacra a Diana. Quando però i Greci placarono l’ira della dea col sangue di Ifigenia, figlia di Agamennone, salparono e diressero il corso in Asia. La guerra di Troia (II) Dopo che (= postquam) posero gli accampamenti in Asia presso Troia, i Greci per dieci anni sostennero fiere lotte contro la città ben fortificata. Come i poeti raccontano, spesso gli stessi dèi combattevano. Il più forte dei Troiani era Ettore, figlio del re Priamo; il più forte dei Greci era invece Achille. Quando Achille — Agamennone lo aveva offeso fortemente — si ritirò nella sua tenda lontano dalla battaglia, i Troiani vinsero e fugarono i Greci. Achille però, quando Ettore uccise Patroclo, l’amico che egli teneramente amava, tornò in battaglia. Il ritorno di Achille fu causa di grande rovina ai Troiani. Infatti, poichè voleva punire l’uccisione dell’amico Patroclo, uccise Ettore, poi trascinò il cadavere di lui intorno alle mura di Troia davanti agli occhi degli infelicissimi genitori, Priamo ed Ecuba. Apollo aiutò Paride e questi uccise Achille con una freccia. Troia dunque appariva inespugnabile con la forza: allora i Greci la espugnarono con un inganno. Costruirono un immenso cavallo di legno e lo riempirono con soldati armati; poi finsero il ritorno in Grecia e si nascosero presso l’isola di Tenedo. I Troiani per le parole di Sinone, falso disertore Greco, credettero il cavallo sacro a Minerva e lo trascinarono dentro le mura. Ma di notte Sinone aprì il ventre del cavallo e i guerrieri, che erano dentro, aprirono ai loro compagni le porte della città. Così i Greci saccheggiarono e incendiarono completamente Troia. Avventure di Ulisse Dopo che (= postquam) i Greci espugnarono Troia, il re degli Itacesi Ulisse, noto a tutti gli uomini per la sua mirabile astuzia, errò per dieci anni per i mari e poi ritornò in patria solo e senza compagni. Nelle sue peregrinazioni vide le città e i costumi di molte genti, incontrò molti mostri, ma in tutti i pericoli fu incolume mediante il suo valore e la sua accortezza. Egli eluse le arti magiche di Circe e restituì l’aspetto umano ai compagni: ad essi la maga aveva attribuito l’aspetto di porci. Udì senza danno le voci delle sirene ed evitò le bocche voraci di Scilla. Poiché era approdato all’isola dei Feaci naufrago, Nausicaa, figlia del re, mentre giocava nel lido con le ancelle, lo vide, vestì e condusse da suo padre, Alcinoo. Con l’aiuto di questo raggiunse con una nave l’isola di Itaca.