IL TUMORE AL COLON-RETTO L'intestino è l'organo deputato all'assorbimento delle sostanze nutritive che provengono dall'alimentazione. È un tubo della lunghezza di circa 7 metri (ma può variare dai 4 ai 10 metri o anche più) suddiviso in intestino tenue, o piccolo intestino (a sua volta ripartito in duodeno, digiuno e ileo), e intestino crasso, o grosso intestino. Quest'ultima parte è formata dal colon destro o ascendente (con l'appendice), dal colon trasverso, dal colon sinistro o discendente, dal sigma e dal retto. Il tumore del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste questo organo. C'è anche chi distingue tra tumore del colon vero e proprio e tumore del retto, ovvero dell'ultimo tratto dell'intestino, in quanto possono manifestarsi con modalità e frequenze diverse. QUANTO È DIFFUSO Nei Paesi occidentali il cancro del colon-retto rappresenta il terzo tumore maligno per incidenza e mortalità, dopo quello della mammella nella donna e quello del polmone nell'uomo. La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è sempre più frequente a partire dai 60 anni, raggiunge il picco massimo verso gli 80 anni e colpisce in egual misura uomini e donne. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento del numero di tumori, ma anche a una diminuzione della mortalità, attribuibile soprattutto a un'informazione più adeguata, alla diagnosi precoce e ai miglioramenti nel campo della terapia. CHI È A RISCHIO Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia: tra esse ne sono state individuate alcune legate alla dieta e all'alimentazione, altre genetiche e altre di tipo non ereditario. Fattori nutrizionali: molti studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie, ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali; viceversa, diete ricche di fibre (cioè caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali) sembrano avere un ruolo protettivo. Fattori genetici: è possibile ereditare il rischio di ammalarsi di tumore del colon-retto se nella famiglia d'origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali. Tra queste sono da segnalare le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l'adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica (detta anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche, e che possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmettere alla prole il gene alterato è del 50 per cento, indipendentemente dal sesso. Fattori non ereditari: sono importanti l'età (l'incidenza è 10 volte superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali (tra le quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), una storia clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie illustrate sopra vengono definiti "sporadici", sebbene anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino. TIPOLOGIE La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi, ovvero di piccole escrescenze, di per sé benigne, dovute al proliferare delle cellule della mucosa intestinale. Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo). Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna. La probabilità che un polipo del colon si evolva verso una forma invasiva di cancro dipende dalla dimensione del polipo stesso: è minima (inferiore al 2 per cento) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10 per cento) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10 per cento) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Una volta trasformatasi in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse a seconda dell'aspetto visibile al microscopio, e di conseguenza prendere un nome diverso: adenocarcinoma, adenocarcinoma mucinoso, adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, carcinoma (più raro). Inoltre tutti i cancri del colon-retto possono avere un aspetto a polipo, a nodulo oppure manifestarsi con ulcere della mucosa. SINTOMI Nella maggior parte dei casi i polipi non danno sintomi; solo nel 5 per cento dei casi possono dar luogo a piccole perdite di sangue rilevabili con un esame delle feci per la ricerca del cosiddetto "sangue occulto". Il tumore del colon-retto si manifesta, nella metà dei casi, nel sigma (ovvero nell'ultima parte del colon vero e proprio) e nel retto; in un quarto di malati è il colon ascendente a essere colpito, mentre la localizzazione della malattia nel colon trasverso e in quello discendente si verifica in un caso su cinque circa. Al momento della diagnosi, circa un terzo dei malati presenta già metastasi a livello del fegato e, comunque, una parte delle persone colpite andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono strettamente collegati dal punto di vista della circolazione sanguigna. I sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie: ciò fa sì che le manifestazioni del cancro siano sovente sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Per questo sintomi precoci, vaghi e saltuari quali la stanchezza e la mancanza di appetito, e altri più gravi come l'anemia e la perdita di peso, sono spesso trascurati dal paziente. Talora una stitichezza ostinata, alternata a diarrea, può costituire un primo campanello d'allarme PREVENZIONE A tavola con la scienza Tra i fattori di rischio legati allo stile di vita, la dieta rappresenta quello più studiato. Benché la ricerca abbia fornito in merito risultati in parte contrastanti, ora si può affermare con una relativa certezza che una dieta ad alto contenuto di grassi animali e proteine (che provoca a sua volta il rilascio nell'intestino di grandi quantità di acidi biliari) è in grado di favorire la trasformazione maligna di eventuali polipi del colon preesistenti. Ciò significa che la dieta sbagliata difficilmente sarà l'unica causa di un tumore del colon, ma che può dare una mano, in senso negativo, ad altri fattori di rischio. I grassi vegetali, invece, ovvero i cosiddetti grassi insaturi, non sono rischiosi. A proteggere ci pensano invece le fibre alimentari, in particolare quelle che non vengono digerite, come la crusca. L'effetto protettivo delle fibre è stato ipotizzato in base all'osservazione che le popolazioni vegetariane hanno un'incidenza di carcinoma del colon-retto ridotta del 30 per cento circa. Ecco alcune semplici regole messe a punto dal National Cancer Institute statunistense per prevenire questo tipo di tumore: • ridurre l'assunzione di grassi animali al 30 per cento delle calorie totali; • consumare quotidianamente frutta e verdura; • limitare l'alcol a un bicchiere di vino a pasto; • dimagrire se si è obesi, evitare di ingrassare; • aumentare l'apporto di fibre; • limitare al massimo il consumo di cibi con conservanti (compreso il sale) o affumicati. Se una persona sa di essere a rischio elevato perché ha avuto parenti con questo tumore in uno o l’altro dei rami familiari, è opportuno che adotti una dieta con pochi grassi e poca carne e ricca di fibre, vegetali e frutta. Un esame poco praticato in Italia, ma molto utile, è l'esplorazione rettale da parte del medico. Andrebbe effettuata almeno una volta l'anno nel corso di una normale visita dal medico di famiglia e consentirebbe di individuare precocemente un buon numero di tumori del retto. La ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare il 25 per cento circa dei cancri del colon-retto. Se viene associata a una colonscopia (ovvero a un esame del colon con un apposito tubo flessibile), effettuata ogni dieci anni dopo i 50 anni di età, è in grado di individuare il 75 per cento dei tumori. Alcune società scientifiche, come l'American Cancer Society, raccomandano di sottoporsi a queste due pratiche di screening appena compiuti i 50 anni, indipendentemente dalla presenza di una familiarità per il tumore. Secondo altre società scientifiche, la colonscopia dovrebbe essere un esame di secondo livello (ovvero da farsi solo se la ricerca del sangue occulto è positiva, oppure nelle persone ad alto rischio per ragioni genetiche o di familiarità). È invece certo che vi si devono sottoporre tutti coloro che manifestano sintomi intestinali compatibili con la diagnosi di tumore del colon e coloro che hanno avuto un familiare con queste patologie. In questo caso le colonscopie vengono effettuate più frequentemente, in genere ogni cinque anni, mentre la ricerca del sangue occulto nelle feci viene fatta ogni anno. DIAGNOSI La diagnosi si avvale dell'esame clinico, che consiste nella palpazione dell'addome alla ricerca di eventuali masse a livello dell'intestino, del fegato e dei linfonodi, e nell'esplorazione rettale (circa il 70 per cento dei tumori del retto si sente con le dita). In aggiunta alla clinica esistono poi diverse indagini strumentali che permettono di diagnosticare il tumore e, in seguito, di eseguirne la stadiazione, ovvero di valutarne la gravità. L'esame più specifico è la colonscopia che, grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l'analisi istologica, ovvero l'esame del tessuto. In alternativa, quando la lesione ha raggiunto una grandezza superiore a un centimetro, si possono utilizzare altre metodiche, quali il clisma opaco a doppio contrasto e l'ecografia transrettale, che è utile anche per definire, in fase preoperatoria, il grado di infiltrazione del tumore nella parete dell'intestino; l'ecografia fornisce anche indicazioni sullo stato dei linfonodi più vicini. Inoltre ci si può avvalere anche della TAC addome con mezzo di contrasto: essa permette di valutare i rapporti con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi e le eventuali metastasi presenti nell'addome. Per identificare l'esistenza di metastasi a distanza si può fare una radiografia del torace (o una TAC torace, se indicata), un'ecografia epatica, una scintigrafia ossea e la biopsia di eventuali lesioni. Talvolta vengono utilizzati a questo scopo anche la risonanza magnetica o la PET (tomografia a emissione di positroni). EVOLUZIONE È possibile determinare con un prelievo di sangue i valori di CEA (antigene carcinoembrionario): questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening, riveste invece un ruolo importante per valutare la gravità della malattia, in quanto la concentrazione è direttamente collegata all'estensione del cancro. Il CEA è anche utile nel monitoraggio della risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per la verifica della ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Oltre al CEA viene utilizzato anche un altro marcatore, il CA 19.9 detto anche GIKA. Contrariamente agli altri tipi di cancro, per i quali esiste una classificazione pressoché univoca, per il tumore del colon-retto esistono diverse forme di classificazione, sulle quali non sempre i diversi medici concordano. La più usata resta comunque quella che si riferisce al sistema TNM (dove T sta per la dimensione del tumore, N per il numero di linfonodi coinvolti e M per le metastasi). COME SI CURA La terapia di scelta è la chirurgia: sulla base della posizione del tumore si procederà con un intervento parziale o, nei casi più gravi, con la totale asportazione del tratto di colon interessato o del retto. Rispetto agli interventi demolitivi effettuati fino a non molti anni fa, la chirurgia del carcinoma del retto si è fatta sempre più conservativa. Solo nei pazienti molto anziani o ad alto rischio si procede alla creazione della cosiddetta stomia (ovvero all'apertura dell'intestino sulla parete addominale con la creazione del cosiddetto ano artificiale, ovvero un'apertura che consenta di raccogliere le feci con appositi presidi). In questo caso assume un ruolo fondamentale la riabilitazione sia fisica sia psicologica dei pazienti portatori di stomia. La radioterapia preoperatoria può, in casi selezionati, ridurre il volume e l'estensione tumorale, permettendo quindi interventi chirurgici che conservano l'orifizio anale naturale. Un altro intervento, attuato in casi selezionati, è la resezione di eventuali metastasi al fegato. Quando si procede all'asportazione del retto è possibile, in alcuni casi, creare una tasca con un altro tratto di intestino, in modo da consentire al paziente di eliminare le feci per via naturale: ciò è fattibile solo se il cancro non ha coinvolto lo sfintere anale. La chemioterapia svolge un ruolo fondamentale nella malattia avanzata non operabile, ma non solo. Recentemente sono stati intrapresi diversi studi per valutare l'efficacia di un trattamento chemioterapico cosiddetto adiuvante, cioè effettuato dopo l'intervento chirurgico per diminuire il rischio di ricaduta (come avviene già per il tumore della mammella): i primi dati a disposizione sono positivi. Sono positivi anche gli studi sulla terapia neoadiuvante, cioè effettuata prima dell'intervento per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il compito del chirurgo. Infine, nel tumore del retto, la radioterapia sia pre sia post operatoria, a seconda delle indicazioni, svolge un ruolo fondamentale: è stato dimostrato infatti che essa è in grado di diminuire le ricadute locali e di allungare la sopravvivenza. Un discorso a parte meritano i farmaci biologici, ultilizzati al momento solo in alcune situazioni particolari. Il bevacizumab è un anticorpo monoclonale, diretto contro la proteina VEGF. È indicato come trattamento per il tumore del colon-retto avanzato in associazione alla chemioterapia. Il cetuximab è un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina EGFR. È stato registrato per l'uso con irinotecan (un chemioterapico classico) nei pazienti già trattati per tumore del colon avanzato con cellule tumorali positive per EGFR. Infine è in sperimentazione l'erlotinib, una piccola molecola diretta contro EGFR, somministrabile per bocca.