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VIE FESTIVAL
GAZZETTA
Quello che prende il via
stasera è un teatro che gioca
con le immagini: la loro apparenza e assenza, l’oblio, la negazione, e il tornare sempre
presenti in quel luogo di visione privilegiata che è il palcoscenico. Le figure e i suoni
di un tempo ormai scomparso scaturiscono da memorie
distinte e tentano un ritorno
alla vita seppur effimera del
teatro. A metterle in gioco,
però, sono due artisti, Massimo Furlan e Daniel Linehan,
le cui sensibilità sembrano
differenziarsi tanto nella formazione personale, quanto
nello stile delle opere. Furlan, svizzero nato da genitori
Massimo Furlan in “1973”
VENERDI’ 8 OTTOBRE 2010
Le immagini giocano sul palcoscenico
Furlan e Linehan, tra memoria e “montaggio”
italiani nella metà degli anni
sessanta, inizia a lavorare
sul concetto di memoria appena conclusi gli studi alla
Scuola di Belle Arti di Losanna. Parte dai ricordi collettivi di una generazione, la sua,
dalla quale trae icone, immagini, su cui lavorare per sottrazione: le rivisita condensando l’evocatività in un’azione emblematica, un gesto
semplice il quale, oltre a segnare la distanza dall’originale attraverso il grottesco,
lascia allo spettatore la libertà di costruire la sua storia. Così in “1973”, che oggi
alle 20 e domani alle 18
aprirà il Teatro Fabbri di Vignola, da poco riedificato e
donato dalla famiglia Fabbri
alla comunità, il regista svizzero porta in scena personag-
gi suscitati dal ricordo del
concorso televisivo “Eurovision de la Chanson”: caricature enigmatiche, kitsch, tornano in vita per una notte
onirica, irreale. Al contrario,
Daniel Linehan, che prima
di trasferirsi al P.A.R.T.S. di
Bruxelles ha lavorato negli
Stati Uniti, riflette soprattutto sull’assenza, sul darsi nella negazione dei significati,
Al Teatro Comunale debutta “La vie est un rêve” di Calderòn de la Barca
L’uomo tra realtà e illusione
Galin Stoev dirige una coproduzione europea per il progetto “Prospero”
“La vita è sogno”, l’opera
più celebre di Pedro Calderon de la Barca, è il primo
dei due titoli presentati a Vie
nell’ambito del progetto “Prospero”, rete di produzione e
diffusione che unisce sei importanti istituzioni teatrali
europee. Lo spettacolo, in
francese con sottotitoli in italiano, arriva questa sera al
Teatro Comunale Luciano
Pavarotti (alle 20) a pochi
giorni dal debutto di Liegi, interpretato dagli attori del
Théàtre de la Place, uno dei
partner del progetto, diretti
dal regista bulgaro Galin
Stoev. Diplomato all’Accademia Nazionale di Cinema e
Teatro di Sofia, fin dal 1991
Stoev ha diretto molti spettacoli per il Teatro Nazionale
del suo paese. Dopo periodi
di studio in Germania e Inghilterra, dove è stato assistente di Peter Sellars, si è
stabilito in Belgio fondando
la compagnia Fingerprint,
formata da attori belgi, svizzeri e francesi. Rivelatosi alla critica internazionale al fe-
Lo spettacolo che aprirà il festival al Teatro Storchi
Il legame tra noi e l’altro
nel “soggiorno vivo” di Richards
Rendere vivo ciò che non
lo è. Dare valore a ciò che valore non ha, armonizzando
la propria vita in sintonia
col mondo e arricchendo la
stessa realtà quotidiana. Da
qui parte “The Living Room”
del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, svolto nell’ambito della ricerca sistematica sull’arte
performativa del maestro polacco. Arrivato nel 1986 a
Pontedera, Grotowski ha fondato il Workcenter e ha chiamato Richards come collaboratore, abbandonando la realizzazione di spettacoli a favore di una ricerca sulla figura
stessa dell’attore. A 11 anni
dalla morte di Grotowski, Ri-
chards, direttore del Focused Research Team in Art,
continua questa ricerca insieme a Mario Biagini, responsabile del gruppo Open Program. Il regista statunitense
porta in scena “The Living
Room” che aprirà questa il
festival alle 17 al Teatro Storchi, replica domani alle 14.30
e domenica alle 12 (prenotazione obbligatoria). All’interno di un normale soggiorno
che può rivelare mille sfaccettature, l’individuo si pone
domande su se stesso e su come relazionarsi con gli altri.
Poi Workcenter il prossimo
week-end proporrà’’Electric
Party Song’’.
Ilaria de Lillo
Galin Stoev
in «La vie est
un rève»
in scena
al Teatro
Comunale
stival di Avignone del 2007
con lo spettacolo “Genèse n.
2”, tratto da un testo del
drammaturgo russo Ivan Vyrypaev, è approdato recentemente alla prestigiosa Comédie Frañaise, per la quale ha
diretto tra l’altro “La festa”,
del siciliano Spiro Scimone.
Continua nel contempo a lavorare anche nel suo Paese,
dove collabora regolarmente
con la giovane autrice Yana
Borissova. Se finora ha privilegiato autori contemporanei, con “La vie est un rêve”
Stoev si confronta per la prima volta con uno dei testi
più rappresentativi del teatro barocco spagnolo. Come
già il testo originale, la messa in scena non ha una caratterizzazione spazio temporale precisa: «Calderòn ha am-
bientato la storia in un’epoca fiabesca, in una Polonia
che non corrispondeva a un
luogo reale ma rappresentava un generico altrove esotico - spiega il regista, che aggiunge - quello che più mi ha
interessato di questo testo è
il tema della percezione dell’irreale come reale, che mi
sembra molto attuale. Penso
per esempio alla crisi finanziaria scoppiata nel 2009 e
causata dal fatto che gli speculatori hanno fatto delle
operazioni con del denaro
virtuale, causando però degli
effetti reali e purtroppo catastrofici. Mi affascina che un
testo classico possa parlare
dell’oggi, unendo epoche così
diverse». Si replica domani
alle 17.30 e lunedì alle 15.
Vega Partesotti
Identità a confronto sul Molo Ovest
Importante prova registica per il giovane Rachid Zanouda
da oggi al Teatro delle Passioni con “Quai Ouest” di Koltès
Immigrazione. L’argomento scotta
sui media e sulla pelle di chi vive il
ruolo del migrante. Chi è lo sconosciuto che arriva, lo straniero che
porta con sé abitudini e culture così
distinte dalle nostre? Può starmi vicino o è bene mantenere le distanze?
L’interrogativo è oggi ardente per l’Italia e l’Europa, ma si tratta di una
questione che precede di parecchio
tempo la nostra cronaca, e che il teatro non si stanca di indagare. Era il
1985 quando Bernard-Marie Koltès,
drammaturgo francese prematuramente scomparso, scriveva “Quai
Ouest” raccontando l’incontro tra
Maurice, uomo d’affari determinato
al suicidio, e Abad, un giovane figlio
di immigrati africani. Sulle rive di
un fiume, Abad ripesca il corpo di
Maurice, salvandogli la vita, intrec-
ciando la sua biografia di immigrato
senza permesso a quella dell’uomo
benestante e scontento. Le differenze
tra i due saltano agli occhi, insieme
alle contraddizioni di una società
che si dice accogliente ma respinge,
e anche quando apre le porte al nuovo subito gli pone limiti, vincoli, burocrazie punitive. Rachid Zanouda,
giovane regista della Scuola di Teatro Bretone, arriva a Vie grazie al
progetto “Prospero”, e sul palco del
Teatro delle Passioni presenta in prima nazionale da stasera (alle 23) fino
a lunedì una personale traduzione
del testo di Koltès, collocando i suoi
attori al centro di un labirinto di
caos, segni stranianti e vicoli ciechi,
riflesso di una società sempre più
confusa sull’identità del prossimo.
Serena Terranova
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delle immagini passate e attuali. Qui l’assurdo tentativo
di sostanziazione trae la sua
origine nel “qui e ora” per
realizzarsi in un “presente
assoluto”: nella dimensione
sospesa, nel tempo dilatato
del teatro. Stasera, e in replica il 9 e 10 ottobre, Linehan
presenta alla Galleria Civica
di Modena’’Montage for
Three’’ (alle 23), dove due attori donano il corpo a vivificare immagini in proiezione,
e “Not About Everything”
(alle 23.40), dove la fisicità
estenuata dello stesso Linehan cerca di riscattare il senso che la voce narrante nega.
Matteo Vallorani
Oggi a San Damaso
Ariette, racconto
della vita di terra
Teatro
delle
Ariette
in “Racconto
di Terra”
a San Damaso
Teatro e lavoro in campagna, un ambiente casalingo
ricostruito
in
luoghi
extra-teatrali, un privato che
si fa pubblico. Sono questi
gli ingredienti costitutivi del
Teatro delle Ariette, che arriva a Vie con “Racconto di terra”, spettacolo creato per il
festival in debutto questa sera alle 21 in un tendone circense a San Damaso. La terra e i suoi frutti si fanno testimoni e compagni di viaggio
nelle vite di Paola Berselli e
Stefano Pasquini, anime della compagnia. Un racconto
di casa, di agricoltura, di vita che si fa arte in una confessione pubblica che punta all’incontro e alla condivisione
con gli spettatori. Repliche
domani, sabato e domenica.
Alice Moro