NONA EDIZIONE
S TA G I O N E C O N C E R T I S T I C A 2 0 1 6 / 2 0 1 7
COMUNE DI
CIVITANOVA MARCHE
Assessorato alla Cultura
MERCOLEDÌ 7 DICEMBRE 2016 ore 21.15
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
con il sostegno di
CONCERTO INAUGURALE
ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
DAVID CRESCENZI direttore
IVAN DONCHEV pianoforte
SABATO 28 GENNAIO 2017 ore 21.15
Civitanova Marche, Sala Lettura della Biblioteca
SPAZIO GIOVANI
STAGIONE CONCERTISTICA
2016/2017 NONA EDIZIONE
ELENA BALDONI pianoforte
MATTEO BALDONI violino
Civitanova Classica Piano Festival giunge quest’anno
alla nona edizione, con la consapevolezza di aver
raggiunto la sua piena maturità, grazie ad un sempre
maggior sèguito di pubblico, alla costante qualità
degli artisti coinvolti e soprattutto alla scelta di un
repertorio immaginato e proposto con la massima
cura, nel corso di questi anni. Oltre ad avere completato l’esecuzione dei cinque Concerti di Beethoven
(autore che insieme con Mozart ha rappresentato
una sorta di ‘alfa ed omega’ nei nostri programmi
musicali) con questa edizione concluderemo tutta
l’opera per pianoforte e orchestra di Fryderyk Chopin,
proponendo tra l’altro due composizioni che oggi è
raro ascoltare dal vivo: il Krakoviak op. 14 e le Variazioni su un tema dal Don Giovanni di Mozart op. 2.
Non mancherà la consueta attenzione per i migliori
musicisti in erba del momento, con lo Spazio Giovani
nella Biblioteca “Zavatti”, e la presenza nel mondo
della scuola, con l’esibizione della Filarmonica Marchigiana per gli studenti dell’Istituto Comprensivo
“Via Tacito” della nostra città.
Negli ultimi due appuntamenti avremo infine la gradita
presenza del prof. Stefano Papetti con le sue salutari
‘pillole d’arte’, a sancire una stimolante e proficua
collaborazione con la Pinacoteca Civica “Moretti”.
Nell’attesa quindi di vedervi numerosi, non mi resta
che augurarvi
FEBBRAIO 2017 MATTINO
Civitanova Marche, Auditorium Scuola “E. Mestica”
PROGETTO SCUOLA
“Il Carnevale degli animali” di C. Saint-Säens
ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
DOMENICA 12 MARZO 2017 ore 17.30
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
KREISLERIANA. Viaggio notturno
nel Romanticismo tedesco
CESARE CATÀ filosofo
MASSIMO ARCANGELI critico letterario
LORENZO DI BELLA pianoforte
DOMENICA 9 APRILE 2017 ore 17.30
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
JIŘÍ PETRDLÍK direttore
ANNA MIERNIK pianoforte
JIŘÍ VODICKA violino
interverrà STEFANO PAPETTI storico dell’arte
MERCOLEDÌ 10 MAGGIO 2017 ore 21.15
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
CONCERTO di CHIUSURA
Buon ascolto!
ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
MICHAEL MACIASZCZYK direttore
YOKO KIKUCHI pianoforte
LORENZO DI BELLA pianoforte
interverrà STEFANO PAPETTI storico dell’arte
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il direttore artistico
Lorenzo Di Bella
MERCOLEDÌ 7 DICEMBRE 2016 ore 21.15
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
CONCERTO INAUGURALE
ORCHESTRA
FILARMONICA MARCHIGIANA
DAVID CRESCENZI direttore
IVAN DONCHEV pianoforte
F. MENDELSSOHN (1809-1847)
Le Ebridi (La grotta di Fingal) op. 26
Concerto per pianoforte
e orchestra n. 1, op. 25 in Sol minore
Molto allegro e con fuoco
Andante
Presto. Molto allegro e vivace
INTERVALLO
L.van BEETHOVEN (1770-1827)
Sinfonia n. 1 op. 21 in Do maggiore
Adagio molto. Allegro con brio
Andante cantabile con moto
Minuetto - Allegro molto e vivace
Adagio. Allegro molto e vivace
si ringraziano
IMPRESA EDILE
ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA
Istituita e sostenuta dalla Regione Marche, la FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana
è una Istituzione Concertistica Orchestrale Italiana fra le tredici riconosciute dal
Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Nel corso della sua attività, consistente principalmente nella realizzazione della
stagione sinfonica in ambito regionale e nella partecipazione alle più importanti
manifestazioni a carattere lirico delle Marche, si è esibita con grandi interpreti come
Gidon Kremer, Natalia Gutman, Vladimir Ashkenazy, Ivo Pogorelich, Uto Ughi,
Salvatore Accardo, Mario Brunello, Paolo Fresu, avvalendosi della guida di direttori
di prestigio internazionale, quali Gustav Kuhn, Woldemar Nelsson, Daniel Oren,
Donato Renzetti, Bruno Campanella, Bruno Bartoletti, Michele Mariotti, Anton
Nanut, Hubert Soudant, Andrea Battistoni.
Rivolge una particolare attenzione alla valorizzazione dei compositori marchigiani del
passato, promuovendo nel contempo anche le produzioni dei maggiori compositori
marchigiani contemporanei. Realizza inoltre cicli di concerti destinati al pubblico
scolastico. Collabora con gli Enti e le Associazioni concertistiche più prestigiose della
regione Marche.
Attualmente la FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana si avvale della direzione
artistica del M° Fabio Tiberi e, dal 2015, della direzione principale del M° Hubert
Soudant.
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DAVID CRESCENZI
Ha iniziato i suoi studi presso il Conservatorio di Fermo, diplomandosi successivamente in Pianoforte, Strumentazione per Banda, Musica Corale e Direzione di Coro.
Per svariati anni è stato assistente e collaboratore di Alessio Vlad, e allievo di Gustav
Khun, del quale ha frequentato dal 1993 al 1996 i corsi di perfezionamento presso I
Pomeriggi Musicali di Milano.
Nella sua attività ormai ventennale si è cimentato come pianista accompagnatore
in vari teatri e festival lirici, sia in Italia che all’estero, e attualmente come Direttore
d’Orchestra e Maestro di Coro. Per numerose edizioni ha diretto sia la finale del
Concorso pianistico nazionale ‘Città di Osimo’, sia il concerto conclusivo del Concorso
violinistico ‘Postacchini’ di Fermo. Mentre dal 1999 al 2001 è stato Altro Maestro del
Coro presso il Teatro “Carlo Felice” di Genova e nel 2004/’05 presso il Teatro “San
Carlo” di Napoli. Dal 2006 al 2013 ha diretto il Coro Bellini di Ancona, in teatri di
Jesi, Ancona e Macerata, con direttori quali Callegari, Mariotti, Arrivabeni, Bartoletti,
Battistoni, Bertini, Santi, Elder o Tate, e registi come Pizzi, Brockaus, Ferretti, Cavani,
Ranieri, De Hana o Pier’Alli.
Come direttore collabora con il Teatro dell’Opera del Cairo dove tra il 1998 ed il
2003 dirige Rossini, Donizetti, Puccini e Verdi. Dal 2014 ricopre il doppio incarico di
Direttore Artistico e Musicale, e nell’agosto 2015 dirige Aida in occasione dell’apertura
del raddoppio del Canale di Suez (innanzi a oltre 60 capi di Stato).
Dal 2002 è Direttore Ospite Principale presso il Teatro nazionale di Timisoara dove
ha diretto opere di Puccini, Verdi, Bizet, Mascagni, Leoncavallo e Rossini. Da diversi
anni prende quindi parte al Festival internazionale di Timisoara.
Dal 2006 inizia la sua collaborazione con l’Opera Nazionale di Bucarest (dirigendo
Rigoletto, L’elisir d’amore, Il barbiere di Siviglia e la nuova produzione de Le nozze di
Figaro), per poi collaborare con l’Opera di Budapest, dove dirige quasi tutto il repertorio
italiano. Da gennaio 2013 è Direttore Ospite Principale presso l’Orchestra Nazionale
della Radio di Bucarest. Nella Stagione 2009/’10 inizia la sua collaborazione presso
l’Opera di Cluj (Romania) con opere di Verdi e la Bohéme di Puccini. Presso il Teatro
dell’Opera rumena di Iasi dirige opere di Mozart, Rossini, Donizetti e Verdi. Lo scorso
settembre inaugura i Concerti all’aperto del Festival Enescu con l’Orchestra Nazionale
della Radio di Bucarest.
Nella Stagione 2008/’09 dirige la Carmen presso il Teatro della Fortuna di Fano, e
Otello al Bolshoi di Mosca. Nel 2008 inaugura la Stagione Lirica dello Sferisterio
Opera Festival di Macerata, dirigendo Cleopatra di Lauro Rossi in prima mondiale
(in epoca moderna), e nel luglio 2013 una serata di Gala dedicata a Beniamino Gigli.
Nell’estate 2014, in occasione dei 50 anni dell’Arena, dirige il Concerto “Nozze d’oro”
con la partecipazione record di oltre 1.600 coristi da tutta la regione.
Ha condotto in tournée la Bergische Symphoniker Orchestra in Olanda (Aida) e in
Germania (Trovatore) e, nella Stagione 2011/’12 della Filarmonica Marchigiana, ha
invece diretto un ciclo di concerti in Ancona, Pesaro, Fermo e Fabriano, con il celebre
violinista Uto Ughi. Nel 2012 è stato la bacchetta per il Solothurn Oper Air Festival
della Svizzera tedesca, mentre nel 2014 dirige Brahms e Beethoven con la FORM,
assieme al celebre violinista serbo Stefan Milenkovic.
Nel 2016 ha diretto La favorita di Donizetti (alla Radio di Bucarest), Il barbiere di
Siviglia (Festival Estivo di Locri), Traviata (Reggio Calabria), Tosca (Chieti), Attila di
Verdi (Bucarest), L’elisir d’amore (Düsseldorf). Nel 2017 sarà nuovamente alla Radio
di Bucarest con il Simon Boccanegra di Verdi, Traviata, Madame Butterfly, e i Carmina
Burana nella nuova stagione all’Opera del Cairo, ed ancora a Düsseldorf in gennaio
con Donizetti e L’elisir d’amore.
IVAN DONCHEV
È stato definito da Aldo Ciccolini «artista di eccezionali qualità tecniche e musicali»
e dalla critica internazionale come «raffinato e concentrato» (“Qobuz Magazine”,
Francia), «pieno di temperamento» (“Darmstadter Echo”, Germania), dotato di «tecnica
impeccabile e incredibile capacità di emozionare» (“Il Cittadino”, Italia). Nasce nella
città di Burgas (Bulgaria) e intraprende lo studio del pianoforte all’età di cinque anni,
dopo tre anni tiene il suo primo recital solistico e vince il secondo premio al Concorso
internazionale ‘Città di Stresa’. A dodici anni debutta con l’Orchestra Filarmonica di
Burgas eseguendo il Concerto in re maggiore di Haydn. Per meriti artistici nel 1997
gli viene assegnato il premio ‘Talento dell’anno’ di Burgas. Vincitore di 19 premi in
concorsi nazionali e internazionali fra cui ‘Svetoslav Obretenov’ (Bulgaria, 1994),
‘EMCY’ (Dublino, 1996), ‘Carl Filtsch’ (Romania, 1997), ‘Città di Monopoli – Gran
Prize Ecomusic, 2000’, ‘S. Fiorentino’ (Morcone, 2004), ‘G. Terracciano’ 2005, ‘Società
Umanitaria’ (Milano, 2008). A soli 16 anni vince il ‘Premio Chopin’ della Società
Chopin di Darmstadt e debutta alla nota Sala “Gasteig” di Monaco di Baviera. Da
allora è regolarmente invitato a suonare nelle maggiori città europee, negli Stati Uniti,
Russia, Giappone e Corea del Sud. Essenziali i concerti tenuti a New York, Vienna,
Berlino, Mosca, Ekaterinburg, Darmstadt, Kitzingen, Dublino, Londra, Seoul, Sofia,
Oradea, Daegu, Yamagata, Montpellier (per il Festival de Radio France). In Italia
ha suonato a Milano (alla Sala “Verdi” – per La Società dei Concerti e all’Università
Bocconi), Firenze, Napoli, Taranto, Palermo, al Laudamo di Messina, ai Festival dei
Due Mondi di Spoleto, San Sepolcro Symphonia Festival, Apollonia Music Festival,
‘Franz Liszt’ Festival di Albano, e molti altri. Ha suonato con la New York Festival
Orchestra, la Filarmonica di Burgas, la Kronstadt Philharmoniker, USC Mussorgsky
Symphony Orchestra, la Daegu Symphony Orchestra, la Jeonju Philharmonic, la
Pazardjik Philharmonic, l’Oradea Philharmonic, l’Orchestra Sinfonica di Razgrad,
l’Orchestra da Camera Fiorentina, l’Orchestra Sinfonica di Bari, l’Orchestra Sinfonica
della Magna Grecia e molte altre. Ha inciso l’integrale dei Concerti per pianoforte
e orchestra di Cajkovskij e, in prima mondiale, il Quadro sinfonico concertante per
pianoforte e orchestra di Vito Palumbo, a lui dedicato. I dischi di Ivan Donchev sono
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pubblicati dalle case discografiche “Rai Trade”, “Sheva Collection” e “Gega New”. Le
sue registrazioni sono trasmesse da Radio France, Radio Classica, Radio Vaticana,
Radio 3, la Radio e la Televisione Nazionale Bulgara. Fondamentale è stato il perfezionamento con Aldo Ciccolini dal quale ha ricevuto il premio ‘Sorrento Classica’
(2008) e con il quale ha suonato in formazione di duo pianistico a 4 mani al Festival
de Fenetrange in Francia. È spesso invitato nelle giurie di concorsi internazionali e
ogni anno tiene corsi di perfezionamento in Europa, Asia e America. Nel 2013 il suo
disco con le Sonate per pianoforte e violino di L. van Beethoven ha ricevuto il ‘5 Stars
Award’ dalla rivista inglese “Musical Opinion”. Nel 2015 debutta con successo presso
il Kaufman Music Center di New York con il Concerto per pianoforte e orchestra n.
5 op. 73 (Imperatore) e al Festival dei Due Mondi di Spoleto con la Sonata op. 106
(Hammerklavier) e l’op. 120 di Beethoven..
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NOTE DI SALA
‘Uamh-Binn’ (in gaelico ‘Grotta delle melodie’) venne scoperta nel 1772 dal naturalista inglese
Joseph Banks, tra i fiordi e le gole della costa Ovest di Scozia. Col cataclismatico sprofondare
di alcune colate laviche dentro le gelide acque dell’oceano, più di sessanta milioni di anni
fa, un fitto nùgolo di piloni basaltici dalla curiosa pianta esagonale si era venuto a creare,
assiepandosi lungo la costa, come una selva di pietre. Quel che sessant’anni dopo la sua
scoperta si offriva agli occhi stupiti di un giovane Mendelssohn era ora un antro profondo,
invaso dal mare, che si affacciava, come un profondo squarcio tra l’acqua ed il cielo, nella
parete meridionale dell’isola di Staffa, tutto percorso dagli echi che le onde intessevano
tra le sue rocce. Già allora quel luogo era conosciuto come ‘la Grotta di Fingal’, e il nome
deriva dall’eroe che secondo leggenda (condivisa nei secoli dalla mitologia irlandese e
scozzese) scolpì nella roccia un camminamento, tra l’Irlanda e la Scozia, scavalcandovi
il mare. Il mito è ripreso anche in un sublime falso letterario di tardo Settecento, i Canti
di Ossian, opera del poeta preromantico James MacPherson, che affermava di avervi
raccolto quel che ancora esisteva dell’epica in versi alto-medievale attribuibile al bardo
Ossian (‘l’Omero del nord’), da lui riscoperto nelle brumose lande scozzesi.
Nel 1829, deciso a intraprendere un viaggio nelle isole britanniche, Felix Mendelssohn
era appena ventenne, e lasciava una Berlino che già lo aveva acclamato nei leggendari
concerti in cui le opere corali di Johann S. Bach si erano animate di vita nuova. Il viaggio fu
lungo e, dopo una permanenza londinese, virò verso nord. Facile a immaginarsi, la Scozia
impressionò – e profondamente – l’animo romantico del giovane compositore che, oltre
all’Overture de Le Ebridi, troverà in quelle terre lo spunto anche per la più nota tra le sue
Sinfonie, la terza in la minore, detta appunto ‘Scozzese’. Così, molto stupore suscitò in lui
anche la Grotta di Fingal, che ben rispondeva a quel fascino oscuro di cui s’ammantava
la nascente sensibilità del preromanticismo tedesco. Del musicista ci sono rimaste lettere in cui questi descrive alla sorella le emozioni del viaggio, e proprio in una di queste
si conserva un abbozzo che riporta la frase iniziale della sua “nuova Overture”. Il titolo
prescelto doveva essere Die einsame insel (‘L’isola solitaria’), e con questo l’opera sarà in
effetti data alle stampe, in Venezia, nel 1830, già riscuotendo per altro il plauso entusiasta dell’amico Ignaz Moscheles, che la lesse in partitura. Solo in seguito Mendelssohn lo
muterà in Die Hebriden (‘Le Ebridi’), recandovi però anche il sottotitolo con cui l’opera
oggi è a tutti più nota, La Grotta di Fingal. Il 14 maggio 1832, assieme all’Overture del
Sogno di una notte di mezza estate (il capolavoro mendelssohniano in omaggio all’opera
di Shakespeare), il brano venne eseguito in pubblico, rivelandosi un pieno successo. Con
intuito profondo, Mendelssohn qui precorreva già i tempi, dando alla luce quella ch’è in
fondo una ‘musica a programma’, in certo qual senso antesignana per l’epoca di ciò che
in futuro sarà il genere nuovo del Poema sinfonico. Il compositore fa sfoggio di tutta la
propria abilità da strumentatore, dispiegando in orchestra uno spettro ampio e mutevole
di timbri, e di effetti. Sarebbe un torto però riconoscere il colorismo favolistico, per tacervi
invece del magistero formale. Scritta in forma-sonata, e sottoposta poi a un costante
lavorio di sviluppo, l’Overture è splendidamente modellata, articolandosi attorno a due
temi conduttori: il primo (negli archi gravi) era quello che Mendelssohn già aveva abbozzato durante la sua visita scozzese, consegnato poi in schizzo nel suo scambio epistolare;
il secondo invece ricorda, col suo dispiegarsi, l’eco suggestiva delle voci del mare nelle
profondità della grotta. Questi due spunti tematici, accomunati da una forte compattezza
motivica, percorreranno tutta la prima parte dell’opera con sotterranea insistenza, come
in preda a un serpeggiante incantesimo, per esserne da ultimo rievocati poi in coda, fusi
tra loro, prima degli accordi finali.
Con questa pagina sensazionale, il M° Crescenzi ben ci introduce al programma di
stasera, tutto costruito su brani in cui forte è la tensione tra un linguaggio e una forma
ancora in certa misura ‘classici’ e l’aspirazione invece a un’urgenza emotiva ch’è già tutta
‘romantica’. Non è un caso così se quest’opera si ritrovò ammirata, e con trasporto, da
autori diversi delle generazioni successive. Il Brahms orchestralmente più ‘conservatore’
ne era appassionato, ma anche Wagner, pieno d’entusiasmo in particolare per il tema
d’apertura (quello alle viole, e ai violoncelli), la definì “forse la migliore Overture di tutta
la musica romantica”!
Solo un anno prima i Concerti per pianoforte e orchestra di Fryderick Chopin avevano
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coronato quello che usualmente oggi si definisce con l’espressione di ‘Stile Biedermeier’, in
cui (come scriveva Belotti) “l’orchestra era concepita come semplice accompagnamento
dei passi ‘espressivi’ o ‘virtuosistici’ del pianoforte solista”, e lo strumentale vi era “ridotto
al punto che, se si eccettuano le introduzioni, le conclusioni orchestrali e qualche tutti
che separa una sezione dall’altra, l’orchestra si limita spesso a pochi tocchi, e talvolta
tace del tutto!” Il Concerto in Sol minore di Mendelssohn, cominciato un anno dopo il
suo viaggio in Scozia, risultò così un deciso superamento di quell’estetica, in primis nel
rinnovato ruolo dell’orchestra che si vedeva riconsegnare un còmpito veramente dialogico con lo strumento solista. Con una scrittura in certo senso più debitrice dell’eredità
beethoveniana, di quanto non fossero sembrati di fatto la cerchia dei vari Field, Hummel,
Kalkbrenner e non ultimo forse lo stesso Chopin, molti dei momenti anche più di cornice
nell’orchestrazione di questo Concerto ci paiono così un’evoluzione dei passi ‘di semplice
raccordo’, che spesso affollano quella letteratura. Nella brillantezza del gioco pianistico,
così pure nel colore orchestrale (che più del consueto gioca anche col timbro dei fiati,
secondo la lezione di Weber e riscoprendo in fondo un certo classicismo viennese),
quest’opera ci appare come esempio sublime dell’apparente ‘facilità’ di scrittura – per
intenderci, ‘alla Mozart’ – di cui Mendelssohn si dice fosse particolarmente dotato. Il suo
acceso virtuosismo fluisce “senza malinconie, senza ripensamenti, con una scioltezza di
discorso e con una prestigiosità tecnica” in grado di travolgere da subito qualsiasi ascoltatore. Non c’è da stupirsi quindi se un orecchio fine come quello di Robert Schumann
ne rimase profondamente impressionato, la sera della prima, con l’autore in persona sul
podio. Nel mezzo di un vorticoso turbinare di note, il tocco di Mendelssohn a Schumann
era sembrato quello di sempre; “con il suo solito passo giocondo, con un sereno sorriso
alle labbra”, il genio del giovane amburghese pareva già allora un miracolo, sin dai suoi
primi capolavori rivelatosi forse il più ‘classico’ tra tutti i romantici.
Ludwig van Beethoven indugiò sino ai trent’anni prima di arrischiarsi, sul crinale del
secolo, nell’impervio terreno della Sinfonia classica. Terreno che poi non abbandonerà
più, da allora, se non dopo averlo radicalmente rivoluzionato con le sue nove Sinfonie,
forse le più leggendarie composizioni di tutta la musica colta occidentale. Può far riflettere
pensare quanto sia Haydn che Mozart (e alla stessa età in cui Beethoven si apprestava alla
sua prima Sinfonia) già avessero al loro attivo alcune decine di opere in questa forma.
Il confronto che gravava sul genio di Bonn era quindi enorme, tale forse da intimorire
persino un uomo come lui. Da pochi anni, infatti, Haydn da un lato aveva licenziato le
sue Sinfonie ‘londinesi’, opere in cui il magistero del classicismo settecentesco era stato
condotto a un esito insuperabile di perfezione linguistica e formale, e Mozart dall’altro
aveva lasciato tre ultimi capolavori che venivano già a costituire un testamento spirituale
del suo sinfonismo dove, sotto l’impeccabile cornice formale, ribollivano le inquietudini
che sarebbero state poi proprie del primo sentire romantico. Qualcosa stava quindi
cambiando. E il genio beethoveniano lo presentiva, con impeto. Un piglio tutto nuovo
ad esempio, ch’è in primo luogo strumentale (come nell’impiego dei fiati), ravviva da
subito – dopo l’Adagio introduttivo – il primo Allegro di questa Sinfonia, colpendoci con
un entusiasmo sincero, che infiamma. L’urgenza del genio si agita del resto anche nel
Minuetto, dov’è sì trattenuta ma con difficoltà; per cui l’elegante danza settecentesca è
soltanto un ricordo, in quello che è già in verità uno ‘Scherzo’ beethoveniano, a tutti gli
effetti. In quest’opera ‘prima’, che forse soffre ancora di qualche incertezza (se paragonata
ai capolavori che la seguiranno), la vivacità del colore, l’accesa propulsione ritmica, la forza
dell’umore tratteggiano un inedito chiaroscuro, che la rende cosa nuova al contempo sia
per la sapienza pacata di Haydn, che per la sublime eleganza di Mozart.
Con il programma di oggi così, il Civitanova Classica Piano Festival riapre la sua stagione
e, nel rendere omaggio a due protagonisti di spicco della musica europea, ci svela tre titoli,
imprescindibili alla storia dei generi che affiancano la letteratura pianistica nella grande
avventura dell’epoca romantica.
Nicolò Rizzi
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SABATO 28 GENNAIO 2017 ore 21.15
ingresso libero
Civitanova Marche, Sala Lettura della Biblioteca
SPAZIO GIOVANI
ELENA BALDONI pianoforte
MATTEO BALDONI violino
In collaborazione con
F. SCHUBERT (1797-1828)
F. CHOPIN (1810-1849)
Tarantella op. 43 per pianoforte
M. RAVEL (1875-1937)
Alborada del gracioso, da Miroirs
per pianoforte
J. S. BACH (1685-1750)
Ciaccona dalla Partita n. 2
BWV 1004 per violino
N. PAGANINI (1782-1840)
Improvviso op. 142, n. 2 per pianoforte
Capriccio op. 1, n. 5 per violino
INTERVALLO
J. BRAHMS (1833-1897)
Sonata n. 3, op. 108 in Re minore,
per violino e pianoforte
Allegro
Adagio
Un poco presto e con sentimento
Presto agitato
si ringrazia
MATTEO BALDONI
ELENA BALDONI
Nasce a Recanati il 5 dicembre 1995. Inizia lo studio del pianoforte all’età di sei anni e
a otto viene ammessa all’Istituto Pareggiato “G.B. Pergolesi” di Ancona, sotto la guida
del M° Gloria D’Atri prima e, successivamente, del M° Lorenzo Di Bella, vincendo
diverse borse di studio dal 2006. Nel 2014, dopo aver conseguito la maturità scientifica con il massimo dei voti, si trasferisce presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di
Fermo, dove si diploma nella classe del M° Fabrizio Viti col massimo dei voti, lode e
menzione speciale. Parallelamente frequenta Ingegneria Meccanica presso l’Università
Politecnica delle Marche. Ha ottenuto primi premi in vari concorsi, tra cui: iv Concorso
europeo di musica ‘Città di Numana’, 2009; Nuova Coppa pianisti di Osimo, 2011; iv
Concorso nazionale per giovani musicisti ‘Città di Falconara’, 2012; xviii Concorso di
esecuzione musicale ‘Rotary Club Teramo Est’, 2013. Si è esibita presso l’Auditorium
S. Rocco di Senigallia per la Festa della Musica 2008, presso il Teatro Sperimentale di
Ancona per il Concerto “Musica e Poesia” 2013 e per la Rassegna Bio Boccosi 2012
(partecipando al Cd “La musica di Bio Boccosi”, prime registrazioni assolute). Nel
marzo 2014 suona in occasione del 3° Festival Musicale Goffredo Petrassi presso Villa
Tuscolana, a Roma. In duo con il fratello Matteo, violinista, suona al Teatro Gentile di
Fabriano per il progetto “Le musiche - Le ali”, a Fermo presso la Camera di Commercio
e presso la Sala dei Ritratti in occasione del convegno “Philosophy for Children”, al
Teatro La Fenice di Amandola, al Teatro di Porto San Giorgio in occasione del 150°
anniversario della Capitaneria di Porto della Guardia Costiera, al Teatro “G. Leopardi”
di San Ginesio. Insieme hanno ottenuto il primo premio al Concorso Nazionale di
Musica da Camera ‘Rotary Symphony: la musica per la pace’, 2013 di Castel Gandolfo.
Ha partecipato a numerose masterclass: a Recanati, presso l’Accademia Pianistica delle
Marche, dal 2009 (con i maestri Gianluca Luisi, Piernarciso Masi, Uwe Brandt, Marc
Toth, Michel Brousseau, Evgeny Starodubtsev, Cristina Altamura, Lei Weng, Ratko
Delorko e Christa Bützberger), all’Imola summer piano Academy & Festival, nel 2013
(con i maestri Enrico Pace e Anna Kravtchenko). Nell’aprile del 2016 ha suonato il
Concerto n. 3 di Beethoven con l’Orchestra del Conservatorio, diretta dal M° Luca
Ferrara, presso il Teatro dell’Aquila di Fermo. Attualmente si sta perfezionando presso
l’Accademia di Musica di Pinerolo sotto la guida di Enrico Pace, e presso l’Accademia
Pianistica delle Marche di Recanati con Lorenzo Di Bella. Frequenta il Biennio di
Pianoforte presso il Conservatorio “G. B. Pergolesi” di Fermo con il M° Fabrizio Viti.
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Nato a Recanati nel 1999, ha iniziato lo studio del violino a 7 anni ed è stato ammesso già
a 9 anni presso il Conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo come primo classificato tra
oltre 50 candidati; nel 2016 consegue con il massimo dei voti, lode e menzione speciale
il diploma finale sotto la guida del M° Luca Marziali. È stato sempre premiato come
violinista in tutti i concorsi a cui ha partecipato, conseguendo tra gli altri il 1° premio
assoluto al III Concorso europeo di musica ‘Città di Numana’ nel 2008 e 2009, il 1°
premio al xv Concorso nazionale per giovani musicisti ‘Città di Camerino’ nel 2008,
il 1° premio al Concorso nazionale di Musica da camera ‘Rotary Symphony: la musica
per la pace’ a Castel Gandolfo, nel 2013, e il 1° premio assoluto al XVIII Concorso di
esecuzione Musicale da Camera ‘Rotary club Teramo est’, nel 2013. Ha frequentato
masterclass di violino con i Maestri Luca Marziali, Cristiano Rossi, Pasquale Pellegrino
e Natalia Boiarsky, con esibizione finale al Kammerfestival di Recanati insieme a
giovani talenti provenienti da tutto il mondo. È stato selezionato come violinista in
numerose occasioni: già a 8 anni presso la sede della Prefettura di Ancona; alla 9°
edizione Poliphonica Festival di Visso; come miglior corsista al Canto Festival 2011,
con esibizione al Teatro “La Fenice” di Amandola. Ha suonato in orchestra in varie
manifestazioni e suona attualmente nell’Orchestra del Conservatorio “G.B Pergolesi”
di Fermo, nella sezione violini primi, dove ha esordito – vincendo una borsa di studio
– per l’apertura dell’anno accademico 2013/’14. Nel 2016 ha vinto la selezione come
solista e si è esibito con l’orchestra del suo conservatorio presso il Teatro dell’Aquila
di Fermo sotto la direzione del M° Luca Ferrara. In seguito a questa selezione è stato
chiamato a suonare nella stagione concertistica di Rocca Tiepolo 2016 di Porto San
Giorgio e al teatro “Leopardi” di San Ginesio. In duo con la sorella Elena, pianista, è
stato invitato a numerose iniziative, tra cui quella presso il Teatro Gentile di Fabriano
per la scoperta di giovani talenti nel territorio marchigiano denominata “Le musiche
– Le ali”, presso la Sala dei Ritratti dove ha inaugurato il convegno “Philosophy for
Children”, presso la sala Marconi di Francavilla d’Ete, al teatro “Velluti” di Corridonia,
al teatro “La Perla” di Montegranaro, all’Abbazia S. Marco alle Paludi, al teatro di
Porto San Giorgio in occasione del festeggiamento dei 150 anni della Capitaneria di
Porto. È stato invitato in diverse occasioni presso la Camera di Commercio di Fermo
e ha suonato come solista al 3° Festival Musicale Goffredo Petrassi a Villa Tuscolana.
Dal 2016 frequenta il corso di perfezionamento con il M° Dora Schwarzberg e il M°
Adrian Pinzaru presso l’Accademia di Musica di Pinerolo.
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FEBBRAIO 2017 MATTINO
DOMENICA 12 MARZO 2017 ore 17.30
Civitanova Marche, Auditorium Scuola “E. Mestica”
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
KREISLERIANA
PROGETTO SCUOLA
Viaggio notturno nel Romanticismo tedesco
ORCHESTRA
FILARMONICA MARCHIGIANA
“Il Carnevale degli animali” di C. Saint-Säens
Quattordici piccoli ritratti in musica di animali e personaggi fantastici concepiti nello
spirito divertito, ironico e festoso del Martedì Grasso. Questo è il Carneval des animaux
(Carnevale degli animali), grande fantasia zoologica per due pianoforti e piccola
orchestra composta da Camille Saint-Saëns nel 1886. Tra le opere più celebri della
letteratura musicale per ragazzi, il mondo animale prende forma con grande efficacia
comunicativa attraverso i colori della raffinata tavolozza del grande compositore
francese, abilissimo nel piegare con originalità la tecnica strumentale al servizio della
rappresentazione di caratteri, immagini, sensazioni. Animali della foresta, galline e
galli, tartarughe, elefanti, canguri, pesci, uccelli, creature immaginarie dalle lunghe
orecchie e persino due pianisti, descritti con grande ironia come due ‘animali da concerto’ impegnati in una sfrenata gara di esibizionismo. Tutti insieme in una divertente
e affascinante parata sonora, dove la forza del leone ruggente si coniuga alla grazia
del cigno, animale cui Saint-Saëns dedica uno dei ritratti più riusciti della letteratura
musicale, divenuto in seguito anche un notissimo assolo di danza.
L’evento è riservato agli alunni, genitori e docenti
dell’Istituto Comprensivo “Via Tacito” di Civitanova Marche
CESARE CATÀ filosofo
MASSIMO ARCANGELI critico letterario
LORENZO DI BELLA pianoforte
interverrà NICOLÒ RIZZI musicologo
In collaborazione con
di Civitanova nel 25° di attività
R. SCHUMANN (1810-1856)
Kreisleriana op. 16
(Otto fantasie per pianoforte)
Molto mosso
Con molto sentimento e non troppo veloce
Molto agitato
Molto lento
Vivace assai
Lento assai
Molto presto
Veloce e scherzando
si ringrazia
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CESARE CATÀ
È nato a Fermo, il 3 agosto del 1981.
Già professore a contratto nella Facoltà
di Scienze della Comunicazione di
Macerata, è Dottore di ricerca in filosofia, scrittore, insegnante, performer
teatrale; è ideatore e interprete del format
teatrale “Magical Afternoon”, in cui si
mescolano didattica e recitazione. Lavora
inoltre come consulente nell’ambito della
comunicazione aziendale. È calciatore e
tennista dilettante. Ha curato e tradotto
testi dal latino, dal francese, dall’inglese, e ha collaborato con università e
centri di ricerca internazionali, tra cui
la University of Hawaii a Honolulu, il
Cusanus Institut di Trier, l’EPHE di Paris,
l’Istituto Italiano di Cultura di Dublino.
Tra le sue pubblicazioni: Shakespeare e
l’urlo di Narciso. Viaggio nel Riccardo ii
(Aguaplano, 2015); La Croce e l’Inconcepibile. Il pensiero di Nicola Cusano (EUM, 2009); Perspicere Deum. Nicholas of Kues and the
European Art of Fifteenth Century (UCLA, 2009); Filosofia del Fantastico. Escursione tra i
Monti Sibillini, l’Irlanda e la Terra di Mezzo (Il Cerchio, 2012); La passeggiata impossibile.
Martin Heidegger e Paul Celan tra il niente e la poesia (Aracne, 2012). È attualmente in
lavorazione il suo primo romanzo, che racconta la storia di un amore disperato tra le
Marche, la Francia e l’Irlanda.
LORENZO DI BELLA
Si è aggiudicato nel 2005 il primo premio e medaglia d’oro al concorso pianistico
‘Horowitz’ di Kiev (unico italiano ad aver vinto un concorso pianistico in una nazione
dell’ex Unione Sovietica). Per meriti artistici nel 2006 gli è stato consegnato in Quirinale,
dall’ex Presidente Ciampi, il ‘Premio Sinopoli’, in memoria del direttore d’orchestra
Giuseppe Sinopoli, scomparso nel 2001. Nel 1995 si è aggiudicato il ‘Premio Venezia’, il
più importante concorso nazionale a seguito del quale ha tenuto recital per le maggiori
società concertistiche italiane. Grande successo hanno riscosso le sue apparizioni al
‘Festival dei Due Mondi’ di Spoleto, su invito personale del M° Giancarlo Menotti,
al Teatro “La Fenice” di Venezia, al Teatro Olimpico di Vicenza, al Teatro delle Muse
di Ancona, alla Sala Michelangeli di Bolzano, al Festival Liszt di Utrecht, all’ETH di
Zurigo, al Festival Chopin di Marianske Lazne (Cz), ad Amburgo, Berlino, Praga,
Sarajevo, Montreal, Ottawa, Denver (CIPA), Pechino, Shanghai (Oriental Center),
Wuhan, Xi’han, alla Società dei Concerti di Milano e all’Auditorium ‘Parco della
Musica’ di Roma, con l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia. La sua attività concertistica lo ha portato ad esibirsi in importanti città italiane ed estere, e con orchestre
quali: Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, Orchestra Sinfonica di San Remo,
Orchestra Nazionale di O’Porto, Orchestra Filarmonica Marchigiana, Orchestra
Sinfonica di Pesaro, Orchestra Sinfonica Nazionale dell’Ucraina, Orchestra Sinfonica di
Nancy, Südwestdeutsche Philarmonie, Orchestra Sinfonica Villingen-Schwenningen,
New World Philarmonic, Philarmonisches Kammerorchester Berlin. Ha collaborato
con numerosi direttori tra cui James Conlon, Kirill Karabits, Vassilis Christopoulos,
Reinhard Seehafer, Jorge Iwer, Zbinĕk Müller, Michel Brousseau, David Crescenzi.
MASSIMO ARCANGELI
Linguista, critico letterario, sociologo
della comunicazione, è professore ordinario di Linguistica italiana presso
l’Università di Cagliari. Già responsabile scientifico mondiale del Progetto
Lingua Italiana Dante Alighieri (PLIDA),
è componente del collegio di dottorato
in Linguistica storica e Storia linguistica
italiana dell’Università “La Sapienza” di
Roma; collabora con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, con la Radio
e la Televisione pubblica e privata, con
varie testate quotidiane e periodiche;
è garante dell’Italianistica a Banska
Bystrica, External Examiner per l’Università di Malta, direttore di imprese
editoriali e di festival culturali nazionali
e internazionali.
Autore di oltre 600 contributi, 13 dei
quali monografie, ha tenuto corsi e conferenze su invito in tutto il mondo, anche come visiting professor. Nel 2016 ha ricevuto
il Premio internazionale ‘Bronzi di Riace’, attribuito «a quelle personalità che, come
fieri guerrieri, hanno combattuto per la crescita e lo sviluppo della nazione distinguendosi, in Italia e nel mondo, per competenza e professionalità, e portando alto il
nome della propria terra».
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Lorenzo Di Bella compie i suoi studi musicali al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro,
dove si diploma con lode e menzione speciale nella classe del M° B. Bizzarri. Ha frequentato poi per cinque anni i corsi tenuti da F. Scala e L. Berman presso l’Accademia
Pianistica ‘Incontri col Maestro’ di Imola e, in seguito, i corsi presso l’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia a Roma con S. Perticaroli. Così si è espresso il pianista Lazar
Berman pochi mesi prima della sua scomparsa: «Lorenzo è un notevole pianista di
talento, un brillante virtuoso, un emozionante e raffinato musicista. Io sono stato suo
insegnante per tre anni e ho sempre ammirato la sua grande abilità tecnica e la sua forte
personalità artistica ma soprattutto la sua voglia di parlare al pubblico…». Di Bella è
docente di pianoforte principale presso l’Istituto Statale Superiore di Studi Musicali
“G. Braga” di Teramo e direttore artistico dell’Accademia Pianistica delle Marche di
Recanati. Per la sua attività artistica è stato insignito in Campidoglio del ‘Picus del
Ver Sacrum’, insieme all’attore Max Giusti e al soprintendente Pier Luigi Pizzi, quale
‘Marchigiano dell’anno 2006’, riconoscimento istituito dal Ce.S.MA di Roma. Ha
eseguito nel 2013 l’integrale delle Études-Tableaux di Rachmaninov in due concerti,
a Torino e Milano, all’interno della settima edizione del Festival MiTo – Settembre
Musica. È direttore artistico del Mugellini Festival di Potenza Picena, della stagione
concertistica Civitanova Classica Piano Festival e del Concorso Pianistico ‘La Palma
d’oro’ di San Benedetto del Tronto.
NICOLÒ RIZZI
Ricerca per passione un continuo dialogo tra la propria esperienza di esecutore e
un’approfondita formazione musicologica, condotta a Cremona (presso il Dipartimento
di Musicologia e Beni Culturali) poi perfezionata a Cracovia, in Polonia (presso la
prestigiosa Jagielloński Uniwersytet). Nel corso dei propri studi accademici, si è dedicato con particolare interesse alla musica pianistica russa, approntando tre Tesi di
ricerca; su A. Scrjabin, su M. Musorgskij e su N. Medtner. Ha fatto parte in Milano
del direttivo scientifico della casa editrice Clarius Audi (poi Ergo Diesis), come
responsabile di progetto per collane di saggistica musicale. Collabora con l’editore
Zecchini di Varese nella stesura di alcune voci enciclopediche per la Guida alla musica sacra, di prossima stampa. È stato Maestro di palcoscenico e collaboratore del
Segretario artistico musicale al Teatro lirico “A. Ponchielli” di Cremona. Nel campo
della divulgazione culturale, ha collaborato con varie istituzioni come l’Associazione
‘Musica rara’ di Milano, il Wam Festival internazionale W.A. Mozart di Rovereto o
il Mantova Chamber Music Festival. Attualmente è assistente alla direzione artistica
del Mugellini Festival di Potenza Picena e del Cremona PianoForum. È da alcuni anni
redattore di sala per teatri e festival italiani. Come pianista, si sta specializzando nel
repertorio solistico e da camera russo e dell’Est Europa. Da molti anni infine è basso
nel Coro della Facoltà di Musicologia, col quale si è esibito in numerose tournée in
Italia e all’estero ed ha approntato la prima incisione dell’opera sacra di Giovanni
Albini, nel 2014 per Brilliant Classics.
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NOTE DI SALA
Robert Schumann cominciò a scrivere per pianoforte poco più che ventenne e, nel giro
di un decennio, diede alla luce una fitta serie di capolavori, fondamentali oggi per capire
l’essenza stessa del Romanticismo musicale tedesco. Sette tra questi, ormai pietre miliari
nel repertorio pianistico, contengono inoltre un esplicito riferimento al cosmo multiforme
della grande letteratura romantica; ai suoi autori, alle tematiche da loro preferite, alla
narrazione fantastica, alle diversità delle forme sperimentate, alle visioni più ricorrenti
infine nei loro incubi e sogni. Le Variazioni ‘Abegg’, opera prima del compositore, disvelano
la fascinazione schumanniana per la simbologia dell’acrostica musicale. I Papillons sono un
esplicito omaggio ai Flegeljahre (‘Anni di scapigliatura’) di Jean Paul Richter, tra le più abili
penne che il romanzo romantico tedesco abbia avuto, dopo il genio di Goethe. Il Carnaval
op. 9 e il Faschingsschwank aus Wien (‘Carnevale di Vienna’) riprendono invece, proprio da
Jean Paul, la fascinazione tutta romantica per il ‘doppio’ e per la maschera da carnevale.
Le Novellette dell’op. 21 infine sono tutte una fittissima trama di «musica, scherzi, scene
di famiglia, storie di Egmont», per dirla con parole del compositore. Un’opera cioè in cui
la pagina pianistica di carattere si piega con decisione al ‘raccontare qualcosa’.
Quello che emerge qui, sin da queste opere prime, e con forza, è una tendenza di Schumann
a comporre per vorticoso avvicendarsi di slanci e passioni, di impeti e dolcezze, in una
contrapposizione di accenti che sembra svelare non solo una dialettica stilistica, quanto
una dualità psicologica nell’animo stesso del compositore. Dualismo ben rappresentato
del resto dalle due maschere schumanniane rese ormai celebri dalla letteratura critica,
oltre che dal suo epistolario. Eusebio, l’anima teneramente lunare, si vede sempre contesa
la parola (e l’avventura d’amore) da Florestano, l’amico irruente e tutto un fuoco di entusiasmo. Ci si potrebbe poi spingere a vedere qualcosa di più in questo celebre ‘doppio’, se
Schumann scelse d’immedesimarvisi a tal punto da firmare molti suoi lavori con l’uno
o l’altro pseudonimo, ovviamente a seconda dell’opera, e del suo intrinseco carattere.
La maschera diviene qui l’occasione per inscenare un lato della personalità, capace di
squarciarne la logica e farne affiorare la psiche. Il tema del carnevale, dell’equivoco,
dell’indistinto diviene qualcosa di più profondo quindi, tralasciando il divertimento della
sala da ballo, per colorarsi di un denso chiaroscuro, punto di vista forse più psicanalitico
che di frivola mondanità.
Ecco così che l’op. 16 diviene stasera un’occasione perfetta per addentrarsi nel multiforme
della sensibilità schumanniana, e sentirci introdotti (con musica) all’inquieta avventura
del Romanticismo tedesco. Dovremo innanzitutto figurarci un uomo che fu non soltanto
pianista, e compositore, ma anche editore e critico musicale (sulla Neue Zeitchrift für
Musik). E affamato lettore, certo estimatore di Clemens Brentano, di Ludwig Tieck o di
Joseph von Eichendorff, più di tutti appassionato però della prosa di Jean Paul – già lo si è
detto – e dell’irrefrenabile fantasia di Ernst T.A. Hoffmann. Una figura cioè d’intellettuale
tout court, per cui Hoffmann stesso avrebbe certo ricambiato la stima (lo scrittore era
inoltre pittore, e musicista, e anch’egli critico musicale).
Vediamo però di procedere con ordine, che altrimenti già il titolo rimarrebbe oscuro ai
più, senza qualche spiegazione. Perché ‘Kreisleriana’? Già lo sapeva, Schumann, se a un
corrispondente francese della sua rivista confessò: «Di tutte le composizioni degli anni
intorno al 1838, Kreisleriana mi è la più cara. Il titolo non può esser compreso che dai
tedeschi. Kreisler è un personaggio creato da E.T.A. Hoffmann, ed è un maestro di cappella strano, esaltato, spirituale. Molte cose in lui vi piaceranno…». Schumann riassume
qui solo corsivamente il personaggio, ma il suo entusiasmo era certo stato maggiore,
allorché aveva letto e con gioia la folle opera del genio hoffmanniano Vita e opinioni del
gatto Murr, comprensivo della biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes
Kreisler in forma di casuali scartafacci. In primo luogo nel libro, uscito nel ’19, ritroviamo
memorie, opinioni e confessioni non esposte però in prima persona: tra Kreisler e il lettore
viene anteposto un narratore, nientemeno che un gatto! Allo stesso modo, nell’opera di
Schumann, tra il suo io creativo (il doppio bipolare di Eusebio-Florestano) e l’ascoltatore
viene immaginato frapposto chi ne ha ‘rinvenuto’ le opere. Anche lui forse compagno di
quella ‘Lega dei fratelli di Davide’, immaginata da Schumann come comunanza degli
spiriti eletti, dèditi all’impresa dell’arte.
Lo strano personaggio di Johannes Kreisler accompagnerà tutta la carriera letteraria e
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musicale di Hoffmann, come un suo alter ego. E lo scrittore ne riproporrà la memoria
tramandando così la sua esperienza nel mondo, tutt’altro che facile, con le sue amare riflessioni sul significato dell’arte, nell’ottusa cecità della moderna società borghese. Un aspro
conflitto quindi, in cui si svela la dolorosa frattura (tutta romantica del resto) tra l’artista
creatore e il mondo circostante. La sofferenza dell’esistere ingenera un’arte che anela a
un altrove, consegnando però il poeta o alla paralisi, o all’esilio, o alla pazzia. Si pensi al
Werther di Goethe o al nostro Leopardi: «Non di sospiri è degna la terra. Amaro e noia la
vita, altro mai nulla; e fango è il mondo». L’artista diventa così una figura che strenuamente
difende la propria voce, e ancor più si preoccupa di custodire l’arte presceltasi, ricercando
quei propri simili con cui stringere alleanza. La percezione del proprio destino, diverso da
quello comune, rende l’esilio però – o il viaggio – una scelta possibile, percepita vicina. Sia
poi il motivo di carattere sociale (o in certo qual modo ‘politico’), filosofico e religioso, o
sia non ultimo intimo, personale, o d’amore, l’artista giungerà immancabilmente a sentirsi
solo alla fine, errante in un viaggio che ha il suo senso più vero nel suo non giungere, mai.
Così era stato il poeta nella Winterreise di Schubert, o il Viandante sul mare di nebbia di
Caspar D. Friedrich. Così è il Kreisler di Hoffmann, ricordato in contumacia da un felino
buffamente erudito, dèdito alla cronaca. Così sarà anche lo stesso Robert Schumann,
nella sua opera, certo, ma ancor più nella vita; costellata da cupi momenti di crisi e di
allucinazione, culminanti col tentato suicidio nel Reno e l’internamento in manicomio.
Ecco quindi il significato del titolo, Kreisleriana, e il senso del proporre stasera proprio
quest’opera, per un ‘viaggio notturno nel Romanticismo tedesco’.
Con l’inanellarsi degli otto suoi rapidi movimenti – veri e propri squarci nel pianismo
più ‘schumanniano’ possibile – ci scopriremo di fronte a quello che appare come un autoritratto in musica, una sorta di ‘intima confessione sonora’. La dedica avrebbe voluto
essere per Clara Wieck, il tormento amoroso del giovane compositore, poi divenuta sua
moglie, ma verrà poi celata sotto un pudico omaggio amicale, «à F. Chopin». (Anche se
il compositore non saprà poi trattenersi, e confesserà per lettera l’omaggio amoroso:
«Ho scritto Kreisleriana in quattro giorni: dei mondi totalmente nuovi s’aprono davanti
a me. […] Tu e il pensiero di te li dominate completamente, e io voglio dedicarteli, a te e
a nessun altro…»). La confessione non fu facile, e ci è possibile comprendere la reticenza
schumanniana, perché gli otto componimenti abbracciano in sé un tale spettro di emozioni e pulsioni, da travalicarne in verità in certo qual modo la forma. Schumann qui parla
quindi per così dire ‘cuore alla mano’, senza un’idealizzazione affettata del sentimento o
dei ruoli: la vibrante sensibilità di un uomo, consegnata nuda non solo tra le mani della
donna amata, ma a noi tutti, e al mondo.
In questo si origina una caratteristica poi tipica dello Schumann pianistico: la giustapposizione a continuo contrasto dei caratteri, dei gesti idiomatici, dei colori, che qui
s’infiammano tra il moto eccitato e febbrile – su cui può ben cavalcare Florestano – e
l’intimismo più tenero e disarmato, in cui Schumann ritrova gli accenti di Eusebio. L’op.
16 reca è vero il sottotitolo di Phantasien, ma pare però una raccolta più di sogni agitati,
come iridescenti fantasmi di esauste allucinazioni. Ben le ha descritte Mauro Mariani: nelle
scene di Kreisleriana «grandi ondate emozionali si accavallano, si mescolano, si perdono
nelle profondità di crisi misteriose, in un continuo ascendere verso le vette e precipitare
verso gli abissi, in uno stato di perpetua esaltazione e agitazione». La tecnica pianistica
che vi si riscontra può risultare non del tutto ‘ortodossa’, ma quanto poi spesso ciò accada
nell’opera di Schumann ben lo sanno i pianisti (per loro certa sfortuna). Un’irrequietezza
insanabile serpeggia, quindi, dall’inizio alla fine, e sembra prometterci una soluzione nel
moto del penultimo quadro, quando invece l’incedere recalcitrante della coda ci fa intuire
che nulla è, né potrà esser risolto. In questa, che altro non sembra se non una cavalcata
notturna ( fiabesca forse, ma à la fratelli Grimm), permane vivo così, e inestinguibile, un
senso che qualcosa resti drammaticamente interrotto, sospeso. Sembra quasi di udirla la
volontà dell’autore che insoddisfatta si aggira, in fuga da un mondo in cui i sogni l’hanno
sì condotto, ma anche abbandonato. Lo Schumann più sincero là ancora era in viaggio,
nella dolente speranza che ‘altri suoni’ esistessero. Forse, di un’altra voce possibile.
Nicolò Rizzi
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DOMENICA 9 APRILE 2017 ore 17.30
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
ORCHESTRA
FILARMONICA MARCHIGIANA
JIŘÍ PETRDLÍK direttore
ANNA MIERNIK pianoforte
JIŘÍ VODICKA violino
in collaborazione con
B. BARTÓK (1881-1945)
Danze popolari romene Sz 68
J. BRAHMS (1833-1897)
Danze ungheresi n. 5 e 6
F. CHOPIN (1810-1849)
Krakowiak
Grande Rondò da concerto op. 14
per pianoforte ed orchestra
INTERVALLO
La pillola d’arte
del Prof. STEFANO PAPETTI
F. MENDELSSOHN (1833-1897)
Concerto per violino e orchestra
op. 64 in Mi minore
Allegro molto appassionato
Andante
Allegretto non troppo
Allegro molto vivace
si ringrazia
(con dottorato di ricerca – Ph.D. – alla Charles University di Praga), nonché editore
e docente (presso lo Jaroslav Ježek Conservatory di Praga). Dal 1998 Jiří Petrdlík è
membro permanente e presidente della giuria del Praga Cantat Competition, oltre
che membro e vice presidente del Dvořák Society Committee. È anche fondatore e
membro del Comitato della Fibich Society e direttore musicale dell’International
Festival of Concert Melodrama.
L’ampio repertorio del M° Petrdlík comprende composizioni di vari generi, stili e periodi
nella storia della musica. Nel campo dell’incisione discografica e della registrazione
in studio, ha spesso rivolto la propria attenzione ad opere raramente eseguite (alcuni
esempi: l’Ezio di Gluck, nella prima registrazione mondiale della versione praghese
dell’opera; le Cantate in morte dell’imperatore Guseppe ii e per l’incoronazione dell’imperatore Leopoldo ii di Beethoven; la Messa glagolitica di J.B. Foerster; la Missa brevis
di Z. Fibich; gli Astral Travels di D. Arend; La Revue Cuisine di B. Martinů o l’Eugene
Onegin di Prokofjev).
ANNA MIERNIK
Come solista e musicista da camera, si è già esibita in cinque continenti e in 24 paesi (Armenia, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Colombia, Cile, Georgia, Israele,
Italia, Kazakistan, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Messico, Montenegro, Nuova
JIŘÍ PETRDLÍK
Classe 1977, è riconosciuto come uno dei più interessanti direttori europei della sua
generazione. Ha studiato pianoforte, trombone e direzione d’orchestra (dal 1995 al
2000 in Conservatorio, e dal 2000 al 2005 all’Academy of Performing Arts di Praga) con
Miroslav Košler, Miriam Němcová, Jiří Bělohlávek, Radomil Eliška e František Vajnar,
tra gli altri. Ha completato i propri studi nelle masterclass del direttore principale della
New York Philharmonic Orchestra, Kurt Masur, e del direttore principale della Prague
Philharmonia e della BBC Philharmonic, Jiří Bělohlávek. Ha anche partecipato con
successo a numerosi concorsi (ottenendo le Golden e Special Awards al Praga Cantat,
il terzo premio all’American Opera Competition, e risultando finalista nella ‘D. Flick’
Conductor Competition di Londra).
Tra il 2002 e il 2009 è stato ingaggiato come direttore permanente al Teatro Nazionale
di Brno e come direttore musicale e direttore principale al Teatro Municipale della
stessa città. Dal 2004 è stato direttore permanente del Pilsner Theatre e, come ospite,
Petrdlík collabora regolarmente con molti importanti teatri d’opera (ad esempio il Teatro
di Messina, il Theatre du Capitol di Tolosa, il Mazowian Music Theatre di Varsavia,
la North Texas University Opera, il Teatro Nazionale di Praga, la Prague Chamber
Opera, il National Theatre di Seghedino, la Cairo Opera House e l’Alexandria Opera
House). Nel campo della musica sinfonica, il M° Petrdlík conduce rinomate orchestre
in patria e all’estero (come la Prague Symphony Orchestra, la Czech Radio Symphony
Orchestra, la Czech National Symphony Orchestra, la Moravian Philharmonic
Orchestra di Olomouc, la North Bohemian Philharmonic Orchestra di Teplice, la
Wroclaw Philharmonic Orchestra, la Silesian Philharmonic Orchestra di Katowice,
la MTM Orchestra di Varsavia, la KSO di Toronto, la Podkarpacka Philharmony di
Rzeszow, o la Iwasaki Philharmonic Orchestra). È inoltre ospite di prestigiosi Festival
in Europa, Cina, Giappone, Canada e Stati Uniti d’America. Nel 2010 il M° Petrdlík ha
cominciato una lunga e fruttuosa collaborazione con la Cairo Symphony Orchestra,
dov’è stato nominato direttore artistico generale e direttore principale dal 2011 al 2015.
Nella stagione 2014/’15 ha debuttato con successo all’Alte Oper Frankfurt, e dalla
stagione 2015/’16 è il direttore ospite permanente della Podkarpacka Philharmony
Orchestra in Rzeszow (Polonia). Nel dicembre 2015 ha condotto il ‘China New Year
Tour’ della Moravian Philharmony di Olomouc e nell’aprile 2016 è stato invitato dal
Musikverein di Vienna a condurre un concerto del ciclo “Musik der Meister” nella
Vienna Philharmony Hall.
Oltre alla sua carriera da direttore d’orchestra, Jiří Petrdlík ha coltivato diverse esperienze come direttore di coro (dal 2002 al 2010 come direttore dello Charles University
Choir, e dal 2009 come direttore artistico del Prague Mixed Choir), come musicologo
22
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Zelanda, Perù, Polonia, Serbia, Slovenia, Turchia e Stati Uniti d’America). Ha debutto
alla Carnegie Hall di New York (presso la Weill Recital Hall), nel novembre 2015, ed
ha vinto numerosi premi nazionali e internazionali.
Nel 2013 ha tenuto 15 concerti – durante un tour in Australia, Nuova Zelanda, Canada
e Stati Uniti – tra cui uno nella prestigiosa Sidney Opera House, così come in Calgary,
Braisbane, Canberra, Melbourne, Ottawa, Perth e Wellington (NZ). Tra le molte altre
città in cui si è esibita, ricorda Roma e Bari (in Italia), Tbilisi (in Georgia), Yerevan (in
Armenia), Almaty (in Kazakistan), Tel Aviv e Haifa (in Israele).
Nel 2013 si è diplomata all’Akademia Muzyczna di Cracovia, dopo aver completato
i suoi studi nella classe di pianoforte del M° Andrzej Pikul, ed aver anche studiato
con il M° Sławomir Zubrzycki (pianista, organista e liutaio). Ha inoltre partecipato
a masterclass gestite da eminenti maestri, come Paul Badura-Skoda e Dina Yoffe.
Ha registrato il suo primo album nel 2014, incidendovi sonate per violino e pianoforte
di J. Brahms e C. Franck. L’idea per questo disco ha avuto origine insieme a Patrycja
Piekutowska, violinista di fama mondiale, che l’ha invitata ad unirsi a lei nel progetto.
Insieme hanno tenuto il primo concerto promozionale del disco al Teatro Reale nel
parco Łazienki Królewskie di Varsavia, cui hanno partecipato importanti personalità
del mondo della musica, degli affari e della televisione. Il disco ha ricevuto positive
accoglienze di critica ed è stato recensito come «una piacevole riproposta dei classici»
(“Newsweek Polska”).
Dal momento che il suo repertorio comprende ampiamente opere di oltre 20 compositori polacchi (tra questi Chopin, Lutosławski e Szymanowski), l’artista le aggiunge
usualmente nei programmi dei propri concerti, impegnandosi così attivamente nella
promozione della musica polacca all’estero. Grazie a una personale passione per
la moderna musica contemporanea, Anna Miernik ha preso parte anche a diverse
première di numerose opere di compositori viventi (alcune delle quali a lei espressamente dedicate).
In riconoscimento dei suoi successi artistici e accademici, Anna Miernik ha ricevuto
numerose borse di studio. Le sue registrazioni sono state inoltre trasmesse da vari
media e molte recensioni di suoi concerti sono state pubblicate sulla stampa specialistica internazionale.
JIŘÍ VODICKA
È tra i più rinomati violinisti della Repubblica Ceca. In gioventù, inizia ad acquisire
una certa fama da quando nel 2000 vince in un solo anno diversi concorsi (come il
Kocian Violin Competition, il Prague Junior Note o il Cirenie Talentov). Nel 2002 si
aggiudica il primo premio all’International Violin Competition di Hradec Kralové,
e un premio speciale come partecipante alla masterclass del M° Václav Hudeček. Nel
2004 ottiene il primo premio all’International Violin Competition ‘Louis Spohr’ di
Weimar. Nel 2008, infine, all’età di venti anni, vince (tra diverse centinaia di strumentisti
da tutto il mondo) il primo premio al rinomato Young Concert Artist Competition di
Lipsia, ottenendo così l’ammissione alla finale di New York dove, nel 2009, si aggiudica
il secondo premio.
Dall’età di quattoridici anni è stato ammesso all’Istituto delle Arti, presso l’Università
di Orstrava, nella classe del rinomato M° Zdeněk Gola. Nel 2007 comincia una promettente carriera come solista, collaborando con alcuni dei più noti pianisti cechi,
quali Martin Kasík, Adam Skoumal e Lukáš Vondráček. Dal 2010 inizia a insegnare
violino, presso il Conservatorio di Praga.
Il M° Vodička è il solista permanente della Janáček Philharmonic Orchestra, sia per
concerti in madre patria, sia all’estero. Suona usualmente con la Prague Philharmonia,
la Prague Symphony Orchestra, la Czech Chamber Orchestra e la National Theatre
Orchestra. Ha registrato numerosi concerti per la Radio e la Televisione ceche. È
ospite di prestigiosi Festival musicali, tra cui il Prague Spring, lo Young Prague, il
Grand Festival (in Cina), l’Hohenloher Kultursommer, il Choriner Musiksommer
e il Kammermusikfest Lockenhaus (invitato da Gidon Kremer). A breve suonerà al
concerto d’apertura del Musiktage Salzgitter, sarà il solista della Prague Symphony
24
Orchestra sotto la direzione di Jiří Kout, e si esibirà con la Wuhan Philharmonia del
M° James Liu Peng.
Jiří Vodička suona un violino torinese 1779, del liutaio Giovanni Battista Guadagnini,
per gentile concessione della Florian Leonhard Fine Violins di Londra.
STEFANO PAPETTI
Conservatore delle collezioni comunali di Ascoli Piceno e direttore della Pinacoteca
Civica, della Galleria Civica di Arte Contemporanea “Osvaldo Licini” e del Museo
dell’Arte Ceramica, docente a contratto di Museologia e Restauro dei Beni Culturali
presso l’Università degli Studi di Camerino e Presidente della Fondazione Salimbeni di
San Severino Marche. Ha al suo attivo l’organizzazione e la curatela di diverse iniziative
espositive dedicate al Gotico nelle Marche, ai Pittori del Rinascimento, al Seicento
nelle Marche e ad alcune personalità di spicco dell’arte regionale come Carlo e Vittore
Crivelli, Simone de Magistris, Pier Leone Ghezzi ed Antonio Amorosi. Nel corso degli
anni ha pubblicato circa ottanta volumi dedicati principalmente al contesto artistico
marchigiano, presso le case editrici FMR, Skira, Federico Motta Il Sole 24 Ore, Electa,
Allemandi, Silvana editoriale. Suoi articoli sono apparsi sull’ “Osservatore Romano”,
“Il Sole 24 Ore”, “FMR” e “Paragone Arte”.
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NOTE DI SALA
L’impegno etnografico di Béla Bartók è stato considerevole, nel raccogliere, catalogare e
studiare la produzione musicale del folclore magiaro, ungherese e romeno. Al punto che il
suo lavoro è da molti riconosciuto tutt’oggi antesignano della più moderna etnomusicologia.
L’interesse bartokiano, ai primi decenni del secolo, fu allora una novità, non a caso destinata a scontrarsi con la gretta violenza razzista già serpeggiante in Europa. Un’ideologia
che allo studio dei popoli e delle loro culture antepose i sentimenti del rancore e dell’odio,
ben diversi dall’interesse curioso verso ciò ch’è diverso. Per rendersi conto del valore (non
solo scientifico, quindi) dell’impegno di Bartók, bastino queste sue poche parole, per altro
ben note: per cui lo studio della ‘musica contadina’ avrebbe potuto contribuire all’ideale
«della fraternità dei popoli, della loro fratellanza davanti e contro ogni guerra, contro
ogni conflitto». L’importanza culturale di questo lavoro non si esaurisce però nel valore
etnografico. Lo studio della musica popolare, mediato da un suo accurato reimpiego nei
canoni della ‘musica colta’, permise a Bartók e ad altri compositori di contribuire in modo
importante al decorso storico della musica europea. Si pensi anche solo al campo della
rivoluzione teorica (in primo luogo armonica) che a partire da quegli anni infiammò la
musica del Novecento. «Lo studio di questa musica contadina era di decisiva importanza,
perché mi ha condotto […] alla liberazione dal rigido esclusivismo delle scale maggiore
e minore, ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente
e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala cromatica».
È interessante notare come Bartók abbia comunque usato una certa circospezione nell’avvicinare questo vasto e mutevole repertorio, allora in gran parte sconosciuto. Per questo
motivo, preferì maneggiarlo per prima cosa allo strumento con cui sentiva una confidenza
maggiore: il pianoforte. Le prime opere in tal senso sono la Sonatina su melodie popolari
o i Nove canti romeni per voce accompagnata. Sempre tra queste ‘opere prime’, nel 1915
verranno alla luce le Sette danze popolari romene, originariamente scritte anch’esse per
pianoforte, poi arrangiate per piccola orchestra (nel ’17), e infine diffuse nella più nota
versione per duo da camera, con pianoforte e violino. Lo specifico riferimento nei titoli
ai passi di danza, tipici della tradizione popolare, rende esplicita qui quella connotazione
gestuale (nei ritmi, nelle figurazioni melodiche o nel tessuto armonico) che è in grado di
caratterizzarne l’origine regionale. La Danza del bastone è tradizionale di Mezözabad, la
Danza della fascia e la Danza sul posto provengono da Egrés, la Danza del corno da Bisztra,
la Polka romena infine, e le ultime due, sono originarie dei distretti di Belényes e Nyàgra,
nella Romania settentrionale. Ne risultarono sette piccole composizioni, particolarmente originali; in primo luogo per il colore del timbro orchestrale (due flauti, due fagotti,
due clarinetti, due corni, poi gli archi), in grado di ricreare quell’ambiente sonoro tipico
‘dell’orchestrina di paese’. Come ha acutamente osservato Sergio Sablich, la timbrica è resa
così una qualità preminente, «oscillando tra i due poli opposti della ricostruzione di un
paesaggio sonoro, anch’esso presumibilmente popolare, e della modernità che aggiunge
tratti e figure inediti a quel paesaggio, senza però tradirne lo spirito».
L’interesse per la produzione musicale contadina, o più genericamente popolare, non è
però una novità introdotta da Bartók. Il compositore ungherese è stato forse il primo ad
applicare con sistematicità un approccio ‘etnomusicologico ante litteram’ alle proprie
opere. Ad ogni modo, nel profondo interesse rivolto alla multiforme realtà del folclore
musicale, Bartók aveva degli illustri predecessori, in particolare tra i colleghi di area slava
o mitteleuropea. Tra questi si può ricordare l’ungherese Franz Liszt (più correttamente
Férenc), autore delle arcinote Rapsodie ungheresi ma ancor più di un magnifico libretto
intitolato Gli zigani (o Des bohémiens et de leur musique en Hongrie), dove sono indagati
i tratti musicali più caratteristici dei rom e dei sinti ungheresi. Anche le 59 Mazurche di
Fryderyk Chopin (in polacco Szòpen) altro non sono, del resto, se non la raffinata testimonianza di quanto il repertorio colto europeo fosse già in grado di introiettare – nei propri
generi – molti stilemi della musica popolare. Sarebbe ingiusto però dimenticare Antonin
Dvoràk e Johannes Brahms, con le loro raccolte di Danze slave e ungheresi. Quest’ultime,
di cui oggi gusteremo due assaggi, furono composte in diversi fascicoli, originariamente
per duo pianistico a quattro mani. La raccolta godette da subito di un notevole successo
di pubblico, cui fecero però da contraltare alcune critiche di intellettuali ungheresi, che
vi vedevano un pervertimento dello stile originario della musica magiara. Grazie alla loro
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diffusione, lo stesso Brahms fu spinto dall’editore Simrock ad approntarne l’orchestrazione,
limitandosi però a solo tre danze. Ad altri compositori si devono i successivi adattamenti
orchestrali (tra questi lo stesso Dvoràk, grande amico di Brahms, Albert Parlow, Martin
Schmeling e Andréas Hallén). Brani certo godibilissimi, nella vivacità dell’umore e nella
sanguigna vena melodica, si cadrebbe in errore a volerli porre sullo stesso piano concettuale dell’opera bartokiana. Basti dire che la più nota fra tutte – la quinta, in Fa diesis
minore – a lungo ritenuta di chiara origine folclorica è sì una rielaborazione, non però di
una melodia popolare, bensì di una Czarda d’autore, la Bàrtfai Emlék di Béla Kéler. Nulla
di più diverso quindi dagli intenti etnoculturali di Bartók.
Quando si pensa alla ‘polonesità’ di Chopin certo alla mente verranno per prime le sue
ben note Polacche, o tutt’al più il cosmo raffinato delle Mazurche. Difficilmente dell’altro.
Pochissime occasioni si hanno infatti di ascoltare dal vivo il Gran Rondò da concerto
in Fa maggiore, per pianoforte e orchestra, detto à la Krakowiak. Ed è un vero peccato.
Composizione giovanile (l’autore era diciottenne), l’op. 14 soffre di quel perverso ostracismo
cui molta storiografia musicale ha voluto condannare lo sparuto manipolo di composizioni
orchestrali del genio polacco. L’orchestra vi è insoddisfacente. Lo stile salottiero (certo
fascinoso) ne scade l’estetica complessiva a quella di opere meno blasonate. I passaggi di
raccordo, tra gli episodi più strumentali, risultano convenzionali, e così via. Critiche siffatte
abbondano, anche in anni recenti e non sospetti (solo i due Concerti a volte si salvano, ma
quasi mai indenni del tutto). La loro ferocia, con tutta evidenza, è sopravanzata soltanto
da un limite certo: la cecità o, meglio, la sordità. L’aveva del resto intuito – con ammenda
tardiva – anche il vecchio Gerald Abrahm, padre della musicologia chopiniana moderna:
«Io stesso ho avvallato, vent’anni fa ormai, giudizi più che convenzionali. […] Mi sono
convinto invece che l’opinione generalmente espressa su come Chopin trattava l’orchestra
debba essere, se non rovesciata, almeno sostanzialmente rivista». L’orchestrazione - non
‘insufficiente’, semmai delicata – può sì risultare un problema; non tanto compositivo
però, quanto in sede d’esecuzione. Come acutamente osservava il Belotti: nel Krakowiak
«l’equilibrio delle sonorità risulta difficile senza un confronto continuo e diretto; le sole
due prove, che in genere oggi si concedono per questo tipo di esecuzioni, non le ritengo
sufficienti». Merito al coraggio quindi di Anna Miernìk e del M° Petrdlík che, per un repertorio non così usuale, è ancor più un piacere riconoscere.
Il concerto di stasera ci testimonia l’influenza costante che, nei due secoli passati, e da più
parti d’Europa, la cultura popolare ha saputo apportare alla grande storia della musica.
Ci sembra quindi giusto ritrovare infine, a coronamento di questo programma, un grande
classico del repertorio colto occidentale. Il Concerto in Mi minore op. 64 è forse il più noto
di Felix Mendelssohn, da sempre tra i preferiti cavalli di battaglia dei grandi virtuosi al
violino. Scritto vent’anni dopo il Krakowiak chopiniano, negli anni ’40 dell’Ottocento,
è un’opera già più che matura del genio amburghese. Composta in continuo dialogo
con Ferdinand David (dedicatario dell’opera, e primo violino al Gewandhaus di Lipsia),
l’opera fu causa di non pochi dubbi e perplessità nell’autore se, in una lettera all’amico,
Mendelsshon si dichiarò preoccupato di non riuscire a dar luce a pagine che fossero a
sufficienza di stimolo, per la sua agile abilità esecutiva. «Voi lo vorreste brillante, e come
credete che possa, io!?». Probabile ironia, cui è difficile credere, per un autore alla cui
opera poco si può rimproverare, non certo però l’assenza di scintillio o lucentezza. Tant’è
che, sin giovanissimo, proprio per queste sue qualità Mendelsshon era stato per molti
il ‘nuovo Mozart’ della musica tedesca. E non a caso; il risultato dell’op. 64, infatti, fu un
capolavoro. Romantico e turbinoso, nel cipiglio romantico, ma al contempo leggiadro,
con la levigatezza dei classici, il Concerto è un’irripetibile esempio di ‘romantico classicismo’. In questo del resto sta l’essenza più rara di Mendelsshon, la sua ineguagliabile
malia: ricorda e custodisce, nel suo squisito equilibrio, la storia di un secolo (e fors’anche
più) di musica europea. Quella tradizione che solo al Novecento sarebbe spettato poi il
compito, arduo, di saper rinnovare.
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Nicolò Rizzi
MERCOLEDÌ 10 MAGGIO 2017 ore 21.15
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
CONCERTO di CHIUSURA
ORCHESTRA FILARMONICA
MARCHIGIANA
MICHAEL MACIASZCZYK direttore
YOKO KIKUCHI pianoforte
LORENZO DI BELLA* pianoforte
in collaborazione con
W. A. MOZART (1756-1791)
Sinfonia n. 34 K 338 in Do maggiore
Allegro vivace
Andante di molto
Allegro vivace
F. CHOPIN (1810-1849)
Variazioni per pianoforte e orchestra
sul tema Là ci darem la mano
dal Don Giovanni di Mozart, op. 2
INTERVALLO
La pillola d’arte
del Prof. STEFANO PAPETTI
F. CHOPIN (1810-1849)
Concerto per pianoforte e orchestra
n. 2, op. 21 in Fa minore*
Maestoso
Larghetto
Allegro vivace
si ringrazia
MICHAEL MACIASZCZYK
«Gran musicista, violinista eccellente e giovane direttore molto talentuoso. Ha un’intesa assolutamente strabiliante con i musicisti dell’orchestra e le sue interpretazioni
sono originali, con gran quantità di colore ed emozione». Così si è espresso a proposito di Michael Maciaszczyk il M° Jerzy Maksymiuk (leggendario direttore polacco,
fondatore della Polish Chamber Orchestra – Sinfonia Varsovia ed ex direttore della
Scottish Chamber Orchestra).
Nel 1998 ha vinto un’audizione come spalla della Wiener Kammerorchester e, l’anno
seguente, è entrato a far parte dei Wiener Philharmoniker e della Staatsoper Wien. Ha
avuto l’opportunità di lavorare con alcuni tra i più rinomati artisti di fama internazionale (come Nikolaus Harnoncourt, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Daniel Barenboim
e molti altri). Tra i più apprezzati giovani direttori di oggi, il M° Maciaszczyk è anche
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direttore artistico della Wiener Klassik Orchester di Vienna e del Chamber Orchestra
Concertino, oltre che direttore ospite della Capella Bydgostiensis, e professore ospite
al Conservatorio Centrale di Musica di Pechino e all’Akademia Muzyczna di Cracovia.
Per molti anni è stato primo violino dei Secession Players Wien e dei Wiener Kammer
Ensembles. Ha collaborato con i Wiener Virtuosen, la Fritz Kreisler Ensemble e lo
Steude Quartett. Per oltre dieci anni è stato inoltre membro dell’Ensemble Wiener
Collage allo Schönberg Center. Come solista e come direttore si è esibito con molte
orchestre europee e dell’Asia in importanti sale da concerto quali: la Goldener Saal
Musikverein e la Konzerthaus (Vienna), la Suntory Hall e l’Opera City (Tokyo), la
Nagoya Philharmonic (Nagoya), la Gewandhaus (Lipsia), l’Auditorio Nacional de
Música (Madrid), la Konzerthaus (Berlino), la Tiencin Concert Hall (Tientsin), la
Xinghai Concert Hall (Guangzhou) e la Beijing Concert Hall (Pechino).
Entusiaste recensioni della sua attività sono comparse su testate della stampa internazionale, come la “Mitteldeutsche Zeitung”, il “Frankfurt Musik Journal” o la “Torgauer
Zeitung”.
Michael Maciaszczyk è anche direttore artistico presso il Festival dell’Arte
e membro onorario dell’European Forum of Polish Music di Berlino. Vive a Vienna.
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Foto Marco Borggreve
YOKO KIKUCHI
Yoko Kikuchi ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di 4 anni. Si è diplomata alla Toho
Gakuen High School of Music di Tokyo, studiando con Kiyoko Tanaka. Dall’ottobre
1996 è allieva dell’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di
Imola, dove ha studiato sotto la guida del M° Franco Scala e del M° Antonio Ballista,
ottenendo il diploma Master, nel 2003. Presso la stessa Accademia ha seguito il corso
di fortepiano, tenuto dal M° Stefano Fiuzzi.
Nel gennaio 2002 ha vinto il primo premio al Concorso Mozart di Salisburgo, che le
ha permesso di allargare notevolmente la sua attività in Europa e in Asia.
Nel 2003
ha suonato al Festival di Salisburgo “Mozart Matinée”, con l’Orchestra Mozarteum
Salzburg diretta dal M° Ivor Bolton.
Ha suonato sotto la direzione di Laurence Foster, Gerd Albrecht,
Hubert Soudant,
Dennis Russell Davis, Ivor Bolton, Alexsander Dmitriev, Heinz Karl Gruber, Günter
Pichiler, Pedro Halffter, Eiji Oue, Christian Arming, Christian Mandeal, Anton Nanut,
Petr Altrichter, Arie Van Beek, Saulis Sondeckis ed altri. Ha suonato con la Mozarteum
Orchester Salzburg, la Gulbenkian Orchestra, la NHK Symphony Orchestra, la Franz
Liszt Chamber Orchestra,
l’Orchestra da camera di Mantova, l’Orchestra dei Pomeriggi
Musicali di Milano, l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, la Sicilia Symphony
Orchestra, la Camerata Virtuosi di New York, la Slovenia Radio Television Orchestra,
l’Hellas Orchestra di Patrasso, la Hong Kong Sinfonietta, la Nuremberger Symphoniker,
la Sudwestdeutsche Philharmonic Konstanz, la Robert Schumann Philharmonie di
Chemnitz, i Berliner Symphoniker, l’Orchestra Ensemble Kanazawa, la New Japan
Philharmonic Orchestra, la Tokyo Philharmonic, la Yomiuri Nippon Symphony
Orchestra, la Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra, la Hiroshima Symphony
Orchestra, la Osaka Philharmonic Orchestra, la Nagoya Philharmonic Orchestra, la
Shanghai Symphony Orchestra, e la Shenzhen Symphony Orchestra.
Ha collaborato
come musicista da camera, tra gli altri, con l’Ensemble Wien Berlin, il Quintetto d’archi
dei Berliner Philarmoniker, il Leipzig String Quartet, i Clarinotts, l’Afflatus Quintetto,
Radek Baborak, Daniele Damiano, Andreas Ottensamer e Michael Collins.
Nel 2006
ha vinto il premio ‘Best recording by a Japanese Artist’ del Music Pen Club, e nel
2007 il premio ‘Idemitsu Awards’.
Ha suonato in prestigiose stagioni concertistiche
e festival come Mozart-Matinée del Salzburg Festival, lo Schleswig-Holstein Musik
Festival, il Sintra Festival, il Madeira Festival, il Leiria Festival, il Bodensee Festival, le
Recital series of Tonhalle Zurich, il St. Ursanne Piano Festival, le Schloss Eggenberg
Concert series, e il Settembre Musica di Torino, il Maggio Musicale Fiorentino, il
Palermo Festival, il Mittelfest di Udine, l’Emilia Romagna Festival, il Musica Insieme
di Bologna, la Serie Smeraldo della Società dei Concerti di Milano, la Società dei
Concerti di Brescia, il Festival Internazionale ‘Concerti d’autunno’ in Sala Greppi, e
gli Amici della Musica di Palermo.
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NOTE DI SALA
Si rischia l’aneddotica spicciola nel citare la famosa ‘pedata’ con cui il giovane Mozart di
punto in bianco si ritrovò sulla strada, licenziato da Hiyeronimus Colloredo von Wallsee
und Meis, principe arcivescovo di Salisburgo. Il poco garbato ‘ben servito’ gli fu somministrato però non già dalle eleganti scarpe di raso di sua Eccellenza reverendissima, bensì
dai duri stivali del conte Karl Joseph von Arco, camerlengo arcivescovile e incaricato delle
contrattazioni alla corte salisburghese. Il 1781 segnerà quindi una svolta per Mozart, che
dalla corte del Colloredo partirà alla volta di Vienna. Una svolta di uguale importanza
rappresenterà molti anni più tardi la decisione di Fryderyk Chopin di lasciare Varsavia. Lo
vedremo. Per intanto diciamo che un cambio di contesto poté rappresentare, a entrambi,
l‘occasione di abbandonare uno stile sul quale gli influssi dei maestri o dell’apprendistato
erano più evidenti, in favore di un nuovo linguaggio in cui finalmente ricercare se stessi,
e la propria particolare espressione.
Pubblicata poi postuma, la Sinfonia in Do maggiore k 338 sembra essere un omaggio
inconsapevole, da Mozart rivolto ad un mondo ch’è già in procinto di abbandonare. In
coerenza con l’eredità italiana, l’opera è tripartita. Mozart sin dall’80 aveva sperimentato
sinfonie in quattro movimenti, ad ogni modo si deciderà (pur con qualche ripensamento)
per lo schema col Minuetto solo dopo il trasloco viennese. Più che altro è così nel colore
strumentale che qualcosa di nuovo si agita, qui, sotto le sembianze dell’ennesima sinfonia.
Un’inattesa urgenza espressiva, una nuova intensità sembrano volerci condurre verso
un ‘altrove’, in qualche modo già presentito. Non c’è traccia alcuna di staticità; l’anelito
è quello sicuro, tipico della gioventù, in un Mozart in procinto di imboccare la sua vera
strada. Il conte Arco non avrà certo capito cosa stava calciando, con quella pedata, e i suoi
modi spicci avrann forse accelerato le cose, si può però intuire che il destino del giovane
genio aveva qui già avviato il suo inarrestabile corso.
Dalle testimonianze degli allievi sappiamo della grande venerazione che Chopin nutriva
per Johann S. Bach, sempre rimasto per lui un modello insuperabile di perfezione stilistica. Può essere ovvio, ma fa piacere ricordare che solo un altro compositore, nell’empìreo
musicale, era dal genio polacco tenuto in altrettanta considerazione: nessuno certo tra i
grandi virtuosi dell’epoca, non un grande italiano, neppure il genio par excellence, padre
della scuola romantica, Beethoven. Alla perfezione divina del Kantor solo lui poteva essere accostato, la gemma più pura del Classicismo viennese, il transfuga salisburghese:
Mozart. Del resto è ben noto quanto Chopin ritenesse necessaria nella formazione di
un valido strumentista quella naturalezza canora, al meglio esemplificata dalla lirica
‘italiana’. Ai suoi giovani studenti, in Parigi, non si stancava mai di ripeterlo: «la musica
dovrebbe essere canto!» E m.lle Vera Rubio (nata Kologrivoff) ricordava ancora queste
sue parole: «se volete suonare il pianoforte, dovete cantare». In questa testimonianza ci si
svela così, in nuce, l’essenza stessa del pianismo chopiniano: la musica è canto, e il suono
del pianoforte deve continuamente evocare la lirica distensione della morbidezza vocale.
Mozart in questo poteva essere un maestro migliore di tanta letteratura pre-romantica,
persino forse dello stesso Beethoven!
Una sorta di ‘affinità elettiva’ doveva così essere all’opera sin dagli albori della sua coscienza creativa se, dopo il primo Rondo in Do minore, uno Chopin diciassettenne darà
alle stampe come sua op. 2 le Variazioni sopra ‘Là ci darem la mano’, celeberrimo duetto
dal Don Giovanni mozartiano. Le introduce un godibilissimo episodio tutto gestualità
biedermeier, in cui troviamo riassunto il virtuosismo di Hummel, la sapienza di Herz e
il colorito di Moscheles. In un elegante dipanarsi di volute e arabeschi, si tesse poi una
delicata trama di timbri, di giochi e rifrazioni ritmiche, nel più puro stile della galanterie
per tastiera. Un recensore d’eccezione come Robert Schumann vi scorse riassunto tutto il
mondo teatrale mozartiano, rianimatovi inoltre con mirabile maestria, ancor più perché
in un giovanissimo, qual era Chopin, nel 1827. La variazione «signorile e civettuola», quella
«più comica e litigiosa», il «chiarore di luna e un incanto di fate», la sfrontata arditezza
dell’animo polacco, s’alternano per sciogliersi nel «finale tutto intero di Mozart – coi
turaccioli di champagne che saltano, le bottiglie che tintinnano, poi la voce di Leporello
e sul finire gli spettri, a ghermire un Don Giovanni che sfugge». Consegnato al nome di
Eusebio, uno degli pseudonimi con cui Schumann firmava molti suoi pezzi critici, il suo
alter ego più poetico, rapito e emotivo, fu netto e generoso il giudizio con cui Schumann
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riassunse quest’opera del giovanissimo collega, all’epoca semi sconosciuto: «Giù il cappello, signori: un genio!»
Nelle variazioni, l’orchestra pare lasciata al compito di ‘abbracciare’ il timbro pianistico,
nuance più che altro espressiva, tutt’al più di raccordo, fugace, o d’introduzione danzante. Il virtuosismo lucente, alla tastiera, è invece lo stesso che ritroviamo anche in molte
altre composizioni del Chopin giovanile. Tra tutte si pensi alla famosa Grande Polonaise
brillante, op. 22. Uno stile di scrittura che accomuna Chopin a quei grandi virtuosi che
imperversavano Parigi, in pieno Ottocento. Per lui il modello più rispettato e ammirato in
tal senso era Weber ancora, scomparso proprio l’anno prima che gli riuscisse di licenziare
le sue variazioni alla stampa. E se a noi oggi viene più spontaneo accostare al magistero
chopiniano il nome di Franz Liszt, bisogna però tenere alla mente che l’ungherese e
il polacco saranno sì compagni di strada ma più nelle avventure future, cui associare
quindi ben altre opere dal catalogo chopiniano. Per un raffronto col pianismo giovanile
e charmant di Chopin è forse il nome di Mendelssohn che più risulterebbe calzante.
Al contrario di questi, il giovane polacco scriverà molto poco per l’orchestra, e sempre
componimenti per pianoforte accompagnato, mai pensando al solo organico orchestrale.
Oltre alle Variazioni, alla già citata Polonaise brillante, e a due opere minori (la Fantasia
su arie polacche e il Krakowiak), il suo sforzo in tal senso si produsse nei due Concerti
per pianoforte, scritti a brevissima distanza l’uno dall’altro, tra il 1829 ed il ‘30, quando
l’autore si avvicinava ai vent’anni.
Nel quarantennio che seguì l’ultimo grande concerto di Mozart, il tardo Classicismo aveva
certo visto risplendere i cinque capolavori beethoveniani, ma si era trovato al contempo
accerchiato da un fitto sottobosco di opere che gli stavano rapidamente mutando i connotati. Con uno stile strumentale sempre più nuovo, il genere del Concerto si ritrovava
pronto a salpare gli ormeggi e ad allontanarsi per sempre dagli aurei equilibri dello stile
classico. Prima di giungere al tumulto del Concerto romantico, tre autori in particolare
consegneranno alla storia lo stile instabile e inquieto di questa nuova tempèrie stilistica,
non più classica, certo, né pienamente romantica. Proprio Carl Maria von Weber era
stato il primo a raccogliere, e a un sol anno di distanza, l’insormontabile sfida lanciata
da Beethoven nel 1810 con il suo quinto concerto, l’Imperatore. Nel ’22 Felix Mendelssohn
comporrà invece il suo primo concerto di quattro, di cui solo il secondo ed il terzo vedranno
le stampe, vivente l’autore, nel 1831 e nel ’37. Tra Weber e Mendelssohn corre all’incirca
un decennio, ed è qui che si colloca quindi Chopin.
Si è discusso, e a lungo, dell’inadeguatezza supposta nell’orchestrazione chopiniana per
queste opere giovanili. «Tutto si concentra nella parte pianistica e l’orchestra non è che un
freddo e superfluo accompagnamento». Il giudizio di Hector Berlioz è solo uno dei tanti (e
neppure il più feroce) a consegnare alla storia una ricezione forzatamente stereotipica di
questi lavori. È per fortuna ormai tempo che la critica musicologica ha invece riconosciuto
una realtà differente. Certo il giovane polacco non si trovava a suo agio egualmente con la
compagine orchestrale come col suo strumento elettivo, ma la sua delicata orchestrazione
non è forse tanto da attribuirsi a un’inesperienza compositiva quanto invece alla difficoltà di armonizzare lo spettro coloristico della grande orchestra con la delicata scrittura
strumentale qui troviamo prescelta, per il pianoforte. Si è giustamente fatto notare che
alcuni momenti, in particolare nell’op. 21, tradiscono in verità una capacità di scrittura che
contraddirebbe la vulgata di uno Chopin orchestratore disimpegnato o peggio incapace.
Bastino lo stupore evocato dal cupo tremolo agli archi, sotto allo splendido ‘recitativo’
ch’è il cuore del Larghetto centrale. O, nel finale, l’elegante passo di agilità dei violini, ‘col
legno’, e l’effettistica fanfara dei corni che introduce il movimento e poi prelude la coda,
in un vezzo di elegante ironia, tra il divertito e il teatrale. Non ci troviamo qui certo di
fronte ai capolavori beethoveniani, né ai colossi del grande concertismo romantico, ma
la godibilità di quest’opera è innegabile e, nella spensierata raffinatezza che lo percorre
da capo al fine, Chopin sembra volerci ricordare quanto il vero virtuosismo, in uno stile al
limite forse dell’eleganza più frivola, debba essere inscindibile dal savoir-faire e lo charme.
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Nicolò Rizzi
BIGLIETTI
I LUOGHI DI CIVITANOVA CLASSICA
MAIN SPONSOR
Annibal Caro
Platea e palchi centrali:
€ 15 intero - € 12 ridotto*
Palchi e loggione:
€ 10 intero - € 8 ridotto*
Diritto di prevendita € 1
Teatro Annibal Caro
Civitanova Marche Alta
• platea e palchi centrali
• palchi e loggione
* giovani fino a 24 anni
PRENOTAZIONE E VENDITA
Teatro Rossini
In tutti gli orari di apertura del cinema
Teatro Annibal Caro
Nei giorni di rappresentazione da due
ore prima l’orario di inizio del concerto.
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INFORMAZIONI
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cell. 348 3442958
Teatro Rossini
Civitanova Marche,
via B. Buozzi - 0733 812936
Teatro Annibal Caro
Civitanova M. Alta,
Corso A. Caro - 0733 892101
www.civitanovaclassica.it
Il presente programma
potrà subire variazioni
Sala Lettura della Biblioteca “S. Zavatti”
Civitanova Marche
IMPRESA EDILE
Pianoforti Steinway & Sons
e YAMAHA della collezione
Roberto Valli di Ancona
Auditorium Scuola Media “E. Mestica”
Civitanova Marche
Si ringrazia l’Hotel
per la gentile ospitalità offerta agli artisti del Festival
Organizzazione:
www.civitanovaclassica.it