Esercizi Spirituali 2009 Meditazione n. 8 Venerdì 7 agosto ore 16.30 RALLEGRARSI DELLA VITTORIA DI DIO Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi (Ef 4,4). Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8, 35-39). Penso che sia un sentimento comune quello di gioire di fronte a racconti di vittoria del bene sul male o della giustizia sull'ingiustizia. La popolarità, ai nostri giorni, di film che propongono proprio questo tema conferma quanto stiamo dicendo. I film enormemente popolari di Harry Potter, basati sulla serie di libri di anche maggiore successo scritti da J. K. Bowling, offrono un quadro stimolante di questa eterna lotta tra il bene e il male, con l'impiego d'incantesimi e di maghi. In epoca precedente, e fortunatamente riproposta nel cinema, un classico della letteratura infantile come quello di C. S. Lewis, Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l'armadio, affrontò temi simili in una vena letteraria immaginativa. La stessa cosa potrebbe dirsi per l'epica trilogia Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, che è sempre stata un'opera letteraria molto popolare ed ora è stata proposta in una serie di film di successo. Ciascuna di queste serie affronta il vecchio tema dell'eterna lotta tra il bene e il male, creando un universo immaginario e persino mistico dove ha luogo questa lotta. La stessa cosa fanno, da un punto di vista fantascientifico, i film che propongono le Guerre stellari di Gorge Lucas. Persino certi personaggi dei fumetti come Superman, Batman, Spiderman e Catwoman sono stati riproposti recentemente nei film per saziare la nostra sete infinita di racconti che offrono la speranza della vittoria del bene sul male. Paolo non dovette inventare scenari immaginari per raccontarci la vittoria del bene sul male. Né ebbe bisogno di un eroe che avesse particolari poteri magici o armi segrete. Si limitò, invece, a predicare il «vangelo» di Gesù Cristo. Cioè, raccontò di nuovo, nelle sue lettere, il significato ultimo della morte e risurrezione di Gesù. Era questa, essenzialmente, la «buona novella» di ciò che Dio aveva compiuto in Gesù Cristo. E non fu così semplice, per Paolo, comunicare un messaggio chiaramente paradossale. Un'immagine di sconfitta e d'umiliazione - la croce - venne mostrata come simbolo di vittoria. L'«eroe» di Paolo non conseguì la vittoria in una brutale battaglia e battendo il nemico sul terreno. Egli vinse arrendendosi, offrendo se stesso per gli altri ed offrendo la speranza della riconciliazione. Egli mostrò al mondo che un amore pronto al sacrificio di se stesso conquista tutto. Paolo affrontò direttamente la realtà perenne del peccato e del male, proclamando, nello stesso tempo, che la croce e la risurrezione di Gesù avevano determinato la vittoria di Dio. La Lettera ai Romani contiene la trattazione più ampia e più coerente di questo argomento, e su di essa è opportuna una nostra riflessione in questa meditazione finale dei nostri esercizi spirituali. Paolo espone il suo modo d'intendere la situazione nei primi tre capitoli della lettera. La sua argomentazione procede più o meno così: il mondo, così come si presentava ai suoi giorni, era costituito da una duplice realtà. Da una parte, i Giudei lo vedevano dalla loro prospettiva, come popolo eletto da Dio; essi erano i Giudei, tutti gli altri erano Gentili. I Greci, dall'altra parte, avevano anch'essi una loro prospettiva, altrettanto dualistica: per loro il mondo era diviso in due campi, quello greco e quello barbaro. Questa tendenza a dividere il mondo in due, noi e loro, fa parte probabilmente proprio della condizione umana. In ogni caso, Paolo attacca questa visione 2 dualistica, specialmente quando essa conduce all'ipocrisia e all'implicazione secondo cui una concezione umana del mondo è migliore di un'altra. Paolo procede col dire che, pur avendo sia i Giudei che i Greci (gentili) prerogative tali da poter distinguere il bene dal male, entrambi avevano in sé anche molti aspetti del male. I Giudei avevano la Legge (Torah), mentre i Greci avevano la saggezza (la filosofia), due prerogative che avrebbero dovuto aiutare entrambi a vedere la verità. In un certo punto, Paolo elenca i vari peccati del mondo greco. ... colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa (Rm 1, 29-32). Si tratta di prove davvero incriminanti. Possiamo anche immaginare i membri giudei della comunità con un sorriso compiaciuto, mentre pensano di se stessi: «Noi non siamo così!» Ma Paolo non lascia loro alcuna possibilità di autocompiacimento. Perché passa subito ad un'analisi del mondo giudaico e delle sue colpe. Essi, che hanno ricevuto la Legge di Dio attraverso Mosè, e che quindi dovrebbero avere una migliore conoscenza, sono in realtà non meno incalliti nel peccato e nella colpa di quanto lo siano i gentili. Egli li ammonisce severamente a non emettere giudizi su altri. (Si ricordi il detto: «Chi vive in serre di vetro non dovrebbe gettare pietre»). Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio? O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità; sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono alla ingiustizia. Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco; gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco, perché presso Dio non c'è parzialità (Rm 2,1-11). Con queste parole pungenti, Paolo ricorda ai membri giudei della comunità che debbono essere cauti quando si ritengono «guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre» (Rm 2,19). Dio non è parziale e non conosce favoriti. La realtà, secondo l'analisi di Paolo, era che sia il mondo giudaico che quello gentile avevano bisogno della salvezza. Sia i Giudei che i Greci avevano fallito nel vivere nel modo dovuto come creature di Dio, create ad immagine di Dio. Né gli uni né gli altri avevano conseguito la vittoria sul male. Per questo tutta l'umanità si trova nella necessità di essere salvata da Dio. Proprio qui, secondo Paolo, Gesù Cristo entra in scena. Se la sua analisi è precisa, e le prove offerte dalla vita quotidiana dei nostri giorni indicano che lo è, allora egli richiama giustamente l'attenzione sul bisogno universale di salvezza. Noi esseri umani non possiamo vincere la battaglia contro il male da soli. La nostra tendenza umana - in realtà, la nostra inclinazione naturale al peccato - esercita su di noi un potere al quale è difficile resistere. Proprio quando pensiamo di averlo fatto, o quando pensiamo di aver conseguito la nostra vittoria, ciò avviene spesso quando le nostre debolezze riprendono il sopravvento su di noi. Si ricade continuamente: l'alcolista che abbandona la cura disintossicante; il marito che ancora una volta trascura la moglie o i figli; l'uomo d'affari che riprende a truffare i clienti o ad evadere il fisco; l'adultero che non riesce a resistere ad un nuovo legame. Il peccato abbonda, ma, dice Paolo, sovrabbonda la grazia (Rm 5,20). Paolo capisce bene, tuttavia, quanto grande possa essere la sfida a rimanere pieni di speranza anche in mezzo alle continue prove della propria inclinazione al peccato. In un famoso brano della 3 lettera egli espone quella che potrebbe essere la sua situazione personale, ma che può essere vista anche come la condizione umana universale, così come viene sperimentata quando si è separati da Cristo. Egli lamenta che, sebbene conosca quale bene sia necessario compiere, spesso non riesce a farlo. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me: Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? (Rm 7,15; 17-24). Questo brano spiega davvero chiaramente il dilemma umano nell'assenza di Cristo. Nel nostro intimo, sappiamo ciò che è giusto. Ma non abbiamo la forza di attuarlo. Compiere ciò che è giusto, specialmente di fronte alle seduzioni del mondo, è impresa difficile. Solo quando viviamo in Cristo possiamo vedere il modo di disbrigarci da questa confusa situazione. Così, qual è la nostra situazione? Siamo forse destinati a voltolarci nella nostra peccaminosità? Non dovremo mai conseguire una vittoria definitiva? È qui che Paolo diventa massimamente creativo. Egli riflette in profondità sul fondamentale significato della venuta di Gesù nel mondo e sull'effetto della sua morte e risurrezione. Se noi fossimo destinati ad essere soltanto creature della nostra natura umana, soltanto figli e figlie di Adamo ed Eva, avremmo davvero poca speranza. Ma c'è un «nuovo Adamo», dice Paolo, che ora dà ad ogni creatura una nuova possibilità (cf Rm 5,14 e 1Cor 15,22). Egli parla, ovviamente, di Gesù Cristo. In lui, tutti hanno ormai la possibilità di sconfiggere il male, il peccato e la morte una volta per tutte. Egli ci ha resi figli adottivi di Dio. La sua vittoria attraverso la croce e la Risurrezione è la nostra porta che ci fa entrare nella nuova vita. «Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rm 8,1). In Gesù Cristo, Dio fornisce la vittoria che altrimenti ci sfuggirebbe. È qui che entra in scena la virtù della speranza. Ho rinviato la mia riflessione su questa virtù teologale fin qui perché essa appartiene alla fiducia nella vittoria di Dio. In un notevole brano della Lettera ai Romani, Paolo indica in che modo la speranza emerga da una serie di eventi correlati, causati dalla benignità di Dio. Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo; per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato (Rm 5,1-5). Fondamentalmente, Paolo ci mostra una serie di realtà piene di grazia che conducono alla speranza. Potremmo dire che la speranza viene da Dio e ci riconduce a Dio, nella fiducia. Altrove, Paolo scrive al suo collega Timoteo che la speranza è radicata nella fiducia in Dio: «...abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono» (1Tm 4,10). E ricorda ai Romani: «Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (Rm 8,24-25). 4 La speranza guarda sempre in avanti, anticipando il compimento di ciò che è stato promesso. Talvolta Paolo deve esortare le sue comunità a non perdere mai la speranza, malgrado la tentazione a farlo alla luce delle battaglie della vita. I Tessalonicesi erano chiaramente una di queste comunità. Alcuni membri avevano perso la speranza perché amavano quelli che erano morti. Essi erano arrivati a temere che costoro sarebbero stati esclusi nel giorno finale della vittoria di Dio. Così, Paolo ricorda loro: Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti... Confortatevi dunque a vicenda con queste parole (1Ts 4,14-15,18). Questo è il motivo per cui, sia detto tra parentesi, quando Paolo parla ai Tessalonicesi delle tre virtù teologali, la speranza viene elencata per ultima, cioè dove riceve maggiore risalto. Egli ricorda loro la necessità di vivere nella fede, nella carità e nella speranza. Nel loro caso, la speranza era la virtù che riceveva la minore attenzione. Paolo li conforta ed esorta nella loro situazione per ravvivare la loro speranza. Essi avevano già dimostrato la loro fede e la loro carità, ma avevano bisogno di ravvivare la loro speranza. La speranza è una fede che viene orientata verso il futuro nella fiducia. Essa non cede alle apparenze in questo mondo. Né viene indebolita da apparenti deviazioni o ritardi nel progetto di salvezza di Dio. Non si potrà mai sottolineare abbastanza l'importanza della fede di Paolo nella risurrezione per la sua fiducia nel trionfo finale di Dio. La risurrezione di Gesù fu un evento preliminare per la nostra risurrezione. Paolo considera Gesù come la «primizia» di questa speranza. Scrive nella Prima lettera ai Corinti: Ora, invece, Gesù è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,10-28). Proprio come Gesù vinse la morte con la Risurrezione, così tutti noi parteciperemo alla vittoria finale quando i morti saranno innalzati nella gloria. Questo fu uno dei più difficili messaggi che si potessero far comprendere ai tempi di Paolo, al di là del fatto di credervi o no. La ragione è che il concetto di risurrezione sembrava assurdo. Chi mai aveva sentito di uno che fosse risorto dai morti? Gli Atti degli Apostoli ricordano una reazione di questo genere alla predica di Paolo in Atene: «Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano...» (At 17,32). Ma la risurrezione è davvero il fondamento della nostra fede cristiana. Ha però un senso in termini terreni? No. Eppure Paolo insiste: «Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» (1Cor 13-14). Anche noi professiamo questa fede nel Credo, quando diciamo che crediamo la risurrezione dai morti e la vita eterna. Questo è il messaggio che proclamiamo ogni volta che ci riuniamo in un funerale per dare il nostro estremo saluto a qualcuno che amiamo. Questo messaggio è un atto di fede ed un atto di speranza. La nostra fiducia nella risurrezione è un atto di fiducia che Dio sarà infine vittorioso su tutto ciò che è finito. Il peccato e la morte non eserciteranno più il loro dominio su di noi. 5 La più eloquente sintesi paolina di questa fiducia nella vittoria definitiva di Dio si trova nel capitolo 8 della Lettera ai Romani, con parole che costituiscono una chiusura appropriata per quest'ultima meditazione dei nostri esercizi spirituali. Paolo scrive con vigore: Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati. Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (Rm 8,28-39). Così, questa è la nostra ragione per la fiducia, per la speranza, ed anche per rallegrarci in mezzo alle battaglie quotidiane della vita. Infatti, la speranza è inevitabilmente accompagnata dalla gioia. Questa non è una gioia umana, nel senso di qualcosa che ci reca piacere per un momento, o ci fa sentire buoni o felici, o ci fa sorridere o ridere. La gioia cristiana è una realtà profondamente percepita di benessere. È radicata nella fiducia che Dio ci aiuterà a superare qualsiasi difficoltà e ci fornirà la vittoria che tanto desideriamo. Questo è il motivo per cui Paolo può dare tanto risalto alla gioia anche nelle lettere che scrive dal carcere, specialmente ai Filippesi. Egli ha riposto la sua speranza su Gesù, e proprio per questo si sente pieno di gioia. In uno dei suoi auguri espressi come preghiera, egli esprime ai Romani il suo desiderio che essi possano avvicinarsi alla loro fede in questa maniera: «Il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13). Alla fine, il mescolarsi di speranza e di gioia e di vittoria ci mette a contatto con il mistero che è Dio. Anche se è un mistero, la salvezza operata da Dio avrà infine il suo effetto desiderato. La vittoria non è nostra, in realtà. È di Dio. Ma Dio sceglie di condividerla con noi, ed egli invita tutti ad essere partecipi di questa salvezza. E questo è un grosso motivo per rallegrarci, nell'accingerci a portare a termine questi nostri esercizi spirituali. 6 SPUNTI PER LA RIFLESSIONE Leggi il Salmo 17(18), 2-3: «Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; / mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo, / mio scudo e baluardo, mia potente salvezza. / Invoco il Signore, degno di lode, / e sarò salvato dai miei nemici». Il salmista usa immagini forti per esprimere fiducia in Dio. Queste immagini esprimono la tua esperienza personale di fiducia in Dio? Sei capace di usare parole tue per rendere grazie a Dio per le cure che egli mostra verso di te? Leggi di nuovo la Lettera ai Romani 8, 38-39. Che genere di «presente» o di «avvenire», di «potenze» o di «alcun'altra creatura» minaccia la tua vita? Puoi esprimere la stessa fiducia di Paolo che nessuno di questi ostacoli t'impedirà di sperimentare l'amorosa salvezza di Dio? Indugia per qualche momento sull'immagine della risurrezione di Gesù. Se hai tempo, leggi tutto il capitolo 15 della Prima lettera ai Corinti, che è la più lunga riflessione di Paolo sulla risurrezione. Cosa trovi di confortante in questa convinzione? Puoi individuare motivi d'angoscia associati a questa convinzione? Quanto forte è la tua personale convinzione che la vittoria di Dio sul peccato e sulla morte sarà definitiva? Leggi la Prima lettera ai Tessalonicesi 4,13-18. Paolo esorta a non perdere la speranza che quelli che «sono morti» risorgeranno nell'ultimo giorno. Anche se l'insieme delle immagini usate per descrivere l'evento della venuta di Cristo nella gloria negli ultimi giorni non va preso alla lettera, il brano intende sostenere la speranza nella risurrezione. Trovi nel brano qualcosa che riesce a consolarti? Ti sembra che faccia volare troppo la fantasia? Quale messaggio di speranza vi trovi? PREGHIERA Signore dell'universo, il Tuo potere supera ogni comprensione. A malapena riesco a capire in che modo apparirà la Tua vittoria in quel giorno in cui arriverà il Tuo regno. Professo tuttavia la mia fede in Te per l'esempio del Tuo proprio Figlio, Gesù. Egli si abbandonò alla Tua volontà, e Tu lo hai vendicato nella risurrezione. In quel giorno la luce davvero dissipò le tenebre. La nuova vita vinse sul potere della morte. E Tu restituisti speranza al mondo. Non permettere mai che la mia fiducia sia scossa dai terribili eventi che talvolta accadono attorno a me. Vieni, Signore, e porta a termine la Tua vittoria. Raduna tutti nel Tuo cuore. Nel nome di Colui che è il Signore risorto, e nel tuo Santo Spirito, Ti prego. Amen.