R. GAROFOLI-G.FERRARI, Manuale di diritto amministrativo,

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SOMMARIO
SEZIONE I
Parti tratte da
R. GAROFOLI-G.FERRARI, Manuale di diritto amministrativo,
Neldirittoeditore, 2008, di imminente uscita.
A) LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.: I PROFILI PROCESSUALI.
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE
1. Le quattro fasi dell’evoluzione. 2. Il riparto prima di Cass. Sez. un., n. 500/1999. 3. I due Giudici del risarcimento
nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. 500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. 4. La terza fase: il
quadro normativo delineato dalla legge n. 205/2000. La giurisdizione sui danni da provvedimento non impugnato o
già annullato. 5. La quarta fase: interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento”. 6.
Ipotesi applicative. 6.1. Danno da silenzio. 6.2. Danno da responsabilità precontrattuale. 6.3. Danni da omessa
vigilanza Consob. 6.4. Danno da occupazioni. 6.5. Il settore del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di
giurisdizione. Rinvio. 6.7 Danno da attività materiale dell’amministrazione. 6.8. Danno da violazione del giudicato.
B) PARTE … - LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA
1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali. 2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte
costituzionale. 3. La giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n.
80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998. 3.1. La persistente rilevanza della nozione di
servizio pubblico: il dibattito. 3.1.1. Una fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica. 3.1.2. I c.d. servizi
sociali. 3.2. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di spesa. Diniego
di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero. 3.3. Le controversie relative a
provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, educazione sessuale nelle scuole e revoca di
amministratori di società in mano pubblica. 3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio. 3.5. Controversie
relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in tema di sanzioni (rinvio). 3.6. Servizio
farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995. 4. La giurisdizione in tema di
concessione di beni. 5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici:. 6. La giurisdizione in tema di
edilizia, urbanistica ed espropriazione. 6.1. Nozione di edilizia. 6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso. 6.3.
La giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il danno da occupazioni: rinvio. 6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e
azioni possessorie, nunciatorie e cautelari. 6.5. Attività privatistiche pure e spurie. 6.6. Retrocessione. 7. Le altre
materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della
legge 241/1990. rinvio. 8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio. 9. La giurisdizione in materia di diritto
sportivo. 10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti: rinvio. 11. La nuova
ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica. 12. La giurisdizione di merito. 13. Questioni rilevanti
in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la
liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n. 794 del 1942.
C) CAP…
LA TRANSLATIO JUDICII
SOMMARIO. 1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e Corte
cost.,12 marzo 2007, n. 77. 2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109. 3. Corte cost. 12 marzo 2007, n.
77. 4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie. 5. L’intervento del legislatore: le indicazioni
emerse.
SEZIONE II
PARTE
TRATTA
DA
R.
GAROFOLI,
TRACCE
AMMINISTRATIVO, NELDIRITTO EDITORE, 2008,
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DI
DA
D) Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto: profili sostanziali e processuali, anche in
conseguenza di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e Cons. Stato, sez. v, 28 marzo 2008, n. 1328.
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A) LA RESPONSABILITÀ DELLA P.A.: I PROFILI PROCESSUALI.
SEZIONE ..
IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE
1. Le quattro fasi dell’evoluzione. 2. Il riparto prima di Cass. Sez. un., n. 500/1999. 3. I due Giudici del risarcimento nella
ricostruzione delle Sezioni unite (sent. 500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. 4. La terza fase: il quadro normativo
delineato dalla legge n. 205/2000. La giurisdizione sui danni da provvedimento non impugnato o già annullato. 5. La quarta fase:
interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento”. 6. Ipotesi applicative. 6.1. Danno da silenzio.
6.2. Danno da responsabilità precontrattuale. 6.3. Danni da omessa vigilanza Consob. 6.4. Danno da occupazioni. 6.5. Il settore
del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di giurisdizione. Rinvio. 6.7 Danno da attività materiale dell’amministrazione.
6.8. Danno da violazione del giudicato.
1. Le quattro fasi dell’evoluzione.
Tra i profili di giurisdizione ancora più dibattuti vi è quello riguardante le azioni risarcitorie proposte
contro la pubblica amministrazione.
La l. n. 205 del 2000, infatti, meritoria laddove sperimenta il tentativo di superare le perplessità di tipo
teorico e pratico innescate dal complessivo impianto argomentativo al riguardo sviluppato dalle Sezioni
Unite di Cassazione nella sentenza n. 500 del 1999, ha tuttavia suscitato forti contrasti interpretativi
almeno in parte addebitabili alla non cristallina chiarezza della formulazione normativa.
Il principale dato di diritto positivo sul quale è necessario soffermare l’attenzione è ora costituito dall’art.
7, co. 3, l. n. 1034/71, come sostituito dall’art. 7, co. 4, l. n. 205/2000, a tenore del quale “il Tribunale
amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative
all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti
patrimoniali consequenziali”.
Il primo dubbio ermeneutico suscitato dalla citata disposizione deriva dal riferimento in essa contenuto
agli “altri diritti patrimoniali consequenziali”: l’apparente considerazione della questione relativa al
risarcimento del danno quale profilo involgente un diritto sussumibile, al pari di “altri”, nella incerta
categoria dei “diritti patrimoniali consequenziali” assegna all’interprete il non agevole compito di
individuare i confini entro cui va riconosciuto al giudice amministrativo il potere di conoscere delle
domande di risarcimento del danno asseritamente sofferto in conseguenza dell’azione od omissione
dell’Amministrazione.
Con maggiore impegno esplicativo, occorre chiedersi se lo stesso spetti al giudice amministrativo sempre e comunque o solo
quando il diritto al risarcimento sia (come gli “altri diritti” affidati alla sua cognizione) “consequenziale”: quesito alla cui soluzione
non può pervenirsi senza chiarire il senso da ascrivere, nel rinnovato assetto delle giurisdizioni delineato dalla l. n. 205 del 2000, al
concetto stesso di consequenzialità.
La questione, di per se´ già non agevole, si complica se si considerano i profili di reciproca interferenza in ipotesi prospettabili tra
l’esposta problematica e quella, delicatissima, afferente i rapporti — di indifferenza e concorrenza ovvero di pregiudizialità — tra
la classica azione demolitoria e quella intesa a conseguire il ristoro del pregiudizio sofferto per effetto dell’illegittima condotta
dell’Amministrazione.
Non è mancato, infatti, chi, prendendo le mosse dall’assunto interpretativo secondo cui solo il diritto al risarcimento del danno
“consequenziale” all’annullamento dell’atto può dirsi ricondotto nell’alveo della giurisdizione amministrativa sulla scorta del citato
art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, ha sostenuto che resterebbero di pertinenza della giurisdizione ordinaria le questioni risarcitorie non
consequenziali o autonome.
Invertendo la prospettiva, si è anche ritenuto che l’opzione per la soluzione della pregiudizialità nell’ambito del giudizio
amministrativo di legittimità rischierebbe di aprire la strada al riconoscimento di una permanente giurisdizione del giudice
ordinario sul danno “non consequenziale”.
L’innegabile possibilità che le due problematiche abbiano ad interferire non vale ad escludere, tuttavia, la necessità di un’analisi
distinta, che prenda le mosse dalla verifica dell’effettiva consistenza dal legislatore riconosciuta all’ambito cognitorio del giudice
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L’art. 7, co. 3, l. n.
1034/1971
“Consequenzialità
” e interferenze
con la
pregiudizialità
amministrativo sui profili risarcitori, per poi scrutinare la natura dei rapporti intercorrenti tra le due azioni di annullamento e di
risarcimento.L’esigenza di condurre un’analisi non congiunta delle due problematiche si pone sol che si consideri l’ontologica
diversità delle stesse, l’una attinente alla delimitazione dell’ambito di cognizione e di potestà decisoria da riconoscere al giudice
ordinario e a quello amministrativo, l’altra alla concreta conformazione delle due differenti tecniche rimediali e del loro reciproco
atteggiarsi.
A rendere ancor più complesso l’esame delle questione relativa al riparto di giurisdizione soccorre la necessità di tener conto delle
implicazioni applicative, talvolta dirompenti, innescate dalla importante sentenza 6 luglio 2004, n. 204, con cui la Corte
costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 33 e 34 del d. lgs. n. 80/1998, al contempo enunciando taluni
principi destinati a condizionare l’interprete impegnato nell’individuazione del giudice innanzi al quale portare la pretesa
risarcitoria che si intende formulare contro la P.A.: tra questi, soprattutto, quello secondo cui la giurisdizione del G.A. presuppone
inevitabilmente l’inerenza della controversia all’esercizio del potere, sicché devono ritenersi estranei all’ambito di cognizione di
quel giudice le liti riguardanti i “comportamenti” dell’amministrazione e le relative conseguenze pregiudizievoli.
Evidenziata la complessità della tematica è opportuno procedere all’esame anteponendo all’analisi delle
principali tipologie di controversie risarcitorie per le quali si è posto il problema dell’individuazione del
giudice la ricostruzione delle regole generali che governano il sistema di riparto nel settore in esame. E’ al
riguardo opportuno procedere in modo diacronico distinguendo quattro distinte fasi evolutive del quadro
ordinamentale:
a) la prima è quella che si protrae fino alla sentenza 22 luglio 1999, n. 500 con cui le Sezioni unite di
Cassazione hanno riconosciuto in astratto la risarcibilità dei danni da lesione dell’interesse legittimo
ricostruendo al contempo il sistema di riparto;
b) la seconda è quella che, inaugurata dalla suddetta pronuncia delle Sezioni unite, si protrae fino all’entrata
in vigore della legge n. 205/2000;
c) la terza è compresa tra il 2000 e il 6 luglio 2004, data di pubblicazione della sentenza n. 204 della Corte
costituzionale;
d) la quarta è quella che prende avvio con il suddetto pronunciamento del Giudice delle leggi.
2. Il riparto prima di Cass. s.u., n. 500 del 1999.
La questione del riparto fra le giurisdizioni in materia di risarcimento del danno provocato da atti e
comportamenti della p.a. ha conosciuto un periodo di particolare fermento fra il 1998, allorché con
l’emanazione del d.lg. 80/98 si pose per la prima volta in modo pressante l’esigenza di fare chiarezza
sistematica nella materia del risarcimento dei danni provocati dalla p.a., ed il 2000, quando, con la
promulgazione della legge n. 205, la questione del riparto in tema di risarcimento del danno ha ricevuto
una sistemazione stabile ma non per questo priva a sua volta di aree di incertezza. Tra l’uno e l’altro
intervento legislativo si era peraltro registrata la presa di posizione delle Sezioni unite di Cassazione che
con sentenza n. 500 del 1999 avevano riconosciuto la giurisdizione del g.o. nelle controversie risarcitorie
vertenti su materie di giurisdizione generale di legittimità e quella del g.a. in quelle riguardanti materie di
giurisdizione esclusiva. Sulle argomentazioni sottese a tale definizione giurisprudenziale della problematica
e sulle difficoltà interpretative innescate dalle disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 80/1998 e dalla l. n.
205/2000, si tornerà nel prosieguo.
Giova ora illustrare in via di estrema sintesi il dibattito sviluppatosi, già prima del 1998-99, attorno al tema
della risarcibilità degli interessi legittimi e dell’individuazione del Giudice innanzi al quale proporre le
domande di ristoro di cui si fosse riconosciuta l’ammissibilità.
Come rilevato, già prima del 1999, la stessa giurisprudenza della Corte suprema, pur affermando in
astratto la irrisarcibilità degli interessi legittimi, aveva tuttavia manifestato una tendenza ad ampliare
progressivamente l'area della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse
legittimo, di fatto « mascherando » da diritto soggettivo situazioni prive di tale consistenza (cfr. capitolo
precedente, paragrafo 2).
Tanto per i c.d. diritti suscettibili di affievolimento quanto per i diritti fievoli ab origine (entrambi in realtà
riconducibili al paradigma dell’interesse oppositivo), la vicenda risarcitoria era ricondotta entro un tipico
schema bifasico (annullamento dell’atto lesivo / riespansione del diritto / risarcimento del diritto
illegittimamente compresso) che vedeva il necessario coinvolgimento tanto del g.a. -nella fase
dell’annullamento- quanto del g.o. nella successiva vicenda risarcitoria.
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Corte cost. n.
204/2004 e il
riferimento ai
“comportamenti”
Le quattro fasi
Il doppio binario
imposto dalla
fictio del diritto
che rinasce
Si riteneva necessario, quindi, ricorrere ad una vera e propria fictio: quella del “diritto che rinasce” a seguito
dell’annullamento dell’atto illegittimo, finzione sotto la quale si nascondeva l’esigenza di dare ingresso alla
tutela di veri e propri interessi legittimi “mascherati” da diritti soggettivi1.
Le Sezioni unite erano ferme pertanto nel sostenere l’impossibilità per il g.a. di pronunciarsi circa il
risarcimento del danno dall’altro nonché quella per il g.o. di svolgere attività annullatoria sull’atto
amministrativo2.
Sotto tale aspetto, del resto, pochi passi in avanti furono compiuti anche quando, sulla spinta della
necessità di ottemperare a precisi obblighi di fonte comunitaria, il legislatore nazionale apportò la prima
deroga espressa di grande rilievo al dogma dell’irrisarcibilità.
Come è noto, infatti, con l’art. 13 della l. n. 142/92 fu sancita la risarcibilità della violazione di posizioni
(dai più ritenute di interesse legittimo) patita da soggetti che avessero subito una lesione a causa di atti
compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle
relative norme interne di recepimento. Ebbene, anche in tale caso, il legislatore, che pure aveva compiuto
un deciso passo in avanti rispetto all’approccio tradizionale, riconoscendo la risarcibilità di posizioni di
interesse legittimo, non ritenne invece di discostarsi dal tralatizio approccio in materia di riparto fra le
giurisdizioni, riproponendo uno schema bifasico di doppia tutela in base al quale la domanda di
risarcimento era proponibile dinanzi al giudice ordinario solo a seguito dell'annullamento dell'atto lesivo
pronunciato con sentenza del giudice amministrativo.
Prima di passare all’esame delle innovazioni innescate dalla pronuncia n. 500/1999, è utile ancora, anche al
fine di meglio chiarire il contesto anche normativo nel quale le Sezioni unite intervengono, tener conto del
contributo apportato dal d.lg. 80/98 all’evoluzione del dibattito circa il risarcimento dei danni provocati
dall’attività delle pubbliche amministrazioni.
Come è noto, l’art. 35 del suddetto decreto ha espressamente riconosciuto, nella sua originaria
formulazione, il potere del g.a. di conoscere delle questioni risarcitorie, allorché si pronunci su
controversie rientranti nell’ambito delle materie delineate dai precedenti artt. 33 e 34 dello stesso decreto.
L’art. 13, l. n.
142/1992
L’art. 35, d. lgs. n
80/1998
3. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. n. 500 del 1999): i
dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi.
Al di fuori delle materie attratte alla giurisdizione esclusiva, in assenza di previsione normativa
espressamente intesa a riconoscere al giudice amministrativo la cognizione delle pretese risarcitorie
fondate sulla lesione di ritenuti interessi legittimi, è spettato alle Sezioni unite di Cassazione risolvere in via
interpretativa il problema dell’individuazione del giudice.
Si legge nella sentenza n. 500/1999 che “l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti
della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario,
quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente ordinamento), la competenza
giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiche´ tale natura esibisce il diritto al
risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di
danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle
sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante
per l’ordinamento)”.
Emergono, quindi, due giudici del risarcimento del danno: il giudice amministrativo per le materie attratte
nella giurisdizione esclusiva ed il giudice ordinario per il danno cagionato con attività sussumibile nella
giurisdizione di legittimità dello stesso giudice amministrativo.
1 Cfr. CONTESSA, Ancora sul piano formale o sostanziale della tutela giurisdizionale in materia di appalti pubblici, in Urbanistica e appalti, 2002, n. 4, p.
459, ss.; CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, p. 684, ss. (che parla di un “contorto meccanismo procedurale
imposto dalla giurisprudenza”); CANNADA BARTOLI (a cura di), La responsabilità della pubblica amministrazione, Torino, 1976; SATTA,
Responsabilità della pubblica amministrazione, in Enc. Dir., XXXIX (ad vocem), Milano, 1988; CLARICH, La responsabilità civile della pubblica
amministrazione nel diritto italiano, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1989; CAPACCIOLI, Interessi legittimi e risarcimento del danno, in Diritto e processo, 1978;
MAZZAROLLI, Giustizia amministrativa, in: MAZZAROLLI et al., Diritto amministrativo, vol. II, Bologna, 1993, p. 1512, ss.
2 Il combinato operare dei due approcci da ultimo citati è stato bene messo in evidenza da GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è
“in coltivazione”, in: Cons. Stato, n. 1999, p. 1599, ss.
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Nel primo caso il giudizio è concentrato in capo ad un unico giudice per i profili sia risarcitori che
impugnatori; nel secondo si assiste alla dislocazione presso due giudici del giudizio sull’annullamento
dell’atto e di quello sul risarcimento del danno cagionato dall’atto medesimo3.
L’esposta impostazione ricostruttiva si è prestata a consistenti rilievi critici che ne hanno evidenziato la fragilità sul piano dei
presupposti teorici che ne fanno da sfondo, ma anche gli inaccettabili inconvenienti di tipo applicativo.
Sul primo versante, l’assunto teorico sul quale la Suprema Corte fa leva per dedurre la “competenza giurisdizionale” del giudice
ordinario sul contenzioso risarcitorio non concernente le materie attratte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è
dunque quello afferente la natura di diritto soggettivo ascrivibile alla posizione di chi, ingiustamente danneggiato
dall’Amministrazione, pretende il ristoro. Le Sezioni unite ritengono, quindi, che quello al risarcimento del danno sia diritto
distinto dalla posizione giuridica soggettiva lesa dal fatto illecito causativo del danno ingiusto; nel dettaglio, procedono ad una
scissione concettuale tra situazione vulnerata e meccanismo rimediale dall’ordinamento approntato per quella violazione, assurto
ad oggetto di nuova e distinta posizione giuridica sostanziale, qualificata di diritto soggettivo ed in quanto tale assoggettata alla
cognizione del giudice ordinario in applicazione del consueto canone di demarcazione dei terreni giurisdizionali propri del giudice
ordinario e di quello amministrativo4. L’impostazione si è prestata a non poche obiezioni.
Già sul piano ricostruttivo, infatti, si è rimarcata l’inattitudine di una pretesa dal carattere spiccatamente strumentale e rimediale,
quale quella avente ad oggetto il risarcimento del danno per lesione di altra posizione soggettiva, ad orientare la ricerca del
giudice5. La questione assume una particolare importanza anche in una prospettiva di più ampio respiro, attenta alla verifica della
compatibilità costituzionale delle ricostruzioni giurisprudenziali o delle opzioni legislative in punto di giurisdizione.
Non si trascuri, a tale proposito, che, per dettato costituzionale, “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa
hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi”, oltre che, in particolari
materie, “dei diritti soggettivi” (art. 103, co. 1o). Non vi è dubbio, quindi, che la Carta fondamentale abbia inteso ascrivere rilievo,
in sede di individuazione dell’ambito di giurisdizione proprio dei giudici amministrativi, alla posizione sostanziale che, in quanto
incisa dall’azione dell’amministrazione, abbisogna di tutela, sia essa di interesse legittimo ovvero, in taluni casi espressamente
indicati dalla legge, di diritto soggettivo; alla normale demarcazione della giurisdizione amministrativa deve procedersi, quindi,
avendo riguardo alla consistenza della posizione soggettiva che, contrapponendosi alla condotta amministrativa, abbisogna di
tutela, non già facendo riferimento alla natura del rimedio che, a lesione ormai intervenuta, si intende sperimentare.
Sempre sul piano teorico, peraltro, la ricostruzione seguita dalla Sezioni unite non ha convinto anche per la sua sostanziale
idoneità a riproporre, quale criterio di risoluzione delle questioni di giurisdizione, la teoria del petitum, in distonia, quindi, rispetto al
tradizionale indirizzo volto ad utilizzare quello della causa petendi.
A fronte di un medesimo atto e di un medesimo vizio il giudice finirebbe invero per essere quello ordinario o quello
amministrativo a seconda che si chieda il risarcimento del danno ovvero l’annullamento del provvedimento”6.
Non meno penetranti sono risultate le obiezioni mosse all’impianto ricostruttivo fornito dalla Cassazione con l’intento di
rimarcarne le non convincenti implicazioni di tipo applicativo. Si tratta di inconvenienti innescati dall’operare congiunto della
ritenuta giurisdizione del giudice ordinario e della sostenuta abolizione della pregiudiziale amministrativa.
Giova tenere conto di quanto al riguardo sostenuto dalle Sezioni unite ad avviso delle quali “rispetto al giudizio che, nei termini
suindicati, può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di
annullamento.
Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del
diritto soggettivo, e quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi
trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla
lesione di un diritto soggettivo”.
La ritenuta autonomia delle azioni, in uno alla riconosciuta possibilità di una dislocazione delle stesse innanzi a giudici diversi e nel
contesto di percorsi processuali tra loro paralleli ed in alcun modo comunicanti, è apparsa idonea ad innescare inconvenienti
pratici di ardua accettabilità, prontamente rimarcati nel dibattito dottrinale.
Si è così prospettato il rischio che il giudice ordinario ed il giudice amministrativo opinino diversamente relativamente
all’illegittimità dell’atto e che, ad esempio, il giudice ordinario riconosca il risarcimento del danno da atto amministrativo reputato
legittimo dal giudice amministrativo e quindi permanentemente operante come criterio destinato ad orientare la condotta
dell’Amministrazione.
Le critiche
Non convince la
scissione tra
interesse leso e
diritto al ristoro
L’art. 103 Cost.
rimette al G.A. la
“tutela” degli
interessi
Sembra riproporsi
il criterio del
petitum
Il sistema delineato dalle Sezioni unite di Cassazione, quindi, non risultava particolarmente convincente,
oltre che per la non unanime condivisione delle coordinate teoriche sulle quali dichiaratamente poggiava,
anche in considerazione delle difficoltà di tipo applicativo destinato a suscitare, almeno in parte innescate
dal permanere, al di fuori delle materie attratte nella sfera della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, di una doppia giurisdizione.
CARINGELLA-R. GAROFOLI, Riparto di giurisdizione e prova del danno dopo la sentenza 500/99, in www.giust.it
CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano. La responsabilità della P.A. dopo la l 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2001, 37.
5 GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è «in coltivazione», in Cons. Stato, 1999, II, 1599; P. CIRILLO, La tutela in via arbitrale delle
conseguenze patrimoniali derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo, in Giustizia-amministrativa.it
6 R. CARANTA, op. cit., 40.
3
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Di questo contesto storico, dei dubbi di tipo teorico e delle incongruenze sul versante applicativo
innescate dal sistema di riparto previgente, nonchè delle aspirazioni concentrazioniste manifestate in ampi
ambienti dottrinali, non può non tenersi conto in sede di lettura delle innovazioni introdotte in punto di
giurisdizione dalla l. n. 205 del 2000, in specie con la riscrittura dell’art. 7, comma 3, l. n. 1034/71.
4. La terza fase: il quadro normativo delineato dalla l. n. 205 del 2000. La giurisdizione sui danni
da provvedimento non impugnato o già annullato.
Il legislatore del 2000, riformulando il richiamato art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, ha previsto che “il Tribunale
amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative
all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti
patrimoniali consequenziali”.
È su questa disposizione, quindi, che occorre soffermarsi, non senza considerare che con essa continua a
concorrere, in sede di delimitazione della sfera di giurisdizione spettante al giudice amministrativo sui
profili risarcitori, quella dell’art. 35, co. 1, d.lgs. n. 80/98, a tenore del quale, alla stregua della nuova
formulazione assunta per effetto dell’art. 7, l. n. 205/2000, “il giudice amministrativo, nelle controversie
devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il
risarcimento del danno ingiusto”.
Un primo ed incontestabile passo in avanti rispetto all’assetto previgente è derivato dall’investitura del
giudice amministrativo quale istanza giurisdizionale deputata a conoscere delle questioni risarcitorie anche
al di fuori delle materie in relazione alle quali gli è attribuita giurisdizione esclusiva; l’enucleazione di una
previsione autonoma rispetto al preesistente art. 35, co. 1, d.lgs. n. 80/98, parimenti intesa ad assegnare al
giudice amministrativo il potere di conoscere tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno
ogni qualvolta si trovi ad operare “nell’ambito della sua giurisdizione”, rappresenta un dato normativo
inequivocabilmente indicativo della chiara volontà del legislatore di estendere la capacità del giudice
amministrativo di assicurare una pienezza di tutela.
È questo il significato proprio dell’espresso riconoscimento in capo al giudice amministrativo, anche al di
fuori del contenzioso riguardante le materie di giurisdizione esclusiva, della capacità di occuparsi, oltre che
del classico rimedio demolitorio, delle azioni di tipo risarcitorio eventualmente spiccate a fronte di una
medesima iniziativa dell’Amministrazione.
La giurisdizione amministrativa, quindi, tende a connotarsi in termini di pienezza anche quando si tratti di
giurisdizione di legittimità così superandosi almeno in parte gli evidenziati inconvenienti applicativi
connessi alla attribuzione in capo a due giudici diversi di una valutazione quanto meno parzialmente
coincidente, quale quella relativa alla legittimità dell’iniziativa dell’Amministrazione considerata in se´ o,
nella prospettiva risarcitoria, quale fattore concorrente con altri nella ricostruzione dell’illecito contestato.
Può considerarsi dunque un risultato acquisito e non superabile in via interpretativa che la disposizione in
esame abbia fatta propria l’avvertita esigenza di accorpamento presso il giudice amministrativo delle forme
di tutela (caducatoria e risarcitoria) attivabili a fronte dell’agere amministrativo.
A questa chiarezza di obiettivi perseguiti non corrisponde, tuttavia, una linearità della formulazione
testuale: è quanto ha suscitato non poche perplessità interpretative.
Il principale è quello innescato dalla qualificazione del risarcimento del danno come oggetto di un diritto
patrimoniale consequenziale, desumibile dall’espressione “altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Ne deriva un quadro di incertezza interpretativa atteso il dubbio che possa sopravvivere la possibilità per il
giudice ordinario di pronunciare sentenze di condanna nei confronti dell’amministrazione in presenza di
un provvedimento amministrativo non impugnato o non annullato o a fronte di una condotta non
provvedimentale, ma la cui legittimità sia parimenti valutabile e rimediabile dal giudice amministrativo nel
suo normale “ambito” di giurisdizione, quale, in particolare, un ritardo nel provvedere su una determinata
istanza.
Il problema interpretativo, per vero non di agevole soluzione, va affrontato utilizzando in modo
congiunto i criteri propri del metodo ermeneutico, non limitandosi, quindi, ad una lettura atomizzata della
più complessa formulazione normativa, tutta volta ad esaltare la valenza consequenziale almeno
apparentemente ascritta alla questione risarcitoria.
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Interviene la legge
n. 205/2000
La dibattuta
nozione di
consequenzialità
Come è stato osservato, giova considerare che la disposizione in questione risponde all’esigenza di
delineare i caratteri propri dell’intera giurisdizione amministrativa (di legittimità oltre che esclusiva),
improntando al connotato della pienezza la sua fisionomia; si è al cospetto, quindi, di previsione intesa ad
arricchire, in un’ottica di concentrazione delle tecniche rimediali, l’ambito cognitorio e l’armamentario
decisorio del giudice amministrativo, piuttosto che a risolvere la questione (per la giurisdizione di
legittimità nuova, oltre che rispetto alla prima logicamente successiva e “conseguente”) dei rapporti
reciproci tra le diverse azioni ora esperibili innanzi a quello stesso giudice.
Ciò posto, in dottrina, sono emerse diverse letture del citato art. 7, l. TAR.
Tra queste, le seguenti:
a) l'aggettivo « consequenziali » non si riferisce in senso stretto alle questioni risarcitorie, sicché ogni
questione risarcitoria relativa alla lesione di interessi legittimi spetterebbe al g.a. e non solo quella che
segue l'annullamento di un provvedimento amministrativo;
b) con la riformulazione dell’art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, si è inteso assegnare al giudice amministrativo il
limitato potere di conoscere questioni di tipo risarcitorio “consequenziali” all’annullamento dell’atto
restando di pertinenza della giurisdizione ordinaria le questioni risarcitorie non consequenziali o autonome
ovvero quelle connesse ad iniziativa non provvedimentale, ancorché scrutinabile “nell’ambito” della
giurisdizione del giudice amministrativo7;
c) in una posizione intermedia quanti, pur riconoscendo che l'aggettivo « consequenziali » si riferisce alle
questioni risarcitorie, riconosce alla norma un valore precettivo che non è meramente processuale ma di
diritto sostanziale: « consequenziali » equivarrebbe così a « collegate » ad un provvedimento illegittimo8.
Per ulteriore impostazione, il riscritto art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, reca il riconoscimento in capo al giudice
amministrativo di un’ampia disponibilità del rimedio risarcitorio, esteso a tutte le ipotesi in cui il danno di
cui si chiede il ristoro derivi dal sacrificio non iure di posizioni soggettive che, in quanto correlate
all’esercizio del potere, valgono a giustificare la sussunzione del contenzioso azionato “nell’ambito” della
giurisdizione storicamente propria del giudice amministrativo.
La pretesa risarcitoria va quindi azionata innanzi al giudice amministrativo ogni qualvolta il sacrificio da
ristorare si ricolleghi ad una iniziativa dell’Amministrazione il vaglio della cui legittimità è di pertinenza
della giurisdizione del giudice amministrativo.
Unico e dirimente requisito di cui si impone la verifica, quindi, è quello riguardante l’afferenza del
contenzioso mosso avverso l’agere amministrativo “all’ambito” della giurisdizione del giudice
amministrativo9.
Detto altrimenti, sono necessarie due condizioni perché la domanda risarcitoria possa e debba essere
conosciuta dal g.a.: da un lato, il danno di cui si chiede il ristoro deve essere “conseguenza” di un
illegittimo esercizio della funzione amministrativa; dall’altro, l’iniziativa amministrativa nella quale si
identifica la causa del danno deve rientrare tra quelle cui si estede la giurisdizione, di legittimità o esclusiva,
del g.a.
A tale impostazione hanno sostanzialmente aderito Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191, e Cass. sez. un., 13
giugno 2006, n. 13659.
Con la prima pronuncia, la Corte costituzionale, intervenuta a valutare la legittimità dell’art. 53 del d.P.R.
n. 327 del 2001 (si rinvia al successivo par. …. per la disamina), sostiene che “al precedente sistema che, in
considerazione della natura intrinseca di diritto soggettivo della situazione giuridica conseguente
all'annullamento del provvedimento amministrativo, attribuiva al giudice ordinario «le controversie sul
risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi» (così l'art. 35, comma 5, del d.
lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 7, lettera c della legge n. 205 del 2000), il legislatore ha
sostituito (appunto con l'art. 35 cit.) un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della
legittimità dell'esercizio della funzione pubblica poteri idonei ad assicurare piena tutela, e quindi anche il
Corte cost. 11
maggio 2006, n.
191
CONSOLO, Il processo amministrativo tra snellezza e “civilizzazione”, in Corr. giur., 2000, 1265 e ss.; LUISO, Pretese risarcitorie verso la pubblica
amministrazione fra giudice ordinario e amministrativo, in Riv. dir. proc. 2002, 44 ss.; TRIMARCHI BANFI, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli
interessi legittimi, Torino, 2000, 43 e ss.
8 ROMANO TASSONE, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, in ww.giust.it
9 GAROFOLI, Responsabilità dell’amministrazione e del singolo dipendente: il riparto, in CARINGELLA, GAROFOLI, Trattato di giustizia
amministrativa, I, Milano, 2007.
7
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potere di risarcire, sia per equivalente sia in forma specifica, il danno sofferto per l'illegittimo esercizio
della funzione”.
Pur intervenendo in relazione a disciplina volta a riconoscere al giudice amministrativo cognizione sulle
questioni risarcitorie nelle materie di giurisdizione esclusiva, la Corte enuncia quindi il principio, destinato
ad assumere rilievo più esteso e generale, secondo cui nel sistema inaugurato dall’art. 35, d. lgs. n. 80/1998
(e poi esteso e completato dall’art. 7, co. 4, l. n. 205/2000), al giudice amministrativo è riconosciuta ormai
una giurisdizione piena, sicché allo stessa spetta assicurare anche la tutela risarcitoria in tutti i casi (e i
segmenti di contenzioso) rientranti nella sua giurisdizione.
Ancor più significativo il passaggio con cui la Corte, premesso che «il potere riconosciuto al giudice
amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno
ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova “materia” attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno
strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per
rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione», esclude che, “per ciò solo che
la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione
competa al giudice ordinario”.
Si ammette pertanto (con riferimento a casi, quali quelli c.d. di occupazione appropriativi, in cui il danno
non è eziologicamente riconducibile ad un provvedimento amministrativo impugnabile) che la cognizione
delle pretese risarcitorie ormai riconosciuta al giudice amministrativo si estende anche a domande non
“consequenziali” all’annullamento dell’atto, essendo sufficiente (e dirimente) che le stesse abbiano ad
oggetto un danno “conseguente” all’illegittimo esercizio della funzione.
In termini ancor più espliciti, sul punto, si è espressa, Cass., sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659.
Giova, al riguardo, chiarire che con la citata sentenza le Sezioni unite intervengono su due questioni che,
per quanto senz’altro connesse, sono tuttavia ben distinte: da un lato, quella di giurisdizione, in specie
quella relativa all’individuazione del giudice innanzi al quale proporre una domanda risarcitoria non
preceduta dalla previa impugnazione dell’atto lesivo; dall’altro quella, che presuppone ormai l’intervenuta
soluzione della prima in favore del g.a., afferente l’ammissibilità innanzi al g.a. della pretesa risarcitoria
proposta in forma autonoma (è questo il tema della c.d. pregiudizialità, per il cui esame si rinvia al
successivo paragrafo….).
Sul profilo di giurisdizione, le Sezioni unite ripudiano in modo esplicito gli argomenti addotti dai
sostenitori la tesi c.d. civilistica i quali, muovendo dalla qualificazione in termini di diritto soggettivo della
pretesa risarcitoria avente ad oggetto i danni provocati dall’amministrazione anche nell’esercizio delle
funzioni, concludono sostenendo che, con gli artt. 35, d. lgs. n. 80/1998, e 7. co. 4, l. n. 205/2000, si è
inteso eccezionalmente inteso assegnare al giudice amministrativo la stessa –da proporre dinanzi al giudice
ordinario alla stregua dei consueti parametri di riparto- ogni qualvolta sussistano ragioni di connessione.
Detto altrimenti, in omaggio ad esigenze di concentrazione processuale, si sarebbe inteso
derogatoriamente assegnare al giudice amministrativo la cognizione della domanda risarcitoria solo
allorché la stessa, affiancando quella di annullamento dell’atto, sia volta a chiedere la rimozione dei
pregiudizi che l'annullamento stesso non ha potuto eliminare.
Ne consegue che, attesa la dipendenza della tutela ulteriore di tipo risarcitorio da quella di annullamento, il
giudice amministrativo potrebbe prendere in esame questioni relative al risarcimento (ed agli altri diritti
patrimoniali consequenziali) solo se gli è richiesto e ritiene di concedere l'annullamento dell'atto lesivo.
La concentrazione sarebbe quindi funzionale, in termini di pienezza ed effettività della tutela, alle esigenze
del cittadino che chiede giustizia nei confronti della p.a., e pertanto non la si potrebbe ritenere doverosa e
tale da dover essere praticata come unica via esclusiva. Il giudice amministrativo potrebbe conoscere di
questioni relative al risarcimento del danno nel caso in cui il cittadino si avvalga della facoltà di richiedere a
tale giudice la tutela risarcitoria congiuntamente a quella di annullamento.
Se viceversa il danneggiato dall'esercizio illegittimo del potere amministrativo non si vuole avvalere, non
avendone interesse, della tutela costitutiva di annullamento del provvedimento lesivo della sua posizione
giuridica sostanziale, ritenendo conforme al suo concreto interesse avvalersi della sola tutela risarcitoria, si
radicherebbe, sulla domanda risarcitoria proposta in forma autonoma, la giurisdizione del giudice
ordinario.
Seguendo la esposta tesi civilistica, pertanto, la nozione di consequenzialità di cui all’art. 7, co. 3, l. n.
1034/1971 (come riscritto dalla l. n. 205/2000), sarebbe da intendere in senso rigoroso, con assegnazione
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Interviene Cass.,
sez. un., 13 giugno
2006, n. 13659
Il ripudio della tesi
c.d. civilistica
al giudice ordinario delle pretese risarcitorie aventi ad oggetto danni da provvedimento amministrativo
non impugnato o non annullato o da condotta non provvedimentale, la cui legittimità sia pure valutabile e
rimediabile dal giudice amministrativo nel suo normale “ambito” di giurisdizione.
La tesi civilitica non è tuttavia condivisa dalle Sezioni unite attente ad elaborare una soluzione coerente
con i principi costituzionali che legano la tutela giurisdizionale offerta dai due ordini di giudici alle sole
situazioni soggettive, alla luce del criterio enunciato dall'art. 103 Cost., oltre che con i valori di effettività e
concentrazione delle tutele sottesi all'art. 111 Cost.
In quest'ottica, il Giudice della giurisdizione osserva che alla tutela risarcitoria dell'interesse legittimo nei
confronti della pubblica amministrazione si è pervenuti non già estendendo detta tutela dai diritti
soggettivi agli interessi legittimi, bensì affermando che, sul piano della tutela risarcitoria, non si può fare
differenza tra interessi che trovano protezione diretta nell'ordinamento e interessi che trovano protezione
attraverso l'intermediazione del potere amministrativo.
Ad avviso delle Sezioni unite, la tesi "tutta civilistica" non può essere condivisa allorché disattende la
svolta voluta dal legislatore di assicurare all'interesse legittimo una tutela piena, concentrata dinanzi a un
unico giudice per il principio di effettività che reca in sé la ragionevolezza dei tempi di tutela.
La soluzione è peraltro coerente con la riaffermazione del criterio tradizionale del riparto fondato non
sulla distinzione tra le tecniche di tutela, bensì sulla natura sostanziale delle situazioni soggettive; lo è
anche con il processo di evoluzione che caratterizza l'interesse legittimo, destinato ormai a perdere
funzione meramente famulativa o ancillare rispetto all'interesse pubblico, per assumere un più marcato
connotato sostanziale.
Concludono, quindi, le Sezioni unite osservando che “la giurisdizione sulla tutela dell'interesse legittimo
non può che spettare al giudice amministrativo, sia nella tecnica della tutela di annullamento, sia nelle
tecniche della tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente: tecniche che non possono essere
oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione”.
Per effetto della sentenza richiamata, da ultimo confermata da Cass., sez. un., 7 gennaio 2008, n. 35, anche il
risarcimento del danno cagionato da provvedimento non impugnato o non annullato va quindi chiesto
innanzi al Giudice amministrativo.
Le Sezioni unite superano così la posizione assunta qualche mese prima in merito alla individuazione del Giudice innanzi al quale
proporre l’azione risarcitoria avente ad oggetto danni da atto, sì impugnato, ma già annullato dal giudice amministrativo.
Sul punto si era manifestato un netto contrasto tra Sezioni unite di Cassazione e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
Nel dettaglio, secondo Cass., sez. un., 23 gennaio 2006 n. 1207, nel caso in cui sia stata proposta una azione di risarcimento dei
danni nei confronti della P.A. e non venga in contestazione il legittimo esercizio dell’attività amministrativa - come avviene nel
caso in cui l’atto amministrativo sia stato annullato o revocato dall’Amministrazione nell’esercizio del suo potere di autotutela,
ovvero sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice amministrativo, ovvero ancora abbia esaurito i suoi effetti
per il decorso del termine di efficacia ad esso assegnato dalla legge - l’azione risarcitoria rientra nella giurisdizione generale del
giudice ordinario, non operando nella specie la connessione legale fra tutela demolitoria e tutela risarcitoria. La giurisdizione spetta
inoltre al g.o. “nel caso in cui l’atto amministrativo … sia stato rimosso a seguito di pronuncia definitiva del giudice
amministrativo … non operando nella specie la connessione legale fra tutela demolitoria e tutela risarcitoria”; le stesse Sezioni
unite osservano anche che “la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria è peraltro subordinata all’iniziativa del
ricorrente, il quale resta libero di esercitare in un unico contesto entrambe le azioni passando attraverso il giudizio di
ottemperanza per ottenere il risarcimento del danno, ovvero di riservarsi l’esercizio separato dell’azione risarcitoria dopo aver
ottenuto l’annullamento dell’atto o del provvedimento illegittimo, proponendo la sua domanda al giudice ordinario, cui compete
in via generale la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo”.
La posizione ha subito suscitato non poche perlessità.
Si è in primo luogo osservato, sul piano delle implicazioni applicative, che l’orientamento esposto finisce per rimettere alle scelte
processuali della parte privata l’individuazione del giudice del risarcimento, in definitiva dipendente dall’opzione seguita in merito
alla proposizione contestuale o separata dell’iniziativa caducatoria e di quella risarcitoria.
E’ quanto le stesse Sezioni unite, in un non lontano precedente, avevano ritenuto in assoluto contrasto con i principi cardine del
sistema di riparto.
Ed invero, nell’esaminare la pur diversa questione relativa alla proponibilità in forma autonoma e innanzi al Giudice ordinario
dell’azione risarcitoria, a fronte di un atto amministrativo non impugnato nei termini decadenziali, le Sezioni unite, con ordinanza
31 marzo 2005 n. 6745, hanno espressamente osservato che l'ordinamento preclude “che la scelta del giudice possa dipendere dalla
strategia processuale della parte che agisce in giudizio; ancor più perchè si rimetterebbe alla volontà delle parti il realizzare o meno
quella concentrazione di tutela giudiziaria, la cui ratio è alla base della soluzione legislativa, avallata dal giudice delle leggi, che ha
attribuito alla giurisdizione amministrativa anche le controversie risarcitone".
L’incoerenza complessiva dell’impianto argomentativo e concettuale seguito dai Giudici della giurisdizione si complica se si
considera che le stesse Sezioni unite, pur ritenendo che l’azione risarcitoria successiva al giudicato di annullamento dell’atto
assuntamene lesivo debba essere proposta innanzi al G.O., ammettono anche la proposizione della stessa azione innanzi al giudice
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Cass., sez. un., 7
gennaio 2008, n.
35
Il superamento di
Cass., sez. un., 23
gennaio 2006 n.
1207
Cons. Stato, Ad.
plen., 9 febbraio
2006 n. 2
amministrativo, ancorché mediante ricorso per ottemperanza: si tratta di contraddizione di non poco momento, facendosi
dipendere la individuazione del giudice dalla scelta che il privato intende fare tra ricorso per ottemperanza e azione risarcitoria
proposta in forma ordinaria oltre che, e prima ancora, tra proposizione contestuale o disgiunta delle azioni di annullamento e di
risarcimento (sul tema della proponibilità della domanda risarcitoria per la prima volta in sede di ottemperanza cfr. il successivo
paragrafo…..).
Si consideri, del resto, che l’avviso espresso dalle Sezioni unite nella sentenza n. 1207/2006 era già stato disatteso da Cons. Stato,
Ad. plen., 9 febbraio 2006 n. 2.
La scelta di un momento successivo per prospettare la domanda di risarcimento del danno non giustifica – osservano i giudici
amministrativi- una diversa competenza giurisdizionale.
Né sul piano logico-sistematico, perché si mostra inaccettabile, in via di principio, una tesi che lasci al ricorrente la scelta del
giudice competente, proponendo insieme o distintamente le due domande, senza che mutino i presupposti di fatto e di diritto sui
quali si fondano.
5. La quarta fase: interviene Corte Cost. n. 204/2004. La tormentata nozione di “comportamento”
L’ultima fase dell’evoluzione ordinamentale ha inizio con la sentenza della Corte costituzionale 6 luglio
2004, n. 204, intervenuta sulla questione relativa alla compatibilità degli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998,
con l’art. 103 della Carta fondamentale a tenore della quale le ipotesi di giurisdizione esclusiva possono
essere dal legislatore fissate solo limitatamente a “particolari materie” (per un esame approfondito si
rinvia al capitolo…..).
Ad avviso della Corte, il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del
g.a. "ancorata alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico
interesse".
L'art. 103, comma 1, Cost. dunque, lungi dal consentire una qualsivoglia evoluzione degli assetti
giurisdizionali, frappone un preciso limite alla discrezionalità legislativa, imponendo che sia considerata la
natura delle situazioni soggettive coinvolte e non il mero dato, puramente oggettivo, delle materie.
Tale necessario collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo con la natura delle situazioni soggettive sarebbe espresso dall’art. 103 Cost. laddove
statuisce che quelle materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione
generale di legittimità: devono quindi partecipare della loro medesima natura.
Il legislatore ordinario ben può ampliare quindi l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con
riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur
sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità:
con il che è escluso, da un lato, che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia
sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo, dall’altro lato, che sia sufficiente il
generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al
giudice amministrativo.
Muovendo da queste premesse, la Corte, sull’assunto della necessaria inerenza all’esercizio del potere della
controversia vagliabile dal g.a., ha tra l’altro dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, d. lgs. n.
80/1998, nella parte in cui devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. tutte le controversie in materia di
urbanistica e edilizia, comprese quelle riguardanti “comportamenti”.
Con la stessa sentenza, peraltro, la Corte ha viceversa ritenuto compatibile con il quadro costituzionale
l’art. 35, d. lgs. n. 80/1998: premesso, infatti, che siffatta disposizione, nel riconoscere al g.a. il potere di
disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, non
costituisce sotto alcun profilo una nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di
tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia
al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, la Corte osserva che l’attribuzione di tale potere,
oltre ad essere in linea con il riconoscimento costituzionale di piena dignità di giudice al Consiglio di Stato,
affonda le sue radici nella previsione dell'art. 24 Cost., il quale, garantendo alle situazioni soggettive
devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implica che il giudice sia munito di
adeguati poteri. Il superamento della regola, che imponeva, ottenuta tutela davanti al giudice
amministrativo, di adire il giudice ordinario, con i relativi gradi di giudizio, per vedersi riconosciuti i diritti
patrimoniali consequenziali e l'eventuale risarcimento del danno (regola alla quale era ispirato anche l'art.
13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, che pure era di derivazione comunitaria), costituisce dunque –ad
avviso della Corte- “null'altro che attuazione del precetto di cui all'art. 24 Cost.”.
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La sentenza n. 204/2004, nel pretendere l’inerenza all’esercizio del potere della controversia di cui può
conoscere, anche in sede di giurisdizione esclusiva, il G.A., e nell’escludere quindi che quest’ultimo possa
occuparsi del contenzioso involgenti i “comportamenti” e le relative implicazioni risarcitorie, ha dato adito
a non poche dispute, in larga parte svoltesi attorno alla perimetrazione della nozione di “comportamento”,
come tale sottratto all’ambito cognitorio del giudice amministrativo.
Ci si è così chiesti, per esempio, se derivino o meno da un “comportamento” i danni eziologicamenmte
riconducili al silenzio dell’amministrazione, alla condotta scorretta tenuta dalla stazione appaltante nella
gestione della procedura di evidenza pubblica, alle c.d. occupazioni, all’omesso esercizio del potere-dovere
di vigilanza spettante alla Consob.
Si è per lo più ritenuto, al riguardo, che nel pensiero dei giudici costituzionali il comportamento, quello
cioè di cui il giudice amministrativo non deve occuparsi, non è il “non atto”, ma l’intervento non
autoritativo dell’Amministrazione.
Detto altrimenti, premesso che non vi è comportamento laddove non vi sia esercizio del potere, occorre
prendere atto del fatto che non sempre l’esercizio del potere si materializza nell’adozione di una
determinazione provvedimentale.
L’eliminazione dal testo dell’art. 34 del riferimento ai comportamenti ha costituito infatti la logica
conseguenza del principio secondo cui la giurisdizione esclusiva può radicarsi solo a condizione che nella
vicenda l’amministrazione agisca come autorità. Il comportamento, allora, è il contrario di autorità, non già
di atto o provvedimento.
Del resto, l’assunto è ancor più persuasivo se si considera che la cancellazione del riferimento ai
comportamenti ha avuto luogo con riferimento ad un settore, quello dell’edilizia e dell’espropriazione
(ricompresa nella nozione lata di urbanistica), nel quale non è certo infrequente che l’Amministrazione
ponga in essere meri comportamenti materiali, quali un’occupazione protratta al di là dei termini consentiti
o uno sconfinamento nel fondo confinante in sede di esecuzione dei lavori.
Con maggiore impegno esplicativo, non può escludersi che l’Amministrazione agisca con modalità
autoritative, senza tuttavia adottare alcuna determinazione attizia: non si sarà al cospetto, in tali ipotesi, di
un “comportamento” dell’amministrazione, ma di un intervento autoritativo, ancorché non
materializzatosi nell’adozione di una determinazione provvedimentale .
All’interno della nozione di comportamento, occorre allora distinguere tra comportamenti in senso stretto
(questi, certo, sottratti, alla cognizione del g.a.) e comportamenti “amministrativi”, per tali dovendosi
intendere quelle condotte dell’amministrazione, non destinate a sfociare nell’adozione di un atto, e ciò
nonostante legate doppio all’esercizio del potere.
Si è chiarito quindi che, nell’ambito della nozione di “comportamento”, è necessario distinguere tra
comportamenti in senso tecnico, per tali intendendosi le condotte dell’Amministrazione del tutto
svincolate dall’esercizio del potere, dai comportamenti c.d. “amministrativi”che, collegati all'esercizio, pur
se illegittimo, di un pubblico potere, continuano a rientrare nella giurisdizione del giudice amministrativo.
La distinzione tra comportamenti meri e amministrativi è fatta propria da Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191,
chiamata come è noto a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 53 del d.P.R. n. 327 del 2001, nella parte in
cui riproducendo in parte il contenuto dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, assegna alla giurisdizione
esclusiva del g.a. le controversie nella materia dell’espropriazione involgenti, non solo atti, provvedimenti e
accordi, ma anche “comportamenti” della pubblica amministrazione.
La previsione – osservano i giudici costituzionali- è costituzionalmente illegittima là dove, prescindendo
da ogni qualificazione di tali “comportamenti”, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo controversie nelle quali sia parte − e per ciò solo che essa è parte − la pubblica
amministrazione, e cioè fa del giudice amministrativo il giudice dell'amministrazione piuttosto che l'organo
di garanzia della giustizia nell'amministrazione (art. 100 Cost.).
Viceversa, nelle ipotesi in cui i “comportamenti” causativi di danno ingiusto –nella specie, la realizzazione
dell'opera – costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica
utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere
dell'amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali
“comportamenti” esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica
amministrazione.
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L’inerenza al
potere del
contenzioso del
G.A. e la discussa
nozione di
“comportamento”
Comportamenti
meri e
amministrativi
Per la Corte, quindi, deve ritenersi conforme a Costituzione la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo delle controversie relative a “comportamenti” (di impossessamento del bene altrui)
collegati all'esercizio, pur se illegittimo, di un pubblico potere, laddove deve essere dichiarata
costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva di “comportamenti” posti in
essere in carenza di potere ovvero in via di mero fatto.
A tale ormai acquisita distinzione tra comportamento mero e comportamento amministrativo la
giurisprudenza ricorre, ormai da tempo, per dare soluzione a numerosi problemi di riparto sorti con
riferimento a talune controversie risarcitorie che si connotano per avere ad oggetto danni non
eziologicamente riconducibili ad un provvedimento dell’amministrazione: vengono in considerazione il
danno da silenzio, da responsabilità precontrattuale, da omessa vigilanza Consob, da occupazioni,
acqusitive, usurpative e usurpative c.d. spurie.
6. Ipotesi applicative.
Ricostruito il quadro normativo e preso atto delle sue tappe evolutive, è opportuno soffermarsi sulle
tipologie di pretese risarcitorie che, più di altre, hanno dato adito a contrasti interpretaivi.
6.1. Danno da silenzio
All’indomani della richiamata sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale, ci si è chiesti se ancora
innanzi al giudice amministrativo debbano essere portate le pretese risarcitorie aventi ad oggetto danni
derivanti non già da determinazioni attizie della P.A., bensì dal silenzio dalla stessa serbato sull’istanza del
privato o dal ritardo con cui è stato definito il procedimento. La questione è stata sottoposta al vaglio
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato da Cons. Stato, sez. IV, n. 875 del 7 marzo 2005 su cui
l’Adunanza è intervenuta con sentenza 15 settembre 2005, n. 7: si trattava, nel caso di specie, di ritardo nella
definizione di istanze volte ad ottenere il rilascio di concessioni edilizie (per l’esame del profilo sostanziale
relativo alla ristorabilità del danno da silenzio o ritardo , si rinvia al Capitolo precedente, par. …).
I Giudici della quarta Sezione, con la citata ordinanza n. 875 del 7 marzo 2005, muovendo dal presupposto
per cui, a seguito di Corte Cost. 204/04, “è l’inerenza dell’attività contestata all’esercizio di un potere
pubblico a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo”, osservano che l'omesso esercizio del
potere - sia che venga sindacato al fine di ottenere il provvedimento sia che se ne lamenti l'illegittimità a
fini risarcitori - costituisce la fattispecie speculare del suo esercizio (che a sua volta può dar luogo a un
provvedimento positivo o negativo), la quale non sembra poter essere trattata alla stregua di un mero
comportamento, svincolato dall'esercizio di un potere autoritativo (sia in concreto sia in astratto), cui
consegue la devoluzione della controversia al giudice ordinario.
In altri termini, non sembra esatto né ragionevole devolvere a giudici diversi controversie aventi ad
oggetto l’impugnazione di un provvedimento espresso, positivo o negativo, e la contestazione
dell’omissione o del ritardo nel provvedere.
Più in particolare, non sembra corretto né ragionevole devolvere a giudici diversi il giudizio sul danno
conseguente all’illegittimità del provvedimento negativo e il giudizio sul danno da omesso o ritardato
provvedimento. Invero, nella seconda ipotesi, l’interesse legittimo pretensivo attiene alla medesima
posizione sostanziale lesa dal provvedimento negativo, riguardata in un diverso momento dell’esercizio del
potere; sicché l’azione per il risarcimento del danno subito non può che essere portata dinanzi al
medesimo giudice della situazione sostanziale lesa, per la cui riparazione il rimedio risarcitorio ha carattere
strumentale. D’altra parte, rimarca la quarta Sezione, nessuno dubiterebbe della sussistenza della
giurisdizione amministrativa in caso di provvedimento di diniego; né – ritiene la Sezione - della
conseguente giurisdizione del giudice amministrativo per i danni derivanti dall’illegittimo diniego. Non
sembra allora coerente con il disposto della legge n. 205, come interpretato e corretto dalla sentenza n.
204, ritenere che l’omesso esercizio del potere, e il danno che in tesi ne deriva, debba seguire sorte diversa
in punto di giurisdizione. Alle esposte argomentazioni la Sezione remittente affianca quella volta a
rimarcare una scontata esigenza di concentrazione processuale.
Non può escludersi, infatti, che la parte agisca sia per il rilascio del titolo che per il risarcimento del danno,
sicché appare irragionevolmente violare il principio di concentrazione della tutela ipotizzare che il
cittadino debba chiedere il rilascio del titolo al giudice amministrativo e il risarcimento del danno al giudice
ordinario: si è in presenza di un concorso di azioni attinenti alla medesima posizione sostanziale, che
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Cons. Stato, sez.
IV, 7 marzo 2005,
n. 875
inerisce a un potere amministrativo di natura autoritativa; potrà discutersi su presupposti di esperibilità
delle azioni (in termini di pregiudizialità, di alternatività o di cumulabilità, su cui infra cap……), ma
dinanzi allo stesso giudice competente a sindacare quel potere autoritativo.
Allo stesso esito perviene l’Adunanza plenaria sia pure sulla scorta di un più contenuto apparato
motivazionale.
Ad avviso del massimo Consesso della Giustizia amministrativa, infatti, rientra nella giurisdizione del
giudice amministrativo il ricorso con il quale si lamenta il ritardo nella definizione da parte della P.A. di
alcune richiesta di rilascio di titoli autorizzativi edilizi e si chiede il risarcimento del danno da ritardo; ciò
sul rilievo per cui il ritardo nell’esercizio del potere non integra concettualmente un “comportamento”
della P.A. invasivo di diritti soggettivi del privato in violazione del “neminem laedere”, essendosi piuttosto
in presenza della diversa ipotesi del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo della autorità
amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni
amministrative. Si è, perciò, al cospetto di interessi legittimi pretesivi del privato, che ricadono, per loro
intrinseca natura, nella giurisdizione del giudice amministrativo ( e, trattandosi della materia urbanisticoedilizia, nella sua giurisdizione esclusiva).
Solo cinque mesi prima della decisione dell’Adunanza Plenaria, del resto, anche la Corte di Cassazione,
con sentenza n. 6745 del 31 marzo 2005, aveva riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo sul
danno da ritardo, affermando che in materia edilizia ed urbanistica, l’art. 35 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80,
nel testo novellato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, esclude la concorrenza delle due
giurisdizioni, ordinaria e amministrativa, nell’area di risarcimento del danno da esercizio di poteri
amministrativi; spetta pertanto al giudice amministrativo, anche dopo la sentenza della corte costituzionale
del 6 luglio 2004 n. 204 e del 28 luglio 2004 n. 281, conoscere della domanda con cui il privato chieda,
previo accertamento del colpevole ritardo del comune nel rilascio di una concessione edilizia in sanatoria,
la condanna dell’ente locale al risarcimento dei danni”.
L’orientamento ha ricevuto l’avallo della Cassazione che, con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del giugno
2006, nell’affermare la giurisdizione del giudice amministrativo sui danni da provvedimento, ha
sottolineato, in conformità con la Plenaria, che appaiono riconducibili alla giurisdizione del giudice
amministrativo i casi in cui la lesione di una situazione soggettiva dell’interessato è postulata come
conseguenza d’un comportamento inerte, si tratti di ritardo nell’emissione di un provvedimento risultato
favorevole o di silenzio.
6.2. Danno da responsabilità precontrattuale
Dibattuta la questione dell’individuazione del giudice innanzi al quale prospettare azioni volte a far valere
la responsabilità precontrattuale della P.A. (sull’ammissibilità di una responsabilità precontrattuale
della P.A. si rinvia al Capitolo precedente, par. …).
La questione è stata sottoposta al vaglio della Plenaria dalla quarta Sezione del Consiglio di Stato con
ordinanza n. 920 del 2005, intervenuta in relazione alla responsabilità precontrattuale in cui incorre la
stazione appaltante che, indetta la gara e avvedutasi della sopravvenuta carenza dei fondi necessari per
pagare il futuro aggiudicatario, prosegue nella gestione della procedura senza informare i partecipanti, per
poi revocare la disposta aggiudicazione: il danno, causalmente non riconducibile al doveroso e legittimo
esercizio del potere di autotutela, trova invece la sua causa nella condotta omissiva dall’amministrazione
tenuta nella gestione della gara.
Nell’esame dell’esposto problema di giurisdizione è consentito distinguere tre distinte fasi evolutive.
Prima dell’entrata in vigore dell’art. 6, l. n. 205/2000 (che, come è noto assegna alla giurisdizione esclusiva
del g.a. tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa
comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o
regionale), la giurisprudenza della Suprema Corte riteneva spettante al giudice ordinario il contenzioso in
tema di responsabilità precontrattuale della P.A. qualora la stessa amministrazione, col suo
comportamento, abbia ingenerato nei terzi, anche se per mera colpa, un ragionevole affidamento poi
andato deluso in ordine alla conclusione del contratto.
A tale sito la giurisprudenza perveniva seguendo due distinti, e tra loro talvolta alternativi, percorsi logici.
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Cons. Stato, Ad.
Plen., 15 settembre
2005, n. 7
Cass., sez. un., 31
marzo 2005, n.
6745
Cass., sez. un., nn.
13659 e 13660 del
2006
Le tre fasi
Su un primo versante, si collocava quell’indirizzo inteso a valorizzare la natura di diritto soggettivo da
riconoscere alla pretesa al risarcimento del danno precontrattuale10.
Su altro fronte, l’orientamento11 che, ritenendo irrilevante la previa qualificazione della posizione
soggettiva del privato, rimarcava l’inerenza di siffatta tipologia di contenzioso non già ad atti o
provvedimenti della procedura, o relativi all'individuazione del contraente a seguito dell' aggiudicazione, o
all' aggiudicazione stessa, ma unicamente al comportamento di ingiustificato recesso delle trattative.
La seconda fase è quella che prende avvio con l’ entrata in vigore del citato art. 6, l. n. 205/2000: si è
quindi ritenuto che rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche il contenzioso in
tema di responsabilità precontrattuale.
La fondatezza di tale impostazione va oggi verificata alla luce della sentenza della Corte costituzionale 6
luglio 2004, n. 204.
Due le tesi emerse nel dibattito giurisprudenziale.
Per un primo indirizzo, la fattispecie precontrattuale, quale ipotesi in cui la lesione è sostanzialmente
ricollegabile ad un mero comportamento della P.A. non conforme al precetto di buona fede, appartiene
alla cognizione del g.o.
All’Amministrazione si addebita, invero, non tanto la violazione di norme di azione o lo scostamento da
specifiche scansioni procedimentali quanto piuttosto il venir meno all’obbligo relazionale di buona fede,
che avrebbe imposto di manifestare tempestivamente l’eventualità del recesso, almeno avvertendo la
controparte e ponendola quindi in condizione di non limitare a quell’unica trattativa le sue iniziative
imprenditoriali.
Vista in questa ottica, la fattispecie della responsabilità precontrattuale viene allora a riguardare – quando
coinvolge la P.A. - aspetti non soltanto diversi da quelli relativi alla violazione delle norme sull’evidenza
pubblica ma soprattutto ulteriori (o esterni) rispetto a quelli specificamente desumibili dalla disciplina del
procedimento e quindi si sviluppa in un’area non coperta da altre disposizioni normative che non siano
quelle generali dell’art. 1337 c. c.. Ai fini della giurisdizione, non rileverebbe la natura peculiare del
rapporto tra amministrazione e impresa instauratosi con le trattative ma il diritto di questa a pretendere
dalla autorità pubblica (come da ogni controparte) un comportamento in contrahendo ispirato al rispetto di
quel canone di buona fede già prefissato dall’art. 1337 c. c.
Per una seconda, e oggi senza dubbio prevalente, posizione, il giudice amministrativo conserva
giurisdizione sulle controversie risarcitorie in esame: ciò sulla scorta di diverse ragioni.
Si osserva, in primo luogo, che di norma la procedura di affidamento viene a concludersi ( e cioè a
produrre effetti giuridici vincolanti anche per la P.A.) solo con la stipula del contratto ed anzi secondo le
regole di contabilità solo con l’approvazione dello stesso, salvi i casi (oggi in sintesi da ritenersi residuali) di
aggiudicazione immediatamente vincolante per entrambe le parti, nei quali il contratto formale avrebbe
valenza meramente riproduttiva. Ne consegue che il diniego di stipula del contratto (o di approvazione
dello stesso e a maggior ragione l’annullamento della gara) sono atti interni alla procedura di affidamento,
rispetto alla quale sussiste appunto la giurisdizione esclusiva.
Si rimarca, inoltre, che la fase del procedimento seguente all’aggiudicazione non può essere ricostruita in
termini solo negoziali (di offerta e accettazione fra soggetti pariordinati) ma resta gestita dalla p.a. su
parametri tendenzialmente autoritativi.
In termini sostanziali, nei rapporti tra privati la buona fede in contrahendo coniuga, per il tramite di obblighi
tipici di lealtà e salvaguardia, due esigenze di pari livello, la libertà negoziale e la solidarietà contrattuale;
invece nelle “trattative” tra l’operatore economico e la Pubblica Amministrazione si tratta di verificare –
sia pure applicando la clausola di correttezza – il contemperamento tra esigenze non equiordinate, quelle
di tutela dell’affidamento e quelle che impongono alla stessa P.A. il perseguimento senza soluzione di
continuità del pubblico interesse.
Infine, sul versante più squisitamente processuale, le controversie risarcitorie in esame sono normalmente
azionate in via subordinata alla contestuale impugnazione dell’atto autoritativo: di talché non sembrerebbe
congruo individuare il giudice fornito di giurisdizione secundum eventum, e quindi mantenerle al g.a. nel caso
10
11
Cass., sez. un., 26 giugno .2003, n. 10160.
Sostenuto da Cass., sez. un., 16 luglio 2001, n 9645, e 19 novembre 2002, n. 16319.
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di annullamento dell’atto o rinviarle al g.o. nel caso (che innesca appunto la vera controversia
precontrattuale) di infruttoso esperimento dell’impugnazione.
Alla seconda impostazione aderisce l’Adunanza plenaria.
Richiamato l’art. 6 della legge 21 luglio 2000 n. 205, e osservato che per effetto di tale previsione il
giudice amministrativo non è oggi più chiamato a conoscere delle sole controversie rivolte a garantire la
tutela degli interessi legittimi (di regola pretensivi) del privato attraverso l'annullamento di atti, ma anche
degli affidamenti suscitati nel privato, i Giudici della Plenaria sostengono che nessuna influenza esercita in
relazione alla giurisdizione esclusiva in tema di scelta del contraente di cui all'art. 6 della legge n. 205 del
2000 citata la decisione n. 204 del 2004 della Corte Costituzionale.
In primo luogo, infatti, la detta pronuncia investe tutt'altra normativa: non l'art. 6 della legge n. 205 del
2000 (non inciso), ma l'art. 7 della stessa legge che ha modificato l'originaria versione negli artt. 33 e 34 del
decreto legislativo n. 80 del 1998 relativi alla giurisdizione esclusiva in materia di edilizia, urbanistica e
servizi pubblici.
Né –osserva il massimo Consesso- i principi, di rango costituzionale, in tema di giurisdizione esclusiva
enunciati dalla citata decisione della Corte possono indurre a sospettare di illegittimità costituzionale il cit.
art. 6 della legge n. 205 del 2000.
Ed invero, la giurisdizione esclusiva, configurata da quest'ultima disposizione (le procedure di evidenza
pubblica tese alla ricerca dell'aggiudicatario negli appalti di lavori servizi e forniture), conduce alla
identificazione di un'area nella quale sono in campo interessi legittimi e diritti soggettivi in correlazione tra
di loro.
Il legislatore del 2000, dando vita, con l'art. 6, ad una disciplina non dissimile da quella prevista per gli atti
degradatori in area di urbanistica e di edilizia (l'art. 34 del D.L.vo n. 80 del 1998 nella versione di cui all'art.
7 della legge n. 205 del 2000), prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle
controversie relative a interessi legittimi della fase pubblicistica sia delle controversie di carattere
risarcitorio relative a diritti soggettivi traenti origine dalla caducazione di provvedimenti della fase
pubblicistica (le pretese per responsabilità precontrattuale).
Sussiste, quindi, con riferimento alla giurisdizione ora in esame quella situazione di interferenza tra diritti
soggettivi e interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono come
conditio sine qua non - secondo la Corte - per la legittimità costituzionale delle aree conferite alla cognizione
del giudice amministrativo.”
In termini, di recente, Tar Lazio, 10 settembre 2007, n. 8761, secondo cui, in tema di responsabilità
precontrattuale, la natura della posizione giuridica soggettiva vantata (diritto soggettivo scaturente dalla
violazione della libertà negoziale) non consente una traslazione della giurisdizione dinanzi al giudice
ordinario in presenza del disposto dell’art. 6, l. n. 205/2000 che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo “tutte le controversie tra privato e pubblica amministrazione riguardanti la fase
anteriore alla stipula dei contratti di lavori, forniture e servizi”.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo deve ritenersi estesa, infatti, a tutta la fase
dell’affidamento rispetto alla quale devono ritenersi rientrare anche i momenti che precedono – pur
successivamente alla aggiudicazione – la stipulazione del contratto in senso proprio.
6.3. Danni da omessa vigilanza Consob
Difficoltà nella soluzione del profilo di giurisdizione si sono registrate in relazione ad un’ulteriore
fattispecie risarcitoria, quella avente ad oggetto i danni subiti dai risparmiatori a causa della mancata
vigilanza spettante alla Consob nel settore del mercato mobiliare.
Quanto alla astratta ammissibilità di siffatta responsabilità, la stessa va senz’altro riconosciuta, tanto più
dopo la svolta segnata dalla sentenza delle Sezioni unite n. 500/99, per quel che riguarda le lesioni arrecate
direttamente ai soggetti sottoposti all’esercizio delle attività di vigilanza e controllo: anche a voler
qualificare come di interesse la posizione di chi è assoggettato all’espletamento di tali compiti
istituzionalmente ascritti alle autorità, la responsabilità di tipo risarcitorio non può essere più
pregiudizialmente esclusa.
Ad un esito positivo la giurisprudenza è ormai giunta, peraltro, anche per quel che attiene alla differente
questione della responsabilità per i danni derivanti dall’illegittima omissione o carenza del dovuto
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Interviene Cons.
Stato, Ad. plen., 5
settembre 2005, n.
6, ad affermare la
giurisdizione del
G.A.
controllo in capo ai soggetti dall’ordinamento tutelati mediante l’istituzione degli organismi di vigilanza,
quali consumatori, risparmiatori, utenti.
Senza esaminare la difficile questione relativa alla definizione della natura giuridica ascrivibile alla
posizione soggettiva dagli stessi vantata, probabilmente sussumibile nella categoria dell’interesse
all’integrità patrimoniale, anziché in quella dell’interesse legittimo (non essendo agevole qualificarla come
situazione di interesse differenziato alla legittimità dell’azione amministrativa), la Suprema corte ha infatti
ammessa la ipotizzabilità di una responsabilità della Consob per i danni subiti dai risparmiatori coinvolti in
operazioni di sottoscrizione di titoli azionari in relazione alle quali l’organo di vigilanza non abbia
esercitato i riconosciuti poteri di vigilanza12.
Quanto ai profili di giurisdizione, giova premettere che la sentenza della Consulta n. 204/2004, pur
incidendo in senso fortemente manipolativo sul primo comma dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, ha lasciato
intatta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative alla vigilanza e
controllo nei confronti del gestore, nonché per quelle afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni
e sul mercato mobiliare. Il persistente riferimento alla vigilanza ha suscitato qualche perplessità in merito
all’attitudine della sentenza della Consulta a rompere gli equilibri giurisdizionali che sembravano raggiunti
sulla problematica afferente la responsabilità risarcitoria delle Autorità di vigilanza: si pensi alla
responsabilità della Consob per i danni arrecati ai risparmiatori a causa dell’omesso controllo sulla
veridicità e completezza dei prospetti informativi.
La questione era stata esaminata, prima che la Corte costituzionale intervenisse nel 2004, da Cass., Sez. un.
2 maggio 2003, n. 6719, che ha affermato al riguardo la giurisdizione del giudice ordinario facendo però leva
sul limite frapposto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dall’ormai cancellato art. 33,
comma 2, lett. e, d. lgs. n. 80/1998, e dal riferimento nello stesso contenuto alle “controversie meramente
risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose”. Ad avviso del giudice della giurisdizione, invero,
“la ragione per cui un tale tipo di controversie resta … alla giurisdizione ordinaria e non è devoluta ala
giurisdizione esclusiva, pur se si genera nell’area delle attività riconducibili alla nozione di pubblico
servizio, è da vedere … nel fatto che il risarcimento non si presenta come mezzo di completamento della
tutela, .., ma è l’unico mezzo di tutela che l’ordinamento offre a soggetti rimasti danneggiati per colpa del
titolare del servizio, in occasione dell’esercizio di poteri e dello svolgimento dell’attività in cui il pubblico
servizio si svolge”.
All’indomani della sentenza n. 204/2004, ci si è chiesti se la conclusione cui le Sezioni unite sono
pervenute nel 2003 possa ancora reggere ad onta della intervenuta decapitazione dell’intero comma
secondo dell’art. 33 e del riferimento quindi, contenuto nella lett. e, alle “controversie meramente
risarcitorie” quale limite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: per un apparente
paradosso, è stata rimessa in discussione la illustrata questione di giurisdizione.
Anche dopo Corte cost. n. 204/2004, del resto, resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo per le controversie involgenti l’attività di vigilanza (art. 33, comma 1, nuova ed ultima
formulazione): previsione, questa, da applicare in uno al successivo art. 35, d. lgs. n. 80/1998, inteso ad
ascrivere al giudice amministrativo cognizione sulle questioni risarcitorie sorte nelle materie attratte alla sua
giurisdizione esclusiva.
A differente conclusione sono al riguardo pervenute nel 2005 le Sezioni unite di Cassazione (29 luglio
2005 n. 15916) che, nel ribadire la giurisdizione ordinaria, sostengono la non configurabilità, nei rapporti
tra il risparmiatore e l’Autorità di vigilanza, di situazioni di interesse legittimo, sicché manca il presupposto
perché le controversie ad essi relative possano essere devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo ex art. 33 del d. lgs. 80/98, come modificato con la sentenza della Corte Costituzionale n.
204 del 6 luglio 2004.
1. La soluzione
prima di Corte
cost. n. 204/2004:
Cass., sez. un., 2
maggio 2003, n.
6719
2. Interviene Corte
cost. n. 204/2004
3. Cass., sez. un.,
29 luglio 2005, n.
15916, ribadisce la
giurisdizione del
G.O.
Il principale argomento su cui ruota il percorso motivazionale seguito dai Giudici della giurisdizione è
quello volto ad evidenziare che la posizione dei risparmiatori è ben distinta da quella di cui sono titolari i
“soggetti abilitati” in relazione ai quali la Consob è titolare di una serie di "poteri" attraverso il cui esercizio
12 Cass., 3 marzo 2001, n. 3132, in Resp. civ. prev., 2001, con nota di R. CARANTA, Responsabilità della CONSOB per mancata vigilanza e futuri
problemi di giurisdizione.
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assicura che i loro comportamenti siano "trasparenti e corretti" e che la loro gestione sia "sana e prudente"
(artt. 5 e 91, d.lgs., 24 febbraio 1998, n. 58).
La posizione di tali soggetti, rispetto all'Autorità di vigilanza, si puntualizza in situazioni soggettive
correlate all'esercizio dei poteri di vigilanza che si configurano, in linea di massima, come "interessi
legittimi".
Viceversa, sui risparmiatori l'Autorità di vigilanza non esercita alcun "potere", trattandosi di soggetti che
tale Autorità è invece tenuta a tutelare (artt. 5 e 91, d.lgs. 58/98). La posizione dei risparmiatori nei
confronti dell'Autorità di vigilanza assume conseguentemente la consistenza di un diritto soggettivo;
diritto che, non essendo collegato ad alcuna relazione di potere con la pubblica amministrazione, in caso
di violazione, deve essere tutelato innanzi al giudice ordinario. Tanto più quando, come nel caso di specie,
l'azione proposta trovi il suo fondamento all'esercizio di un "comportamento" illecito della pubblica
amministrazione e sia diretta a conseguire il risarcimento dei danni subiti.
Né, del resto, ad avviso delle Sezioni unite, l’abolizione del riferimento della lettera e) dell’art. 33 alle
“controversie meramente risarcitorie” può comportare alcun cambiamento.
La caducazione di tale limite, infatti, non comporta certo che ora suddette controversie rientrino
nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma rappresenta l’abolizione di un
confine inutile ora che non vi è più un’attribuzione generalizzata a quest’ultimo giudice di una
indeterminata serie di controversie in materia di pubblici servizi.
Avendo, infatti, la Corte Costituzionale ristretto le maglie della giurisdizione esclusiva del G.A. a quelle
ipotesi in cui la pubblica amministrazione agisca in veste autoritativa è evidente che l’indicazione del limite
delle controversie meramente risarcitorie è totalmente superflua. In esse, infatti, non può mai essere
coinvolta l’amministrazione come autorità e, conseguentemente, la giurisdizione non può che essere
affidata al giudice ordinario.
Ciò avviene a maggior ragione nelle controversie ove “il risarcimento del danno rappresenta non uno
strumento di tutela ulteriore rispetto a quello demolitorio e/o conformativo del giudice amministrativo ma
costituisce l’unico mezzo di tutela che l’ordinamento offre a soggetti rimasti danneggiati per colpa del
titolare del servizio in occasione dell’esercizio dei poteri e dello svolgimento dell’attività in cui il pubblico
servizio si risolve”.
6.4. Danno da occupazioni.
Un delicato problema di riparto si è posto ancora per le domande risarcitorie aventi ad oggetto i danni da
c.d. occupazione.
Il problema ha assunto caratteri di particolare difficoltà in considerazione della necessità di distinguere tra
le differenti forme di occupazione (appropriativa, usurpativa, usurpativa c.d. spuria; per l’esame degli
istituti si rinvia al Capitolo …, par. …).
Anche al riguardo, è opportuno articolare l’analisi ricostruendo il dibattito svoltosi prima e dopo la
sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004.
Nella fase precedente, il problema di riparto si è posto con l’entrata in vigore dell’art. 34, d. lgs. n.
80/1998, che nella originaria formulazione devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie
aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti
alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia”.
Dopo non poche oscillazioni interpretative, le Sezioni unite di Cassazione, con ord. 25 maggio 2000, n. 43,
sul presupposto della riconducibilità delle controversie in tema di occupazione appropriativa nell’alveo di
efficacia dell’art. 34, d.l.gs. n. 80/98, hanno tacciato la stessa disposizione di contrasto con l’art. 76 Cost.
per eccesso di delega nella parte in cui devolve al giudice amministrativo le controversie relative a diritti
soggettivi connessi a comportamenti materiali dell’amministrazione in procedure espropriative: ad avviso
della Suprema corte nella legge delegata mancherebbe ogni accenno ai diritti scaturenti da comportamenti
dell’amministrazione13.
1. Il dibattito ante
Corte cost. n.
204/2004
13 In Foro it., 2000, I, 2143, con osservazioni di G. DE MARZO, Le procedure espropriative e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella
materia urbanistica ed edilizia.
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A tale esito interpretativo era per vero consentito giungere sulla scorta di una pluralità di argomenti.
Oltre all’espresso riferimento ai “comportamenti” contenuto nel primo comma della citata disposizione, infatti, militano in favore
della tesi estensiva almeno due considerazioni, entrambe desunte dalla formulazione testuale della previsione in esame.
Da un lato, la materia urbanistica, ai sensi dello stesso art. 34, co. 2, d.lgs. n. 80/98, comprende “tutti gli aspetti dell’uso del
territorio”: si tratta, quindi, di nozione volutamente ampia della materia, intesa a ricomprendere non solo il momento
propriamente programmatorio, ma anche quello per così dire gestionale. La descritta nozione di urbanistica è ampia al punto da
assorbire tutti gli aspetti dell’uso del territorio. Essa si estende ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della dichiarazione di
pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come confermato da due argomenti
entrambi decisivi, l’uno di carattere letterale e l’altro teleologico.
Il primo è quello desunto dal successivo comma 3 dell’art. 34, che espressamente sottrae alla giurisdizione del giudice
amministrativo le controversie in materia di indennità derivanti da atti di natura espropriativa od ablativa. La circostanza che il
legislatore abbia avvertito l’esigenza di introdurre questa precisazione conferma la precisa intenzione di assegnare alla materia
urbanistica la latitudine necessaria a coprire anche il procedimento di espropriazione.
D’altra parte, il riferimento alle sole controversie in materia di indennità non è idoneo a ricomprendere il contenzioso in tema di
occupazione invertita, fonte di un obbligo di risarcimento e non di mero indennizzo.
Sul versante teleologico non può non sottolinearsi lo stretto legame che intercorre tra la materia urbanistica e quella
dell’espropriazione. Una diversa scelta sarebbe stata difficilmente compatibile con l’esigenza di concentrazione e coordinamento
di controversie tra loro collegate, oltre che con le ragioni stesse sottese alla creazione di forme di giurisdizione esclusiva, volte a
neutralizzare la difficoltà e la confusione innescate da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali (C. St, IV sez.,
15 giugno 2001, n. 3169).
Concludendo, l’espressa indicazione dei comportamenti, oltre che degli atti e dei provvedimenti, quale oggetto del settore
contenzioso devoluto alla nuova giurisdizione esclusiva ex art. 34, d.lgs. n. 80/98 e la possibilità di ricomprendere anche la materia
espropriativa nella lata nozione di urbanistica fornita dalla medesima previsione inducevano a ritenere appartenente al giudice
amministrativo ai sensi degli artt. 34 e 35, d.lgs. n. 80/98, le controversie innescate dai fenomeni di occupazione acquisitiva, ivi
compresi i profili risarcitori.
Sullo sfondo, tuttavia, l’assunto della stretta interferenza tra la materia urbanistica, di cui l’art. 34, co. 2,
fornisce una nozione molto ampia, comprensiva di “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, e quella
espropriativa, così ricompresa nella prima quale momento di attuazione delle più ampie scelte
programmatorie.
Proprio la difficoltà di ravvisare tale stretta connessione con la fase di vera e propria programmazione ha
indotto a dubitare circa la riconducibilità entro l’ambito di efficacia dell’art. 34, d.lgs. n. 80/98, del
contenzioso riguardante l’occupazione non acquisitiva, bensì quella usurpativa, caratterizzata dalla
mancanza di dichiarazione di pubblica utilità In caso di occupazione usurpativa non è agevole infatti
configurare il comportamento dell’amministrazione come momento di attuazione della gestione
territoriale. In tale direzione si era orientato il Consiglio di Stato secondo cui, in difetto di una valida e
perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera in ragione della quale è stata disposta
l’espropriazione di un fondo, non si realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita, ma soltanto un
fatto illecito, generatore di danno, in relazione al quale, quindi, si radica la giurisdizione del giudice
ordinario14.
Dirompenti le conseguenze derivanti dalla sentenza della Corte cost. n. 204/2004 sul dibattito illustrato.
Subito dopo Corte cost. n. 204/2004, le Sezioni unite di Cassazione hanno a più riprese sostenuto
l’attrazione alla giurisdizione ordinaria non solo del contenzioso riguardante le occupazioni c.d. usurpative
(per vero ascritte al giudice ordinario già prima della parziale dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 34, d. lgs. n. 80/1998), ma anche quello concernenti i danni da c.d. occupazione appropriativi15.
In senso nettamente contrario si è orientata la prevalente giurisprudenza amministrativa.
Con riferimento ai danni da occupazione appropriativa, CGA, Sez. giurisdizionale, 11 aprile 2005, n. 201, ha
rimesso alla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato un ricorso diretto ad ottenere il
risarcimento del danno subito per effetto dell’irreversibile trasformazione del fondo occupato dalla P.A.
con ordinanza di occupazione di urgenza alla quale non ha fatto seguito il decreto di espropriazione.
Due i punti ai quali nella sostanza fa riferimento l’ordinanza di rimessione:
a) in primo luogo, andrebbe verificato se, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla
sentenza n. 204 del 2004 (che ha precluso al giudice amministrativo di conoscere di «comportamenti» retti
da norme del diritto comune), si possano ancora considerare ricadenti nella giurisdizione amministrativa
(come fatti eziologicamente riconducibili all’amministrazione-autorità) le lesioni del diritto di proprietà nel
14
15
Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819; Cass., sez. un., 6 giugno 2003, n. 9139.
Cass., sez. un., 16 novembre 2004, n. 21635; Cass., Sez. un., 4 febbraio 2005, n. 2198.
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2. Interviene Corte
cost. n. 204/2004
Occupazione
appropriativa.
CGA, 11 aprile
2005,
n.
201
rimette
la
questione
alla
Adunanza plenaria
caso in cui, con la dichiarazione di inefficacia ex lege dell’atto di occupazione di urgenza e degli effetti
giuridici da quest’ultimo spiegati, le lesioni arrecate al diritto di proprietà del soggetto privato potrebbero
essere considerate come condotte sine titulo, perciò in toto assimilate ai «comportamenti» materiali
dell’amministrazione di cui al citato art. 34;
b) anche se si pervenisse alla conclusione di ritenere che il vulnus del diritto soggettivo sia nella specie da
ricondurre al pubblico potere, andrebbe stabilito se la denunciata lesione di diritti soggettivi possa essere
conosciuta dal giudice amministrativo al quale – come sembrerebbe doversi desumere dalla sentenza n.
204 del 2004 della Corte – è attribuita la giurisdizione esclusiva solo nell’ambito di controversie nelle quali
restano coinvolti insieme interessi legittimi e diritti soggettivi. Ed invero, ad avviso della Sezione
remittente, a differenza di quanto avviene, di norma, negli altri casi di giurisdizione esclusiva, la
controversia in questione si contrassegna per il fatto di avere come oggetto soltanto diritti soggettivi,
risultando venuto meno ex lege (per la mancata conclusione del procedimento e non a seguito di
impugnativa involgente interessi legittimi) il provvedimento degradatorio in precedenza emanato
(l’occupazione di urgenza)
Su entrambe le questioni interviene l’Adunanza plenaria con sentenza 30 agosto 2005, n. 4, concludendo
nel senso che, anche dopo Corte cost. n. 204/2004, ricade nella giurisdizione del giudice amministrativo la
controversia avente ad oggetto, al di fuori di ogni impugnativa di atti autoritativi, la sola pretesa di
conseguire il risarcimento del danno sopportato dal diritto di proprietà del privato, investito da un
provvedimento di occupazione d’urgenza venuto meno retroattivamente ex lege.
Secondo i Giudici del Consiglio di Stato, infatti, la controversia in materia di occupazione acquisitiva è pur
sempre riconducibile all’esplicazione del pubblico potere atteso che la vicenda dell’irreversibile
trasformazione del bene è ricollegabile all’esercizio originario del pubblico potere (dichiarazione di
pubblica utilità e provvedimento di occupazione): inerisce all’esercizio del potere, pertanto, qualunque lite
suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dalla esecuzione di provvedimenti
autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o (come nella specie) per sopraggiunta inefficacia
ex lege.
Con la stessa pronuncia la Plenaria, anticipando quanto a chiare lettere successivamente affermato da
Corte cost., 13 maggio 2006, n. 191, disattende l’impostazione (di chiara ispirazione processuale) che
subordina la giurisdizione esclusiva alla congiunta deduzione, nello stesso processo, sia di diritti che di
interessi legittimi (situazione, quest’ultima, che si realizzerebbe, ad es., nella ipotesi di pretesa risarcitoria
dedotta, in via consequenziale, dopo l’annullamento del provvedimento degradatorio e non anche quando
l’atto e i suoi effetti siano venuti meno ex lege). Ad avviso della Plenaria, infatti, è assolutamente estranea
alla sentenza n. 204/2004 l’affermazione secondo cui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
comporti, immancabilmente, l’instaurazione di una concreta controversia implicante la congiunta
deduzione in causa di interessi legittimi e diritti soggettivi (situazione che si avvera nella sola ipotesi di
impugnazione degli atti di esercizio del potere e dopo l’annullamento dell’atto, con pretese consequenziali
rivolte a denunciare vulnera incidenti sulle legittimanti e risorte posizioni di diritti soggettivi).
E’ da ritenere, pertanto, fuori discussione l’ingerenza del giudice amministrativo su liti che, come nel caso
in esame, abbiano ad oggetto diritti soggettivi quando la lesione di questi ultimi tragga origine, sul piano
eziologico, da fattori causali riconducibili all’esplicazione del pubblico potere, pur se in un momento nel
quale quest’ultimo risulta ormai mutilato della sua forza autoritativa per la sopraggiunta inefficacia disposta
dalla legge per la mancata conclusione del procedimento.
La stessa giurisprudenza amministrativa si è occupata, dopo Corte cost. n. 204/2004, del riparto di
giurisdizione sulle controversie risarcitorie da c.d. occupazione usurpativa.
Giova considerare, al riguardo, che l’istituto ricorre in tre specifiche circostanze: a) assenza ab initio di una
dichiarazione di pubblica utilità; b) annullamento giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità
preesistente all’occupazione; c) omissione, nella dichiarazione di pubblica utilità, dei termini iniziali e finali
della procedura di esproprio, nonché di quelli di inizio e compimento dell’opera pubblica.
Con riferimento all’ipotesi sub b), la stessa sentenza n. 4/2005 aveva incidentalmente chiarito che “per
l’assoluta somiglianza di fattispecie, restano accomunati sia le controversie caratterizzate dall’inefficacia
retroattiva ex lege che investe l’atto degradatorio applicativo del vincolo preordinato all’esproprio, sia le
ipotesi di annullamento dell’atto stesso (con proposizione in entrambi i casi – sul presupposto della
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… che interviene
con sentenza del
30 agosto 2005, n.
4: la giurisdizione
spetta ancora al
G.A.
….
Occupazione
usurpativa. Cons.
Stato, Ad. plen., 16
novembre 2005, n.
9: appartiene al
G.A. l’usurpativa
c.d. spuria
caducazione degli effetti dell’atto autoritativo - della pretesa di carattere patrimoniale).” Pertanto, secondo
la Plenaria, anche le controversie legate a quelle fattispecie di occupazione usurpativa connotate
dall’annullamento giurisdizionale della dichiarazione preesistente sono devolute al g.a., in quanto
caratterizzate, almeno in origine, dall’esercizio di un potere di natura autoritativa.
Sulla questione è intervenuto Cons. Stato, Ad. Plen., 16 novembre 2005, n. 9, chiamato a pronunciarsi con
riferimento ad un’ipotesi in cui, dopo l'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e
degli altri provvedimenti preordinati all'esproprio (in primo luogo il provvedimento di occupazione), sono
venuti meno i titoli autoritativi che erano alla base delle condotte materiali con le quali si è data
"esecuzione" alla dichiarazione di pubblica utilità e alle ulteriori determinazioni avanti menzionate
lasciando in campo, nella realtà esterna, "comportamenti materiali" dell'amministrazione che, proprio
perché non più sorretti da atti autoritativi, vanno ricondotti sotto il regime dell'illecito aquiliano (c.d.
occupazione usurpativa spuria).
Ad avviso della Plenaria, la disposizione dell'art. 34 - nel punto aveva riguardo ai "comportamenti"
(l'espressione espunta dalla Corte Costituzionale per arginare l'ambito della giurisdizione amministrativa)
non si riferiva a quelle condotte che si connotano - come nella specie - quale attuazione di potestà
amministrative manifestatesi attraverso provvedimenti autoritativi che hanno spiegato secundum legem i loro
effetti pur se successivamente rimossi, in via retroattiva, da pronunce di annullamento.
I "comportamenti" ai quali faceva riferimento l'antico art. 34 - prima dell'intervento amputatorio della
Corte Costituzionale - hanno ad oggetto, invero, non già attività materiali sorrette dall'esplicazione del
potere (sia pure di un potere manifestatosi con atti illegittimi poi caducati), ma condotte poste in essere
dalla pubblica amministrazione muovendo (magari anche in vista del perseguimento di interessi pubblici)
fuori dell'esplicazione del potere (con attività materiale, voi de fait, manifestazioni abnormi del pubblico
potere etc.).
L'antica formula dell'art. 34 cit, quando poneva in contrapposizione tra di loro "atti e provvedimenti" e
"comportamenti", mirava proprio alla identificazione, da un lato, delle controversie relative alla lesione di
diritti soggettivi eziologicamente riconducibili alla funzione pubblica (divenute sine titulo dopo
l'annullamento) e dall'altro delle azioni di diritto comune posti in essere dalla pubblica amministrazione al
di fuori di qualunque esplicazione del potere.
Né la sentenza n. 4 né quella n. 9 prendono in considerazione invece le controversie in materia di
occupazione usurpativa che trovano origine in una procedura ablatoria non preceduta dalla dichiarazione
di pubblica utilità; applicando tuttavia le coordinate teoriche tracciate nelle sentenze citate deve
concludersi nel senso dell’appartenenza delle stesse alla giurisdizione ordinaria essendo in questa diversa
ipotesi il danno ricollegabile ad un’attività della P.A. non sorretta dall’esercizio di alcun potere
pubblicistico, inidonea pertanto a produrre l’ordinario effetto degradatorio del diritto del privato. Si
configura pertanto soltanto un intervento invasivo sine titulo valutabile alla stregua di un mero fatto illecito,
fonte di responsabilità aquiliana.
Il tema è stato successivamente esaminato da Corte cost. 13 maggio 2006, n. 191, e da Cass., sez un., 13 giugno
2006, nn. 13659 e 13660.
Giova premettere che, anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004, applicabile ai
giudizi pendenti ed ancora non conclusi, si è ritenuto che rientri nella giurisdizione del G.A. l’azione
relativa ad occupazione usurpativa: tanto in applicazione dell’art. 53, d.lgs. n. 325/2001, secondo cui "sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli
accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle
disposizioni del testo unico". Si tratta, all’evidenza, di disposizione che, nel prevedere la devoluzione alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie aventi ad oggetto (anche) «i
comportamenti» delle pubbliche amministrazioni, finisce per contemplare la medesima ipotesi che la Corte
costituzionale con sentenza n. 204/ 2004 ha espunto, ritenendola costituzionalmente illegittima, dall'art.
34, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80. Ad avviso della prevalente giurisprudenza
amministrativa, il citato art 53 non è stato travolto dalla stessa sentenza della Corte Cost. n. 204/2004,
atteso che, secondo l’art. 27 della legge n. 87/1953, "la Corte costituzionale, quando accoglie una istanza o un
ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti
dell'impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara altresì, quali sono le altre disposizioni
legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata". Ne consegue che, non avendo la
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Occupazione
usurpativa pura
Corte cost. 13
maggio 2006, n.
191
sentenza della Corte Cost. n. 204/2004 esteso la pronuncia di incostituzionalità anche all’art. 53 del D.P.R.
n. 327/2001, quest'ultima norma deve ritenersi pienamente vigente16.
Con sentenza della Corte costituzionale 13 maggio 2006, n. 191 è stata dichiarata l'illegittimità
costituzionale dell'art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo B), trasfuso nell'art. 53,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), nella
parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i
comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i
comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere.
Anche per Corte cost. n. 191/2006, quindi, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le
controversie risarcitorie aventi ad oggetto i danni da occupazione appropriativa, ma anche quelle
concernenti i pregiudizi da c.d. occupazione usurpativa spuria.
Sul tema è intervenuta quindi Cass., sez un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660, provando a fare chiarezza su
alcuni tra i più tormentati profili di giurisdizione: le sentenze n. 13659 e 13660, infatti, mettono mano ad
un vero e proprio “decalogo della giurisdizione” attraverso una rassegna incentrata dapprima sui criteri di
riparto dello jus dicere tra g.a. e g.o e, successivamente, su alcuni esempi chiarificatori che forniscono
all’interprete un validissimo strumento-guida nella ricerca del giudice perduto tra leggi, sentenze e note di
dottrina.
Nel settore delle occupazioni illegittime, la Cassazione riconduce senza dubbio alla giurisdizione ordinaria
le forme di occupazione "usurpativa", caratterizzate dal fatto che la trasformazione irreversibile del fondo
si produce in una situazione in cui una dichiarazione di pubblica utilità manca affatto.
Chiarisce, inoltre, la Suprema Corte che nel caso di inutile decorso dei termini finali fissati nella
dichiarazione di p.u. per il compimento dell'espropriazione e dei lavori senza che sia intervenuto il decreto
traslativo non rileva più che il potere espropriativo fosse in origine attribuito all'Amministrazione, in
quanto è decisivo che tale attribuzione, circoscritta nel tempo direttamente dal legislatore, fosse già venuta
meno all'epoca dell'utilizzazione della proprietà privata17.
In tale variegato panorama giurisprudenziale, interviene l’Adunanza plenaria con la pronuncia del 30 luglio
2007, n. 9, assumendo una posizione dichiaratamente contrastante con l’indirizzo delle Sezioni unite di
Cassazione laddove ritengono la giurisdizione del g.o. in relazione a controversie espropriative
caratterizzate dalla omessa pronuncia del decreto di esproprio o ( secondo l’ipotesi più frequente) dalla sua
adozione dopo la scadenza dei termini comminati dalla dichiarazione di P.U.
Ad avviso del supremo Consesso della Giustizia amministrativa, almeno nei procedimenti non governati
ratione temporis dalle norme sostanziali del T.U., la dichiarazione di pubblica utilità è l’atto autoritativo che
fa emergere il potere pubblicistico in rapporto al bene privato e costituisce al tempo stesso origine
funzionale della successiva attività, giuridica e materiale, di utilizzazione dello stesso per scopi pubblici
previamente individuati.
In questo quadro, la mancata adozione del provvedimento traslativo entro il prescritto termine non
sembra poter dequotare la valenza giuridica di un’attività appunto espletata nel corso e in virtù di un
procedimento che la dichiarazione ha ab origine funzionalizzato a scopi specifici e concreti di pubblica
natura o utilità.
“La omessa conclusione del procedimento mediante tempestiva pronuncia del decreto di esproprio,
impedendo la formalizzazione dell’acquisizione al patrimonio pubblico del bene realizzato, connota la
precedente attività dispiegata dall’Amministrazione in termini materiali o comportamentali: ma, pur
privato del suo naturale sbocco costitutivo e quindi illegittimo, questo comportamento
di
impossessamento e irreversibile modifica del bene altrui resta pur sempre, nel senso ora detto,
riconducibile all’esercizio del pubblico potere. La fattispecie ora all’esame presenta dunque evidenti punti
di contatto con quella che si determina a seguito dell’annullamento in s.g. della dichiarazione di pubblica
utilità, in quanto in entrambi i casi gli effetti retroattivi naturalmente conseguenti alla pronuncia
demolitoria o quelli derivanti dalla mancata conclusione del procedimento non sembrano poter travolgere
16
17
In termini, T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, 1 agosto 2005 n. 1302.
In termini, Cass., sez. un., n. 2688 del 2007.
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Interviene Cass.,
sez un., 13 giugno
2006, nn. 13659 e
13660
Cons. Stato, Ad.
Plen. 30 luglio
2007, n. 9
a posteriori il nesso funzionale che ha comunque legato l’attività dell’Amministrazione alla realizzazione
del fine di interesse collettivo individuato all’origine”.
Ben distinto invece – ad avviso della Plenaria – è il caso in cui la dichiarazione manchi del tutto, venendo
allora in rilievo un mero comportamento per vie di fatto, in nessun modo e nemmeno mediatamente
funzionalizzato all’esercizio di un effettivo potere degradatorio e traslativo.
La posizione è confermata ancora da Cons. Stato, Ad. Plen, 22 ottobre 2007, n. 12.
Chiarito che i “comportamenti” che esulano dalla giurisdizione amministrativa esclusiva non sono tutti i
comportamenti, ma solo quelli che, tenuto conto dei riferimenti formali e fattuali di ogni concreta
fattispecie, non risultano riconducibili all’esercizio di un pubblico potere, i giudici della Plenaria
sostengono, infatti, che la domanda risarcitoria avente ad oggetto i danni da occupazione appropriativa
appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo attesa la permanente efficacia degli atti
presupposti al decreto di espropriazione illegittimo e la riconducibilità dell’attività amministrativa
all’esercizio di un pubblico potere autoritativo.
Cons. Stato, Ad.
Plen. 22 ottobre
2007, n. 12
6.5. Il settore del pubblico impiego: domande risarcitorie e riparto di giurisdizione (rinvio)
Si rinvia al Capitolo…. per l’esame del riparto di giurisdizione sulle controversie risarcitorie in tema di
pubblico impiego privatizzato.
6.6. Danno da attività materiale dell’amministrazione
Come rilevato, il parametro discretivo della giurisdizione lo enuncia il legislatore allorché, nell’assegnare la cognizione di tutte le
questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, delimita la sfera oggettuale entro cui i nuovi poteri cognitori e decisori del
giudice amministrativo devono reputarsi ascritti ponendo la condizione che si sia “nell’ambito della sua giurisdizione”,
indifferentemente, quindi, di legittimità od esclusiva. È necessario, quindi, perché il profilo risarcitorio possa essere conosciuto dal
giudice amministrativo, che il danno lamentato sia stato cagionato da una attività o più in generale da una condotta assoggettata,
quanto a sindacato, alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Sono pertanto destinate a restare sottratte alla sfera cognitoria del giudice amministrativo le pretese risarcitorie aventi ad oggetto il
danno dall’amministrazione arrecato mediante comportamenti meramente materiali: si pensi al caso classico del pregiudizio da
insidia stradale sofferto per effetto della cattiva manutenzione delle strade o da fauna selvatica ovvero ancora da omesso controllo
dell’amministrazione scolastica sulla condotta dei discenti. Si tratta di questioni risarcitorie che, in quanto afferenti lesioni derivanti
da attività del tutto estranee al tradizionale “ambito” della giurisdizione amministrativa, di legittimità ed esclusiva, non possono
che continuare ad essere conosciute dal giudice ordinario.
Non sempre, tuttavia, il danno da comportamento materiale può dirsi sottratto al giudice amministrativo.
Sul punto è intervenuta Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005 n. 20117, secondo cui l’inosservanza da parte della P.A. nella
sistemazione e manutenzione di una strada pubblica, delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può
essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario, sia quando è volta a conseguire la condanna ad un "facere", sia quando
ha ad oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché in tale ipotesi la domanda non investe scelte ed atti
autoritativi dell’amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del menimem ledere: alla stregua del principio le Sezioni
unite hanno ritenuto che rientra nella giurisdizione del g.o. l’azione di risarcimento proposta da un privato nei confronti di un
Comune per i danni da quest’ultimo arrecati a seguito di opere di manutenzione della pavimentazione di una pubblica strada, che
avevano innalzato il livello della strada oltre il piano di calpestio dell’abitazione, con conseguente deflusso delle acque piovane.
Invero, la discrezionalità della P.A. circa i criteri e le modalità di esecuzione di un’opera pubblica in relazione all’apprezzamento ad
essa demandato degli interessi e delle esigenze della collettività dei cittadini e degli strumenti atti a soddisfarli, non esime la P.A.
stessa dell’osservare le specifiche disposizioni di legge e di regolamento e le generali norme di prudenza e diligenza, imposte dal
generale precetto del neminem leadere a tutela dell’incolumità dei cittadini e dell’integrità del loro patrimonio, con la conseguenza
che, se dall’osservanza di tali norme derivi un danno al terzo, deve a questi riconoscersi azione risarcitoria, anche in forma
specifica, davanti al giudice ordinario, vertendosi in tema di fatto illecito lesivo di posizioni di diritto soggettivo. Le stesse Sezioni
unite precisano, peraltro, che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, la giurisdizione esclusiva del
G.A. non è estensibile alle controversie nelle quali la P.A. non esercita – nemmeno mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà
di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – alcun potere pubblico. Deve pertanto riconoscersi la giustiziabilità avanti al
giudice ordinario in tutte quelle controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti ex art. 2043 c.c., ed a
fronte dei quali per non avere, appunto, la pubblica amministrazione osservato condotte doverose, la posizione soggettiva del
privato non può che definirsi di diritto soggettivo.
In argomento, si segnala anche Cass. civ., sez. un., 18 ottobre 2005 n. 20123, intervenuta a precisare che a seguito della sentenza della
Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, deve ritenersi che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario ogni volta che il
comportamento della pubblica amministrazione risulti spogliato da ogni interferenza con un atto autoritativo.
Sulla base delle esposte premesse, le Sezioni unite concludono quindi affermando la sussistenza della giurisdizione del giudice
ordinario per una domanda di risarcimento del danno proposta da alcuni esercenti di un'attività commerciale a causa dell'abnorme
dilatazione ascrivibile alla P.A. dei tempi di costruzione di un parcheggio pubblico nella zona in cui svolgono la loro attività (nella
specie l’azione era stata proposta da alcuni commercianti nei confronti del Comune e della società esecutrice dei lavori per il
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Cass., sez. un., 18
ottobre 2005, n.
20117: al G.O. i
danni da cattiva
manutenzione
delle strade
Cass., sez. un., 18
ottobre 2005 n.
20123: al G.O. i
danni da opera
pubblica tardiva
risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori per la costruzione di un parcheggio pubblico in una piazza, che aveva comportato
l'interdizione al traffico della suddetta piazza).
Sempre al G.O. vanno sottoposte le domande risarcitorie aventi ad oggetto danni subiti da un privato in conseguenza
dell'improvviso attraversamento della sede stradale da parte di fauna selvatica. In termini, Cass. civ., sez. un., 24 marzo 2005 n. 6332,
secondo cui giurisdizione del giudice amministrativo di cui al testo novellato dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, è
prevista al fine di evitare la necessità di un doppio processo (il primo, dinanzi al giudice amministrativo, per l'annullamento
dell'atto; il secondo, dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del danno) e non opera allorché, difettando un provvedimento
amministrativo, manchi una domanda di annullamento ed il privato proponga esclusivamente una domanda di risarcimento del
danno nei confronti della P.A., nella quale ciò che rileva è la liceità e non la legittimità dell'azione amministrativa. Ad avviso delle
Sezioni unite, la disposizione citata va interpretata nel senso che il giudice amministrativo decide delle controversie risarcitorie, se
esso ha già giurisdizione in base a regole diverse da quelle indicate dallo stesso articolo 7. In nessun caso la norma può essere
interpretata come attributiva di una giurisdizione prima inesistente, perché la norma non ha modificato i criteri generali di riparto
della giurisdizione esistenti al momento della sua entrata in vigore. Le pretese risarcitorie, infatti, possono essere decise dal giudice
amministrativo nei soli casi in cui questo aveva giurisdizione sulle stesse già prima della legge n. 205/2000.
6.7. Danno da violazione del giudicato
Dibattuta, infine, l’individuazione del giudice innanzi al quale chiedere il risarcimento dei danni derivanti, non dall’atto
amministrativo già annullato con la sentenza che ha definito il giudizio amministrativo, quanto piuttosto dalla violazione dello
stesso giudicato in cui sia incorsa l’amministrazione.
Sulla questione è intervenuto Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2006 n. 4297, affermando la giurisdizione amministrativa sulla domanda di
risarcimento del danno basata sulla mancata o ritardata esecuzione del giudicato amministrativo. Sussiste in particolare detta
giurisdizione nel caso in cui, dopo il passaggio in giudicato di una sentenza che ha annullato l’aggiudicazione di una gara,
l’Amministrazione abbia mantenuto un atteggiamento ostruzionistico e defatigante, che costringe la ricorrente vittoriosa ad agire
con autonomo ricorso ordinario per il risarcimento del danno subito.
In particolare, la sopra citata pronuncia del supremo consesso di giustizia amministrativa si innesta su quel filone esegetico di
elaborazione pretoria che, pure negando in astratto la proponibilità per la prima volta in sede di ottemperanza della domanda
risarcitoria, ritiene che la regola possa soffrire talune eccezioni, peraltro coerenti con le ragioni teoriche sottese alla posizione
contraria secondo cui opererebbe nel nostro ordinamento l’assioma dell’inammissibilità di una contestuale domanda di esecuzione
del giudicato e di risarcimento dei danni; inammissibilità – occorre puntualizzare – predicata in particolare dal Consiglio di Stato
nel giusto rilievo che la proposizione di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di appello violerebbe il
principio del doppio grado di giudizio, garantito nella giurisdizione amministrativa dall’art. 125 della Costituzione (cfr., da ultimo,
C.G.A. 19 ottobre 2006, n. 587).
Si ritiene così ammissibile in questa fase la domanda avente ad oggetto i danni da violazione di giudicato, ossia quelli maturatisi
dopo l'annullamento del provvedimento, a cagione dell’inerzia della P.A. nell’adeguarsi agli effetti della pronuncia. L’azione sarà,
allora, esperibile a condizione però che l’ottemperanza si svolga davanti al Tar (quindi che non vi siano deroghe al principio del
doppio grado), e i danni di cui si chiede il risarcimento siano stati subiti dopo il giudicato o per effetto dell’inadempimento del
giudicato (vale a dire danni che egli non aveva ancora subito quando è stato annullato il provvedimento illegittimo). Ciò in quanto,
in tali fattispecie, l’azione di danno viene esperita quale effetto del comportamento elusivo di un giudicato e non già quale
conseguenza dell’illegittimità dell’azione amministrativa accertata nella sentenza.
L’ipotesi applicativa più di frequente descritta in dottrina è quella di un privato che chieda l’annullamento di un provvedimento,
nella speranza di poter ancora ottenere una tutela specifica dei suoi interessi (ad esempio, egli spera che il bene gli venga
restituito). Ebbene, può accadere, nello specifico, che nelle more del giudizio o addirittura dopo il giudicato, a causa
dell’inosservanza del giudicato questa possibilità di tutela in forma specifica del suo interesse venga definitivamente meno (ad es.
perché l’amm.ne ha completamente modificato il bene, quindi non può più ottenerne la restituzione). Si attiva, quindi, il rimedio
risarcitorio.
La sopra enunciata opzione ermeneutica costituisce, ormai, ius receptum da parte della giurisprudenza amministrativa, come
precisati, in termini estremamente cristallini, dalla sentenza del Consiglio di Stato 8 marzo 2004, n. 1080, secondo cui “un
risarcimento proponibile in ottemperanza è solo quello per i danni da violazione di giudicato ossia per i danni maturatisi dopo l'annullamento, danni,
prima della formazione del giudicato di annullamento, futuri e meramente eventuali, mentre, quanto ai danni già subiti (per perdita di chance) per effetto
dell'attività amministrativa oggetto del giudizio di annullamento, non può dubitarsi circa la necessità di un apposita domanda da spiegarsi nel processo di
primo grado.” (in senso conforme, cfr. Tar Campania 4 ottobre 2001, n. 4485 che va interpretata nei limiti correttamente individuati
da Cons. St., sez. IV, 6 ottobre 2003, n. 5820, e, ancora, Cons. St., sez. V, 28 febbraio 2006, n. 861, Cons. St., sez. V, 21 giugno
2006, n. 3690 e, da ultimo, Tar Lazio – Roma - sez. III-bis - 5 dicembre 2006, n. 13805.
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Cass., sez. un., 24
marzo 2005 n.
6332: al G.O. i
danni
da
attraversamento
della strada
B) PARTE … - LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA
1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali. 2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte costituzionale. 3. La
giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 e l’impianto complessivo
dell’intervento legislativo del 1998. 3.1. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito. 3.1.1. Una
fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica. 3.1.2. I c.d. servizi sociali. 3.2. Le controversie relative a concessione di
pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di spesa. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria
ubicata all’estero. 3.3. Le controversie relative a provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche, educazione sessuale
nelle scuole e revoca di amministratori di società in mano pubblica. 3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio. 3.5.
Controversie relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in tema di sanzioni (rinvio). 3.6. Servizio
farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995. 4. La giurisdizione in tema di concessione di beni.
5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici:. 6. La giurisdizione in tema di edilizia, urbanistica ed espropriazione.
6.1. Nozione di edilizia. 6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso. 6.3. La giurisdizione sulle controversie aventi ad
oggetto il danno da occupazioni: rinvio. 6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e azioni possessorie, nunciatorie e cautelari. 6.5. Attività
privatistiche pure e spurie. 6.6. Retrocessione. 7. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli
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accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. rinvio. 8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio. 9. La
giurisdizione in materia di diritto sportivo. 10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti:
rinvio. 11. La nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica. 12. La giurisdizione di merito. 13. Questioni
rilevanti in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la
liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n. 794 del 1942.
1. La giurisdizione esclusiva: caratteri generali.
Superando il criterio di riparto affidato alla consistenza della contrapposizione diritti soggettivi/interessi
legittimi, il legislatore assegna talvolta l’intero contenzioso riguardante determinate materie alla
giurisdizione del giudice amministrativo.
Si tratta delle controversie rientranti nella c.d. giurisdizione esclusiva nelle quali pertanto al G.A. è
devoluta la cognizione a prescindere dalla circostanza che si deduca la lesione di interessi legittimi o di
diritti soggettivi.
La contrapposizione tra giurisdizione di legittimità, generale ma estesa alle sole controversie nelle quali si
deduce la lesione di interessi legittimi, e giurisdizione esclusiva, eccezionale e connotata dall’estensione ai
diritti dell’ambito cognitorio riconosciuto al G.A., ha nella Carta costituzionale la sua base giuridica, oltre
che la sua disciplina.
Ai sensi infatti dell’art. 103 Cost. “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno
giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in
particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi”.
Individuato nella natura della posizione da tutelare con il rimedio giurisdizionale il generale criterio di
delimitazione della sfera di giurisdizione da assegnare al G.A. (sulla compatibilità con l’art. 103 Cost. di
eventuali ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.O. si rinvia al Cap…), la Carta costituzionale rimette al
legislatore ordinario il compito di indicare le “particolari materie” nelle quali la tutela contro la P.A. va
invocata innanzi al G.A. anche se ad essere lese siano posizioni di diritto soggettivo.
Prima di passare all’esame del citato disposto costituzionale, giova peraltro considerare che nelle materie
assegnate alla giurisdizione esclusiva del G.A., la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, pur
non rilevando ai fini del riparto di giurisdizione, conserva importanza nell’individuare le tecniche di tutela
sperimentabili e il regime processuale da osservare (si pensi all’identificazione del termine, decadenziale o
prescrizionale, cui assoggettare l’esercizio dell’azione).
Quanto alle tecniche di tutela, in particolare, è non poco sostenuta la tesi secondo cui l’attribuzione al
giudice amministrativo del compito di attendere alla protezione di posizioni soggettive di cui naturaliter
conosce il giudice ordinario non può determinare una deminutio del livello di tutela che quelle a quelle
posizioni sarebbe stata assicurata innanzi al giudice naturale.
Detto diversamente, si è spesso sostenuto che non deve essere la posizione soggettiva e il tasso di intensità
e completezza della sua protezione e doversi adattare al processo amministrativo; viceversa, quest’ultimo,
con le sue regole e le sue tradizionali tecniche di protezione, deve essere sagomato tenendo conto
dell’innesto di posizioni di diritto soggettivo.
E’ quanto, come si vedrà nella seconda Sezione, è stato non di rado sostenuto nell’esaminare problemi di
vario tipo emersi con riferimento a casi in cui, essendo il sistema di tutela tipico del giudizio
amministrativo apparso inadeguato ad assicurare una tutela piena ed effettiva dei diritti soggettivi affidati
dal legislatore alla protezione del giudice amministrativo in sede esclusiva, si è proposto l’innesto di
strumenti tipici del processo civile.
Si pensi alla questione, a lungo dibattuta, prima dell’entrata in vigore dell’art. 8, l. n. 205/2000, relativa
all’invocabilità degli strumenti di tutela sommaria non cautelare (decreti ingiuntivi, ordinanze ex art. 183bis, c.p.c.) da parte dei titolari di diritti soggettivi affidati alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998: questione, quest’ultima, per vero non poco ridimensionata,
nella sua importanza applicativa, per effetto della drastica contrazione che la giurisdizione esclusiva in
tema di servizi pubblici ha subito a seguito della storica sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004.
2. L’interpretazione dell’art. 103 Cost. fornita dalla Corte costituzionale
Prima ancora di procedere all’esame delle più significative e problematiche ipotesi di giurisdizione
esclusiva, è utile soffermarsi ancora sui limiti costituzionali della stessa.
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Si tratta di verificare se l’art. 103 Cost. riconosca al legislatore ordinario un illimitato potere di devolvere
alla giurisdizione esclusiva del G.A. nuove materie o se, invece, lo stesso, soprattutto prescrivendo che le
materie devono essere “particolari”, indichi dei criteri destinati ad orientare le scelte legislative in punto di
giurisdizione.
La questione è stata, come è noto, esaminata da Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, chiamata a valutare la
compatibilità degli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998, con la previsione di cui all’art. 103 della Carta
fondamentale.
E’ utile anteporre una sintetica illustrazione delle principali novità introdotte dalle due disposizioni citate.
Nella versione antecedente all’intervento manipolativo compiuto dalla Corte costituzionale con sentenza 6
luglio 2004, n. 204, gli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998, riscritti dall’art. 7 della legge n. 205/2000 a seguito
della dichiarazione di incostituzionalità intervenuta con sentenza n. 292/200, avevano esteso la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a tutte le controversie in materia di servizi pubblici,
urbanistica ed edilizia.
Più in generale, l’intero d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ha introdotto, a costituzione invariata, fondamentali
novità destinate inevitabilmente a rivoluzionare il tradizionale assetto della giustizia amministrativa: ne
sono risultati profondamente rivisitati e radicalmente innovati non solo i criteri volti a perimetrare i
territori giurisdizionali da assegnare al Giudice amministrativo in sede esclusiva, ma ancor prima il ruolo
stesso che a quel Giudice si è inteso riconoscere in un sistema sempre più ispirato al principio del
pluralismo o, quanto meno del dualismo giurisdizionale, anziché a quello della tendenziale unicità della
giurisdizione.
Ed invero, il d.lgs. n. 80/1998, con gli artt. da 33 a 35, ha dilatato non poco i confini della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, includendovi le materie dei servizi pubblici, dell’edilizia e
dell’urbanistica; al contempo ha mutato le regole del riparto nella stessa giurisdizione esclusiva, ascrivendo
al Giudice amministrativo la cognizione dei diritti consequenziali e dei profili risarcitori, con l’ammissione
della reintegra in forma specifica (di qui la riscrittura obbligata dell’art. 7 della legge T.A.R. e l’abrogazione
in una prima fase solo parziale dell’art. 13 della legge n. 142/1992 e delle altre disposizioni che, in tema di
appalti pubblici, obbligano l’interessato a promuovere l’annullamento dell’atto innanzi al giudice
amministrativo quale condizione per la successiva proposizione innanzi al giudice ordinario della domanda
risarcitoria); infine, ha munito il giudice amministrativo dell’armamentario processuale necessario per far
fronte ai nuovi compiti, dotandolo dei mezzi istruttori codificati nel processo civile, ivi compreso
l’indispensabile strumento della consulenza tecnica.
Come acutamente sostenuto, “una giurisdizione del genere, non limitata all’esercizio di alcune tecniche di
tutela, appare, altresì, in qualche modo come una sorta di giurisdizione tipo del giudice amministrativo,
che, in quanto volta ad assicurare una tutela potenzialmente esaustiva, si configura, nel suo rapporto con
quella ordinaria, come una giurisdizione paritaria e ad essa alternativa”18.
Questo quadro delle novità introdotte dall’intervento di riforma consente già di coglierne la portata
rivoluzionaria per quel che attiene non solo alla individuazione dei parametri afferenti il riparto di
giurisdizione, ma anche, e prima ancora, al ruolo stesso riconosciuto al giudice amministrativo, destinato a
trasformarsi, in modo sempre più marcato, da giudice dell’interesse legittimo in giudice tendenzialmente
naturale della pubblica amministrazione, con conseguente ridimensionamento del rapporto regolaeccezione che ha storicamente connotato la relazione tra giurisdizione generale di legittimità sull’atto e
giurisdizione esclusiva impingente sul rapporto sottostante.
Si è trattato di un tentativo ritenuto tuttavia dalla Corte costituzionale non compatibile con l’art. 103 Cost.
Le principali indicazione fornite da Corte cost. n. 204/2004 (A latere)
Volendo schematizzare le più importanti coordinate concettuali della sentenza, può dirsi che, ad avviso
della Corte.
- il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del G.A. "ancorata alla
pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse";
- il legislatore deve pur sempre considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi
esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie;
- il collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con
18
PAJNO, Il riparto di giurisdizione, in CASSESE, Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, 4193 ss.
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la natura delle situazioni soggettive è espresso dall’art. 103 Cost. laddove statuisce che quelle materie
devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità;
- tali materie cioè devono partecipare di quella medesima natura, che è contrassegnata della circostanza
che la pubblica amministrazione agisce come autorità, nei confronti della quale è accordata tutela al
cittadino davanti al giudice amministrativo;
- le controversie devolute al G.A., anche in sede esclusiva, devono quindi inerire all’esercizio del potere,
nelle stesse dovendosi fare questione delle modalità con cui l’amministrazione ha agito in veste di
autorità, non già certo di lesioni derivanti da comportamenti meri dalla stessa posti in essere.
Il legislatore ordinario ben può ampliare quindi l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con
riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur
19
sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità .
Giova approfondire il tema.
Affrontando nel dettaglio il tema dei limiti costituzionali della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo o, detto
altrimenti, dei limiti costituzionali frapposti alla discrezionalità del legislatore nel delineare gli ambiti delle differenti giurisdizioni la
Corte si è soffermata sull’art. 103 Cost. rinvenendo, nel riferimento alle “particolari materie” di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, un limite quanto mai severo e stringente.
Ad avviso della Corte, infatti, il legislatore ordinario non ha il potere di prevedere una giurisdizione esclusiva del G.A. "ancorata
alla pura e semplice presenza, in un certo settore dell'ordinamento, di un rilevante pubblico interesse".
L'art. 103, comma 1, Cost. dunque, lungi dal consentire una qualsivoglia evoluzione degli assetti giurisdizionali, frappone un
preciso limite alla discrezionalità legislativa, dalla Corte puntualmente rilevato laddove rimarca la necessità che sia considerata la
natura delle situazioni soggettive coinvolte e non il mero dato, puramente oggettivo, delle materie.
E’ questo il passaggio probabilmente più importante della pronuncia.
Osserva il Giudice delle leggi che “il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata
discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare
particolari materie nelle quali la tutela nei confronti della pubblica amministrazione investe anche diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi,
al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e
non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie”. Tale necessario collegamento delle materie assoggettabili alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente
come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle
materie devono essere "particolari" rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità.
“Il legislatore ordinario – aggiunge ancora la Corte - ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie (in
tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la
giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente
perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice della pubblica amministrazione: con
violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse
nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo”.
Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva quindi “devono partecipare della medesima natura” di quelle devolute alla giurisdizione generale
di legittimità”, “contrassegnata dalla circostanza che la pubblica Amministrazione agisce quale autorità nei confronti della quale è accordata tutela al
cittadino davanti al giudice amministrativo”.
Certo è che la sentenza n. 204/2004 ha costituito una brusca e definitiva battuta di arresto a quel trend ordinamentale, da tempo in
atto, connotato dal consistente ampliamento delle materie di giurisdizione esclusiva.
Corte cost. 11 maggio 2006, n. 191 (a latere)
L’iter argomentativo della pronuncia in parola è stato successivamente ripreso dalla Corte Costituzionale, che, con sentenza 11
maggio 2006, n. 191, ha dichiara costituzionalmente illegittimo l'art. 53, comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 325, trasfuso nell'art. 53,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, nella sola parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti
non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere.
Corte cost. 6 luglio 2004, n. 204, interviene sugli artt. 33 e 34, d. lgs. n. 80/1998 (a latere)
Muovendo dalla sintetizzata ricostruzione del quadro costituzionale, la Corte costituzionale, con sentenza
n. 204/2004, ha modificato l’impianto complessivo degli artt. 33 e 34, manipolandone il testo, ritenuto
espressione di un disegno di politica legislativa volto ad estendere l’area della giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, attraverso la sostituzione al criterio di riparto della giurisdizione fissato in
Costituzione, e costituito dalla dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, del diverso criterio dei
"blocchi di materie".
19 Per approfondimenti sia consentito rinviare a R. GAROFOLI, Il riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, II ed., in
Trattato di giustizia amministrativa, a cura di CARINGELLA - GAROFOLI), Tomo I, MILANO, 2008.
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E’ opportuno procedere, quindi, all’esame dell’intervento della Corte costituzionale sugli artt. 33 e 34, d.
lgs. n. 80/1998.
Parimenti, si darà atto del vaglio dalla stessa Corte successivamente effettuato circa la coerenza con il
quadro costituzionale della giurisdizione esclusiva del G.A. prevista dall’art. 1, co. 552, della legge
finanziaria per il 2005 relativamente alle controversie involgenti le procedure e i provvedimenti in materia
di impianti di generazione di energia elettrica.
3. La giurisdizione in tema di servizi pubblici: la precedente formulazione dell’art. 33, d. lgs. n.
80/1998 e l’impianto complessivo dell’intervento legislativo del 1998.
Nella versione antecedente all’intervento manipolativo compiuto dalla Corte costituzionale con sentenza 6
luglio 2004, n. 204, l’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, ha esteso la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo a tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti alla
vigilanza sul credito, sulle assicurazioni, sul mercato mobiliare, nonché al servizio farmaceutico, ai
trasporti, alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481; ha indicato,
quindi, con finalità meramente esemplificative, le singole controversie da ricondurre nella nuova
giurisdizione amministrativa.
L’ambito di tale giurisdizione è stato pertanto delimitato alla stregua di un triplice criterio20: il primo,
costituito dal riferimento alla nozione di servizio pubblico, a carattere generale e principale. Il secondo, di
tipo orizzontale, consistente nell’indicazione esemplificativa dei singoli settori in seno ai quali è normale
riscontrare attività sussimibili in quella nozione; con il terzo, infine, di tipo verticale, sono state
espressamente ricondotte nell’alveo di operatività della nuova giurisdizione esclusiva talune tipologie di
controversie che, più di altre, avrebbero dato adito a maggiori perplessità di inquadramento.
Ebbene, ad avviso di Corte cost. n. 204/2004, il riferimento generico a "tutte le controversie" in materia di
pubblici servizi prescinde del tutto dalla natura delle situazioni soggettive coinvolte, finendo per affidare il
riparto della giurisdizione al criterio ruotante attorno alla presenza, pur statisticamente apprezzabile ma di
per sé solo insufficiente, del pubblico interesse in questo tipo di cause: presenza da sola inadeguata a
fondare un giudizio di compatibilità costituzionale attesa l’attitudine di quel generico riferimento ad
attrarre nell’ambito della nuova giurisdizione esclusiva controversie nelle quali "può essere del tutto
assente ogni profilo riconducibile alla pubblica amministrazione-autorità".
Senonché, la stessa Corte non si limita a demolire il testo dell’art. 33, ma fa luogo ad una vera e propria
riscrittura dello stesso.
L’attuale formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998 ( a latere)
Nella nuova formulazione risultante dall’intervento manipolativo della Corte l’art. 33 dispone, quindi, che
"sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici
servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero
ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del
gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio
farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481": è
questa la parte della pronuncia che occorrerà tenere in considerazione nel verificare gli attuali equilibri
giurisdizionali nella materia dei servizi pubblici.
Si esclude quindi, nell’ambito dei servizi pubblici, che tutte le controversie in tale materia possano essere
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: ne rimangono attratte solamente quelle
che, in detta materia, vedono l’amministrazione agire come autorità, attraverso l’esercizio di pubblici
poteri.
Ai sensi del riscritto art. 33, D. lgs. n. 80/1998, sono quindi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie:
ƒ in materia di pubblici servizi relative a concessioni, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed
altri corrispettivi,
20
LIPARI, I, La nuova giurisdizione amministrativa in materia edilizia, urbanistica e dei pubblici servizi, in Urbanistica e appalti, 1998, 593.
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ƒ
relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore del pubblico servizio in
un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241;
ƒ relative all’affidamento di un pubblico servizio;
ƒ concernenti la vigilanza e il controllo nei confronti del gestore;
ƒ afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico,
ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla l. n. 481/1995.
In tal senso, la giurisdizione esclusiva risulta fortemente ridimensionata: se prima dell’intervento della
Corte l’ambito di cognizione del G.A. in sede esclusiva abbracciava indistintamente tutte le controversie in
materia di servizi pubblici, con l’unica eccezione dei rapporti individuali d’utenza e delle controversie
meramente risarcitorie, sono ora rimesse al giudice amministrativo solo alcune tipologie di controversie.
3.1. La persistente rilevanza della nozione di servizio pubblico: il dibattito.
Preme subito osservare, al riguardo, che l’intervento della Consulta -se certo ha drasticamente ridotto
l’ambito della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici
circoscrivendolo alle sole controversie involgenti la concessione di servizi, l’affidamento degli stessi, i
procedimenti attivati e condotti nel rispetto della legge n. 241/1990, la vigilanza e il controllo- non ha
tuttavia disancorato la giurisdizione stessa dalla nozione di servizio pubblico che continua ad integrare,
quindi, il primo criterio di delimitazione degli spazi di cognizione assegnati dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998,
ultima formulazione.
Si ripropongono, pertanto, e meritano un’attenta disamina, gli interrogativi riguardanti la nozione citata, la
sua effettiva estensione, i criteri da seguire per la sua perimetrazione.
Superfluo osservare, peraltro, che nella nuova formulazione la ricostruzione della nozione di servizio
pubblico assume un’utilità applicativa diversa; individuate, infatti, le attività qualificabili in termini di
servizio pubblico sarà necessario ancora verificare se la controversia che le involge afferisce uno dei
segmenti di contenzioso riconosciuti al giudice amministrativo dalla parte additiva della sentenza n.
204/2004 (concessione, affidamento, procedimento ex lege n. 241/1990).
È ancora vivace al riguardo, nel panorama dottrinale e giurisprudenziale, la contrapposizione tra
concezione c.d. soggettiva e concezione c.d. oggettiva del servizio pubblico: contrasto per vero piuttosto
stemperato per effetto del ripudio, peraltro imposto dall’evoluzione del quadro ordinamentale, delle
posizioni estreme in passato assunte in seno al primo dei due orientamenti ermeneutici.
1. Concezione soggettiva di servizio pubblico (titoletto)
21
I fautori della concezione soggettiva di servizio pubblico, nella sua versione temperata , pur escludendo la
necessità che il servizio sia gestito in modo diretto ed esclusivo dalla pubblica amministrazione,
identificano la pubblicità nell’imputabilità del servizio all’organizzazione pubblica complessiva, nella
titolarità dello stesso in capo all’apparato pubblico, ancorchè disgiunta dall’effettivo esercizio: elemento
imprescindibile perchè il servizio possa considerarsi a connotazione pubblica è pertanto, alla stregua di
siffatto approccio dottrinale, la determinazione della pubblica amministrazione di assumerne la titolarità.
Del tutto marginale sarebbe, invece, la circostanza della partecipazione alla gestione del servizio —
assunto come proprio dall’ente pubblico — di soggetti privati: gli stessi, infatti, si limiterebbero a prendere
parte ad un’attività dell’Amministrazione, sicché sarebbe sempre necessario un provvedimento di natura
concessoria.
La pubblicità del servizio, pertanto, postulerebbe un intervento dell’Amministrazione, che si traduca per lo
meno in un rapporto specifico, di ordine organizzatorio, fra l’Amministrazione e il gestore del servizio.
Rilievi critici (titoletto)
La esposta concezione soggettiva, pur nella sua versione temperata, non è andata del tutto esente da rilievi critici, attenti non solo
al dato normativo, ma anche all’evoluzione complessiva del quadro ordinamentale e, in particolare, al progressivo passaggio che, a
seguito e per effetto dei processi di privatizzazione in atto nel nostro paese, si sta verificando da una forma diretta di intervento
pubblico in economia ad un modello di intervento che si contraddistingue, invece, per l’utilizzazione da parte della pubblica
amministrazione e soprattutto di quei nuovi organismi pubblici costituiti dalle autorità amministrative indipendenti di strumenti di
regolamentazione, indirizzo e controllo di attività non semplicemente gestite, ma sempre più spesso assegnate — anche sotto il
21
VILLATA, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, 1999, 4 ss.
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profilo della titolarità — a soggetti privati: attività che, purtuttavia, non per cio` solo perdono quelle connotazioni pubblicistiche
che spesso in passato avevano giustificato il loro espletamento ad opera di enti pubblici.
2. Concezione oggettiva di servizio pubblico (titoletto).
In dottrina e giurisprudenza è prevalsa la concezione c.d. oggettiva.
Alla stregua della teoria c.d. oggettiva assume rilievo decisivo — in sede di individuazione delle attività
sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico — non già la possibilità di considerarle di pertinenza
dell’amministrazione pubblica, bensì il loro assoggettamento ad una disciplina settoriale che assicuri
costantemente il perseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, lungi dal limitarsi a connotare sul
versante meramente teleologico tale genere di attività, costituiscono la ragione della sottoposizione della
stessa ad un regime giuridico tutto peculiare.
Art. 43 Cost. a latere
Quanto ai dati normativi, particolare impulso all’affermazione di una concezione oggettiva del servizio pubblico è stato dato
dall’art. 43 Cost., a tenore del quale, come è noto, «a fini di utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire,
mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti determinate imprese
o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano
carattere di preminente interesse generale». Ed invero, come osservato22, da tale disposizione è consentito ricavare una serie di
elementi militanti in favore della concezione oggettiva di pubblico servizio. In primo luogo, infatti, la riserva o il trasferimento allo
Stato o altro ente pubblico delle imprese che si riferiscono a pubblici servizi essenziali è prevista dalla disposizione costituzionale
come mera possibilità, con la conseguenza che è costituzionalmente ammessa la eventualità di una gestione di tali servizi ad opera
di privati; inoltre, tra i potenziali destinatari della riserva o del trasferimento l’art. 43 contempla anche le comunità di lavoratori o
utenti, ossia soggetti che ben possono assumere natura giuridica privata. Proprio la prevista possibilità di un trasferimento in capo
a soggetti privati della titolarità, non già certo della sola gestione, di servizi pubblici costituisce un argomento normativo
difficilmente armonizzabile con la pur rivisitata concezione soggettiva.
Disciplina normativa dei servizi pubblici a latere
Argomenti a sostegno della tesi oggettiva possono trarsi anche dalle discipline dal legislatore dettate con riguardo alla complessa
materia dei servizi pubblici locali e delle relative modalità di gestione.
Giova esaminare in estrema sintesi le tre principali tappe della recente evoluzione normativa, la prima costituita dall’entrata in
vigore della legge n. 142 del 1990, la seconda dall’approvazione delle legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria per il 2002, che con
l’art. 35 ha profondamente innovato il precedente quadro normativo), la terza, infine, inaugurata con la il decreto legge n. 269 del
2003, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326.
Rinviando al capitolo… per la ricostruzione del tema, è sufficiente ora osservare che l’art. 113, co. 5, d. lgs. n. 267/2000, come da
ultimo riscritto dall’art. 14 del decreto-legge n. 269/2003, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326, prevede che
‘‘l'erogazione del servizio avviene secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea, con conferimento
della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica”.
La disposizione, pertanto, espressamente prevede il conferimento della “titolarità” (non della sola gestione) del servizio pubblico
locale a soggetti senz’altro privati, quali le società di capitali scelte con gara.
Alla stregua della teoria c.d. oggettiva, quindi, assume rilievo decisivo — in sede di individuazione delle
attività sussumibili sotto la nozione di servizio pubblico — non già certo la possibilità di considerarle di
pertinenza dell’amministrazione pubblica, bensì il loro assoggettamento ad una disciplina settoriale che
assicuri costantemente il perseguimento dei fini sociali: questi ultimi, pertanto, lungi dal limitarsi a
connotare sul versante meramente teleologico tale genere di attività, costituiscono la ragione della
sottoposizione della stessa ad un regime giuridico tutto peculiare.
Anche nell’ambito di tale seconda opzione ricostruttiva si registrano, in realtà, differenze per nulla
trascurabili.
Concezione oggettiva più estesa. A latere
Un primo indirizzo ricomprende nella nozione di servizio pubblico tutte le attività in qualche modo
assoggettate a forme più o meno intense di regolamentazione pubblica.
L’impostazione ha prestato il fianco ad una sin troppo agevole obiezione: risulterebbe difficile
differenziare, infatti, la semplice attività economica, anch’essa sovente assoggettata a forme più o meno
penetranti di interferenza ad opera della mano pubblica, dal vero e proprio servizio pubblico.
Concezione oggettiva prevalente. A latere
22
POTOSCHINIG, I Pubblici servizi, Padova, 1964.
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Su altra linea si collocano, allora, quegli indirizzi che, nell’intento di perimetrare in termini più puntuali la
nozione in esame pur muovendo da un approccio di tipo oggettivo, indicano i tratti che il regime giuridico
cui l’attività è assoggettata deve in concreto presentare perchè la stessa possa assumere le sembianze del
servizio pubblico. Non sarebbe sufficiente, infatti, che l’attività sia sottoposta a misure di controllo,
vigilanza o di mera autorizzazione da parte di un’amministrazione pubblica.
Ciò che, invece, contraddistingue l’attività qualificabile come servizio pubblico è la necessità che la stessa
sia espletata in ossequio al principio di imparzialità implicante la doverosa osservanza di una serie di
obblighi, tra cui, non solo quello di svolgere l’attività con carattere di continuità e regolarità, ma anche e
soprattutto quello di non operare alcuna forma di favoritismo o discriminazione, ammettendo al servizio,
o meglio alle prestazioni cui lo stesso è preordinato, tutti coloro che vi hanno titolo, nel rispetto, peraltro,
del principio di uguaglianza dei diritti dell’utente.
E’ necessaria pertanto la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali, in specie, quelli di
esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a norme di continuità, regolarità,
capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata, invece, una comune attività economica.
Concezione rilevante ex art. 33, d. lgs. n. 80/1998.
Senonché, la nozione di servizio pubblico rilevante ai sensi dell’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, quale parametro
di delimitazione della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo presuppone un ulteriore
requisito, dalla giurisprudenza desunto sulla scorta di una lettura finalistica e costituzionalmente orientata
dell’art. 33. Si è così ritenuto che in sede di ricostruzione della decisiva nozione di servizio pubblico,
l’interprete debba utilizzare, quali ausili di tipo ermeneutico, tutti i riferimenti contenuti nell’art. 33 del
d.lgs. n. 80/1998, non ultimi quelli volti ad indicare, sia pure con finalità meramente esemplificative, talune
tipologie di attività sussumibili nel concetto in questione.
La destinazione dell’attività ad una platea indifferenziata (a latere)
Se è vero, infatti, che il legislatore del 1998 si è sottratto al compito di indicare espressamente gli elementi
costitutivi e tracciare gli essenziali confini della nozione in esame, non è men vero, d’altra parte, che sono
desumibili dalla stessa formulazione del citato art. 33, in specie dall’elencazione esemplificativa di cui al
primo comma, talune essenziali indicazioni sintomatiche della scelta di far riferimento a quelle attività non
solo assoggettate ad un regime giuridico implicante la necessaria osservanza di un dovere di imparzialità e
di obblighi di continuità, regolarità ed obiettività in sede gestionale, ma anche connotate, sul piano
finalistico, dall’idoneità a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di
utenti.
L’illustrata accezione restrittiva di servizio pubblico, basata sulla destinazione finalistica dell’attività in
favore di una platea indifferenziata di utenti, pare in linea anche con la nuova formulazione dell’art. 33,
d.lgs. n. 80/1998, come risultante a seguito di Corte cost. n. 204/2004: anche nella nuova versione, infatti,
permane il riferimento a taluni settori (trasporto, telecomunicazioni, servizi pubblici ex lege n. 481/1995)
nei quali l’attività del gestore presenta le indicate connotazioni funzionali.
Tale impostazione interpretativa è stata in passato accolta dal Giudice della giurisdizione, chiamato a verificare l’operatività
dell’art. 33 con riguardo alle controversie promosse dalle case farmaceutiche per conseguire il pagamento dei compensi spettanti a
fronte di forniture di prodotti effettuate in favore dell’unità sanitaria sì da consentire alla stessa il conseguimento dei beni necessari
per la gestione del servizio sanitario23.
Le Sezioni Unite sottolineano che « le prestazioni rese all’amministrazione sanitaria per consentire ad essa di ottenere i beni
utilizzati per gestire il servizio sanitario si collocano a monte di tale servizio e non possono confondersi con le prestazioni del
servizio pubblico, il quale si caratterizza per il fatto che è erogato al pubblico degli utenti ».
Si consideri, peraltro, che al riparto di giurisdizione occorre ora attendere applicando le innovazioni apportate da Corte cost. n.
204/2004: va quindi senz’altro esclusa la giurisdizione esclusiva per le controversie squisitamente patrimoniali intercorse tra
farmacista e amministrazione.
Ciò non esclude che possa residuare uno spazio di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel settore farmaceutico: si
pensi alle controversie riguardanti l’affidamento dell’attività.
La questione era già stata esaminata da Cons. Stato, Ad. Plen., 31 maggio 2002, n. 5, che ha sostenuto la devoluzione alla giurisdizione
esclusiva del g.a. della controversia relativa alla legittimità del silenzio rifiuto serbato dalla regione in ordine all’istanza di
assegnazione di una sede farmaceutica atteso che il servizio farmaceutico è considerato ad ogni effetto servizio pubblico ai sensi
del d.lgs. 31 marzo 1998 n.80.
23 Cass., sez. un civ., 30 marzo 2000, n. 71, in UA, 2000, 602, con nota di GAROFOLI, L’art. 33 d.lgs. n. 80/98 al vaglio della
Cassazione e del Consiglio di Stato.
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3.1.1. Una fattispecie problematica: l’edilizia residenziale pubblica.
Di non agevole collocazione sotto il profilo della giurisdizione è la materia dell’edilizia residenziale pubblica.
Da un lato, infatti, l’edilizia residenziale pubblica rientra nella materia edilizia almeno dal punto di vista dell’attività esecutiva
dell’abitazione che poi dovrà essere assegnata; dall’altro, essa è riportabile alla nozione di pubblico servizio, trattandosi di
un’attività che ha il fine di agevolare, rispetto alla disponibilità di alloggi, le persone meno abbienti, con uno scopo che è
inevitabilmente di “preminente interesse generale” e pubblico, data la socialità del fine stesso e data la necessità di attuare i
disposti costituzionali dell’art. 3, comma 2, e 42, comma 2, Cost.
Il problema del riparto si è posto in giurisprudenza per le controversie aventi ad oggetto l’assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica o l’impugnazione dei provvedimenti di decadenza dall’assegnazione medesima.
Giova suddividere la trattazione distinguendo tre fasi evolutive: la prima precedente all’entrata in vigore dell’art. 33, d. lgs. n.
80/1998, la seconda successiva al varo della suddetta normativa, la terza, infine, destinata a prendere avvio all’indomani della
pronuncia della Corte costituzionale n. 204/2004.
A. Prima fase. Il riparto prima del d.lgs. n. 80 del 1998. a latere
Prima dell’entrata in vigore degli artt. 33 e 34 d.lgs. n. 80 del 1998, si riteneva per lo più che occorresse distinguere tra una prima
fase di carattere pubblicistico destinata a concludersi con l’emanazione del provvedimento di assegnazione dell’alloggio, nella
quale venivano in rilievo interessi legittimi e che, pertanto, era devoluta al giudice amministrativo; e una seconda fase, di natura
privatistica, in cui l’amministrazione non agisce più iure imperii, ma pone in essere una rapporto negoziale regolato dal diritto
privato con un soggetto privato, preciso ed individuato: rapporto la cui cognizione si riteneva devoluta al giudice ordinario.
Il provvedimento di assegnazione dell’alloggio fungeva, quindi, da spartiacque ai fini del riparto della giurisdizione: prima di esso
la giurisdizione era del G.A.; successivamente, istaurandosi tra la p.a. e il privato assegnatario un rapporto interamente regolato dal
diritto privato, la giurisdizione era del G.O.
Più specificamente, fino alla riforma del 1998, si riteneva che rientrassero nella giurisdizione amministrativa le questioni
riguardanti i provvedimenti di assegnazione od altri interventi (ad esempio, annullamento d’ufficio) assunti nell’esercizio dei poteri
discrezionali dell’ente pubblico assegnante.
Si riteneva, al contrario che non vi rientrassero le vicende aventi per oggetto l’esercizio di poteri speciali di risoluzione e recesso,
incidente sul rapporto di locazione che insorge in esito all’assegnazione; poteri il cui esercizio è collegato alla valutazione di
elementi obiettivi (disponibilità di altro alloggio; allontanamento dall’immobile.
B. Seconda fase. Entra in vigore il d.lgs. n. 80 del 1998. a latere
Dopo l’entrata in vigore degli artt. 33 e 34 d.lgs.n. 80 del 1998 ci si è chiesti se questo criterio di riparto, basato sulla distinzione tra
una prima fase anteriore al provvedimento di assegnazione, pubblicistica, ed una seconda fase, successiva all’assegnazione,
privatistica, potesse ancora essere utilizzato o, al contrario, se vi fossero ormai i presupposti per ampliare l’ambito della
giurisdizione amministrativa, riconducendo anche le controversie prima conosciute dal G.O. nell’alveo della nuova giurisdizione
esclusiva.
Soluzione, quest’ultima, accolta dalla prevalente giurisprudenza propensa ad optare, quindi, per la giurisdizione amministrativa
anche per le controversie che riguardano momenti successivi all’assegnazione.
3. Interviene Corte cost. n. 204/2004: al G.O. il contenzioso riguardante la fase esecutiva. A latere
Intervenuta la Corte cost. n. 204/2004, che ha circoscritto la giurisdizione esclusiva del G. A. al solo contenzioso nel quale è in
contestazione l’esercizio del potere, la Corte di Cassazione è dovuta ritornare sul tema.
Con ordinanza 23 dicembre 2004, n. 23830, infatti, le Sezioni unite, hanno sostenuto che “in base alla disciplina di cui all'art. 33 del
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo sostituito dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, come risulta a seguito della sentenza di illegittimità
costituzionale parziale n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, nella materia dell'edilizia residenziale pubblica - senz'altro ricompresa, per la finalità
sociale che la connota, in quella dei servizi pubblici - la giurisdizione del giudice amministrativo non è configurabile nella fase successiva al provvedimento
di assegnazione, giacchè detta fase è segnata dall'operare della P.A., non quale autorità che esercita pubblici poteri, ma nell'ambito di un rapporto
privatistico di locazione, tenuto conto che i provvedimenti adottati, variamente definiti di revoca, decadenza, risoluzione, non costituiscono espressione di
una ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato, ma si configurano come atti di valutazione del rispetto da parte dell'assegnatario di obblighi
assunti al momento della stipula del contratto, ovvero si sostanziano in atti di accertamento del diritto vantato dal terzo al subentro sulla base dei
requisiti richiesti dalla legge. Rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia avente ad oggetto la legittimità o
meno della pretesa del figlio dell'assegnatario, che prospetti di avere i requisiti di legge - tra cui quello della convivenza - per il subingresso nel rapporto, di
subentrare al genitore deceduto nell'assegnazione dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica”.
Al G.O. l’impugnativa della delibera di esclusione dalla cooperativa edilizia. A latere
Ancor più di recente sono intervenute sul tema le Sezioni unite di Cassazione che, con sentenza 24 maggio 2006 n. 12215, hanno
chiarito che nel campo della edilizia residenziale pubblica e segnatamente, in quello dell’assegnazione degli alloggi economici e
popolari, va distinta nettamente la fase di natura pubblicistica - caratterizzata dall'esercizio di poteri finalizzati al perseguimento di
interessi pubblici, e, corrispondentemente, da posizioni di interesse legittimo del privato - da quella di natura privatistica - nella
quale la posizione dell'assegnatario assume natura di diritto soggettivo, in forza della diretta rilevanza della regolamentazione del
rapporto tra ente ed assegnatario; sono pertanto da attribuire alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie attinenti
a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase; mentre sono riconducibili alla giurisdizione del giudice
ordinario le controversie in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o di risoluzione del rapporto. Rientra,
pertanto, nella giurisdizione dell’A.G.O. una controversia proposta da un socio di una cooperativa edilizia avverso la delibera del
consiglio di amministrazione con la quale è stato escluso dalla cooperativa stessa; in tal caso, infatti, la controversia non inerisce
alla fase pubblicistica, ma attiene alle vicende del rapporto sorto per effetto del provvedimento di assegnazione, e tende a far
valere, attraverso la contestazione della delibera di esclusione, la titolarità del diritto soggettivo del socio alla conservazione del
godimento dell'immobile.
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3.1.2. I c.d. servizi sociali.
Ancora con riferimento alla nozione di pubblico servizio, giova considerare un ulteriore profilo di recente preso in considerazione
in giurisprudenza.
Ci si é chiesti se nella nozione di servizio pubblico rilevante ai sensi dell’art. 33, d.lg. n. 80/1998, vadano ricondotti anche i c.d.
servizi sociali, attività cioè di tipo non imprenditoriale, ma rivolte al soddisfacimento dei bisogni o delle esigenze di taluni soggetti.
La questione è stata non poco dibattuta con riferimento all’attività di c.d. assistenza sociale, in specie quella con cui l’ente pubblico
provvede all’erogazione di provvidenze economiche in favore di determinate categorie di soggetti.
Prima di Corte cost. n. 204/2004, la giurisprudenza che si è occupata della questione illustrata ha escluso la riconducibilità della
controversie in questione nell’ambito di operatività della previdente formulazione dell’art. 33, d.lg. n. 80/ 1998, non già certo
escludendo a priori però che il servizio sociale possa considerarsi servizio pubblico, bensì sostenendo che difetterebbe nell’attività
suddetta il connotato finalistico che, come prima osservato, integra la nozione stessa di pubblico servizio agli effetti del medesimo
art. 33. Nel dettaglio, non si tratterebbe di attività rivolta ad una platea indifferenziata di utenti, in quanto destinata al
riconoscimento di taluni benefici economici in favore dei soli soggetti che presentino i requisiti richiesti dalla disciplina normativa
che regolamenta il settore.
Sulla questione, è di recente tornata, successivamente a Corte cost. n. 204/2004, Cass., sez. un., 13 gennaio 2005 n. 466, secondo cui
la controversia promossa dal privato per il riconoscimento e la quantificazione dei contributi riconosciuti dal d.l. 19 marzo 1981 n.
75, convertito dalla l. 14 maggio 1981 n. 219, e successive modificazioni, per la ricostruzione o riparazione di immobili colpiti
dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, spetta alla cognizione del giudice ordinario, vertendosi in tema di
erogazioni in cui l’attività dell’amministrazione è rigorosamente vincolata dai criteri predisposti dalla legge, a tutela dei diritti
soggettivi dei soggetti danneggiati, senza che rilevi in senso contrario la censura mossa alla regolarità del procedimento
amministrativo nel quale si valutano le priorità in ordine all’erogazione dei finanziamenti. Né la devoluzione di siffatta
controversia al giudice amministrativo può essere fondata sull’art. 33 del d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 (nel testo novellato dall’art. 7
della l. 21 luglio 2000 n. 205), giacchè— a prescindere dalla non riconducibilità dell’erogazione dei contributi per il terremoto, la
quale fuoriesce dalle attività di protezione civile, alla materia dei pubblici servizi — la Corte costituzionale, con la sentenza n. 204
del 2004, dichiarando l’illegittimità costituzionale, « in parte qua », di detta norma, ha fatto cadere la previsione della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo per tutta la materia dei servizi pubblici.
3.2. Le controversie relative a concessione di pubblici servizi. Compensi dovuti al gestore. Tetti di
spesa. Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero.
E opportuno passare in rassegna le singole ipotesi di giurisdizione esclusiva sopravissute, in materia di
servizi pubblici, all’intervento manipolativo di Corte cost. n. 204/2004.
Le pretese creditorie connesse all’esecuzione del servizio (a latere)
La prima è quella involgente le controversie relative a concessioni di pubblici servizi.
Si ritorna, in tal modo, all’ipotesi originariamente contemplata dall’art. 5 l. TAR, di cui si ribadisce il
contenuto precettivo anche per quel che attiene al limite frapposto all’ampiezza della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo: ne restano, infatti, sottratte le controversie concernenti indennità,
canoni ed altri corrispettivi.
E’ destinato, quindi, a restare tendenzialmente sottratto al giudice amministrativo, o quanto meno alla sua
cognizione esclusiva, il contenzioso avente ad oggetto le pretese creditorie degli operatori del servizio
sanitario (farmacisti, case di cura) nei confronti delle Asl, nonché, più in generale, quelle vantate dai gestori
di pubblici servizi per l’intervenuto espletamento del servizio stesso.
Si è così ritenuto24 che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario una controversia riguardante
esclusivamente il pagamento di canoni relativi all’affidamento di un pubblico servizio.
I tetti di spesa ( latere)
Particolarmente dibattuta la questione del riparto di giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto
l’impugnazione degli atti con cui l’Azienda Sanitaria, sulla base delle previsioni del Piano Sanitario e dei
criteri dettati in materia dalla competente Amministrazione regionale, stabiliscono il tetto di spesa (budget)
per le prestazioni erogate nel corso dell’anno dalle singole strutture accreditate, con correlativa fissazione
di meccanismi di decremento tariffario per le prestazioni erogate in eccedenza.
1. La tesi che devolve il contenzioso al G.A. ( latere)
A favore del mantenimento della controversia alla giurisdizione amministrativa si è sostenuto che nella
specie la situazione giuridica azionata sia di interesse legittimo e che si versi pertanto in ambito di giurisdizione generale di legittimità, non inciso dalla pronunzia della Corte Costituzionale: a tale risultato si é
ritenuto di pervenire attribuendo agli atti impugnati natura di provvedimenti di organizzazione (del
24
Cons. St., sez. V, 10 giugno 2005, n. 3066.
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servizio pubblico), connotati da margini di discrezionalità correlati alla disponibilità di risorse finanziarie
pubbliche sufficienti alla copertura del costo del servizio medesimo, a fronte dei quali si materializzano,
dunque, posizioni di interesse legittimo.
.
2. La tesi che devolve il contenzioso al G.O. ( latere)
A favore della devoluzione della controversia alla giurisdizione dell’A.G.O., militano i seguenti due
argomenti:
a) alla stregua della riformulazione del disposto dell’art. 33 operata dalla Corte Costituzionale, una volta
superata la fase di affidamento della concessione (accreditamento), ogni controversia avente quale oggetto
sostanziale la spettanza di diritti di credito nascenti dall’erogazione del servizio pubblico sembra
appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario, ancorché al riconoscimento del diritto si pervenga
attraverso la rimozione della statuizione amministrativa (avente, in tale prospettiva, natura e consistenza di
mero atto paritetico) che ha denegato l’erogazione patrimoniale;
b) la domanda di annullamento degli atti determinativi del tetto di spesa é per lo più finalizzata al
conseguimento in via giurisdizionale della declaratoria di spettanza del sottostante diritto patrimoniale.
Interviene Cons. Stato, Adun. plen., 2 maggio 2006 n. 8 (a latere)
Sul punto é intervenuta con sentenza 2 maggio 2006 n. 8 l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
sostenendo il radicarsi della giurisdizione del giudice amministrativo.
Da un lato, infatti, la determinazione del tetto di spesa e la suddivisione della stessa tra le attività
assistenziali costituisce esercizio del potere di programmazione sanitaria, a fronte del quale la situazione
del privato è di interesse legittimo: non potrebbe escludersi, quindi, la giurisdizione generale di legittimità
del G.A.
D’altra parte, soggiungono i Giudici della Plenaria, « la stessa determinazione risulta anche riconducibile
ratione materiae alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di servizi pubblici, così come
definita dalla Corte Costituzionale con la sentenza 204 del 2004.
Diniego di autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero (a latere)
Oggetto di non poche dispute la questione relativa al riparto sulle controversie relative al diniego di
autorizzazione al ricovero presso una struttura sanitaria ubicata all’estero nonché al diniego di rimborso
delle spese sanitarie sostenute.
Giova considerare che, prima di Corte cost. n. 204/2004, l’art. 33, comma 2, lett. e), da un lato,
riconosceva al giudice amministrativo in via esclusiva le controversie « riguardanti le attività e le
prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione »; dall’altro,
sottraeva alla giurisdizione esclusiva i «rapporti individuali di utenza con gestori privati», le « controversie
meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona », nonché, infine, quelle « in materia di
invalidità civile »; la l. n. 205/2000, all’art. 7 ha poi escluso dalla giurisdizione esclusiva anche le
controversie risarcitorie riguardanti il danno alle cose.
Dichiarato illegittimo l’intero comma secondo del citato art. 33, ci si é interrogati sui criteri di riparto da
osservare per le controversie relative alla pretesa dell’assistito del servizio sanitario nazionale al rimborso
delle spese sostenute per ricoveri di urgenza in luoghi di cura non convenzionati, resi necessari in situazioni di urgenza: controversie in passato talvolta ricondotte alla giurisdizione esclusiva del G.A.
In giurisprudenza ci si é orientati per la sussistenza della giurisdizione del G.O.
Al giudice ordinario — si é sostenuto — rimangono le controversie attinenti a rapporti individuali di
utenza25; invero, anche se la Corte costituzionale ha soppresso l’eccezione alla giurisdizione esclusiva a suo
tempo apposta dal legislatore, pure per queste e per le controversie meramente risarcitorie la giurisdizione
esclusiva in materia di concessioni non è estensibile ad attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura
patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi26.
25
26
Cass. civ. nn. 5191 e 13447 del 2005.
Cass. civ. del 2005 ord. n. 598.
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Attiene, invero, al fondamentale diritto soggettivo alla salute, non suscettibile di affievolimento, la pretesa
di rimborso per la prestazione di cure antitumorali (Di Bella) non differibili27, o comunque per cure
urgenti ottenute all’estero28: le controversie in materia appartengono quindi alla giurisdizione ordinaria.
In termini T.a.r. Lombardia, Sez. Brescia, 3 marzo 2006, n. 272..
Si legge in sentenza che nel caso di ricovero all’estero, reso necessario in considerazione delle migliori
opportunità ivi presenti di attenuare o rimuovere le conseguenze dello stato morboso attraverso fruizioni
di tecniche terapeutiche asseritamente non praticate in Italia, viene in considerazione il diritto alla salute
dell’individuo.
In particolare, la posizione dell’assistito assume natura di diritto soggettivo perfetto riconducibile all’art. 32
Cost., ed in tali casi difetta un potere della pubblica amministrazione che, in quanto espressione di
discrezionalità amministrativa, sia in grado di determinare l’affievolimento di quella posizione (sui rapporti
tra potere, diritti c.d. in affievolibili e giurisdizione si rinvia al Cap…, par….).
In termini, si è pronunciata Cass., Sez. un., n. 5402/2007, che ha, anzitutto, ribadita la regola di riparto della
giurisdizione secondo cui la domanda dell'assistito dal Servizio sanitario nazionale di rimborso di spese effettuata
presso una struttura privata o all'estero, senza preventiva autorizzazione, per cure o interventi ritenuti urgenti
e non ottenibili dal servizio pubblico, fa valere una posizione creditoria correlata al diritto alla salute, per sua
natura non suscettibile di essere affievolito dal potere di autorizzazione, involgendo, quanto al requisito
dell'urgenza, meri apprezzamenti tecnici della P.A., non valutazioni discrezionali in senso stretto. Cosicché,
assumendo che la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice ordinario29, la Suprema Corte ha concluso
osservando che, a seguito Corte cost. n. 204 del 2004 e della decapitazione della previsione relativa alle
controversi afferenti le "attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese
nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del servizio sanitario nazionale", le
controversie relative a tutte le prestazioni erogate nell'ambito del servizio sanitario nazionale, nella sussistenza di un
rapporto obbligatorio tra cittadini e amministrazione , sono devolute alla competenza del giudice ordinario, ai
sensi del criterio generale
3.3. Le controversie relative a provvedimenti. Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche,
educazione sessuale nelle scuole e revoca di amministratori di società in mano pubblica.
Il riscritto art. 33, ha riguardo, inoltre, alle controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica
amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato
dalla l. 7 agosto 1990 n. 241.
Quanto al riferimento alle controversie relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione in
un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, può pensarsi al caso in cui
l'amministrazione, applicando anche la legge n. 241 del 1990, provveda alla scelta di un socio privato per la
costituzione di una società mista affidataria della gestione di un servizio pubblico, ovvero ancora al
contenzioso relativo alla revoca del consenso alla trasformazione di azienda speciale in società per azioni,
già in passato ricondotta nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in
applicazione dell’ormai cancellata lett. a) dell’art. 33, comma 2, d.lg. n. 80/199830.
Affissione del crocifisso nelle aule scolastiche (a latere)
Discussa la riconducibilità nella ipotesi di giurisdizione esclusiva in esame delle controversie nelle quali è in
contestazione l’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.
Giova considerare che l’affissione del crocifisso nelle scuole avviene sulla base di provvedimenti
dell'autorità scolastica conseguenti a scelte dell'Amministrazione, contenute in regolamenti e circolari
ministeriali, riguardanti le modalità di erogazione del pubblico servizio, e quindi riconducibili, pur nella
complessità delle implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, alla potestà
organizzatoria della stessa.
Con ordinanza n. 389 del 2004 la Corte Costituzionale, dichiarando manifestamente inammissibile la
questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 159 e 190 (Approvazione del
27
28
29
30
Cass. civ. del 2005 ord. n. 13548.
Cass. civ. del 2005 ordd. nn. 11333 e 11334.
In termini, Cass., sez. un., nn. 15897/2006, 23735/2006 e 17461/2006.
Cass., sez. un., 10 ottobre 2002, n. 14474.
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testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e
grado), ha osservato al riguardo che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è contemplata
unicamente da norme di rango regolamentare volte a disciplinare le modalità di prestazione di un servizio
pubblico essenziale, quale è quello scolastico.
Si è conseguente ritenuto che:
ƒ in tale quadro di riferimento, segnato dalla mancanza di una espressa previsione di legge impositiva
dell'obbligo di affissione del crocifisso nelle scuole, trova applicazione ai fini della giurisdizione l’art.
33 del D.lgs. 80/1998, che nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice amministrativo la
giurisdizione esclusiva se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere
autoritativo;
ƒ venendo quindi in discussione provvedimenti dell'autorità scolastica che hanno dato attuazione a
disposizioni di carattere generale adottate nell'esercizio del potere amministrativo, e quindi
riconducibili alla pubblica amministrazione – autorità, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo31.
Educazione sessuale nelle scuole (a latere)
Interrogativi in punto di giurisdizione sono emersi anche con riferimento al contenzioso nel quale è in
discussione la legittimità delle scelte operate dagli istituti scolastici in ordine all’articolazione dei
programmi e dei metodi didattici.
In particolare, ci si chiede a chi spetti la giurisdizione in ordine ad una controversia azionata per ottenere
che, in assenza del consenso dei genitori, si vieti agli istituti scolastici di impartire ai minori lezioni di
educazione sessuale in classe.
E’ noto che l’importanza di una corretta educazione sessuale, nell’ambito del programma formativo dei
giovani studenti, ha indotto talune scuole a modificare l’organizzazione e l’articolazione dei programmi e
dei metodi didattici con l’introduzione, per l’appunto, della disciplina dell’”educazione sessuale”.
1. Giurisdizione a.g.o. a latere
Per una prima tesi, le controversie in questione vanno sottoposte al vaglio del giudice ordinario.
Si ritiene, infatti, che i provvedimenti adottati dagli istituti scolastici in materia di organizzazione ed
articolazione dei programmi didattici, incidendo sui diritti fondamentali del privato, ed in particolare sul
diritto - dovere dei genitori, sancito dagli artt. 29 e 30 Cost, di provvedere all' educazione dei figli, non
siano idonei a degradare ad interessi legittimi le posizioni giuridiche dei destinatari.
2. Giurisdizione amministrativa a latere
Secondo la tesi prevalente, invece, occorre tener conto, nel dare soluzione al profilo problematico
indicato, del fatto che l’esigenza di una corretta ed equilibrata educazione in materia sessuale non
corrisponde solo all’interesse del singolo o del suo nucleo familiare ma anche all’interesse pubblico alla
salute ed alla sanità pubblica.
Ne deriva che un’eventuale controversia sulla legittimità della scelta operata dagli istituti scolastici in
ordine all’introduzione, nei programmi scolastici, della disciplina dell’educazione sessuale investe in via
diretta ed immediata il potere dell' Amministrazione in ordine all'organizzazione ed alle modalità di
prestazione del servizio scolastico, così involgendo una scelta riconducibile, pur nella complessità delle
implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi coinvolti, alla potestà organizzatoria della
istituzione scolastica, esercitata con disposizioni riconducibili alla pubblica amministrazione autorità.
Sicché trova applicazione, ai fini della giurisdizione, l'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, sostituito dall'
art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, nel testo risultante dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte
Costituzionale che nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione
esclusiva “se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo, ovvero si avvale della facoltà
riconosciutale dalla legge di adottare strumenti negoziali in sostituzione del potere autoritativo”32.
In altri termini il diritto fondamentale dei genitori di provvedere all’educazione ed alla formazione dei figli
trova il necessario componimento con il principio di libertà dell'insegnamento dettato dall'art. 33 Cost. e
con quello di obbligatorietà dell'istruzione inferiore affermato dall'art. 34 Cost. Da ciò discende il potere
31
32
Cass, 10 luglio 2006, n. 15614
Così Cass. civ., s.u., ord. 5 febbraio 2008, n. 2656.
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dell’amministrazione scolastica di svolgere la propria funzione istituzionale “con scelte di programmi e di metodi
didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche eventualmente a contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla
famiglia e con le impostazioni culturali e le visioni politiche esistenti nel suo ambito non solo nell’approccio alla materia
sessuale, ma anche nell’insegnamento di specifiche discipline, come la storia, la filosofia, l’educazione civica, le scienze, e quindi
ben può verificarsi che sia legittimamente impartita nella scuola una istruzione non pienamente corrispondente alla mentalità
ed alle convinzioni dei genitori, senza che alle opzioni didattiche così assunte sia opponibile un diritto di veto dei singoli
genitori”33.
Revoca di amministratori di società pubbliche (a latere)
Parimenti problematica la sussumibilità entro l’ambito di operatività dell’ipotesi di giurisdizione esclusiva
in esame del contenzioso relativo alla revoca ad opera dell’ente locale degli amministratori di società mista
preposta alla gestione del servizio pubblico.
La soluzione può essere condizionata dall’opzione che si ritiene di seguire in merito alla questione relativa
alla natura, di diritto pubblico o privato, dell’atto di revoca. Questione scandagliata dal Consiglio di Stato
(già prima di Corte cost. n. 204/2004), che ha sostenuto il carattere privatistico dell’atto di nomina
dell’amministratore (e quindi anche della sua revoca), rimarcando la genesi patrizia e convenzionale della
relativa facoltà: non si tratterebbe pertanto di estrinsecazione di potestà pubblica, da assoggettare alle
regole di cui alla l. n. 241/1990, ma di mera facoltà negoziale34.
Al G.O. le liti per l’annullamento, per violazione dell’art. 2332 n. 4 c.c., dell’atto costitutivo e dello
statuto di una società per azioni (titoletto)
Ancora al G.O. si è ritenuto appartengano le controversie aventi ad oggetto l’annullamento, per violazione
dell’art. 2332 n. 4 c.c., dell’atto costitutivo e dello statuto di una società per azioni, costituita per lo
svolgimento di tutti i servizi di un ente locale.
In termini, T.a.r. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 4 febbraio 2005 n. 58, secondo cui , da un lato, in virtù della
sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 è stata dichiarata, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 33, comma 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dall’art. 7, lettera a) della
legge 21 luglio 2000, n. 205, e, dall’altro - in disparte la pronuncia del Giudice delle leggi sopra citata - la
disposizione di cui all’art. 33, comma 2, lett. a) del decreto legislativo n. 80 del 1998 che, allorquando ha
previsto la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie
concernenti l’istituzione, la modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese
le società di capitali, si riferiva alle sole procedure pubblicistiche, dovendosi escludere ogni interferenza del
giudice amministrativo in questioni di stretta attinenza al diritto societario.
3.4. Controversie relative all’affidamento del servizio.
Resta ancora ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie relative
all'affidamento di un pubblico servizio: tra queste, quelle che coinvolgono la procedura selettiva e le
modalità con cui la stessa è gestita, quelle nelle quali si discute della omessa osservanza dell’obbligo di gara
e dell’affidamento diretto del servizio, nonché, ancora, quelle, che, pur non inerendo direttamente
all’affidamento del servizio, attengono ad attività che, successive all’avvio del rapporto tra amministrazione
e gestore del servizio, sono tuttavia destinate ad incidere in senso modificativo sulle originarie condizioni
che regolano quel rapporto stesso (si pensi alla controversia relativa alla rinegoziazione delle condizioni di
aggiudicazione della gara35).
3.5. Controversie relative alla vigilanza e al controllo. Responsabilità Consob e contenzioso in
tema di sanzioni (rinvio).
La sentenza della Consulta lascia inoltre intatta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le
controversie relative alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché per quelle afferenti alla
vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare.
33
Così sempre Cass. civ., s.u., ord. 5 febbraio 2008, n. 2656.
34 Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2003, n. 3346. In termini, dopo Corte cost. n. 204/2004, Cass., Sez. un., 15 aprile 2005, n.
7799; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 18 dicembre 2006 n. 1984.
35 Cfr., al riguardo, prima di Corte cost. n. 204/2004, Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2003, n. 4167.
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La vigilanza Consob e i danni da omessa vigilanza (titoletto)
Il persistente riferimento alla vigilanza innesca qualche perplessità in merito all’attitudine della sentenza
della Consulta a rompere gli equilibri giurisdizionali che sembravano raggiunti sulla differente
problematica afferente la responsabilità risarcitoria delle Autorità di vigilanza: si pensi alla responsabilità
della Consob per i danni arrecati ai risparmiatori a causa dell’omesso controllo sulla veridicità e
completezza dei prospetti informativi (si rinvia, per l’esame, al Cap… è quello sulla responsabilità della
P.A.).
Il riparto di giurisdizione in tema di sanzioni (titoletto)
Quanto al riparto di giurisdizione in materia di sanzioni, restano ferme, come accennato, le difficoltà
interpretative già sorte sotto la precedente formulazione.
Le difficoltà ermeneutiche sono dettate dalla necessità di coordinare le suindicate previsioni introdotte dal
d.lgs. n. 80/98 con le discipline di settore che prevedono in talune ipotesi la giurisdizione del giudice
ordinario: è quanto si verifica in relazione alle impugnazioni delle ordinanze-ingiunzioni adottate
nell’esercizio dei poteri di vigilanza (si rinvia per l’esame al Cap….. E’ quello sulle autorità indipendenti).
3.6. Servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi di cui alla l. n. 481 del 1995.
Problematico è ancora il persistente riferimento, contenuto nel nuovo art. 33, come riscritto dalla
Consulta, a talune tipologie di servizi pubblici: servizio farmaceutico, trasporti, telecomunicazioni, servizi
di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.
In primo luogo, viene meno, a seguito dell’intervento manipolativo della Corte, l’importante espressione
“ivi compresi” che precedendo, nell’originaria versione, l’elencazione di alcune tipologie di servizi,
denotava senza alcun dubbio l’intento solo esemplificativo, e non certo esaustivo, di quell’enumerazione.
E’ necessario ritenere che nulla sia al riguardo cambiato anche a seguito della sentenza n. 204/2004, non
potendosi certo pensare che la Consulta abbia inteso limitare ai soli servizi elencati l’ambito della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, già su altro fronte ridimensionata con il riferimento alle
sole controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed
altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di
un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241,
ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio.
E’ quanto, del resto, agevolmente desumibile dal persistente ed ampio riferimento, contenuto nella prima
parte del riscritto art. 33, alle “controversie in materia di pubblici servizi”.
Al contempo, appare quanto mai ragionevole, se non del tutto scontato, ritenere che anche nell’ambito dei
servizi pubblici nominativamente indicati la nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sia
ormai destinata a radicarsi limitatamente alle sole controversie che la Consulta ha provveduto a tipizzare.
4. La giurisdizione in tema di concessione di beni.
Ulteriore ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è quella in tema di concessione di
beni delineata dall’art. 5, l. TAR, a tenore del quale “Sono devoluti alla competenza dei tribunali
amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni
pubblici”.
Ai sensi del comma 2 della stessa disposizione, peraltro, “Resta salva la giurisdizione dell'autorità
giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.
Controversie patrimoniali: natura della giurisdizione del G.O. (a latere)
Quanto alla giurisdizione delineata dal citato art. 5, comma 2, l. TAR. Non ne è scontata la natura.
Secondo un indirizzo più radicale la ripartizione della giurisdizione operata dal legislatore deve intendersi
effettuata per materie, con la conseguenza che il giudice ordinario dovrebbe conoscere tutte le
controversie relative a canoni e corrispettivi, indipendentemente dalle situazioni giuridiche coinvolte. Alla
stregua di tale orientamento, quindi, l’art. 5 radicherebbe due distinte ipotesi di giurisdizione esclusiva: al
comma 1 quella del G.A. in materia di concessioni di beni; al secondo quella dell’A.G.O. in materia di
canoni ed altri corrispettivi. Per l’orientamento contrapposto, invece, l’art. 5, l. TAR, lungi dal creare una
giurisdizione esclusiva dell’A.G.O., avrebbe semplicemente ripristinato, in materia di canoni ed altri
corrispettivi, le regole generali sul riparto di giurisdizione, con la conseguenza che, di volta in volta, sarà
necessario verificare la natura della situazione giuridica in contestazione.
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Si pone, quindi, aderendo a tale contrapposto fronte ricostruttivo, l’esigenza di individuare un criterio
sufficientemente certo e funzionale di attribuzione della giurisdizione.
Una prima soluzione, talvolta seguita dalla giurisprudenza amministrativa, é stata quella di riservare al
giudice amministrativo tutte le controversie in cui la soluzione della questione relativa alla misura del
canone sia meramente consequenziale rispetto a quella da dare al principale punto della qualificazione
giuridica o della natura intrinseca dell’atto concessorio, e, addirittura, ogni controversia in materia di
canoni in cui venga in discussione anche l’atto concessorio. Si é però obiettato che l’atto concessorio viene
sempre in qualche modo in rilievo, anche quando si controverte esclusivamente sui diritti patrimoniali che
su di esso si fondano.
Da qui la necessità di trovare un più preciso criterio di riparto onde evitare di attrarre l’intera materia dei
canoni e dei corrispettivi nell’orbita della giurisdizione amministrativa, privando di significato il comma 2
dell’art. 5 cit. e « tradendo » la volontà del legislatore.
Si è allora sostenuto il radicarsi della giurisdizione amministrativa di legittimità per le ipotesi in cui la
soluzione della controversia concernente la misura del canone postuli un sindacato sul potere discrezionale
esercitato dalla P.A. nell’ambito del rapporto concessorio.
Laddove non venga in discussione tale potere, e la fissazione dell’importo debba avvenire sulla base di
rigidi criteri di legge, la giurisdizione sarà dell’A.G.O.; così, ad esempio, nel caso in cui si controverta solo
sull’individuazione della disciplina per la determinazione della somma prevista dal legislatore o sulla sua interpretazione.
Scadenza della concessione (a latere)
Articolata appare la soluzione del problema di giurisdizione nel caso di scadenza della concessione: la
Cassazione attribuisce infatti alla giurisdizione esclusiva del G.A. non solo le controversie in tema di
rinnovo della concessione, ma anche quelle in materia di determinazione del canone per il caso di rinnovo,
prima facie rientranti nell’ambito cognitorio dell’A.G.O. ai sensi del comma 2 dell’art. 5 l. TAR.
Ed invero, come chiarito dalle Sezioni unite di Cassazione36, tale norma non risulta applicabile per la
mancanza, in capo all’ex concessionario che aspira al rinnovo, di una situazione qualificabile in termini di
diritto soggettivo.
Nel dettaglio, ad avviso delle Sezioni unite, « le controversie concernenti la consistenza di canoni dovuti in
corrispettivo di una concessione in fieri, essendone stata presentata domanda di rinnovo, il cui
accoglimento la p.a. condizioni al pagamento di tali canoni, sulla quantificazione dei quali insorga
contestazione, appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 5 l. 6 dicembre
1971 n. 1034, atteso che, affinchè possa sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, deve ricorrere il
presupposto della concessione, sicché, fino a quando essa non sia rinnovata — se é configurabile un
interesse al rinnovo, tutelabile davanti al giudice amministrativo — non v’é un diritto, già sorto, a pagare
come canone della concessione una anziché altra somma, e dunque non ne può essere chiesta tutela al
giudice ordinario ».
Giova inoltre considerare che presupposto indefettibile per l’applicabilità dell’art. 5 comma 2 l. TAR é che
il corrispettivo si collochi all’interno di un singolo rapporto concessorio, nella relazione tra
amministrazione concedente e privato concessionario.
Dal raggio di azione della norma esulano dunque i provvedimenti generali con cui si determina la misura
delle tariffe: trattasi infatti di atti validi per un’intera categoria di fruitori del bene, rispetto ai quali sono
configurabili posizioni di interesse legittimo degli imprenditori del settore, degli utenti o degli organismi
collettivi rappresentativi dei consumatori.
Controversie tra concessionario e terzi. (a latere)
Ulteriore problema di giurisdizione in materia di concessioni di beni si é posto con riguardo alle
controversie tra concessionario e terzi.
Come la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha chiarito, si ha giurisdizione esclusiva del G.A. quando « la
pretesa del concessionario nei confronti del terzo, derivante dal rapporto tra costoro costituito, sia basata
sul contenuto dell’atto di concessione e sia, quindi, riferibile direttamente all’amministrazione pubblica
36
Cass., Sez. un., 17 luglio 2001, n. 9652.
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concedente »37; é quanto si verifica allorché l’amministrazione abbia espressamente previsto e autorizzato
nella concessione il rapporto tra il concessionario ed un determinato terzo.
La giurisdizione apparterrà invece all’A.G.O. qualora la pretesa trovi la sua origine in un rapporto tra
concessionario e terzo rispetto al quale la concessione sia semplice presupposto, essendo ad esso
l’amministrazione rimasta estranea. In tale ipotesi, non sussistendo alcun collegamento tra il rapporto
derivato e quello di concessione, la controversia tra il concessionario e il terzo assumerà infatti
connotazione squisitamente privatistica..
Giurisdizione in materia di concessioni di denaro a latere
Problemi interpretativi sono emersi in sede di individuazione della giurisdizione in materia di concessioni di denaro.
Per vero, una parte della giurisprudenza ha messo in dubbio la stessa ammissibilità concettuale di provvedimenti concessori aventi
ad oggetto somme di denaro.
Significativa, in tal senso, la sentenza n. 13798 del 2001, con cui le Sezioni Unite di Cassazione hanno sostenuto che la
controversia relativa all’attribuzione di somme di denaro in proprietà dell’assegnatario è estranea alla materia delle concessioni,
non rientrando quindi tra quelle devolute al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva38.
Sullo sfondo l’assunta incompatibilità tra l’attribuzione di somme di denaro in proprietà ed il concetto stesso di concessione, che
invece presuppone la persistente appartenenza del bene che ne costituisce oggetto al demanio o al patrimonio indisponibile39.
Assunto sostenuto anche evidenziando che, normalmente, quando la P.A. concede in uso un bene, è prevista, al cessare degli
effetti del provvedimento, la restituzione del bene medesimo da parte del privato; restituzione, invece, non ammissibile in caso di
concessione di denaro, essendo al più possibile la restituzione del tantundem.
Seguendo tale indirizzo ostile alla riconducibilità ontologica dell’assegnazione di denaro all’istituto della concessione di beni, la
giurisprudenza, esclusa l’applicabilità dell’art. 5, l. n. 1043/1971, attende al riparto di giurisdizione applicando i consueti criteri e
distinguendo quindi tra diverse tipologie di controversie:
a) quella nella quale il privato contesta le modalità con cui l’amministrazione ha esercitato il discrezionale potere di far
luogo all’erogazione di denaro appartiene alla giurisdizione di legittimità del G.A., facendosi nella stessa questione della
ritenuta lesione di interessi legittimi;
b) parimenti, appartiene alla giurisdizione di legittimità del G.A. quella azionata avverso i provvedimenti con cui
l’amministrazione, agendo in autotutela, annulla il provvedimento di attribuzione del beneficio;
c) quella, viceversa, azionata da chi, avendo già ottenuto il rilascio del provvedimento di attribuzione del beneficio, si
duole della mancata attuazione dello stesso e della mancata e concreta erogazione, va invece portata al vaglio del G.O.,
essendo nella stessa in contestazione la lesione del diritto soggettivo sorto per effetto dell’adozione della determinazione
provvedimentale.
Per altro e prevalente orientamento, la concessione di denaro ben può essere ricondotta alla figura della concessione di beni, tra
questi rientrando anche le somme di denaro che l’amministrazione trasferisce dal proprio patrimonio a quello dei privati40.
Da qui l’applicabilità dell’art. 5, legge Tar, inteso quale norma generale concernente la concessione di pubbliche funzioni, di
pubblici servizi e di pubblici beni; in particolare, parte della giurisprudenza ritiene di applicare il comma 1 dell’art. 5, che individua
in tale materia un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo41.
Fermo il rinvio all’art. 5, altra parte della giurisprudenza ritiene che sia, invero, da applicare il co. 2 della disposizione de qua,
relativo alle questioni patrimoniali inerenti a compensi vantati dal concessionario, così concludendo per la giurisdizione del giudice
ordinario42.
Più precisamente, si rileva43 che il destinatario di finanziamenti o sovvenzioni pubbliche vanta, nei confronti dell'autorità
concedente, una posizione tanto di interesse legittimo (rispetto al potere dell'amministrazione di annullare i provvedimenti di
attribuzione dei benefici per vizi di legittimità ovvero di revocarli per contrasto originario con l'interesse pubblico), quanto di
diritto soggettivo (relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento ed alla conservazione
degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere).
Se ne deduce la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti (ma in concreto
non erogati), ovvero per contrastare l'amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della
risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario,
degli obblighi impostigli dalla legge o dagli atti concessivi del contributo44.
Cass., sez. un., 25.6.2002 n. 9233.
Cass., Sez. Un., 7 novembre 2001, n. 13798.
39 Per un approfondimento del tema, CARINGELLA- GAROFOLI, Trattato di giustizia amministrativa- Il riparto di giurisdizione, Milano 2007, 972 ss.
40 Cons. St., sez. IV, 19 luglio 1993, n. 727.
41 Cons. St., n. 727/1993, cit. Si segnala anche Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1604, pervenuto alla giurisdizione non esclusiva ma di legittimità del
giudice amministrativo, in relazione ad una domanda di annullamento del diniego di corresponsione della speciale elargizione prevista dall’art. 6 della legge
n. 308/1981 (recante “Norme in favore dei militari di leva e di carriera appartenenti alle Forze armate, ai Corpi armati ed ai Corpi militarmente ordinati,
infortunati o caduti in servizio e dei loro superstiti”).
42 Cons. St., sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1989.
43 Cons. St., n. 1989/2002, cit.; conforme Cass. civile, Sez. Un., 10 maggio 2001, n. 183; Tar Lazio Roma, sez. II, 18 aprile 2007, n. 3399; Tar Toscana
Firenze, sez. I, 12 febbraio 2007, n. 216.
44 Cfr Tar Campania Napoli, sez. III, 10 luglio 2006, n. 7382, che, dopo aver delineato il quadro giurisprudenziale in materia di
concessione di contributi pubblici, accoglie l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalla P.A.
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Si rimarca, infatti, che la posizione del privato nella fase procedimentale successiva al provvedimento di concessione del
contributo ha ad oggetto il pagamento integrale delle somme originariamente accordate: se ne deduce l’operatività ai relativi
contenziosi dell'art. 5, co. 2, che fa salva la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le questioni patrimoniali inerenti a
compensi vantati dal concessionario, qualunque sia il nomen in concreto utilizzato (canoni, indennità, corrispettivi).
5. La giurisdizione esclusiva in materia di contratti pubblici: rinvio.
Volendo schematizzare, le tappe dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale registratasi sul tema del
riparto di giurisdizione in materia di contratti della pubblica amministrazione possono essere ricondotte alle
seguenti quattro fasi:
1)
fase anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/1998 e della legge n. 205/2000;
2)
fase compresa tra il varo del D.Lgs. n. 80/1998 e della legge 205/2000 e l’intervento della sentenza
della Consulta n. 204/2004;
3)
fase successiva agli arresti della Consulta del 2004, nn. 204 e 281, integrati dalla sentenza del
medesimo Collegio n. 191/2006;
4)
quella, infine, che prende avvio con l’entrata in vigore del Codice Unico dei contratti della pubblica
amministrazione (D.Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006).
Quest’ultimo, in particolare, all’art. 244, apparentemente ricognitiva dell’art. 6, comma 1, legge 205/2000,
dispone che “1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie,
ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa
comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o
regionale. 2. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai
provvedimenti sanzionatori emessi dall’Autorità. 3. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola
di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o
periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi
dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’art. 133 commi 3 e 4.”
Resta pertanto ferma la validità dell’impostazione (già operata dall’art. 33, d. lgs. n. 80/1998, e confermata
dall’at. 6, l. n. 20572000) secondo cui, in linea di massima, rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A.
le controversie relativa alla fase pubblicistica di selezione del contraente, non anche, tendenzialmente,
quelle coinvolgenti gli atti che la stazione appaltante abbia a porre in essere nella fase successiva di
esecuzione del rapporto contrattuale.
Si rinvia per l’esame delle problematiche interpretative al capitolo …..
paragrafi…., nonché al
capitolo….. per la giurisdizione sulle controversie risarcitorie aventi ad oggetto il danno da responsabilità
precontrattuale)
6. La giurisdizione in tema di edilizia, urbanistica ed espropriazione.
L’art. 34 del d.lgs. 31.03.1998, n. 80, nella formulazione successiva all’intervento di Corte cost. n.
204/2004, devolve alla giurisdizione esclusiva del G.A. “le controversie aventi per oggetto gli atti e i
provvedimenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica
ed edilizia”; la citata sentenza della Corte ha, infatti, dichiarato l’illegittimità della disposizione in esame
nella parte in cui aveva riguardo, nel perimetrare l’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, anche alle controversie coinvolgenti i “comportamenti” posti in essere nelle materie
dell’edilizia e dell’urbanistica.
Lo stesso art. 34, peraltro, dispone, al comma 2, che “agli effetti del presente decreto, la materia
urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.
Soggiunge, al comma 3, che “nulla è innovato in ordine: a) alla giurisdizione del tribunale superiore delle
acque; b) alla giurisdizione del G.O. per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione
delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.
6.1. Nozione di edilizia.
in merito ad una richiesta di restituzione del contributo per inadempimento delle obbligazioni assunte al momento della
concessione.
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La prima questione che si è posta, all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 34, ha riguardato la stessa
identificazione della materia urbanistica ed edilizia.
Si è ritenuto che la materia edilizia dovesse essere identificata nella disciplina relativa all’attività costruttiva
contenuta nel d.lgs. 6.06.2001, n. 380 (testo unico edilizia), con precipuo riferimento agli istituti del
permesso di costruire, del contributo di costruzione, della denuncia d’inizio attività, del certificato di
agibilità e della vigilanza sull’attività45. In ogni caso, l’edilizia, a differenza dell’urbanistica, riguarda l’uso
particolare del territorio, in quanto ancorato ad un determinato terreno e a determinati soggetti46.
Sotto altro profilo, il perimetro dell’attività edilizia può essere rintracciato, anziché attraverso il riferimento
agli atti che ne segnano l’aspetto dinamico (c.d. aspetto funzionale), in relazione alla tipologia degli
interventi edilizi, che ne demarcano l’ampiezza (c.d. aspetto strutturale). E ciò alla luce dell’elencazione che
ne fornisce l’art. 3 del t.u. edilizia: a) interventi di manutenzione ordinaria, b) interventi di manutenzione
straordinaria, c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, d) interventi di ristrutturazione
edilizia, e) interventi di nuova costruzione, a loro volta oggetto di ulteriore tipizzazione, f) interventi di
ristrutturazione urbanistica.
6.2 Nozione di urbanistica. La requisizione in uso.
Più complessa si presentava l’identificazione della materia urbanistica.
In primo luogo, in considerazione dell’ampia nozione di urbanistica offerta dall’art. 34, esplicitamente
collegata a “tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, ci si è chiesti se si tratti di definizione autonoma (la
norma adopera la locuzione “agli effetti del presente decreto”) ovvero se il suo contenuto debba essere
ricondotto alla nozione tradizionale di urbanistica.
L’espressione usata dal legislatore lascia chiaramente intendere il riferimento ad una nozione più lata ed
autonoma47.
L’interpretazione lata, comprensiva di ogni intervento avente ad oggetto un riassetto del territorio, è stata
del resto condivisa dalla Corte di legittimità laddove ha ritenuto che la materia dell’urbanistica non
riguarda soltanto la disciplina pianificatoria, vale a dire l’esercizio della potestà amministrativa
discrezionale di regolazione dell’uso del territorio che si risolve nell’adozione delle scelte urbanistiche,
abbracciando la totalità degli aspetti dell’uso del territorio, nessuno escluso, ivi compreso quello gestionale
concernente l’attuazione concreta della pianificazione mediante la realizzazione delle scelte urbanistiche.
La nozione di urbanistica si estende pertanto ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della
dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi,
come confermato da due argomenti entrambi decisivi, l’uno di carattere letterale e l’altro teleologico48.
Il primo è quello desunto dal successivo comma terzo dell’art. 34, che espressamente sottrae alla
giurisdizione del giudice amministrativo le sole controversie in materia di indennità derivanti da atti di
natura espropriativa o ablativa. La circostanza che il legislatore abbia avvertito l’esigenza di introdurre
questa precisazione conferma la precisa intenzione di assegnare alla materia urbanistica la latitudine
necessaria a coprire anche il procedimento di espropriazione.
D’altra parte, il riferimento alle sole controversie in materia di indennità non è idoneo a ricomprendere il
contenzioso in tema di occupazione invertita, fonte di un obbligo di risarcimento e non di mero
indennizzo.
Sul versante teleologico, è stato sottolineato lo stretto legame che intercorre tra la materia urbanistica e
quella dell’espropriazione. Una diversa scelta sarebbe stata difficilmente compatibile con l’esigenza di
concentrazione e coordinamento di controversie tra loro collegate, oltre che con le ragioni stesse sottese
alla creazione di forme di giurisdizione esclusiva, volte a neutralizzare la difficoltà e la confusione
innescate da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali.
Il problema della attitudine della nozione di urbanistica a ricomprendere la materia espropriativa si è del
resto ridimensionato per effetto dell’entra in vigore dell’art. 53, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante
BREGANZE, Urbanistica ed edilizia nel d.leg. 80/98, in Riv. giur. urbanistica, 1999, pag. 81.
Cass., Sez. Un., 11 febbraio 2003, n. 2063.
47 TRAVI, Commento all’art. 34, in Nuove leggi civ., 1999, pag. 1527; ORSONI, La giurisprudenza esclusiva del Tar in materia urbanistica,
in www.giust.it; STEVANATO, D.leg. 80/98 e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in particolare nella materia edilizia, in Riv.
giur. edilizia, 1998, III, pag. 604.
48 GAROFOLI, L’Amministrazione responsabile: gli incerti equilibri nell’assetto delle giurisdizioni, tratto da GAROFOLI - RACCA DE PALMA, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Milano, 2003.
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Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, a
tenore del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie
aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche
e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti alla applicazione delle disposizioni del testo unico”, come
noto dichiarato illegittimo da Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191, nella sola parte in cui, devolvendo alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle
pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non
riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere.
Requisizione in uso: Cons. Stato, Adun. plen. 31 luglio 2007, n. 10 (a latere)
Per concludere giova dare atto di quanto sostenuto da Cons. Stato, Adun. plen. 31 luglio 2007, n. 10, secondo
cui la controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento di requisizione in uso di
immobile da destinare al temporaneo soddisfacimento di una situazione di emergenza abitativa, con
destinazione degli alloggi a temporanea abitazione di nuclei familiari destinatari di provvedimenti di sfratto
esecutivo, emesso ai sensi dell’art. 7 della l. n. 2248/1865, all. E, non rientra nella materia dell’urbanistica e
dell’edilizia; e, quindi, non può essere devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
prevista dall’art. 34, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b), della l. n.
205/2000. E’ vero che, ai sensi del comma 2 del citato art. 34 e ai limitati effetti di giurisdizione, alla
materia urbanistica viene attribuita una definizione lata, prevedendosi che essa concerne “tutti gli aspetti
dell’uso del territorio” e che nella stessa rientrano i provvedimenti di esproprio e di occupazione d’urgenza
per la realizzazione di opere pubbliche; atti che sono una “species” del più ampio “genus” dei
provvedimenti ablatori nei quali viene fatta rientrare la requisizione in uso. Tuttavia, la requisizione, a
differenza dell’occupazione d’urgenza preordinata all’esproprio, tende a soddisfare bisogni transitori non
connessi all’uso del territorio e non si risolve nella successiva ablazione del bene. Inoltre, la requisizione è
stata disciplinata in maniera autonoma rispetto alla materia espropriativa.
Ciò posto, giova esaminare alcune questioni problematiche emerse in sede di interpretazione ed
applicazione del citato art. 34, d. lgs. n. 80/1998.
6.3. La giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto il danno da occupazioni: rinvio.
Si rinvia al capitolo …. per l’esame della complessa questione relativa al riparto di giurisdizione sulle
controversie risarcitorie aventi ad oggetto il danno da occupazioni.
6.4. Art. 34, d. lgs. n. 80/1998, e azioni possessorie, nunciatorie e cautelari.
La giurisprudenza anteriore a Corte cost. n. 204/2004 (a latere)
Prima che intervenisse Corte cost. n. 204/2004 ad eliminare il riferimento alle controversie involgenti i
“comportamenti” contenuto nell’art. 34, d. lgs. n. 80/1998, è stata ritenuta sussistente la giurisdizione
esclusiva del G.A. finanche sulle domande possessorie proposte da privati in caso di sconfinamento a cura
di pubbliche amministrazioni esproprianti su (e occupazioni di) suolo privato, non oggetto di atti ablativi
durante l’esecuzione di lavori per la realizzazione di opere pubbliche49.
Erano ricondotte nell’alveo della giurisdizione amministrativa in materia urbanistico-edilizia anche le
azioni cautelari e possessorie proposte dal privato a fronte di illegittime ingerenze delle pubbliche
amministrazioni e dei soggetti equiparati, come, ad esempio, nel caso di installazione di un cantiere in area
non compresa nel decreto di occupazione50.
Si è ritenuto, nel dettaglio, che la particolarità del rito possessorio non incidesse sulla questione della
giurisdizione.
Invero –si è sostenuto- la legge n. 205 del 2000, innovando profondamente sul processo giurisdizionale
amministrativo, ha dotato il giudice amministrativo, oltre che di mezzi istruttori, di poteri idonei ad
assorbire il contenzioso cautelare, parallelamente al trapasso della giurisdizione sui diritti.
Cass., Sez. un., 11 marzo 2004, n. 5055 e 22 ottobre 2003, n. 15843.
Prima dell’intervento della Consulta cfr., in materia possessoria, Trib. Catania, sez. distaccata di Mascalucia, 2 dicembre 2000,
in Urbanistica e Appalti, 2001, 417, con nota di CARINGELLA; Trib. Como, sez. distaccata di Erba, 19 dicembre 2000, n. 258, in
www.GiuStatoit; Trib. Trani, sez. distaccata di Molfetta, 11 gennaio 2000, in www.lexitalia.it; Tar Puglia, Lecce, 2 marzo 2001, n.
513, in Urbanistica e Appalti, 2001, pag. 415; in materia nunciatoria, Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 3 gennaio 2001, in
www.GiuStatoit; Trib. Larino, 9 maggio 2001, n. 910, in Guida al Dir., dicembre 2001, 88.
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Requisito indispensabile era che l’atto di lesione del possesso si collocasse “nell’esplicazione di poteri
direttamente attinenti al governo del territorio”. In queste fattispecie, il giudice amministrativo, nell’ambito
del potere di emettere misure cautelari “che appaiano … più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti
della decisione sul ricorso”, avrebbe potuto anche ordinare la reintegrazione nel possesso.
La giurisdizione ordinaria sarebbe residuata solo con riguardo ai meri atti materiali della p.a., in alcun
modo ricollegabili, neppure implicitamente, all’esercizio di un potere amministrativo. In tale ipotesi, non
avrebbe trovato, infatti, applicazione il principio dell’improponibilità delle azioni possessorie nei confronti
della p.a., basato sul disposto dell’art. 4 della legge 20.03.1865, n. 2248, all. E, che fa divieto al G.O. di
imporre un facere o un non facere in contrasto con la volontà espressa in atti amministrativi; l’eventuale
ordine di reintegra adottato dal giudice non avrebbe infatti inciso su alcuna azione amministrativa.
Per vero, già prima della sentenza n. 204/2004, una parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva
ritenuto che le azioni possessorie intentate in materia rientrante nella giurisdizione esclusiva del G.A.
dovessero essere proposte dinanzi al G.O.., in difetto di un’espressa previsione normativa di segno
contrario51.
La giurisprudenza anteriore a Corte cost. n. 204/2004 (a latere)
Intervenuta Corte cost. n. 204/2004, è ormai pacificamente riconosciuto che le azioni possessorie
(spoglio e manutenzione) ex artt. 1168 e 1170 c.c. e nunciatorie (denuncia di opera nuova e di danno
temuto) ex artt. 1171 e 1172 c.c. proposte contro la pubblica amministrazione appartengono alla
giurisdizione ordinaria, nelle stesse facendosi questione di meri comportamenti non ricollegabili, neanche
in via mediata, all’esercizio del potere.
Si è osservato, infatti, che, sulla base delle coordinate tracciate da Corte cost. n. 204/2004, la giurisdizione
esclusiva non è estensibile alle controversie nelle quali la pubblica amministrazione non esercita nemmeno mediatamente - alcun potere pubblico. Ne deriva la giustiziabilità avanti al giudice ordinario in
tutte quelle controversie in cui si denunzino comportamenti configurati come illeciti ex art. 2043 c.c., ed a
fronte dei quali per non avere, appunto, la pubblica amministrazione osservato condotte doverose, la
posizione soggettiva del privato non può che definirsi di diritto soggettivo.
In questa ottica è stato infatti statuito che, a seguito e per effetto della declaratoria di illegittimità
costituzionale parziale dell'art. 34 del d. lgs. n. 80 del 1998, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in
relazione alla domanda possessoria promossa dal privato nei riguardi della P.A. in conseguenza dell'attività
materiale, disancorata e non sorretta da alcun provvedimento formale, da questa posta in essere in ambito
urbanistico52.
6.5. Attività privatistiche pure e spurie.
D’altronde, la sfera operativa dell’art. 34, anche alla luce dell’intervento manipolativo della Consulta, si
arresta a fronte di attività poste in essere dalla P.A. jure privatorum, benché non cagionino lesione del
possesso (si pensi, a titolo esemplificativo, alla cura e manutenzione di beni pubblici) o, ancora, a fronte di
controversie con valenza prettamente civilistica (quali i rapporti di vicinato)53.
Sono, pertanto, destinate a restare sottratte alla sfera cognitoria del giudice amministrativo le pretese
risarcitorie aventi ad oggetto il danno arrecato dall’amministrazione mediante comportamenti meramente
materiali (illecito aquiliano). Si pensi al caso classico del pregiudizio da insidia stradale sofferto per effetto
della cattiva manutenzione delle strade o da fauna selvatica ovvero, ancora, da omesso controllo
dell’amministrazione scolastica sulla condotta dei discenti. Si tratta di questioni risarcitorie che, in quanto
afferenti a lesioni derivanti da attività del tutto estranee al tradizionale “ambito” della giurisdizione
Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2003, n. 431; Cons. Stato, sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4826; contra, Cons. Stato, sez. V, 6 marzo
.2001, n. 1456.
52 Cass., Sez. Un., 17 gennaio 2005 n. 730.
53 BENINI, La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, nella relazione tenuta all’incontro di
studio su “Unità e riparto di giurisdizione”, organizzato dal C.S.M. in Roma, 21-23 gennaio 2002; CARINGELLA - DE MARZO –
DELLA VALLE - GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, pagg. 294295; AVANZINI, La giurisdizione in materia di azioni di nunciazione dopo il d.lgs. n. 80/1998, in Urbanistica e Appalti, 1999, pag. 435;
così anche Tar Friuli Venezia Giulia, 21.08.1998, n. 154; Cass. SS. UU. 22.11.2001, n. 14848; Cons. Stato, sez. V, 22.09.2001, n.
4980.
51
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amministrativa, di legittimità ed esclusiva, non possono che continuare ad essere conosciute dal giudice
ordinario54.
E a medesima conclusione deve giungersi per le ipotesi in cui la condotta della P.A., seppure in astratto
collegata ad una vicenda espropriativa, di fatto, sia fuori dal suo contenuto qualitativo e quantitativo ed
abbia una mera valenza materiale. Così nel caso di richiesta di risarcimento danni cagionati ad una parte
del fondo non soggetta ad espropriazione, ad opera di meri comportamenti materiali (nella specie,
apposizione di una sbarra di ferro, impeditiva dell’accesso, e riversamento di materiale di risulta), tenuti da
soggetto incaricato dei lavori per i quali era stata disposta l’occupazione d’urgenza55.
In ultimo, la giurisdizione si radica in capo al g.o. nel caso in cui sia richiesta la restituzione del terreno
requisito per effetto della scadenza del termine stabilito dall’ordinanza di requisizione56. In questa ipotesi,
la P.A. detiene il bene senza alcun titolo, attesa la sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza di requisizione
per intervenuta scadenza del termine.
6.6. Retrocessione.
Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 6.07.2004, la giurisdizione del giudice
ordinario si è riappropriata delle controversie concernenti la retrocessione totale57.
Invero, il mancato utilizzo del bene espropriato per le finalità previste, che è quanto avviene allorché
l’opera pubblica non venga realizzata, costituisce un mero comportamento che consente all’espropriato di
riottenere la proprietà del bene stesso.
Precisa Tar Campania Napoli, sez. V, 29 ottobre 2007, n. 10206, che, a seguito delle sentenze della Corte
Costituzionale 6 luglio 2004 n. 204 e 28 luglio 2004 n. 281, che hanno dichiarato l'illegittimità dell'art. 34,
d.lg. 31 marzo 1998, n. 80, le controversie in materia di diritto di retrocessione totale ex art. 63, l. 25
giugno 1865, n. 2359, già pacificamente devolute all'autorità giudiziaria ordinaria, devono nuovamente
ritenersi estranee alla giurisdizione amministrativa. Tanto perché, nell'ipotesi di retrocessione totale - che si
rinviene qualora l'area destinata all'esecuzione dell'opera pubblica prevista nella dichiarazione di pubblica
utilità e nel successivo decreto di esproprio sia rimasta completamente inutilizzata per mancata totale
realizzazione dell'opera quale complessivamente programmata, o qualora quest'ultima sia stata
eventualmente sostituita con un'opera del tutto diversa, tale da stravolgere radicalmente l'assetto del
territorio originariamente previsto - sussiste un vero e proprio diritto soggettivo del proprietario alla
restituzione del bene, azionabile dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria58.
Con l’entrata in vigore del t.u. espropriazioni (art. 53), si è peraltro ritenuto non più sostenibile l’assunto
che discrimina la giurisdizione in guisa della natura totale o parziale della retrocessione, ogni controversia
vertente sulla stessa essendo espressamente devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A.59.
Sarebbe stato quindi superato il criterio di riparto che attribuiva alla giurisdizione del G.O. le controversie
relative al diritto alla retrocessione totale di cui all’art. 63 della legge 25.06.1865, n. 2359 e al G.A. le
controversie relative alla posizione del privato in un momento antecedente alla dichiarazione di
inutilizzabilità dei beni, di cui alla retrocessione parziale ex art. 60 della legge 25.06.1865, n. 235960. Ciò
sulla scorta dell’assunto che, in entrambi i casi, attualmente disciplinati dagli artt. 46, 47 e 48 del t.u.
espropriazioni, l’effetto della retrocessione scaturisce da attività provvedimentale della p.a., quale
esplicazione del potere – autorità.
GAROFOLI - RACCA - DE PALMA, Responsabilità della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice
amministrativo, Milano, 2003.
55 Cass., Sez. un., 11 aprile 2006, n. 8371.
56 Cass., Sez. un., 3 luglio 2006, n. 15203.
57 Cass., Sez. un., 16 novembre 2004, n. 21635.
58 Sulla stessa linea, Tar Lazio Latina, sez. I, 12 marzo 2007, n. 172; Tar Toscana Firenze, sez. I, 6 novembre 2006, n. 5079; Tar
Lazio Roma, sez. II, 13 marzo 2006, n. 1916.
59 O. FORLENZA, Profili della tutela giurisdizionale in materia di espropriazione per pubblica utilità, in Il Merito, 2004, n. 10, pag. 96.
60 Tale sistema di riparto è stato tuttavia confermato da Cass., Sez. un., 6 giugno 2003, n. 9072 e da Cons. Stato, sez. IV, 8 luglio 2003, n. 4057. Più di
recente, v. Cass. civile, Sez. Un., 8 marzo 2006, n. 4894, in cui si afferma che l'incompleta realizzazione dell'opera, da attuarsi su una serie di aree già
appartenenti a proprietari diversi, non dà luogo alla retrocessione totale di quelle aree non ancora utilizzate alla scadenza della data fissata per l'ultimazione
dell'opera, ma solo alla retrocessione parziale dei relitti e ciò anche nel caso in cui uno di essi venga a coincidere con l'intera superficie espropriata in danno di
un singolo proprietario, il quale non è, pertanto, titolare di una posizione di diritto soggettivo tutelabile innanzi all'A.g.o. finché non sia intervenuta la
dichiarazione di inservibilità di cui all'art. 61 della legge n. 2359 del 1865.
54
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7. Le altre materie devolute alla giurisdizione esclusiva. Il pubblico impiego, gli accordi tra
privati e p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge 241/1990. Rinvio.
Si rinvia al capitolo
per la trattazione delle regole del riparto di giurisdizione in materia di lavoro alle
dipendenze della pubblica amministrazione, nonché al capitolo , par. 8 per quanto concerne il riparto in
materia di accordi tra privati e p.a. ai sensi dell’art.11 della l. 241 del 1990.
8. La giurisdizione esclusiva sulla d.i.a.: rinvio.
Per la disamina delle regole concernenti la giurisdizione esclusiva in materia di d.i.a. si rinvia al capitolo
9. La giurisdizione in materia di diritto sportivo.
L’autonomia dell’ordinamento sportivo (a latere)
L’ordinamento sportivo - inteso quale insieme organico di regole, tecniche e disciplinari, applicabili alle
federazioni sportive – integra uno di quegli ordinamenti giuridici autonomi operanti all’interno
dell’ordinamento; vede al vertice il C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), al quale fanno capo
le diverse federazioni sportive.
L’art. 1, comma 1, del d.l. 230/2003 (a latere)
La sua autonomia è oggi sancita dall’art. 1, comma 1, del d.l. 230/2003, convertito dalla l. 280/2003, a
tenore del quale “la Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale,
quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico
Internazionale”. Lo stesso articolo soggiunge, al comma 2, che “i rapporti tra l'ordinamento sportivo e
l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per
l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento
sportivo”.
L’ordinamento sportivo si caratterizza per aver istituito un proprio sistema di giustizia, con organi muniti
di competenza specifica nel dirimere le possibili controversie tra federazioni, associazioni sportive ed atleti
entro tempi rapidi, tali cioè da garantire al sistema anche quella indispensabile continuità di azione ritenuta
altrimenti compromessa dalla giustizia ordinaria.
Il riparto prima del varo del d.l. 230/2003: il vincolo di giustizia (a latere)
Prima della entrata in vigore della legge di riforma 17 ottobre 2003, n. 280, che ha innovato il sistema di
giustizia sportiva, assumeva rilievo il c.d. "vincolo di giustizia", consistente nell'inserimento, all’interno
degli statuti e dei regolamenti delle singole federazioni sportive, di clausole compromissorie che
imponevano alle società ed ai singoli tesserati di adire, per le controversie connesse all'attività sportiva, i
soli organi di giustizia sportiva.
Tale sistema, disciplinato, tra l’altro, anche dall’art. 27 dello Statuto della Federazione Italiana Gioco Calcio
– F.I.G.C., implicava sostanzialmente l’obbligo di accettazione e il rispetto delle decisioni assunte dagli
organi federali, privando i soggetti coinvolti della facoltà di rivolgersi alle autorità giurisdizionali dello Stato
per
la
risoluzione
delle
controversie.
I regolamenti delle diverse federazioni, nel disciplinare le regole del ricorso alla giustizia sportiva, ne
limitavano l’ambito di operatività alle controversie, di carattere tecnico, disciplinare, economico o
amministrativo, tali da incidere esclusivamente nell’ambito dell’ordinamento sportivo stesso. Detto
altrimenti, il vincolo di giustizia era comunque destinato a venir meno in presenza di eventuali decisioni
implicanti la lesione di posizioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi o interessi legittimi) che, rilevanti
anche nell’ordinamento statale, non avrebbero mai tollerato limiti all’intensità della tutela.
Perché potesse ritenersi esclusiva la giurisdizione interna sportiva, il contenzioso avrebbe dovuto involgere
situazioni non qualificabili né come diritti soggettivi né come interessi legittimi.
Sullo sfondo di tale ricostruzione, l’assunto secondo cui l’ordinamento sportivo nazionale, pur essendo
dotato di ampi poteri di autonomia, comunque deriva da quello generale dello Stato, sicché il vincolo di
giustizia sportiva non può non operare “con esclusivo riferimento alla sfera strettamente tecnico-sportiva
ed in quella dei diritti disponibili ma non nell’ambito degli interessi legittimi i quali sono insuscettibili di
formare oggetto di una rinuncia preventiva, generale ed illimitata nel tempo, alla tutela giurisdizionale”61.
61
Tar Catania n. 1282/2002; Tar Lazio n. 2394/1998
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Anche in epoca precedente alla entrata in vigore della l. 280/2003, la questione di maggiore complessità
consisteva quindi nel verificare a quali fattispecie fosse riconoscibile rilevanza meramente interna
all’ordinamento sportivo, come tali sottratte alla giurisdizione statuale.
Decisioni disciplinari a latere
Il problema si è posto in particolare con riferimento alle decisioni disciplinari.
E’ evidente, infatti, che le sanzioni disciplinari sportive non di rado finiscono per incidere sullo status del
soggetto.
In vicende concernenti l’irrogazione di sanzioni disciplinari, il contributo maggiormente significativo
offerto dalla giurisprudenza è consistito prevalentemente nel tentativo di individuare i possibili parametri
oggettivi di valutazione, di volta in volta riconosciuti nella rilevanza del fine, nonché nella durata e/o nella
consistenza della sanzione disciplinare, in relazione agli effetti dalla stessa prodotti sulla posizione giuridica
soggettiva del destinatario.
Si è così sostenuto che rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad
oggetto le sanzioni della sospensione da ogni attività ippica per un periodo di sei mesi, giacché, impedendo
l'esercizio di un'attività economica imprenditoriale, non esaurisce la sua incidenza nell'ambito strettamente
sportivo, ma rifluisce nell'ordinamento generale dello Stato62.
Come è noto, proprio la persistenza di tali condizioni ha condotto a situazioni di conflitto tra gli organi di
giustizia sportiva e quelli di giustizia ordinaria: si ricorda, in particolare, il caso della ordinanza del Tar
Sicilia, Catania, n. 958/2003, con la quale il giudice amministrativo dichiarava sussistere la giurisdizione
amministrativa in relazione ad una fattispecie avente ad oggetto la squalifica per una sola giornata ad un
calciatore.
Al di là della considerazione della specifica vicenda, la decisione del Tar Sicilia ha posto ben in evidenza la
difficoltà di individuare un discrimine astratto tra atti a rilevanza meramente interna sportiva e atti
incidenti su posizioni giuridiche rilevanti nell’ordinamento generale: anche un provvedimento
sanzionatorio di (solo apparente) scarsa incidenza (quale la squalifica per una sola giornata di un
calciatore), in contesti come il calcio professionistico, può rilevarsi atto a rilevanza metasportiva, se solo si
considerino le implicazioni concernenti diritti televisivi, sponsorizzazioni e altro.
I problemi interpretativi sorti dopo il d.l. 230/2003 (a latere)
Nell’intento di evitare il verificarsi di ulteriori incertezze e oscillazioni, il Governo ha quindi emanato il d.l.
9 agosto 2003, n. 220, recante "Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva", convertito, poi, in legge con
la l. 17 ottobre 2003, n. 280 e tuttora in vigore.
Come rilevato, l’art. 1 dispone, al comma 2, che “i rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento
della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento
giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo".
La formulazione appena riportata recepisce il già consolidato orientamento giurisprudenziale che affida il
riparto al criterio della valenza meramente sportiva, o meno, della questione controversa.
Il successivo art. 2, d.l. 230/2003, individua invece fattispecie che, in senso generale e astratto, sono tout
court sottratte alla giurisdizione del giudice statale, per essere riservate alla giustizia sportiva.
Si tratta delle fattispecie concernenti: a) osservanza e applicazione delle norme regolamentari,
organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il
corretto svolgimento delle attività sportive; b) comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e
l'irrogazione e l'applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive (art. 2, comma 1).
Il successivo art. 3 dispone poi che qualsiasi controversia relativa a provvedimenti emanati
dall'ordinamento sportivo, che non sia riservata, ai sensi dell’art. 2, agli organi della giustizia sportiva, è di
competenza del giudice amministrativo (in particolare è introdotta una competenza esclusiva di primo
grado in capo al Tar del Lazio), fermo restando l’obbligo di esperimento preventivo dei gradi di giustizia
innanzi agli organi di giustizia sportiva63.
La disposizione prevede inoltre che “in ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle
clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive”.
62
63
Tar Emilia-Romagna, n. 178/1998.
Ci si chiede se questo onere sia previsto a pena di improcedibilità, o di improponibilità dell’azione.
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Il terzo comma dell’art. 3 sancisce che la definizione del giudizio abbia luogo con sentenza succintamente
motivata con la procedura rapida prevista dall’art. 26, l. n. 1034/1971.
Si distinguono quindi le controversie sottratte in toto alla cognizione dei giudici statali da quelle che
investono situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo ma aventi rilevanza per
l'ordinamento statale.
1. Ancora dal g.a per alcune decisioni disciplinari (a latere)
Secondo l’interpretazione finora prevalente offerta dal Tar Lazio (competente in via funzionale ed
inderogabile ex art. 3, comma 2, d.l. n. 220 del 2003), ancorché l’art. 2, lett. b), dello stesso decreto, in
applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riservi al primo la
disciplina delle questioni aventi ad oggetto “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione
ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”, la giurisdizione è del giudice amministrativo
ogni qual volta la sanzione comminata non esaurisca i suoi effetti all’interno dell’ordinamento sportivo64.
In applicazione di tale premessa, si è ritenuto che rientri nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo la controversia avente per oggetto la sanzione disciplinare della squalifica del campo di
calcio, inflitta dal giudice sportivo a una società sportiva (nella specie quella Catania calcio s.p.a.), con
l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse (dunque senza la presenza del pubblico) le gare
casalinghe, tenendo conto che tale provvedimento rileva anche al di fuori dell’ordinamento sportivo 65;
parimenti per la sanzione disciplinare sportiva della penalizzazione in classifica 66.
Sussiste invece un’ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione qualora sia impugnata, da parte di un arbitro,
la mancata iscrizione alla Commissione Arbitri Nazionale della serie A e B, qualora nel giudizio sia in
discussione il solo possesso delle qualità tecniche espresse dall’arbitro. Manca infatti il connotato della
rilevanza esterna all’ordinamento sportivo degli effetti di detto provvedimento, destinati ad esaurirsi
all’interno dell’ordinamento sportivo, non avendo alcun riflesso, né diretto né indiretto, nell’ordinamento
generale il giudizio di scarsa capacità tecnica resa nei confronti dell’arbitro. Occorre infatti considerare che
gli arbitri non sono dipendenti del C.O.N.I. e della F.I.G.C. e non percepiscono, quindi, una retribuzione
ma una mera indennità, a nulla rilevando che questa, in una stagione, possa raggiungere i 120.000 euro e
che, proprio in considerazione del suo rilevante ammontare, l’interessato possa aver deciso di fare
dell’attività arbitrale l’unica fonte di guadagno 67.
2. Il G.a. non ha più giurisdizione (a latere)
In senso opposto, C.g.a., 8 novembre 2007, n. 1048, ha ritenuto che sulle sanzioni disciplinari sportive (nella
specie squalifica del campo di calcio, irrogata nei confronti della società calcistica del Catania), vi è difetto
assoluto di giurisdizione (dunque non hanno giurisdizione né il g.a. né il g.o.), in quanto la legge riserva
tale contenzioso in via esclusiva alla giustizia sportiva. Il corollario è che nessuna violazione di tali norme
sportive potrà considerarsi di alcun rilievo per l’ordinamento giuridico dello Stato, e che nessun rilievo va
attribuito, al fine della giurisdizione, alle conseguenze ulteriori – anche se patrimonialmente rilevanti o
rilevantissime – che possano indirettamente derivare da atti che la legge considera propri dell’ordinamento
sportivo e a quest’ultimo puramente riservati. Secondo tale pronuncia, il legislatore ha operato una scelta
netta, nell’ovvia consapevolezza che l’applicazione di una norma regolamentare sportiva ovvero
l’irrogazione di una sanzione disciplinare sportiva hanno normalmente grandissimo rilievo patrimoniale
indiretto; e tale scelta l’interprete è tenuto ad applicare, senza poter sovrapporre la propria “discrezionalità
interpretativa” a quella legislativa esercitata dal Parlamento.
È palese che l’erronea applicazione del regolamento può comportare l’ammissione o l’esclusione di una
società sportiva (né ha rilievo, contrariamente a ciò che è stato talora affermato per radicare contra legem la
giurisdizione statuale, il fatto, meramente estrinseco, che essa sia, o meno, quotata in borsa) rispetto a una
determinata competizione nazionale o internazionale, con le ovvie ricadute economiche; parimenti è
evidente che identiche conseguenze sempre più spesso derivino dall’applicazione di sanzioni disciplinari
(quali una lunga squalifica del campo e l’obbligo di giocare a porte chiuse; ovvero, l’esclusione dal
campionato quale sanzione disciplinare per l’illecito sportivo commesso, con iscrizione a uno di rango
inferiore).
Così Tar Lazio – Roma, sez. III ter, 12 aprile 2007 n. 1664, ord.; Tar Lazio – Roma, sez. III ter, 15 gennaio 2008 n. 222.
Tar Sicilia, Catania, sez. IV, 19 aprile 2007 n. 679.
66 Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 21 giugno 2007 n. 5645
67 Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 5 novembre 2007, n. 10911.
64
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Tuttavia – sostengono i giudici siciliani- tali conseguenze, quand’anche in ipotesi possano essere la remota
causa di una dichiarazione di fallimento, normativamente non dispiegano alcun rilievo ai fini della verifica
di sussistenza della giurisdizione statuale, dal legislatore prevista solo nei casi diversi da quelli,
espressamente eccettuati, di cui all’art. 2, comma 1, d.l. citato, e di cui si è già detto.
Se una tale opzione normativa si fosse svolta a livello secondario, sarebbe stata passibile di censure per
indiretto contrasto col principio della generale tutela statuale sui diritti soggettivi patrimoniali. Viceversa,
essendo stata operata a livello primario, non è soggetta ad altro vaglio che a quello costituzionale.
Senonché – si è detto- non appare costituzionalmente incompatibile la scelta del legislatore ordinario di
stabilire che, quando un imprenditore decida di operare nel settore dello sport, resti interamente ed
esclusivamente assoggettato alla disciplina interna dell’ordinamento sportivo (cui la legge ha voluto
riconoscere la più ampia autonomia).
Il Caso Moggi: Tar Lazio, 19 marzo 2008, n. 2472 (a latere)
Di recente la questione è stata riesaminata da Tar Lazio, 19 marzo 2008, n. 2472, intervenuto sul ricorso
proposto dal sig. Moggi avverso decisione della Corte Federale della F.I.G.C. nella parte in cui ha
confermato la sanzione, inflitta nei suoi confronti dalla Commissione d’Appello Federale, dell’inibizione
per cinque anni dai ranghi federali, con proposta al Presidente Federale di preclusione alla permanenza in
qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C., e l’ammenda di 50.000,00 euro per illecito sportivo commesso
nel periodo in cui era direttore generale della F.C. Juventus s.p.a. Il Tribunale capitolino ha dovuto
prendere posizione sull’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata sull’assunto che oggetto del gravame
è una sanzione disciplinare sportiva, destinata ad esaurire i propri effetti nell’ambito dell’ordinamento
settoriale, con conseguente irrilevanza per l’ordinamento statale alla stregua anche di quanto disposto
dall’art. 2, primo comma, lett. b), D.L. 19 agosto 2003 n. 220, convertito con modificazioni dall’art. 1 L. 17
ottobre 2003 n. 280.
Andando dichiaratamente in contrario avviso rispetto a C.g.a., 8 novembre 2007, n. 1048, il Collegio
romano sostiene che “autonomia sta a significare inibizione per un ordinamento giuridico di interferire
con le proprie regole e i propri strumenti attuativi in un ambito normativamente riservato ad altro
ordinamento coesistente (nella specie, quello sportivo), ma a condizione che gli atti e le pronunce in detto
ambito intervenuti in esso esauriscano i propri effetti. Il che è situazione che, alla luce del comune buon
senso, non ricorre affatto allorché la materia del contendere è costituita innanzi tutto da valutazioni e
apprezzamenti personali, che a prescindere dalla qualifica professionale rivestita dal soggetto destinatario
degli stessi e del settore nel quale egli ha svolto la sua attività, investono con immediatezza diritti
fondamentali dello stesso in quanto uomo e cittadino, con conseguenze lesive della sua onorabilità e
negativi, intuitivi riflessi nei rapporti sociali. Verificandosi questa ipotesi, che è poi quella che ricorre nel
caso in esame - atteso che il danno asseritamente ingiusto, sofferto dal ricorrente è, più che nella misure
interdittive e patrimoniali comminate, nel durissimo giudizio negativo sulle sue qualità morali, che esse
inequivocabilmente sottintendono – è davvero difficile negare all’odierno ricorrente l’accesso a colui che
di dette vicende è incontestabilmente il giudice naturale. Una diversa conclusione assumerebbe carattere
di particolare criticità ove si consideri che in una determinata fase dell’impugnato procedimento è stata
negata al ricorrente la stessa appartenenza al cd. mondo sportivo”.
A tale esito, peraltro, il Tar Lazio dichiara di pervenire anche con l’intento di assicurare una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 2, D.L. n. 220 del 2003.
Invero, ad avviso del Collegio laziale, il legislatore del 2003 ha voluto solo garantire il previo esperimento,
nella materia della disciplina sportiva, di tutti i rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilità, per le
parti del rapporto, di adire il giudice dello Stato se la sanzione comminata non esaurisce la sua rilevanza
all’interno del solo ordinamento sportivo.
10. La tutela giurisdizionale sulle delibere delle Autorità Amministrative Indipendenti: rinvio.
Si rinvia al capitolo par. 10 per le regole di riparto da applicare in relazione alle controversie involgenti
gli atti delle Autorità Amministrative Indipendenti.
11. La nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia di energia elettrica.
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L’art. 1, comma 552, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005)68 ha devoluto alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto le procedure ed i
provvedimenti in materia di impianti di generazione di energia elettrica di cui al d.l. 7/2/2002, n. 7,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9/4/2002, n. 55, in uno alle le relative questioni risarcitorie69.
E’ opportuno subito porre in evidenza come la portata innovativa di tale disposizione non riguardi le
controversie instaurate dal soggetto interessato al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione
dell’impianto di energia elettrica avverso il diniego o il silenzio serbato in merito dalla P.A. 70
In tali ipotesi, infatti, la giurisdizione del G.A. sussiste per effetto del tradizionale criterio di riparto basato
sulla causa petendi, non potendosi dubitare della qualificazione in termini di interesse legittimo della
posizione giuridica soggettiva del privato che propone l’istanza.
A radicare la giurisdizione amministrativa sulle controversie sopra indicate si sarebbe peraltro potuto già
invocare l’art. 33, d.lgs. n. 80/98, che, prima di Corte cost. n. 204/2004, devolveva alla giurisdizione
esclusiva del G.A. tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi inclusi i servizi di cui alla legge 14
novembre 1995, n. 481, fra i quali è compreso il servizio di energia elettrica.
D’altra parte, l’invocabilità del citato art. 33, d.lgs. n. 80/98, non è stata preclusa per effetto
dell’importante intervento della citata sentenza n. 204/2004, attesa l’inerenza all’esercizio del potere delle
controversie nelle quali si contesta la legittimità del provvedimento con cui l’amministrazione rigetta
l’istanza di autorizzazione alla realizzazione dell’impianto di energia elettrica ovvero il silenzio serbato in
merito dalla P.A..
La nuova norma presenta, invece, un effetto particolarmente innovativo nella parte in cui estende la
giurisdizione esclusiva del G.A. alle controversie promosse dal terzo che si opponga alla realizzazione o
all’esercizio dell’impianto di generazione di energia elettrica, lamentando la lesione, attuale o potenziale,
del diritto alla salute, assunto inciso per effetto delle immissioni elettromagnetiche.
Invero, le controversie nelle quali si deduce la lesione del diritto alla salute erano tradizionalmente
ricondotte alla giurisdizione del G.O., anche allorché le stesse afferissero alla materia dei servizi pubblici
di cui al citato art. 33, d.lgs. n. 80/98; lo stesso articolo, nella versione precedente a Corte cost. n.
204/2004, prevedeva, al comma 2, lett. e), la giurisdizione del G.O. per le controversie meramente
risarcitorie aventi ad oggetto il danno alla persona o alle cose.
Più problematica l’ipotesi in cui il privato, anziché domandare il risarcimento del danno, avesse agito al
fine di ottenere una misura di carattere inibitorio diretta a far cessare l’immissione nociva.
Secondo un primo indirizzo71, l’azione inibitoria era idonea ad interferire con le modalità di erogazione del
pubblico servizio di fornitura di energia elettrica e ad invadere autoritativamente la sfera di competenza del
gestore, attraverso l’imposizione di prescrizioni strumentali ad evitare la reiterazione di condotte
pregiudizievoli per la salute del ricorrente; si reputava pertanto non applicabile la richiamata eccezione
prevista dalla lett. e) dell’art. 33.
Per altro orientamento, invece, l’azione inibitoria era da ricondurre nell’ambito del risarcimento in forma
specifica, onde l’inapplicabilità del citato art. 33, che per l’appunto escludeva dalla giurisdizione del giudice
amministrativo le controversie meramente risarcitorie riguardanti il danno alla persona o alle cose72.
Devolvendo alla giurisdizione esclusiva anche le “questioni risarcitorie” in materia di impianti di
generazione di energia elettrica, l’art. 1, co. 552, l. n . 311/2004, rivela la volontà del legislatore di
concentrare in capo al G.A. tutte le controversie connesse alla localizzazione e realizzazione delle centrali
elettriche, nelle quali si faccia questione, anche in via incidentale, della legittimità del provvedimento
autorizzatorio rilasciato dalla P.A. e dell’attività realizzatrice del soggetto gestore, rispetto alla quale il
68 Tale legge introduce e disciplina il procedimento di autorizzazione unica per la realizzazione delle centrali elettriche. In
particolare, è prevista, in capo al Ministero delle attività produttive, ogni competenza autorizzatoria in materia di costruzione e
gestione delle centrali idroelettriche (e turbogas) con potenza superiore a 300 MW termici, che utilizzano fonti convenzionali di
energia. Il provvedimento ministeriale assorbe e sostituisce il permesso di costruire, nonché ogni altra autorizzazione ambientale
di competenza statale, regionale e locale, ed è rilasciato in seguito ad un procedimento unico, al quale partecipano le
Amministrazioni statali e locali interessate.
69 Per tali controversie, inoltre, la citata norma rende applicabile il rito accelerato di cui all’art. 23bis, legge n. 1034/1971.
70 GIOVAGNOLI, La giurisdizione esclusiva del G.A. sulle controversie in materia di centrali elettriche, in Urb. e appalti, n. 5/2005, 524 ss.
71 Trib. Aosta, 29 giugno 2001, n. 8076. Negli stessi termini, sebbene in relazione ad una lesione del diritto alla salute non
prodotta da un campo elettromagnetico, Trib. Torino, sez. IV, 23 aprile 2004.
72 Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2002, n. 2329.
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terzo, a tutela del proprio diritto alla salute, esperisca azione risarcitoria, sia per equivalente che in forma
specifica.
La disposizione ha suscitato dubbi di legittimità costituzionale; si è dubitato, in particolare, della sua
compatibilità con l’art. 103, co. 1, Cost., nella parte in cui pare assegnare alla giurisdizione esclusiva del
G.A., in modo del tutto indipendente dalla natura degli interessi lesi, qualsiasi controversia interferente
con la progettazione, la realizzazione, l'esistenza e il funzionamento di un impianto di energia elettrica.
Il Giudice delle leggi, con sentenza 27 aprile 2007, n. 140, ha dichiarato non fondata la questione, ritenendo
che nella fattispecie disciplinata dal censurato comma 552 dell'art. 1, legge n. 311/2004, ricorrano tutti i
presupposti sufficienti a legittimare il riconoscimento di una giurisdizione esclusiva al giudice
amministrativo.
In primo luogo, l'oggetto delle controversie è rigorosamente circoscritto alle particolari «procedure e
provvedimenti», tipizzati dalla legge (decreto-legge n. 7 del 2002), e concernenti una materia specifica (gli
impianti di generazione di energia elettrica).
Né, poi, rileva la natura «fondamentale» dei diritti soggettivi coinvolti nelle controversie de quibus, non
essendovi alcun principio o norma –osserva la Corte- che riservi esclusivamente al giudice ordinario la
tutela dei diritti costituzionalmente protetti. Peraltro, l'orientamento giurisprudenziale73 che ritiene
sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in presenza di alcuni diritti assolutamente prioritari (tra cui
quello alla salute) risulta enunciato in ipotesi in cui vengono in considerazione meri comportamenti della
P.A., mentre, nel caso in esame, si tratta di specifici provvedimenti o procedimenti «tipizzati»
normativamente. Per il riparto di giurisdizione sulle controversie involgenti diritti c.d. inaffievolibili si
rinvia al Cap….
12. La giurisdizione di merito.
In casi eccezionali il giudice amministrativo dispone anche di una giurisdizione di merito..
Si tratta dei casi in cui al giudice amministrativo è consentito sindacare non solo la legittimità, ma anche il
merito (e dunque l’opportunità) dell’atto amministrativo.
In queste ipotesi, tassativamente indicate dalla legge, il giudice conosce oltre al merito, anche la legittimità
dell’atto amministrativo.
Quanto all’ambito della giurisdizione in questione, l’art. 7, l. Tar, rinvia, al riguardo, ai casi previsti dall’art.
27 del T.U. Cons. Stato e dall’art. 1 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1058.
Tra le ipotesi di giurisdizione di merito rientra il giudizio di ottemperanza, atteso che l’art. 27, n. 4 del T.U.
Cons. Stato assegna alla giurisdizione di merito del g.a. i “ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento
dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei
Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico”.
Rientrano anche i ricorsi per contestazione sui confini di comuni e province, i ricorsi in materia di
consorzi per strade che tocchino il territorio di più province, i consorzi per le opere idrauliche e per le
opere di bonifica, i ricorsi in tema di strade provinciali e comunali.
Tra i casi richiamati dall’art. 1 del T.U. 26 giugno 1924, n. 1058 vi è quello dei ricorsi contro i
provvedimenti contingibili ed urgenti di sicurezza pubblica, emanati dal sindaco sulle materie di edilità e di
polizia locale ed in materia d'igiene pubblica.
Ci si chiede inoltre se le nuova formulazione dell’art. 2, comma 5, l. n. 241 del 1990, che consente al
giudice amministrativo, in materia di silenzio-inadempimento della P.A., di valutare la fondatezza
sostanziale della pretesa, preveda una nuova ipotesi di giurisdizione estesa al merito, consentendo al
giudice del silenzio di non fermarsi alla mera verifica circa l’intervenuta inerzia anche allorché l’istanza del
privato, inevasa dall’amministrazione, sia volta a sollecitare l’esercizio di poteri discrezionali (si rinvia, per
la disamina, al Cap…..).
Quanto ai poteri di cui dispone il G.A. nelle ipotesi di giurisdizione estesa al merito, vi rientra quello di
annullare l’atto, anche per riscontrati vizi di merito, di riformare l’atto o sostituirlo (art. 26 l.Tar) e di
adottare i consequenziali provvedimenti.
73
Cass. civile, Sez. Un., 8 marzo 2006, n. 4908.
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Ai sensi dell’art. 7, comma 3, l. Tar, come modificato dall’art. 7 della l. 205 del 2000, il G.A., anche in sede
di giurisdizione di merito, può poi conoscere di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del
danno.
Il G.A. dispone inoltre di ampi poteri istruttori, atteso che l’art. 44, T.U. Cons. Stato, stabilisce, al comma
2, che “nei giudizi di merito il Consiglio di Stato può inoltre ordinare qualunque altro mezzo istruttorio, nei modi
determinati dal regolamento di procedura”.
17. Questioni rilevanti in materia di giurisdizione: sulla applicabilità al giudizio amministrativo
della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali ex art. 28, l. n.
794 del 1942.
L’art. 28, l. 13 giugno 1942, n. 794, prevede una speciale procedura giudiziale per la liquidazione delle parcelle degli avvocati nei
confronti dei clienti, stabilendo che “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente
l'avvocato o il procuratore, dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di
cui all'art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo”.
E’ controverso se tale procedura possa trovare ingresso dinanzi al giudice amministrativo.
1. Applicabilità al giudizio amministrativo della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari
professionali.
Secondo un primo orientamento è applicabile al giudizio amministrativo la procedura giudiziale concernente la liquidazione degli
onorari degli avvocati74.
Gli articoli 28 e 29, l. 794/1942 consentono, infatti, all'avvocato, dopo la decisione della causa, di seguire la procedura di cui all'art.
633 ss. c.p.c., ovvero di proporre il ricorso al capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo, così attuando un sistema
alternativo, in cui l'avvocato può scegliere quale tra i due rimedi processuali attivare per la liquidazione del dovuto.
A Il concetto di “materia civile” ha carattere polisenso
A sostegno di questa tesi si sostiene, da un lato, che il concetto di “materia civile” ha carattere polisenso, come emerge dal decreto
ministeriale n. 585 del 1994, che - nello stabilire i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti
agli avvocati in "materia civile" - nell'articolato e nelle tabelle allegate ha richiamato le controversie devolute alla giurisdizione
amministrativa. Dall’altro, che l'interpretazione restrittiva dell'art. 28 precluderebbe all'avvocato amministrativista di avvalersi di
uno specifico rimedio di tutela, attribuito al collega che svolga l'attività presso il giudice civile.
B. Gli artt. 28 e 29 non sono incompatibili con le peculiarità del processo amministrativo
Si osserva ancora che gli artt. 28 e 29 non risultano incompatibili con le peculiarità del processo amministrativo, avendo riguardo a
pretese creditorie attinenti al rapporto tra l'avvocato ed il proprio cliente, rispetto alle quali il giudice competente a decidere la lite
è l'autorità più adeguata a valutare la natura e il valore della controversia e le circostanze del caso. Il loro ambito di applicazione
non è dunque inciso dai criteri e dalle leggi che ripartiscono la giurisdizione ordinaria da quella amministrativa.
2. Inapplicabilità della procedura giudiziale concernente la liquidazione degli onorari professionali.
In senso ostile alla applicazione al processo amministrativo si sostiene, invece, che la legge 13 giugno 1942, n. 794, letteralmente
appresta un rimedio processuale tipico per le sole ipotesi concernenti la mancata liquidazione dei corrispettivi dovuti agli avvocati
per il patrocinio prestato davanti ai giudici civili, tanto che negli artt. 28, 29 e 30, legge 794/1942, il riferimento è sempre e solo ad
istituti del processo civile ed ai capi degli uffici giudiziari civili (giudice di pace, tribunale, corte d'appello).
L'obiettivo perseguito dalla legge, volta a semplificare la liquidazione e la riscossione degli onorari degli avvocati, è stato, quindi,
realizzato mediante un meccanismo procedurale che, nel presupposto pacifico della giurisdizione del giudice civile su controversie
inerenti la determinazione degli onorari professionali, modifica i criteri consueti di competenza, attribuendo la stessa all'ufficio
giudiziario civile che ha risolto la causa principale, cui sono riferibili gli onorari dell'avvocato. Attesa la indicata ratio della legge, si
ritiene quindi che la speciale procedura camerale prevista dalla legge n. 794 del 1942 si riferisce esclusivamente ai compensi in
materia giudiziale civile non potendo trovare applicazione ai processi penali, amministrativi, ovvero in materia stragiudiziale75.
Si ritiene anche che la tesi contraria, favorevole all’applicazione, innanzi al giudice amministrativo, della procedura giudiziale
concernente la liquidazione degli onorari professionali, conduce ad una grave compressione dei diritti di difesa delle parti, atteso
che l'art. 29, comma 6, l. 794/1942, qualifica come non impugnabile l'ordinanza che chiude lo speciale procedimento in esame. La
Cassazione ha sempre ritenuto non appellabile il provvedimento in questione ma ricorribile innanzi a sé per violazione di legge a
mente dell'art. 111, comma 7, Cost.: tale possibilità verrebbe meno se il rito speciale venisse importato nel processo
amministrativo giacché l'art. 111, comma 8, limita al solo motivo di giurisdizione il ricorso in cassazione avverso decisioni dei
giudici amministrativi.
La tesi della improponibilità di tale rimedio davanti al giudice amministrativo è seguita anche dalla Cassazione, secondo cui la
speciale procedura camerale prevista dalla l. 13 giugno 1942, n. 794, per la liquidazione delle competenze di avvocato e
procuratore si riferisce esclusivamente ai compensi in materia giudiziale civile, e non può, pertanto, trovare applicazione nel caso
di prestazioni rese dal legale dinanzi al giudice amministrativo, caso nel quale la liquidazione deve seguire le forme ordinarie
previste dal codice di procedura civile76.
Cfr., per tutti, Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005 n. 820.
In tal senso Cons. St., sez. IV, 14 aprile 2006, n. 2133.
76 Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004 n. 14394.
74
75
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La questione è stata rimessa all’esame dell’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, nn. 385 e 386, secondo cui
il contrasto interpretativo s'innesta su di una questione preliminare riguardante la configurazione da dare alla domanda giudiziale
promossa mediante l'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794: è necessario, invero, verificare se la stessa integri un’azione
autonoma, la cui causa petendi va esclusivamente rinvenuta nel contratto di patrocinio intercorrente tra la parte ed il suo difensore,
ovvero rappresenti una domanda accessoria nell'ambito di un giudizio principale.
Nel primo caso, infatti, sarebbe esatto affermare che il meccanismo introdotto dall'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, è
destinato ad operare esclusivamente all'interno della giurisdizione civile, risolvendosi il tutto in una mera misura di semplificazione
procedimentale.
Nel secondo caso, invece, il problema della giurisdizione verrebbe superato la stessa dovendo essere identificata avendo riguardo
alla causa principale e non alla domanda accessoria; il problema si ridurrebbe nel decidere se l'istituto sia applicabile al giudizio
amministrativo attraverso l'interpretazione, alla luce del diritto vigente, delle norme e dei principi che regolano la materia, ovvero
se, in mancanza di una norma specifica di rinvio, la domanda accessoria esuli comunque dai poteri del giudice amministrativo.
Con l'ulteriore corollario, in questo secondo caso, della necessaria verifica se sia o meno manifestamente infondata l'eccezione di
incostituzionalità della mancata previsione legislativa, prospettata sotto il profilo della disparità di trattamento tra avvocati civilisti
ed avvocati amministrativisti.
La VI sezione del Consiglio di Stato77 ha, invece, ritenuto di rimettere la questione alla Corte costituzionale: ritenuta
l’inapplicabilità dello speciale rito per la liquidazione degli onorari di avvocato nel processo amministrativo, si è dedotto invero il
possibile contrasto con gli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost.. Ed invero, “la discrezionalità di cui gode il legislatore nella regolamentazione degli
istituti processuali e nella previsione di forme di tutela differenziate con riguardo alla particolarità del rapporto dedotto in giudizio, non riesce a spiegare la
ragionevolezza di una limitazione legislativa che, nonostante l’identità dell’oggetto del giudizio e la sussistenza dell’identica esigenza di dotare anche nel
processo amministrativo il legale che lamenti il mancato pagamento di quanto dovutogli dal cliente a titolo di spese, onorari e diritti, al fine di un
efficiente strumento procedurale, aggiuntivo alla procedura finalizzata all’emissione di decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c., dato dalla via del ricorso al
capo dell'ufficio giudiziario adito per il processo. La previsione di un incidente di esecuzione innanzi al Giudice della cognizione è infatti giustificata dalla
ricorrenza di una connessione ontologica di detto contenzioso con la controversia di base, che differenzia tali questioni patrimoniali dai crediti pecuniari
sottoposti alla sola procedura ingiuntiva plasmata dal codice di procedura civile. Detta connessione viene identicamente in rilievo anche nel processo
amministrativo in guisa da ritenere non manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità che la scelta omissiva del legislatore ingenera in relazione
ai parametri della ragionevolezza ex art. 3 Cost, del diritto di difesa ex art. 24 e della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale innanzi al
giudice amministrativo ex artt. 24, 103 e 113 Cost.”.
77
Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2006 n. 6613.
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C) LA TRANSLATIO JUDICII
SOMMARIO. 1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e
Corte cost.,12 marzo 2007, n. 77. 2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109. 3. Corte cost. 12
marzo 2007, n. 77. 4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie. 5. L’intervento del
legislatore: le indicazioni emerse.
1. La posizione della giurisprudenza prima di Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109, e Corte
cost.,12 marzo 2007, n. 77.
Con due importantissime e innovative pronunce della Sezioni unite di Cassazione (22 febbraio 2007, n.
4109) e della Corte costituzionale (12 marzo 2007, n. 77), la giurisprudenza, in rottura rispetto ad un
orientamento ampiamente seguito in passato, ha preso posizione sul tema della translatio iudicii.
Pur seguendo percorsi argomentativi e ricostruttivi del sistema processuale vigente in parte divergenti,
hanno sostenuto l’immanenza nell’ordinamento del principio secondo cui, allorquando un giudice declina
la giurisdizione affermando la sussistenza di quella di altro giudice, il processo può proseguire innanzi al
giudice fornito di giurisdizione, rimanendo salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta
innanzi al giudice privo di giurisdizione.
L’art. 50 c.p.c. (a latere)
Per un inquadramento del tema, si consideri che l’ art. 50 c.p.c. prevede che, in caso di sentenza che abbia
pronunciato sulla competenza, il processo possa essere riassunto, entro il termine previsto dalla decisione
o, in mancanza, entro sei mesi dalla comunicazione decisione.
Si tratta della cd. translatio iudicii, che il legislatore del 1940 ha previsto espressamente con riferimento ai
soli giudizi sulla competenza.
Ciò posto, il problema, da tempo al centro di un importante dibattito dottrinale, è quello riguardante
l’applicabilità della regola sulla trasmigrabilità del processo anche al caso di pronunce sulla giurisdizione78.
La questione assume particolare delicatezza se solo si considera il rischi che, a seguito del defatigante
“palleggio di giudizi”, il ricorrente si trovi azzerate le risultanze istruttorie nel frattempo faticosamente
acquisite; o addirittura irrimediabilmente decaduto dalla possibilità di attivare gli strumenti di tutela, per
intervenuta decorrenza dei termini (si pensi all’azione possessoria innanzi al g.o. o alla generale azione
impugnatoria di legittimità innanzi al g.a.).
Il rischio è quindi che il privato, per effetto di una non corretta individuazione del giudice (peraltro non
sempre a lui addebitabile, attese le consistenti incertezze che connotano il sistema di riparto), vada
incontro, dinanzi al giudice ridivenuto titolare del potere giurisdizionale, ad una pronuncia di irricevibilità
per tardività dell’azione.
In proposito il codice di rito prevede che le questioni di giurisdizione possano essere decise dalla
Cassazione, in via preventiva, mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione, proponibile, ai sensi
dell’art. 41 c.p.c., solo nel caso in cui la controversia non sia stata decisa nel merito, oppure in sede di
ricorso ordinario ex art. 360, n. 1) c.p.c.
La tesi ostile alla translatio in caso di pronunce sulla giurisdizione (a latere)
A sostegno della tesi ostile all’estensione della translatio alle ipotesi di pronunce sulla giurisdizione si è
quindi addotto un argomento testuale, osservandosi che la trasmigrabilità della causa da una giurisdizione
ad un’altra sarebbe esclusa dallo stesso legislatore, laddove non ha introdotto, con riferimento al caso in
questione, una disposizione simile a quella di cui all’art. 50 c.p.c.79
78
79
ORIANI, Sulla translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale (e viceversa), in Foro It., 2004, V, 9 e ss.
Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7039.
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La mancata previsione del funzionamento della translatio con riguardo al caso in cui ad essere declinata sia
la giurisdizione, anziché l’incompetenza non sarebbe peraltro casuale, ma il frutto di una precisa scelta del
legislatore.
Invero - si è osservato- la previsione di cui all’art. 50 c.p.c. si giustifica in considerazione della minore
gravità del vizio di incompetenza, che quindi consente la riassunzione della causa dinanzi ad altro giudice,
con conservazione degli effetti processuali; il difetto di giurisdizione, viceversa, incide sulla stessa
ammissibilità della domanda.
Infine, l’impossibilità della trasmigrazione del giudizio da un giudice ordinario a uno speciale troverebbe
fondamento nella eterogeneità delle situazioni giuridiche tutelate davanti ai due giudici.
La riassunzione è consentita solo nel caso previsto dall’art. 367 c.p.c. (a latere)
Ancor più nel dettaglio, per diffuso orientamento80, in caso di domanda proposta innanzi ad un giudice
privo di giurisdizione, non è possibile la riassunzione dinanzi al giudice - amministrativo o speciale fornito di tale giurisdizione; è viceversa possibile la riassunzione se il giudice fornito di giurisdizione è il
giudice ordinario.
A tale esito in giurisprudenza si è pervenuti osservando che, ferma l’inapplicabilità, nel caso di difetto di
giurisdizione, dell' art. 50 c.p.c., riferibile solo alla materia della competenza, l'art. 367 dello stesso codice
consente la riassunzione del processo, a seguito del regolamento di giurisdizione, solo quando la Corte di
cassazione dichiari la giurisdizione del giudice ordinario.
Per vero, già prima che intervenissero le Sezioni unite con sentenza n. 4109/2007 e la Corte costituzionale
con pronuncia n. 77/2007, non erano mancate decisioni di segno contrario, volte ad ammettere la translatio e
la conseguente conservazione degli effetti degli atti compiuti innanzi al giudice sfornito di giurisdizione81.
Si era trattato, tuttavia, di decisioni isolate, intervenute senza affrontato il problema in consapevole
contrasto con l'esistente consolidata giurisprudenza e comunque prive di successiva conferma.
Le posizioni dottrinali (a latere)
Anche in dottrina ha a lungo prevalso un atteggiamento contrario all’estensione, all’ipotesi di difetto di
giurisdizione, dell’art. 50 c.p.c., ritenuta applicabile al solo caso della declinatoria di competenza; si è
sostenuto, peraltro, che l'effetto impeditivo della decadenza non può derivare dalla proposizione della
domanda giudiziale innanzi a qualsiasi giudice, presupponendo viceversa la valida instaurazione del
processo davanti al giudice fornito di giurisdizione.
Non era per vero mancata un’opzione di segno contrario che, muovendo dal principio chiovendiano per il
quale il processo deve tendere ad una sentenza di merito (non ad una pronuncia purchessia), aveva posto
in risalto come - anche con riguardo ai rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale - dovesse essere
assicurata, unitamente alla conservazione degli effetti della domanda proposta innanzi al giudice privo di
giurisdizione, la trasmigrabilità della causa al giudice che ne sia fornito.
A favore della introduzione della translatio iudicii si è addotta l’esigenza di evitare che la declaratoria di
difetto di giurisdizione del giudice ordinario possa dare luogo, essendo intanto maturato il termine
decadenziale per la proposizione del ricorso davanti al giudice speciale, alla definitiva stabilità dell'atto
impugnato.
Sono state anche poste in evidenza le non poche incertezza giurisprudenziali sugli esatti limiti del riparto
in determinate materie; sicché, non essendo possibile prevedere il futuro definitivo approdo su ogni
singolo tema, risulta assai frequente incorrere in individuazioni del giudice che si rivelano infine errate. In
tali casi –si è osservato- lascia davvero insoddisfatti la circostanza che non solo è necessaria la
proposizione di una nuova azione davanti al giudice fornito di giurisdizione, ma soprattutto che dinanzi a
questo vadano disperse le acquisizioni processuali nel frattempo ottenute e addirittura la tempestività
dell’azione82.
80 Cass., sez. un., n. 7 03 9/2 00 6; Cass. , sez. un. , n. 19218/2003; Cass., sez. un., n. 17934/2003; Cass., sez. un., n. 8089/2002;
Cass., sez. un., n. 7099/2002; Cass., sez. un., n. 6041/2002; Cass., sez. un., n. 2091/2002; Cass., sez. un., n. 14266/2001; Cass.,,
sez. un., n. 1146/2000; Cass., sez. un., n. 1166/94; Cass., sez. un., n. 10998/93.
81 Cass., n. 88/2001; Cass., n. 1496/2002; Cass., n. 5357/1987.
82 PELLEGRINO, Translatio e pregiudiziale: la ricerca dell’effettività, in www.giutizia-amministrativa.it
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Più in generale, a sostegno di un’auspicata svolta giurisprudenziale, si è rimarcata la unitarietà del
complessivo sistema giurisdizionale, nel quale unica è la funzione, ancorché affidata a giudici distinti e con
distinte competenze.
2. Interviene Cass. Sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109.
Al dibattito dottrinale in corso non è rimasta insensibile Cass. Sez. un., n. 4109/2007, secondo cui è
consentito concludere per l’immanenza nell'ordinamento processuale del principio della translatio iudicii dal
giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione: tanto sulla scorta
di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina vigente.
Nel dettaglio, nel caso esaminato dalle sezioni unite una società concessionaria della gestione di un
impianto sportivo, di proprietà comunale, aveva convenuto in giudizio innanzi al TAR il Comune per
sentirlo condannare al rimborso delle spese sostenute per la manutenzione straordinaria dell'impianto
medesimo, oltre al risarcimento del danno e alla rimozione di un'insegna. Il TAR accoglie il ricorso
limitatamente alla domanda di rimborso delle spese. Il Consiglio di Stato, adito dal Comune soccombente,
rileva il difetto di giurisdizione, ritenendo che la controversia, in quanto afferente all'adempimento di
un'obbligazione pecuniaria, rientri nella giurisdizione del giudice ordinario. La società concessionaria
propone ricorso per cassazione.
Ad avviso delle Sezioni unite sia nel caso di ricorso ordinario ex art. 360, n. 1, c.p.c. sia nel caso di
regolamento preventivo di giurisdizione proponibile innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi al
giudice amministrativo, contabile o tributario, opera la translatio iudicii. Il processo, iniziato erroneamente
davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione indicata, continua davanti al giudice effettivamente
dotato di giurisdizione, onde dar luogo ad una pronuncia di merito che concluda la controversia
processuale.
La trasmigrabilità della causa dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, non richiede
necessariamente la pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione, ma è resa possibile anche
nel caso di sentenza del giudice di merito, che abbia declinato la giurisdizione.
Con una pronuncia innovativa, che si pone in aperto contrasto con lo ius receptum della giurisprudenza di
legittimità, le Sezioni Unite della Suprema Corte ammettono quindi l'operatività del principio della
translatio iudicii dal giudice ordinario al giudice speciale, e viceversa, in presenza di una pronuncia sulla
giurisdizione.
L'operatività della translatio iudicii è quindi affermata dal Collegio sia nel caso del ricorso ordinario per
cassazione per motivi di giurisdizione (art. 360, n. 1, c.p.c.), esteso dalla previsione di cui all'art. 111 Cost.
anche alle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, sia nel caso del regolamento preventivo
di giurisdizione proponibile non solo innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi a quello
amministrativo, contabile e tributario.
L'affermazione di tale regola consente, pertanto, al processo, iniziato innanzi ad un giudice sfornito della
relativa giurisdizione, di continuare davanti al giudice dotato della giurisdizione, e di giungere, così, ad una
pronuncia di merito, conclusiva della vicenda processuale, in sintonia con i principi del giusto processo di
cui all'art. 111 Cost.
Gli argomenti valorizzati dalle Sez. un. A. L’art. 382 c.p.c. (a latere)
L'iter logico-giuridico seguito dal Collegio per dare cittadinanza al principio della translatio iudicii anche in
materia di giurisdizione si snoda attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni
processuali, fra le quali, in particolare, il combinato disposto di cui al comma primo e terzo dell'art. 382
c.p.c.83, da cui il Collegio desume che solo l'improponibilità assoluta della domanda innanzi al giudice
ordinario e al giudice speciale porta ad una pronuncia di cassazione senza rinvio; nelle altre ipotesi, la corte
di cassazione è viceversa tenuta ad indicare il giudice innanzi al quale la causa debba essere riassunta.
Nel dettaglio, la norma dispone, al primo comma, che le Sezioni unite statuiscono sulla giurisdizione
determinando “quando occorre” il giudice competente; dispone, al terzo comma, che si ha cassazione
83 “1. La Corte, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice
competente. 2. Quando cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa. 3. Se riconosce che il giudice del
quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione, cassa senza rinvio. Egualmente provvede in
ogni altro caso in cui ritiene che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito”.
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senza rinvio ove le Sezioni unite ritengano che ogni giudice sia sfornito di giurisdizione, e in ogni altro
caso in cui ritengano che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito (per esempio, per
essersi verificata una causa di estinzione).
Le Sezioni unite interpretano in senso letterale la prima disposizione del terzo comma, limitando la
statuizione di cassazione senza rinvio alla sola ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (detta anche di
improponibilità assoluta della domanda): in ogni altro caso, per il combinato disposto del primo e del
terzo comma, prima parte, non c’è spazio per la cassazione senza rinvio, dovendosi far luogo alla
cassazione con rinvio.
A tale conclusione – sostengono le Sezioni unite- deve anche pervenirsi quando il giudice speciale in sede
di appello abbia dichiarato il difetto di giurisdizione (affermata dal giudice speciale in primo grado), e la
Cassazione, invece, stabilisca che la giurisdizione sia del giudice speciale: alla cassazione della sentenza
impugnata non può che seguire la pronuncia di rinvio davanti al giudice speciale, perché altrimenti si
verificherebbe l'inaccettabile conseguenza di un processo, che si debba concludere con una sentenza che
confermi soltanto la giurisdizione del giudice adito senza decidere sull'esistenza o meno della pretesa.
B. L’art. 386 c.p.c. (a latere)
Il Collegio valorizza, altresì, la previsione di cui all'art. 386 c.p.c.84, interpretando l'espressione "quando
prosegue il giudizio" in termini di "quando il giudizio debba proseguire", valevole in tutte le ipotesi diverse
da quella di improponibilità assoluta della domanda.
C. L’art. 367 c.p.c. (a latere)
Argomenti a favore dell'operatività della translatio iudicii sono individuati dal Collegio anche nella
previsione di cui all'art. 367, co. 2, c.p.c.85, che, a seguito dell'estensione della proponibilità del
regolamento di giurisdizione anche nel processo innanzi al giudice amministrativo e al giudice tributario di
primo grado, risulta esprimere un generale onere delle parti di riassunzione del processo.
Per il caso in cui il regolamento sia richiesto nel corso del giudizio amministrativo e si concluda con la
statuizione di sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, si pone il problema di stabilire il mezzo
per il radicamento del giudizio innanzi a questo giudice.
Il problema è risolto dalla Cassazione ritenendo applicabile lo strumento della riassunzione innanzi al
giudice ordinario: soluzione che si basa sulla lettera dell’art. 367 c.p.c., non applicabile quindi nel solo caso
in cui il regolamento sia stato proposto in un processo radicato innanzi al giudice ordinario e si concluda
con la statuizione della sussistenza della giurisdizione di quel giudice.
Sulla base di questi argomenti, pertanto, Le Sezioni unite concludono osservando che, sia nel caso dì
ricorso ordinario ex art.. 360, n. 1, c.p.c. - previsto per il solo giudizio ordinario e poi esteso a tutte le
decisioni, assumendo la veste di ricorso per contestare innanzi alle Sezioni Unite la giurisdizione del giudice
che ha emesso la sentenza impugnata - sia nel caso di regolamento preventivo di giurisdizione proponibile
innanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi al giudice amministrativo, contabile o tributario, deve poter
operare la translatio iudicii.
Chiari i corollari derivanti dall’impostazione interpretativa seguita dalle Sezioni unite.
Se è consentita la trasmigrazione, e così la prosecuzione, del processo da giudice ordinario a giudice
amministrativo (e viceversa), il rapporto processuale instaurato – a seguito della translatio – dinanzi al
giudice amministrativo non è nuovo, ma è lo stesso già radicato innanzi al giudice ordinario.
Ne deriva che la cognizione della relativa domanda non può ritenersi preclusa per il fatto che il processo
sia radicato innanzi al giudice amministrativo quando il termine decadenziale è decorso; il diritto risulta
infatti già utilmente esercitato, quand’anche innanzi a giudice privo di giurisdizione.
La translatio opera anche in caso di sentenza di merito che declini la giurisdizione (a latere)
In chiusura, il Collegio precisa come la trasmissibilità della causa dal giudice ordinario a quello speciale e
viceversa non postuli necessariamente una pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione,
ben potendo la stessa discendere anche da una pronuncia del giudice di merito, declinatoria della
giurisdizione.
84 “La decisione sulla giurisdizione e' determinata dall'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica le
questioni sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilita' della domanda”.
85 “Se la Corte di cassazione dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, le parti debbono riassumere il processo entro il
termine perentorio di sei mesi dalla comunicazione della sentenza”.
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Ad avviso delle Sezioni unite, invero, la trasmigrabilità della causa dal giudice ordinario al giudice speciale,
e viceversa, non richiede necessariamente la pronuncia delle Sezioni Unite sulla questione di giurisdizione,
ma è resa possibile anche nel caso di sentenza del giudice di merito, che abbia declinato la giurisdizione.
Seppure la sentenza del giudice di merito - sia esso ordinario che amministrativo, tributario o contabile
declinatoria della giurisdizione, a differenza di quella delle Sezioni Unite della Cassazione, non imponga, al
giudice del quale è stata affermata la giurisdizione, di adeguarsi a tale pronuncia, onde il giudice ad quem,
innanzi al quale la causa fosse riassunta, potrebbe a sua volta dichiarare il proprio difetto di giurisdizione,
occorre considerare che, in tal caso, alle parti, per la soluzione del conflitto negativo di giurisdizione, è
dato il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362, co. 2, c.p.c., sicché il previsto meccanismo correttivo
della denunciata situazione di stallo, nel rispetto del principio che ogni giudice è giudice della propria
giurisdizione, consente, nella soluzione del conflitto, di pervenire alla decisione della questione di
giurisdizione con effetti vincolanti nei confronti del giudice dichiarato fornito di giurisdizione, innanzi al
quale è resa praticabile la translatio iudicii.
L'apparente antinomia della suddetta conclusione con la disposizione dell'articolo 34, co. 1, legge 6
dicembre 1971, n. 1034, laddove si prevede l'annullamento senza rinvio della decisione del tribunale
amministrativo regionale da parte del Consiglio di Stato quando l'organo di secondo grado riconosca il
difetto di giurisdizione del giudice di primo grado, si compone – ad avviso delle sezioni unite- nel rilievo
che il difetto di giurisdizione considerato dalla norma concerne anch'esso le sole ipotesi in cui non è
configurabile una prosecuzione del processo né innanzi al giudice speciale, né innanzi al giudice ordinario,
in parallelo alla disposizione dell'art. 382, co. 3, c.p.c.
Le Sezioni unite forniscono così una nuova lettura dell’art. 34, co., della legge Tar
La norma, per la quale il Consiglio di Stato annulla senza rinvio la sentenza del giudice di primo grado ove
ritenga insussistente la giurisdizione amministrativa, è sempre stata intesa nel senso che l’annullamento
senza rinvio vada disposto sia quando il Consiglio di Stato ritiene sussistente la giurisdizione del giudice
ordinario o di un giudice speciale, sia quando ritiene che si versi in difetto assoluto di giurisdizione.
Secondo le Sezioni unite, invece, l’annullamento senza rinvio si può avere solo se il Consiglio di Stato
ravvisa difetto assoluto di giurisdizione (o improponibilità assoluta della domanda),; ove, viceversa, ritenga
che la giurisdizione è del giudice ordinario o di altro giudice speciale, deve annullare con rinvio a detto
giudice, innanzi al quale si realizza quindi la translatio iudicii.
Vero è che il giudice indicato dal Consiglio di Stato come fornito di giurisdizione non è vincolato dalla
decisione, e potrebbe quindi anch’esso declinare la propria giurisdizione (dando luogo al conflitto negativo
di giurisdizione); vero è anche che in tal caso è esperibile in ogni tempo il ricorso per cassazione ex art. 362
c.p.c.
3. Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77.
Dopo le Sezioni unite anche la Consulta interviene sul tema con sentenza 12 marzo 2007, n. 77, con la
quale dichiara costituzionalmente illegittimo l'art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei
tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e processuali,
prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di
giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.
Le critiche all’impostazione seguita da Cass., Sez. un., 4109/2007 (a latere)
La Corte, pur manifestando considerazione per la soluzione adottata dalle Sezioni Unite, ritiene di
dissentire sulla sua praticabilità a diritto vigente.
Ad avviso dei Giudici costituzionali, l'espressa previsione della translatio con esplicito ed esclusivo riferimento alla
«competenza» non altro può significare se non divieto di applicare alla giurisdizione quanto previsto, esplicitamente ed
esclusivamente, per la competenza.
La riassunzione non assicura la conservazione degli effetti della domanda (a latere)
Ciò posto, la Consulta ancora osserva che va distinto il problema della trasmigrabilità del processo ad altro
giudice fornito di giurisdizione con quello della conservazione, a seguito della declinatoria della
giurisdizione, degli effetti prodotti dalla domanda proposta davanti ad un giudice privo di giurisdizione.
Invero –osserva la Consulta- l'esistenza nel codice di procedura civile di una norma che disciplina in
generale l'istituto della riassunzione della causa (art. 125 disp. att.) non implica di per sé che la domanda
proposta in riassunzione conservi gli effetti prodotti da quella originaria.
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La trasmigrabilità del processo è strumento necessario, ma non sufficiente perché il giudice ad quem possa
giudicare della domanda dinanzi a lui riassunta come se essa fosse stata proposta davanti a lui nel
momento in cui lo fu al giudice privo di giurisdizione.
L’incomunicabilità tra giudici appartenenti ad ordini diversi è incostituzionale (a latere)
Escluso, quindi, che il problema della translatio e della conservazione degli effetti possa essere risolto sulla
base di un’interpretazione del sistema, la Corte costituzionale passa ad esaminare la coerenza
costituzionale dell’art. 30 della legge T.a.r., assuntamente ispirato al “principio per cui la declinatoria della
giurisdizione comporta l’esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla
domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio”: principio che esprime quello della
“incomunicabilità dei giudici appartenenti a ordini diversi”.
Orbene, proprio questo principio di incomunicabilità tra giudici appartenenti ad ordini diversi è dalla
Corte
ritenuto
in
contrasto
con
fondamentali
valori
costituzionali.
L’unicità della funzione giurisdizionale in un sistema plurale (a latere)
Se è vero infatti –osserva la Corte con un passaggio di importanza storica- “che la Carta costituzionale ha
recepito, quanto alla pluralità dei giudici, la situazione all'epoca esistente, è anche vero che la medesima Carta ha, fin dalle
origini, assegnato con l'art. 24 (ribadendolo con l'art. 111) all'intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurare la
tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Questa essendo la essenziale ragion d'essere dei
giudici, ordinari e speciali, la loro pluralità non può risolversi in una minore effettività, o addirittura in una vanificazione
della tutela giurisdizionale: ciò che indubbiamente avviene quando la disciplina dei loro rapporti - per giunta innervantesi su
un riparto delle loro competenze complesso ed articolato - è tale per cui l'erronea individuazione del giudice munito di
giurisdizione (o l'errore del giudice in tema di giurisdizione) può risolversi in un pregiudizio irreparabile della possibilità
stessa di un esame nel merito della domanda di tutela giurisdizionale”.
Sulla base di queste coordinate, la Corte dichiara, quindi, l'illegittimità costituzionale della norma censurata
nella parte in cui non prevede la conservazione degli effetti della domanda nel processo proseguito, a
seguito di declinatoria di giurisdizione, davanti al giudice munito di giurisdizione, ispirandosi essa,
viceversa, al principio per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l'esigenza di instaurare ex novo il
giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si
conservino nel nuovo giudizio.
L’involto al legislatore ( a latere)
La stessa Corte rimette al legislatore il compito di disciplinare l’effettivo funzionamento del meccanismo
di trasmigrazione, al contempo vincolandolo al rispetto del principio della conservazione degli effetti,
sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta innanzi a giudice privo di giurisdizione nel
giudizio ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria di giurisdizione - davanti al giudice che ne è
munito.
4. Gli scenari dopo le due decisioni e le prime applicazioni pretorie.
Intervenuta la Corte costituzionale, ci si è subito chiesti se la translatio e la conseguente conservazione degli
effetti della domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione possano operare da subito, in
attesa quindi dell’intervento legislativo auspicato dalla Consulta; ci si è anche interrogati in merito ai
concreti meccanismi processuali utilizzabili per consentire che translatio e conservazione possano trovare
attuazione..
La salvezza degli effetti può essere assicurata a disciplina vigente? (a latere)
Che uno spazio applicativo per la translatio vi sia anche prima dell’auspicato intervento legislativo la stessa
Consulta lo conferma precisando che, “là dove possibile utilizzando gli strumenti ermeneutici… i giudici ben
potranno dare attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto”.
Pur non mancando prese di posizione di segno contrario, la giurisprudenza è orientata nel ritenere che il
principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto operi da subito”86.
86 Contra, Tar Lazio, sez. III quater, 3 marzo 2008, n. 1946, secondo cui “in tema di translatio judicii, nel caso in cui la controversia è
stata incardinata dinanzi al giudice amministrativo, incompetente fin dall’origine, non essendoci particolari criteri ermeneutici cui agganciarsi per
quanto riguarda la modalità di salvezza degli effetti, l’unica possibilità attribuita al primo giudice che deve spogliarsi della causa è quella di declinare
la propria giurisdizione indicando nel giudice ordinario il giudice competente, tenendo presente che la sentenza Corte cost. 12 marzo 2007 n. 77 appare
aver lasciato un vuoto sul punto della salvezza degli effetti, riconoscendo al legislatore la necessità di intervenire tempestivamente”. Prevale, però, la
tesi secondo cui “all’ annullamento giurisdizionale per difetto di giurisdizione della sentenza del Tribunale amministrativo regionale, disposto dal
giudice di appello, segue il rinvio della causa al giudice ordinario con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta innanzi al
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Si tratta di verificare, a disciplina vigente, come e con quali meccanismi processuali il dispiegarsi del
suddetto principio di conservazione può essere assicurato.
In particolare ci si domanda se i giudici di merito possano disporre la translatio.
Anche alla stregua della sola sentenza della Consulta, dovrebbe comunque ritenersi consentito in sede di
declinatoria di giurisdizione fare salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda.
Si tratta di verificare se tale salvezza possa essere disposta dallo stesso giudice che declina la giurisdizione o
se, invece, trattandosi di profili valutativi ormai rientranti nella cognizione del giudice ad quem, spetti a
quest’ultimo fare applicazione del principio di salvezza degli effetti.
Al giudice che declina la giurisdizione spetta comunque il compito di fissare un termine entro cui le parti
devono attendere alla riassunzione perché possano fruire della conservazione degli effetti.
A chi spetta disporre la salvezza degli effetti? (titoletto)
La giurisprudenza ha avuto a più riprese di occuparsi dei segnalati problemi interpretativi.
In tema è di intervenuto Cons. St., sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059, secondo cui il giudice amministrativo
che declina la giurisdizione deve in primo luogo rimettere le parti davanti al Giudice ordinario affinché dia
luogo al processo di merito: tale rimessione, invero, da un lato, evita “l'inaccettabile conseguenza di un
processo, che si debba concludere con una sentenza che confermi soltanto la giurisdizione del giudice
adito senza decidere sull'esistenza o meno della pretesa” (Cass. sez. un. n. 4109/2007), e, dall’altro, è
funzionale alla riconosciuta esigenza di far salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda).
Il giudice che declina la giurisdizione deve anche precisare che sono salvi gli effetti sostanziali e processuali
della domanda: a tale precisazione da parte del giudice che pure declina la giurisdizione non osta, infatti, la
circostanza che sarà poi il Giudice ad quem a dover fare applicazione del principio della salvezza degli
effetti.
Del resto –sostiene la sesta sezione- è la stessa sentenza della Corte costituzionale n. 77/2007 a
confermare implicitamente che la dichiarazione della salvezza degli effetti non è prerogativa esclusiva del
Giudice ad quem, perché, altrimenti, la questione di costituzionalità dell’art. 30 L. n. 1034/1971 (e cioè di
una norma che trova applicazione nel processo amministrativo) avrebbe dovuto essere dichiarata
inammissibile per difetto di rilevanza.
La Corte costituzionale, invece, ha dichiarato illegittima tale norma nella parte in cui non prevede che “gli
effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si
conservino, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di
giurisdizione”.
In tal modo la Corte sembra riconoscere che quella relativa alla conservazione degli effetti della domanda
è una questione che rileva, in primo luogo, davanti al Giudice che declina la giurisdizione.
Quale è il termine entro cui la salvezza degli effetti opera?
Infine, onde, evitare l’inconveniente, evidenziato in dottrina, di una azione sospesa sine die, e come tale sine
die nella disponibilità assoluta di una delle parti, insieme alla precisazione della salvezza degli effetti, il
giudice che declina la giurisdizione deve fissare un termine entro cui tale salvezza opera.
Al riguardo, la sesta Sezione ritiene applicabile analogicamente, l’art. 50 c.p.c., anche perché, con
l’affermazione del principio della translatio anche tra diverse giurisdizioni (e non sono tra diversi giudici
appartenenti allo stresso plesso giurisdizionale), il difetto di giurisdizione diventa per molti aspetti analogo
al difetto di competenza del giudice adito.
L’art. 50 c.p.c. prevede che sia lo stesso giudice che si dichiara incompetente a fissare il termine per la
riassunzione davanti al giudice ritenuto competente; in mancanza di tale indicazione, il termine per la
riassunzione è di sei mesi dalla comunicazione della sentenza87.
giudice privo di giurisdizione, atteso che il principio della translatio judicii è operante anche nei rapporti fra giudice amministrativo e giudice
ordinario”. In termini, Cons. St., sez. VI, 17 gennaio 2008, n. 111; Tar Sicilia Palermo, sez. I, 03 ottobre 2007, n. 2053. Da ultimo,
Cons. St., sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059.
87 In termini, Tar Lazio Latina, sez. I, 12 dicembre 2007, n. 1571, secondo cui “ai fini della translatio iudicii successiva alla
declaratoria di difetto di giurisdizione, in difetto di una norma di rito diversamente regolatrice in via speciale del rapporto controverso, il ricorrente deve
riassumere la causa presso la competente autorità giudiziaria, indicata dal giudice sfornito di giurisdizione, entro il termine perentorio di sessanta giorni
decorrenti dalla comunicazione della sentenza, o notifica se anteriore, ovvero, in difetto dell'una e dell'altra, entro sei mesi dal deposito della decisione
nella segreteria della sezione
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5. L’intervento del legislatore: le indicazioni emerse.
Se quelle esposte sono le soluzioni praticabili a diritto vigente, giova in conclusione volgere lo sguardo alle
indicazioni in dottrina emerse nel tentativo di prefigurare gli spazi di manovra dell’intervento legislativo
auspicato dalla Consulta.
Giova prendere in considerazione le diverse ipotesi che possono venire in rilievo.
Se il giudice ordinario ritiene di essere investito di una causa appartenente alla giurisdizione
amministrativa, dispone il rinvio così come avviene per la competenza tra giudici ordinari fissando i
relativi oneri di riassunzione. Il Tar potrà dissentire dalla decisione del g.o.; soccorre il rimedio per cd.
conflitto negativo di cui all’art. 362, co. 2, c.p.c.: alle Sezioni Unite quindi è rimesso il definitivo
pronunciamento sulla giurisdizione.
Può peraltro avvenire che una delle parti ritenga di impugnare la decisione del giudice che ha declinato la
giurisdizione; è quanto consentito appellando la pronuncia.
E’ stato sostenuto, al riguardo, che con l’intervento legislativo auspicato dalla Consulta potrebbe
introdurre un sistema funzionale alla formazione di una rapido e definitivo giudicato sulla giurisdizione,
per esempio prevedendo che la decisione declinatoria di giurisdizione sia impugnabile solo con
regolamento innanzi alle Sezioni Unite, così destinato ad assumere le sembianze di un regolamento
necessario88.
Ferma dunque la possibilità, anche a diritto vigente, che il giudizio prosegua innanzi al giudice
amministrativo a seguito della declinatoria di giurisdizione da parte dell’adito giudice ordinario, occorre
verificare se è così sempre garantita la salvezza dell’azione e la sua ammissibilità.
Si consideri che ben può verificarsi che il privato sia incorso in errore sulla stessa consistenza della
posizione giuridica tutelata e, ritenendola di diritto soggettivo anziché di interesse legittimo, abbia quindi
adito erroneamente il giudice ordinario facendo affidamento sul termine prescrizionale, anziché
decadenziale.
Si è al riguardo sostenuto89 che va comunque salvaguardata l’ammissibilità della domanda. Posizione,
questa, non condivisa da chi prospetta il rischio che abbiano a verificarsi situazione di autentico abuso del
diritto, potendo il soggetto, consapevole di essere incorso in decadenza rispetto all’impugnare dell’atto
innanzi al g.a., tardivamente investire il g.o. pur di beneficiare degli effetti di una translatio così
congegnata90.
Si conclude, quindi, nel senso che l’esigenza da soddisfare è solo quella di assicurare la salvezza degli effetti
della domanda avendo esclusivo riguardo al momento della sua proposizione, ipotizzando che sia stata
proposta innanzi al giudice titolare della giurisdizione.
SEZIONE II
PARTE
TRATTA
DA
R.
GAROFOLI,
TRACCE
AMMINISTRATIVO, NELDIRITTO EDITORE, 2008,
POCHISSIMI GIORNI IN LIBRERIA.
DI
DA
D) Annullamento dell’aggiudicazione e sorte del contratto: profili sostanziali e processuali, anche in
conseguenza di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e Cons. Stato, sez. v, 28 marzo 2008, n. 1328.
-1. Premessa. -1.1. Articolazione della procedura di evidenza pubblica -1.2. Finalità della
procedura di evidenza pubblica. -2. Natura giuridica dell’atto di aggiudicazione. -3. Conseguenze
dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto: qualificazioni sostanziali e
implicazioni processuali. -4. Il recente intervento di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e
In tal senso, PELLEGRINO, Translatio e pregiudiziale: la ricerca dell’effettività, in www.giustizia-amministrativa.it
Dà atto di questa impostazione PELLEGRINO, op. ult. cit.
90 In tal senso CACCIAVILLANI, Translatio iudicii tra Corte di cassazione e Corte costituzionale, in www.giustamm.it.
88
89
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Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2008, n. 1328.
1. Premessa.
L’esame del problema relativo all’incidenza dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione sul contratto stipulato tra
p.a. appaltante ed aggiudicatario presuppone una previa analisi dell’articolazione della procedura di evidenza pubblica e delle
finalità ad essa sottese, nonché una ricostruzione del dibattito, da sempre vivace e mai sopito, relativo alla natura giuridica
dell’aggiudicazione, atto destinato normalmente a segnare la conclusione dell’iter pubblicistico di selezione del contraente.
1.1. Articolazione della procedura ad evidenza pubblica.
Occorre, anzitutto, rilevare che la procedura ad evidenza pubblica assume rilievo nell’ambito dell’attività negoziale della PA,
come contemplata dall’art. 1, co. 1bis, L. 241/1990, novellato dalla L. 15/2005. La presenza di siffatta procedura, nell’ambito
dell’attività negoziale della PA, si pone come limite alla libertà della PA stessa nello svolgimento delle trattative per la
conclusione dei contratti, in contrapposizione alle trattative fra privati, caratterizzate dalla libertà delle forme e delle
procedure, con il solo limite del rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c.
La procedura ad evidenza pubblica si articola in diverse fasi, poste in successione: adozione della delibera a contrarre (atto a
rilevanza meramente interna, con cui la PA enuncia le ragioni della scelta dello strumento negoziale in vista del
perseguimento di un interesse pubblico), pubblicazione del bando (quale lex specialis della procedura, contenente, fra l’altro,
l’indicazione dei requisiti di partecipazione alla gara, l’indicazione dello strumento di scelta del contraente, dei criteri di
aggiudicazione, dei criteri di esclusione delle offerte anomale, del contenuto minimo del contratto), scelta del contraente
(attraverso le procedure di asta pubblica o pubblico incanto, licitazione privata, trattativa privata e appalto-concorso). Tale
fase si conclude con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione, prodromica alla stipula del contratto, seguita a sua
volta dalla relativa approvazione (condicio iuris di efficacia del contratto) dall’eventuale controllo ad opera della Corte dei
Conti (controllo di legittimità del decreto di approvazione ai fini dell’apposizione del visto e della registrazione).
In questo contesto, l’aggiudicazione si pone come fase della procedura ad evidenza pubblica, con la quale la PA individua
il soggetto con cui stipulare il contratto.
1.2. Finalità della procedura ad evidenza pubblica.
Due gli orientamenti formatisi:
a) Secondo l’impostazione tradizionale, la procedura ad evidenza pubblica tutela, in via esclusiva, l’interesse della PA ad
individuare il migliore contraente ed a concludere il contratto alle migliori condizioni per il perseguimento dell’interesse
pubblico.
Corollari:
• rilevanza esclusiva dell’interesse della PA e irrilevanza dell’interesse dei soggetti partecipanti alla procedura (titolarità, in
capo ad essi, di una posizione di interesse legittimo, suscettibile di tutela risarcitoria solo a seguito della pronuncia di Cass.
Civ., sez. un., n. 500/1999);
• procedura ad evidenza pubblica come fase di formazione della volontà della PA o di integrazione della sua capacità.
b) Secondo un’impostazione più recente e ormai prevelente, la procedura ad evidenza pubblica, disciplinata a livello
comunitario ed oggi recepita dal Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. n. 163/2006), è strumento di tutela della
concorrenza, la cui osservanza è imposta alla PA al fine di rendere effettive le libertà di stabilimento e di prestazione dei
servizi di cui al Trattato CE.
Corollari:
• rilevanza, accanto all’interesse della PA, dell’interesse delle imprese al rispetto, da parte di questa, della par condicio nella
scelta del contraente.
2. Natura giuridica dell’atto di aggiudicazione.
Sono tre gli orientamenti affermatisi:
A) Natura pubblicistica.
Si tratta dell’impostazione tradizionale che riconosce all’aggiudicazione natura eminentemente provvedimentale, in quanto
atto proteso unicamente all’individuazione dell’aggiudicatario.
In siffatto contesto interpretativo si pone quella giurisprudenza che distingue fra procedure meccaniche (asta pubblica e
licitazione privata), nelle quali, ai sensi dell’art. 16, co. 4, R.D. 2440/1923, l’aggiudicazione è equiparata, sotto il profilo degli
effetti, alla stipula del contratto, con conseguente configurazione, in capo all’aggiudicatario, di una posizione di diritto
soggettivo (aggiudicazione come atto con valenza contrattuale) e procedure negoziate (appalto-concorso e trattativa
privata), nelle quali, in assenza di una previsione espressa (al pari dell’art. 16, co. 4, R.D. 2440/1923) che assimili, sotto il
profilo degli effetti, l’aggiudicazione al contratto, l’aggiudicazione medesima è considerata alla stregua di atto
amministrativo ampliativo della sfera giuridica soggettiva dell’aggiudicatario, con conseguente nascita in capo a
quest’ultimo di una posizione di interesse legittimo pretensivo alla stipula del contratto.
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Con l’aggiudicazione, dunque, l’amministrazione si limita a selezionare l’impresa con la quale stipulerà, in seguito, il contratto
d’appalto, senza manifestare ancora alcuna volontà negoziale.
B) Natura mista
Si tratta dell’orientamento più recente, che ascrive all’aggiudicazione una duplice natura, sia provvedimentale che negoziale,
quale espressione della altrettanto doppia natura attribuita alla procedura ad evidenza pubblica:
- natura pubblicistica: la PA agisce nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica in qualità di autorità ed è tenuta a
rispettare le regole dell’evidenza pubblica al fine di assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico;
- natura negoziale: la PA agisce, nell’ambito della procedura ad evidenza pubblica, in qualità di contraente e soggiace alle
regole di diritto comune, di cui agli artt. 1337 e ss. c.c. Qualificazione del bando in termini di invito ad offrire, della
proposta dei partecipanti in termini di offerta negoziale e della aggiudicazione in termini di accettazione dell’offerta.
Ne deriva che l’aggiudicazione è da qualificare tanto in termini di atto amministrativo, con il quale la PA definisce in via
autoritativa la procedura selettiva e individua la persona dell’altro contraente (natura pubblicistica), quanto sub specie di atto
negoziale, espressivo della volontà della PA di addivenire alla stipula del contratto. In particolare, si ritiene che con
l’aggiudicazione la PA non si limita ad individuare il migliore contraente, bensì manifesta già il suo consenso negoziale; il
contratto, successivamente stipulato, assume così natura soltanto ricognitoria del consenso già prestato a conclusione della
procedura di evidenza pubblica.
Tuttavia, il predetto orientamento, volto a riconoscere natura provvedimentale - negoziale all’aggiudicazione, pare
sconfessato dall’art. 11, co. 7, Codice dei Contratti Pubblici, che esclude l’equivalenza dell’aggiudicazione
all’accettazione dell’offerta, nel senso di inidoneità dell’aggiudicazione ad instaurare un rapporto negoziale con
l’aggiudicatario e di inconfigurabilità, in capo a quest’ultimo, di una posizione di diritto soggettivo. L’aggiudicazione è
qualificata alla stregua di atto amministrativo ampliativo della sfera giuridica dell’aggiudicatario, il quale diviene titolare di
un interesse legittimo pretensivo alla stipula del contratto.
A tale esito è di recente pervenuto il Cons. Stato, sez. II, parere 27 marzo 2007, che, nell’escludere la immediata rilevanza,
ai fini della definizione della procedura di evidenza, della normativa entrata in vigore dopo l’aggiudicazione, ma prima della
stipula del contratto, ha richiamato la delicata, e da sempre dibattuta, questione relativa alla natura dell’atto di aggiudicazione:
“questione sulla quale, come è noto, da sempre si contrappongono tesi divergenti, dirette a sostenere rispettivamente la
natura provvedimentale (come ritenuto da Cons. Giust. Amm., 20 luglio 1999, n. 365; Cons. Stato, sez. V, 25 maggio 1998,
n. 677; Tar Sicilia, Catania, 10 settembre 1996, n. 1603) ovvero anche negoziale dell’aggiudicazione (come ritenuto da Cons.
Stato, sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4722; VI, 14 gennaio 2000, n. 244; sez. V, 19 maggio 1998, n. 633; Cons. Stato, sez. IV,
21 maggio 2004, n. 3355; Cons. Giust. Amm, 8 marzo 2005, n. 104).
Ed invero, anche aderendo alla prima delle due indicate impostazioni (cui per vero pare dare supporto l’art. 11, comma 7, D.
Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, laddove prevede che “l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta”),
l’aggiudicazione resta pur sempre l’atto con cui si definisce la procedura pubblicistica di selezione del contraente, ancorché
non ancora idoneo ad instaurare il rapporto contrattuale”.
3. Conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto: qualificazioni sostanziali e
implicazioni processuali.
Si tratta di un aspetto ampiamente dibattuto, atteso il coinvolgimento di differenti interessi, non sempre agevolmente
conciliabili. Da un lato, quello alla stabilità e certezza dei rapporti contrattuali di cui è parte la P.A.; dall’altro, quello del
privato, che abbia vittoriosamente proposto ricorso avverso gli atti di gara, ad ottenere una tutela non formale, ma effettiva e
sostanziale, comprensiva della possibilità di ottenere l’autentico bene della vita anelato, costituito dal subingresso nel
rapporto contrattuale instaurato con l’aggiudicatario illegittimo; infine, quello, di cui è portatore lo stesso aggiudicatario
illegittimo, spesso vittima di illegittimità verificatesi nel corso della procedura di evidenza pubblica, a lui non imputabili,
addebitabili, per contro, alla sola stazione appaltante.
Ciò posto, occorre rilevare che l’individuazione delle conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione sulla sorte del
contratto è strettamente correlata alla definizione delle finalità della procedura ad evidenza pubblica (supra punto 1.2.), di cui
l’aggiudicazione è elemento costitutivo, ed alla definizione della natura giuridica dell’aggiudicazione (supra punto 2).
A ciò si aggiunga che dalle differenti opzioni interpretative, prospettate sul piano sostanziale, possono discendere diverse
implicazioni sul piano processuale, tra cui quelle relative alla giurisdizione (sul punto, tuttavia, Cass. Sez. un., 28 dicembre
2007, n. 27169, conclude comunque per la giurisdizione del giudice ordinario) ed alla legittimazione ad agire in giudizio.
Diverse le posizioni a confronto:
A) Impostazione tradizionale.
Muove dall’impostazione più risalente (punto 1.2.1.) che ritiene la disciplina delle procedure ad evidenza volta alla tutela
esclusiva dell’interesse della PA. Il procedimento si pine, in questa prospettiva, quale fase di formazione della volontà
della PA o di integrazione della capacità della PA; le violazioni della normativa dell’evidenza pubblica rilevano quindi in
termini di vizi della volontà (art. 1427 c.c.) o di difetto di capacità della PA (art. 1425 c.c.). Di conseguenza, lo stesso
annullamento dell’aggiudicazione si presenta quale vizio inficiante la volontà o la capacità della PA ovvero come motivo di
annullabilità del contratto (Cass. civ., n. 14901/2000). Tale tesi è stata sostenuta, per lungo tempo, dalla giurisprudenza della
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Corte di Cassazione e dalla dottrina maggioritarie.
Più nel dettaglio, alla stregua di un primo orientamento, l'annullamento dell'aggiudicazione comporterebbe l'annullabilità
relativa ex art. 1441 c.c. del contratto di appalto; si tratta di un indirizzo massicciamente seguito dalla giurisprudenza del
Giudice ordinario, ma anche talvolta dalla giurisprudenza amministrativa (Cass. 17 novembre 2000, n. 14901; Cass. 8 maggio
1996, n. 4269, Cass. 28 marzo 1996, n. 2842; Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2002, n. 570; T.A.R. Puglia, Lecce, 28 febbraio
2001, n. 746).
La tesi muove dal rilievo secondo cui gli atti amministrativi adottati nella procedura di evidenza pubblica, che precedono la
stipulazione dei contratti jure privatorum, "non sono altro che mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente
pubblico, sicché i loro vizi, traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, non possono che comportare
l'annullabilità del contratto, deducibile, in via di azione o di eccezione, soltanto da detto ente" (Cass. 8 maggio 1996, n.
4269). Detto diversamente, il procedimento ad evidenza pubblica ha la funzione di salvaguardare la corretta formazione del
consenso da parte della pubblica amministrazione, garantendo che essa scelga il contraente migliore tra tutti i partecipanti
alla procedura concorsuale; le relative norme sono, pertanto, dettate esclusivamente a tutela dell'interesse
dell'amministrazione. I sostenitori della tesi dell'annullabilità, conforme all'interesse dell'Amministrazione, ritengono che tale
soluzione sia quella più idonea ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, atteso che, diversamente, aderendo
all'orientamento della nullità assoluta, qualunque terzo escluso dall'aggiudicazione potrebbe far valere, anche a distanza di
tempo, l'invalidità radicale del contratto, travolgendone gli effetti.
Ferma restando la tesi dell'annullabilità, dottrina e giurisprudenza ne hanno individuato un diverso fondamento: si è parlato
ora di vizio del consenso per errore essenziale e riconoscibile sulla qualità di legittimo aggiudicatario dell'altro contraente
(artt. 1428 e 1429, n. 3 c.c.), ora di annullabilità ex articolo 1425, primo comma, c.c., per una sorta di incapacità a contrattare
dell'amministrazione ove sia caducata la delibera di contrattare , ora ancora di annullabilità per difetto di legittimazione
negoziale della pubblica amministrazione intesa come ipotesi concreta di incapacità rispetto allo specifico negozio, a fronte
di una generale capacità giuridica e di agire del soggetto. E' stato, tuttavia, sottolineato da attenta dottrina che non tutte le
fattispecie decise dalla Cassazione riguardano casi di precedente annullamento dell'aggiudicazione, sicché si è per certi versi
dubitato che l'effettivo decisum abbia negato l'effetto di travolgimento del contratto scaturente dall'annullamento
giurisdizionale dell'aggiudicazione. In senso critico, si è osservato: a) le norme sull'evidenza pubblica non sono poste solo
nell'interesse della parte pubblica, ma anche, se non soprattutto, in quello delle imprese ad un accesso libero, competitivo e
concorrenziale alla contrattazione con le amministrazioni; b) la riserva alla sola pubblica amministrazione della legittimazione
a domandare l'annullamento del contratto impedisce una tutela satisfattiva e piena dell'impresa ricorrente che ha ottenuto
l'annullamento dell'aggiudicazione; c) l'ascrizione dell'annullamento dell'aggiudicazione alle categorie dell'incapacità di
contrattare (art. 1425) o dei vizi del consenso (art. 1427 c.c.) risulta sprovvista di sufficienti riscontri positivi e di sicure
indicazioni argomentative non chiarendosi i caratteri costituivi della presunta incapacità legale dell'amministrazione e non
precisandosi il tipo di vizio della volontà nella specie riscontrato.
Conseguenze sul piano processuale:
- legittimazione attiva della sola PA all’impugnazione del contratto, posto che, ai sensi dell’ (art. 1441 c.c., l’annullamento
può essere domandato solo da chi vi abbia interesse;
- termine prescrizionale di cinque anni;
- natura costitutiva della pronuncia di annullamento del contratto;
- giurisdizione del GO sulla domanda di annullamento del contratto, venendo in rilievo fattispecie privatistiche generatrici
di posizioni di diritto soggettivo perfetto.
Critiche:
- riconoscimento alla PA di una posizione di privilegio, essendo l’unica legittimata ad agire per l’annullamento del contratto;
soluzione, peraltro, incoerente, posto che si legittima ad agire il soggetto al quale, in genere, si imputa la commissione delle
illegittimità procedimentali e non anche chi le subisce, ovvero il contraente;
- necessità di una diversa valutazione delle finalità sottese alla disciplina pubblicistica di selezione del contraente (tanto più
quella di derivazione comunitaria), in quanto volta a presidiare non già l’interesse della P.A. alla stipula del contratto più
conveniente, ma quello a che sia assicurato il dispiegarsi dei meccanismi concorrenziali nell’importante settore delle
commesse pubbliche;
- conseguente riconoscimento anche dell’interesse dei soggetti partecipanti alla procedura, da garantire attraverso il
riconoscimento della loro legittimazione all’impugnativa del contratto, pena la violazione dei principi di effettività e
satisfattività della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della PA (artt. 24 e 113 Cost.);
- frantumazione della giurisdizione, essendo il GA abilitato a conoscere del ricorso caducatorio, il GO della domanda di
annullamento del contratto. Esito, questo, reputato peraltro non agevolmente armonizzabile con l’effetto di
concentrazione processuale voluto dal legislatore della legge n. 205/2000 (e ora del D. Lgs. n. 163/2006) ed attuato con la
previsione di un’ipotesi di giurisdizione esclusiva del GA nel settore degli appalti pubblici.
- inapplicabilità, di fatto, della previsione di cui all’art. 7, legge Tar (come modificato dall’art. 7 legge 205/00), posto che il
fatto storico della stipulazione è considerato ostativo alla tutela risarcitoria in forma specifica, che la norma in discorso
concentra presso il GA, in uno con la tutela caducatoria.
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B) Impostazioni più recenti.
B1) Muovendo dalle critiche sopra riportate e valorizzando sempre il profilo delle finalità, taluni osservano che la procedura
ad evidenza pubblica, disciplinata a livello comunitario e oggi recepita nel Codice dei Contratti Pubblici, costituisce
strumento di tutela della concorrenza, finalizzata a garantire effettività alle libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi
di cui al Trattato CE.
Le norme della procedura ad evidenza pubblica rivestono, pertanto, carattere imperativo, in quanto dirette alla tutela
di interessi di ordine pubblico generale, la cui violazione comporta la nullità virtuale del contratto (art. 1418 c.c.) (Cons.
Stato, n. 1218/2003).
Ad analoga conclusione perviene l’orientamento, più di recente affermatosi, che, muovendo dalla natura giuridica mista del
provvedimento di aggiudicazione e valorizzandone la componente negoziale (supra paragrafo 2B), considera l’annullamento
dello stesso quale circostanza determinante il venir meno del consenso della p.a., con conseguente nullità del contratto ex art.
1418, co. 2, c.c., per mancanza del requisito essenziale dell’accordo (art. 1325, n. 1, c.c.) (in termini, Cons. Stato, sez. V, 28
marzo 2008, n. 1328; sez. IV, n. 3355/04; C.G.A., sez. giurisdiz., n. 104/2005).
Più nel dettaglio, su questo secondo fronte si staglia chi sostiene che all'annullamento dell'aggiudicazione consegua la nullità
del contratto, traendo argomento dal primo comma dell'art. 1418 c.c., che sanziona con la nullità il contratto contrario a
norme imperative (c.d. nullità virtuale o extratestuale).
Il percorso argomentativo seguito dalla corrente giurisprudenziale in esame muove dalla constatazione che l'invalidità che
inficia il contratto stipulato con il privato contraente deriva dalla violazione di norme di azione disciplinanti il procedimento
di gara ad evidenza pubblica. Le norme che prescrivono le modalità da osservare nella scelta del contraente esprimono un
implicito divieto di stipulare con soggetti che non siano risultati legittimi vincitori dalla pubblica selezione. Come è stato
stabilito "tale qualificazione della patologia si fonda sulla constatazione secondo cui la procedimentalizzazione della scelta
del contraente ed il suo coordinamento a profili di interesse pubblico in ordine all'acquisizione della migliore offerta
contrattuale, configurano una fattispecie complessa, nella quale convergono meri atti, operazioni materiali, provvedimenti,
dichiarazioni di volontà del privato, e del quale la stipulazione del contratto rappresenta l'effetto finale. Ne consegue che
l'invalidità di atti della serie procedimentale che incidano sulla legittimità dell'aggiudicazione non consentono alla suddetta
fattispecie di conseguire il proprio perfezionamento giuridico, ed in primo luogo di determinare l'idem consensus (ovvero
l'accordo) che costituisce elemento essenziale di ogni contratto. E' noto che il vizio radicale del consenso, nel senso del suo
difetto genetico originario, produce la nullità del contratto e non la semplice annullabilità, ai sensi dell'art. 1418 comma 2
c.c."( T.A.R. Puglia, Bari, 23 ottobre 2002, n. 394). Viene, poi, riconosciuta la nullità del contratto nel caso di incompetenza
assoluta
dell'organo
stipulante.
Sulla base di tali premesse, la nullità del contratto stipulato a seguito di procedura concorsuale illegittima viene giustificata
secondo tre diverse prospettive. Un primo orientamento ritiene che l'annullamento (giurisdizionale o amministrativo) degli
atti di gara per motivi di legittimità, facendo venire meno ex tunc il provvedimento di aggiudicazione, dà luogo ad una
mancanza originaria del consenso dell'amministrazione all'assunzione del vincolo negoziale: la nullità del contratto si
giustificherebbe alla stregua del combinato disposto delle previsioni di cui agli artt. 1418, comma 2, e 1325, n. 1, c.c..
Conseguenze sul piano processuale:
- legittimazione ad agire riconosciuta a chiunque vi abbia interesse e rilevabilità d’ufficio della nullità ad opera del giudice
(art. 1421 c.c.);
- imprescrittibilità dell’azione di nullità (art. 1422 c.c.);
- natura dichiarativa della pronuncia di nullità;
- giurisdizione affidata al GO, quale giudice della patologia contrattuale.
Critiche:
- annullabilità dell’aggiudicazione come vizio di nullità sopravvenuto, in distonia con il carattere genetico dei vizi di nullità;
- imprescrittibilità dell’azione di nullità, legittimazione attiva di qualsiasi interessato, rilevabilità d’ufficio della nullità ad
opera del giudice: conseguenze tutte che attentano ai principi di certezza e stabilità dei rapporti giuridici fra la PA e il
privato.
Repliche ai rilievi critici:
- la sopravvenienza non investe il vizio di nullità, bensì unicamente il suo accertamento processuale;
- adattamento del regime civilistico della nullità al processo amministrativo: legittimazione limitata al soggetto che ha già
agito per l’annullamento dell’aggiudicazione, entro il relativo termine decadenziale.
Giova più nel dettaglio, ricostruire le controdeduzioni formulate in risposta alle critiche tradizionalmente mosse alla tesi della
nullità.
La critica che si fonda sulla natura sopravvenuta e non genetica del vizio si basa, infatti, sull'erroneo presupposto che
l'annullamento dell'aggiudicazione incida sul rapporto e non sul suo atto giuridico costitutivo. Sennonché ogni vizio
relativo alla corretta formazione della volontà negoziale o addirittura alla sua esistenza (ivi compresi quelli, di minore
gravità, che determinano l'annullabilità del contratto) va riferito al momento genetico del rapporto e non alla sua fase
esecutiva e funzionale. Possono qualificarsi sopravvenute, in particolare, solo quelle vicende che non riguardano
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direttamente la validità del negozio giuridico ma la sua attuazione (inadempimento, eccessiva onerosità, impossibilità,
verificazione della condizione risolutiva), ma non anche quelle che, ancorché accertate successivamente, attengono
proprio al rispetto delle regole che presiedono alla valida conclusone del contratto (come quelle relative all'esistenza
dell'accordo). Non solo, ma l'efficacia retroattiva dell'annullamento giurisdizionale dell'atto impugnato impone di riferire
l'efficacia della statuizione demolitoria al momento genetico del rapporto, e cioè alla conclusione del negozio, e non alla
sua fase esecutiva, e cioè alla corretta attuazione delle obbligazioni od al funzionamento della causa (del tutto estranee agli
effetti della caducazione dell'aggiudicazione).
Quanto alla critica che individua nelle caratteristiche tipiche dell'azione di nullità (legittimazione estesa a tutti i
soggetti che hanno interesse, imprescrittibilità, rilevabilità d'ufficio del vizio, natura dichiarativa della relativa pronuncia) la
ragione principalmente ostativa all'accoglimento della relativa tesi, si osserva che, anche prescindendo dal rilievo che le
conseguenze di fatto di una teoria (quand'anche gravi) non valgono ad inficiarne la correttezza, i riferiti caratteri
dell'azione in questione vanno coordinati con le regole che presidiano il giudizio amministrativo. Quando, infatti, una
delle parti contrattuali manifesta e cristallizza il proprio consenso in un atto che riveste anche natura provvedimentale
(come nella fattispecie in esame), l'accertamento della sua illegalità ed il suo conseguente annullamento soggiacciono alle
regole tipiche del processo impugnatorio. Ne consegue che l'aggiudicazione deve essere impugnata nel prescritto termine
di decadenza e che, in difetto di tale tempestiva iniziativa giurisdizionale, resta preclusa la proponibilità dell'azione di
nullità. La natura provvedimentale dell'aggiudicazione impedisce, peraltro, al giudice di accertare d'ufficio la nullità del
contratto costituita dall'illegittimità del provvedimento finale della procedura di selezione del contraente (risolvendosi
l'esercizio di quel potere nell'inammissibile sindacato ufficioso della legittimità di un atto amministrativo). La
legittimazione a far valere la nullità va, inoltre, riconosciuta alle sole parti che hanno impugnato l'aggiudicazione, quali
unici soggetti che hanno manifestato, in concreto, interesse, invocando la rimozione dell'atto invalidante, alla declaratoria
della relativa invalidità.
Né varrebbe obiettare che le limitazioni appena segnalate finiscono per snaturare l'azione di nullità e configgono con gli
interessi ad essa sottesi, atteso che le pertinenti esigenze di tutela di interessi indisponibili vanno coordinate con quelle,
altrettanto rilevanti, di stabilità degli atti amministrativi e di certezza dei relativi rapporti giuridici. Ne consegue che la
riferita, necessaria pregiudizialità dell'annullamento dell'aggiudicazione, ai fini della dichiarazione della nullità del contratto
su domanda della sola parte che ha proposto il ricorso, risulta imposta dalle esigenze di rispetto delle regole del giudizio
amministrativo impugnatorio e che, di contro, l'applicazione alla fattispecie in esame dell'intera disciplina civilistica
dell'azione di nullità si risolverebbe nella inammissibile disapplicazione delle regole che presiedono, a tutela dei pertinenti
interessi pubblici, alla tutela giurisdizionale degli interessi lesi da provvedimenti amministrativi (tale essendo, oltre che un
atto negoziale, l'aggiudicazione).
B2) Posizione intermedia: inefficacia relativa del contratto. Il contratto è valido inter partes ed è caducabile solo su
iniziativa del contraente pretermesso (ricorrente) una volta ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione. La caducazione
dell’aggiudicazione non è opponibile al privato contraente di buona fede, per effetto dell’applicazione analogica degli artt. 23
e 25 c.c., dettati in tema di associazioni e fondazioni, in forza dei quali sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi di buona fede
in conseguenza di atti esecutivi della deliberazione a contrarre dell’ente, poi annullata (Cons. Stato, n. 6666/2003). Si tratta di
un orientamento ispirato, essenzialmente, dalla tutela del terzo di buona fede e della certezza dei rapporti giuridici.
In termini, di recente, TRGA, sez. Bolzano, 8 gennaio 2007, n. 5, secondo cui l’annullamento in sede giurisdizionale
dell’aggiudicazione della gara comporta l’inefficacia successiva del contratto di appalto medio tempore stipulato.
L’inefficacia successiva, al pari della nullità successiva, agisce retroattivamente ma, differentemente dalla seconda, incontra il
duplice limite delle situazioni soggettive che si siano già consolidate in capo ai terzi fino alla domanda volta a far dichiarare
l’inefficacia (arg. ex. artt. 1452, 1458, co. 2, 1467 e 2901 c.c.) e delle prestazioni già eseguite nei negozi di durata. Essa deve
formare oggetto di mera declaratoria da parte dello stesso giudice che pronuncia la sentenza costitutiva di demolizione
dell’atto gravato (coerentemente alla pienezza di giurisdizione che il legislatore del 1998 e del 2000 ha voluto riconoscere al
plesso giurisdizionale amministrativo), e non estende i suoi effetti sulle prestazioni medio tempore eseguite.
Conseguenze sul piano processuale:
- giurisdizione del GA che, tuttavia, ha solo il potere di accertare incidenter tantum la sopravvenuta inefficacia del vincolo
contrattuale, mentre la pronuncia dichiarativa, con forza di giudicato, di inefficacia del contratto spetta al GO.
Critiche:
- dubbia l’applicazione analogica degli artt. 23 e 23 cod. civ. agli atti della PA, autorità di diritto pubblico, e, più in generale,
dubbia l’ammissibilità di una causa di inefficacia relativa non prevista dall’ordinamento;
- altrettanto incerta la qualificabilità del contraente, vincitore illegittimo, come “terzo” di buona fede. Tale rilievo critico si
fonda su tre ordini di considerazioni:
• il vizio che inficia l’aggiudicazione concerne un procedimento aperto al quale lo stesso contraente ha partecipato;
• la stipulazione di un contratto, quando ancora non sia decorso il termine per l’impugnazione degli atti di gara, comporta
assunzione del rischio circa gli effetti del giudizio, eventualmente instaurato, sulla stipulazione;
• possibilità che l’illegittimità dell’aggiudicazione sia connessa ad un vizio provocato dallo stesso contraente, il quale abbia
partecipato vittoriosamente alla procedura senza averne i requisiti.
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B3) Orientamento che valorizza il rapporto di conseguenzialità fra aggiudicazione e contratto: si tratta di un rapporto
assimilabile al collegamento negoziale fra contratti di diritto privato, assoggettato alla regola simul stabunt simul cadent,
trattandosi di atti inscindibilmente connessi tra una pluralità di atti collocati nello spazio di una vicenda sostanzialmente
unitaria. Cosicché, dall’annullamento dell’aggiudicazione discende la caducazione automatica del contratto (Cons. Stato,
nn. 2332/2003; 2992/2003; 4295/2006): l’annullamento dell’aggiudicazione segna, in via retroattiva, il venir meno di uno dei
presupposti di efficacia del contratto, che resta, pertanto, definitivamente privato dei suoi effetti giuridici, ovvero inficiato da
inefficacia assoluta.
Conseguenze sul piano processuale:
- non necessità di una pronuncia costitutiva, bensì natura dichiarativa della pronuncia caducatoria;
- inefficacia assoluta rilevabile da chiunque vi abbia interesse, quale effetto meccanico conseguente all’annullamento
dell’aggiudicazione;
- giurisdizione dello stesso GA che, in sede di annullamento dell’aggiudicazione, dà atto della caducazione del contratto, in
forza dell’automatismo di cui si è detto, anche in assenza di sollecitazioni di parte in ordine alla declaratoria di caducazione
del contratto.
Tale tesi pare, ad oggi, suffragata dal disposto di cui all’art. 246, Codice dei Contratti Pubblici, secondo cui “la
sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato e il risarcimento del
danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”. Promuovendo una lettura a contrario di tale norma, i sostenitori
della posizione da ultimo riportata hanno qualificato tale previsione come eccezione alla regola generale, integrata proprio dalla
caducazione automatica, concepita dal legislatore unicamente a fronte di procedure relative a infrastrutture e insediamenti
produttivi.
4. Il recente intervento di Cass., Sez. un., 28 dicembre 2007, n. 27169 e di Cons. Stato, 28 marz0 2008, n. 1328.
Le Sezioni Unite di Cassazione sono di recente intervenute sulle vicende del contratto stipulato tra PA appaltante e
aggiudicatario in conseguenza dell’annullamento in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione, prendendo posizione, in
particolare, sul profilo della giurisdizione. Si tratta di una pronuncia che innova rispetto agli orientamenti sin qui espressi,
posto che, nell’individuare nel GO il giudice competente a conoscere delle sorti del contratto, le Sezioni Unite si
disinteressano del profilo dell’invalidità inficiante il contratto stesso, “recidendo” quel rapporto di logica consequenzialità
che, per anni, tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno ritenuto legasse i profili processuali ai profili sostanziali della
questione in discorso.
In particolare, il Supremo Collegio ha osservato che - anche per effetto delle importanti statuizioni contenute nella nota
sentenza n. 204/2004, con cui la Corte costituzionale ha richiesto l’inerenza della controversia all’esercizio del potere perché la
stessa possa essere attratta alla giurisdizione anche esclusiva del G.A. - occorre ritenere che solo il contenzioso concernente la
fase pubblicistica dell’attività negoziale della P.A. possa essere portato al vaglio del giudice amministrativo.
Osserva, invero, il giudice della giurisdizione che la fase della formazione della volontà negoziale della P.A., nonché di scelta
del contraente privato, non è libera, ma si snoda attraverso una serie di atti procedimentali caratterizzati dall’esercizio di
poteri discrezionali e vincolati. La sequenza prende normalmente avvio con la determinazione di contrarre e si conclude
(nell’appalto di opere o servizi, che qui interessa) con il provvedimento di aggiudicazione, che individua il contraente privato,
perciò costituendo l’ultimo atto e, nel contempo, il confine estremo della fase pubblicistica, del resto evidenziato dalla stessa
formulazione letterale dei ricordati artt. 6 e 7 lett. a) della legge 205 del 2000, laddove limita l’ambito della giurisdizione
esclusiva alle sole “procedure di affidamento di appalti, ..”.
In questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, che ha inizio con l’incontro
delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto, e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione, i
contraenti - p.a. e privato - si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del
carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi e di obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto. Sicché è
proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l’altro spartiacque fra le due giurisdizioni,
quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dagli artt. 1321 e ss. c.c. Ne
deriva, perciò, che alla giurisdizione del GO sia attratta non soltanto la positiva disciplina sui requisiti (artt. 1325 e ss.) e sugli
effetti (artt. 1372 e ss.), ma anche l’intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del
contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute.
La giurisdizione esclusiva del GA non è nel caso invocabile neppure per il fatto che tale inefficacia è stata considerata una
conseguenza necessaria dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione. Anzitutto, perché vige nell’ordinamento
processuale il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione, salve deroghe
normative espresse non rinvenibili nella normativa in esame. E, quindi, perchè valutare l’incidenza dell’annullamento
dell’atto amministrativo di aggiudicazione rispetto al rapporto privatistico, che ad esso consegue, costituisce una questione di
merito relativa alla verifica della validità e della perdurante efficacia del contratto di appalto; e significa pronunziare intorno
alla ricorrenza o meno delle condiciones juris, incidenti sulla sua giuridica esistenza e validità iniziale, nonché, sul perdurare degli
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effetti legati al sinallagma funzionale, non già decidere circa il corretto esercizio del potere di annullamento di ufficio che deve
necessariamente arrestarsi all’adozione del relativo provvedimento (nonché alla eventuale pronuncia sul risarcimento del
danno conseguente ex art. 35 d.lgs. 80/1998).
Sostengono, più nel dettaglio le Sezioni unite, che tutte le variegate posizioni della giurisprudenza amministrativa e di quella
ordinaria sulla sorte del contratto, nonché dei diritti ed obblighi dallo stesso derivanti, in seguito all’annullamento del
provvedimento che ne costituisce il presupposto, hanno quale presupposto comune una vicenda propria dell’atto negoziale,
rientrante nel sistema delle inefficacie-invalidità (significativamente) disciplinate dal codice civile, in forza delle quali non se ne
producono gli effetti perseguiti, o questi vengono a cessare.
Anche la condizione di inefficacia e l’effetto costitutivo della caducazione del contratto (perciò stesso non assimilabile ad un
mero atto di ritiro) non discendono dalla statuizione di annullamento adottata dal giudice amministrativo (che pur ne
costituisce il presupposto necessario), ma derivano direttamente dalla legge (cosi come avviene per le patologie del contratto
dovute a peculiari vizi genetici, come riconosce lo stesso Consiglio di Stato invocando i principi civilistici sui negozi
collegati). La quale, d’altra parte, ben può escluderla, come ha fatto l’art. 14 d.lgs. 190 del 2002 per le procedure di
progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale:
disponendo che l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina
la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori e che in tal caso il risarcimento degli
interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica.
Sulla scorta di siffatte considerazioni, quindi, le Sezioni Unite sostengono che i riflessi sul contratto di appalto, del sistema
delle irregolarità-illegittimità che affliggono la procedura amministrativa a monte, devono essere scrutinati in ogni caso dal
giudice ordinario: tanto, non solo nelle fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne
affliggono singoli atti), ma anche in quella della sua successiva mancanza legale provocata dall’annullamento del
provvedimento di aggiudicazione, il criterio di riparto delle giurisdizioni non essendo fondato sul grado ed i profili di
connessione tra dette disfunzioni ed il sistema delle invalidità-inefficacia del contratto, e neppure sulla tipologia delle
sanzioni civilistiche che dottrina e giurisprudenza di volta in volta gli riservano, ma unicamente sulla separazione imposta
dall’art. 103, co. 1, Cost. tra il piano del diritto pubblico (e del procedimento amministrativo) ed il piano negoziale,
interamente retto dal diritto privato: separazione nuovamente ribadita dall’ art. 244 del codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (d.lgs. 163 del 2006), che ha confermato
l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di “tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie,
relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del
contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica
previsti dalla normativa statale o regionale”.
E, per quanto riguarda la successiva fase contrattuale, soltanto di quelle “relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti,
quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione
continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’art. 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei
prezzi ai sensi dell’art. 133 commi 3 e 4”: nelle quali (almeno fino alle leggi 359 del 1992, art. 3 e 109 del 1994, art. 26), la
posizione del contraente privato è stata da decenni qualificata dalla giurisprudenza di interesse legittimo e perciò devoluta già
nel quadro normativo antecedente all’art. 33 d.lgs. 80/1998, alla giurisdizione generale di legittimità del giudice
amministrativo ex artt. 2 e 3 legge 1034 del 1971.
Conclusivamente, spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere tanto la dichiarazione di nullità
quanto quella di inefficacia o l’annullamento del contratto dì appalto, a seguito dell’annullamento della delibera di scelta
dell’altro contraente, adottata all’esito di una procedura ad evidenza pubblica: posto che, in ciascuno di questi casi, la
controversia non ha ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si
concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto
patologico, al fine di impedirne l’adempimento; che le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l’accertamento
negativo hanno consistenza di diritti soggettivi pieni; e che il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla
normativa positiva delle regole attraverso cui l’atto negoziale è sorto, ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici.
Prime critiche:
- inopportuno il richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/04, inerente alla materia dei pubblici servizi e
non già a quella dei contratti che la PA stipula per espletare le proprie attività;
- incoerenza della pronuncia nella parte in cui premette la netta separazione tra la fase pubblicistica e quella privatistica, tra
le quali il provvedimento di aggiudicazione funge da spartiacque, per poi affermare la necessaria consequenzialità tra
aggiudicazione e contratto, salvo concludere, immotivatamente, per la prevalenza delle istanze privatistiche, posto che i
vizi del provvedimento, secondo la Corte, non possono che tradursi in patologie o inefficacie negoziali, su cui interviene il
GO, quale giudice del contratto.
Tale assunto appare peraltro fondato su argomenti altrettanto contestabili:
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• sull’inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione, senza considerare che tale principio vale unicamente per
la giurisdizione di legittimità e non anche per quella esclusiva;
• sul richiamo alle diverse fattispecie di patologie ed inefficacie negoziali, senza, tuttavia, recare precisi riferimenti alle
norme codicistiche, né tantomeno ai soggetti legittimati a dedurle, in via principale o di eccezione, chiedendo la
declaratoria dell’invalidità del contratto o l’accertamento della sua inefficacia;
•
sulla derivazione ex lege dell’inefficacia del contratto in presenza di vizi inficianti l’aggiudicazione e non già
conseguente alla pronuncia caducatoria del provvedimento emessa dal GA.
Di recente, il Consiglio di Stato è tornato sulla questione.
Con ordinanza 28 marzo 2008, n. 1328, la quinta Sezione ha infatti rimesso al vaglio dell’Adunanza plenaria l’esame della
complesa vicenda, prendendo peraltro posizione in senso del tutto diverso rispetto alle conclusioni rassegnate solo qualche
mese prima dalle Sezioni unite di Cassazione.
Osservano i Giudici della quinta Sezione che sulla indicata questione doi riparto non sembra influire la sentenza n. 204/2004
della Corte Costituzionale che, nel ridefinire il quadro della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non ha
tuttavia inciso sulle specifiche previsioni normative di cui agli artt. 6 e 7 della legge n. 205/2000, che regolano il riparto di
giurisdizione in materia di contratti della pubblica amministrazione.
Soprattutto, la quinta Sezione ritiene che la prospettata questione di giurisdizione sia logicamente successiva a quella,
sostanziale, relativa alla sorte del contratto concluso sulla base di aggiudicazione annullata: più nel dettaglio, alla soluzione
del problema di riparto occorre procedere tenendo conto della soluzione che si ritiene di seguire sulla questione sostanziale.
La questione va posta, quindi, distinguendo a aseconda che si acceda all’una o all’altra delle soluzioni prospettate sul quesito
sostanziale e avendo riguardo al tipo di domande proponibili e proposte.
Così:
a) se la soluzione preferita postula la pronuncia di decisioni costitutive (annullamento, risoluzione del contratto e, forse,
inefficacia sopravvenuta), si rivela necessaria la proposizione di domande intese a conseguire una statuizione che elimini gli
effetti del contratto e risulta, al contempo, precluso ogni apprezzamento incidentale della sua inefficacia;
b) se si ritiene, viceversa, che l’inefficacia del contratto si produca automaticamente (come nei casi della nullità o della
caducazione automatica), deve concludersi che tale conseguenza va accertata con pronunce dichiarative e che può anche
essere accertata in via incidentale.
Ne consegue che, nell’ipotesi sub a), occorre verificare se l’ambito di giurisdizione esclusiva disegnato dall’art. 6 L. n.
205/2000, letteralmente circoscritto alle controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici, possa
estendersi, in via interpretativa, fino a comprendere anche il sindacato diretto dell’invalidità e dell’inefficacia del contratto e,
soprattutto, la potestà di adottare pronunce costitutive (quali l’annullamento o la risoluzione).
La giurisprudenza si è finora occupata, a ben vedere, della questione generale della spettanza al giudice amministrativo della
potestà cognitiva dell’incidenza dell’annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica sulla validità e sull’efficacia
del contratto affermandola sulla base dell’apprezzamento delle esigenze di concentrazione in capo ad un’unica autorità
giurisdizionale dei poteri attinenti alla delibazione della medesima vicenda sostanziale e della valorizzazione del carattere
esclusivo della giurisdizione in materia (cfr. Cons. St. sez. VI, n. 2332/03; sez. VI, n. 2992/03; sez. IV, n. 6666/03 cit; Cons.
Giust. Amm., 31 maggio 2002, n. 276; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 29 maggio 2002, n. 3177; T.A.R. Puglia, Lecce, sez.
II, 28 febbraio 2001, n. 746) - ma ha omesso un esame diretto e puntuale della sussistenza della competenza giurisdizionale
nell’esercizio di un sindacato diretto (e non incidentale) della validità e dell’efficacia del contratto e nella conseguente
adozione di pronunce costitutive.
La quinta Sezione ritiene che l’attribuzione delle controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti pubblici alla
giurisdizione esclusiva amministrativa risulterebbe del tutto inutile se non si intendesse tale ambito di competenza come
comprensivo anche delle questioni relative alla validità ed all’efficacia del contratto (che, sole, paiono concernere diritti
soggettivi), che l’esclusione di queste ultime dal novero di quelle conoscibili dal giudice amministrativo sulla base dell’art. 6
legge n. 205 del 2000 determinerebbe l’inaccettabile conseguenza di costringere il ricorrente ad un faticoso, farraginoso e
dispendioso itinerario giurisdizionale, dal giudice amministrativo (per l’annullamento dell’aggiudicazione), a quello ordinario
(per l’annullamento o la risoluzione del contratto) e, forse, di nuovo a quello amministrativo (per il risarcimento dei danni),
per ottenere giustizia di un’unica vicenda sostanziale, con evidente vulnus delle esigenze di economicità, effettività e
semplificazione e della tutela giurisdizionale, e, da ultimo, che l’inscindibilità del vincolo che collega gli aspetti pubblicistici e
quelli privatistici della contrattazione avente ad oggetti gli appalti pubblici impedisce di giudicare il sindacato diretto della
validità e dell’efficacia del contratto estraneo ai confini della giurisdizione esclusiva attinente alla presupposta procedura di
affidamento.
Lo stesso Collegio mostra peraltro di non ignorare che la formulazione letterale dell’art. 6 l. n. 205/2000, là dove limita
l’ambito di giurisdizione esclusiva ai soli provvedimenti della procedura di affidamento degli appalti (con conseguente,
implicita, esclusione della cognizione di tutti gli atti successivi alla sua conclusione - ivi compreso il contratto), costituisce un
rilevante ostacolo alle conclusioni sopra esposte, ma reputa che il riferito dato testuale non impedisce la lettura della
disposizione che, in esito ad un’esegesi logico-sistematica del suo ambito applicativo (condotta in ossequio ai canoni
ermeneutici sopra indicati), assegna al giudice amministrativo la potestà di conoscere in via diretta le questioni relative alla
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validità ed all’efficacia del contatto d’appalto, siccome direttamente riferibili all’illegittimità della presupposta aggiudicazione,
e di pronunciare le relative statuizioni costitutive (come l’annullamento).
Resta, in ogni caso, esclusa, anche accedendo all’interpretazione estensiva appena esposta, la possibilità di pronunciare la
risoluzione del contratto (od altre statuizioni costitutive prive di una connessione diretta con la validità dell’aggiudicazione)
che, postulando l’accertamento di vicende relative all’attuazione del rapporto e non immediatamente ascrivibili alla
legittimità della procedura di affidamento, risultano senz’altro riservate alla giurisdizione ordinaria.
In merito alla fattispecie indicata sub b), la quinta Sezione distingue invece due diverse situazioni processuali:
1) è stata presentata una domanda diretta ad ottenere una pronuncia dichiarativa;
2) non è stata presentata, ma è stata formulata una domanda di reintegrazione in forma specifica che postula l’accertamento
incidentale dell’inefficacia del vincolo contrattuale (che costituisce il presupposto indefettibile dell’invocata sostituzione del
contraente).
Nel caso sub 1) valgono le stesse considerazioni svolte a proposito delle pronunce costitutive - non ravvisandosi, al riguardo,
differenze significative, quanto alla giurisdizione, tra le ipotesi di pronunce dichiarative e quelle di pronunce costitutive.
Nella situazione descritta sub 2) non pare, invece, dubbio, ad avviso del Collegio, che il giudice amministrativo sia dotato
della relativa competenza giurisdizionale, anche se, occorre precisare, non ai sensi dell’art. 6, ma dell’art. 7 della legge n. 205
del 2000.
A ben vedere, infatti, a fronte di una domanda di reintegrazione in forma specifica ed in assenza di una domanda intesa ad
ottenere la declaratoria della nullità o, comunque, dell’inefficacia del contratto, è proprio (e solo) la norma che attribuisce al
giudice amministrativo una potestà cognitiva piena in materia di risarcimento del danno, comprensiva, come tale, di ogni
questione incidentale che rileva ai fini dello scrutinio della fondatezza della pretesa risarcitoria, a giustificare l’affermazione
della giurisdizione amministrativa in ordine all’accertamento di tutte le situazioni di diritto (ivi compresa l’inefficacia del
contratto d’appalto) implicate dalla domanda di risarcimento del danno.
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