(scienze motorie) (Fatica muscolare) - Digilander

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UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI NAPOLI “PARTHENOPE”
FACOLTA‟ DI SCIENZE MOTORIE
Corso di Laurea in Scienze Motorie
33- Classe delle Lauree in Scienze delle attività Motorie e Sportive
Tesi di Laurea
FATICA MUSCOLARE: ACIDO LATTICO O FOSFATO
INORGANICO LA PRINCIPALE CAUSA
RELATORE
Bruno De Luca
Docente di Fisiologia dello Sport
Università “Parthenope”
Anno accademico 2005/2006
CANDIDATO
Luigi Sorgente
Matr. MS/0502001211
FATICA MUSCOLARE: ACIDO LATTICO O FOSFATO
INORGANICO LA PRINCIPALE CAUSA.
INDICE
Premessa………………………………………………………….pg. 1
Introduzione………………………………………………………pg. 3
CAPITOLO 1
Aspetti fisiologici della fatica muscolare…………………………pg. 6
CAPITOLO 2
Aumento e diminuzione dell‟acido lattico come causa diretta di
disfunzione del muscolo scheletrico durante la fatica…………....pg. 9
CAPITOLO 3
L‟insorgere dell‟incremento del fosfato (Pi), come maggiore
causa della fatica del muscolo scheletrico…………………..…..pg. 18
Conclusioni………………………………………………………pg. 28
Bibliografia………………………………………………………pg. 29
Premessa
La fatica costituisce il denominatore comune di molte attività sportive, e
quindi in ambito motorio è indispensabile conoscere gli aspetti fisiologici
che la determinano. In fisiologia la fatica è definita come:
“ Condizione di blocco delle capacità contrattili del muscolo”.
Nel corso degli ultimi trent‟anni il concetto di fatica si è piuttosto
modificato ed in un certo senso “evoluto”. Prima degli anni ‟70 infatti,
fisiologicamente la nozione di fatica era essenzialmente un sinonimo
dell‟esaurimento delle scorte energetiche, prevalentemente dell‟ATP e
dell‟accumulo di sostanze inibitrici nei confronti dei meccanismi di
ripristino energetico. Solamente a partire dagli anni „80 si è cominciato ad
interpretare il fenomeno come multifattoriale e reversibile, considerando
anche, sia la sua diversa velocità, che i suoi differenti termini di insorgenza.
Più tardi, a cominciare dagli anni ‟90, si è potuto assistere ad un crescente
consolidamento dei concetti di plasticità muscolare e dei meccanismi di
ottimizzazione della produzione di forza da parte del muscolo.
Oggi, siamo quindi a conoscenza dei numerosi aspetti fisiologici della
fatica muscolare, che ci permettono di intervenire e regolare l‟esercizio
fisico nelle diverse attività motorie e sportive.
Introduzione
Il consumo di energia delle cellule muscolari scheletriche può aumentare
più di 100 volte, quando si passa dalle condizioni di riposo a quella di
esercizio di elevata intensità. Questa elevata domanda di energia eccede le
capacità aerobiche della cellula muscolare e la grande frazione di ATP
richiesta dovrà derivare dal metabolismo anaerobico.
Esercizi di intensità elevata inducono anche una rapida riduzione delle
capacità contrattili, conosciuta come fatica del muscolo scheletrico.
Sembra perciò logico esserci un relazione causale tra metabolismo
anaerobico e fatica del muscolo; ovvero il metabolismo anaerobico causa
come conseguenza la riduzione della funzione contrattile.
In questo lavoro, vengono trattati i principali meccanismi di risposta
fisiologica legati all‟acidosi intracellulare e all‟accumulo di fosfato
inorganico.
L‟ acidosi intracellulare dovuta principalmente alla accumulo dell'acido
lattico, conseguente alla scissione anaerobica di glicogeno, è stata
riguardata come la causa più importante di fatica nel muscolo scheletrico.
Studi recenti sul muscolo mammifero, comunque, dimostrano un ridotto
effetto diretto dell' acidosi sulla funzione del muscolo a temperature
fisiologiche. Invece, il fosfato inorganico che aumenta durante la fatica in
seguito alla scissione della fosfocreatina, appare essere una delle maggiori
cause di fatica nel muscolo.
La presente rivisitazione, si focalizzerà sui risultati ottenuti in tali studi,
come pure quelli sulla fibra muscolare isolata (fibre muscolari in cui la
membrana superficiale è stata rimossa con mezzi fisici o chimici). Questo
perché le ricerche su singole fibre muscolari fornisce la via più diretta per
parlare di meccanismi cellulari della fatica. Si può obiettare che trarre
conclusioni da studi su fibre muscolari isolate siano non rilevanti, rispetto
alla fatica sperimentata da soggetti umani durante differenti tipi di esercizi.
Comunque, sono disponibili dati indicanti, che i meccanismi della fatica
sono qualitativamente simili in diversi modelli sperimentali, spaziando da
uomini in attività a singole fibre (2). Le differenze che inevitabilmente
esistono appaiono essere principalmente di natura quantitativa.
Capitolo 1
Aspetti fisiologici della fatica muscolare
La scissione anaerobica di glicogeno porta ad un accumulo intracellulare
di acidi inorganici, di cui l‟acido lattico è quello quantitativamente più
importante, il quale dal momento che è un acido forte, si dissocia in lattato
più H+. Lo ione lattato, avrebbe uno scarso effetto sulla contrazione
muscolare(16); ed è comunque l‟incremento dello ione H+ (riduzione del
pH o acidosi), la classica causa di fatica nel muscolo scheletrico.
Comunque, il ruolo della riduzione del pH come importante causa di fatica
muscolare è ora contestata da molti recenti studi, che dimostrano che la
riduzione del pH può avere uno scarso effetto sulla contrazione del
muscolo di mammifero a temperatura fisiologica. (5,14,19,20). Oltre
all‟acidosi, il metabolismo anaerobico nel muscolo scheletrico coinvolge
anche l‟idrolisi della fosfocreatina (Crp) in creatina e fosfato inorganico
(Pi). La creatina ha uno scarso effetto sulla funzione contrattile, mentre ci
sono molti meccanismi, mediante i quali, l‟incremento del Pi può
deprimere la funzione contrattile. Così, sulla base di recenti ricerche, (68,10-12) l‟incremento del Pi, piuttosto che l‟acidosi, appare essere la più
importante causa di fatica durante esercizi di elevata intensità.
Questa breve rivisitazione delinea i risultati che costituiscono le basi per
cambiare da acidosi ad incremento del Pi il maggiore responsabile della
fatica nel muscolo di mammifero.
Ci focalizzeremo su studi nei quali lo sviluppo della fatica nell‟arco del
tempo di minuti, e nei quali le conseguenze del metabolismo anaerobico
dovrebbero essere di grande importanza.
Con una più intensa attivazione (contrazioni massimali continue), altri
fattori come l‟incapacità di propagazione del potenziale d‟azione
divengono via via più importanti. Al contrario, con un tipo di esercizio di
lunga durata (maratona), fattori come la deplezione delle riserve di
carboidrati e la disidratazione diventano anche loro importanti. Per
studiare i meccanismi che sottostanno alla fatica, frequentemente si
utilizzano le fibre muscolari isolate, che sono affaticate da ripetuti tetani di
breve durata.
Capitolo 2
Aumento e diminuzione dell’acido lattico come causa diretta di
disfunzione del muscolo scheletrico durante la fatica.
Durante una intensa attività muscolare, il pH intracellulare può cadere al di
sotto delle 0.5 unità pH. Ci sono due maggiori linee di prova che sono state
usate per collegare il declino del pH alla disfunzione contrattile durante la
fatica. Riguardo alla prima, studi sulla fatica del muscolo umano hanno
spesso mostrato una buona correlazione temporale tra il declino del pH
muscolare e la diminuzione di forza e di produzione di potenza. Circa la
seconda, studi sulla fibra muscolare scheletrica isolata hanno dimostrato
che l‟acidificazione può ridurre insieme alla forza isometrica la velocità di
accorciamento. Comunque, nell‟uomo la correlazione temporale tra il
danneggiamento della funzione contrattile durante la fatica e la riduzione
del pH, non è sempre presente. Per esempio, a volte la forza recupera più
rapidamente del pH dopo la fine di contrazioni affaticanti (18). Questo
significa che se la riduzione del pH ha un effetto diretto deprimente la forza
sul muscolo umano, questo effetto deve essere contrastato da un altro
fattore che aumenta la forza della stessa entità.
Questo fattore potenziante la forza non è stato identificato, e quindi la
conclusione ovvia, è che non esiste relazione causale tra acidosi e riduzione
della forza prodotta. Una importante prova in favore dell‟acidosi come
causa della riduzione della forza proviene da studi sulla fibra muscolare
scheletrica isolata che sono stati compiuti a temperature pari o inferiori a
15° C. (14)
Recenti studi si sono focalizzati sulla dipendenza della temperatura sugli
effetti del pH sulla forza, e i risultati di questi studi pongono ulteriormente
in dubbio il ruolo dello ione H+ sulla fatica muscolare.
Studi condotti più di 10 anni fa hanno dimostrato che l‟acidificazione, da
luogo ad un aumento della forza tetanica a temperatura fisiologica (17).
Più, recentemente Pate e colleghi(14) hanno studiato fibre dicorticate del
psoas del coniglio ed hanno osservato l‟atteso forte effetto depressivo del
pH a 10°C, mentre l‟effetto dell‟acidificazione sulla produzione di forza
era piccolo a 30°C. Risultati simili sono stati ottenuti successivamente, in
fibre muscolari di topo e nel muscolo intero dello stesso animale(20). (Fig
1 A).
I figura: (A) forza originale registrata da contrazioni tetaniche prodotte in fibre muscolari intatte, singole fibre muscolari delle dita
del topo. Le registrazioni sono state ottenute sotto condizioni di controllo (linea continua) e quando le fibre erano acidificate di 0.5
unità di pH, incrementando la concentrazione di CO2. Nel bagno (linea discontinua) si noti che l‟effetto dell‟acidificazione è
marcatamente più grande a 12°C piuttosto che a 32°C. Il periodo di stimolazione è indicato sotto la registrazione della forza.
(B) Effetto depressivo dell‟acidosi sulla produzione di forza (sinistra) e sulla velocità d‟accorciamento (a destra) che diminuiscono
mentre la temperatura aumenta. I dati sono stati ottenuti da fibre muscolari intatte e isolate di topo, da fibre dicorticate del coniglio
(∆), del ratto (0) e dalle fibre intatte di topo (∆).
La linea punteggiata indica che non c‟è differenza tra acidosi e controllo. (19)
L‟acidificazione è stata considerata essere un importante fattore che sta
sotto la ridotta velocità di accorciamento nella fatica. Comunque, usando la
fibra muscolare dicorticata del coniglio, Pate e colleghi hanno mostrato
(14) che l‟acidificazione ha uno scarso effetto sulla velocità di
accorciamento a 30°C.
Similarmente, nella fibra muscolare intatta del topo, la massima velocità di
accorciamento era ridotta del 20% a 12°C, mentre non erano significative
le riduzioni a 32°C (19).
Cosi, nel muscolo di mammifero studiato a temperature fisiologiche, la
funzione dei ponti traversi, (in altre parole il ciclico attaccarsi e staccarsi
delle teste di miosina all‟actina che da luogo alla contrazione muscolare) è
poco affetta dall‟acidificazione. (Fig 1 B). Altro meccanismo, mediante il
quale l‟acidosi intracellulare può indurre fatica è l‟inibizione del
metabolismo energetico. Enzimi chiave nella glicogenolisi e nella glicolisi
sono rispettivamente fosforilasi e fosfofruttochinasi. Entrambi questi
enzimi sono inibiti a basso pH in vitro, e quindi anche la velocità di apporto
di ATP richiesta ai processi che richiedono energia, (fenomeni dei legami
crociati e pompaggio di Ca²+ nel reticolo sarcoplasmatico), sarebbe
diminuita in muscoli che diventano acidi durante la fatica. Comunque,
recenti studi sull‟uomo non hanno mostrato una riduzione dei processi di
glicogenolisi/glicolisi in muscoli acidificati (4). Inoltre una acidificazione
di 0.4 unità di pH, non influenza la resistenza nelle fibre muscolari isolate
del topo, affaticate da ripetuti brevi tetani a 28°C.(5). Così l‟inibizione
della fosforilasi e della fosfofruttochinasi indotta dall‟acidosi in vitro
sembra essere, antagonizzata da altri fattori in vivo, e lo sviluppo della
fatica non sembra essere accelerata dall‟acidosi a temperature prossime a
quelle fisiologiche. È stato anche proposto che l‟acidosi riduca la
performance muscolare, durante la fatica, inibendo il rilascio di Ca²+ dal
reticolo sarcoplasmatico. Così l‟inibizione ridurrà il grado di attivazione
dell‟apparato contrattile e quindi porta ad una riduzione della forza
prodotta.
Sebbene sia stato ripetutamente dimostrato che c‟è una diminuzione della
concentrazione di Ca²+ durante contrazioni in condizioni di fatica (Fig 2 A)
è dubbia la sua relazione con l‟acidosi.
Una osservazione che potrebbe sostenere il ruolo del ridotto pH in questo
aspetto è che l' acidosi riduce la probabilità di apertura dei canali che
rilasciano Ca²+ dal reticolo sarcoplasmatico. (recettori della rianodina).
Comunque, l‟acidificazione non ha un ovvio effetto depressivo sul rilascio
di Ca²+ dal reticolo sarcoplasmatico in fibre muscolari isolate e dicorticate
con un sistema tubulare traverso intatto (13). Facendo il punto, l‟acidosi ha
uno scarso effetto diretto sulla produzione di forza isometrica e sulla
massima velocità di accorciamento, o sull‟entità della scissione di
glicogeno nel muscolo di mammifero a temperature fisiologiche.
II Figura : forza e concentrazione libera di Calcio mioplasmatico (Ca²+); registrazioni ottenute durante la fatica, indotta da ripetuti
brevi tetani in fibre di tipo selvatico (A) ed in fibre private della CK (CK-/-). Le fibre selvatiche, mostrano tipici cambiamenti, con
un precoce incremento della concentrazione di calcio tetanica, accompagnato da una sottile riduzione di forza. Poi segue il declino
della concentrazione di calcio tetanica e della forza, fino a che la stimolazione affaticante non viene interrotta dopo 88 tetani. Al
contrario, ne la forza ne la concentrazione tetanica di calcio sono alterate durante 100 tetani affaticanti in fibre completamente prive
della CK, nelle quali si ha fatica senza incremento del Pi. Da notare anche la minor forza nello stato non affaticato nelle fibre private
della CK in cui vi sono maggiori concentrazioni di Pi a riposo.
I periodi di stimolazione sono indicati sotto la registrazione di forza. (7)
Quindi se l‟acidosi è coinvolta nella fatica del muscolo scheletrico, gli
effetti possono essere indiretti.
Per esempio, l‟acidosi extracellulare può attivare il gruppo III-IV di
afferenze nervose nel muscolo e quindi essere coinvolti in una sensazione
di disagio durante fatica.
Questo avrebbe una certa validità dal punto di vista di atleti. Regimi di
allenamento per atleti di alto livello in sport di resistenza spesso
enfatizzano un “allenamento ad acido lattico”, ossia protocolli di
allenamento che inducono elevati livelli plasmatici di acido lattico. Un
effetto di questo tipo di allenamento può allora essere quello di imparare
ad affrontare il disagio indotto dall‟acidosi, senza rallentare ritmo e tecnica,
così da ottenere il massimo effetto fuori dai muscoli, che di per se non sono
direttamente inibiti dall‟acidosi.
Un meccanismo alternativo mediante il quale la formazione dell‟acido
lattico può imporre un limite alla performance si ha durante esercizi di
lunga durata, dove la deplezione del glicogeno è un fattore chiave. Con una
eccessiva produzione di acido lattico, l‟ ammontare totale dell‟ATP
prodotto dalle riserve di glicogeno, è minore rispetto alla completa
scissione aerobica, perché ogni unità di glucosio fornisce 3 ATP quando vi
è produzione di acido lattico e 39 ATP quando è completamente
metabolizzato nei mitocondri a CO2 e H2O. Così le riserve di glicogeno,
diminuiscono più rapidamente quando sono prodotte grandi quantità di
acido lattico e la performance muscolare è severamente compromessa a
bassi livelli di glicogeno. In fine la correlazione temporale frequentemente
osservata tra il declino del pH e il decremento della funzione muscolare
può essere coincidente piuttosto che causale.
Cioè una marcata acidificazione, implica che l‟energia richiesta eccede le
capacità del metabolismo aerobico e sono utilizzate le vie anaerobiche per
generare ATP.
Potrebbe anche essere che più che l‟acidificazione, altre conseguenze del
metabolismo anaerobico, siano le cause della riduzione della funzione
muscolare, e l‟incremento del Pi è un forte candidato per questo effetto.
Capitolo 3
L’insorgere dell’incremento del fosfato (Pi), come maggiore causa della
fatica del muscolo scheletrico.
L‟aumento di concentrazione di Pi durante intense attività dei muscoli
scheletrici è in gran parte dovuto alla scissione della CrP. Molti modelli di
azione dei ponti traversi propongono che il Pi sia rilasciato nella fase
transitoria da una bassa forza, in cui vi è uno stato di debole attacco, ad uno
di elevata forza, dove vi è uno stato di elevato attacco. Questo implica che
la transizione ad uno stato di elevata forza è impedito dall‟incremento del
Pi.
Perciò, meno ponti traversi ci sarebbero in stati elevati di forza più la
produzione di forza decrescerebbe all‟aumentare del Pi durante l‟insorgere
della fatica. In linea con questa ipotesi esperimenti su fibre muscolari
isolate e decorticate, mostrano in maniera evidente una riduzione della
forza massima attivata dal Ca²+ in presenza di elevato Pi.
L‟ ipotesi che l‟incremento del Pi riduce la massima forza dei ponti traversi
è stata difficile da dimostrare in cellule muscolari intatte, poiché è difficile
aumentare il Pi mioplasmatico, senza indurre altre variazioni metaboliche.
È stato recentemente dimostrato (6,7) che topi geneticamente modificati,
mancando completamente della creatin-kinase (CK), nei loro muscoli
scheletrici, (CK-/-), forniscono un plausibile modello per studiare gli effetti
dell‟incremento del Pi.
La CK catalizza il trasferimento del gruppo fosfato ricco di energia, tra CrP
ed ATP.
Durante periodi di elevata richiesta di energia, il risultato netto della
reazione è il passaggio che scinde la CrP, a creatina e fosfato, ma le
concentrazioni di ATP restano pressoché costanti. Le fibre a contrazioni
rapide in fibre muscolari scheletriche del topo (CK-/-), mostrano a riposo
un aumento delle concentrazion di Pi mioplasmatico; tuttavia durante la
fatica non c‟è un significativo accumulo di Pi.
La massima forza attivata dal Ca²+ nelle fibre muscolari a contrazione
rapida è fortemente ridotta nelle stesse fibre del genotipo selvatico, il che
sostiene un ruolo deprimente la forza dovuto ad un aumento di Pi (6).
Inoltre durante la fatica indotta da ripetuti tetani brevi, le fibre a
contrazione rapida con CK intatta mostrano una riduzione del 10-20% della
forza massima attivata dal Ca²+ dopo 10 tetani. Mentre la riduzione della
forza massima, che è stata ascritta ad un aumento di Pi, non si verifica nelle
fibre Ck-/- (7). Anche dopo 100 tetani la forza non era significativamente
affetta nelle fibre Ck-/-, mentre era ridotta del 30% nelle fibre dell‟animale
selvatico. (Fig 2).
Un ulteriore sostegno per l‟accoppiamento tra la concentrazione
mioplasmatica di Pi e la produzione di forza nelle cellule muscolari intatte
viene da esperimenti nei quali il ridotto Pi mioplasmatico è associato con
l‟incremento della produzione di forza (15). Così, l‟aumento del Pi
mioplasmatico, può ridurre la produzione di forza, durante la fatica,
agendo direttamente sulla funzione dei ponti traversi. Una alterata funzione
dei ponti traversi può influenzare la relazione forza – concentrazione di
Ca²+ mediante la complessa interazione dei ponti traversi e l‟attivazione
dell‟actina. In questo modo, l‟incremento di Pi, può anche ridurre la
produzione di forza, mediante una ridotta sensibilità miofibrillare per il
Ca²+, che è una caratteristica frequentemente osservata nella fatica del
muscolo scheletrico.
Negli ultimi anni, risulta in modo chiaro che l‟incremento del Pi, influenza
lo sviluppo di fatica, agendo sulla capacità del reticolo sarcoplasmatico di
regolare il Ca²+.
Da questo punto di vista, ci sono diversi meccanismi attraverso cui
l‟incremento di Pi può esercitare i suoi effetti, ed il risultato può essere sia
un aumento che una riduzione della concentrazione del calcio nel tetano.
Importanti meccanismi sono i seguenti:
 Azione diretta; Il Pi, può agire direttamente sul rilascio di Ca²+, dai
canali dal reticolo sarcoplasmatico, incrementare le loro probabilità
di apertura e facilitare il rilascio di Ca²+. Questa azione del Pi,
dovrebbe portare ad una aumentata concentrazione di Ca²+ nel
tetano, e può essere coinvolto nell‟incremento della concentrazione
di calcio nel tetano osservato normalmente all‟inizio della fatica. In
sostegno a questa nozione, le fibre private della cretinKinasi (Ck-/-)
non mostrano questo precoce incremento della concentrazione di
calcio nel tetano.
 Inibizione della ricaptazione di Ca²+; l‟aumento di Pi, può inibire
la ricaptazione sarcoplasmatica di Ca²+, indotta dall‟ATP (9). In
breve, l‟inibizione della captazione di Ca²+ da parte del reticolo
sarcoplasmatico darà luogo ad un aumento della concentrazione di
Ca²+ nel tetano (presumendo che la quantità di Ca²+ liberata sia
costante). Nel lungo termine, d‟altra parte il Ca²+ si può
accumulare in altri organuli (mitocondri) o possibilmente lasciare la
cellula. In questo modo il Ca²+, disponibile per il rilascio può
sostanzialmente diminuire, determinando una ridotta
concentrazione di Ca²+ nel tetano. Sebbene sia teoricamente
possibile che la perdita di Ca²+, dalla cellula contribuisca alla
diminuzione della concentrazione di Ca²+ nel tetano, non ci sono
esperimenti che sostengono questa teoria.
 Precipitazione Ca²+-Pi; il Pi, può entrare nel reticolo
sarcoplasmatico, determinando una precipitazione di Ca²+-Pi e
quindi una riduzione del Ca²+, disponibile per il rilascio. Questo
meccanismo è stato recentemente confermato da studi che hanno
usato differenti approcci sperimentali. In iniziali esperimenti sulla
fibra muscolare isolata o decorticata con sistema tubulare e reticolo
sarcoplasmatico intatto, Fryer e colleghi (10) hanno mostrato che
l‟incremento del Pi, deprime il rilascio di Ca²+, dal reticolo
sarcoplasmatico. Questi autori hanno anche fornito prove indirette
che il Pi può raggiungere una concentrazione nel reticolo
sarcoplasmatico sufficientemente alta da superare la soglia per la
precipitazione di Ca²+-Pi in questo ambiente con elevata
concentrazione di Ca²+. Sin da questi studi pionieristici, è stato
mostrato che il calcio disponibile per la liberazione è attualmente
ridotto nelle singole fibre affaticate provenienti dai muscoli del
rospo (11). Misurazioni della concentrazione di Ca²+, sul SR,
mostrano anche una diminuzione nelle fibre affaticate (12) del
rospo. Inoltre il declino della concentrazione di Ca²+ tetanico,
durante la fatica, è ritardato quando l‟accumulo di Pi è prevenuto
dall‟inibizione della reazione della CK, sia farmacologicamente (8)
sia con la delezione del gene(7).
Un punto debole dell‟ipotesi che l‟elevato fosfato, provochi una
precipitazione Ca²+-Pi, nel reticolo sarcoplasmatico è che il fosfato
aumenti piuttosto presto durante una stimolazione affaticante, mentre il
declino della concentrazione di Ca²+ tetanico avviene piuttosto in ritardo.
Inoltre, nelle fibre veloci del topo, il declino della concentrazione tetanica
di Ca²+ è temporaneamente correlato un incremento del Mg²+, il quale
presumibilmente deriva da una netta scissione dell‟ATP (2) e
l‟accoppiamento tra la precipitazione di Ca²+-Pi nel SR e l‟incremento
Mg²+/ridotto ATP, non è ovvio. Comunque, un recente studio, fornisce
una ragionevole spiegazione per queste apparenti difficoltà: il Pi,
probabilmente entra nel SR, attraverso un canale anionico, che aumenta la
sua probabilità di apertura con il declino dell‟ATP (1). Questo può
spiegare, sia perché il Pi entra nel SR con ritardo, e sia perché c‟è una
correlazione temporale tra incremento del Mg²+ e il declino tetanico della
concentrazione di Ca²+. È interessante che in fibre dove la reazione della
CK è farmacologicamente inibita e la fatica sopravviene senza forte
accumulo di Pi, l‟incremento di Mg²+ non è accompagnato
dalla riduzione della concentrazione tetanica di calcio. Insieme, i risultati
ottenuti con una varietà di approcci sperimentali, indicano che la
precipitazione di Ca²+-Pi nel SR è la principale causa di riduzione della
concentrazione tetanica di Ca²+, nella fatica indotta da brevi tetani ripetuti.
La figura 3 illustra i vari meccanismi, con i quali il Pi può agire sulla
funzione muscolare durante la fatica.
È stato dimostrato che l‟incremento del Pi, può deprimere la produzione di
forza agendo direttamente sulle miofibrille o sui siti delle vie eccitazionecontrazione entro le cellule muscolari. L‟effetto depressivo dell‟incremento
del Pi, può ridursi come gli effetti dell‟acidificazione descritti sopra,
mentre la temperatura aumenta rispetto a quella presente nei muscoli di
mammifero in sito. Scarse informazioni sono disponibili riguardo alla
dipendenza della temperatura degli effetti del Pi sulla contrazione
muscolare e molti studi sulla fibra muscolare dicorticata, osservando gli
effetti del Pi, sono stati compiuti a basse temperature. Studi compiuti su
fibre muscolari intatte del topo, mostrano un marcato effetto depressivo
sulla produzione di forza che può essere ascritta ad una elevata
concentrazione di Pi. Questi studi, sono stati generalmente compiuti intorno
a 25°C. che corrispondono alle temperatura in siti a riposo sui muscoli delle
dita situati superficialmente, come quelli usati (5).
III Figura: Figura schematica che illustra i siti dove l‟incremento di Pi può agire sulla funzione muscolare durante la fatica.
L‟incremento del Pi può agire direttamente sulle miofibrille e ridurre la forza prodotta dai ponti traversi e la sensibilità miofibrillare
al Ca²+. Agendo sul reticolo sarcoplasmatico (SR), l‟incremento del Pi, può anche incrementare la concentrazione di calcio nel
tetano all‟inizio della fatica; stimolando i canali di SR che liberano il Ca²+; 1); inibisce la captazione del Ca²+ indotta dall‟ATP; 2)
riduce le concentrazioni tetaniche del calcio nel tetano e nello stato di fatica avanzata entrando nel SR precipitando con il calcio e
quindi, determina una riduzione di calcio disponibile per il rilascio. (3)
Ciononostante, studi compiuti sul muscolo mammifero a normale
temperatura corporea (37°C), sono richiesti per confermare che gli effetti
dell‟incremento del Pi, persistano, anche quando la temperatura aumenta.
Conclusioni
I dati presentati sopra forniscono un sostanziale supporto all‟ipotesi che
l‟incremento del Pi, abbia un ruolo chiave nella fatica del muscolo
scheletrico. Per quanto concerne l‟acidosi, d‟altro canto, molti dati recenti
indicano che i suoi effetti depressivi sulla contrazione muscolare sono
limitati.
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