Una breve lezione seminariale e introduttiva su Seneca del prof. Mauro Trentadue, Docente di Storia della
Filosofia, presso l’Università degli studi E-campus, Novedrate (Co), lezione del 29 maggio 2009
Seneca e la Terapia filosofica
Nato a Cordova, in Spagna, attorno al 4 d.C.,
Seneca fu maestro, amico e consigliere
dell’imperatore Nerone. In seguito all’accusa di avere partecipato ad una congiura ai suoi danni,
però, il medesimo imperatore lo costrinse al suicidio nel 65 d.C. circa. Egli può essere considerato
– assieme a Marco Aurelio – uno dei pochi pensatori originali della storia della filosofia romana.
Scrisse moltissimi trattati di carattere morale ed etico, ma soprattutto le celeberrime Lettere a
Lucilio (Epistulae morales ad Lucilium), nelle quali Seneca mostra pienamente tutto il carattere
pratico che a suo avviso deve competere alla filosofia. Quest’ultima appare allora terapia razionale
tesa a rassicurare un uomo inquieto.
La Filosofia è una risorsa alla quale fare appello a per vivere meglio, per non lasciarsi trasportare
dagli eventi ma per provare a incidervi, per non subire la sorte ma tentare di prevenire i danni dei
suoi rivolgimenti. In Seneca, che pure si rispecchia in molti casi nell’etica stoica, l’adesione ai
principi dello Stoicismo greco è sempre mitigata dall’atteggiamento eclettico che funge da
orizzonte comune al pensiero romano. Così il rigorismo rigido degli Stoici greci si incrina a favore di
una filosofia che indaga il destino umano, le sue piaghe e le sue debolezze con partecipazione
piuttosto che con piglio severo.
Per Seneca la filosofia diviene una preziosa alleata nella vita di tutti i giorni; la razionalità dei
filosofi diviene strumento di osservazione della realtà, di cura dei suoi malanni, di resistenza al
caos. La ragione filosofica appare in Seneca uno strumento per delucidare il guazzabuglio
quotidiano e – soprattutto – per evitare di esserne sommersi, per provare a vedere meglio,
orizzontarsi, rinvenire le tracce del senso. Il soggetto chiede alla filosofia un ausilio pratico per non
patire affanni inutili e provare ad essere felici.
Su questo terreno – quello della destinazione pratica della razionalità filosofica – e su quello affine
- che prevede che la filosofia sia in primo luogo un esercizio interiore – Seneca e un altro grande
pensatore romano, Marco Aurelio, concordano pienamente.
La testimonianza di Lucio Anneo Seneca è una delle più vivide fra quelle consegnateci dalla storia
del pensiero romano. Con lui la filosofia diviene a tutti gli effetti uno strumento essenziale per
vivere bene entro il caos degli eventi: la razionalità filosofica aiuta l’individuo anche nella
concretezza di scelte difficili, così essa sembra – in un certo senso – risolversi nella ricerca
individuale della massima tranquillità e autosufficienza. A questo proposito il nostro pensatore si
esprime molto chiaramente:
“Senza la filosofia l’anima è malata; anche il corpo, se pure è in forze, è sano come può esserlo
quello di un pazzo o di un forsennato. Perciò, se vorrai stare bene, cura soprattutto la salute
dell’anima, e poi quella del corpo, la quale non ti costerà molto.” Lettere a Lucilio, 15,1-2
E ancora:
“Ti dirò allora che cosa mi è stato di conforto: ma prima voglio dirti che queste cose in cui trovavo
sollievo hanno avuto per me l’efficacia di una medicina; i buoni conforti si trasformano in
medicine, e qualunque cosa sollevi l’anima finisce col giovare anche al corpo. Gli studi sono stati la
mia salvezza; è merito della filosofia se mi sono alzato dal letto, se sono guarito: a lei sono
debitore della vita, anche se questo è il debito minore che ho con lei.” Lettere a Lucilio, 78,3.
Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, alla sua giornata e che si renda
conto di come egli muoia ogni giorno? (qui intellegat se cotidie mori?) In questo ci inganniamo, nel
vedere la morte da lontano: gran parte di essa ci è già passata alle spalle. Ogni ora del nostro
passato le appartiene. Dunque, mio Lucilio, fai ciò che mi scrivi: abbraccia tutti i tuoi momenti;
capiterà così che dipenderai meno dal futuro, se avrai messo mano sul presente. Mentre si
rimanda, la vita trascorre. (Dum differtur vita transcurrit)” L.A.Seneca, Lettere a Lucilio, 1,1, 1-3.
trad.mia.
Seneca, allora, incarna appieno l’istanza morale tipicamente romana di una filosofia divenuta
pratica di scelte concrete. Non c’è più traccia di un interesse verso la logica, o la metafisica, e la
stessa fisica resta oggetto di studio solo in quanto è in grado di dare risposte interessanti sul piano
etico.
Seneca crede che una vita guidata dalla filosofia possa essere una vita buona e quindi abbia ottime
possibilità per essere una vita felice. Per questo motivo non smette di raccomandare al proprio
interlocutore la terapia filosofica:
“Perché nessuno confessa i propri difetti? Perché vi è ancora sprofondato: è proprio di chi è
sveglio il raccontare il sogno fatto, ed è segno di sanità spirituale confessare i propri difetti.
Svegliamoci, dunque, per poterci rendere conto dei nostri errori. Ma solo la filosofia può svegliarci,
essa soltanto può riscuoterci dal nostro sonno profondo: consacrati tutto a lei.” Lettere a Lucilio,
53, 8.
“Tutti gli uomini vogliono essere felici, ma nessuno riesce a vedere bene cosa occorra per rendere
la vita felice: è un traguardo così difficile da conseguire che, se si è presa la strada sbagliata,
quanto più ci si affretta, tanto più ce ne allontaniamo. Perché quando la via conduce in senso
contrario, la velocità stessa accresce la distanza. Bisogna allora chiarire anzitutto quale è la nostra
meta; quindi studiare bene come raggiungerla al più presto, per capire durante il percorso, se sarà
quello giusto, quanto si progredisce ogni giorno e ci si avvicina all’oggetto del nostro desiderio.”
Lucio Anneo Seneca, La vita felice, 1
Il sapere filosofico viene associato a un medicamento prezioso, utile al soggetto per vivere meglio
il proprio tempo:
“Mi sono allontanato non tanto dagli uomini quanto piuttosto dalle cose, e soprattutto dai miei
affari: mi occupo degli affari dei posteri. Scrivo cose che possano loro giovare; affido agli scritti
consigli salutari, come se fossero ricette di medicine utili; ne ho sperimentato l’efficacia sulle mie
ferite, che, pur non essendo completamente guarite, tuttavia hanno cessato di estendersi”. Lettere
a Lucilio,8,2.
“La filosofia non è un’arte popolare o fatta per essere ostentata; consiste non in parole, ma in
fatti. E non la si usa per trascorrere piacevolmente le giornate o per scacciare la nausea che viene
dall’ozio: forma e plasma l’animo, regola la vita, governa le azioni, siede al timone e dirige il corso
in mezzo ai pericoli del mare in tempesta. Senza di essa nessuno può vivere tranquillo, nessuno
sicuro”. Lettere a Lucilio, 16,3.
Il sapere della filosofia serve a donare all’uomo quella capacità razionale – quella preziosa
avvedutezza – che abbiamo già incontrato nella tematizzazione della frònesis di Epicuro:
“E’ dunque felice l’uomo dotato di retto giudizio; felice è chi vive contento del proprio stato,
qualunque esso sia, e approva quello che ha; felice è chi affida alla ragione la gestione di tutta la
sua vita.” Lettere a Lucilio, 6, 2.
Di seguito trascrivo una breve riflessione di Michel Foucault (1926-1984) sull’Ellenismo greco e
romano, inteso come periodo in cui la filosofia diventa principalmente “cura di sé”:
“Nel lento sviluppo dell’arte di vivere sotto il segno della cura di sé, i primi due secoli dell’era
imperiale possono essere considerati come l’apice di una curva: una sorta di età dell’oro nella
cultura di sé, fermo restando, ovviamente, che il fenomenoConcerneva solo i gruppi sociali, molto
limitati numericamente, che erano portatori di cultura e per i quali una tecne tou biou poteva
avere un qualche senso e una qualche realtà.” Michel Foucault, La cura di sé, Storia della
sessualità,volume 3, Feltrinelli, Milano, 2006, p.48.
E’ ancora Foucault ad osservare che questa filosofia, divenuta cura di sé, ha come esito secondario
un rinnovato, libero, franco, contatto con se stessi: “La conversio ad se è anche una traiettoria:
una traiettoria grazie alla quale, sfuggendo a ogni dipendenza e a ogni asservimento, si finisce per
raggiungersi, per raggiungere se stessi, come un’oasi al riparo dalle tempeste o una fortezza
protetta dai suoi bastioni.[…] Questo rapporto con se stessi che costituisce il punto finale della
conversione e l’obiettivo ultimo di tutte le pratiche di sé rientra ancora in un’etica della
padronanza. […]Colui che è finalmente giunto ad avere accesso a se stesso è, per se stesso,
oggetto di piacere.” Michel Foucault, Ibidem, passim, pp.68/69.