Le brevi note riguardanti amministrazione, oggetto sociale e rappresentanza sono state scritte tenendo conto delle opinioni dei primi autorevoli commentatori e di parte della dottrina e della giurisprudenza formatasi precedentemente sui singoli punti. AMMINISTRAZIONE A un primo esame delle nuove norme che regolano la s.r.l., considerata la enorme flessibilità concessa dal legislatore e l'ampia autonomia in termini organizzativi, può ragionevolmente ritenersi che le società di persone costituiranno, tra breve, una ipotesi residuale di società, senza alcun sostanziale vantaggio nei confronti della s.r.l. e con l'enorme svantaggio invece della responsabilità illimitata generalizzata nella s.n.c. e riferita al socio accomandatario nella s.a.s., con il pericolo sempre incombente che la responsabilità si estenda all'accomandante quando questo si ingerisca nella gestione o quando, più semplicemente, consenta che il suo nome appaia nella ragione sociale. Il legislatore ha abbandonato la tecnica del richiamo alle norme sulla s.p.a. per cui, come criterio di massima, può ritenersi che, in mancanza di una espressa previsione normativa ed in assenza di una regolamentazione pattizia, dovendosi ricorrere al metodo analogico, il riferimento sarà alle società di persone le cui norme sono di frequente richiamate nel nuovo corpo normativo (dubitativamente R. Rordorf, Società, 5/2003) per i seguenti motivi. Nell'ambito di un sistema di richiami espressi quale è quello attuale della s.r.l. con riferimento alle norme sulla s.p.a., se alcune norme non vengono richiamate significa che il legislatore ha inteso escluderne l'applicazione. Tuttavia, l'art. 12 delle preleggi riconosce l'applicabilità analogica solo delle norme che regolano casi simili o materie analoghe, per cui non vi è allo stato la possibilità di applicare per analogia norme sulle società di persone. Oggi che l'autonomia statutaria è accompagnata, invece, da richiami abbastanza frequenti alle società di persone, il procedimento analogico sarà 1 probabilmente effettuato con riferimento a quelle norme che appartengono alla disciplina propria delle società di persone. Non è senza motivo, peraltro, che la srl è stata definita “società di persone a responsabilità limitata”, per effetto dell’ampia autonomia concessa in materia di amministrazione, conferimenti, recesso, esclusione (P. Montalenti, La riforma del diritto societario, Appunti, Le società, 2002, 12, 1450) e anche “società di capitali di carattere personale” (G. B. Portale). L'art. 2463 nn. 7 e 8, prevede che nell'atto costitutivo vengano specificate "le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione e la rappresentanza" e che siano indicate altresì "le persone cui è affidata l'amministrazione". L'art. 2468, comma 3, prescrive che in sede di atto costitutivo debba essere prevista la attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società. O la distribuzione degli utili, allorchè i soci intendano avvalersi di tale possibilità . Anche alla luce della recente normativa è espressamente previsto (art. 2475 comma 1) che l'amministrazione possa essere affidata a uno o più soci "salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo". Conseguentemente, se si vuole che la società possa essere amministrata da chi non è socio, occorre prevederlo espressamente. La mancata previsione delle regole relative al funzionamento, al pari della mancata indicazione nominativa delle persone cui è affidata la amministrazione, non costituisce causa di nullità, però ha conseguenze non indifferenti sul piano operativo. Infatti, se non è contenuta alcuna delle suindicate previsioni deve ritenersi che, in analogia a quanto previsto all'art. 2257, tutti i soci siano investiti del potere di amministrazione, con la differenza, però, che mentre nella società semplice l'amministrazione è esercitata disgiuntamente, nella fattispecie, invece, opera l'organo collegiale, per cui operano i principi sulle maggioranze e sulle determinazioni dell'organo collegiale. Considerata tuttavia la estrema difficoltà in cui si troverebbe ad agire la società 2 è importante che il notaio, in sede di stipula di atto costitutivo, suggerisca alle parti di inserire le previsioni e le indicazioni suddette. Nulla è previsto nella normativa in commento con riferimento ad eventuali requisiti minimi soggettivi di cui gli amministratori debbano essere in possesso, per cui quando si richieda una competenza specifica o si voglia addirittura che ad amministrare sia chiamato un soggetto particolarmente qualificato, lo si deve prevedere in sede di atto costitutivo. Si vedrà successivamente come con la legge di riforma l'amministratore oggi abbia una capacità generale anche quando vi sia dissociazione tra potere gestionale e potere di rappresentanza all'interno dello stesso organo amministrativo e persino quando vi sia dissociazione interorganica se l'atto costitutivo ha ad esempio sottratto alla competenza degli amministratori ed attribuito ai soci il potere di determinarsi al compimento di determinati atti, rilevando tale riserva solo all'interno della compagine sociale ed assumendo rilievo solo sotto tale profilo. Tale osservazione consente di ritenere che come contrappeso a tale illimitata capacità giuridica normativamente sancita, considerato che nulla consente di escludere che il modello s.r.l. possa essere utilizzato anche per intraprese particolarmente rilevanti, possa essere utile e quindi opportuno, per le migliori sorti della impresa sociale, affidare l'amministrazione a soggetti che abbiano specifiche capacità professionali e/o manageriali e che godano di stima. Ovvio poi che tale determinazione sarà l'effetto di una valutazione preventiva da parte dei soci, in quanto molte srl saranno di tipo "familiare" ed allora la scelta non sarà problematica. Ciò che si vuole porre in evidenza è che l'attività del notaio si porrà a breve in termini ancora più pregnanti rispetto alla sua attuale funzione, in quanto allo stato operano una serie di disposizioni inderogabili o parzialmente derogabili, mentre da domani il momento genetico della società dovrà necessariamente essere preceduto da una serie di valutazioni di non poco rilievo che consentiranno di adottare, all'interno del "modello" di srl una particolare strutturazione del modello 3 stesso con una serie di opzioni. E il notaio sarà probabilmente, sotto tale profilo, un consulente "necessario" prima della stipula di un atto costitutivo di società. A titolo esemplificativo si intuisce sin da ora la utilità di richiedere che l'amministratore abbia determinate specifiche peculiarità allorchè si stabilisce che a un determinato socio vengano attribuiti in sede di atto costitutivo, entro il perimetro di quei particolari diritti di cui all'art. 2468 comma 3, il diritto di nomina e di revoca dell'organo amministrativo, ancor più quando si tratti di un amministratore unico. L'attribuzione dei particolari diritti potrà ben estrinsecarsi nel diritto concesso al socio di amministrare egli ed egli solo se soggetto particolarmente qualificato (è facile immaginare che tale peculiarità sarà alla base della scelta di attribuire una posizione di vantaggio al'interno della compagne sociale da esercitare personalmente); quando egli invece non intenda essere amministratore sceglierà una persona o più persone che abbiano determinate specifiche esperienze professionali individuate nell'atto costitutivo. Circa la possibilità di tale specifica previsione si è già espresso un attento studioso nei seguenti termini “Quanto ai requisiti soggettivi degli amministratori la libertà sarà massima… salvo che a ciò provveda l’atto costitutivo (R. Rordorf, Le società, 2003, 5, 665). Vi sono altresì ragioni ulteriori che inducono a ritenere consigliabile e qualche volta necessaria nell’interesse dei fondatori questa specifica previsione. La srl, proprio in ragione della la sua flessibilità, non dovrà necessariamente essere sempre una piccola "società di persone, a responsabilità limitata", ma potrà atteggiarsi anche in termini di impresa di notevoli dimensioni. Basti infatti por mente alle seguenti considerazioni che si riferiscono a due diverse possibilità dell’opzione in oggetto, già segnalate in questi giorni dalla dottrina. Una si riferisce alla società miste, con presenza cioè di capitale pubblico. La prassi statutaria delle società miste segnala una ricorrente tendenza a spostare il baricentro decisionale dall’organo amministrativo all’assemblea - e non solo per decisioni di importanza strategica - utilizzando la tecnica consentita dall’art. 2364 n. 4 cod. civ. a mente del quale "l’assemblea delibera sugli altri oggetti attinenti alla gestione 4 della società riservati alla sua competenza dall’atto costitutivo". Non solo con le società miste, si verifica tale prassi, ma le cito perché hanno, per definizione, dimensioni abbastanza rilevanti. Il "nuovo" art 2364 n. 5 prevede invece che “delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assemblea". A ciò si aggiunga che ulteriori chiusure sono contenute nell’art. 2380 bis, a mente del quale "La gestione della impresa spetta esclusivamente agli amministratori", nell’art. 2409-novies e nell’art. 2409-septiesdecies. L’atto costitutivo della srl può invece legittimamente attribuire a singoli soci, siano essi persone fisiche o persone giuridiche di natura privata o pubblica la possibilità di introdurre negli statuti delle società miste prerogative a " favore de soci pubblici, ma anche privati, analoghe a quelle accordate dall’art. 2449 all’ente pubblico che partecipa a società a base azionaria evidenziando altresì che l’innovazione è ancora più significativa perché sino a ieri si escludeva l’applicabilità alle srl degli originari artt. 2458 ss. riservati al solo ambito azionario". L’altra riguarda i patti parasociali. Mentre infatti nelle spa sono ammessi, sia pure con le peculiarità e con le limitazioni di cui alla normativa in oggetto, nella srl, invece, possono essere inseriti nell’atto costitutivo in termini di veri e propri "patti sociali" e non in termini di richiamo, ma come vere e proprie previsioni statutarie. Ecco dunque che è ragionevole ritenere che per entrambe le fattispecie cui si è appena fatto cenno e che riguardano certamente società di notevoli dimensioni, la previsione di "requisiti minimi soggettivi per gli amministratori" sarà di frequente utilizzata perché si ravviserà la necessità di affidare l’amministrazione a soggetti particolarmente qualificati. E ciò ancor di più ove si condivida il convincimento secondo cui “se la disciplina della nuova srl sarà apprezzata in tutti i suoi elementi di novità, questo tipo sociale sarà senza dubbio impiegato anche per fattispecie di joint venture” (Afferni, Diritto societario, Milano, 2003). Nulla è previsto nella nuova normativa per quanto riguarda ineleggibilità o decadenza, per cui i contraenti potranno ben stabilire che al compimento 5 di determinati atti (quelli riservati ai soci, ad esempio) consegua la decadenza dalla carica di amministratore e che sia sufficiente, per renderlo noto ai terzi, un atto avente natura ricognitiva posto in essere dai soci. Potrà altresì, alternativamente, essere previsto che al compimento di detto atto non consegua automaticamente la decadenza, ma che l'amministratore debba evidenziare la ragione giustificatrice del suo operato e che tale giustificazione debba comunque passare al vaglio di meritevolezza dei soci, i quali dovranno comunque determinarsi in proposito. Nella normativa in commento non vi è alcuna previsione con riferimento alla durata, alla sostituzione e alla revoca. Sarà bene precisare se la durata è a tempo indeterminato o meno stabilendo in questo secondo caso il termine finale con esattezza. E' bene in particolare specificare se il termine della durata vada riferito all'anno, all'esercizio sociale o all' approvazione del bilancio dopo la chiusura dell'esercizio, problema questo oggi molto controverso. Per quanto riguarda la revoca potrà essere previsto che se la revoca di un amministratore nominato a tempo indeterminato avviene dopo un primo periodo predeterminato (es. dopo l'approvazione del primo bilancio), l'amministratore revocato non potrà esperire azioni risarcitorie per revoca senza giusta causa, ancorchè tale principio si ricavi dal sistema. Essendo venuta meno ogni disciplina espressa sulla revoca è ragionevole ritenere che debba farsi ricorso non alla disciplina della spa, che non è richiamata, bensì alle norme sul mandato. La giurisprudenza di legittimità ha più volte negato che il diritto al risarcimento previsto in favore dell'amministratore di una spa revocato dall'incarico potesse applicarsi agli amministratori di una srl, malgrado il richiamo contenuto nell'art. 2487 (Cass. civ. 9482/1999, Cass. civ. 3312/2000). Infatti il diritto al risarcimento andrebbe inquadrato esclusivamente nel sistema normativo delle spa che non contempla la nomina di 6 amministratori a tempo indeterminato. Per le società a responsabilità limitata invece tale possibilità è prevista, per cui il diritto al risarcimento del danno in conseguenza di revoca senza giusta causa sussiste soltanto nell'ipotesi di revoca anticipata di incarico a tempo determinato, come avviene per il mandato. Infatti in tale tipo di società, a differenza delle spa, la fonte del potere di revoca dell'amministratore risiede nell'art. 1725 cod. civ., per cui valgono le regole sul mandato. Diversamente opinando si perverrebbe all'assurdo risultato che l'incarico conferito a tempo indeterminato avrebbe, in pratica, una durata commisurata all'intera vita dell'amministratore nominato, il quale non potrebbe mai essere revocato, senza che ne consegua il diritto al risarcimento del danno, in assenza di una giusta causa, il che è manifestamente incompatibile con la natura essenzialmente fiduciaria dell'incarico di amministratore la cui figura è simile a quella del mandatario. Tanto è stato affermato dall giurisprudenza di legittimità in riferimento alla disciplina attuale (In dottrina C. Fois, Le clausole generali e l'autonomia statutaria nella riforma del sistema societario. Giur. comm., 2001, I, 421). Tanto vale ancor di più con riferimento alla nuova disciplina della società a responsabilità limitata. Pertanto può considerarsi certamente lecita una clausola che escluda il risarcimento del danno se la revoca interviene dopo un termine iniziale predeterminato nell'atto costitutivo. Non appare ammissibile la previsione che la revoca possa essere effettuata ad opera dei soci o di parte dei soci quando la nomina dell'amministratore o degli amministratori sia avvenuta ad opera del socio al quale è stato attribuito il semplice diritto alla nomina senza alcun riferimento alla revoca in sede di atto costitutivo ai sensi dell'art. 2468 comma 3, salvo che detto socio intenda rinunciare ad esercitare tali diritti con riferimento alla revoca. Tale dichiarazione dovrà essere espressa nell'atto costitutivo. A me sembra che la attribuzione concessa a un socio di particolari diritti riguardanti l'amministrazione se si sostanzia nel diritto di nomina dell'organo amministrativo - non espresso ma certamente compreso 7 nella previsione che si ritrova all'art. 2468 comma 3 - soggiace alle stesse regole di cui all'art. 2458 cod. civ. Come è noto l'art. 2458 prevede che la nomina dell'amministratore o degli amministratori è di competenza esclusiva dell'ente cui è riconosciuto tale potere. E' altrettanto noto che l'amministratore così nominato può essere sostituito o revocato solo dallo stesso ente che lo ha nominato. L'assemblea non può interferire nell'esercizio di detto potere, insindacabile, nè deve o può prenderne atto. Tale possibilità di interferire nella scelta, sia pure con un giudizio ex post, pur frequente negli statuti, è da considerarsi abnorme e rifiutata dalla dottrina in quanto, di fatto, l'esercizio di un diritto (anche se il codice adopera il termine "facoltà") normativamente previsto potrebbe essere compresso o condizionato fino ad essere totalmente sacrificato in caso di dissenso tra l'organo assembleare, che è sempre espressione di una maggioranza, e l'ente pubblico. Il che non è consentito. A me sembra che, in analogia a detto principio, il potere di nomina attribuito al socio, anche in mancanza di ulteriori specifiche previsioni, comprenda in sè il potere di sostituzione e il potere di revoca, esclusa ogni possibilità, per gli altri soci, di interferire nella scelta. Vi è tuttavia, nella fattispecie del socio cui è attribuito tale potere, la necessità di un attento ed ulteriore approfondimento relativo ad un problema che non può essere ovviamente risolto in questa sede e con riferimento al quale ci si limita ad un semplice accenno. Cosa accade sotto un profilo risarcitorio se il socio cui compete tale diritto, dopo aver nominato amministratore una persona fino alla chiusura o alla approvazione del primo esercizio sociale, avvalendosi poi del suo potere, lo revochi invece dopo un mese? E' chiaro che sarà la società a rispondere dei danni perchè la revoca riguarda l'ente collettivo. Non è tuttavia da escludersi una tenutezza del socio che quella scelta ha operato nei confronti della società. Ma quale sarà la ragione giustificatrice di tale tenutezza? Probabilmente la fonte di tale responsabilità è da ravvisarsi nella violazione dell' obbligo di cui all'art. 1375 cod. civ., secondo l' ormai consolidata interpretazione data dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale la buona fede, intesa in senso etico, come requisito 8 della condotta, costituisce un vero e proprio dovere giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale, che integrano, appunto, il contenuto della buona fede e costituisce quindi una possibile fonte di responsabilità, per cui la violazione di uno dei doveri di comportamento imposti dal principio di buona fede può comportare l'obbligo di risarcire il danno cagionato a causa della violazione medesima. E' bene stabilire anche il procedimento e le regole per la sostituzione stabilendo se la competenza sarà di tutti i soci o di parte dei soci (per un esempio di sostituzione cfr. quanto precisato a proposito di decadenza). L'art. 2475 prevede al comma 3° che quando l'amministrazione è affidata a più persone queste costituiscono il consiglio di amministrazione. L'atto costitutivo può tuttavia prevedere che l'amministrazione sia ad esse affidata disgiuntamente o congiuntamente e per tali ipotesi si applicheranno, rispettivamente, gli artt. 2257 e 2258 cod. civ., per richiamo esplicito. I soci potranno quindi stabilire se l'organo sarà monocratico o se invece la amministrazione sarà affidata a più persone. Nessun particolare problema vi è se l'amministrazione è attribuita ad una sola persona, in quanto opererà in maniera identica all'Amministratore unico di oggi. Se invece vi è una pluralità di amministratori occorre distinguere. Può esservi un organo pluripersonale che delibera con metodo collegiale (Consiglio di amministrazione a collegialità piena). Non è vincolata ad alcuna forma e ad alcun procedimento particolare la assunzione delle determinazioni ed è quindi utile prevedere se il C.d'A. opererà in maniera identica a quello delle S.p.A.. E' particolarmente importante individuare nell'atto 9 costitutivo i quorum costitutivo e deliberativo. E' utile stabilire anche quali debbano essere i tempi e i modi di convocazione delle riunioni del Consiglio e - se lo si ritiene - prevedere la possibilità di delega di determinati poteri a singoli amministratori, stante il silenzio del legislatore. Alternativamente i contraenti hanno tuttavia la possibilità di utilizzare la previsione di cui all'art. 2475 comma 4° cod. civ., a mente del quale le decisioni degli amministratori avvengono "mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto" e quindi senza riunirsi (Consiglio di amministrazione a collegialità attenuata). Non è facile distinguere quali siano le differenze tra l'una e l'altra delle due ipotesi (consultazione/consenso) ma uno tra i primi autorevoli commentatori (Colombo, Amministrazione e controllo nelle s.r.l. ) ritiene che il termine consultazione vada riferito ad una ipotesi di deliberazione motivata e sottoposta all'attenzione degli amministratori e che il termine consenso espresso per iscritto si riferisca invece ad una determinazione "finale" e cioè sia il risultato di una elaborazione di una proposta originaria. Considerata comunque la indeterminatezza della previsione normativa e considerato altresì che la ampia autonomia concessa ai privati lo consente, sarà opportuno disciplinare le modalità mediante le quali dovrà in concreto essere acquisita per iscritto e quindi documentalmente la volontà di compiere quel determinato atto. Occorre comunque tener sempre presente che dai documenti sottoscritti dagli amministratori devono risultare con chiarezza l'argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa. Può esservi, ancora, una pluralità di amministratori che operano in modo congiunto, di regola all'unanimità (amministrazione congiuntiva) salva la possibilità del compimento individuale di atti urgenti, che è bene comunque tentare di individuare 10 in sede di atto costitutivo. Può esservi, infine, una pluralità di amministratori che esercitino disgiuntamente tra loro. In caso di amministrazione disgiuntiva opera la previsione di cui all'art. 2257 cod. civ. in virtù della quale come ciascun amministratore ha la possibilità di compiere qualsiasi operazione riguardante la società, nell'identico modo ciascun amministratore ha il diritto di opporsi prima che l'operazione sia compiuta. Non vi è tuttavia alcun obbligo per l'amministratore di informare gli altri amministratori prima del compimento dell'atto in difetto di una specifica previsione dell'atto costitutivo. Nelle società a responsabilità limitata, come si vedrà tra breve, gli amministratori hanno comunque la rappresentanza generale della società, per cui la opposizione di altri amministratori o il compimento di atti all'insaputa di altri amministratori, non ne inficia la validità. Considerato che gli amministratori possono essere anche non soci, a differenza di ciò che è previsto per le società di persone, è bene specificare se sulla opposizione debba darsi rilievo alla qualità di socio - amministratore o se, invece, debbano decidere semplicemente i soci, quando non tutti siano amministratori. Il problema è stato affrontato nei seguenti termini. "Non è affatto chiaro se sull’opposizione siano competenti a decidere solo gli amministratori oppure – come dice l’art. 2257 comma 3- i soci tutti. L’indiscriminato richiamo dell’art. 2475 all’art. 2257 deporrebbe per questa ultima soluzione; non mi pare però insostenibile la soluzione opposta…certo nulla vieta che proprio la soluzione "decidono i soci" venga inserita nell’atto costitutivo, visto che l’art. 2463 n. 7 lascia all’autonomia statutaria la ripartizione di competenze tra amministratori e soci, ma mi pare che quella soluzione possa valere solo se l’atto costitutivo la prevede, non anche nel silenzio dello stesso. Ad ogni buon conto sarà opportuno che il notaio richieda ai fondatori di inserire nell’atto costitutivo una clausola che 11 risolva esplicitamente supra cit.). questo problema" (Colombo, Sulla opposizione, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 2257, decide "la maggioranza dei soci determinata secondo la parte di utili attribuita a ciascun socio". Taluno ha avanzato l'ipotesi che la maggioranza vada calcolata con riferimento alla misura della partecipazione, altri invece che la stessa debba riferirsi alla misura di partecipazione nella ripartizione degli utili. Il medesimo autore appena citato ha specificato: “Sembra che la regola dettata dal comma 3 dell’art. 2257 per il computo della maggioranza nella decisione sulla opposizione non debba trovare applicazione; salvo sempre che si scelga, in via statutaria, di attribuire la competanza ai soci (resterebbe comunque dubbio se abbiano voto per decidere sulla opposizione gli eventuali amministratori “non soci”). L’espressione utilizzata “salvo che si scelga…” è l’ulteriore conferma che la autonomia statutaria può regolare anche questo specifico problema. Dunque può ritenersi che determinate previsioni operino solo nel silenzio delle parti. Tuttavia i richiami effettuati dal legislatore sono estremamente generici. Lo dimostrano, ad esempio, le due ipotesi appena riportate. Conseguentemente non solo rientra nella disponibilità delle parti regolare varie fattispecie non disciplinate dal legislatore, ma deve ritenersi oltremodo importante che le parti stesse disciplinino nella maniera che ritengono più conforme all’assetto dei loro interessi tutte quelle fattispecie che sono oggetto di richiamo, essendo il richiamo stesso effettuato con riferimento a norme caratterizzate dalla mancanza di imperatività, si da poterle considerare come aventi valore suppletivo. Il problema è, dunque, quello della derogabilità della disciplina di cui agli artt. 2257 e 2258 al quale mi sembra debba darsi risposta positiva. E quindi, considerata la possibilità di attribuire a un socio anche il diritto di esprimersi sul veto, come tra breve si vedrà, considerato altresì che l’art. 2257 è norma suppletiva, si ritiene che in sede di atto costitutivo si possa disciplinare liberamente il sistema di amministrazione disgiuntiva. In caso di 12 amministrazione congiuntiva a maggioranza, poi, non può trovare applicazione l’art. 2258, comma 2, in quanto gli amministratori potrebbero essere non soci. In questo caso occorre statutariamente prevedere le modalità di formazione della volontà della maggioranza. Cosa avviene poi se l'opposizione di altri soci amministratori paralizza la decisione? A questo punto si ritiene di richiamare l'art. 37 del D.Lgs. n. 5/2003 riguardante la "risoluzione di contrasti sulla gestione di società". Tale norma, infatti, ha contenuto di natura sostanziale più che processuale ed è espressamente previsto che gli atti costitutivi di s.r.l. possano stabilire che la risoluzione dei contrasti insorti tra gli amministratori in ordine al compimento di attività gestorie sia deferita ad uno o più terzi (arbitraggio, chiaramente, non arbitrato). Senza entrare nel merito di quella che è stata definita efficacemente (Rordorf) la "eccentrica" collocazione di tale previsione nell'ambito di una disciplina processuale va rammentato comunque che è possibile prevedere nell'atto costitutivo la facoltà di "dare indicazioni vincolanti anche sulle questioni collegate con quelle espressamente deferite". Va tuttavia rammentato che sono sempre "di competenza esclusiva del consiglio di amministrazione" le decisioni su progetti di bilancio, di fusione o di scissione e sull'aumento di capitale delegato col che, come è stato efficacemente osservato (Colombo, supra cit.), si ha un caso più unico che raro di amministrazione pluripersonale che funziona talora come consiglio di amministrazione, talora no. N. B. Tale affermazione non è più di attualità alla luce modifica che è stata apportata di recente, per cui sarà sufficiente che si tratti di un organo collegiale. L'art. 2479, al comma 1 stabilisce che nell'atto costitutivo debbano essere specificate quali materie sono sottratte alla competenza degli amministratori e riservate ai soci. 13 E' importante però tener presente che l'art. 2479, comma 2 punto 5, dispone che, "in ogni caso sono riservate alla competenza dei soci: 1) l'approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili 2) la nomina, se prevista nell'atto costitutivo, degli amministratori (questo specifico punto sarà esaminato successivamente a proposito della nomina degli amministratori successiva alla prima) 3) la nomina nei casi previsti dall'art. 2477 dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del revisore; 4) le modificazioni dell'atto costitutivo; 5) la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci". Ogni amministratore può sollecitare su qualunque materia una decisione dei soci sottraendola alla competenza degli amministratori (così il primo comma dell'art. 2479). La competenza a decidere può essere sottratta agli amministratori anche quando lo richiedano tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale pur in presenza di una diversa previsione statutaria. In tale ipotesi la decisione sarà adottata mediante una vera e propria deliberazione assembleare. Va peraltro osservato che la legge non preclude una diversa previsione dell'atto costitutivo che operi una cernita delle materie suscettibili di essere devolute alla competenza assembleare o ad attribuire la relativa legittimazione a un determinato numero di amministratori. Considerata inoltre la indeterminatezza della previsione e la ampia autonomia concessa ai privati, sarà opportuno stabilire il termine finale per l'adozione della decisione da parte dei soci e le conseguenze se detto termine trascorre inutilmente. L'art. 2468 comma 3° cod. civ. prevede la possibilità di attribuire a singoli soci particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Mi sembra di poter escludere che il socio possa disporre una eterodistribuzione anche parziale degli utili ma, almeno per il primo periodo di applicazione della normativa, sarà opportuno prevedere espressamente 14 che tale possibilità non è consentita. L'attribuzione dei particolari diritti di cui all'art. 2468 comma 3 può avvenire, però, solo in sede di atto costitutivo e se le parti si avvalgono di tale facoltà stabiliranno anche in cosa consistono i particolari diritti cui la norma fa riferimento genericamente. Che possono consistere, a titolo esemplificativo, nel diritto esclusivo di amministrare la società, come si è già visto, ovvero di effettuare la nomina di uno o più amministratori se vi è un organo collegiale, ma anche, di porre il veto per determinate operazioni, ovvero di decidere quando vi sia una opposizione. La previsione comunque, considerata la vasta gamma di possibilità astrattamente offerte dal legislatore, dovrà essere puntuale ed esaustiva, indicando i singoli diritti e le modalità con cui potranno essere esercitati. Poichè la previsione può riguardare anche una particolare distribuzione degli utili, può verificarsi che ad un socio vengano attribuiti alternativamente due diversi benefici di rilevante importanza, anzi di fondamentale importanza, per cui non è difficile immaginare che in tema di s.r.l., considerata detta ampia possibilità di attribuire diritti particolari a questo socio, è destinato ad un rapido tramonto il c.d. abuso della personalità giuridica, cosi come è da escludere che possa essere dichiarato fallito il c.d. socio tiranno o sovrano, colui cioè che usi la società mediante il c.d. abuso del diritto e ciò perchè le regole della srl ormai consentono la figura del socio che utilizza in maniera singolare la società. E di ciò potrebbe risentire il fragile baricentro dell’interesse sociale, che da una parte è riconducibile al rapporto tra soci e quindi al consenso iniziale e all’attuazione di quella volontà e dall’altra a ciò che attiene all’impresa e alla sua autonomia. Non è escluso quindi che, pur non essendo preliminare l'interesse del socio rispetto a quello della compagine sociale, d’ora in avanti debba farsi ricorso ai concetti di buona fede e correttezza per valutare in concreto l’interesse sociale, come ha 15 più volte fatto la suprema Corte, con sentenze tuttavia non condivise fino ad ieri dalla dottrina dominante. E' importante tener presente comunque che, se l'atto costitutivo ha attribuito ad un singolo socio particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili, tale diritto può essere modificato esclusivamente con il consenso di tutti i soci. Ove, dunque, l'interessato non intenda rinunciare a detto privilegio la previsione assumerà il carattere della definitività. Ecco ancora una volta evidenziata la importanza fondamentale del momento genetico della società. Il legislatore ha rifiutato la scelta di indicare diverse categorie di partecipazione, anzi la ha esclusa creando però una speciale figura di socio ed è di tutta evidenza che tale presenza condizionante, pur nel silenzio del legislatore, va opportunamente segnalata con tutte le peculiarità che ne sono connesse presso il registro delle Imprese e ciò è tanto più importante quanto più sarà confermata dal carattere della effettività la previsione di una considerevole presenza di tali diritti negli atti costitutivi di srl. Il legislatore ha ripudiato la possibilità di creare particolari categorie di quote, ma ha creato questa particolare figura di socio, molto singolare, relativamente alla quale si ritiene utile un ulteriore approfondimento, anche se non è riferito alla amministrazione ma riguarda, invece, il trasferimento di questa partecipazione. E’ stato infatti rilevato (D. Santosuosso, cit., 203), con riferimento a questa partecipazione, che proprio la inerenza della speciale posizione partecipativa alla persona del socio e non alla quota si riflette sulla trasferibilità di questa; con la quota ceduta, infatti, non potrebbero essere trasferiti quei diritti particolari che trovano la loro giustificazione nella persona del socio cedente. E si porrebbe poi la necessita di eliminare dall’atto costitutivo, con il consenso unanime dei soci, il riferimento ai diritti particolari del socio uscente. Da un diverso angolo visuale potrebbe ritenersi che la cessione della partecipazione in oggetto comporti quella “rilevante modificazione dei 16 diritti dei soci” di cui all’art. 2479, comma 2, n. 5. Per quanto riguarda la nomina degli amministratori in corso di società, l'art. 2475, comma 1, prevede che gli amministratori sono nominati con decisione dei soci salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo. L'art. 2479, comma 2, n. 2 riserva alla competenza esclusiva dei soci la nomina degli amministratori "se prevista nell'atto costitutivo". Questa ultima previsione non è chiara, può apparire anzi contraddittoria e va comunque interpretata nel senso che è concessa la possibilità di prevedere modalità di nomina diverse, purchè provengano, però, dai soci. L'atto costitutivo può dunque stabilire per la nomina degli amministratori successiva alla prima che la stessa avvenga, ad esempio, ad unanimità o, al contrario, che sia riservata ad uno solo, mentre se nulla è previsto, la regola è quella della maggioranza prevista nell'atto costitutivo per le decisioni dei soci. OGGETTO SOCIALE L’obbligo attualmente vigente (art. 2475, 3) di indicare l'oggetto sociale nell'atto costitutivo della società a responsabilità limitata si trasforma ora nell’obbligo di indicare “l'attività che costituisce l'oggetto sociale" (Art. 2463, n. 3). La modifica introdotta dalla legge di riforma si atteggia in termini di consapevole adesione del legislatore alla definizione del concetto di oggetto sociale data ormai da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Più volte, nella legge di riforma, si coglie questa attenzione del legislatore volta a recepire quelli che sono considerati ormai punti fermi, quale effetto della elaborazione di principi validi da parte della dottrina ma, più di frequente, del recepimento di tali principi da parte dei giudici di legittimità. La previsione dell'oggetto sociale significa “previsione dell'attività economica di produzione o scambio di beni e servizi che la società intende svolgere in vista dello scopo di lucro suo proprio”. Su questa definizione è unanime la dottrina (tra gli 17 altri Campobasso, Di Sabato, Galgano, Schiano di Pepe, Zanelli) e la giurisprudenza di legittimità. Le parti possono assegnare alla società una attività economica e designare un oggetto sociale semplice, così come possono assegnare più attività e designare quindi un oggetto sociale complesso. Attività ha detto il legislatore, non atti, perché attività ed atti sono concetti assolutamente diversi; l'attività, infatti, si distingue dai singoli atti che la compongono e ciò sia che si tratti di un oggetto sociale semplice sia che si tratti di un oggetto complesso. In un caso e nell'altro devono essere indicati non già una pluralità di atti, ma una attività economica o una pluralità di attività economiche distinte. Conseguentemente la indicazione statutaria di atti tipici (più o meno genericamente definiti) non può sostituire la identificazione della attività o delle attività che la società intende svolgere. La elencazione, infatti, non potrebbe mai essere completa, “data la serie infinita di atti, di vario tipo, che possono essere funzionali all'esercizio di una determinata attività”, né la espressa previsione statutaria di un atto tipico assicura che lo stesso sia rivolto allo svolgimento di quella determinata attività o di quelle determinate attività indicate. La possibilità di compiere quei determinati atti, dedotta nell’atto costitutivo, non è utile neanche al fine di dimostrare che essi rientrano nell’oggetto sociale. E’ escluso, infatti, che il criterio di valutazione della pertinenza o meno di un atto all'oggetto sociale possa essere quello della astratta previsione dell'atto stesso nello statuto dovendosi far ricorso al criterio della strumentalità, diretta o indiretta, dello stesso rispetto all'attività economica propria della società, per cui è stato efficacemente affermato che "un atto rientra nell'oggetto sociale se è finalizzato allo svolgimento dell'attività economica come definita dalla clausola statutaria, altrimenti ne è fuori". 18 Con riferimento alle attività economiche della impresa è da evidenziare la necessità di una loro puntuale individuazione. Tale individuazione non impedisce, tuttavia, l’esercizio di ulteriori attività che, pur non essendo elencate e specificate, si pongano in termini di strumentalità oggettiva rispetto a quelle statutarie. E’ possibile anche la contemporanea previsione di una pluralità di settori nei quali la società potrà operare, e in tal caso, le società assumono un oggetto sociale non omogeneo, bensì complesso, come consentito. La indicazione delle attività economiche, tuttavia, non può essere talmente generica da divenire omnicomprensiva. Con riferimento a tale specifico aspetto ritengo che vada segnalata, tra i tanti contributi, la seguente regola: in presenza di una pluralità di attività ed in assenza di specificazioni, può ben applicarsi la c.d. eiusdem generis rule, regola interpretativa secondo cui, in tali circostanze, deve ritenersi che solo l’attività indicata per prima sia principale e possa essere autonomamente svolta, mentre tutte le altre devono essere considerate strumentali alla prima, onde possono essere legittimamente esercitate solo in funzione del miglior svolgimento dell’attività principale” (P. P. Marano). Tale regola evidenzia la necessità che le attività elencate, ancorchè apparentemente eterogenee, siano tra esse compatibili con la ulteriore precisazione che quel che assume un preciso rilievo è la necessità che una di esse sia il fulcro e le altre le ruotino attorno e possano essere esercitate come mezzo al fine. Mentre, ad esempio, è ipotizzabile che una società avente ad oggetto la attività di rappresentanza di generi alimentari possa esercitare l’attività di “trasporto merci” ancorchè non sia specificato nello statuto, non è invece ammissibile che una società avente ad oggetto la attività relativa a costruzione di alberghi svolga, ad esempio, attività di consulenza in materia previdenziale, ancorchè questa attività sia indicata nello statuto. E’ importante anche segnalare ai fondatori che è l’attività che la impresa intende esercitare ad individuare l’oggetto, per cui sarebbero da considerare clausole di mero stile quelle secondo le 19 quali “la società può compiere tutte le altre (ma altre rispetto a quali, a quelle statutariamente definite?) operazioni mobiliari o immobiliari, commerciali, industriali etc. utili e/o opportune” (G. Schiano di Pepe). La necessità di una puntuale indicazione va riguardata anche con riferimento all'art. 2332, come riformulato (richiamato dall'art. 2463) che, pur riducendo le fattispecie tassativamente elencate della nullità della società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese, ha previsto che la mancata indicazione dell'oggetto sociale nell'atto costitutivo, al pari della sua illiceità (non vi è più alcun riferimento all'ordine pubblico) costituisce causa di nullità. Sono state “drasticamente ridotte” dal legislatore delegato le ipotesi di nullità della società rilevabili anche dopo la iscrizione nel Registro delle Imprese, in conformità alle previsioni dell’art. 4, comma 3 lettera b della legge delega. Ciò perché l’art. 2332 è stato introdotto in attuazione della prima direttiva in materia societaria con il D.P.R. 29/12/1969 n. 1127, che contiene la enumerazione di un “numero massimo” di cause di nullità prevedibili dagli Stati membri, ma non un obbligo comunitario di prevederle tutte, così come invece è avvenuto con l’art. 2332. E’ rimasta tuttavia la previsione della nullità in caso di oggetto mancante o illecito. Ma solo una eccessiva genericità potrebbe essere equiparata ad una vera e propria “mancanza”. Per quanto riguarda l’illiceità, deve essere valutata in relazione ai dati desumibili dall'atto costitutivo e non dalle concrete modalità di svolgimento ed è appunto il momento genetico che interessa il notaio considerato che se la concreta attività esercitata risulterà difforme dall'oggetto statutario e oggetto dell’attività sarà, in concreto, una attività illecita per il comportamento assunto dagli organi sociali, si verserà in ipotesi di violazione dello statuto e non già come oggetto di fatto la cui illiceità renda nullo il contratto di società. Che l’oggetto sociale sia determinato e lecito è comunque condizione imprescindibile anche per chi tiene rigorosamente distinto l’oggetto sociale dal 20 contratto di società (E. Bertacchini in Oggetto sociale e interesse tutelato, Giuffrè). RAPPRESENTANZA a) rappresentanza generale (2475 bis, comma 1) b) limitazioni statutarie (2475 bis, comma 2) c) 2384 bis d) limitazioni legali e) c.d. abuso di rappresentanza L’art. 2475 bis, comma 1, prevede espressamente che “gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società” e non più che “gli amministratori che hanno la rappresentanza della società” possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, come attualmente previsto all’art. 2384 comma 1 richiamato dall’art. 2487. L’art. 2475 bis comma 2 prevede che le limitazioni ai poteri degli amministratori (e non più al potere di rappresentanza di cui all’art. 2384 comma 2) non sono opponibili ai terzi, salvo che questi abbiano agito intenzionalmente in danno della società. Tale principio vale per gli atti compiuti dagli amministratori anche se nominati invalidamente (art. 2383 comma 5 richiamato dal 2475 comma 2). In fine non è stata riprodotta la previsione dell’art. 2384 bis, per cui, non rilevando nei confronti dei terzi estraneità all’oggetto sociale, gli amministratori possono compiere anche gli atti ultra vires. a) La rappresentanza generale spetta dunque, istituzionalmente, agli amministratori. Essi potranno agire congiuntamente o disgiuntamente, a seconda di come è conformata la amministrazione. Infatti, mentre oggi vi è l’obbligo di indicare nell’atto costitutivo quale tra gli amministratori ha la rappresentanza (art. 2475 n. 7), la nuova normativa invece richiede semplicemente che siano indicate le norme relative alla amministrazione e alla rappresentanza (art. 2463 n. 7) e non anche la indicazione di uno o più amministratori che abbiano la rappresentanza stessa. Ciò che può assumere rilievo quindi è soltanto la nomina ad amministratore (efficace anche se invalida) e non l’attribuzione del potere di rappresentanza che, essendo un effetto previsto dalla legge, non può essere né conferito né escluso. L’amministratore, in quanto tale, ha dunque la rappresentanza generale 21 della società indipendentemente da qualsiasi eventuale diversa previsione statutaria. La norma sulla rappresentanza degli amministratori, infatti, “riflette l’osmosi organica presente nelle società a responsabilità limitata, che si traduce nella norma di default della perfetta coincidenza tra potere amministrativo e quello dirappresentanza” (D. U. Santosuosso, La riforma del diritto societario, Giuffrè, 2003, 217). In ragione del fatto che qualunque amministratore è istituzionalmente dotato di detta rappresentanza generale non può ammettersi una diversa o contraria previsione dell’atto costitutivo, per cui, tra breve non avrà più senso la previsione statutaria di conferire poteri di ordinaria amministrazione o straordinaria amministrazione, distinzione quindi da abbandonare ormai definitivamente da parte dei fondatori. Occorre anche precisare che già oggi si discute molto della idoneità di detta clausola a delimitare gli atti che possono essere compiuti e ciò non perché sia incerto il discrimen tra un tipo di atti e l’altro ma per la considerazione assorbente che non è possibile concettualmente distinguere tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione; infatti “il potere degli amministratori riguarda gli uni e gli altri, perché entrambi si possono porre come mezzo rispetto al conseguimento dello scopo sociale” (Cass. 12 marzo 1994, n. 2430; 18 giugno 1987, n. 5353, 11 giugno 1968, n. 1846). Conseguenza di ciò è che gli atti posti in essere dagli amministratori vincolano sempre e comunque la società. Non vi è dubbio che la norma deroga alle norme vigenti in tema di rappresentanza, e si presenta, perciò, con i caratteri di una norma speciale, destinata a prevalere su ogni altra norma avente più ampio raggio di applicazioni (F. Galgano, Il nuovo diritto societario, CEDAM, 2003, pag. 274). La migliore dottrina si è anche chiesta se l’art. 2475 bis prevalga anche sull’art. 12 della legge cambiaria (art. 12 R.D. 14/12/1933 n. 1669) rendendo inopponibili ai terzi i limiti statutari in tema di obbligazioni cambiarie, problema fino ad oggi ancora controverso ed ha ritenuto decisivo, in favore di questa interpretazione, la constatazione 22 che la norma cambiaria non presenta il carattere di una norma speciale ed è destinata di conseguenza a soccombere di fronte al nuovo testo dell’art. 2384 in tema di società per azioni e dell’art. 2475 bis per le s.r.l.. (F. Galgano, cit., pag. 274). b) Come sopra precisato le limitazioni ai poteri degli amministratori non sono opponibili ai terzi, salvo che questi abbiano agito intenzionalmente in danno della società (art. 2475 bis comma 2). Sono conseguentemente prive di rilevanza esterna le dissociazioni tra potere deliberativo e potere di rappresentanza ed è assolutamente inutile una diversa previone statutaria volta a condizionare l’atto da compiere all’assunzione della relativa decisione, in quanto la eventuale mancanza della stessa non assume alcun rilievo esterno e non potrà quindi essere opposta ai terzi. In vero occorre precisare che dette limitazioni hanno efficacia meramente interna anche alla luce della vigente normativa. Analoga previsione, infatti, vi è attualmente all’art. 2384 comma 2, richiamato dall’art. 2487 e già da tempo la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata nei seguenti termini. L’art. 2384 c.c., nel testo modificato dall'art. 5 D.P.R. 29.12.1969 n. 1127, è stato introdotto dal legislatore in esecuzione della direttiva del Consiglio dei Ministri CEE n. 151 del 9.3.1968, la cui finalità era quella di dare sicurezza ai terzi, in ordine alla validità dell'attività posta in essere dagli amministratori di società aventi personalità giuridica, muniti del potere di rappresentanza (Cass. SS.UU. 10318/1990). Essendo questa la ratio sottesa all'introduzione della norma in esame, non possono sussistere dubbi in ordine all'applicabilità dell'art. 2384 c.c. alle ipotesi di dissociazione del potere rappresentativo dal potere di gestione, considerato che la tesi che detta dissociazione abbia rilevanza esterna si pone in contrasto con la indicata finalità perseguita dal legislatore, minando così alla base la possibilità di garantire ai terzi, che con la società abbiano rapporti, la necessaria sicurezza in ordine alla validità degli atti compiuti posto che non è loro consentito conoscere le deliberazioni del consiglio di amministrazione, titolare del potere di gestione, e quindi valutare se l'organo munito del potere di 23 rappresentanza, agisca in contrasto o in sintonia con tali deliberazioni (Cass. 1325/2000). La dottrina, da parte sua, ha più volte affermato che l’efficacia solamente interna consegue alla natura del rapporto organico esistente e riguarda quindi esclusivamente il rapporto società - amministratori (Abadessa, Bonelli, Calandra Bonaura). c) Coerentemente con le rilevanti modifiche apportate, non è più contemplata nella nuova normativa una espressa disciplina per gli atti che non rientrano nell’attività d’impresa indicata quale oggetto sociale nell’atto costitutivo. Il che significa che è stato abrogato l’art. 2384 bis, con la conseguenza che gli atti compiuti dall’amministratore vincolano la società anche se egli agisce ultra vires, salvo l’esperimento della exceptio doli. Circa la abrogazione dell'art. 2384 bis, che era stato introdotto con l'art. 6 D.P.R. n. 1127/1969, in attuazione della prima direttiva comunitaria in materia societaria del 9 marzo 1968 (68/151/CE), è stato osservato che detta abrogazione, a una prima lettura, potrebbe porsi in contrasto con la predetta direttiva il cui art.. 9 prescriveva agli Stati di disporre l'opponibilità ai terzi dell'eventuale eccesso degli amministratori rispetto all'oggetto sociale, salvo che il relativo potere di rappresentanza eccedesse i limiti posti dalla legge o che la legge avesse consentito di porre. Per cui, avendo ora gli amministratori un potere generale di rappresentanza, l'osservanza dovuta a detta direttiva avrebbe imposto il mantenimento della norma. Il legislatore potrebbe tuttavia aver ritenuto compreso nella inopponibilità ai terzi anche l'eccesso dai limiti dell'oggetto sociale, considerandolo quindi una limitazione legale al potere dell'amministratore. (V. Salafia, Amministrazione e controllo delle società di capitali nella recente riforma societaria, 2003, pag. 3). Ma è lo stesso autore, con il consueto rigore, a precisare che “tale opinione non appare ben radicata nella lettera della norma”. Vi è infatti da rilevare che l'art. 9, paragrafo 2 della Direttiva citata consente agli Stati membri di attenuare per gli atti ultra vires, il principio di tendenziale inopponibilità delle limitazioni 24 statutarie ed espressamente prevede che "gli Stati membri possano stabilire che la società non sia obbligata quando tali atti superano i limiti dell'oggetto sociale, se essa prova che il terzo sapeva che l'atto superava detti limiti o non poteva ignorarlo" non essendo sufficiente, ai fini della conoscenza, la sola pubblicazione dello statuto. Ma, il legislatore europeo, si è argomentato, ha individuato nella mala fede del terzo il presupposto minimo ai fini dell'opponibilità dell'estraneità dell'atto all'oggetto sociale. Ciò non preclude la possibilità di introdurre previsioni che, vincolando maggiormente le società per gli atti ultra vires, assicurino "un effetto utile rispetto al conseguimento delle finalità, sottese alla direttiva, di tutela dell'affidamento e di certezza del diritto nei rapporti tra le società di capitali e i terzi che con esse entrino in contatto". Per cui, da un confronto tra il “nuovo” art. 2475 bis e l'originario art. 2384 comma 1, si evince che “l'oggetto sociale non è più configurabile quale limite legale per relationem del potere di rappresentanza, ma unicamente come limite al potere di gestione, con conseguente rilevanza meramente interna e una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con l’art. 9” (N . Abriani, Conflitto di interessi e rappresentanza nella nuova società a responsabilità limitata, Le società, 2003, 3, 421; nello stesso senso D. U. Santosuosso, La riforma del diritto societario, supra cit., 131). Oggi che l'oggetto sociale diviene un limite interno allo svolgimento dell'attività della impresa come conseguenza della generale capacità giuridica degli amministratori al compimento di tutti gli atti, anche ultra vires, è molto più importante di prima, per i soci, definire l’attività che costituisce l’oggetto sociale in maniera chiara, tale da evitare dubbi interpretativi. Se, infatti, l'inopponibilità dell'atto è una regola formulata in maniera tale da non rendere più rilevante per i terzi la delimitazione dell'oggetto sociale potendo gli amministratori, comunque, compiere anche gli atti ultra vires, è quanto mai opportuno per i soci, invece, “limitare” o “delimitare” chiaramente con l'atto costitutivo l’attività che costituisce l'oggetto della società, deducibile nei singoli contratti che saranno posti in essere quali 25 espressioni dello stesso, al fine di evidenziare quel nesso di strumentalità di cui si è parlato che ne rende possibile la stipulazione. Se, infatti, si dovesse proseguire in quella prassi di indicazioni estremamente generiche che si rinvengono spesso negli statuti sociali si affiancherebbe alla capacità generale esterna una sorta di totale irresponsabilità interna. Il che, sia chiaro, può essere una scelta ben precisa dei soci i quali possono consentire che la società rinunzi ad esperire l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori ma può essere anche una conseguenza, non voluta, di una previsione statutaria talmente ampia da poter consentire all’amministratore di sostenere sempre, in ogni ipotesi di contestazione interna, che quella determinata attività fosse esercitabile o che quel determinato atto fosse strumentale alla attività o alle attività statutarie della impresa collettiva. d) Le limitazioni legali riguardano gli atti che la legge riserva alla competenza esclusiva di organo diverso da quello amministrativo. Si tratta di una limitazione di legge, di una riserva legale a favore di altro organo per cui la violazione assume rilevanza diretta nei confronti dei terzi e la società potrà fare valere il difetto di potere rappresentativo impugnando i contratti posti in essere. E’ il caso (art. 2479, comma 2, n. 5) delle operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto. Due esempi che possono essere indicati ad una prima lettura come rientranti tra la tipologia di atti di cui si è appena parlato sono i seguenti. - La alienazione dell’unico opificio tecnicamente organizzato ai fini dell’esercizio dell’attività di impresa. - Il rilascio di una fideiussione omnibus in favore di altra società, il che comporterebbe di fatto una soggezione in termini di dipendenza economica della società garante nei confronti della società garantita, in quanto solo al buon esito delle attività intraprese da quest’ultima sarebbero legate le sorti della prima. - Si rammenti ancora che l’art. 2465 comma 2, impone che l’acquisto da parte della società per un 26 corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale di beni o di crediti dei soci fondatori, dei soci, degli amministratori nei due anni dalla iscrizione nel Registro delle Imprese deve essere preceduto e accompagnato da quelle precise attività e modalità indicate al comma 1 e l’acquisto “deve essere autorizzato con decisione dei soci a norma dell’art. 2479”. Lo stesso art. 2465, tuttavia, fa salva una “diversa disposizione dell’atto costitutivo”. Conseguentemente se tale diversa previsione non è contenuta nell’atto costitutivo e l’atto viene compiuto in mancanza di una decisione dei soci, ci si troverà in presenza di una limitazione legale. - Ritiene qualche autore, altresì, che, ancorché sia legittima la partecipazione di s.r.l. in società personali (cfr. art. 111 duodecies disp. cod. civ.), essendo collegato a tale partecipazione un effetto di natura patrimoniale collegato alla qualità di socio illimitatamente responsabile, sia opportuno far precedere la assunzione della partecipazione da una decisione dei soci in tal senso potendosi altrimenti considerare (forse) come operazione riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2479 comma 2, n. 5. e) Con riferimento agli atti compiuti con “abuso di rappresentanza”, l’unica ipotesi di impugnativa riguarda le decisioni viziate da conflitto di interessi che costituiscono il c.d. «abuso di rappresentanza» (tale definito da Abriani, Galgano ed altri). L’art. 2475 ter, primo comma, prevede che i contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima, possono essere annullati su domanda della società se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo. La previsione non si riferisce soltanto ai contratti in senso stretto ma a tutti gli atti anche unilaterali che possono compiere gli amministratori, come ad esempio promesse unilaterali, garanzie, offerte (D. U. Santosuosso, cit., 218, ma anche altri). Gli atti stipulati in una situazione di conflitto di interessi possono essere impugnati nel termine prescrizionale quinquennale previsto all'art. 1442, dando prova della situazione di conflitto di 27 interessi del rappresentante e della conoscenza da parte del terzo o della sua riconoscibilità, secondo il criterio della ordinaria diligenza. Assume, invece, un rilievo secondario l’art. 2475 ter, secondo comma, a mente del quale le decisioni adottate dal Consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un danno patrimoniale, possono essere impugnate entro tre mesi dagli amministratori e ciò per i seguenti motivi. L’azione può essere utilmente esperita nel concorso di molteplici presupposti. Nella ipotesi in esame, il contratto è stato stipulato in esecuzione di una preventiva decisione degli amministratori che deve essere impugnata entro tre mesi, termine molto breve. A ciò si aggiunga che il termine decorre dal momento in cui è stata assunta la decisione o dal momento in cui la decisione è stata trascritta in apposito libro. Quindi, se l’atto viene posto in essere dopo tre mesi, non vi è alcun rimedio. Inoltre, soltanto gli amministratori o i soggetti di cui all'art. 2477 possono impugnare tali tipi di atti e non i soci o la società. Si aggiunga ancora che deve essersi già manifestato un danno, poichè la norma esprime chiaramente l'esigenza che il danno sia effettivo e non potenziale ed è difficile ipotizzare che entro tre mesi si sia prodotto un danno effettivo alla società. E' altrettanto difficile ipotizzare quali siano, in concreto, le possibilità di dimostrare la effettività del danno stesso. In fine sono salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede. L'unico profilo della disciplina che favorisce l'esperimento della azione è costituito dalla circostanza che la prova della buona fede ricade sul terzo contraente in quanto funge da fatto costitutivo dell’acquisizione del diritto (N. Abriani, supra cit., 421). 28