L’Ecce Homo di Antonello da Messina della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova di Farida Simonetti Arte direttore della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola L’occasione di poter vedere riunite in un’unica sede, grazie alla recente mostra allestita alle Scuderie del Quirinale a Roma, quasi tutte le opere note di Antonello da Messina, in assoluto uno dei più grandi pittori del Quattrocento, crea una straordinaria e forse irripetibile occasione di conoscenza. L’ opera di questo pittore costituisce, infatti, una tappa fondamentale nell’evoluzione tecnica della nostra scuola pittorica e nell’approfondimento della ricerca spaziale che la caratterizzerà, ma soprattutto, grazie alla personale sensibilità dell’artista, una profonda riflessione su temi specifici affrontati anche attraverso il ripetitivo insistere su determinati soggetti. Proprio questa ricerca di approfondimento è, per esempio, alla base della ripetizione della raffigurazione di uno specifico momento della vita di Cristo come quello in cui il Redentore viene presentato da Caifa al popolo con le parole: “Ecce Homo”. Si tratta di un momento cruciale della Passione, ma soprattutto di un momento emblematico per una riflessione sul rapporto tra divino e umano, sul dolore, sull’interiorità della sofferenza, e per questo Antonello ha trovato interesse a cimentarsi in più versioni della sua raffigurazione tra cui è da considerare l’Ecce Homo conservato presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova1. Questa preziosa testimonianza della ricerca condotta dall’artista messinese era però una delle pochissime opere assenti alla mostra romana, così come lo fu alla grande mostra organizzata a Messina nel 1981 in occasione del V centenario della morte del pittore poichè, allora come oggi, e nonostante le nuove garanzie tecnologiche per il trasporto e nonostante i restauri effettuati su di essa, le condizioni della tavola ne hanno sconsigliato lo spostamento dal- Arte la propria sede storica. Infatti, come è drammaticamente evidente dall’osservazione del retro del dipinto, la tavola su cui Antonello ha dipinto è stata oggetto di un così devastante attacco di insetti xilofagi che, nonostante due delicatissimi restauri dell’Istituto Centrale del Restauro, nel 1959 e nel 1987, l’opera resta di impressionante fragilità. Il degrado del supporto, dovuto all’attacco di tarli, era talmente avanzato che al momento dell’avvio del secondo restauro fu addirittura presa in considerazione la soluzione di procedere al trasporto del colore su nuovo supporto. Tale operazione però, giustamente temuta da Giovanni Urbani, allora direttore dell’Istituto, perchè avrebbe determinato anche lo snaturamento dell’opera, fu evitata grazie alla scelta innovativa di intervenire sul supporto originale ricostruendone l’integrità grazie ad una Particolare della cornice con la firma. A fronte: Antonello da Messina, Ecce Homo. Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. attentissima e paziente ricucitura con listelli di balsa, intervento non sufficiente comunque a risolvere totalmente la fragilità strutturale della tavola. Per questo l’Ecce Homo Spinola continua a partecipare a distanza alle grandi occasioni di approfondimento della conoscenza del suo autore, continuando a conservare, nonostante il suo ormai indiscusso ruolo di capolavoro, una posizione appartata. Il dipinto è esposto a Palazzo Spinola come uno dei capolavori più prestigiosi conservati nell’edificio che oggi è museo, ma che storicamente fu dimora delle più importanti famiglie aristocratiche genovesi, dai Grimaldi ai Pallavicino, dai Doria agli 35 Spinola. Si ignora quale fu il momento e a chi si deve l’ingresso nel patrimonio del palazzo dell’opera di Antonello poiché è assai scarsa la documentazione sulla storia del dipinto nel periodo tra la sua esecuzione e la prima citazione certa della sua presenza tra i dipinti del secondo salotto del piano nobile. Qui Federico Alizeri2 descrive nel 1846 “un Ecce homo in tavola attribuito ad Antonello da Messina”. Precede di pochi anni questa citazione l’indicazione dell’opera di Antonello – “testa di Cristo con corona di spine di Antonello da Messina” – nell’inventario dei beni di Giacomo Spinola steso nel 1830 quando il palazzo fu da lui ereditato determinando il passaggio della proprietà dal ramo degli Spinola di San Luca a quello di Luccoli. Sempre nel secondo salotto, già nel 1780 Carlo Giuseppe Ratti, 3 nel descrivere la quadreria del palazzo, cita “una mezza figura d’un Cristo e un altro di una Addolorata, ambedue di stile fiammingo” in cui già Morassi proponeva di riconoscere l’opera di Antonello4. Comunque, dall’indicazione di Alizeri in poi, il dipinto emerse all’attenzione degli storici che però, già nell’Ottocento, non mancarono di rilevarne il cattivo stato di conservazione5 che, ancora nel 1912, Cavalcaselle sottolineava tanto da proporlo come una replica, “abraded and retouched”, dell’Ecce Homo di Antonello conservato presso il Collegio Alberoni di Piacenza”6. Date le condizioni del dipinto possono quindi essere comprese e giustificate le attribuzioni oscillanti tra diversi autori avanzate in quel periodo nel generale impegno della critica a individuare le opere certamente autografe e la loro cronologia7. A spazzare il campo da dubbi sull’autografia della versione genovese sopraggiunse la determinante la sco- perta, nel 1946, del “cartellino” con la firma Antonellus Messaneus Haec (in realtà è Me) pinxit8 apposto sul legno della cornice ma fino a quel momento nascosto da una doratura probabilmente settecentesca. Preso atto di tale scoperta, ormai la critica sembra oggi concordare, oltre che sul riconoscimento della loro autografia, anche nella definizione di una successione cronologica delle quattro versioni di Antonello dell’Ecce Homo, a partire dalla piccola tavola in collezione privata newyorkese, e collocabili all’inizio degli anni Sessanta del Quattrocento, seguita da quella, datata 1470, del Metropolitan di New York strettamente legata alla versione di Palazzo Spinola, forse di poco precedente, mentre sono da considerare più tarde quella del Collegio Alberoni, il cui cartellino dovrebbe leggersi 1475 o 76, e il Cristo alla colonna (già in collezione Cook a Richmond) oggi al Louvre. Trattandosi di diverse soluzioni ed elaborazioni, ognuna ha caratteristiche proprie e quella di Palazzo Spinola sembra distinguersi come l’opera in cui il Cristo appare più pervaso da una immensa mestizia tutta interiore e spirituale. Mancano, infatti, segni che rendano evidente la sofferenza fisica, solo qualche goccia di sangue segna la sommità della fronte, e forse oggi è proprio in questa assenza di segni fisici, che lascia la comunicazione del dolore alla sola espressione del volto, alla piega amara della bocca, che si rileva quella forza e intensità capace di coinvolgere ed emozionare lo spettatore moderno. Ne è stato una straordinaria conferma il successo di pubblico in occasione della mostra a Palazzo Spinola L’Ecce Homo di Antonello da Messina. Due opere a confronto costituita dal solo accostamento, per la prima volta, della versione di Palazzo Spinola e quella del Collegio Alberoni permettendo un confronto diretto tra almeno due delle diverse verIl retro del dipinto. 36 Arte sioni di questo soggetto elaborate da Antonello. Intorno ad esse si è voluto creare un momento di informazione e di riflessione proponendo le due opere, sole, isolate, piccole nelle dimensioni, monumentali nel contenuto. Un confronto davvero fondamentale per capire la datazione e quindi l’evoluzione seguita da Antonello da una versione all’altra evidentemente secondo un progetto di studio dello spazio e della sua costruzione attraverso la semplice rotazione del corpo, il rapporto con la balaustra dalla quale lo immagina affacciarsi, il collocarsi davanti alla colonna della flagellazione o l’apparire totalmente isolato nel buio. Ma proprio il confronto diretto ha evidenziato che nelle due opere non vi è solo una ricerca spaziale o una ricerca tecnica tra i modi della cultura italiana e il fare della pittura fiamminga, imitati così bene da Antonello da essere proprio per questa sua capacità divenuto pittore ricercatissimo e di straordinaria fama nella sua vita. Ciò che è emerso con forza, ciò che è sta- Arte to intimamente percepito, è la ricerca sull’espressione del dolore, una riflessione sul significato più profondo della natura umana del dolore del Cristo nell’alternativa tra il renderla come sofferenza fisica o comunicarla come sofferenza interiore. E quello sguardo così pieno di angoscia continua ad offrire a ciascuno motivo di guardarsi dentro strappando ciascuno dall’indifferenza. Note Cfr. Ecce Homo. Antonello da Messina. Genova e Piacenza: due versioni a confronto, Giornata Internazionale di Studi presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova, 24 ottobre 2000, a cura di F. Simonetti, Genova 2000, in particolare F. Sricchia Santoro, Il tema dell’Ecce Homo nel percorso di Antonello, pp. 9-13, e D. Thièbaut, Dagli Ecce Homo al Cristo alla colonna, pp. 19-25. 2 F. Alizeri, Guida artistica per la città di Genova, Genova 1846, pp. 469-477. F. Alizeri, Guida illustrata del cittadino e del forestiero per la città di Genova, Genova 1875, pp. 133-135. 3 C. G. Ratti, Instruzione di quanto può vedersi di più bello a Genova .., Genova 1780, pp. 138-144. 4 A. Morassi, Capolavori della pittura a Ge1 “Ecce Homo di Antonello da Messina. Due opere a confronto”. Mostra allestita alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola nel 2000. nova, Milano-Firenze 1951, pp. 62-63. 5 Poiché I. Lermolieff (G. Morelli), Le opere dei maestri italiani nelle Gallerie di Monaco, Dresda e Berlino, Bologna 1886, p. 392-393 descrive il dipinto come molto sciupato da restauri si è ipotizzato possa essere stato effettuato un intervento di restauro già prima dell’esposizione alla mostra del 1892 (Mostra d’arte antica, Genova 1892, p. 133, n. 48). 6 J. A. Crowe e G. B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy, London 1912, p. 420 e 429. 7 Per una analisi delle diverse attribuzioni e valutazioni dell’opera di Antonello a Palazzo Spinola cfr. F. Simonetti, Fortuna critica dell’Ecce Homo di Palazzo Spinola in Ecce Homo. Antonello da Messina. Genova e Piacenza: due versioni a confronto..., cit., pp. 33-39. 8 A. Morassi, Mostra della pittura antica in Liguria, catalogo della mostra, Genova 1946, p. 47; A. Morassi, Capolavori della pittura a Genova, Milano-Firenze 1951, pp. 62-63. Sull’onda della soddisfazione per il ritrovamento del cartiglio che ne afferma definitivamente l’autografia, Morassi riprende l’accostamento con la tavola di Piacenza per affermarne la superiorità per potenza d’espressione, “concisa, essenziale, e tutta autografa”. 37