Culture e società venerdì 31 ottobre 2014 19 Due mostre, a Basilea e Ginevra, presentano i capolavori e gli ultimi anni del Primo Moderno Stagioni Courbet Fondazione Beyeler e Museo Rath, due occasioni diverse e complementari per scoprire il genio del pittore francese, in tutte le sue forme di Vito Calabretta Viviamo una stagione Courbet in Svizzera, grazie alle due mostre affatto complementari presso la Fondazione Beyeler di Riehen e il Museo Rath di Ginevra. La prima vuole celebrare il genio dell’artista definito Primo Moderno; la seconda pone una serie di problemi complicati quanto importanti, partendo dal lavoro di Courbet durante il suo esilio in Svizzera. Per fuggire a una pesante condanna dello Stato francese, che pretendeva da lui un esoso risarcimento dei danni attribuiti alla sua azione politica durante il periodo della Comune di Parigi, Courbet si rifugiò nel 1873 sulle rive del lago Lemano e ivi stette fino alla sua morte, nel 1877. La produzione degli ultimi anni di Courbet è stata bistrattata dalla critica e la mostra di Ginevra vuole tornare su questo giudizio e promuovere una nuova complessiva considerazione su «un’opera che sfugge a ogni giudizio normativo semplice, che si tratti della pittura, dell’azione politica o della concezione della modernità». La complementarietà delle due mostre parte dunque dagli obiettivi e si esprime poi attraverso il modo di presentare le opere. A Basilea abbiamo una sequenza di opere di grande pregio, in alcuni casi icone della pittura dell’Ottocento, partendo dagli autoritratti, così diversi tra di loro, fino ai paesaggi di mare e ai cieli in cui le nuvole sono dipinte in salita. A Ginevra abbiamo invece opere di diversa fattura e qualità; vi è anche una copia da Tiziano esposta per evocare i quadri che Courbet definiva opere di maestri del passato e che erano invece prodotti di antiquariato di basso ordine; a fronte di queste, sempre a Ginevra, campeggiano quadri di grande interesse come ‘Jo, la belle irlandaise’ o il ‘Panorama delle Alpi’, dove le masse della montagna sono trattate come volumi scuri astratti e autonomi. La complementarietà si esprime anche nel contenuto complessivo delle due mostre. A Ginevra vengono posti alcuni problemi che partono dal lavoro e dall’esperienza di Courbet per riflettere su contenuti più generali. Uno di questi è il ruolo del paesaggio nell’opera pittorica e la sua funzione ideologica e politica: il fatto che i paesaggi di Courbet siano quasi reazionari, vogliano occultare le tracce della modernizzazione ed esprimere una relazione diretta con la natura viene presentato per esempio come indice di utopismo, da una parte, e di regionalismo dall’altro: «Due forme di resistenza a una società francese dominata dal capitalismo parigino e dal suo mecenatismo autoritario». Resistenza, sperimentazione, genio Vi è poi, sempre nella mostra ginevrina, una riflessione sul ruolo dell’opera tardiva dell’artista, in Courbet ma anche in modo più generale. La mostra e il catalogo mettono in discussione la presentazione di un Courbet imprigionato dalle difficoltà personali, finanziarie, di salute. A fronte di tale ricostruzione che ha avuta molta fortuna quando ancora Courbet era in vita, si indica la possibilità che una parte della sua produzione degli ultimi anni fosse anche il frutto di nuovi modi di sperimentare: «Lezioni di libertà espresse esacerbando audacie formali». I panorama delle Alpi che chiudono la mostra sono da questo punto di vista esempi attraenti. Alla Fondazione Beyeler abbiamo invece la celebrazione del genio dell’artista e, attraverso i saggi in catalogo, un’indagine sulla complessità dei contenuti della sua pittura, attraverso i richiami alla tradizione precedente o a lui coetanea, attraverso la narrazione di episodi di sfida che egli lanciava al mondo in un continuo contrasto tra «il desiderio di riconoscimento e il gusto dello scandalo». Guardando i quadri in mostra, ci rendiamo poi conto della enorme varietà di modi con i quali Gustave Courbet si muove sulla tela; talvolta in modo iper realistico, talaltra sintetico; altre volte ancora forzando gli aspetti espressivi anche a scapito della leggibilità della figura. Ciò succede in alcuni casi con gli animali, per esempio, con alcuni corpi delle donne, con le nuvole del cielo o con il modo di rappresentare un cielo in tempesta attraverso grandi macchie che sembrano tutte tendere al grigio. Vi è una gamba femminile che inizia, sulla caviglia, elegantemente descritta per poi ascendere, verso la coscia e poi l’anca, in quei volumi esasperati che tanto furono presi di mira dalla satira rivolta a Courbet. Nello stesso arto, l’artista è libero di esprimersi, o forse diremmo meglio trainato a esprimersi, in modalità espressive molto diverse tra di loro. In alto: Le Coup de vent, forêt de Fontainebleau, 1865. Sotto: Le Fou de peur, 1844-45 e Le Lac Léman, soleil couchant, 1875 La danza secondo Mark Morris Excursions 2014 Tour a Lugano COSÌ È SE VI PARE ‘Uomo e Galantuomo’ per il Teatro di Locarno di William Archer Al Teatro Locarno si alza il sipario della 25esima stagione su di un valido cartellone di prosa che non disdegna ammiccamenti a spettacoli puramente comici e a quelli di testimonianze e cronache. ‘Uomo e Galantuomo’, la vita quotidiana di una sgangherata compagnia di guitti (L’eclettica) portata in scena con brio, comicità esilarante, coralità e spessore rappresentativo, il teatro nel teatro, apre martedì 4 novembre (replica il 5), la stagione. Scritta da Eduardo De Filippo nel 1922 questa farsa commedia, tra le più originali della raccolta ‘Cantata dei giorni pari’, per anni fu cavallo di battaglia della famiglia De Filippo. In questo spettacolo pirotecnico di battute folgoranti, di filosofia di teatranti e cambiamenti di situazioni, si inserisce il tema della pazzia, qua finta, in chiave comica, non sconvolgente come in Pirandello. Questa drammaturgia della parola, del narrare, del rappresentare, del fingere e dell’illusione, in chiave tragica e in chiave farsesca, si ritrova in diversi altri spettacoli del cartellone. Da ‘Re Lear’ nella ri- In Ticino non mancano le occasioni per incrociare interpreti della musica, del teatro, della danza di livello assoluto. Il pericolo, però, è che queste occasioni possano rivelarsi il classico ‘mordi e fuggi’ buono per un’uscita mondana, ma nel quale non ci si prende il tempo e lo spazio per gustare a pieno di ciò che si sta osservando. Per coglierlo nella sua molteplicità di implicazioni. Forse per questo motivo, a più livelli, dalle stagioni dei teatri maggiori a quelle dei ritrovi indipendenti, si moltiplicano le occasioni di incontro e confronto con gli artisti, o con chi ha qualcosa di significativo da dire sul loro lavoro. Non fa eccezione Lugano In Scena che, malgrado la contrazione del cartellone rispetto agli ultimi anni, presenta alcuni appuntamenti di grande interesse. Come quello di sabato 8 novembre, alle 20.30 al Palazzo dei Congressi, con il Mark Morris Dance Group e il suo Excursions 2014 Tour. È da accogliere quindi con favore l’idea di introdurre lo spettacolo con un incontro, venerdì 7 alle 18 nell’Aula Magna dell’Università, con il primo dei ‘Reading Dance LIS’. Stefano Tomassini, docente all’Istituto di Studi italiani, presenterà ‘La tradizione del moderno nella danza contemporanea americana’, da Ted Shawn a Mark Morris. Il gruppo fondato a Brooklin da Morris nel 1980, infatti, fra le altre cose premiato per due volte con il Lawrence Olivier Awards, è uno dei più noti e affermati a livello mondiale. Lo spettacolo presenterà cinque coreografie di Morris, con musiche dal vivo di Bach, S. Barber, F. Mendelssohn, H. Cowell e L. Harrison. Un’occasione per scoprire le forme della danza oggi (prevendita: ticketcorner.ch). RED visitazione e regia di Michele Placido e Francesca Manetti, a ‘Il visitatore’ del brillante romanziere e drammaturgo franco-belga Éric-Emmanuel Schmitt, in cui troviamo Alessandro Haber e Alessio Boni, a ‘L’impresario di Smirne’, divertente commedia esotica di Carlo Goldoni, satira graffiante del teatro musicale del Settecento. Fino all’attualizzazione de ‘Il malato immaginario’ di Molière, classico per eccellenza, una commedia fuori del tempo, per la regia di Andrée Ruth Shammah, regista milanese di origine siriana e l’ironica interpretazione di Gioele Dix; a ‘Signori… le paté de la maison’, commedia satirico-grottesca tratta dallo spumeggiante film ‘Le Pré- nom’ di Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière (gran successo della comicità francese), di cui Sabrina Ferilli, ritornata alle scene, e Maurizio Micheli, attore e regista, sono i mattatori. A questi lavori teatrali della parola, nei quali lo sfondo comune è la comicità, fanno degnamente da spalla il divertissement travolgente di ‘Casta Away– La tempesta imperfetta’ del vulcanico Enrico Bertolino e l’irriverente spettacolo musicale ‘PaGAGnini’. Però Locarno non è solo il cartellone, ma anche gli incontri con gli attori, interpreti dei lavori portati in scena. Sono momenti che danno agli spettatori l’opportunità di scambiare le proprie opinioni con gli attori che hanno visto recitare la sera prima o che andranno a vedere qualche ora dopo, in quanto a Locarno tutti gli spettacoli sono in scena due volte. La scorso anno furono ben frequentati e riscossero buon gradimento di pubblico. Per la stagione 2014-2015 gli Incontri, organizzati dall’Associazione Amici del Teatro di Locarno in collaborazione con la Biblioteca cantonale, saranno quattro: ‘Re Lear’ (3 dicembre) ‘L’impresario di Smirne’ (27 febbraio), ‘Signori… le paté de la maison!’ (11 marzo) e ‘Il malato immaginario’ (26 marzo). Per i patiti del teatro vi sarà così la possibilità di dialogare con Michele Placido, Sabrina Ferilli, Gioele Dix, Maurizio Micheli.