Gustave Courbet, “ L’atelier del pittore. Allegoria reale determinante un periodo di sette anni della mia vita artistica e morale “ – 1855- olio su tela 359x598cm. Parigi Museè d’Orsay Nella tela «L’atelier» Gustave Courbet realizza un’allegoria del suo mestiere di pittore. Nel suo grande studio egli rappresenta innanzitutto se stesso, seduto su una sedia, intento a ultimare un quadro di paesaggio ( Ornans ) con un cielo estremamente realistico e anticonvenzionale. Intorno a sé realizza una trentina di personaggi che non sono personaggi reali, ma presenze allegoriche. In posizione a lui più vicina vi è una donna, a simboleggiare la « Verità nuda» che osserva con tenerezza l’opera che egli sta ultimando. Difronte un bimbetto dai vestiti laceri incuriosito: la verità, vuol dirci l’artista è semplice e innocente, oltre che nuda. A destra, alle spalle del pittore sono invece rappresentati i sogni e le allegorie. Tra queste l’amore, la filosofia e la letteratura, alle quali Courbet ha imprestato i volti di vari amici e conoscenti ( committenti, di letterati e filosofi di cui lui era amico tra questi vi si riconosce Baudelaire e Proudhon ). Sulla sinistra sono rappresentate le classi sociali che vivono ai margini della società: un gruppo di personaggi che rappresentano quindi quella realtà (fatta di persone povere e umili: operai, saltimbanchi, balordi ). Hanno tutti la testa reclinata e l’atteggiamento pensoso. Nel loro volti senza sorriso si legge il pesante fardello della vita e dei suoi dolori. Il quadro, la cui decifrazione non si ferma alle poche cose qui dette, va quindi letto come un manifesto visivo della poetica realista di Courbet. Esso fu realizzato tra il 1854 e il 1855 per essere presentato al Salon di Parigi: la giuria tuttavia lo rifiutò con la motivazione che il quadro era volgare. Nell’Atelier del pittore, che l’artista stesso definisce in modo volutamente contraddittorio come “ un’allegoria reale “, egli espone in modo compiuto tutti i propri ideali artistici e umani. Le grandi dimensioni della tela alludono quasi provocatoriamente al gigantismo di molti dipinti accademici allora di moda, sempre affollati di personaggi storici entro ambientazioni classicheggianti. di Thomas Couture, I Romani della decadenza 1847 Parigi Museè d’Orsay