Anno XI - Numero 42 - 22 settembre 2005 L’Intervista Parla il Direttore Gianluigi Gelmetti A Pag. 2 L’Imperatore Giuseppe II Il Sovrano riformatore che autorizzò libretto e balli A Pag 8e9 L’irrequieto Mozart Quel calcio che rese Wolfgang indipendente A Pag 10 Beaumarchais e Da Ponte Le differenze tra la commedia ed il libretto dell’opera A Pag 13 LE NOZZE DI FIGARO di Wolfgang Amadeus Mozart Le Nozze di Figaro 2 Il Giornale dei Grandi Eventi Parla il direttore Gianluigi Gelmetti La musica di Mozart: un diamante dalle mille sfaccettature D opo la parentesi estiva alle Terme di Caracalla, la stagione del Teatro dell’Opera riprende al Teatro Costanzi, anticipando le celebrazioni dell’Anno Mozartiano con Le Nozze di Figaro, un omaggio al genio di Salisburgo di cui, l’anno prossimo, ricorrerà il 250° anniversario della nascita. Per l’occasione è stato riunito lo stesso terzetto che, nel 2002, mise in scena il Don Giovanni, opera che, oltre ad aver registrato il tutto esaurito al Costanzi, fu anche nello stesso anno il primo esperimento di Opera in piazza, con il palco allestito a Piazza del Popolo, davanti a una folla di ottantamila spettatori. La regia è affidata a Gigi Proietti, le scene e i costumi a Quirino Conti, la direzione musicale a Gianluigi Gelmetti. I tre interpreti confermano ancora una volta la loro comunità di intenti: evitare tassativamente ogni sovrapposizione personalistica, ogni arrogante “chiave di lettura”. Buon senso, raffinata tradizione e preziosità dei materiali saranno la divisa di questa produzione. D. - Maestro Gelmetti, lei ha spesso paragonato la musica di Mozart ad un diamante.... « Infatti, questa pietra preziosa rappresenta per me un’efficace metafora delle partiture di Mozart, ma non solo, anche della sua figura umana. Un diamante che, oltre ad essere una pietra di valore, offre a chi lo osserva mille diverse sfaccettature a seconda della sua collocazione nello spazio, della luce che lo investe e del punto di vista del- l’osservatore». «In Mozart, l’atmosfera che a volte sembra allegra può divenire improvvisamente tragica, farsi sarcastica, persino buffa e all’improvviso essere turbata dall’apparire della morte... E’ questa multiforme poliedricità definita dai critici “ambiguità” - che consente alla musica mozartiana di far vibrare corde differenti nei diversi individui che compongono il pubblico». «Se lo spettatore medio di queste Nozze di Figaro proverà un sentimento diverso da quello del suo vicino di poltrona, allora avremo raggiunto una parte importante del nostro obiettivo: saremo riusciti a mettere in luce le diverse sfaccettature di questo diamante…». D. -Quali sono gli aspetti musicali da curare con maggior attenzione nella direzione delle Nozze? LA COPERTINA François Boucher, "La Toilette" (1742 ) - Olio su tela, cm. 52,5 x 66,5 cm La Contessa: «E segui a far la pazza? Va nel mio gabinetto, e prendi un poco d'inglese taffetà: ch'è sullo scrigno: In quanto al nastro... inver... per il colore mi spiacea di privarmene». (Atto II, Scena II) Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak DC290 «In modo particolare la levità, il garbo e la finezza del canto e dell’accompagnamento orchestrale». «L’epoca di Mozart è un’epoca di grande civiltà e di grandi misteri; la difficoltà per chi suona e per chi canta è quella di far convivere questi aspetti contrastanti». «Assolutamente fondamentale è anche il ritmo, che deve essere incessante: nelle Nozze tutto si svolge in tempo reale, nell’arco di una “Folle giornata”. Il tempo dell’orologio coincide quasi perfettamente con quanto accade sulla scena, mentre il ritmo della musica incalza quello che accade nello spirito di chi è in scena e di chi assiste. C’è una grande aderenza al reale, con la sua frenesia e con l’inesorabilità del divenire». «E’ un’opera proiettata instancabilmente in avanti e che bisogna “condurre” in avanti, con slancio». D. - Lei ha parlato di grandi misteri: la stessa figura di Mozart, densa di luci quanto di ombre, sarà il tema di una nuova opera che verrà eseguita per l’Anno Mozartiano... «Infatti, il lavoro in questione s’intitola Il Caso Mozart e si tratta di una commissione del Teatro dell’Opera ad un giovane compositore, Marco Taralli. Chi è Mozart? Dov’é? Chi è quest’uomo di cui non si conosce neanche un preciso identikit, di cui non vi è un ritratto che sia uguale all’altro? Come è stato possibile un simile miracolo? Queste saranno le domande alla radice dell’opera. Del resto, l’ ambiguità della figura di Mozart lo ha reso un personaggio di grande interesse mediatico che riscuote successo, anche - e soprattutto - presso le giovani generazioni». D. - A proposito di Anno Mozartiano, come risponderà all’appello la Capitale? «Roma ospiterà, nella stagione estiva, tre grandi eventi: l’esecuzione, all’interno dei siti archeologici, delle tre opere “romane” di Mozart: Lucio Silla, ai Mercati Traianei (che dirigerò personalmente), poi Ascanio in Alba nella Basilica di Massenzio e La Clemenza di Tito al Colosseo, vicino appunto all’Arco di Tito. Poi, stiamo pensando di proporre, dopo Don Giovanni e Il Flauto magico, Le Nozze di Figaro in Piazza del Popolo. Avrei anche un sogno: quello di proporre in una stessa giornata le tre opere della Trilogia, Nozze, Don Giovanni e Così fan tutte in una giornata di “ubriacatura mozartiana”». D. - Lei non ama le sovrapposizioni e recentemente ha dichiarato che non avrebbe accettato un “Conte D’Almaviva vestito da SS”. Trova che il fenomeno generale delle riletture, delle trovate ad effetto proposte da tanti direttori e registi sia finalmente in controtendenza? «Purtroppo no. Per parte mia sono convinto che il vero interprete sia colui che si lascia trasportare dalla musica, quasi ~~ fosse un barcaiolo che naviga dentro un grande fiume: egli si trova sulla barca, la guida, la trasporta e allo stesso tempo è trasportato dalla corrente. Così, noi non dobbiamo né violentare la musica né averne meramente un rispetto passivo: dobbiamo far sì che il segno scritto divenga vivo offrendo la nostra vita alla musica e ponendoci al suo servizio... Ma deve essere lei a comandare!». D. - Una domanda personale: dedicherà queste Nozze di Figaro alla piccola Biancalaura, “nuova arrivata” in casa Gelmetti? «Certo, ma a mia figlia dedico tutta la vita...». Andrea Cionci La Locandina ~ ~ Stagione Lirica 2005 Teatro Costanzi, 22 – 29 Settembre 2005 LE NOZZE DI FIGARO (K 426) Commedia per musica in quattro atti Libretto di Lorenzo Da Ponte Musica di Wolfgang Amadeus Mozart Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater, 1 maggio 1786 Maestro concertatore e Direttore Gianluigi Gelmetti Regia Gigi Proietti Scene e Costumi Quirino Conti Maestro del Coro Andrea Giorgi Personaggi / Interpreti La Contessa d’Almaviva, sua moglie (S) Anna Rita Taliento / Sofia Soloviy Susanna, cameriera della Contessa (S) Laura Cherici / Cristina Baggio Figaro, cameriere del Conte (B) Alex Esposito / Josè Carbo Cherubino, paggio del Conte (S) Laura Polverelli / Giacinta Nicotra Marcellina, governante (Ms) Anna Rita Gemmabella Don Bartolo, medico di Siviglia (B) Bruno Praticò Don Basilio, maestro di musica (T) Mario Bolognesi Don Curzio, giudice (T) Mauro Buffoli Antonio, giardiniere del Conte e zio di Susanna (B) Gian Luca Ricci Barbarina, sua figlia (S) Anna Malavasi Paesani e Contadinelle ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo allestimento I prossimi appuntamenti al Teatro Costanzi 18 – 25 ottobre DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno) di Richard Wagner Direttore Will Humburg Regia, Scene e Costumi Interpreti Pier’ Alli Ralf Lukas, Kristian Frantz, Hartmut Welker, Katja Lytting, Hanna Schwarz, Eva Matos ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA In lingua originale con sovratitoli 23 Novembre – 1 Dicembre LA SONNAMBULA di Vincenzo Bellini Direttore Regia Interpreti Bruno Campanella Pier Francesco Maestrini Stefania Bonfadelli, Nina Makarina, Dimitri Korchak, Enzo Capuano Il Le Nozze di Figaro Giornale dei Grandi Eventi C on un capolavoro assoluto, Le Nozze di Figaro di W. A. Mozart, il Teatro dell’Opera di Roma, dopo la stagione estiva alle Terme di Caracalla, ritorna al teatro Costanzi con questo terz’ultimo titolo della stagione. Un omaggio al compositore salisburghese, che ne anticipa le celebrazioni del 2006 per il 250° an- niversario della nascita. Primo dei titoli della trilogia mozartiana (“Nozze”, Don Giovanni, Così fa tutte), Le Nozze di Figaro (1786) rappresenta anche l’esordio della fortunata collaborazione tra Mozart e lo spregiudicato librettista Lorenzo Da Ponte, il quale riuscì a guadagnarsi il permesso e la protezione dell’Impera- tore Giuseppe II d’Austria per ricavare il libretto dalla commedia Le Mariage de Figaro di Beaumarchais - censurata per i suoi attacchi prerivoluzionari alla aristocrazia - e per inserirci balli vietati nelle rappresentazioni a corte. Questo nuovo allestimento è firmato da Gigi Proietti, alla sua settima regia lirica, con le scene ed i costumi dell’eclettico stilista Quirino Conti che proprio con Proietti a Roma firmò nel giugno 2002 l’allestimento del Don Giovanni di Mozart, riproposto un mese dopo in piazza del Popolo. La direzione musicale è affidata al Direttore principale dell’Opera Gianluigi Gelmetti, in attesa di diventare papà. 3 Le Repliche Venerdì 23 settembre, ore 20,30 Sabato 24 settembre, ore 18,00 Domenica 25 settembre, ore 17,00 Martedì 27 settembre, ore 20,30 Mercoledì 28 settembre, ore 20,30 Giovedì 29 settembre, ore 20,30 Figaro guarda in anticipo all’anno mozartiano La vicenda si svolge nel castello di Aguas Frescas, residenza del Conte di Almaviva, Grande di Spagna, nei pressi di Siviglia. La Trama ATTO I - In una camera non ammobiliata. I due fidanzati Figaro e Susanna, camerieri del Conte d’Almaviva, preparano la loro stanza in vista delle nozze. Susanna rivela al fidanzato che il Conte, concedendo alla coppia una camera vicino al suo appartamento, ha intenzione di far valere su di lei, con l’aiuto del medico don Bartolo, lo ius primae noctis al quale aveva rinunciato. Figaro promette di vendicarsi giocando d’astuzia. La vicenda si complica con l’arrivo di don Bartolo e dell’attempata governante Marcellina, decisa a esigere una cambiale di matrimonio che Figaro le ha firmato in cambio di denaro, minacciando di rivolgersi al Conte per avere giustizia. Entra in scena, agitatissimo, l’impenitente paggio Cherubino, il quale mentre racconta a Susanna che il Conte vuole cacciarlo dal castello avendolo sorpreso con la figlia del giardiniere Barbarina, viene interrotto dall’arrivo del Conte. Il paggio si nasconde dietro una poltrona da dove ascolta le ardenti parole con cui Almaviva chiede a Susanna, un appuntamento notturno in giardino. Tuttavia, anche il Conte è costretto ad interrompersi e nascondersi, anch’egli dietro la poltrona, per non essere sorpreso dall’arrivo del pettegolo maestro di cappella don Basilio. Cherubino, scivolando dal lato opposto, si pone sopra la poltrona coperto da un lenzuolo. Nascosti, Cherubino e il Conte ascoltano don Basilio insinuare che Cherubino ha una relazione con la Contessa, moglie di Almaviva. Infuriato il Conte esce dal nascondiglio e minaccia di vendicarsi. Susanna tenta di difendere Cherubino che il Conte dice di aver sorpreso il giorno prima sotto un tavolo in casa di Barbarina: nel mimare la scena della scoperta alza il lenzuolo dalla poltrona e vi trova ancora lo spaurito Cherubino. Solo l’intervento di Figaro, venuto a chiedergli di porre sul capo della sposa il velo bianco, simbolo della rinuncia all’antico diritto feudale, placa l’ira del geloso Almaviva. Cherubino è perdonato, ma dal Conte riceve una nomina ad ufficiale che lo costringerà a partire per Siviglia. Figaro lo deride con la famosa aria «Non più andrai farfallone amoroso…». ATTO II – Nella stanza della Contessa. La Contessa è consapevole dell’infedeltà del marito e progetta con Figaro e Susanna un doppio piano per smascherarlo e farlo ingelosire: i tre faranno pervenire al Conte un biglietto anonimo che lo faccia dubitare di sua moglie. Susanna dovrà accettare l’invito del Conte ad un incontro segreto in giardino, ma all’appuntamento sarà mandato Cherubino travestito da donna, in modo che la Contessa possa sorprendere il marito infedele. Figaro invia nella camera della Contessa Cherubino per essere mascherato da donna, ma mentre comincia a vestirlo Susanna si accorge che il brevetto d’ufficiale del paggio manca del necessario sigillo. Poco dopo il Conte bussa alla porta. Cherubino si rifugia nel guardaroba, chiudendosi a chiave. La Contessa apre al marito e dal guardaroba si sente un rumore. Il Conte, già allarmato dal biglietto, si insospettisce. La moglie imbarazzata gli dice che nel guardaroba c’è Susanna intenta a provarsi l’abito nunziale. Ma il marito ingelosito decide di sfondare la porta e reca con se la moglie alla ricerca degli attrezzi. Nel frattempo, Cherubino scappa dalla finestra e Susanna prende il suo posto. Così quando il Conte apre lo spogliatoio trova veramente Susanna ed è costretto a chiede alla moglie perdono per i suoi dubbi. Arriva però il giardiniere Antonio, raccontando di aver visto un uomo uscire dalla finestra. Figaro cerca di addossarsi la colpa, ma il Conte, sempre più disorientato, sospetta l’inganno quando il segue a pag 6 Il Giornale dei Grandi Eventi Le Nozze di Figaro 5 Laura Cherici e Cristina Baggio Alex Esposito e José Carbo Susanna, promessa sposa di Figaro Figaro, ingegnoso protagonista P restano la voce a Figaro Alex Esposito (22, 24, 27, 29 settembre) e José Carbo (23, 25, 28 settembre). Alex Esposito ha iniziato gli studi con il a voce di Susanna è di Laura Chierici (22, 24, 27, 29 settempianoforte e l’orgabre) e di Cristina Baggio (23, 25, 28 settembre). Laura Chieno, dedicandosi sucrici ha studiato a Reggio Emilia, debuttando giovanissima cessivamente al canal Teatro Regio di Torino in Der Rosenkavalier, in Carmen e in Aito. Grazie alla Menda, quindi nelle Nozze di Figaro. Si è esibita in importanti festival zione Speciale ottee teatri italiani ed esteri, come il Filarmonico di Verona, il Comunuta al Concorso nale di Firenze e di Bologna, la Scala di Milano, il San Carlo di “Adami Corradetti” Napoli, il Verdi di Trieste, la Deutsche Opera am Rhein di Düsnel 1998, ha iniziato seldorf. All’Opera di Roma ha cantato in Il Gatto con gli stivali una carriera che nel (Drusilla), Die Zauberflöte (Papagena), e Così fan tutte (Despina). giro di poche stagioCristina Baggio, si è diplomata in Canto a Padova e in Musica ni lo ha portato al vocale da camera a Rovigo, perfezionandosi in Italia e negli USA, Ravenna Festival, alin particolare presso la AVA di Philadelphia. Ha vinto concorsi lo Staatsoper di internazionali e si è esibita in diversi teatri italiani, con la direSalzburg, al Regio di zione di celebri maestri. Fra le opere in repertorio ha il MonTorino, alla Fenice do della luna di Galuppi, Incanto di Natale di Furlani, Marino di Venezia. Si esibiLaura Cherici e Alex Esposito Faliero di Donizetti, Cenerentola, Orfeo ed Euridice, Matrimonio sce con continuità al segreto e Faust. Teatro dell’Opera di Roma, dove è stato Masetto in Don Giovanni e Colline nella Bohème con la direzione del Maestro Gelmetti, Papageno nel Flauto magico e Orbazzano nel Tancredi. Marco Vinco e Paolo Coni José Carbo, argentino, si è trasferito giovanissimo in Australia, dove ha compiuto gli studi musicali. In Australia è considerato uno dei baritoni più promettenti ed ha cantato più volte come protagonista e con le principali orchestre. Nel 2003 ha ottenuto un’ottima accoglienza dalla critica per la sua esibizione come protagonista nel Don Giovanni con l’Opera del Queensland. In l Conte d’Almaviva ha la voce dei baritoni Marco Vinco (22, 24, 27, Europa ha debuttato nel 2005, presso il Teatro Real de Madrid, 29 settembre) e di Paolo Coni (23, 25, 28 settembre). Marco Vinco nel ruolo di Figaro nel Barbiere di Siviglia. è nato a Verona nel 1977. All’esercizio tecnico-vocale con Ivo Vinco e musicale con Paola Molinari, affianca gli studi in GiurisprudenAnna Rita Taliento e Sofia Soloviy za. In primo piano nel suo repertorio le interpretazioni di Rossini (L’Equivoco stravagante, La Pietra del paragone, Il Turco in Italia, La Cenerentola, L’Inganno felice, Il Viaggio a Reims, Adina o il Califfo di Baghdad, Petite Messe solennelle) e di Mozart: ha cantato Le Nozze di Figaro al Festival di Aix-en-Provence, a Baden-Baden, al Teatro Bunka Mura di Tokyo, al Teatro Real di Madrid, a Tel Aviv e al Teatro Carlo Fed interpretare il ruolo di Rosina saranno le soprano Anna Rilice di Genova. Al Teatro dell’Opera di Roma ha cantato il Don Giota Taliento (22, 24, 27, 29 settembre) e Sofia Soloviy (23, 25, 28 vanni diretto dal maestro Gelmetti, Le Joungleur de Notre Dame di Massettembre). senet e la Nona Sinfonia di Beethoven. Paolo Coni ha cantato in prestigiosi teatri italiani ed esteri, come il Anna Rita Taliento ha debuttato a Spoleto con il Trittico di Puccini Regio di Torino, il San Carlo di Napoli, il Regio di Parma. Grande eco ed è vincitrice di concorsi nazionali ed internazionali, tra cui il “Belha ottenuto nel 1993 con la Traviata alla Scala di Milano, diretta da vedere” di Vienna (1993). Ha cantato in teatri prestigiosi e nel suo repertorio vi sono Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte di Riccardo Muti. Mozart, Don Pasquale di Donizetti, Mosé in Egitto di Rossini, Carmen di Bizet, La Bohème di Puccini, Faust di Gounod. Intensa è la sua attiLaura Polverelli e Giacinta Nicotra vità concertistica, con un repertorio che spazia dalla musica barocca agli autori contemporanei. Ha preso parte all’inaugurazione della stagione 2004 del Teatro dell’Opera di Roma nterpreti di Cherubino sono i soprani Laura con l’opera inedita di RePolverelli (22, 24, 27, 29 settembre) e Giacinta Nicospighi Marie Victoire. tra (23, 25, 28 settembre). Laura Polverelli, Sofia Soloviy, di origine vincitrice di vari concorsi nazionali e internazionali, è ucraina, ha compiuto gli ospite regolare di istituzioni musicali italiane ed estere, studi di pianoforte, musicome la Bayerische Staatsoper, la Staatsoper di Amcologia e canto nella città burgo, il Teatro Real di Madrid, l’Opéra di Lyon, di di Lviv (Leopoli). Si è traMontecarlo, di Losanna, di Anversa. Nel suo repertosferita in Italia nel 2000, rio figurano in primo piano i ruoli rossiniani e perfezionandosi nel Canto mozartiani; è un’apprezzata interprete del repertorio lirico presso l’Accademia barocco e si dedica intensamente anche all’attività con- Anna Rita Taliento e Laura Polverelli Rossiniana di Pesaro e l’Accertistica. cademia Chigiana di Siena. È vincitrice di numerosi concorsi in ItaGiacinta Nicotra ha cantato all’Opera di Roma in più di un’oclia e all’estero. Tra i suoi maestri c’è Gianluigi Gelmetti, sotto la cui casione. In particolare, l’abbiamo ascoltata nel 2004 nel Flauto direzione ha cantato Così fan tutte di Mozart, nel ruolo di Fiordiligi. magico e nel Tancredi; nel 2003 in Francesca da Rimini, nel 2002 in Suor Angelica e nel 2001 nella Rondine e nel Flauto magico, diPagina a cura di Diana Sirianni – Foto di Corrado M. Falsini retti dal maestro Gelmetti. L Il Conte d’Almaviva, marito infedele I La Contessa, tradita ma innamorata A Cherubino, il vivace paggio adolescente I 6 Le Nozze di Figaro Il Giornale dei Grandi Eventi Le fonti di ispirazione per scene e costumi Un allestimento che guarda a Goya e al Vanvitelli U na parte dell’allestimento del Don Giovanni realizzato da Quirino Conti nel 2002 per il Teatro dell’Opera, viene oggi ripreso dallo stesso scenografo, per Le Nozze di Figaro. Alle architetture vanvitelliane di illuministica linearità, agli sfondi dai tenui colori pastello già allestiti tre anni orsono, si sono dovute inevitabilmente aggiungere altre scene per gli ambienti interni, come richiesto dal libretto. Questo esperimento di continuità trae ispirazione, oltre che da un criterio di pragmaticità economica, anche da un programma stilistico che fu tipico di una prassi studiata all’inizio del ‘900: far immaginare al pubblico la modificazione sentimentale che lo stesso ambiente può assumere qualora venga osservato da tre punti di vista diversi. Una idea per un progetto L’omogeneità e l’intercambiabilità delle scene, inoltre, potrebbe essere finalizzata, in futuro, - è nei progetti per il 2006, Figurino costume Contessa atto III anno del 250° anniversario della nascita di Mozart - alla realizzazione di un’unica giornata de- Borbone, fratello del re gi a Parma, presso la settecentesche, i cui delidicata alla Trilogia, una Carlo III. Fondazione Magnanicati toni pastello ed i lumaratona mozartiana, L’artista volle evitare, Rocca, è stato la princiminosi e cangianti riflescomprendente Don Gioper questo ritratto di vanni , gruppo, i toni ufficiali Nozze di della ritrattistica di corte Figaro e scegliendo l’atmosfera Così fan intima di una serata quatutte, eselunque: don Luìs fa un guite una solitario, gli amici osserdi seguivano il gioco, la moglie to all’alsi fa pettinare, le cametra. riere sono colte di sorL’ambipresa mentre, ignare, enzioso protrano nella visuale della getto descena. Solo la piccola ve tuttaMaria Teresa svela la finvia fare i zione osservando, curioconti con sa, il pittore. La luce della dimenla candela, benché fioca, sione anriesce ad accendere di ricora maflessi quasi innaturali la nuale deserica veste della moglie gli imdi don Luìs e le trine depianti scegli abiti maschili... Semnici del plicità, definizione dei teatro Co- Francisco Goya -"La famiglia di don Luis" 1784 ruoli ed effetti di luce, stanzi. Il questi i caratteri dell’opale fonte d’ispirazione si appaiono documentati teatro, infatti, non dispopera di Goya che ritroper quanto riguarda i costoricamente nientemene di palcoscenici ruoviamo in palcoscenico, stumi: fu eseguito da no che dal pennello di tanti, di macchinari e auper impreziosire l’azione Goya nel 1784 ad Arenas Goya, nella stupenda tetomatismi di cui benefidel movimentato matride San Pedro durante il la intitolata “La famiglia ciano altri grandi teatri, monio di Figaro. soggiorno del pittore di don Luìs”. come il Regio di Torino o And. Cio. presso il principe Luìs di Il quadro, conservato ogLa Scala di Milano... Tale dimensione “orgogliosamente” artigianale segue Trama da pag 3 del teatro, ben si contempera con l’atmosfera vonestra: è il brevetto d’ufficiale di CherubiSusanna, detta alla ragazza un biglietlutamente “datata” delno. Prontamente la Contessa e Susanna to di conferma dell’appuntamento l’intero allestimento, tedichiarano che il foglio era stato dato a Finotturno in giardino che la futura so a far rivivere un’eco garo perché mancante del sigillo. La consposa farà scivolare nelle mani del di stagioni e sentimenti fusione aumenta con l’arrivo di don BarConte durante la festa nunziale. irrimediabiltolo e Marcellina, la quale rivendica il suo mente perduti diritto a sposare Figaro. Il Conte, in cuor ATTO IV – Nel giardino del castello, la dal tempo. contento per aver trovato l’impedimento notte. Involontariamente Barbarina Un artigianato alle nozze, promette giustizia. svela a Figaro che Susanna ha un apdi qualità che puntamento con il Conte. Figaro, doritorna anche ATTO III – Nella sala preparata per la festa po essersi sfogato con la madre Marnella scelta nuziale. Il Conte medita sugli avvenimencellina, decide di smascherare la sua dei materiali ti, cercando di capirne gli intrecci. Entra ormai sposa recandosi nel luogo delper i costumi, Susanna, che d’accordo con Rosina, ma l’incontro insieme a dei testimoni. (anch’essi diall’insaputa di Figaro, dà un appuntasegnati da mento al Conte per la sera. In realtà, la Susanna e la Contessa si sono scamConti). Nel Contessa ha deciso di recarsi lei all’apbiate gli abiti. La Contessa – nelle ve2002 la scelta puntamento, vestita con gli abiti di Susti di Susanna – intona un canto d’aera caduta su sanna. Alla presenza del giudice don more, attraendo così anche CherubiFendi, queCurzio, si discute la causa di matrimonio no ed esaltando la gelosia di Figaro. st’anno, invefra Figaro e Marcellina, ma da un tatuagAnche il Conte, sopraggiunto in quel ce, protagonigio si scopre che Figaro è figlio della donmomento, s’impermalisce vedendo sta è la ditta na e di don Bartolo. Ora non vi sono più quella che crede essere Susanna in Taroni, la più motivi ostativi alle nozze. Susanna, giuncompagnia di Cherubino. vecchia setegendo con la dote per pagare Marcellina, ria di Como, trova Figaro abbracciato alla donna e lo Dopo una serie di equivoci creati da nata nel 1880. schiaffeggia. Marcellina gli spiega però Susanna e dalla Contessa per punire L’utilizzo di gli sviluppi e con don Bartolo si dicono l’infedeltà del Conte e la gelosia di Fispeciali telai a decisi a regolarizzare anche la propria garo, le due donne rivelano la loro mano, che riprendono le unione. Potrà essere così doppia la festa vera identità. Il Conte, umiliato riceve antiche tecniche di lavodi nozze. il perdono della moglie e tutti possorazione, ha consentito la La Contessa, sola, ripensa alla dolcezza no recarsi ai festeggiamenti per quel riproduzione delle sete del suo matrimonio. Raggiunta da matrimonio tanto sofferto. (eca) Il Giornale dei Grandi Eventi Le Nozze di Figaro 7 La storia dell’opera Un libretto nato tra diplomazia e censura N el 1781 Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais (1732-1799) portò a termine la commedia Le Mariage de Figaro ou la folle journée. Si trattava della seconda parte di una trilogia cominciata nel 1775 con il Barbier de Séville e che si sarebbe conclusa nel 1792 con la Mère coupable. Luigi XVI Re di Francia, dopo aver letto il lavoro, lo giudicò détestable e ne proibì la rappresentazione. stern, banchiere e suo estimatore. Così parlò dell’incontro al padre Leopold: «Abbiamo qui un certo Abate Da Ponte quale poeta…al momento ha furiosamente da fare… Non ne verrà a capo prima di due mesi. Poi mi ha promesso di farmene uno (di libretto)…» . Fu dunque tendere poi il momento opportuno per presentare l’opera a corte. Il consenso imperiale Sul lavoro di composizione non esistono notizie puntuali, ma esso deve essere stato molto inten- Censura per la commedia di Beaumarchais C’era nella piéce una brillante satira sociale che aveva per protagonista un uomo in lotta contro i privilegi dell’aristocrazia. La censura era inevitabile. Lo conferma, a posteriori, il giudizio di Napoleone che riteneva nella commedia « la Révolution déja en action». Come spesso accade, la censura aveva però funzionato da lancio pubblicitario e il 27 aprile 1784 Le Mariage de Figaro andò finalmente in scena presso il teatro parigino della Comédie fran?aise. Fu un successo incredibile, che vide ben 68 repliche in brevissimo tempo. L’anno successivo, anche la prima rappresantazione viennese del Mariage fu tempestivamente investita dalla censura. Venne invece autorizzata la pubblicazione del testo, ritenuta meno pericolosa, e fu così che Wolfgang Amadeus Mozart ebbe modo di leggere la commedia. Alla ricerca di un libretto italiano Mozart aveva già avuto un contatto con il protagonista del suo futuro capolavoro assistendo al Barbiere di Siviglia di Paisiello, tratto dal lavoro di Beaumarchais e andato in scena a Vienna nel 1783. In quel periodo, l’interesse per l’opera buffa italiana spingeva il compositore alla ricerca di un libretto. Il 7 maggio 1783 scriveva al padre Leopold: «… ho esaminato almeno 100 libretti… solo che non ne ho trovato quasi nessuno di cui potessi dirmi soddisfatto…». Nello stesso anno, tentata su consiglio paterno una infruttuosa collaborazione con il poeta Giambattista Varesco, cappellano di corte a Salisburgo e già per lui librettista dell’Idomeneo, Mozart incontrò l’abate Lorenzo Da Ponte (1749-1838) nel salotto del barone Wetzlar von Planken- Burgtheater di Vienna l’italiano a proporre la collaborazione, ma fu di Mozart la scelta del soggetto che subito piacque al poeta e avventuriero. Da Ponte, nelle sue un po’ eccentriche Memorie, riferisce come essendo impegnato anche nella stesura di un libretto per Martini (italianizzazione di Martin-y-Soler) quest’ultimo, grande estimatore di Mozart, acconsentì che l’Abate scrivesse prima il Figaro. Mancando una commissione per l’opera, il Barone von Plankenstern si offrì di finanziare a proprie spese eventuali allestimenti in Francia ed a Londra. Il poeta propose invece di scrivere segretamente e di at- so, sei settimane stando a Da Ponte, più probabilmente sei mesi rifacendosi ai fatti. I due avevano già cominciato alla fine dell’ottobre del 1785, come risulta da una lettera di Leopold a Nannerl (sorella di Mozart), datata 11 novembre: «Finalmente ho ricevuto da tuo fratello una lettera… Si scusa perché deve portare a termine a rotta di collo l’opera Le nozze di Figaro… per essere libero la mattina, ha spostato tutti i suoi allievi al pomeriggio». Quando giunse il momento di ottenere il sostegno di Giuseppe II, convincendolo a revocare il divieto posto sulla rappresentazione del Mariage, Da Ponte si recò dall’Imperatore assicurandogli come la vicenda fosse stata pulita di tutti i suoi accenti sovversivi. Si trattava di un’esigenza artistica più che politica, ma fu nel presentarla come atto di sensibilità nei confronti dell’Imperatore che il poeta dimostrò la sua abilità diplomatica guadagnando l’appoggio del sovrano: «Quand’è così… fate dare lo spartito al copista» sono le parole di Giuseppe II nelle Memorie dapontiane. Sempre l’italiano racconta come, mentre riferiva l’esito del colloquio a Mozart, fosse arrivato uno staffiere per invitare il musicista a palazzo imperiale, cosicché Sua Maestà potesse subito ascoltare in anteprima alcuni brani. Assistendo poi alla prova generale, l’Imperatore diede ulteriore dimostrazione della sua benevolenza. Il ballo ripristinato Il conte Rosemberg, rivale di Da Ponte, venuto a sapere della presenza di un ballo nel Figaro (Giuseppe II aveva proibito le danze negli spettacoli di corte), stracciò la pagina del testo dove esso era inserito. Durante la “generale”, la scena così mutilata provocò la reazione di Giuseppe II che, chiedendo spiegazioni di quella scena zoppicante, si vide sottoposta da Da Ponte una copia reintegrata del testo del ballo. Per ordine imperiale furono mandati a chiamare 24 ballerini e il ballo di nozze fu reinserito. La prima delle Nozze di Figaro si tenne il 1 maggio 1786 al Burgtheater di Vienna. Fu un successo straordinario, cui seguirono nove repliche. Il cast dei cantanti, tutti di scuola italiana, era eccezionale: vi spiccavano il tenore Michael O’Kelly nel ruolo di Basilio ed il soprano Nancy Storace nei panni di Susanna. Nel gennaio successivo a Praga la ripresa riscosse un successo ancora maggiore: «Qui non si suona, non si canta, non si zufola che Figaro…» scriveva Mozart in una lettera del 14 gennaio. Nell’agosto 1789, quando l’opera finalmente tornò a Vienna, Mozart compose appositamente per il soprano Adriana Ferrarese del Bene l’aria Al desio di chi l’adora. La prima italiana fu a Monza nel 1787, in onore di Ferdinando d’Asburgo e Beatrice d’Este, con il III e IV atto ridotti da Angelo Tarchi. La prima versione integrale andò invece in scena a Firenze nel 1788. Maria Elena Latini Le Nozze di Figaro 8 Il Giornale dei Grandi Eventi L’Imperatore Giuseppe II, grande soste Il sovrano riformatore che non eb N ella storia de Le Nozze di Figaro una cosa è certa: se non ci fosse stato il diretto intervento di Giuseppe II, Imperatore d’Austria e del Sacro Romano Impero, questo che può essere considerato uno dei massimi capolavori mozartiani e tra i più alti esempi dell’intera storia della musica, non avrebbe visto la luce. Fu, infatti, proprio l’Imperatore a derogare espressamente ai divieti di censura che accompagnavano la commedia Le Mariage de Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais andata in scena la prima volta nel 1784 a Parigi, per quei forti contenuti polemici verso la nobiltà. Giuseppe II, da sovrano illuminato, concesse il proprio imprimatur a Lorenzo Da Ponte, il quale si impegnò ad alleggerire il contenuto politico della commedia francese omettendo i diretti attacchi e le derisioni nei confronti dell’aristocrazia (in particolare l’invettiva di Figaro verso i nobili, sostituita nel libretto con quella contro le donne) senza intaccare la sostanza della trama. L’Imperatore, come anche riconosciuto dai più recenti studi, ebbe un ruolo di primo piano nella storia de “Le Nozze” , nutrendo verso l’opera un interesse particolare, tanto da assistere più volte alle prove. Fu lui stesso ad ordinare di reinserire il ballo di nozze, - avendo notato che l’azione scenica della festa rimaneva deturpata dal taglio - nonostante fosse stato cassato in osservanza al divieto di inserire danze negli spettacoli di corte emanato dallo stesso Imperatore. Così apprendiamo da una lettera di Mozart del 15 ottobre 1787 come due anni dopo lo stesso Giuseppe II impose al Teatro dell’Opera di Praga di mettere in scena Le Nozze di Figaro nonostante le proteste dell’aristocrazia locale. Ma perché l’Imperatore stesso appoggiò un testo basato su un’opera, quella di Beaumarchais, la quale successivamente si disse aver contribuito ad affrettare i moti della Rivoluzione Francese? La risposta è da ricercare nell’intera politica adottata dall’Imperatore, il primo degli Asburgo-Lorena, figlio della grande Maria Giuseppe II con la madre e i fratelli Teresa d’Asburgo, divenuta Imperatrice per mancanza di fratelli maschi in base alla Prammatica Sanzione di Carlo VI del 1713, la quale aggiunse al proprio cognome il predicato Lorena del marito Francesco Stefano, dando così il via al nuovo corso degli Asburgo (Asburgo-Lorena) giunto fino ai nostri giorni. Monarchia illuminata Giuseppe II E’ proprio dalla figura di Francesco Stefano che bisogna partire per capire le idee ed il comportamento del figlio Giuseppe II, imperatore discusso, considerato dai suoi successori come un affossatore della monarchia, celebrato invece dai liberali come iniziatore di un nuovo corso. Il principe Francesco Stefano, duca di Lorena, andato in sposa con il beneplacito della Francia a Maria Teresa d’Austria, aveva portato nella casa d’Asburgo i semi di quel “buongoverno lorenese” divenuto esemplare, quel pratico “senso dello Stato”, dell’amministrazione, che in qualche modo si contrapponeva alla concezione medioevale del governo, alla proverbiale raffinatezza dei vecchi Asburgo (famoso il gusto e la passione di Leopoldo I, Giuseppe I e Carlo VI per la musica, il teatro, la letteratura, la poesia e le arti figurative), tanto che lo storico austriaco Enrico Benedikt asserì che «le nove muse si erano raccolte intorno alla culla degli Asburgo, mentre avevano mandato appena un fugace saluto a quella degli Asburgo-Lorena». Nella nuova famiglia, all’amore per le arti subentrò l’interesse di stampo illuminista per le scienze naturali, per le tecnologie che avanzavano, per l’industria ed anche per la scienza medica. Insomma, le passioni seguivano quello spirito del tempo che trasformò anche la metodica collezionistica, dalle rinascimentali Wunderkammern (Camere di meraviglie) alla concezione museale “moderna”. Una tradizione per le scienze naturali che a Francesco Stefano – molto competente nel campo dell’economia e delle finanze - derivava dal padre Leopoldo, ultimo Duca regnante di Lorena, di cui Voltaire scriveva: «Egli fondò a Lunéville una specie di Università da cui la pedanteria era bandita…vi si insegnava seriamente la scienza, in scuole ove la fisica veniva illustrata sperimentalmente in laboratori forniti di meravigliosi apparecchi. Era sempre alla ricerca del talento, nelle botteghe e nelle foreste, per poterlo incoraggiare». Francesco Stefano ereditò tale spirito e fu anche il primo Imperatore (con il nome di Francesco I prese la corona del Sacro Romano Impero) a concedere titoli nobiliari per meriti nel campo dell’industria. Un influsso modernista e riformatore che trasmise ai figli e che determinò il successivo stile della dinastia dei “nuovi” Asburgo. Imperatore discusso Giuseppe II e suo fratello Pietro Leopoldo non si tiravano indietro quando c’era da acquistare integrazioni per le collezioni paterne. Tra i consiglieri di mineralogia vi era Ignazio von Born, Gran Maestro della loggia massonica “Alla vera Concordia”, la quale pubblicava lavori di scienze naturali, che fu per Mozart il modello ispiratore della figura di Sarastro nel Flauto Magico. La semplicità era uno degli elementi che Giuseppe II - salito al trono imperiale nel 1780, dopo 15 anni di co-reggenza con la madre non nascondeva, come nella famosa scena svoltasi ad Austerlitz in Moravia, nei poderi del principe Il Le Nozze di Figaro Giornale dei Grandi Eventi 9 nitore de“Le Nozze di Figaro” be paura della nobiltà Kaunitz, dove si mise personalmente alla guida di un aratro, non tanto per onorare il mestiere agricolo, quanto per sperimentarne il nuovo modello. Questa impostazione di vita ha suscitato su di lui – come abbiamo detto – giudizi storici divergenti: così se da una parte gli si rimprovera il fallimento nella politica - avviata da Maria Teresa- volta all’allargamento dello Stato burocratico con l’inserimento dell’Ungheria, dall’altra se ne ricordano le profonde tracce riformiste lasciate fino ad oggi nel metodo e nell’organizzazione dell’ottima burocrazia austriaca. Il concetto di “Giuseppismo” fu creato in relazione alle sue idee ed alle riforme di politica ecclesiastica da lui avviate con l’Editto sulla Tolleranza del 1781 che muoveva verso l’affermazione di uno Stato non confessionale. L’anno dopo abolì la servitù della gleba, rendendo liberi i contadini nei loro spostamenti e nel 1783 rese il matrimonio dipendente dalla legge civile e non più da quella religiosa. Come nel caso di Da Ponte-Mozart, chiamò a corte molti letterati e filosofi anche italiani tra cui Beccaria e Verri. Divenne così un simbolo per il liberalismo austriaco. La sua alta concezione etica del “governare”, del “servire lo Stato” lo portò a progettare, a costruire instancabilmente nell’ideale del bene dei suoi sudditi, sottovalutando però le forti resistenze delle tradizioni. In questo modo, ad esempio, il tentativo di sottoporre l’Ungheria al sistema burocratico-centralistico fallì miseramente per l’ostilità del sistema feudale ungherese. Lo stesso avvenne in Baviera, regione ideale nell’ampliamento dei paesi austriaci, a causa della resistenza dei principi tedeschi guidati dal re prussiano Federico il Grande. Nella vita privata Giuseppe II aveva un carattere complesso e contraddittorio: fin da bambino la ma- dre scriveva al suo precettore della sua villania, della sua arroganza verso gli inferiori, della sua insofferenza verso ogni critica. La vita sentimentale non l’aiutò: la prima moglie Isabella di Borbone Parma si innamorò di una cognata, l’arciduchessa Maria Cristina, sorella di Giuseppe. Quando Isabella morì nel 1763, dopo soli tre anni di matrimonio, furono scoperte oltre duecento lettere tra le due donne. Giuseppe, per consolarsi, chiese di sposare una sorella di Isabella, ma questa era già promessa in moglie ad un altro uomo. Due anni più tardi si rassegnò a prendere in sposa Josepha di Baviera, donna certo non avvenente ma di buon carattere che egli descrisse così: «Di figura è bassa, tozza, senza ombra di fascino. Il suo viso è coperto di macchie e foruncoli. I denti sono orribili…». Giuseppe visse con lei amichevolmente, senza amore. La vita di questo Imperatore naufragò perché mancava in lui ogni comprensione dei sentimenti. Era convinto di poter cambiare il mondo con i suoi decreti passando sopra le tradizioni. Partorì giuste concezioni che realizzò, però, in un modo sbagliato, deliberatamente offensivo verso il maggior numero degli individui. Malgrado le sue buone in- tenzioni non ricevette in cambio che incomprensione ed ingratitudine: dopo dieci anni di regno, quando morì nel febbraio 1790, sette mesi dopo l’inizio della Rivoluzione Francese, il suo trono vacillava. Q u e s t o Giuseppe II in abiti imperiali Asburgo volle, così, giace Giuseppe II, che fallì in sulla sua tomba, nella ogni sua impresa». Cripta dei Cappuccini a Vienna, l’epitaf fio: «Qui Andrea Marini Il titolo di “Grande di Spagna” del Conte d’Almaviva L’antico privilegio di parlare al Re con il cappello in testa S i fregia con orgoglio il Conte d’Almaviva del titolo di “Grande di Spagna” e lo fa a buon diritto essendo esso un privilegio antico, molto considerato in Spagna, dove è sopravvissuto ai secoli fino ai giorni nostri. In origine erano detti riches hombres ed erano i grandi feudatari della Corona di Spagna, i quali godevano del privilegio di parlare al Re restando con il capo coperto da fastosi cappelli piumati. Questa prerogativa, di cui era gelosissimo chi ne fruiva perché lo collocava sopra ogni alto grado sociale eccetto quello del Sovrano, era già stata concessa nella corte dei Valois ai grandi feudatari di Francia. Anche ai giorni nostri, in tempi così radicalmente mutati rispetto a quelli di Carlo V (1500-1558), il titolo di Grande di Spagna, che per volontà di quel Sovrano sostituì quello di riches hombres, viene trasferito di generazione in generazione ed è ancora conferito dal Re. I primi 27 Grandi di Spagna – titolo che si distingueva dai titoli nobiliari dei singoli regni di Aragona e di Castiglia – furono scelti da Carlo V, quando fu eletto Imperatore, tra i riches hombres che lo avevano seguito in Germania, mantenendo la preminenza che sino allora li aveva distinti. Connessi a questa dignità erano l’ufficio di Gentiluomo di camera del Sovrano e quello – come abbiamo detto – di tenere il capo coperto e sedersi in presenza del Re. E’ appena necessario notare come in quel tempo la posizione sociale ed i benefici conferiti dai sovrani, fossero una condizione assolutamente necessaria anche per il riconoscimento di valori meritati dai privilegiati con le loro opere od imprese. E soprattutto in Spagna, dove fu vittima in questo senso uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi: Miguel Cervantes y Saavedra, che ne era perfettamente conscio. Ed infatti, trasportando in Parnase la corte del suo Paese, descrisse l’assemblea dei poeti che così erano trattati, ma lui povero cavaliere, restava escluso. E cioè: «Sommavano quei lauri quasi a cento / alla cui ombra e tronco si adagiarono / taluni di quel gruppo fortunato. / Infine erano già tutti occupati / i tronchi di quel circolo spazioso / consacrato alla gloria dei poeti / prima che io nel numero infinito / trovassi posto, e in piedi dovei stare / disprezzato, collerico, umiliato». E quando Apollo, sempre in El viale del Parnase, lo invita a prendere posto sdraiandosi sulla sua cappa, il poeta candidamente gli confessa di non aver neppure questa. Ma per tornare alla “grandezza”, sotto Filippo II (15271598) figlio di Carlo V e di Elisabetta del Portogallo venne istituita la cerimonia di investitura secondo le più auliche tradizioni della corte spagnola il cui cerimoniale è uno dei più rigidi – se non il più rigido – esistente fino ai tempi moderni. Se il titolo era così altamente onorifico, esso, tuttavia, comportava gravi oneri, dalla tassa d’ingresso che gli storici ottocenteschi ragguagliavano ad un esborso di 40.000 franchi, fino al pagamento di un tributo annuo in proporzione al valore dei feudi goduti. I Grandi di Spagna – tra i quali figurano anche nobili famiglie italiane e francesi – erano, e sono, considerati dal Sovrano suoi “cugini”, in tutte le tre classi in cui vennero suddivisi sotto i Principi della dinastia austriaca (suddivisione per piccole diversità di privilegio in vigore fino al 1864), non diversamente da quanto previsto per i Cavalieri dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata della Real Casa di Savoia, indipendentemente dalla nobiltà della persona. Il titolo di Grande di Spagna – è utile specificarlo – non ha mai conferito ope legis la nobiltà, neppure quella personale e non trasmissibile, ma nell’ordine delle precedenze gli insigniti del “Grandato” precedevano anche i Duchi, venendo dopo solo ai Principi di sangue reale. Soltanto le consorti godevano del titolo e del trattamento di “Donna” e, nei ricevimenti della Regina, potevano sedersi sugli intagliati e preziosi tabouret. Gian Ludovico Masetti Zannini Le Nozze di Figaro 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Amadeus e Figaro verso la rivoluzione borghese Quel calcio che rese Mozart indipendente S i chiamava Karl Joseph Felix conte di Arco, più precisamente il Camerlengo, Consigliere per la Guerra e Gran Maestro di cucina della Corte di Salisburgo. Non è passato alla storia per imprese belliche, per scoperte scientifiche, illuminazioni artistiche o altre benemerenze. Lo ricordiamo solo perché nel giugno 1781 (nello stesso anno Schiller scriveva I Masnadieri sul cui frontespizio si leggeva il motto “In tyrannos”) assestò una robusta pedata sul sedere a Mozart rendendolo improvvisamente “libero” professionista. Mozart da tempo era ai ferri corti con il suo padrone, l’Arcivescovoprincipe di Salisburgo Heronymus Franz de Paula duca di Colloredo dal quale era tornato quale organista di corte nel gennaio 1779. Spirito libero, non sopportava le etichette e soprattutto i soprusi. Più volte ebbe a lamentarsi del suo ruolo di semplice servitore e nelle sue lettere ironizzava sul fatto di dover pranzare con i cuochi e i camerieri: Arcivescovo Heronymus di Colloredo «A mezzogiorno – scriveva al padre il 17 marzo 1781 – ci mettiamo già a tavola; a mangiare ci sono i due signori camerieri particolari, il signor controllore, il signor Zetti, il pasticciere, i due signori cuochi, Ceccarelli, Brunetti e la mia modesta persona…. A tavola si fanno scherzi sciocchi e grossolani; con me non scherza nessuno perché non dico una parola…». Nel marzo del 1781 – vi arrivò il 16 - aveva seguito il suo signore a Vienna e lì a seguito di una serie di vessazioni, ma anche per una serie di comportamenti arroganti del musicista, era scoppiata l’ultima, fatidica lite. L’Arcivescovo, geloso del suo musicista, ma anche indispettito dal suo comportamento, gli aveva vietato di esibirsi in concerto. Ma la società viennese, desiderosa di ascoltare tale talento, si indispettì di tale divieto tanto che l’Arcivescovo nel giro di pochi giorni fu costretto a revocarlo, lasciando a Mozart solo l’impedimento di organizzare concerti in proprio. Un rimprovero dell’Arcivescovo suscitò una Lo stemma dell’Arcivescovo Heronymus di Colloredo sua risposta e la discussione degenerò. Colloredo il 12 aprile stabilì, infatti, che Mozart dovesse partire per Salisburgo il 22 aprile con altri musicisti. Ma Wolfgang non partì ed ebbe così inizio il braccio di ferro con l’Arcivescovo. Una partenza rinviata più volte contro gli ordini dell’Arcivescovo. Mozart il 10 maggio tentò di presentare le proprie dimissioni nelle mani del Conte Arco, ma il conte sostenne che non poteva licenziarsi e non accettò la lettera. Colloredo non avrebbe voluto perdere i servigi di Mozart, ma lo avrebbe voluto ridurre all’obbedienza, all’osservanza delle regole di corte, senza immaginare che il giovane musicista potesse prendere l’iniziativa di dimettersi. I tentativi di Mozart di licenziarsi furono diversi, fino al giorno, l’8 giugno, in cui, presentatosi nell’anticamera dell’Arcivescovo, si imbatté nel conte Arco. Arco probabilmente non nutriva molta simpatia per Amadeus, non ne sopportava l’infantilismo e soprattutto non amava quel musicista che aveva la consapevolezza d’essere superiore a chiunque e non sapeva piegarsi davanti ai potenti. Mozart, indispettito, così scriveva al padre il 13 giugno: «Il conte Arco poteva accettare la mia supplica, procurarmi un’udienza, consigliarmi di inviarela supplica direttamente (all’Arcivescovo) o comunque dirmi di lasciar perdere, di pensarci meglio, afin tutto quello che voleva. Invece no! Mi sbatte fuori dalla porta e mi da un calcio nel didietro. Ebbene, a casa mia questo significa che Sali- una delle pagine più belle sburgo non fa più per me, della commedia. Si tratta tranne che non si presenti del celebre monologo in una buona occasione per re- cui il protagonista, crestituire al signor Conte un dendosi tradito da Susancalcio nel culo, ma sulla na, inveisce contro le donne («O donna! Creatustrada pubblica». Quel calcio fu allora una ra debole e ingannatrice! liberazione, sia pure do- Nessun animale creato può lorosa, per Amadeus e sottrarsi ai propri istinti: il una liberazione rigene- tuo è dunque quello d’inrante per Arco che si tolse gannare?»), ma poi allarga una bella soddisfazione e il proprio j’accuse a tutta con il semplice movimen- la società, all’aristocrazia to di un piede si conqui- che ha in mano il potere e può decidere le sorti di stò l’immortalità. Tesi recenti sostengono chiunque: «Quanto vorrei un’altra ipotesi, ovvero avere tra le mani uno di queche la storia della pedata sti governanti che duran sia stata esagerata da Wolfgang nelle lettere al padre, al solo scopo di suscitare nel pusillanime Leopold una indignazione – che per quasi un quarto di secolo aveva vissuto per suo figlio ed era stato il principale beneficiario del suo genio – mettendolo di fronte al fatto com- Karl Joseph Felix conte di Arco piuto di una più educata frattura con quattro giorni… gli direi… che le stupidaggini stampate Arco. Comunque, la pedata più hanno importanza soltanto celebre e discussa della nei luoghi in cui se ne ostastoria trasformò Mozart cola la diffusione; che senza in un musicista indipen- la libertà di biasimare, non è dente, ma in una visione possibile nemmeno un elogio meno materialista (e me- che ci lusinghi; e che son sono dolorosa) può essere lo gli uomini piccoli a temeassunta a simbolo del tra- re i piccoli scritti…». monto di un’epoca. Ci si Amadeus e Figaro, inavvicinava alla Rivolu- somma, appartengono stessa umanità zione Francese e il rap- alla porto fra le classi sociali schiacciata che stava alstava irrimediabilmente zando la testa, l’uno con per essere messo in di- fatti reali, l’altro attraverso un testo letterario che, scussione. Ben lo sapeva Beaumar- non a caso, venne bloccachais il cui Figaro può es- to dalla censura. Ma sere indicato come emble- Amadeus, uomo e artista ma della nuova genera- indipendente, garantì a zione di borghesi assetati Figaro l’eternità, ne fece di giustizia e d’ugua- uno spirito libero, anticipatore di una folta schieglianza. Se nel caso di Mozart fu il ra che di lì a poco avrebConte a dare un bel cal- be animato i palcoscenici cione all’artista, in Le ma- europei, a cominciare riage de Figaro una pedata dall’omonimo rossiniametaforica la dà Figaro no. Francesca Oranges all’intera aristocrazia, in Il Giornale dei Grandi Eventi Le Nozze di Figaro 11 Analisi dell’opera Genialità e grandi innovazioni nelle Nozze “L a cosa migliore è quando un buon compositore che capisce il teatro ed è in grado di dare un suo contributo ed un poeta intelligente si incontrano come una vera e propria araba fenice. Allora non bisogna più preoccuparsi dell’approvazione degli ignoranti. I poeti mi sembrano quasi dei trombettieri con i loro scherzi di mestiere! Se noi musicisti volessimo seguire sempre fedelmente le nostre regole (che un tempo andavano molto bene quando non si conosceva niente di meglio) faremmo sempre della musica inutile come essi fanno dei libretti inutili». Scriveva così Amadeus al padre, il 13 ottobre 1781, auspicando l’incontro con un librettista capace di avere la sua stessa idea moderna del teatro. Trovò il poeta giusto due anni dopo. Era un italiano, Lorenzo Da Ponte – nato ebreo di nome Emanuele Conegliano, divenne senza vocazione prete cattolico assumendo il nome dl vescovo di Ceneda - e con lui scrisse la celebre trilogia (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte) che rivoluzionò il teatro comico italiano preparando la strada a Rossini. Rivoluzione evidente già nel primo, strepitoso lavoro che esaltò non solo le doti individuali dei due autori, ma anche il loro perfetto affiatamento. Fu probabilmente Mozart a suggerire a Da Ponte “Le mariage de Figaro” di Beaumarchais, come fonte per un libretto. Il musicista sapeva del successo arriso al “Barbiere” paisielliano e dello scandalo suscitato dal secondo titolo della trilogia del drammaturgo francese. La censura abbattutasi su Beaumarchais per i suoi accesi attacchi all’aristocrazia impose naturalmente alcuni tagli anche a Da Ponte. Il letterato italiano, in effetti, riuscì a mantenere l’arcata narrativa originaria, ma dovette rinunciare ad atteggiamenti rivoluzionari (che, probabilmente, non interessavano neppure tanto il musicista): così la straordinaria invettiva di Figaro che in Beaumarchais attacca in un lungo, violento monologo la società del suo tempo, in Da Ponte («Aprite un po’ quegli occhi») si tramuta nello sfogo di un uomo geloso contro le donne. L’opera è in quattro atti, anziché negli ormai usuali due dell’opera comica. Ma il ritmo dell’azione è talmente forsennato da far dimenticare l’apparente dilatazione. Splendida la Sinfonia, strutturata in un allegro in forma-sonata e condotta (fatto questo comune al resto dell’opera) con estrema perizia sul piano del trattamento strumentale. Abile orchestratore, Mozart sfrutta appieno le risorse dei singoli strumenti per ricavarne effetti anche teatrali. Un ritmo trascinante Un aspetto fondamentale nelle “Nozze” (come nei due lavori successivi) è legato al ritmo narrativo, incalzante, scorrevole come mai in precedenza. Mozart e Da Ponte non concedono pause, si precipita inevitabilmente verso il fi- nale. Non per niente - ed opportunamente - Le nozze di Figaro hanno come sottotitolo “La folle giornata”: è nello spazio di un giorno che si consuma l’intera vicenda, giocata su continui colpi di scena. Uno dei grandi meriti del musicista e di Da Ponte è, inoltre, quello di aver saputo abbattere definitivamente ogni barriera fra tragico e comico. Il teatro diventa davvero lo specchio della vita nella quale riso e pianto si mescolano quotidianamente. In questa fusione di sentimenti opposti generatori di strutture sceniche assai più articolate che in passato sta la complessità e il fascino principale del teatro mozartiano, il cui perno sono i concertati: nelle “Nozze” si ritrovano quattordici arie e ben quattordici pezzi di insieme. Il “realismo” è felicemente reso da Mozart e Da Ponte considerando l’opera come una sorta di “tranche de vie”. All’alzarsi del sipario lo spettatore si trova di fronte ad un’azione già in divenire. Si prendano le “Nozze”: nella prima scena, Susanna e Figaro sono intenti a misurare la loro stanza. Ci imbattiamo in loro come se li guardassimo attraverso una finestra aperta e li sorprendessimo in un’azione che li sta già impegnando da tempo. Spariscono le arie di sortita Emerge, a questo proposito, un altro aspetto interessante che conferma la tendenza mozartiana di privilegiare i concertati. Non c’è più bisogno di un’aria di sortita (cioè di un’aria con la quale il cantante si presentava in scena, forma che si ritroverà nel teatro di Rossini) per chiarire la funzione, il carattere del personaggio. Il pubblico capisce perfettamente cosa sta facendo Figaro, i suoi rapporti con Susanna, il carattere dispo- Wolfgang Amadeus Mozart tico del Conte. Una delle principali novità mozartiane sta, dunque, nel frequente superamento dell’aria di presentazione, a favore di più agili e spigliati duetti, terzetti ecc. E’ dall’incontro-scontro con gli altri, insomma, che vengono esplicitati ruolo e carattere del singolo personaggio. La discorsività dei concertati si estende poi alle arie. Già in precedenza (si pensi alla Serva padrona di Pergolesi) l’aria aveva assunto una funzione dialogica abbattendo sul piano drammaturgico la barriera che la separava dal recitativo. Mozart e Da Ponte ne fanno quasi una regola. Così, nelle “Nozze”, Figaro prende in giro Cherubino («Non più andrai farfallone amoroso…»). Altrove l’interlocutore è più generale: in «Aprite un po’ quegli occhi» Figaro si rivolge a tutti gli uomini; in «Voi che sapete», Cherubino canta sì a Susanna e alla Contessa ma il suo messaggio è diretto a ogni donna. Ci sono anche rare arie di solitaria riflessione, nelle quali spesso colpisce il commovente melodismo mozartiano: si pensi a «Dove sono i bei momenti» intonata dalla Contessa, pausa di estatico lirismo che regala allo spettatore un attimo di tregua nell’incalzare degli eventi. Da ricordare, infine, fra i vari concertati, il finale del secondo atto, un autentico capolavoro di teatro: nella scena della fuga dalla finestra di Cherubino, della sostituzione dello stesso con Susanna e dell’interrogatorio da parte del Conte a Figaro, il compositore risolve musicalmente la concitazione del momento, con la frantumazione del discorso in battute brevissime, creando un dialogo serrato ed efficacissimo. E’ il principio dello “stile di conversazione”, felicemente sperimentato nei quartetti per archi e da lui genialmente invocato già nell’Idomeneo: «Come se in un quartetto - aveva scritto al padre a proposito del concertato “Andrò ramingo e solo” - non si dovesse molto più conversare che cantare…». In una lettera di qualche anno prima Mozart aveva sostenuto il primato della musica sulla parola. Qui sembra smentirsi, mettendo il discorso musicale al servizio del testo. In realtà parole e musica formano un tutt’uno e la scena acquista una potenza drammaturgica davvero rara. Roberto Iovino Le Nozze di Figaro 12 Il Giornale dei Grandi Eventi Mozart e le donne Amadeus tra Cherubino e Don Giovanni C hi ha visto lo splendido film “Amadeus” di Shaffer ricorda il primo incontro fra Salieri e Amadeus. Al palazzo di corte, dove sta per essere eseguita una pagina mozartiana, il compositore italiano s’imbatte in un Aloysia Weber ragazzino che sotto un tavolo si diverte con la sua ragazza e non riesce a credere che si tratti dell’autore di musica così celestiale. Immagine un po’ cruda, quella del film, che, tuttavia, consente di vedere in Mozart una sorta di Cherubino nel suo rapporto con il sesso femminile. Nelle Nozze di Figaro Cherubino è l’adolescente innamorato di tutte le donne: «Non so più cosa son, cosa faccio,/ or di fuoco, ora sono di ghiaccio,/ ogni donna cangiar di colore,/ ogni donna mi fa palpitar». Par di vedere il giovane Amadeus districarsi fra le sue innumerevoli conquiste di gioventù, a partire dalla cuginetta Anna Tekla con la quale provò probabilmente le prime gioie erotiche. Alla spudoratezza genuina di Cherubino che si getterebbe al collo tanto di Susanna quanto della Contessa, fa riscontro la spontaneità di Amadeus che nelle sue lettere alla cugina si esprimeva senza freni inibitori. Con gli anni, naturalmente, Mozart crebbe e si allontanò da Cherubino provando sincere pene d’amore. Basta pensare alle sofferenze per Aloysia Weber, l’autentica passione della sua vita, conosciuta insieme alla sua allegra famiglia a Mannheim nel gennaio 1778. Le giovani sorelle Weber, figlie di un musicista un po’ sfortunato, erano quattro: Aloysia che fece subito innamorare il 22enne Amadeus; Costanze, inizialmente trascurata ma che sposerà nel 1782; Josepha che sarà la prima interprete del ruolo della Regina della Notte nel Flauto Magico; Sophie, la quale, insieme a Costanze, lo assisterà negli ultimi giorni di vita. Della sedicenne Aloysia, Mozart ne rimase folgorato al primo incontro, per la figura aggraziata e per la vocina che gli parve splendida, per l’abilità di pianista. Le insegnò il canto, scrisse per lei, sognò una tournèe insieme in Italia. Ma poi Aloysia sposò un altro, non avendo capito né la profondità dell’amore di Amadeus, né la sua grandezza di artista. E Mozart finì tra le braccia di un’altra sorella Weber Costanze, donna forse mediocre che, tuttavia, si dimostrò una buona moglie. Da Cherubino a Don Giovanni Cherubino crescendo sarebbe diventato Don Giovanni e qui si fermano le analogie fra Mozart e le sue creature. Perché Amadeus, spontaneo, genuino, persino fanciullesco nel modo di esibire il suo amore, è lontanissimo da Don Giovanni che usa costantemente il travestimento e l’inganno come mezzi di sedu- zione. Alla fedeltà di Amadeus, Don Giovanni oppone una infedeltà basata su un ferreo credo morale: «Chi a una sola è fedele - dice il grande amatore nel secondo atto dell’opera omonima – verso l’altre è crudele;/ Io che in me sento/ sì esteso sentimento,/ vo’ bene a tutte quante:/ le donne poi che Costanze Weber calcolar non sanno/ il mio buon natural chiamano inganno». Nonostante le diversità, Amadeus ha amato Don Giovanni, ne ha fatto un eroe romantico e magari ha anche sognato di poter essere come lui, un conquistatore. Certo se non ha collezionato un elenco di cuori infranti degno della lista compilata da Leporello anche lui, comunque, ha saputo affascinare e conquistare decine di donne, grazie alla potenza seduttiva della sua musica. Così in “Mozart in viaggio verso Praga” Eduard Mörike coglie il turbamento di una giovane donna travolta dall’ascolto del Don Giovanni interpretato nel suo salotto, al pianoforte, dall’autore: «Per lei fu cosa certa che quell’uomo fulmineo e instancabile andava inesorabilmente consumandosi nel proprio ardore; che egli sarebbe stato soltanto una fugace meteora su questa terra, impari alla lotta col suo strabocchevole genio». Roberto Iovino Ludwig von Köchel Il naturalista che numerò Mozart L udwig von Köchel, nacque a Stein, in Austria, nel 1800. Visse a Vienna ed a Salisburgo, dove il suo interesse principale erano le scienze naturali. Come musicologo ha legato il suo nome ad un catalogo delle opere di Mozart, il quale solo dal 9 febbraio del 1784 aveva tenuto un registro delle sue composizioni, lasciando nell’oscurità tutta l’attività precedente, che oggi sappiamo contare circa 450 titoli. Nel 1851 Köchel, venuto a sapere della confusione in cui versava la produzione mozartiana, decise di compilare un catalogo cronologico completo delle opere del compositore austriaco. Il lavoro fu arduo, sia per la difficoltà di recuperare i titoli e di ricostruirne la sequenza cronologica, sia perché un’opera di questa portata non era ancora mai stata prodotta per nessun musicista. Ci vollero 11 anni, prima che il Chronologisch-thematisches Verzeichnis sämtlicher Tonwerke Wolfgang Amadé Mozart fosse pronto per la prima pubblicazione, del 1862, che riportava in ordine cronologico i titoli delle 626 composizioni mozartiane allora conosciute. A questo lavoro, hanno fatto seguito vari aggiornamenti, fino ad arrivare alla prima edizione completa di tutta la produzione, pubblicata a Lipsia fra il 1877 (anno della morte di Köchel a Vienna) ed il 1905. Altre edizioni critiche hanno seguito quella iniziale, con l’inserimento nell’elenco di nuove scoperte che hanno portato il catalogo a com- prendere oggi quasi ottocento titoli. Nonostante le modifiche apportate dagli aggiornamenti, l’elenco di Köchel è ancora oggi la base di riferimento della produzione di Mozart. Per convenzione ogni composizione è universalmente identificata dall’iniziale K (o KV: Köchel-Verzeichnis, elenco di Köchel) seguita dal numero di catalogo (ed eventualmente una o più lettere, quando si tratti di un nuovo inserimento rispetto all’elenco Ludwig von Köchel originario). Il sistema segue il metodo di catalogazione delle produzioni musicali, che prevede il numero progressivo di catalogo, eventualmente preceduto da opus, quando è il compositore stesso ad aver numerato i propri lavori, come nei casi di Beethoven, Brahms, Schumann, Prokofiev, mentre c’è sempre l’iniziale del nome del compilatore o una sigla a precedere la cifra quando sia qualcun altro a numerarne la produzione. E.C.A. Il Giornale dei Grandi Eventi Le Nozze di Figaro 13 Differenze tra l’opera di Beaumarchais ed il libretto di Da Ponte Quella satira antiaristocratica che sopravvive nelle nozze sa, dal dramma al libretto, cresce in complessità ed anche in drammaticità, fino al finale perdono, detto ridendo in Beaumarchais e pronunciato con tratto ferito in Da Ponte e Mozart. Da Ponte comunque deve soprattutto a Beaumarchais, il taglio scenico, la rapidità, i tratti anche farseschi, la sapidità del dialogato, la brillantezza dell’intreccio. La forza e prepotenza dell’azione originaria è senz’altro elemento importante nello spingere a quel rivoluzionario canto parlato e dialogato delle Nozze, che ha il suo acme nel Finale centrale. «B isognerebbe distruggere la Bastiglia perché la rappresentazione di questa pièce non costituisse una pericolosa incoerenza. Quest’uomo si prende gioco di tutto quel che si deve rispettare in uno Stato». Così sembra si esprimesse nientemeno che il Re di Francia, Luigi XVI, dopo aver letto nel 1781 Le Mariage de Figaro, nuovo dramma di quel demoniaccio di Pierre-Augustin Caron (1732-99), noto come Beaumarchais. Il povero Luigi, che non riuscì a schivare, otto anni dopo, la distruzione proprio di quella celebre prigione (né poi la ghigliottina), aveva perfettamente capito il potenziale sovversivo di quel teatro e dello spirito dei tempi che lo reclamava. Né vi si poteva opporre più di tanto: il dramma era già finito nel 1778 e dopo il precedente successone del Barbiere nel 1775, la Comédie premeva per poter dare al pubblico questo brillante seguito. Dopo un vario balletto di sì e no, Il matrimonio, varato in rappresentazione privata nel castello del Conte di Vaudreuil, nell’autunno del 1783, venne pubblicamente rappresentato a Parigi il 27 aprile 1784. Trionfo di pubblico, cumuli di polemiche sulle gazzette. Il dramma acquisisce risonanza in tutta Europa, vessillo di un tempo nuovo. Le resistenze a tradurlo da parte dell’Ancient regime non fanno che accrescerne lo spicco. A Vienna, l’Imperatore illuminato Giuseppe II lo proibisce, ma l’abate avventuriero Lorenzo Da Ponte convince il Sovrano ad autorizzarlo per un libretto, con la promessa di smorzarne i tratti polemici antiaristocratici. E così il 1° maggio 1786 va in scena Le Il ritmo dell’opera nozze di Figaro per la musica di Mozart. La differenze A confrontare oggi i due testi (il dramma francese e il libretto italiano) non sembra che da Ponte abbia poi molto ridotto la satira antiaristocratica, anzi per certi versi sembra metterla a fuoco con più decisa perentorietà. È il caso del “monologo” del Conte a metà storia (terz’atto nel dramma, second’atto nel libretto), quando, dopo aver congedato con gaudio una Susanna compiacente, il Conte ascolta le brevi battute tra lei e Figaro, da cui capisce la simulazione della bella cameriera. Quest’amara scoperta che subito frustra il suo desiderio, in Beaumarchais suscita un breve monologo in cui il personaggio esibisce solo i progetti di contro-intrigo del Conte: «stavo per cadere in una bella trappola! Oh miei cari insolenti! Vi punirò in un modo..», ma in Da Ponte-Mozart dà l’avvio ad un’aria di rabbia di classe, quanto mai frontale: «Vedrò mentr’io sospiro / felice un servo mio? / e un ben, che invan desio, / Ei posseder dovrà?». Lo scacco del Conte sul piano sessuale (nei confronti del valletto Figaro) apre una scena più interiore (psicologicamente) e favorisce il trascolorare irato e drammatico dell’aria musicale, soprattutto nella tesa sequenza: «Tu non nascesti audace / per dare a me tormento / e forse ancor per ridere di mia felicità». Il monologo del Conte si chiude in una pregustante e gongolante speranza di vendetta («Già la speranza sola / delle vendette mie / quest’anima consola / e giubilar mi fa») e con simmetrica malizia Da Ponte fa seguire la scena della contessa e il suo monologo, commosso e patetico («Dove sono i bei momenti»), di cui invano si cercherebbe l’analogo nel Matrimonio. Anche la nobile Rosina chiude l’aria con la speranza: ma per lei si tratta di ritrovare il cuore del suo Conte d’Almaviva, che però gli spettatori hanno appena visto così lontano dal pensiero di lei. L’effetto simmetrico e divaricato non poteva essere maggiore. E tutto il personaggio della Contes- Il ritmo agile e veloce è decisivo in ogni caso, anche per esibire spunti e opzioni diversi (magari drammatici o inquietanti, come il possibile incesto tra Marcellina e Figaro) e poi tutto correggere nella partita tra il Conte e Figaro, tra erotismo libertino e legittimità matrimoniale borghese. Un particolare plauso, in questo contesto, va attribuito a Da Ponte circa la capacità di cavare arie da un simile dialogato testo. Accanto alle situazioni d’invenzione come i citati monologhi del Conte e della Contessa, Da Ponte è anche geniale nel produrre sviluppi dal testo originale. È il caso del celeberrimo «Non più andrai, farfallone amoroso», che è soluzione - anche linguisticamente brillante da uno spunto da poco del Figaro francese («Non ronzerai più tutto il giorno intorno agli appartamenti delle donne»). La rima baciata tra “fandango” e “marcia per il fango” è efficace indicazione per Mozart sui possibili giochi di dislivello di tono musicale del pezzo. Stefano Verdino Le Nozze di Figaro 14 Il L’autore della commedia alla base del libretto Beaumarchais: da orologiaio a ricco borghese P ierre-Augustin Caron de Beaumarchais, autore della commedia Le Mariage de Figaro (da cui Da Ponte ha ricavato per Mozart il libretto delle Nozze di Figaro), è un personaggio dalla vita particolarmente originale, movimentata e non sempre irreprensibile. Nato a Parigi il 24 gennaio 1732 e figlio di un orologiaio, Pierre-Augustin Caron apprese il mestiere del padre e inventò un nuovo sistema di scappamento (meccanismo distributore) per orologi. Questo fatto destò la curiosità del pubblico e soprattutto del re Luigi XV, di cui divenne orologiaio personale: iniziò così la sua ascesa sociale. Sposò una vedova e cominciò a chiamarsi Beaumarchais dal titolo di un piccolo feudo di sua moglie. Particolarmente dotato come suonatore d’arpa, diede lezioni di musica alle figlie del Re, guadagnandone la fiducia, tanto che il Sovrano disse di lui: «E’ il solo uomo che mi dica la verità». La grande stima di Luigi XV nei suoi confronti può essere testimoniata dal fatto che una volta il Re gli cedette la propria poltrona invitandolo a suonare seduto al suo posto. La particolare considerazione da parte della corte gli permise di conoscere personaggi illustri, tanto da divenire amico e socio di Paris-Duverney, il più ricco finanziere dell’epoca, che fece la sua fortuna. Nel 1764, Beaumarchais si recò a Madrid per vendicare l’onore della sorella Maria, abbandonata da uno scrittore che aveva promesso di sposarla: da questo episodio trasse spunto per la prima delle sue commedie: Eugénie. Seguirono poi Le Barbier de Séville (per la prima volta compare il personaggio di Figaro) e Le Mariage de Figaro. Il contenuto di questa opera, in un primo tempo vietata dalla censura e rappresentata solo nel 1784 con grande successo di pubblico, fu sintetizzato dallo stesso scrittore: «Un gran signore spagnolo innamorato d’una ra- gazza che vuole sedurre e gli sforzi riuniti di questa – ch’è fidanzata –, di colui ch’ella deve sposare e della moglie del signore per far fallire i disegni di un padrone assoluto, che il ceto, la ricchezza e la prodigalità rendono impotente: ecco tutto ed ecco niente». Per sfruttare il successo che i personaggi di quest’ultima opera riscossero nel pubblico, nel 1792 completò la sua trilogia con “La Mère coupable”, preceduta nel 1787 da “Tartare”. I grandi successi commerciali e finanziari di Beaumarchais lo portarono a viaggiare molto e ad occuparsi delle faccende più varie: acquistò la foresta di Chinon; costruì strade, ponti, battelli; si occupò della stampa di opere di Voltaire e Rousseau; finanziò personalmente Lafayette; si interessò al Canale di Panama; finanziò una compagnia (Compagnie des Eaux) per dotare di acqua corrente le case dei Parigini e, derubato dai suoi commedianti, inventò il diritto d’autore. Nel 1770, dopo la morte del finanziere e amico Paris-Duverney, Beaumarchais fu ingiustamente perseguitato dal conte La Blache il quale, vantandosi creditore di una forte somma, gli fece causa ma, dopo un processo lungo e dagli esiti incerti, la perse. Nel 1772 riuscì a far accettare dalla Comédie Française il Barbier de Séville, ma l’opera fu vietata dalla censura e riusci ad andare in scena solo nel 1775. Incaricato dal governo rivoluzionario di trattare una partita di armi in Olanda, fu incarcerato nel 1792 e, una volta libero, si rifugiò ad Amburgo. Ritornato in Francia nel 1796 dove aveva subito un tracollo finanziario, riuscì in breve tempo a risollevarsi, Giornale dei Grandi Eventi dedicandosi ad affari di vario genere. Morì nel suo lussuoso palazzo parigino, per un colpo apoplettico, il 10 maggio 1799. Cl. Fa. La vita avventurosa dell’autore del libretto Lorenzo Da Ponte: abate libertino P oeta, letterato, ebreo convertito, sacerdote, libertino, avventuriero: figura eclettica quella di Lorenzo Da Ponte, l’autore dei libretti dei tre maggiori capolavori mozartiani: Le Nozze di Figaro (1786), Don Giovanni (1787) e Così fan tutte (1790). E’ il 7 maggio 1783 quando Mozart scrive al padre: «Abbiamo qui (a Vienna), quale poeta, un certo abate Da Ponte…deve scrivere un libretto completamente nuovo per Salieri…mi ha promesso che ne farà, poi, uno nuovo per me». Inizia così, con la ripresa della commedia di Beaumarchais Le Mariage de Figaro per il libretto de Le nozze di Figaro una collaborazione strettissima e particolarmente fortunata fra il grande musicista ed il librettista italiano. Quest’ultimo, dalla vita lunga e avventurosa, nasce nel ghetto di Ceneda (attuale Vittorio Veneto) il 10 marzo 1749. Di origine ebrea - in realtà si chiamava Emanuele Conegliano - quando nel 1763 la famiglia si converte alla fede cattolica (per permettere al padre, rimasto vedovo, sposa in seconde nozze una cristiana) prese il nome del vescovo che lo battezzò e successivamente guardò senza vocazione alla tonaca di sacerdote cattolico. Accolto nel seminario locale, entrò nel 1769 in quello di Portogruaro dove, nel 1770, prese gli Ordini minori. Da Ponte fu ordinato sacerdote il 27 marzo 1773 e, dopo un breve soggiorno a Venezia, nell’autunno del 1774 iniziò ad insegnare retorica presso il seminario di Treviso, da dove fu poi cacciato per alcune idee ardite esposte in un’accademia poeti- ca. Tornato a Venezia, dove fu precettore in diverse case patrizie, divenendo amico di Giacomo Casanova. Il soggiorno nella Serenissima lo portò a condurre una vita dissoluta, tanto che nel 1779 fu condannato in contumacia a 15 anni d’esilio “per gravi scostumatezze e furfanterie”. Fuggito a Gorizia, nel 1781 si recò a Vienna dove conobbe Metastasio, ottenne la fiducia di Salieri e di Mozart e la protezione di Giuseppe II che lo nominò “Poeta dei Teatri Imperiali”: anche se il suo esordio nel 1784 con Il Ricco di un giorno (con la musica di Salieri) non fu dei migliori, si risolleverà nel 1786 con Il Burbero di buon cuore (per Martín y Soler). Ha inizio così un decennio di successi fra i quali sono da ricordare “Una cosa rara” (1786) e“L’arbore di Diana” (1787) sempre per musiche di Martín y Soler, oltre che “Axur” (1788) per musiche di Salieri. Ma furono gli intrighi per favorire la propria amante a danno di altre cantanti, a fargli perdere la fiducia del nuovo Imperatore Leopoldo II, tanto che verrà sostituito da Giambattista Casti e da Giovanni Bertati e costretto nel 1791a lasciare Vienna. Da Ponte si trasferì allora a Trieste dove sposò Nancy Grahl, una giovane ebrea inglese figlia di un commerciante, dalla quale ebbe cinque figli: un’unione felice che mise fine alla sua carriera di libertino. All’età di cinquant’anni, deciso a dare una svolta alla sua vita, accettò il consiglio di Casanova di trasferirsi a Londra, dove rimase dal 1793 al 1805. Ot- tenne il posto di librettista presso il King’s Theatre nel 1793, ma quando i rapporti con l’impresario del teatro si guastarono, fu costretto ad esercitare le attività più varie (libraio, stampatore, agente e poeta teatrale). Perseguitato dai creditori, fuggì a New York e si dedicò anche qui ai più diversi lavori (droghiere, libraio, professore di italiano, direttore di una scuola dove la moglie insegna francese, italiano e fabbricazione di fiori artificiali) e arrivò addirittura a far eseguire a casa propria la Mirra di Alfieri. I risultati economici non furono però apprezzabili e Da Ponte fu costretto a trasferirsi in provincia (a Sunbury), dove visse sette anni facendo il commerciante di medicinali, il droghiere, il distillatore di liquori, l’impresario di trasporti, fino ad aprire nel 1814 una fabbrica di cappelli . Di nuovo a New York nel 1819, tra il 1825 e il 1837 pubblicò le sue discusse “Memorie”. Nel 1825, l’incontro con M. García (che porta a New York una compagnia d’opera), spinse il librettista a tornare al teatro e a ricontattare cantanti ed impresari italiani (tra i quali è da ricordare Barbaia). Nel 1833, riuscì a realizzare il sogno della sua vita: la costruzione di un teatro d’opera, che inaugura il 18 novembre 1833 con la “Gazza ladra”. Sarà l’ultima sua impresa: cinque anni dopo infatti, dopo essersi riconciliato con la Chiesa (probabilmente in America nessuno sapeva del suo sacerdozio) morì la sera del 17 agosto 1838, circondato dall’affetto di amici e allievi. Cl. Fa. Il Giornale dei Grandi Eventi Cultura 15 Il 4 ottobre all’Auditorium di via della Conciliazione Maazel in concerto a Roma con la Filarmonica Toscanini C oncerto di grande richiamo il 4 ottobre prossimo all’Auditorium Conciliazione. Lorin Maazel, sul podio della Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini, proporrà pagine di Wagner (Preludio da “I Maestri Cantori di Norimberga”), Schubert (Sinfonia in si minore “Incompiuta”), Debussy (“Prélude a l’après-midi d’un faune”) e Respighi (“Pini di Roma”). Il concerto cade alla vigilia di una importante tournée che l’Orchestra effettuerà a Tokyo guidata appunto Lorin Maazel che dal maggio del 2004 ne ha assunto la direzione musicale. La tournée in Giappone (in un anno, il 2005, che ha impegnato l’orchestra in una fitta serie di viaggi all’estero) assume un carattere di particolare importanza, dato che la Filarmonica realizzerà la prima edizione del Festival Internazionale “Arturo Toscanini”, progetto pluriennale che vede la città di Parma legata alle più grandi capitali musicali del mondo. Tra i programmi futuri spicca, in occasione del cinquantenario della morte di Arturo Toscanini, il viaggio che nel gennaio 2007 l’orchestra realizzerà negli Stati Uniti ripercorrendo le tappe delle due storiche tournées che il grande maestro compì nel 1920 con l’Orchestra “Arturo Toscanini” e nel 1950 con la NBC Orchestra. La “Filarmonica Arturo Toscanini” ha sede a Parma ed è intitolata al grande direttore d'orchestra, il quale nella città emiliana ebbe i suoi natali nel 1867 e che è universalmente riconosciuto come uno dei simboli mondiali della musica. La dimensione internazionale della Filarmonica ed il suo valore artistico, sin dal debutto nel giugno 2002 al Festival de Musique di Strasburgo, si sono subito imposti all’attenzione del pubblico e della critica sia in termini di qualità che di fantasia. Sotto la guida di Lorin Maazel, l’orchestra si dedica con crescente e riconosciuto successo al grande repertorio sinfonico, avvalendosi anche della collaborazione di direttori e solisti di fama internazionale quali Zubin Mehta, Mstislav Rostropovi_, Georges Prêtre, Yuri Temirkanov, Charles Dutoit, Eliahu Inbal, Rafael Frühbeck de Burgos, Jeffrey Tate, James Conlon. All’Auditorium concerti, conferenze e film organizzati da Santa Cecilia K festival…il genio di Mozart Martedì 27 settembre, ore 21 Sala Petrassi Idomeneo in video Regia di Jean-Pierre Ponnelle Idomeneo Re di Creta, sempre per la regia di JeanPierre Ponnelle, è la celeberrima edizione (1982) del Metropolitan di New York, con la direzione di James Levine e Luciano Pavarotti L a “K “ è la lettera che identifica lo sterminato catalogo delle opere di Wolfgang Amadeus Mozart, ma in questa occasione l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha anche voluto darle il significato di una incognita, un simbolo dietro il quale si cela il mistero dell’arte di Mozart, la suprema magia che rende ancora oggi le sue musiche così speciali ed irripetibili. Il Festival ha una veste fortemente innovativa. I concerti, che propongono i capolavori mozartiani nell’interpretazione di artisti di fama internazionale, sono preceduti da brevi introduzioni: le conversazioni aiuteranno a scoprire il rapporto dei personaggi dell’attualità con la musica del grande salisburghese. I programmi dei concerti, della durata massima di un’ora senza intervallo, sono rivolti tanto ad un pubblico di appassionati, che troverà brani di rara esecuzione, quanto a coloro che, con curiosità, vogliano avvicinarsi per la prima volta al genio di Mozart. Completano il Festival le proiezioni di film dedicati a Mozart e alle suo opere. Prezzi dei biglietti: Intero 9 Euro + prevendita; Giovani fino a 30 anni 5 Euro + prevendita. Le proiezioni dei film sono ad ingresso libero fino ad esaurimento posti. Domenica 25, ore 21 - Sala Santa Cecilia Orchestra Sinfonica Statale Nuova Russia Yuri Bashmet direttore e violista, Viktor Tretjakov violinoSinfonia concertante K 364 - Sinfonia n. 40 K 550 Quando compose la Sinfonia Concertante per violino, viola e orchestra K 364, Mozart aveva 23 anni. Più o meno l’età media degli strumentisti dell’Orchestra Sinfonica Statale Nuova Russia, fondata nel 1990 da Yuri Bashmet che sempre graditissimo torna sul podio dell’Auditori- um nella doppia veste di direttore e solista alla viola. Sarà magnifico vederlo affrontare insieme ai suoi giovanissimi talenti, dopo la graziosa e scatenata sinfonia di un altro giovanotto, la N.3 D 200 di un Franz Schubert diciottenne, la penultima, drammatica e celeberrima Sinfonia in sol minore K 550, una delle due sole fra le 41 che Mozart scrisse in tonalità minore. Lunedì 26 settembre, ore 21 - Sala Petrassi Dissonanze variazioni teatrali su temi di Mozart di Daniele Ciccolini – regia di Pierpaolo Sepe “Dissonanze” è lo spettacolo ideato da Pierpaolo Sepe sulla pièce di Daniele Ciccolini che ha per sottotitolo Variazioni teatrali su temi di Mozart e realizzato dal Gruppo TeatroMusica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Le problematiche vissute da Mozart, in un serrato confronto con il padre Leopold, saranno metaforicamente rivissute da un quintetto dei giorni nostri intento a provare un programma da concerto con musiche di Mozart. Mercoledì 28 e Giovedì 29 settembre, ore 21 - Sala Santa Cecilia Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia Fabio Biondi direttore Don Giovanni, Ouverture K 527 Tamos Re d’Egitto K 345 Mercoledì 28 ore 20.30 introduzione al concerto con Mogol e Corrado Augias Giovedì 29 ore 20.30 introduzione al concerto con Fabio e Fiamma e Corrado Augias Fiore all’occhiello dell’Italia musicale, all’estero apprezzatissimo violinista e direttore di uno dei più preziosi complessi barocchi del mondo, Europa Galante, il siciliano Fabio Biondi dirigerà per l’ultimo concerto del K Festival un pezzo tanto splendido quanto di raro ascolto: le musiche di scena per Tamos Re d’Egitto K 345. Tanto quanto il Flauto, anche il Thamos è intriso di significati legati alla simbologia massonica. Racconta di una fanciulla pura e bella prigioniera di alcuni sacerdoti della Grande Piramide e liberata da un principe. L’austerità apparente della partitura nasconde tesori preziosi. In apertura di programma, come ideale ricongiunzione al filmopera di Losey proiettato nella serata inaugurale, l’Ouverture del Don Giovanni suggellerà questa seconda edizione del K Festival. L. Pe.