le nozze di figaro - Il giornale dei Grandi Eventi

Anno XI - Numero 42 - 22 settembre 2005
L’Intervista
Parla il Direttore
Gianluigi Gelmetti
A Pag.
2
L’Imperatore
Giuseppe II
Il Sovrano riformatore che
autorizzò libretto e balli
A Pag
8e9
L’irrequieto Mozart
Quel calcio che rese
Wolfgang indipendente
A Pag
10
Beaumarchais
e Da Ponte
Le differenze tra la
commedia ed il
libretto dell’opera
A Pag
13
LE NOZZE DI FIGARO
di Wolfgang Amadeus Mozart
Le Nozze di Figaro
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Parla il direttore Gianluigi Gelmetti
La musica di Mozart: un diamante dalle mille sfaccettature
D
opo la parentesi estiva alle Terme di Caracalla, la stagione
del Teatro dell’Opera riprende al Teatro Costanzi,
anticipando le celebrazioni
dell’Anno Mozartiano con
Le Nozze di Figaro, un omaggio al genio di Salisburgo di
cui, l’anno prossimo, ricorrerà il 250° anniversario della nascita.
Per l’occasione è stato riunito lo stesso terzetto che, nel
2002, mise in scena il Don
Giovanni, opera che, oltre ad
aver registrato il tutto esaurito al Costanzi, fu anche
nello stesso anno il primo
esperimento di Opera in
piazza, con il palco allestito
a Piazza del Popolo, davanti
a una folla di ottantamila
spettatori.
La regia è affidata a Gigi
Proietti, le scene e i costumi
a Quirino Conti, la direzione
musicale a Gianluigi Gelmetti.
I tre interpreti confermano
ancora una volta la loro comunità di intenti: evitare
tassativamente ogni sovrapposizione personalistica,
ogni arrogante “chiave di
lettura”. Buon senso, raffinata tradizione e preziosità
dei materiali saranno la divisa di questa produzione.
D. - Maestro Gelmetti, lei
ha spesso paragonato la
musica di Mozart ad un
diamante....
« Infatti, questa pietra preziosa
rappresenta per me un’efficace
metafora delle partiture di Mozart, ma non solo, anche della
sua figura umana. Un diamante che, oltre ad essere una pietra
di valore, offre a chi lo osserva
mille diverse sfaccettature a seconda della sua collocazione
nello spazio, della luce che lo
investe e del punto di vista del-
l’osservatore».
«In Mozart, l’atmosfera che a
volte sembra allegra può divenire improvvisamente tragica,
farsi sarcastica, persino buffa e
all’improvviso essere turbata
dall’apparire della morte... E’
questa multiforme poliedricità definita dai critici “ambiguità”
- che consente alla musica mozartiana di far vibrare corde
differenti nei diversi individui
che compongono il pubblico».
«Se lo spettatore medio di queste Nozze di Figaro proverà
un sentimento diverso da quello del suo vicino di poltrona, allora avremo raggiunto una
parte importante del nostro
obiettivo: saremo riusciti a mettere in luce le diverse sfaccettature di questo diamante…».
D. -Quali sono gli aspetti
musicali da curare con
maggior attenzione nella
direzione delle Nozze?
LA COPERTINA
François Boucher, "La Toilette" (1742 ) - Olio
su tela, cm. 52,5 x 66,5 cm
La Contessa: «E segui a far la pazza? Va nel mio gabinetto, e prendi
un poco d'inglese taffetà: ch'è sullo scrigno: In quanto al nastro... inver... per il colore mi spiacea di privarmene». (Atto II, Scena II)
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«In modo particolare la levità,
il garbo e la finezza del canto e
dell’accompagnamento orchestrale».
«L’epoca di Mozart è un’epoca
di grande civiltà e di grandi misteri; la difficoltà per chi suona
e per chi canta è quella di far
convivere questi aspetti contrastanti».
«Assolutamente fondamentale
è anche il ritmo, che deve essere
incessante: nelle Nozze tutto
si svolge in tempo reale, nell’arco di una “Folle giornata”.
Il tempo dell’orologio coincide
quasi perfettamente con quanto
accade sulla scena, mentre il
ritmo della musica incalza
quello che accade nello spirito
di chi è in scena e di chi assiste.
C’è una grande aderenza al
reale, con la sua frenesia e con
l’inesorabilità del divenire».
«E’ un’opera proiettata instancabilmente in avanti e che bisogna “condurre” in avanti, con
slancio».
D. - Lei ha parlato di grandi
misteri: la stessa figura di
Mozart, densa di luci quanto di ombre, sarà il tema di
una nuova opera che verrà
eseguita per l’Anno Mozartiano...
«Infatti, il lavoro in questione
s’intitola Il Caso Mozart e si
tratta di una commissione del
Teatro dell’Opera ad un giovane compositore, Marco Taralli.
Chi è Mozart? Dov’é? Chi è
quest’uomo di cui non si conosce neanche un preciso identikit, di cui non vi è un ritratto
che sia uguale all’altro? Come è
stato possibile un simile miracolo? Queste saranno le domande alla radice dell’opera.
Del resto, l’ ambiguità della figura di Mozart lo ha reso un
personaggio di grande interesse
mediatico che riscuote successo, anche - e soprattutto - presso le giovani generazioni».
D. - A proposito di Anno
Mozartiano, come risponderà all’appello la Capitale?
«Roma ospiterà, nella stagione
estiva, tre grandi eventi: l’esecuzione, all’interno dei siti archeologici, delle tre opere “romane” di Mozart: Lucio Silla,
ai Mercati Traianei (che dirigerò personalmente), poi Ascanio in Alba nella Basilica di
Massenzio e La Clemenza di
Tito al Colosseo, vicino appunto all’Arco di Tito. Poi, stiamo
pensando di proporre, dopo
Don Giovanni e Il Flauto
magico, Le Nozze di Figaro
in Piazza del Popolo. Avrei anche un sogno: quello di proporre in una stessa giornata le tre
opere della Trilogia, Nozze,
Don Giovanni e Così fan tutte in una giornata di “ubriacatura mozartiana”».
D. - Lei non ama le sovrapposizioni e recentemente ha
dichiarato che non avrebbe
accettato un “Conte D’Almaviva vestito da SS”. Trova che il fenomeno generale
delle riletture, delle trovate
ad effetto proposte da tanti
direttori e registi sia finalmente in controtendenza?
«Purtroppo no. Per parte mia
sono convinto che il vero interprete sia colui che si lascia trasportare dalla musica, quasi
~~
fosse un barcaiolo che naviga
dentro un grande fiume: egli si
trova sulla barca, la guida, la
trasporta e allo stesso tempo è
trasportato dalla corrente. Così, noi non dobbiamo né violentare la musica né averne meramente un rispetto passivo:
dobbiamo far sì che il segno
scritto divenga vivo offrendo la
nostra vita alla musica e ponendoci al suo servizio... Ma
deve essere lei a comandare!».
D. - Una domanda personale: dedicherà queste Nozze
di Figaro alla piccola Biancalaura, “nuova arrivata” in
casa Gelmetti?
«Certo, ma a mia figlia dedico
tutta la vita...».
Andrea Cionci
La Locandina ~ ~
Stagione Lirica 2005
Teatro Costanzi, 22 – 29 Settembre 2005
LE NOZZE DI FIGARO
(K 426)
Commedia per musica in quattro atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater, 1 maggio 1786
Maestro concertatore e Direttore
Gianluigi Gelmetti
Regia Gigi Proietti
Scene e Costumi Quirino Conti
Maestro del Coro Andrea Giorgi
Personaggi / Interpreti
La Contessa d’Almaviva, sua moglie (S)
Anna Rita Taliento / Sofia Soloviy
Susanna, cameriera della Contessa (S)
Laura Cherici / Cristina Baggio
Figaro, cameriere del Conte (B)
Alex Esposito / Josè Carbo
Cherubino, paggio del Conte (S)
Laura Polverelli / Giacinta Nicotra
Marcellina, governante (Ms)
Anna Rita Gemmabella
Don Bartolo, medico di Siviglia (B)
Bruno Praticò
Don Basilio, maestro di musica (T)
Mario Bolognesi
Don Curzio, giudice (T)
Mauro Buffoli
Antonio, giardiniere del Conte e zio di Susanna (B)
Gian Luca Ricci
Barbarina, sua figlia (S)
Anna Malavasi
Paesani e Contadinelle
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo allestimento
I prossimi appuntamenti
al Teatro Costanzi
18 – 25 ottobre
DAS RHEINGOLD (L’Oro del Reno)
di Richard Wagner
Direttore
Will Humburg
Regia, Scene e Costumi
Interpreti
Pier’ Alli
Ralf Lukas, Kristian Frantz, Hartmut Welker,
Katja Lytting, Hanna Schwarz, Eva Matos
ALLESTIMENTO TEATRO ALLA SCALA
In lingua originale con sovratitoli
23 Novembre – 1 Dicembre
LA SONNAMBULA
di Vincenzo Bellini
Direttore
Regia
Interpreti
Bruno Campanella
Pier Francesco Maestrini
Stefania Bonfadelli, Nina Makarina,
Dimitri Korchak, Enzo Capuano
Il
Le Nozze di Figaro
Giornale dei Grandi Eventi
C
on un capolavoro
assoluto, Le Nozze
di Figaro di W. A.
Mozart, il Teatro dell’Opera di Roma, dopo la
stagione estiva alle
Terme di Caracalla, ritorna al teatro Costanzi
con questo terz’ultimo
titolo della stagione. Un
omaggio al compositore
salisburghese, che ne
anticipa le celebrazioni
del 2006 per il 250° an-
niversario della nascita.
Primo dei titoli della
trilogia
mozartiana
(“Nozze”, Don Giovanni,
Così fa tutte), Le Nozze di
Figaro (1786) rappresenta anche l’esordio della
fortunata
collaborazione tra Mozart e lo
spregiudicato librettista
Lorenzo Da Ponte, il
quale riuscì a guadagnarsi il permesso e la
protezione dell’Impera-
tore Giuseppe II d’Austria per ricavare il libretto dalla commedia Le
Mariage de Figaro di
Beaumarchais - censurata per i suoi attacchi prerivoluzionari alla aristocrazia - e per inserirci
balli vietati nelle rappresentazioni a corte.
Questo nuovo allestimento è firmato da Gigi
Proietti, alla sua settima
regia lirica, con le scene
ed i costumi dell’eclettico stilista Quirino Conti
che proprio con Proietti
a Roma firmò nel giugno 2002 l’allestimento
del Don Giovanni di
Mozart, riproposto un
mese dopo in piazza del
Popolo. La direzione
musicale è affidata al
Direttore principale dell’Opera Gianluigi Gelmetti, in attesa di diventare papà.
3
Le Repliche
Venerdì 23 settembre, ore 20,30
Sabato 24 settembre, ore 18,00
Domenica 25 settembre, ore 17,00
Martedì 27 settembre, ore 20,30
Mercoledì 28 settembre, ore 20,30
Giovedì 29 settembre, ore 20,30
Figaro guarda in anticipo all’anno mozartiano
La vicenda si svolge nel castello di Aguas Frescas,
residenza del Conte di Almaviva, Grande di Spagna, nei pressi di Siviglia.
La Trama
ATTO I - In una camera non ammobiliata. I due fidanzati Figaro e
Susanna, camerieri del Conte d’Almaviva, preparano la loro stanza in vista delle nozze. Susanna rivela al fidanzato che il Conte,
concedendo alla coppia una camera vicino al suo appartamento,
ha intenzione di far valere su di lei, con l’aiuto del medico don
Bartolo, lo ius primae noctis al quale aveva rinunciato. Figaro promette di vendicarsi giocando d’astuzia.
La vicenda si complica con l’arrivo di don Bartolo e dell’attempata governante Marcellina, decisa a esigere una cambiale di matrimonio che Figaro le ha firmato in cambio di denaro, minacciando
di rivolgersi al Conte per avere giustizia.
Entra in scena, agitatissimo, l’impenitente paggio Cherubino, il
quale mentre racconta a Susanna che il Conte vuole cacciarlo dal
castello avendolo sorpreso con la figlia del giardiniere Barbarina,
viene interrotto dall’arrivo del Conte. Il paggio si nasconde dietro
una poltrona da dove ascolta le ardenti parole con cui Almaviva
chiede a Susanna, un appuntamento notturno in giardino.
Tuttavia, anche il Conte è costretto ad interrompersi e nascondersi, anch’egli dietro la poltrona, per non essere sorpreso dall’arrivo
del pettegolo maestro di cappella don Basilio. Cherubino, scivolando dal lato opposto, si pone sopra la poltrona coperto da un
lenzuolo.
Nascosti, Cherubino e il Conte ascoltano don Basilio insinuare che
Cherubino ha una relazione con la Contessa, moglie di Almaviva.
Infuriato il Conte esce dal nascondiglio e minaccia di vendicarsi.
Susanna tenta di difendere Cherubino che il Conte dice di aver
sorpreso il giorno prima sotto un tavolo in casa di Barbarina: nel
mimare la scena della scoperta alza il lenzuolo dalla poltrona e vi
trova ancora lo spaurito Cherubino. Solo l’intervento di Figaro, venuto a chiedergli di porre sul capo della sposa il velo bianco, simbolo
della rinuncia all’antico diritto feudale, placa l’ira del geloso Almaviva. Cherubino è perdonato, ma dal Conte riceve una nomina
ad ufficiale che lo costringerà a partire per Siviglia. Figaro lo deride con la famosa aria «Non più andrai farfallone amoroso…».
ATTO II – Nella stanza della Contessa. La Contessa è consapevole
dell’infedeltà del marito e progetta con Figaro e Susanna un doppio piano per smascherarlo e farlo ingelosire: i tre faranno pervenire al Conte un biglietto anonimo che lo faccia dubitare di sua
moglie. Susanna dovrà accettare l’invito del Conte ad un incontro
segreto in giardino, ma all’appuntamento sarà mandato Cherubino travestito da donna, in modo che la Contessa possa sorprendere il marito infedele.
Figaro invia nella camera della Contessa Cherubino per essere
mascherato da donna, ma mentre comincia a vestirlo Susanna si
accorge che il brevetto d’ufficiale del paggio manca del necessario
sigillo. Poco dopo il Conte bussa alla porta. Cherubino si rifugia
nel guardaroba, chiudendosi a chiave. La Contessa apre al marito
e dal guardaroba si sente un rumore. Il Conte, già allarmato dal biglietto, si insospettisce. La moglie imbarazzata gli dice che nel
guardaroba c’è Susanna intenta a provarsi l’abito nunziale. Ma il
marito ingelosito decide di sfondare la porta e reca con se la moglie alla ricerca degli attrezzi. Nel frattempo, Cherubino scappa
dalla finestra e Susanna prende il suo posto. Così quando il Conte apre lo spogliatoio trova veramente Susanna ed è costretto a
chiede alla moglie perdono per i suoi dubbi.
Arriva però il giardiniere Antonio, raccontando di aver visto un
uomo uscire dalla finestra. Figaro cerca di addossarsi la colpa, ma
il Conte, sempre più disorientato, sospetta l’inganno quando il
segue a pag 6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le Nozze di Figaro
5
Laura Cherici e Cristina Baggio
Alex Esposito e José Carbo
Susanna, promessa
sposa di Figaro
Figaro, ingegnoso protagonista
P
restano la voce a Figaro Alex Esposito (22, 24, 27, 29 settembre) e José Carbo (23, 25, 28 settembre). Alex Esposito ha iniziato gli studi con il
a voce di Susanna è di Laura Chierici (22, 24, 27, 29 settempianoforte e l’orgabre) e di Cristina Baggio (23, 25, 28 settembre). Laura Chieno, dedicandosi sucrici ha studiato a Reggio Emilia, debuttando giovanissima
cessivamente al canal Teatro Regio di Torino in Der Rosenkavalier, in Carmen e in Aito. Grazie alla Menda, quindi nelle Nozze di Figaro. Si è esibita in importanti festival
zione Speciale ottee teatri italiani ed esteri, come il Filarmonico di Verona, il Comunuta al Concorso
nale di Firenze e di Bologna, la Scala di Milano, il San Carlo di
“Adami Corradetti”
Napoli, il Verdi di Trieste, la Deutsche Opera am Rhein di Düsnel 1998, ha iniziato
seldorf. All’Opera di Roma ha cantato in Il Gatto con gli stivali
una carriera che nel
(Drusilla), Die Zauberflöte (Papagena), e Così fan tutte (Despina).
giro di poche stagioCristina Baggio, si è diplomata in Canto a Padova e in Musica
ni lo ha portato al
vocale da camera a Rovigo, perfezionandosi in Italia e negli USA,
Ravenna Festival, alin particolare presso la AVA di Philadelphia. Ha vinto concorsi
lo Staatsoper di
internazionali e si è esibita in diversi teatri italiani, con la direSalzburg, al Regio di
zione di celebri maestri. Fra le opere in repertorio ha il MonTorino, alla Fenice
do della luna di Galuppi, Incanto di Natale di Furlani, Marino
di Venezia. Si esibiLaura Cherici e Alex Esposito
Faliero di Donizetti, Cenerentola, Orfeo ed Euridice, Matrimonio
sce con continuità al
segreto e Faust.
Teatro dell’Opera di Roma, dove è stato Masetto in Don Giovanni e
Colline nella Bohème con la direzione del Maestro Gelmetti, Papageno nel Flauto magico e Orbazzano nel Tancredi.
Marco Vinco e Paolo Coni
José Carbo, argentino, si è trasferito giovanissimo in Australia,
dove ha compiuto gli studi musicali. In Australia è considerato
uno dei baritoni più promettenti ed ha cantato più volte come
protagonista e con le principali orchestre. Nel 2003 ha ottenuto
un’ottima accoglienza dalla critica per la sua esibizione come
protagonista nel Don Giovanni con l’Opera del Queensland. In
l Conte d’Almaviva ha la voce dei baritoni Marco Vinco (22, 24, 27, Europa ha debuttato nel 2005, presso il Teatro Real de Madrid,
29 settembre) e di Paolo Coni (23, 25, 28 settembre). Marco Vinco nel ruolo di Figaro nel Barbiere di Siviglia.
è nato a Verona nel 1977. All’esercizio tecnico-vocale con Ivo Vinco e musicale con Paola Molinari, affianca gli studi in GiurisprudenAnna Rita Taliento e Sofia Soloviy
za. In primo piano nel suo repertorio le interpretazioni di Rossini
(L’Equivoco stravagante, La Pietra del paragone, Il Turco in Italia, La Cenerentola, L’Inganno felice, Il Viaggio a Reims, Adina o il Califfo di Baghdad, Petite Messe solennelle) e di Mozart: ha cantato Le Nozze di Figaro
al Festival di Aix-en-Provence, a Baden-Baden, al Teatro Bunka Mura di Tokyo, al Teatro Real di Madrid, a Tel Aviv e al Teatro Carlo Fed interpretare il ruolo di Rosina saranno le soprano Anna Rilice di Genova. Al Teatro dell’Opera di Roma ha cantato il Don Giota Taliento (22, 24, 27, 29 settembre) e Sofia Soloviy (23, 25, 28
vanni diretto dal maestro Gelmetti, Le Joungleur de Notre Dame di Massettembre).
senet e la Nona Sinfonia di Beethoven.
Paolo Coni ha cantato in prestigiosi teatri italiani ed esteri, come il Anna Rita Taliento ha debuttato a Spoleto con il Trittico di Puccini
Regio di Torino, il San Carlo di Napoli, il Regio di Parma. Grande eco ed è vincitrice di concorsi nazionali ed internazionali, tra cui il “Belha ottenuto nel 1993 con la Traviata alla Scala di Milano, diretta da vedere” di Vienna (1993). Ha cantato in teatri prestigiosi e nel suo repertorio vi sono Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte di
Riccardo Muti.
Mozart, Don Pasquale di Donizetti, Mosé in Egitto di Rossini, Carmen
di Bizet, La Bohème di Puccini, Faust di Gounod. Intensa è la sua attiLaura Polverelli e Giacinta Nicotra
vità concertistica, con un
repertorio che spazia dalla
musica barocca agli autori
contemporanei. Ha preso
parte all’inaugurazione
della stagione 2004 del
Teatro dell’Opera di Roma
nterpreti di Cherubino sono i soprani Laura
con l’opera inedita di RePolverelli (22, 24, 27, 29 settembre) e Giacinta Nicospighi Marie Victoire.
tra (23, 25, 28 settembre).
Laura Polverelli,
Sofia Soloviy, di origine
vincitrice di vari concorsi nazionali e internazionali, è
ucraina, ha compiuto gli
ospite regolare di istituzioni musicali italiane ed estere,
studi di pianoforte, musicome la Bayerische Staatsoper, la Staatsoper di Amcologia e canto nella città
burgo, il Teatro Real di Madrid, l’Opéra di Lyon, di
di Lviv (Leopoli). Si è traMontecarlo, di Losanna, di Anversa. Nel suo repertosferita in Italia nel 2000,
rio figurano in primo piano i ruoli rossiniani e
perfezionandosi nel Canto
mozartiani; è un’apprezzata interprete del repertorio
lirico presso l’Accademia
barocco e si dedica intensamente anche all’attività con- Anna Rita Taliento e Laura Polverelli
Rossiniana di Pesaro e l’Accertistica.
cademia Chigiana di Siena. È vincitrice di numerosi concorsi in ItaGiacinta Nicotra ha cantato all’Opera di Roma in più di un’oclia e all’estero. Tra i suoi maestri c’è Gianluigi Gelmetti, sotto la cui
casione. In particolare, l’abbiamo ascoltata nel 2004 nel Flauto
direzione ha cantato Così fan tutte di Mozart, nel ruolo di Fiordiligi.
magico e nel Tancredi; nel 2003 in Francesca da Rimini, nel 2002 in
Suor Angelica e nel 2001 nella Rondine e nel Flauto magico, diPagina a cura di Diana Sirianni – Foto di Corrado M. Falsini
retti dal maestro Gelmetti.
L
Il Conte d’Almaviva,
marito infedele
I
La Contessa, tradita
ma innamorata
A
Cherubino, il vivace
paggio adolescente
I
6
Le Nozze di Figaro
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le fonti di ispirazione per scene e costumi
Un allestimento che guarda a Goya e al Vanvitelli
U
na parte dell’allestimento del Don
Giovanni realizzato da Quirino Conti nel
2002 per il Teatro dell’Opera, viene oggi ripreso
dallo stesso scenografo,
per Le Nozze di Figaro.
Alle architetture vanvitelliane di illuministica
linearità, agli sfondi dai
tenui colori pastello già
allestiti tre anni orsono,
si sono dovute inevitabilmente aggiungere altre scene per gli ambienti interni, come richiesto
dal libretto.
Questo esperimento di
continuità trae ispirazione, oltre che da un criterio di pragmaticità economica, anche da un
programma stilistico che
fu tipico di una prassi
studiata all’inizio del
‘900: far immaginare al
pubblico la modificazione sentimentale che lo
stesso ambiente può assumere qualora venga
osservato da tre punti di
vista diversi.
Una idea per un
progetto
L’omogeneità e l’intercambiabilità delle scene,
inoltre, potrebbe essere
finalizzata, in futuro, - è
nei progetti per il 2006,
Figurino costume Contessa atto III
anno del 250° anniversario della nascita di Mozart - alla realizzazione
di un’unica giornata de-
Borbone, fratello del re
gi a Parma, presso la
settecentesche, i cui delidicata alla Trilogia, una
Carlo III.
Fondazione Magnanicati toni pastello ed i lumaratona mozartiana,
L’artista volle evitare,
Rocca, è stato la princiminosi e cangianti riflescomprendente Don Gioper questo ritratto di
vanni
,
gruppo, i toni ufficiali
Nozze di
della ritrattistica di corte
Figaro e
scegliendo l’atmosfera
Così fan
intima di una serata quatutte, eselunque: don Luìs fa un
guite una
solitario, gli amici osserdi seguivano il gioco, la moglie
to all’alsi fa pettinare, le cametra.
riere sono colte di sorL’ambipresa mentre, ignare, enzioso protrano nella visuale della
getto descena. Solo la piccola
ve tuttaMaria Teresa svela la finvia fare i
zione osservando, curioconti con
sa, il pittore. La luce della dimenla candela, benché fioca,
sione anriesce ad accendere di ricora maflessi quasi innaturali la
nuale deserica veste della moglie
gli
imdi don Luìs e le trine depianti scegli abiti maschili... Semnici del
plicità, definizione dei
teatro Co- Francisco Goya -"La famiglia di don Luis" 1784
ruoli ed effetti di luce,
stanzi. Il
questi i caratteri dell’opale fonte d’ispirazione
si appaiono documentati
teatro, infatti, non dispopera di Goya che ritroper quanto riguarda i costoricamente nientemene di palcoscenici ruoviamo in palcoscenico,
stumi: fu eseguito da
no che dal pennello di
tanti, di macchinari e auper impreziosire l’azione
Goya nel 1784 ad Arenas
Goya, nella stupenda tetomatismi di cui benefidel movimentato matride San Pedro durante il
la intitolata “La famiglia
ciano altri grandi teatri,
monio di Figaro.
soggiorno del pittore
di don Luìs”.
come il Regio di Torino o
And. Cio.
presso il principe Luìs di
Il quadro, conservato ogLa Scala di Milano...
Tale dimensione “orgogliosamente” artigianale
segue Trama da pag 3
del teatro, ben si contempera con l’atmosfera vonestra: è il brevetto d’ufficiale di CherubiSusanna, detta alla ragazza un biglietlutamente “datata” delno. Prontamente la Contessa e Susanna
to di conferma dell’appuntamento
l’intero allestimento, tedichiarano che il foglio era stato dato a Finotturno in giardino che la futura
so a far rivivere un’eco
garo
perché
mancante
del
sigillo.
La
consposa farà scivolare nelle mani del
di stagioni e sentimenti
fusione aumenta con l’arrivo di don BarConte durante la festa nunziale.
irrimediabiltolo e Marcellina, la quale rivendica il suo
mente perduti
diritto a sposare Figaro. Il Conte, in cuor
ATTO IV – Nel giardino del castello, la
dal tempo.
contento per aver trovato l’impedimento
notte. Involontariamente Barbarina
Un artigianato
alle nozze, promette giustizia.
svela a Figaro che Susanna ha un apdi qualità che
puntamento con il Conte. Figaro, doritorna anche
ATTO III – Nella sala preparata per la festa
po essersi sfogato con la madre Marnella
scelta
nuziale. Il Conte medita sugli avvenimencellina, decide di smascherare la sua
dei materiali
ti, cercando di capirne gli intrecci. Entra
ormai sposa recandosi nel luogo delper i costumi,
Susanna, che d’accordo con Rosina, ma
l’incontro insieme a dei testimoni.
(anch’essi diall’insaputa di Figaro, dà un appuntasegnati
da
mento al Conte per la sera. In realtà, la
Susanna e la Contessa si sono scamConti).
Nel
Contessa ha deciso di recarsi lei all’apbiate gli abiti. La Contessa – nelle ve2002 la scelta
puntamento, vestita con gli abiti di Susti di Susanna – intona un canto d’aera caduta su
sanna. Alla presenza del giudice don
more, attraendo così anche CherubiFendi, queCurzio, si discute la causa di matrimonio
no ed esaltando la gelosia di Figaro.
st’anno, invefra Figaro e Marcellina, ma da un tatuagAnche il Conte, sopraggiunto in quel
ce, protagonigio si scopre che Figaro è figlio della donmomento, s’impermalisce vedendo
sta è la ditta
na e di don Bartolo. Ora non vi sono più
quella che crede essere Susanna in
Taroni, la più
motivi ostativi alle nozze. Susanna, giuncompagnia di Cherubino.
vecchia setegendo con la dote per pagare Marcellina,
ria di Como,
trova Figaro abbracciato alla donna e lo
Dopo una serie di equivoci creati da
nata nel 1880.
schiaffeggia. Marcellina gli spiega però
Susanna e dalla Contessa per punire
L’utilizzo di
gli sviluppi e con don Bartolo si dicono
l’infedeltà del Conte e la gelosia di Fispeciali telai a
decisi a regolarizzare anche la propria
garo, le due donne rivelano la loro
mano, che riprendono le
unione. Potrà essere così doppia la festa
vera identità. Il Conte, umiliato riceve
antiche tecniche di lavodi nozze.
il perdono della moglie e tutti possorazione, ha consentito la
La Contessa, sola, ripensa alla dolcezza
no recarsi ai festeggiamenti per quel
riproduzione delle sete
del suo matrimonio. Raggiunta da
matrimonio tanto sofferto. (eca)
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le Nozze di Figaro
7
La storia dell’opera
Un libretto nato tra diplomazia e censura
N
el 1781 Pierre-Augustin
Caron de Beaumarchais
(1732-1799) portò a termine la commedia Le Mariage de
Figaro ou la folle journée. Si trattava della seconda parte di una trilogia cominciata nel 1775 con il
Barbier de Séville e che si sarebbe
conclusa nel 1792 con la Mère
coupable. Luigi XVI Re di Francia,
dopo aver letto il lavoro, lo giudicò détestable e ne proibì la rappresentazione.
stern, banchiere e suo estimatore.
Così parlò dell’incontro al padre
Leopold: «Abbiamo qui un certo
Abate Da Ponte quale poeta…al momento ha furiosamente da fare…
Non ne verrà a capo prima di due
mesi. Poi mi ha promesso di farmene
uno (di libretto)…» . Fu dunque
tendere poi il momento opportuno per presentare l’opera a corte.
Il consenso imperiale
Sul lavoro di composizione non
esistono notizie puntuali, ma esso deve essere stato molto inten-
Censura per la commedia
di Beaumarchais
C’era nella piéce una brillante satira sociale che aveva per protagonista un uomo in lotta contro i
privilegi dell’aristocrazia. La censura era inevitabile. Lo conferma,
a posteriori, il giudizio di Napoleone che riteneva nella commedia « la Révolution déja en action».
Come spesso accade, la censura
aveva però funzionato da lancio
pubblicitario e il 27 aprile 1784 Le
Mariage de Figaro andò finalmente in scena presso il teatro parigino della Comédie fran?aise. Fu un
successo incredibile, che vide ben
68 repliche in brevissimo tempo.
L’anno successivo, anche la prima rappresantazione viennese
del Mariage fu tempestivamente
investita dalla censura. Venne invece autorizzata la pubblicazione
del testo, ritenuta meno pericolosa, e fu così che Wolfgang Amadeus Mozart ebbe modo di leggere la commedia.
Alla ricerca
di un libretto italiano
Mozart aveva già avuto un contatto con il protagonista del suo
futuro capolavoro assistendo al
Barbiere di Siviglia di Paisiello,
tratto dal lavoro di Beaumarchais
e andato in scena a Vienna nel
1783. In quel periodo, l’interesse
per l’opera buffa italiana spingeva il compositore alla ricerca di
un libretto. Il 7 maggio 1783 scriveva al padre Leopold: «… ho
esaminato almeno 100 libretti… solo che non ne ho trovato quasi nessuno
di
cui
potessi
dirmi
soddisfatto…». Nello stesso anno,
tentata su consiglio paterno una
infruttuosa collaborazione con il
poeta Giambattista Varesco, cappellano di corte a Salisburgo e già
per lui librettista dell’Idomeneo,
Mozart incontrò l’abate Lorenzo
Da Ponte (1749-1838) nel salotto
del barone Wetzlar von Planken-
Burgtheater di Vienna
l’italiano a proporre la collaborazione, ma fu di Mozart la
scelta del soggetto che subito
piacque al poeta e avventuriero. Da Ponte, nelle sue un po’
eccentriche Memorie, riferisce
come essendo impegnato anche
nella stesura di un libretto per
Martini (italianizzazione di
Martin-y-Soler) quest’ultimo,
grande estimatore di Mozart,
acconsentì che l’Abate scrivesse
prima il Figaro.
Mancando una commissione
per l’opera, il Barone von
Plankenstern si offrì di finanziare a proprie spese eventuali
allestimenti in Francia ed a
Londra. Il poeta propose invece
di scrivere segretamente e di at-
so, sei settimane stando a Da
Ponte, più probabilmente sei mesi rifacendosi ai fatti. I due avevano già cominciato alla fine dell’ottobre del 1785, come risulta
da una lettera di Leopold a Nannerl (sorella di Mozart), datata 11
novembre: «Finalmente ho ricevuto da tuo fratello una lettera… Si
scusa perché deve portare a termine a
rotta di collo l’opera Le nozze di Figaro… per essere libero la mattina,
ha spostato tutti i suoi allievi al pomeriggio».
Quando giunse il momento di ottenere il sostegno di Giuseppe II,
convincendolo a revocare il divieto posto sulla rappresentazione del Mariage, Da Ponte si recò
dall’Imperatore assicurandogli
come la vicenda fosse stata pulita
di tutti i suoi accenti sovversivi.
Si trattava di un’esigenza artistica più che politica, ma fu nel presentarla come atto di sensibilità
nei confronti dell’Imperatore che
il poeta dimostrò la sua abilità diplomatica guadagnando l’appoggio del sovrano: «Quand’è così… fate dare lo spartito al copista»
sono le parole di Giuseppe II nelle Memorie dapontiane. Sempre
l’italiano racconta come, mentre
riferiva l’esito del colloquio a
Mozart, fosse arrivato uno staffiere per invitare il musicista a
palazzo imperiale, cosicché Sua
Maestà potesse subito ascoltare
in anteprima alcuni brani. Assistendo poi alla prova generale,
l’Imperatore diede ulteriore dimostrazione della sua benevolenza.
Il ballo ripristinato
Il conte Rosemberg, rivale di Da
Ponte, venuto a sapere della presenza di un ballo nel Figaro (Giuseppe II aveva proibito le danze
negli spettacoli di corte), stracciò
la pagina del testo dove esso era
inserito. Durante la “generale”, la
scena così mutilata provocò la
reazione di Giuseppe II che, chiedendo spiegazioni di quella scena zoppicante, si vide sottoposta
da Da Ponte una copia reintegrata del testo del ballo. Per ordine
imperiale furono mandati a chiamare 24 ballerini e il ballo di nozze fu reinserito.
La prima delle Nozze di Figaro si
tenne il 1 maggio 1786 al Burgtheater di Vienna. Fu un successo
straordinario, cui seguirono nove
repliche. Il cast dei cantanti, tutti di
scuola italiana, era eccezionale: vi
spiccavano il tenore Michael
O’Kelly nel ruolo di Basilio ed il soprano Nancy Storace nei panni di
Susanna. Nel gennaio successivo a
Praga la ripresa riscosse un successo ancora maggiore: «Qui non si
suona, non si canta, non si zufola che
Figaro…» scriveva Mozart in una
lettera del 14 gennaio. Nell’agosto
1789, quando l’opera finalmente
tornò a Vienna, Mozart compose
appositamente per il soprano
Adriana Ferrarese del Bene l’aria
Al desio di chi l’adora.
La prima italiana fu a Monza nel
1787, in onore di Ferdinando
d’Asburgo e Beatrice d’Este, con
il III e IV atto ridotti da Angelo
Tarchi. La prima versione integrale andò invece in scena a Firenze nel 1788.
Maria Elena Latini
Le Nozze di Figaro
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’Imperatore Giuseppe II, grande soste
Il sovrano riformatore che non eb
N
ella storia de Le
Nozze di Figaro una
cosa è certa: se non
ci fosse stato il diretto intervento di Giuseppe II,
Imperatore d’Austria e del
Sacro Romano Impero,
questo che può essere considerato uno dei massimi
capolavori mozartiani e
tra i più alti esempi dell’intera storia della musica,
non avrebbe visto la luce.
Fu, infatti, proprio l’Imperatore a derogare espressamente ai divieti di censura
che accompagnavano la
commedia Le Mariage de
Figaro di Pierre-Augustin
Caron de Beaumarchais
andata in scena la prima
volta nel 1784 a Parigi, per
quei forti contenuti polemici verso la nobiltà. Giuseppe II, da sovrano illuminato, concesse il proprio
imprimatur a Lorenzo Da
Ponte, il quale si impegnò
ad alleggerire il contenuto
politico della commedia
francese omettendo i diretti attacchi e le derisioni nei
confronti dell’aristocrazia
(in particolare l’invettiva
di Figaro verso i nobili, sostituita nel libretto con
quella contro le donne)
senza intaccare la sostanza
della trama. L’Imperatore,
come anche riconosciuto
dai più recenti studi, ebbe
un ruolo di primo piano
nella storia de “Le Nozze” ,
nutrendo verso l’opera un
interesse particolare, tanto
da assistere più volte alle
prove.
Fu lui stesso ad ordinare
di reinserire il ballo di nozze, - avendo notato che l’azione scenica della festa rimaneva deturpata dal taglio - nonostante fosse stato cassato in osservanza al
divieto di inserire danze
negli spettacoli di corte
emanato dallo stesso Imperatore. Così apprendiamo da una lettera di Mozart del 15 ottobre 1787 come due anni dopo lo stesso Giuseppe II impose al
Teatro dell’Opera di Praga
di mettere in scena Le Nozze di Figaro nonostante le
proteste dell’aristocrazia
locale.
Ma perché l’Imperatore
stesso appoggiò un testo
basato su un’opera, quella
di Beaumarchais, la quale
successivamente si disse
aver contribuito ad affrettare i moti della Rivoluzione Francese?
La risposta è da ricercare
nell’intera politica adottata
dall’Imperatore, il primo
degli Asburgo-Lorena, figlio della grande Maria
Giuseppe II con la madre e i fratelli
Teresa d’Asburgo, divenuta Imperatrice per mancanza di fratelli maschi in
base alla Prammatica Sanzione di Carlo VI del 1713,
la quale aggiunse al proprio cognome il predicato
Lorena del marito Francesco Stefano, dando così il
via al nuovo corso degli
Asburgo (Asburgo-Lorena) giunto fino ai nostri
giorni.
Monarchia illuminata
Giuseppe II
E’ proprio dalla figura di
Francesco Stefano che bisogna partire per capire le
idee ed il comportamento
del figlio Giuseppe II, imperatore discusso, considerato dai suoi successori
come un affossatore della
monarchia, celebrato invece dai liberali come iniziatore di un nuovo corso.
Il principe Francesco Stefano, duca di Lorena, andato
in sposa con il beneplacito
della Francia a Maria Teresa d’Austria, aveva portato nella casa d’Asburgo i
semi di quel “buongoverno lorenese” divenuto
esemplare, quel pratico
“senso dello Stato”, dell’amministrazione, che in
qualche modo si contrapponeva alla concezione
medioevale del governo,
alla proverbiale raffinatezza dei vecchi Asburgo (famoso il gusto e la passione
di Leopoldo I, Giuseppe I
e Carlo VI per la musica, il
teatro, la letteratura, la
poesia e le arti figurative),
tanto che lo storico austriaco Enrico Benedikt asserì
che «le nove muse si erano
raccolte intorno alla culla degli Asburgo, mentre avevano
mandato appena un fugace
saluto a quella degli Asburgo-Lorena».
Nella nuova famiglia, all’amore per le arti subentrò l’interesse di stampo illuminista per le scienze
naturali, per le tecnologie
che avanzavano, per l’industria ed anche per la
scienza medica. Insomma,
le passioni seguivano
quello spirito del tempo
che trasformò anche la metodica collezionistica, dalle
rinascimentali
Wunderkammern (Camere di
meraviglie) alla concezione museale “moderna”.
Una tradizione per le
scienze naturali che a
Francesco Stefano – molto
competente nel campo
dell’economia e delle finanze - derivava dal padre
Leopoldo, ultimo Duca regnante di Lorena, di cui
Voltaire scriveva: «Egli
fondò a Lunéville una specie
di Università da cui la pedanteria era bandita…vi si insegnava seriamente la scienza,
in scuole ove la fisica veniva
illustrata sperimentalmente
in laboratori forniti di meravigliosi apparecchi. Era sempre alla ricerca del talento,
nelle botteghe e nelle foreste,
per poterlo incoraggiare».
Francesco Stefano ereditò
tale spirito e fu anche il
primo Imperatore (con il
nome di Francesco I prese
la corona del Sacro Romano Impero) a concedere titoli nobiliari per meriti nel
campo dell’industria. Un
influsso modernista e
riformatore che trasmise ai
figli e che determinò il successivo stile della dinastia
dei “nuovi” Asburgo.
Imperatore discusso
Giuseppe II e suo fratello
Pietro Leopoldo non si tiravano indietro quando
c’era da acquistare integrazioni per le collezioni paterne. Tra i consiglieri di
mineralogia vi era Ignazio
von Born, Gran Maestro
della loggia massonica
“Alla vera Concordia”, la
quale pubblicava lavori di
scienze naturali, che fu per
Mozart il modello ispiratore della figura di Sarastro
nel Flauto Magico.
La semplicità era uno degli elementi che Giuseppe
II - salito al trono imperiale nel 1780, dopo 15 anni di
co-reggenza con la madre non nascondeva, come
nella famosa scena svoltasi
ad Austerlitz in Moravia,
nei poderi del principe
Il
Le Nozze di Figaro
Giornale dei Grandi Eventi
9
nitore de“Le Nozze di Figaro”
be paura della nobiltà
Kaunitz, dove si mise personalmente alla guida di
un aratro, non tanto per
onorare il mestiere agricolo, quanto per sperimentarne il nuovo modello.
Questa impostazione di
vita ha suscitato su di lui –
come abbiamo detto – giudizi storici divergenti: così
se da una parte gli si rimprovera il fallimento nella
politica - avviata da Maria
Teresa- volta all’allargamento dello Stato burocratico con l’inserimento dell’Ungheria, dall’altra se ne
ricordano le profonde tracce riformiste lasciate fino
ad oggi nel metodo e nell’organizzazione dell’ottima burocrazia austriaca. Il
concetto di “Giuseppismo”
fu creato in relazione alle
sue idee ed alle riforme di
politica ecclesiastica da lui
avviate con l’Editto sulla
Tolleranza del 1781 che
muoveva verso l’affermazione di uno Stato non
confessionale. L’anno dopo abolì la servitù della
gleba, rendendo liberi i
contadini nei loro spostamenti e nel 1783 rese il matrimonio dipendente dalla
legge civile e non più da
quella religiosa. Come nel
caso di Da Ponte-Mozart,
chiamò a corte molti letterati e filosofi anche italiani
tra cui Beccaria e Verri. Divenne così un simbolo per
il liberalismo austriaco. La
sua alta concezione etica
del “governare”, del “servire lo Stato” lo portò a
progettare, a costruire instancabilmente nell’ideale
del bene dei suoi sudditi,
sottovalutando però le forti resistenze delle tradizioni. In questo modo, ad
esempio, il tentativo di
sottoporre l’Ungheria al sistema burocratico-centralistico fallì miseramente
per l’ostilità del sistema
feudale ungherese. Lo
stesso avvenne in Baviera,
regione ideale nell’ampliamento dei paesi austriaci,
a causa della resistenza dei
principi tedeschi guidati
dal re prussiano Federico
il Grande.
Nella vita privata Giuseppe II aveva un carattere
complesso e contraddittorio: fin da bambino la ma-
dre scriveva al suo precettore della sua villania, della sua arroganza verso gli
inferiori, della sua insofferenza verso ogni critica.
La vita sentimentale non
l’aiutò: la prima moglie
Isabella di Borbone Parma
si innamorò di una cognata, l’arciduchessa Maria
Cristina, sorella di Giuseppe. Quando Isabella
morì nel 1763, dopo soli
tre anni di matrimonio,
furono scoperte oltre duecento lettere tra le due
donne. Giuseppe, per consolarsi, chiese di sposare
una sorella di Isabella, ma
questa era già promessa in
moglie ad un altro uomo.
Due anni più tardi si rassegnò a prendere in sposa
Josepha di Baviera, donna
certo non avvenente ma di
buon carattere che egli descrisse così: «Di figura è
bassa, tozza, senza ombra di
fascino. Il suo viso è coperto
di macchie e foruncoli. I denti sono orribili…». Giuseppe visse con lei amichevolmente, senza amore.
La vita di questo Imperatore naufragò perché
mancava in lui ogni comprensione dei sentimenti.
Era convinto di poter
cambiare il mondo con i
suoi decreti passando sopra le tradizioni. Partorì
giuste concezioni che realizzò, però, in un modo
sbagliato, deliberatamente offensivo verso il maggior numero degli individui.
Malgrado le sue buone in-
tenzioni non
ricevette in
cambio che
incomprensione ed ingratitudine:
dopo dieci
anni di regno, quando
morì nel febbraio 1790,
sette mesi
dopo l’inizio
della Rivoluzione
Francese, il
suo trono
vacillava.
Q u e s t o Giuseppe II in abiti imperiali
Asburgo
volle, così,
giace Giuseppe II, che fallì in
sulla sua tomba, nella
ogni sua impresa».
Cripta dei Cappuccini a
Vienna, l’epitaf fio: «Qui
Andrea Marini
Il titolo di “Grande di Spagna” del Conte d’Almaviva
L’antico privilegio di parlare al Re
con il cappello in testa
S
i fregia con orgoglio il Conte d’Almaviva del titolo
di “Grande di Spagna” e lo fa a buon diritto essendo
esso un privilegio antico, molto considerato in Spagna, dove è sopravvissuto ai secoli fino ai giorni nostri.
In origine erano detti riches hombres ed erano i grandi
feudatari della Corona di Spagna, i quali godevano del
privilegio di parlare al Re restando con il capo coperto
da fastosi cappelli piumati. Questa prerogativa, di cui
era gelosissimo chi ne fruiva perché lo collocava sopra
ogni alto grado sociale eccetto quello del Sovrano, era già
stata concessa nella corte dei Valois ai grandi feudatari
di Francia.
Anche ai giorni nostri, in tempi così radicalmente mutati rispetto a quelli di Carlo V (1500-1558), il titolo di
Grande di Spagna, che per volontà di quel Sovrano sostituì quello di riches hombres, viene trasferito di generazione in generazione ed è ancora conferito dal Re.
I primi 27 Grandi di Spagna – titolo che si distingueva
dai titoli nobiliari dei singoli regni di Aragona e di Castiglia – furono scelti da Carlo V, quando fu eletto Imperatore, tra i riches hombres che lo avevano seguito in Germania, mantenendo la preminenza che sino allora li aveva distinti. Connessi a questa dignità erano l’ufficio di
Gentiluomo di camera del Sovrano e quello – come abbiamo detto – di tenere il capo coperto e sedersi in presenza del Re.
E’ appena necessario notare come in quel tempo la posizione sociale ed i benefici conferiti dai sovrani, fossero
una condizione assolutamente necessaria anche per il riconoscimento di valori meritati dai privilegiati con le loro opere od imprese. E soprattutto in Spagna, dove fu
vittima in questo senso uno dei più grandi scrittori di
tutti i tempi: Miguel Cervantes y Saavedra, che ne era
perfettamente conscio. Ed infatti, trasportando in Parnase la corte del suo Paese, descrisse l’assemblea dei poeti
che così erano trattati, ma lui povero cavaliere, restava
escluso. E cioè: «Sommavano quei lauri quasi a cento / alla
cui ombra e tronco si adagiarono / taluni di quel gruppo fortunato. / Infine erano già tutti occupati / i tronchi di quel circolo spazioso / consacrato alla gloria dei poeti / prima che io nel
numero infinito / trovassi posto, e in piedi dovei stare / disprezzato, collerico, umiliato». E quando Apollo, sempre in
El viale del Parnase, lo invita a prendere posto sdraiandosi sulla sua cappa, il poeta candidamente gli confessa di
non aver neppure questa.
Ma per tornare alla “grandezza”, sotto Filippo II (15271598) figlio di Carlo V e di Elisabetta del Portogallo venne istituita la cerimonia di investitura secondo le più auliche tradizioni della corte spagnola il cui cerimoniale è
uno dei più rigidi – se non il più rigido – esistente fino ai
tempi moderni.
Se il titolo era così altamente onorifico, esso, tuttavia,
comportava gravi oneri, dalla tassa d’ingresso che gli
storici ottocenteschi ragguagliavano ad un esborso di
40.000 franchi, fino al pagamento di un tributo annuo in
proporzione al valore dei feudi goduti.
I Grandi di Spagna – tra i quali figurano anche nobili famiglie italiane e francesi – erano, e sono, considerati dal
Sovrano suoi “cugini”, in tutte le tre classi in cui vennero suddivisi sotto i Principi della dinastia austriaca (suddivisione per piccole diversità di privilegio in vigore fino al 1864), non diversamente da quanto previsto per i
Cavalieri dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata della Real Casa di Savoia, indipendentemente dalla nobiltà della persona.
Il titolo di Grande di Spagna – è utile specificarlo – non
ha mai conferito ope legis la nobiltà, neppure quella personale e non trasmissibile, ma nell’ordine delle precedenze gli insigniti del “Grandato” precedevano anche i
Duchi, venendo dopo solo ai Principi di sangue reale.
Soltanto le consorti godevano del titolo e del trattamento di “Donna” e, nei ricevimenti della Regina, potevano
sedersi sugli intagliati e preziosi tabouret.
Gian Ludovico Masetti Zannini
Le Nozze di Figaro
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Amadeus e Figaro verso la rivoluzione borghese
Quel calcio che rese Mozart indipendente
S
i chiamava Karl Joseph Felix conte di
Arco, più precisamente il Camerlengo,
Consigliere per la Guerra
e Gran Maestro di cucina
della Corte di Salisburgo.
Non è passato alla storia
per imprese belliche, per
scoperte scientifiche, illuminazioni artistiche o altre benemerenze. Lo ricordiamo solo perché nel
giugno 1781 (nello stesso
anno Schiller scriveva I
Masnadieri sul cui frontespizio si leggeva il motto
“In tyrannos”) assestò
una robusta pedata sul
sedere a Mozart rendendolo improvvisamente
“libero” professionista.
Mozart da tempo era ai
ferri corti con il suo padrone,
l’Arcivescovoprincipe di Salisburgo
Heronymus Franz de
Paula duca di Colloredo
dal quale era tornato quale organista di corte nel
gennaio 1779. Spirito libero, non sopportava le etichette e soprattutto i soprusi. Più volte ebbe a lamentarsi del suo ruolo di
semplice servitore e nelle
sue lettere ironizzava sul
fatto di dover pranzare
con i cuochi e i camerieri:
Arcivescovo Heronymus di Colloredo
«A mezzogiorno – scriveva
al padre il 17 marzo 1781
– ci mettiamo già a tavola; a
mangiare ci sono i due signori camerieri particolari,
il signor controllore, il signor Zetti, il pasticciere, i
due signori cuochi, Ceccarelli, Brunetti e la mia modesta persona…. A tavola si
fanno scherzi sciocchi e
grossolani; con me non
scherza nessuno perché non
dico una parola…».
Nel marzo del 1781 – vi
arrivò il 16 - aveva seguito il suo signore a Vienna
e lì a seguito di una serie
di vessazioni, ma anche
per una serie di comportamenti arroganti del musicista, era scoppiata l’ultima, fatidica lite. L’Arcivescovo, geloso del suo
musicista, ma anche indispettito dal suo comportamento, gli aveva vietato
di esibirsi in concerto. Ma
la società viennese, desiderosa di ascoltare tale talento, si indispettì di tale
divieto tanto che l’Arcivescovo nel giro di pochi
giorni fu costretto a revocarlo, lasciando a Mozart
solo l’impedimento di organizzare concerti in proprio. Un rimprovero dell’Arcivescovo suscitò una
Lo stemma dell’Arcivescovo
Heronymus di Colloredo
sua risposta e la discussione degenerò. Colloredo il 12 aprile stabilì, infatti, che Mozart dovesse
partire per Salisburgo il
22 aprile con altri musicisti. Ma Wolfgang non
partì ed ebbe così inizio il
braccio di ferro con l’Arcivescovo. Una partenza
rinviata più volte contro
gli ordini dell’Arcivescovo. Mozart il 10 maggio
tentò di presentare le proprie dimissioni nelle mani del Conte Arco, ma il
conte sostenne che non
poteva licenziarsi e non
accettò la lettera. Colloredo non avrebbe voluto
perdere i servigi di Mozart, ma lo avrebbe voluto ridurre all’obbedienza,
all’osservanza delle regole di corte, senza immaginare che il giovane musicista potesse prendere l’iniziativa di dimettersi. I
tentativi di Mozart di licenziarsi furono diversi,
fino al giorno, l’8 giugno,
in cui, presentatosi nell’anticamera dell’Arcivescovo, si imbatté nel conte Arco. Arco probabilmente non nutriva molta
simpatia per Amadeus,
non ne sopportava l’infantilismo e soprattutto
non amava quel musicista che aveva la consapevolezza d’essere superiore a chiunque e non sapeva piegarsi davanti ai potenti. Mozart, indispettito, così scriveva al padre
il 13 giugno: «Il conte Arco
poteva accettare la mia supplica, procurarmi un’udienza, consigliarmi di inviarela
supplica direttamente (all’Arcivescovo) o comunque dirmi di lasciar perdere,
di pensarci meglio, afin tutto quello che voleva. Invece
no! Mi sbatte fuori dalla
porta e mi da un calcio nel
didietro. Ebbene, a casa mia
questo significa che Sali- una delle pagine più belle
sburgo non fa più per me, della commedia. Si tratta
tranne che non si presenti del celebre monologo in
una buona occasione per re- cui il protagonista, crestituire al signor Conte un dendosi tradito da Susancalcio nel culo, ma sulla na, inveisce contro le
donne («O donna! Creatustrada pubblica».
Quel calcio fu allora una ra debole e ingannatrice!
liberazione, sia pure do- Nessun animale creato può
lorosa, per Amadeus e sottrarsi ai propri istinti: il
una liberazione rigene- tuo è dunque quello d’inrante per Arco che si tolse gannare?»), ma poi allarga
una bella soddisfazione e il proprio j’accuse a tutta
con il semplice movimen- la società, all’aristocrazia
to di un piede si conqui- che ha in mano il potere e
può decidere le sorti di
stò l’immortalità.
Tesi recenti sostengono chiunque: «Quanto vorrei
un’altra ipotesi, ovvero avere tra le mani uno di queche la storia della pedata sti governanti che duran
sia stata esagerata da Wolfgang nelle lettere al padre, al
solo scopo di
suscitare nel
pusillanime
Leopold una
indignazione –
che per quasi
un quarto di
secolo aveva
vissuto per suo
figlio ed era
stato il principale beneficiario del suo genio – mettendolo di fronte
al fatto com- Karl Joseph Felix conte di Arco
piuto di una
più educata frattura con quattro giorni… gli direi…
che le stupidaggini stampate
Arco.
Comunque, la pedata più hanno importanza soltanto
celebre e discussa della nei luoghi in cui se ne ostastoria trasformò Mozart cola la diffusione; che senza
in un musicista indipen- la libertà di biasimare, non è
dente, ma in una visione possibile nemmeno un elogio
meno materialista (e me- che ci lusinghi; e che son sono dolorosa) può essere lo gli uomini piccoli a temeassunta a simbolo del tra- re i piccoli scritti…».
monto di un’epoca. Ci si Amadeus e Figaro, inavvicinava alla Rivolu- somma, appartengono
stessa
umanità
zione Francese e il rap- alla
porto fra le classi sociali schiacciata che stava alstava irrimediabilmente zando la testa, l’uno con
per essere messo in di- fatti reali, l’altro attraverso un testo letterario che,
scussione.
Ben lo sapeva Beaumar- non a caso, venne bloccachais il cui Figaro può es- to dalla censura. Ma
sere indicato come emble- Amadeus, uomo e artista
ma della nuova genera- indipendente, garantì a
zione di borghesi assetati Figaro l’eternità, ne fece
di giustizia e d’ugua- uno spirito libero, anticipatore di una folta schieglianza.
Se nel caso di Mozart fu il ra che di lì a poco avrebConte a dare un bel cal- be animato i palcoscenici
cione all’artista, in Le ma- europei, a cominciare
riage de Figaro una pedata dall’omonimo rossiniametaforica la dà Figaro no.
Francesca Oranges
all’intera aristocrazia, in
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le Nozze di Figaro
11
Analisi dell’opera
Genialità e grandi innovazioni nelle Nozze
“L
a cosa migliore è
quando un buon
compositore che
capisce il teatro ed è in grado
di dare un suo contributo ed
un poeta intelligente si incontrano come una vera e
propria araba fenice. Allora
non bisogna più preoccuparsi dell’approvazione degli
ignoranti. I poeti mi sembrano quasi dei trombettieri
con i loro scherzi di mestiere!
Se noi musicisti volessimo
seguire sempre fedelmente le
nostre regole (che un tempo
andavano molto bene quando
non si conosceva niente di
meglio) faremmo sempre della musica inutile come essi
fanno dei libretti inutili».
Scriveva così Amadeus al
padre, il 13 ottobre 1781,
auspicando l’incontro con
un librettista capace di
avere la sua stessa idea
moderna del teatro. Trovò
il poeta giusto due anni
dopo. Era un italiano, Lorenzo Da Ponte – nato
ebreo di nome Emanuele
Conegliano, divenne senza vocazione prete cattolico assumendo il nome dl
vescovo di Ceneda - e con
lui scrisse la celebre trilogia (Le nozze di Figaro, Don
Giovanni e Così fan tutte)
che rivoluzionò il teatro
comico italiano preparando la strada a Rossini. Rivoluzione evidente già nel
primo, strepitoso lavoro
che esaltò non solo le doti
individuali dei due autori,
ma anche il loro perfetto
affiatamento.
Fu probabilmente Mozart
a suggerire a Da Ponte “Le
mariage de Figaro” di Beaumarchais, come fonte per
un libretto. Il musicista sapeva del successo arriso al
“Barbiere” paisielliano e
dello scandalo suscitato
dal secondo titolo della
trilogia del drammaturgo
francese. La censura abbattutasi su Beaumarchais
per i suoi accesi attacchi
all’aristocrazia impose naturalmente alcuni tagli
anche a Da Ponte. Il letterato italiano, in effetti, riuscì a mantenere l’arcata
narrativa originaria, ma
dovette rinunciare ad atteggiamenti rivoluzionari
(che, probabilmente, non
interessavano neppure
tanto il musicista): così la
straordinaria invettiva di
Figaro che in Beaumarchais attacca in un lungo,
violento monologo la società del suo tempo, in Da
Ponte («Aprite un po’ quegli occhi») si tramuta nello
sfogo di un uomo geloso
contro le donne.
L’opera è in quattro atti,
anziché negli ormai usuali
due dell’opera comica. Ma
il ritmo dell’azione è talmente forsennato da far
dimenticare l’apparente
dilatazione. Splendida la
Sinfonia, strutturata in un
allegro in forma-sonata e
condotta (fatto questo comune al resto dell’opera)
con estrema perizia sul
piano del trattamento strumentale. Abile orchestratore, Mozart sfrutta appieno le risorse dei singoli
strumenti per ricavarne effetti anche teatrali.
Un ritmo trascinante
Un aspetto fondamentale
nelle “Nozze” (come nei
due lavori successivi) è legato al ritmo narrativo, incalzante, scorrevole come
mai in precedenza. Mozart e Da Ponte non concedono pause, si precipita
inevitabilmente verso il fi-
nale. Non per niente - ed
opportunamente - Le nozze di Figaro hanno come
sottotitolo “La folle giornata”: è nello spazio di un
giorno che si consuma
l’intera vicenda, giocata
su continui colpi di scena.
Uno dei grandi meriti del
musicista e di Da Ponte è,
inoltre, quello di aver saputo abbattere definitivamente ogni barriera fra
tragico e comico. Il teatro
diventa davvero lo specchio della vita nella quale
riso e pianto si mescolano
quotidianamente. In questa fusione di sentimenti
opposti generatori di
strutture sceniche assai
più articolate che in passato sta la complessità e il
fascino principale del teatro mozartiano, il cui perno sono i concertati: nelle
“Nozze” si ritrovano quattordici arie e ben quattordici pezzi di insieme.
Il “realismo” è felicemente
reso da Mozart e Da Ponte
considerando l’opera come una sorta di “tranche
de vie”. All’alzarsi del sipario lo spettatore si trova
di fronte ad un’azione già
in divenire. Si prendano le
“Nozze”: nella prima scena, Susanna e Figaro sono
intenti a misurare la loro
stanza. Ci imbattiamo in
loro come se li guardassimo attraverso una finestra
aperta e li sorprendessimo
in un’azione che li sta già
impegnando da tempo.
Spariscono le arie
di sortita
Emerge, a questo proposito, un altro aspetto interessante che conferma la
tendenza mozartiana di
privilegiare i concertati.
Non c’è più bisogno di
un’aria di sortita (cioè di
un’aria con la quale il cantante si presentava in scena, forma che si ritroverà
nel teatro di Rossini) per
chiarire la funzione, il carattere del personaggio. Il
pubblico capisce perfettamente cosa sta facendo Figaro, i suoi rapporti con
Susanna, il carattere dispo-
Wolfgang Amadeus Mozart
tico del Conte. Una delle
principali novità mozartiane sta, dunque, nel frequente superamento dell’aria di presentazione, a
favore di più agili e spigliati duetti, terzetti ecc. E’ dall’incontro-scontro con gli
altri, insomma, che vengono esplicitati ruolo e carattere del singolo personaggio.
La discorsività dei concertati si estende poi alle arie.
Già in precedenza (si
pensi alla Serva padrona
di Pergolesi) l’aria aveva assunto una funzione dialogica abbattendo sul piano drammaturgico la barriera che
la separava dal recitativo. Mozart e Da Ponte
ne fanno quasi una regola.
Così,
nelle
“Nozze”, Figaro prende
in giro Cherubino
(«Non più andrai farfallone amoroso…»). Altrove
l’interlocutore è più generale: in «Aprite un po’
quegli occhi» Figaro si rivolge a tutti gli uomini;
in «Voi che sapete», Cherubino canta sì a Susanna e
alla Contessa ma il suo
messaggio è diretto a ogni
donna.
Ci sono anche rare arie di
solitaria riflessione, nelle
quali spesso colpisce il
commovente melodismo
mozartiano: si pensi a «Dove sono i bei momenti» intonata dalla Contessa, pausa
di estatico lirismo che regala allo spettatore un attimo
di tregua nell’incalzare degli eventi.
Da ricordare, infine, fra i
vari concertati, il finale
del secondo atto, un autentico capolavoro di teatro: nella scena della fuga
dalla finestra di Cherubino, della sostituzione dello stesso con Susanna e
dell’interrogatorio
da
parte del Conte a Figaro,
il compositore risolve
musicalmente la concitazione del momento, con
la frantumazione del discorso in battute brevissime, creando un dialogo
serrato ed efficacissimo.
E’ il principio dello “stile
di conversazione”, felicemente sperimentato nei
quartetti per archi e da lui
genialmente invocato già
nell’Idomeneo: «Come se in
un quartetto - aveva scritto al padre a proposito
del concertato “Andrò ramingo e solo” - non si dovesse molto più conversare
che cantare…».
In una lettera di qualche
anno prima Mozart aveva sostenuto il primato
della musica sulla parola. Qui sembra smentirsi,
mettendo il discorso musicale al servizio del testo. In realtà parole e
musica formano un
tutt’uno e la scena acquista una potenza drammaturgica davvero rara.
Roberto Iovino
Le Nozze di Figaro
12
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Mozart e le donne
Amadeus tra Cherubino e Don Giovanni
C
hi ha visto lo
splendido
film
“Amadeus”
di
Shaffer ricorda il primo
incontro fra Salieri e
Amadeus. Al palazzo di
corte, dove sta per essere
eseguita una pagina mozartiana, il compositore
italiano s’imbatte in un
Aloysia Weber
ragazzino che sotto un
tavolo si diverte con la
sua ragazza e non riesce
a credere che si tratti dell’autore di musica così
celestiale. Immagine un
po’ cruda, quella del
film, che, tuttavia, consente di vedere in Mozart una sorta di Cherubino nel suo rapporto
con il sesso femminile.
Nelle Nozze di Figaro
Cherubino è l’adolescente innamorato di tutte le
donne: «Non so più cosa
son, cosa faccio,/ or di fuoco, ora sono di ghiaccio,/
ogni donna cangiar di colore,/ ogni donna mi fa palpitar».
Par di vedere il giovane
Amadeus districarsi fra
le sue innumerevoli conquiste di gioventù, a partire dalla cuginetta Anna
Tekla con la quale provò
probabilmente le prime
gioie erotiche. Alla spudoratezza genuina di
Cherubino che si getterebbe al collo tanto di
Susanna quanto della
Contessa, fa riscontro la
spontaneità di Amadeus
che nelle sue lettere alla
cugina si esprimeva senza freni inibitori.
Con gli anni, naturalmente, Mozart crebbe e
si allontanò da Cherubino provando sincere pene d’amore. Basta pensare alle sofferenze per
Aloysia Weber, l’autentica passione
della sua
vita, conosciuta insieme alla
sua allegra
famiglia a
Mannheim
nel
gennaio 1778.
Le giovani
sorelle Weber, figlie
di un musicista un
po’ sfortunato, erano
quattro:
Aloysia
che
fece
subito innamorare
il 22enne
Amadeus;
Costanze,
inizialmente trascurata
ma che sposerà nel 1782;
Josepha che sarà la prima interprete del ruolo
della Regina della Notte
nel
Flauto
Magico;
Sophie, la quale, insieme
a Costanze, lo assisterà
negli ultimi giorni di vita.
Della sedicenne
Aloysia, Mozart ne rimase folgorato al primo incontro, per la figura aggraziata e per la vocina
che gli parve splendida,
per l’abilità di pianista.
Le insegnò il canto, scrisse per lei, sognò una
tournèe insieme in Italia.
Ma poi Aloysia sposò un
altro, non avendo capito
né la profondità dell’amore di Amadeus, né la
sua grandezza di artista.
E Mozart finì tra le braccia di un’altra sorella Weber Costanze, donna forse mediocre che, tuttavia,
si dimostrò una buona
moglie.
Da Cherubino a
Don Giovanni
Cherubino crescendo sarebbe diventato Don
Giovanni e qui si fermano le analogie fra Mozart
e le sue creature. Perché
Amadeus, spontaneo,
genuino, persino fanciullesco nel modo di esibire
il suo amore, è lontanissimo da Don Giovanni
che usa costantemente il
travestimento e l’inganno come mezzi di sedu-
zione. Alla fedeltà di Amadeus,
Don
Giovanni oppone una infedeltà basata
su un ferreo
credo morale:
«Chi a una sola è fedele - dice il grande
amatore nel secondo atto dell’opera omonima – verso l’altre è crudele;/
Io che in me
sento/ sì esteso
sentimento,/
vo’ bene a tutte
quante:/
le
donne poi che Costanze Weber
calcolar
non
sanno/ il mio buon natural
chiamano inganno».
Nonostante le diversità,
Amadeus ha amato Don
Giovanni, ne ha fatto un
eroe romantico e magari
ha anche sognato di poter essere come lui, un
conquistatore. Certo se
non ha collezionato un
elenco di cuori infranti
degno della lista compilata da Leporello anche
lui, comunque, ha saputo affascinare e conquistare decine di donne,
grazie alla potenza seduttiva della sua musica.
Così in “Mozart in viaggio
verso Praga” Eduard Mörike coglie il turbamento
di una giovane donna
travolta dall’ascolto del
Don Giovanni interpretato nel suo salotto, al pianoforte, dall’autore: «Per
lei fu cosa certa che quell’uomo fulmineo e instancabile andava inesorabilmente consumandosi nel
proprio ardore; che egli sarebbe stato soltanto una fugace meteora su questa terra, impari alla lotta col suo
strabocchevole genio».
Roberto Iovino
Ludwig von Köchel
Il naturalista che numerò Mozart
L
udwig von Köchel, nacque a Stein, in Austria, nel 1800.
Visse a Vienna ed a Salisburgo, dove il suo interesse
principale erano le scienze naturali. Come musicologo
ha legato il suo nome ad un catalogo delle opere di Mozart, il
quale solo dal 9 febbraio del 1784 aveva tenuto un registro
delle sue composizioni, lasciando nell’oscurità tutta l’attività
precedente, che oggi sappiamo contare circa 450 titoli.
Nel 1851 Köchel, venuto a sapere della confusione in cui versava la produzione mozartiana, decise di compilare un catalogo cronologico completo delle opere del compositore austriaco. Il lavoro fu arduo, sia per la difficoltà di recuperare i titoli
e di ricostruirne la sequenza cronologica, sia perché un’opera
di questa portata non era ancora mai stata prodotta per nessun musicista.
Ci vollero 11 anni, prima che il Chronologisch-thematisches
Verzeichnis sämtlicher Tonwerke Wolfgang Amadé Mozart fosse
pronto per la prima pubblicazione, del 1862, che riportava in
ordine cronologico i titoli delle 626 composizioni mozartiane
allora conosciute. A questo lavoro, hanno fatto seguito vari
aggiornamenti, fino ad arrivare alla prima edizione completa
di tutta la produzione, pubblicata a Lipsia fra il 1877 (anno
della morte di Köchel a Vienna) ed il 1905. Altre edizioni
critiche hanno seguito quella iniziale, con l’inserimento nell’elenco di nuove scoperte che hanno portato il catalogo a com-
prendere oggi quasi ottocento
titoli.
Nonostante le modifiche apportate dagli aggiornamenti, l’elenco di Köchel è ancora oggi la
base di riferimento della produzione di Mozart. Per convenzione ogni composizione è universalmente identificata dall’iniziale K (o KV: Köchel-Verzeichnis, elenco di Köchel) seguita
dal numero di catalogo (ed
eventualmente una o più lettere,
quando si tratti di un nuovo inserimento rispetto all’elenco Ludwig von Köchel
originario). Il sistema segue il
metodo di catalogazione delle produzioni musicali, che
prevede il numero progressivo di catalogo, eventualmente
preceduto da opus, quando è il compositore stesso ad aver numerato i propri lavori, come nei casi di Beethoven, Brahms,
Schumann, Prokofiev, mentre c’è sempre l’iniziale del nome
del compilatore o una sigla a precedere la cifra quando sia
qualcun altro a numerarne la produzione.
E.C.A.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Le Nozze di Figaro
13
Differenze tra l’opera di Beaumarchais ed il libretto di Da Ponte
Quella satira antiaristocratica
che sopravvive nelle nozze
sa, dal dramma al libretto, cresce
in complessità ed anche in drammaticità, fino al finale perdono,
detto ridendo in Beaumarchais e
pronunciato con tratto ferito in
Da Ponte e Mozart.
Da Ponte comunque deve soprattutto a Beaumarchais, il taglio scenico, la rapidità, i tratti
anche farseschi, la sapidità del
dialogato, la brillantezza dell’intreccio. La forza e prepotenza dell’azione originaria è
senz’altro elemento importante
nello spingere a quel rivoluzionario canto parlato e dialogato
delle Nozze, che ha il suo acme
nel Finale centrale.
«B
isognerebbe distruggere la Bastiglia perché
la rappresentazione di
questa pièce non costituisse una
pericolosa incoerenza. Quest’uomo si prende gioco di tutto quel
che si deve rispettare in uno
Stato». Così sembra si esprimesse nientemeno che il Re di
Francia, Luigi XVI, dopo aver
letto nel 1781 Le Mariage de Figaro, nuovo dramma di quel
demoniaccio di Pierre-Augustin Caron (1732-99), noto come Beaumarchais.
Il povero Luigi, che non riuscì
a schivare, otto anni dopo, la
distruzione proprio di quella
celebre prigione (né poi la ghigliottina), aveva perfettamente
capito il potenziale sovversivo
di quel teatro e dello spirito dei
tempi che lo reclamava. Né vi
si poteva opporre più di tanto:
il dramma era già finito nel
1778 e dopo il precedente successone del Barbiere nel 1775, la
Comédie premeva per poter
dare al pubblico questo brillante seguito. Dopo un vario balletto di sì e no, Il matrimonio, varato in rappresentazione privata
nel castello del Conte di Vaudreuil, nell’autunno del 1783,
venne pubblicamente rappresentato a Parigi il 27 aprile 1784.
Trionfo di pubblico, cumuli di
polemiche sulle gazzette.
Il dramma acquisisce risonanza in tutta Europa, vessillo di
un tempo nuovo. Le resistenze a tradurlo da parte dell’Ancient regime non fanno
che accrescerne lo spicco. A
Vienna, l’Imperatore illuminato Giuseppe II lo proibisce,
ma l’abate avventuriero Lorenzo Da Ponte convince il
Sovrano ad autorizzarlo per
un libretto, con la promessa
di smorzarne i tratti polemici
antiaristocratici. E così il 1°
maggio 1786 va in scena Le
Il ritmo dell’opera
nozze di Figaro per la musica
di Mozart.
La differenze
A confrontare oggi i due testi (il
dramma francese e il libretto italiano) non sembra che da Ponte
abbia poi molto ridotto la satira
antiaristocratica, anzi per certi
versi sembra metterla a fuoco
con più decisa perentorietà. È il
caso del “monologo” del Conte a
metà storia (terz’atto nel dramma, second’atto nel libretto),
quando, dopo aver congedato
con gaudio una Susanna compiacente, il Conte ascolta le brevi
battute tra lei e Figaro, da cui capisce la simulazione della bella
cameriera. Quest’amara scoperta
che subito frustra il suo desiderio, in Beaumarchais suscita un
breve monologo in cui il personaggio esibisce solo i progetti di
contro-intrigo del Conte: «stavo
per cadere in una bella trappola! Oh
miei cari insolenti! Vi punirò in un
modo..», ma in Da Ponte-Mozart
dà l’avvio ad un’aria di rabbia di
classe, quanto mai frontale: «Vedrò mentr’io sospiro / felice un servo
mio? / e un ben, che invan desio, / Ei
posseder dovrà?». Lo scacco del
Conte sul piano sessuale (nei confronti del valletto Figaro) apre
una scena più interiore (psicologicamente) e favorisce il trascolorare irato e drammatico dell’aria
musicale, soprattutto nella tesa
sequenza: «Tu non nascesti audace
/ per dare a me tormento / e forse ancor per ridere di mia felicità».
Il monologo del Conte si chiude
in una pregustante e gongolante speranza di vendetta («Già la
speranza sola / delle vendette mie /
quest’anima consola / e giubilar mi
fa») e con simmetrica malizia
Da Ponte fa seguire la scena
della contessa e il suo monologo, commosso e patetico («Dove
sono i bei momenti»), di cui invano si cercherebbe l’analogo nel
Matrimonio. Anche la nobile Rosina chiude l’aria con la speranza: ma per lei si tratta di ritrovare il cuore del suo Conte
d’Almaviva, che però gli spettatori hanno appena visto così
lontano dal pensiero di lei. L’effetto simmetrico e divaricato
non poteva essere maggiore. E
tutto il personaggio della Contes-
Il ritmo agile e veloce è decisivo
in ogni caso, anche per esibire
spunti e opzioni diversi (magari drammatici o inquietanti, come il possibile incesto tra Marcellina e Figaro) e poi tutto correggere nella partita tra il Conte
e Figaro, tra erotismo libertino e
legittimità matrimoniale borghese. Un particolare plauso, in
questo contesto, va attribuito a
Da Ponte circa la capacità di cavare arie da un simile dialogato
testo. Accanto alle situazioni
d’invenzione come i citati monologhi del Conte e della Contessa, Da Ponte è anche geniale
nel produrre sviluppi dal testo
originale. È il caso del celeberrimo «Non più andrai, farfallone
amoroso», che è soluzione - anche linguisticamente brillante da uno spunto da poco del Figaro francese («Non ronzerai più
tutto il giorno intorno agli appartamenti delle donne»). La rima
baciata tra “fandango” e “marcia per il fango” è efficace indicazione per Mozart sui possibili giochi di dislivello di tono
musicale del pezzo.
Stefano Verdino
Le Nozze di Figaro
14
Il
L’autore della commedia alla base del libretto
Beaumarchais:
da orologiaio a ricco borghese
P
ierre-Augustin Caron
de Beaumarchais, autore della commedia Le
Mariage de Figaro (da cui Da
Ponte ha ricavato per Mozart il libretto delle Nozze di
Figaro), è un personaggio
dalla vita particolarmente
originale, movimentata e
non sempre irreprensibile.
Nato a Parigi il 24 gennaio
1732 e figlio di un orologiaio, Pierre-Augustin Caron apprese il mestiere del
padre e inventò un nuovo sistema di scappamento (meccanismo distributore) per
orologi. Questo fatto destò la
curiosità del pubblico e soprattutto del re Luigi XV, di
cui divenne orologiaio personale: iniziò così la sua
ascesa sociale.
Sposò una vedova e cominciò a chiamarsi Beaumarchais dal titolo di un piccolo
feudo di sua moglie. Particolarmente dotato come suonatore d’arpa, diede lezioni
di musica alle figlie del Re,
guadagnandone la fiducia,
tanto che il Sovrano disse di
lui: «E’ il solo uomo che mi dica la verità». La grande stima
di Luigi XV nei suoi confronti può essere testimoniata dal fatto che una volta il
Re gli cedette la propria poltrona invitandolo a suonare
seduto al suo posto. La particolare considerazione da
parte della corte gli permise
di conoscere personaggi illustri, tanto da divenire amico
e socio di Paris-Duverney, il
più ricco finanziere dell’epoca, che fece la sua fortuna.
Nel 1764, Beaumarchais si
recò a Madrid per vendicare
l’onore della sorella Maria,
abbandonata da uno scrittore che aveva promesso di
sposarla: da questo episodio
trasse spunto per la prima
delle sue commedie: Eugénie. Seguirono poi Le Barbier
de Séville (per la prima volta
compare il personaggio di
Figaro) e Le Mariage de Figaro. Il contenuto di questa
opera, in un primo tempo
vietata dalla censura e rappresentata solo nel 1784 con
grande successo di pubblico,
fu sintetizzato dallo stesso
scrittore: «Un gran signore
spagnolo innamorato d’una ra-
gazza che vuole sedurre e gli
sforzi riuniti di questa – ch’è fidanzata –, di colui ch’ella deve
sposare e della moglie del signore per far fallire i disegni di un
padrone assoluto, che il ceto, la
ricchezza e la prodigalità rendono impotente: ecco tutto ed ecco
niente». Per sfruttare il successo che i personaggi di
quest’ultima opera riscossero nel pubblico, nel 1792
completò la sua trilogia con
“La Mère coupable”, preceduta nel 1787 da “Tartare”.
I grandi successi commerciali e finanziari di Beaumarchais lo portarono a viaggiare molto e ad occuparsi delle
faccende più varie: acquistò
la foresta di Chinon; costruì
strade, ponti, battelli; si occupò della stampa di opere
di Voltaire e Rousseau; finanziò personalmente Lafayette; si interessò al Canale di Panama; finanziò
una compagnia (Compagnie
des Eaux) per dotare di acqua corrente le case dei
Parigini e, derubato dai
suoi commedianti, inventò il diritto d’autore.
Nel 1770, dopo la morte
del finanziere e amico Paris-Duverney, Beaumarchais fu ingiustamente
perseguitato dal conte La
Blache il quale, vantandosi creditore di una forte
somma, gli fece causa ma,
dopo un processo lungo e
dagli esiti incerti, la perse.
Nel 1772 riuscì a far accettare dalla
Comédie
Française il
Barbier de Séville, ma l’opera fu vietata
dalla censura
e riusci ad andare in scena
solo nel 1775.
Incaricato dal
governo rivoluzionario di
trattare una
partita di armi
in Olanda, fu
incarcerato nel
1792 e, una
volta libero, si rifugiò ad
Amburgo. Ritornato in
Francia nel 1796 dove
aveva subito un tracollo
finanziario, riuscì in breve tempo a risollevarsi,
Giornale dei Grandi Eventi
dedicandosi ad affari di
vario genere. Morì nel
suo lussuoso palazzo parigino, per un colpo apoplettico, il 10 maggio 1799.
Cl. Fa.
La vita avventurosa dell’autore del libretto
Lorenzo Da Ponte: abate libertino
P
oeta, letterato, ebreo convertito,
sacerdote, libertino, avventuriero: figura eclettica quella di Lorenzo Da Ponte, l’autore dei libretti dei
tre maggiori capolavori mozartiani: Le
Nozze di Figaro (1786), Don Giovanni
(1787) e Così fan tutte (1790).
E’ il 7 maggio 1783 quando Mozart
scrive al padre: «Abbiamo qui (a Vienna), quale poeta, un certo abate Da Ponte…deve scrivere un libretto completamente nuovo per Salieri…mi ha promesso
che ne farà, poi, uno nuovo per me». Inizia
così, con la ripresa della commedia di
Beaumarchais Le Mariage de Figaro per
il libretto de Le nozze di Figaro una collaborazione strettissima e particolarmente fortunata fra il grande musicista ed il librettista italiano. Quest’ultimo, dalla vita lunga e avventurosa,
nasce nel ghetto di Ceneda (attuale
Vittorio Veneto) il 10 marzo 1749. Di
origine ebrea - in realtà si chiamava
Emanuele Conegliano - quando nel
1763 la famiglia si converte alla fede
cattolica (per permettere al padre, rimasto vedovo, sposa in seconde nozze
una cristiana) prese il nome del vescovo che lo battezzò e successivamente
guardò senza vocazione alla tonaca di
sacerdote cattolico. Accolto nel seminario locale, entrò nel 1769 in quello di
Portogruaro dove, nel 1770, prese gli
Ordini minori. Da Ponte fu ordinato
sacerdote il 27 marzo 1773 e, dopo un
breve soggiorno a Venezia, nell’autunno del 1774 iniziò ad insegnare retorica presso il seminario di Treviso, da
dove fu poi cacciato per alcune idee
ardite esposte in un’accademia poeti-
ca. Tornato a Venezia, dove fu precettore in diverse case patrizie, divenendo amico di Giacomo Casanova. Il
soggiorno nella Serenissima lo portò a
condurre una vita dissoluta, tanto che
nel 1779 fu condannato in contumacia
a 15 anni d’esilio “per gravi scostumatezze e furfanterie”.
Fuggito a Gorizia, nel 1781 si recò a
Vienna dove conobbe Metastasio, ottenne la fiducia di Salieri e di Mozart e
la protezione di Giuseppe II che lo nominò “Poeta dei Teatri Imperiali”: anche se il suo esordio nel 1784 con Il Ricco di un giorno (con la musica di Salieri) non fu dei migliori, si risolleverà
nel 1786 con Il Burbero di buon cuore
(per Martín y Soler). Ha inizio così un
decennio di successi fra i quali sono da
ricordare “Una cosa rara” (1786) e“L’arbore di Diana” (1787) sempre per musiche di Martín y Soler, oltre che “Axur”
(1788) per musiche di Salieri. Ma furono gli intrighi per favorire la propria
amante a danno di altre cantanti, a fargli perdere la fiducia del nuovo Imperatore Leopoldo II, tanto che verrà sostituito da Giambattista Casti e da Giovanni Bertati e costretto nel 1791a lasciare Vienna.
Da Ponte si trasferì allora a Trieste dove sposò Nancy Grahl, una giovane
ebrea inglese figlia di un commerciante, dalla quale ebbe cinque figli: un’unione felice che mise fine alla sua carriera di libertino.
All’età di cinquant’anni, deciso a dare
una svolta alla sua vita, accettò il consiglio di Casanova di trasferirsi a Londra, dove rimase dal 1793 al 1805. Ot-
tenne il posto di librettista presso il
King’s Theatre nel 1793, ma quando i
rapporti con l’impresario del teatro si
guastarono, fu costretto ad esercitare le
attività più varie (libraio, stampatore,
agente e poeta teatrale). Perseguitato
dai creditori, fuggì a New York e si dedicò anche qui ai più diversi lavori
(droghiere, libraio, professore di italiano, direttore di una scuola dove la moglie insegna francese, italiano e fabbricazione di fiori artificiali) e arrivò addirittura a far eseguire a casa propria la
Mirra di Alfieri. I risultati economici
non furono però apprezzabili e Da Ponte fu costretto a trasferirsi in provincia
(a Sunbury), dove visse sette anni facendo il commerciante di medicinali, il
droghiere, il distillatore di liquori, l’impresario di trasporti, fino ad aprire nel
1814 una fabbrica di cappelli .
Di nuovo a New York nel 1819, tra il
1825 e il 1837 pubblicò le sue discusse
“Memorie”. Nel 1825, l’incontro con M.
García (che porta a New York una
compagnia d’opera), spinse il librettista a tornare al teatro e a ricontattare
cantanti ed impresari italiani (tra i
quali è da ricordare Barbaia). Nel 1833,
riuscì a realizzare il sogno della sua vita: la costruzione di un teatro d’opera,
che inaugura il 18 novembre 1833 con
la “Gazza ladra”. Sarà l’ultima sua impresa: cinque anni dopo infatti, dopo
essersi riconciliato con la Chiesa (probabilmente in America nessuno sapeva del suo sacerdozio) morì la sera del
17 agosto 1838, circondato dall’affetto
di amici e allievi.
Cl. Fa.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Cultura
15
Il 4 ottobre all’Auditorium di via della Conciliazione
Maazel in concerto a Roma con la Filarmonica Toscanini
C
oncerto di grande richiamo il 4 ottobre
prossimo all’Auditorium Conciliazione.
Lorin Maazel, sul podio della Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini, proporrà pagine di
Wagner (Preludio da “I Maestri Cantori di Norimberga”), Schubert (Sinfonia in si minore “Incompiuta”), Debussy (“Prélude a l’après-midi
d’un faune”) e Respighi (“Pini di Roma”).
Il concerto cade alla vigilia di una importante
tournée che l’Orchestra effettuerà a Tokyo guidata appunto Lorin Maazel che dal maggio del 2004
ne ha assunto la direzione musicale.
La tournée in Giappone (in un anno, il 2005, che
ha impegnato l’orchestra in una fitta serie di
viaggi all’estero) assume un carattere di particolare importanza, dato che la Filarmonica realizzerà la prima edizione del Festival Internazionale “Arturo Toscanini”, progetto pluriennale che
vede la città di Parma legata alle più grandi capitali musicali del mondo. Tra i programmi futuri
spicca, in occasione del cinquantenario della
morte di Arturo Toscanini, il viaggio che nel gennaio 2007 l’orchestra realizzerà negli Stati Uniti
ripercorrendo le tappe delle due storiche
tournées che il grande maestro compì nel 1920
con l’Orchestra “Arturo Toscanini” e nel 1950
con la NBC Orchestra.
La “Filarmonica Arturo Toscanini” ha sede a Parma ed è intitolata al grande direttore d'orchestra,
il quale nella città emiliana ebbe i suoi natali nel
1867 e che è universalmente riconosciuto come
uno dei simboli mondiali della musica.
La dimensione internazionale della Filarmonica
ed il suo valore artistico, sin dal debutto nel giugno 2002 al Festival de Musique di Strasburgo, si
sono subito imposti all’attenzione del pubblico e
della critica sia in termini di qualità che di fantasia.
Sotto la guida di Lorin Maazel, l’orchestra si dedica con crescente e riconosciuto successo al
grande repertorio sinfonico, avvalendosi anche
della collaborazione di direttori e solisti di fama
internazionale quali Zubin Mehta, Mstislav Rostropovi_, Georges Prêtre, Yuri Temirkanov,
Charles Dutoit, Eliahu Inbal, Rafael Frühbeck de
Burgos, Jeffrey Tate, James Conlon.
All’Auditorium concerti, conferenze e film organizzati da Santa Cecilia
K festival…il genio di Mozart
Martedì 27 settembre, ore 21 Sala Petrassi Idomeneo in
video Regia di Jean-Pierre
Ponnelle Idomeneo Re di Creta,
sempre per la regia di JeanPierre Ponnelle, è la celeberrima edizione (1982) del Metropolitan di New York, con la direzione di James Levine e Luciano Pavarotti
L
a “K “ è la lettera che identifica lo sterminato catalogo
delle opere di Wolfgang
Amadeus Mozart, ma in questa occasione l’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia ha anche voluto darle
il significato di una incognita, un
simbolo dietro il quale si cela il
mistero dell’arte di Mozart, la
suprema magia che rende ancora
oggi le sue musiche così speciali ed
irripetibili. Il Festival ha una veste
fortemente innovativa. I concerti,
che propongono i capolavori
mozartiani nell’interpretazione di
artisti di fama internazionale, sono
preceduti da brevi introduzioni: le
conversazioni aiuteranno a scoprire il rapporto dei personaggi
dell’attualità con la musica del grande salisburghese. I programmi dei concerti, della durata massima di un’ora senza intervallo, sono
rivolti tanto ad un pubblico di appassionati,
che troverà brani di rara esecuzione, quanto
a coloro che, con curiosità, vogliano avvicinarsi per la prima volta al genio di Mozart.
Completano il Festival le proiezioni di film
dedicati a Mozart e alle suo opere.
Prezzi dei biglietti: Intero 9 Euro + prevendita; Giovani fino a 30 anni 5 Euro + prevendita. Le proiezioni dei film sono ad ingresso
libero fino ad esaurimento posti.
Domenica 25, ore 21 - Sala Santa Cecilia
Orchestra Sinfonica Statale Nuova Russia
Yuri Bashmet direttore e violista, Viktor
Tretjakov violinoSinfonia concertante K 364
- Sinfonia n. 40 K 550 Quando compose la
Sinfonia Concertante per violino, viola e orchestra K 364, Mozart aveva 23 anni. Più o
meno l’età media degli strumentisti dell’Orchestra Sinfonica Statale Nuova Russia,
fondata nel 1990 da Yuri Bashmet che sempre
graditissimo torna sul podio dell’Auditori-
um nella doppia veste di direttore e solista alla viola. Sarà magnifico vederlo affrontare insieme ai suoi giovanissimi talenti, dopo la
graziosa e scatenata sinfonia di un altro giovanotto, la N.3 D 200 di un Franz Schubert
diciottenne, la penultima, drammatica e celeberrima Sinfonia in sol minore K 550, una
delle due sole fra le 41 che Mozart scrisse in
tonalità minore.
Lunedì 26 settembre, ore 21 - Sala Petrassi
Dissonanze variazioni teatrali su temi di
Mozart di Daniele Ciccolini – regia di Pierpaolo Sepe “Dissonanze” è lo spettacolo
ideato da Pierpaolo Sepe sulla pièce di
Daniele Ciccolini che ha per sottotitolo Variazioni teatrali su temi di Mozart e realizzato dal
Gruppo TeatroMusica dell’Accademia
Nazionale di Santa Cecilia. Le problematiche
vissute da Mozart, in un serrato confronto
con il padre Leopold, saranno metaforicamente rivissute da un quintetto dei giorni
nostri intento a provare un programma da
concerto con musiche di Mozart.
Mercoledì 28 e Giovedì 29 settembre, ore 21 - Sala Santa Cecilia
Orchestra dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia Fabio Biondi direttore
Don Giovanni, Ouverture K 527
Tamos Re d’Egitto K 345
Mercoledì 28 ore 20.30 introduzione al concerto con Mogol e Corrado Augias
Giovedì 29 ore 20.30 introduzione al concerto con Fabio e Fiamma e Corrado Augias
Fiore all’occhiello dell’Italia musicale, all’estero apprezzatissimo violinista e direttore di uno dei più preziosi complessi
barocchi del mondo, Europa Galante, il siciliano Fabio Biondi dirigerà per l’ultimo
concerto del K Festival un pezzo tanto
splendido quanto di raro ascolto: le musiche di scena per Tamos Re d’Egitto K 345.
Tanto quanto il Flauto, anche il Thamos è intriso di significati legati alla simbologia
massonica. Racconta di una fanciulla pura e
bella prigioniera di alcuni sacerdoti della
Grande Piramide e liberata da un principe.
L’austerità apparente della partitura
nasconde tesori preziosi. In apertura di programma, come ideale ricongiunzione al filmopera di Losey proiettato nella serata inaugurale, l’Ouverture del Don Giovanni suggellerà
questa seconda edizione del K Festival.
L. Pe.