A. Leonardi 1 CORSO “L’ANZIANO FRAGILE” 2,4,9,11 Ottobre 2006 PAZIENTI ANZIANI CON MALATTIE NEUROLOGICHE CRONICHE E PROGRESSIVE Antonino Leonardi, Direttore U.O.C. di Neurologia La senilità comporta ridotta autonomia funzionale e coesistenza di più malattie croniche con conseguente assunzione di molti tipi di farmaci. Spesso si associano solitudine e isolamento sociale. Su queste basi si realizza una condizione di fragilità degli anziani che ne aumenta il rischio di ulteriori problemi sanitari. In uno studio recente il rischio di morte in 3 anni si è mostrato più che doppio per gli anziani “fragili” rispetto a coetanei non fragili. Le malattie neurologiche croniche contribuiscono in modo rilevante a determinare la fragilità degli anziani. Si tratta infatti di condizioni fortemente invalidanti ed evolutive che compromettono l’autonomia del paziente in funzioni essenziali quali quella cognitiva, la motoria, quella del linguaggio, l’alimentazione, l’igiene personale. Quasi sempre in un singolo paziente sono contemporaneamente compromesse più d’una di queste funzioni, e spesso tutte contemporaneamente. La coesistenza frequente di compromissione sensoriale (uditiva o visiva) rende ancora più precaria l’autonomia di questi pazienti: ad esempio una persona con gravi problemi motori e compromissione visiva cadrà più facilmente … Quando poi si associano, cosa anche questa frequente, problemi psichiatrici (ansia, depressione, delirio, allucinazioni, agitazione) la dipendenza di queste persone diviene totale e la loro permanenza a domicilio spesso impossibile. La DEMENZA è uno dei principali fattori di fragilità dell’anziano. Si tratta di una condizione di osservazione sempre più frequente perché va aumentando nella popolazione il numero delle persone molto anziane; infatti la D. incide sempre più pesantemente con l’età. La causa prevalente di D. è la Malattia di Alzheimer, ma anche altre malattie cerebrali causano D., ad esempio le gravi encefalopatie vascolari (Demenza Vascolare, prima definita “multiinfartuale” o “arteriosclerotica”). Il paziente demente perde progressivamente la capacità di memorizzare nuove informazioni; inoltre vengono gradualmente perdute la capacità di valutazione critica e di giudizio, di organizzare e pianificare azioni e gesti, di parlare correttamente, di vestirsi … Il paziente non si orienta più in luoghi noti (anche in casa propria) e spesso diventa agitato e oppositivo. Frequentemente, soprattutto nelle fasi iniziali, “smarrisce” oggetti spesso da lui stesso riposti in nascondigli bizzarri (…. chiavi nel frigorifero, guanti in bagno….) e non ritrovati per il disturbo di memoria … Tende in questi casi ad accusare altri (familiari, domestici, personale di assistenza) di averlo derubato; eccezionalmente può diventare violento. Qualunque cambiamento (di luogo, di orario, di persone) genera o peggiora la confusione, soprattutto notturna; infatti, dati i gravi disturbi di memoria e di orientamento e la grave incapacità di “gestire” mentalmente situazioni nuove, il confronto con ambienti e persone non abituali generano nei pazienti ansia e agitazione anche gravi. Non sono rari in questi momenti comportamenti “di fuga” con abbandono della abitazione o dei reparti di degenza. Si comprende quindi come certe situazioni (spostare il paziente dalla propria abitazione, magari per fargli fare le vacanze in montagna con i figli, o, peggio, l’eventualità di un ricovero A. Leonardi 2 ospedaliero) siano occasione di peggioramenti drammatici in pazienti fino a quel momento “compensati”. Pertanto chi assiste il paziente demente deve: - evitare il più possibile cambiamenti di orari e abitudini (pasti, igiene, riposo) - evitare il più possibile cambiamenti nell’ambiente del malato ( ciò vale anche per pazienti ospedalizzati o istituzionalizzati: cambiamento di letto, di stanza, ecc.) - stimolare l’orientamento del paziente ripetendogli spesso dove si trova e perché, il nome del personale che lo assiste, la data precisa, il nome degli eventuali compagni di camera. - Accertarsi che conosca la topografia del reparto (servizi, propria camera e proprio letto, ecc.) accompagnandolo cortesemente e senza fretta se si dimostra disorientato. - In caso di disturbi di comportamento cercare anzitutto di capire se vi siano cause di disagio fisico; stipsi, ritenzione d’urina, una anche modesta infezione con febbre, i dolori addominali o articolari possono indurre agitazione in un paziente che non è in grado di riferirci il proprio malessere. In ogni caso bisogna cercare di tranquillizzare il paziente con il colloquio pacato e un atteggiamento rassicurante. Se l’agitazione continua nonostante questo approccio andrà convocato il medico che valuterà eventuali altre misure d’intervento. - Una raccomandazione pratica: inventariare sempre assieme a un familiare gli oggetti in possesso del paziente e raccomandare che non gli si lascino denaro o oggetti preziosi. Nel tempo il paziente demente presenterà altre condizioni critiche, dalla disfagia alla compromissione motoria alle complicanze da allettamento, di cui diremo oltre. La RIDOTTA AUTONOMIA MOTORIA è pressoché costante nei gravi esiti cerebrovascolari (ictus ischemico o emorragico) ma anche in tutte le malattie neurologiche a decorso cronico e progressivo (M. di Parkinson, Sclerosi Multipla, Sclerosi Laterale Amiotrofica, Polineuropatie, Demenze, malattie cerebellari e del midollo spinale). Purtroppo la vecchiaia stessa porta, anche in assenza di malattie neurologiche vere e proprie, ad una progressiva riduzione dell’autonomia motoria; da questo punto di vista va raccomandato a qualunque anziano di praticare quotidianamente una certa quantità di esercizio fisico, che si dimostra benefico nel prevenire il declino globale, non soltanto quello motorio, dell’individuo d’età avanzata . Una cosa importantissima, che deve diventare una vera “ossessione” per chi si occupa di anziani, è la riduzione al minimo indispensabile della permanenza a letto. Un anziano che non si sente bene, magari perché ha avuto una colica biliare, o è spaventato per una caduta in sé priva di conseguenze, tende a restare a letto ben oltre il necessario; dopo pochi giorni, a volte anche solo 24-48 ore, avrà difficoltà ad alzarsi e a mantenere la posizione eretta. La paura di cadere gli farà assumere posture inidonee, queste sì a rischio di caduta, o rifiuterà del tutto di lasciare il letto. Si crea un circolo vizioso che allunga impropriamente i ricoveri ed espone i pazienti ai gravi rischi dell’allettamento, dalle infezioni respiratorie alle piaghe da decubito. Pertanto chi assiste l’anziano in ambiente ospedaliero o residenziale (ma anche a domicilio) deve: - discutere con il medico la necessità ed i tempi di “allettamento” dei pazienti - stimolare i pazienti a trascorrere periodi sempre più lunghi dapprima seduti nel letto, poi in poltrona fuori dal letto, iniziando per es. a fare loro consumare i pasti a tavola. - Assistere i pazienti nel percorrere tragitti inizialmente brevi (ad es accompagnandoli ai servizi, e stimolandoli ad utilizzare questi anziché comode, padelle, pappagalli, ecc) e poi più lunghi (passeggiate in corridoio). - Istruire i familiari a farsi carico rapidamente di queste incombenze, dopo avere loro mostrato cosa e come fare. Va tenuto conto che molti anziani possono rifiutare l’esercizio, divenendo lamentosi e riferendo disturbi vari. Se l’Operatore, valutata la situazione, mostrerà al paziente e al familiare che un certo grado di serena fermezza vince il rifiuto e arreca beneficio, anche il familiare si sentirà rassicurato e non si lascerà “spaventare” da eventuali A. Leonardi 3 atteggiamenti non collaborativi. Va anche fatto presente che, viceversa, ci sono anziani che minimizzano o sottovalutano i propri problemi motori, o che semplicemente non ne sono consapevoli. Questi pazienti, da affidare al Fisioterapista, pongono problemi opposti e vanno scoraggiati dal rischiare troppo; anche i familiari vanno informati dei rischi che può comportare il volere accontentare un anziano che chiede, ad esempio, di essere accompagnato al bar quando non è ancora in grado di farlo. Quando il danno neurologico è focale, ad esempio in seguito ad un ictus, la compromissione motoria ha esordio acuto e lascia un’invalidità residua anche grave. Superata la fase acuta il paziente diviene di completa competenza Fisiatrica. Va però ricordato che in realtà l’intervento riabilitativo dev’essere precoce e che spesso la Fisioterapia “passiva” viene avviata nei primissimi giorni di malattia e talora su pazienti ancora in coma. Come detto, molte altre condizioni neurologiche dell’anziano, oltre all’ictus, determinano compromissione motoria; frequenti sono ad esempio i disturbi Parkinsoniani. In questi pazienti la compromissione motoria non è tanto dovuta ad una paresi destra o sinistra quanto alla caratteristica rigidità generalizzata di tutti i muscoli ed alla grave acinesia, ovvero patologica lentezza nella esecuzione dei movimenti. Il paziente assume una caratteristica postura di flessione del busto in avanti e deambula tipicamente “a piccoli passi” con gravi problemi se deve avviarsi da fermo, cambiare direzione, scartare un ostacolo, ecc. Mentre i postumi di un ictus si stabilizzano nel tempo e, a meno di nuovi eventi acuti, la riabilitazione può migliorare il paziente, la M. di Parkinson è progressiva, controllabile con farmaci ma non arrestabile. Pertanto il paziente parkinsoniano è destinato ad un più o meno rapido peggioramento; la fisioterapia, comunque utile, non fornisce risultati ottimali e chi assiste questi pazienti deve prepararsi a gestire problemi progressivamente più gravi. LE CADUTE sono la complicazione più frequente e temibile nelle persone anziane con compromissione motoria. I traumi riportati in tali circostanze (classicamente la frattura del collo del femore) costringono il paziente a letto con le note complicazioni (infezioni, piaghe, disturbi psichiatrico-comportamentali) che spesso causano la morte dei pazienti. Per prevenire le cadute nell’anziano occorre: - valutare l’entità della compromissione motoria esistente e l’eventuale associazione di deterioramento cognitivo e/o di gravi disturbi visivi. Su questi parametri si può valutare a priori l’entità del rischio di caduta e adottare provvedimenti preventivi più o meno incisivi - verificare l’esistenza di eventuali barriere architettoniche e se possibile eliminarle - eliminare arredi inutili e pericolosi (tappeti, stuoie, ecc) ed invece adottare (ad es in bagno) presidi quali maniglie di sostegno, tappetini antiscivolo, ecc. - verificare con il medico se tra i farmaci assunti ve ne siano di quelli che possono aumentare il rischio. In verità quasi tutti i farmaci assunti cronicamente dall’anziano possono causare ipotensione, instabilità posturale, debolezza muscolare, sonnolenza …. - Illuminare adeguatamente gli ambienti e garantire anche una sufficiente illuminazione notturna che previene, oltre alle cadute, anche la confusione. PROBLEMI IGIENICI. La perdita di autonomia nelle funzioni escretorie è uno degli scotti più umilianti che si pagano alla malattia grave e cronica. Ciò tanto più nell’anziano, dove l’esistenza di vere e proprie malattie urologiche, ginecologiche o proctologiche crea i presupposti anatomici per problemi i quali si scompensano se sopraggiungono disturbi cognitivi, malattie del midollo spinale o del Sistema Nervoso Periferico, compromissione motoria grave ecc. Spesso l’anziano, soprattutto se affetto da deterioramento cognitivo, è ossessionato dalle proprie funzioni escretorie, particolarmente la defecazione. Tende a denunciare stipsi di lunga durata (è A. Leonardi 4 bene controllare la veridicità delle affermazioni dei pazienti in questo campo) chiede insistentemente di essere sottoposto a procedure evacuative, ecc. La corretta assistenza al paziente anziano comporta la regolare registrazione delle evacuazioni, della loro quantità e dell’aspetto delle feci. Una vera stipsi va segnalata se le abituali semplici e blande procedure non sono efficaci. Qualunque manualità deve tenere conto della possibilità di lesioni locali (ragadi, emorroidi, prolassi) che vanno ragionevolmente escluse prima di procedere. La somministrazione di farmaci di va decisa dal medico. La diarrea è sempre motivo di allerta per la possibile gravità sia delle sue cause che delle sue conseguenze: ne va immediatamente informato il medico. I disturbi vescicali, frequentissimi, consistono in ritenzione o, più spesso, incontinenza. Le cause sono molteplici e spesso sovrapposte; spetta al medico identificarle, se possibile. La cateterizzazione a permanenza è spesso inevitabile, ed è utile per breve tempo (necessità di calcolo preciso della diuresi, prevenzione di infezioni o pieghe in pazienti comatosi o immobilizzati). Va effettuata da personale competente, sempre su indicazione medica e con particolare attenzione alle eventuali anomalie anatomiche locali (ipertrofia prostatica, stenosi uretrali). In questi casi l’operatore non deve “forzare” ma segnalare il problema, che verrà eventualmente sottoposto all’Urologo. Va ricordato che uno dei criteri “di qualità” in Neurologia (ad esempio nei Centri Ictus) è il basso numero di pazienti cateterizzati e la breve durata della procedura, quando anche fosse stata necessaria. L’incontinenza rappresenta comunque un drammatico peggioramento della qualità di vita dei pazienti e dei familiari che li assistono: esistono alcune strategie per la sua prevenzione e controllo, che consistono in: - adottare un abbigliamento facile da togliere e rimettere - facilitare (per i pazienti con deterioramento cognitivo) il riconoscimento del tragitto verso il bagno e del locale mediante indicatori colorati sul pavimento e sulla porta - programmi di minzione periodica (ogni 3-4 ore di giorno, ogni 5-6 ore di notte) - sedute defecatorie periodiche (possibilmente ogni giorno) dopo il pasto più abbondante per sfruttare la facilitazione prodotta dal riflesso gastro-colico - curare la dieta e temporizzare l’assunzione di liquidi (ad esempio ridurla dopo le 19) - evitare il più possibile il ricorso a pannoloni e cateteri a permanenza, dai quali è difficile poi “svezzare” i pazienti. PROBLEMI DI ALIMENTAZIONE La corretta nutrizione dell’anziano è un problema sottovalutato: anche l’anziano “autosufficiente” tenderà, nel tempo, a ipersemplificare la propria dieta, che diverrà monotona e poco variata. Spesso inoltre l’anziano riduce pericolosamente l’assunzione di liquidi, per attenuazione del senso della sete. Le ragioni sono molte, spesso intrecciate: solitudine, declino cognitivo, ridotta autonomia motoria, problemi odontoiatrici, … Le conseguenze sono serie: una alimentazione scorretta può essere pericolosa nei pazienti con problemi quali diabete, insufficienza renale, epatopatie gravi. Disturbi tipici dell’età avanzata, quale l’osteoporosi, sono aggravati da una dieta inadeguata priva di proteine,vitamina D, Calcio. Carenza di Vit B12 e Acido Folico inducono, oltre ai problemi ematologici, neuropatie e demenza. L’adeguata assistenza nutrizionale all’anziano è un argomento tecnico assai complesso, non di competenza Neurologica: spesso Neurologiche sono invece le malattie che comportano DISFAGIA, problema grave e complicato sia nei suoi meccanismi che nella sua gestione. La deglutizione è una complessa concatenazione di atti volontari e riflessi che iniziano dalla bocca e si concludono al passaggio esofago-gastrico. La fase iniziale, quella bucco-faringea, della A. Leonardi 5 deglutizione è particolarmente delicata per la complicata serie di azioni neuromuscolari che devono agire in precisa sequenza allo scopo di trasferire il bolo dalla bocca all’esofago senza inconvenienti. Quasi tutte le malattie neurologiche possono comportare o comportano di sicuro disfagia: la malattia cerebrovascolare, le demenze, il M. di Parkinson, alcune forme di polinevrite craniale, la Sclerosi Multipla, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, la Miastenia, alcune malattie muscolari …. La disfagia è un fenomeno pericoloso; la perdita dei normali riflessi deglutitori facilita il passaggio di frammenti di cibo, o addirittura dell’intero bolo, nella laringe e di qui in trachea e nei bronchi: ne possono conseguire broncopolmoniti “ab ingestis” o grave soffocamento e morte. La disfagia acuta, del paziente colpito da ictus, può avere una evoluzione migliorativa, anche sorprendente. Così nel miastenico, se il trattamento della malattia risulta efficace, o nelle forme acute di polinevrite se guariscono. Le altre condizioni sono invece irreversibili e progressive. Ancora una volta le tecniche di assistenza nutrizionale al paziente disfagico trascendono la stretta competenza Neurologica. Esistono tecniche e supporti nutrizionali speciali (addensanti dei cibi, acqua gelificata, ecc) per garantire la nutrizione (e la idratazione!) del disfagico: esistono approcci differenziati (sondino naso-gastrico o PEG) per mantenere la nutrizione entrale in soggetti assolutamente incapaci di deglutire, così come procedure parenterali (catetere venoso nella succlavia) per la somministrazione e.v. di sacche nutrizionali. Una conseguenza pratica della disfagia è la progressiva difficoltà per il paziente ad assumere regolarmente le terapie per os: questo aspetto non va sottovalutato, e bisogna sempre indagarlo anche perché curiosamente spesso i pazienti e i familiari non lo rimarcano. Il problema va sempre immediatamente segnalato al medico affinché provveda a sostituire la formulazione o il tipo dei farmaci non assumibili. L’AFASIA: lesioni che danneggino le aree cerebrali del linguaggio, situate nel lobo frontale e temporale dell’emisfero dominante, determinano impossibilità o grave difficoltà per il paziente ad esprimersi verbalmente o a comprendere il linguaggio degli altri. Si tratta di una condizione particolarmente penosa e frustrante per il paziente e per chi lo assiste. L’afasico, a meno che non coesistano altri problemi, non è demente. Le cosiddette “funzioni esecutive” (adoperare strumenti, adottare comportamenti adeguati, progettare ed eseguire azioni complesse finalizzate ad uno scopo) sono in ordine. Pensieri, sentimenti, ricordi, idee sono “imprigionati” in un cervello che non riesce più a padroneggiare quella serie codificata di simboli sonori o scritti che costituiscono il linguaggio. Chi si rapporta con il paziente afasico deve essere consapevole della particolare situazione di quest’ultimo, ed adottare una sorta di “galateo” per comunicare con lui: - adoperare frasi brevi e semplici - mantenere il contatto visivo - lasciare tempo alla persona per assimilare il messaggio - non cambiare bruscamente argomento - guardare l’espressione del paziente per vedere se ha capito - se si esprime in modo poco chiaro non fare finta di avere capito - cercare di sfruttare altri canali di comunicazione (mimica, disegno ….) - non scandalizzarsi in caso di imprecazioni o parolacce: si tratta di automatismi involontari non controllabili - non spaventarsi per eventuali “reazioni catastrofiche”: il paziente, frustrato, piange, si arrabbia, colpisce col pugno il tavolo …. Si tratta di fenomeni comuni: tranquillizzare e rasserenare il paziente. PROBLEMI SENSORIALI: soprattutto in pazienti affetti da deterioramento cognitivo i deficit sensoriali visivi o uditivi sono motivo di ulteriore isolamento e frequente causa di gravi disturbi comportamentali, soprattutto crepuscolari o notturni. A. Leonardi 6 In un anziano deteriorato le manifestazioni confusionali notturne sono rese angoscianti se ombre, riflessi, giochi di luce vengono percepiti in modo distorto a causa per es. di cataratta, glaucoma, retinopatia pigmentosa. Il paziente, agitatissimo, vedrà estranei, magari vestiti in modo bizzarro, che si aggirano nella sua camera; oppure animali repellenti, insetti, ecc. Se ha problemi uditivi, in particolare acufeni, sentirà musica, rumori di treni, ecc … queste sensazioni allucinatorie (più precisamente “allucinosiche”) portano spesso alla elaborazione di deliri fantastici, poco strutturati, vaghi, spesso di tipo paranoideo a contenuto persecutorio o di influenzamento. Queste “crisi” sono problematiche; il paziente non riconosce più il luogo, fosse pure la propria abitazione. Cerca di fuggire, tipicamente “per tornare a casa”, e diventa oppositivo e violento se lo si trattiene. Come detto sopra, è necessario tranquillizzare il paziente con pacatezza e atteggiamento rassicurante. La sedazione farmacologia può essere necessaria, ma va sempre decisa e dosata dal medico. La restrizione fisica è da considerarsi una misura estrema; bisogna esigere che il medico che la decide scriva in cartella data, ora, circostanze, ragioni e durata del provvedimento; è responsabilità del paramedico attenersi alla lettera alle istruzioni, ed esigere l’aggiornamento scritto di qualunque variazione delle istruzioni. Le manovre di contenzione configurano il reato di violenza privata, senza contare il rischio di lesioni che in questa situazione possono essere ritenute dolose. Va sempre chiarito bene da chi ne ha la responsabilità l’esistenza di uno stato di necessità che ha costretto gli operatori alla procedura, resasi inevitabile dopo il fallimento di qualsiasi comportamento alternativo.