Plank e la Radiazione del Corpo Nero Di Mario Bon – 22 settembre 2016 - www.mariobon.com La storia della Fisica, a volte, è ancora più importante della Fisica stessa. I protagonisti di questa storia sono Archimede, Kirchhoff , Boltzmann, Plank ed Einstein ed il “corpo nero”. Kirchhoff introdusse il concetto di “corpo nero” nel 1862. Il “corpo nero” è un oggetto in grado di assorbire e riflettere tutto la radiazione elettromagnetica (luce). Non si pensi ad un oggetto astruso: il Sole è assimilabile ad un “corpo nero”. Alla fine del 1800 i fisici erano alle prese con il problema della “radiazione del corpo nero” che, con la Fisica del tempo, non riuscivano a risolvere. Al di là del fenomeno in sé, interessa il metodo che consentì di giungere alla soluzione. Figura 1 Il grafico a sinistra rappresenta lo spettro della radiazione di “corpo nero”. Con le conoscenze del tempo non si riusciva a trovare un modo per riprodurlo e giustificarlo. Ci riuscì Plank e, successivamente, Einstein ne diede l’interpretazione fisica utilizzando le ipotesi di Plank per spiegare l’effetto fotoelettrico. Entrambe ricevettero il Nobel. Figura 2 Il ferro, a temperatura ambiente, è di color scuro. Quando lo si scalda diventa prima rosso e poi bianco. C’è una corrispondenza tra il colore di un oggetto e la sua temperatura e tale relazione si evince dalle proprietà della “radiazione di corpo nero”: più la temperatura è alta e più il colore tende al bianco. Da qui la consuetudine di associare il colore prodotto dalle lampade ad una temperatura (5000K° luce calda, 6000K° luce fredda). Si noti la curiosa “inversione” per cui s chiama fredda la luce che corrisponde alla temperatura più alta. Grazie alla radiazione di corpo nero possiamo conoscere la temperatura della superficie del Sole anche senza misurarla direttamente. Diciamo che era noto un certo fatto sperimentale. I dati misurati, riportati in un grafico, formavano una curva con un andamento simile ad un cappello messicano asimmetrico (Figura 1). La Fisica del tempo consentiva di prevedere l’andamento di una parte della curva ma non di tutta. Questo fatto era abbastanza fastidioso: perché una parte sì e l’altra no? Max Plank lavorava a questo problema. Un giorno alcuni colleghi gli portarono gli ultimi dati sperimentali (molto accurati) che, ancora una volta, erano rappresentati dalla curva a cappello. Plank era molto abile nell’approssimare i dati sperimentali con delle curve matematiche e, riportano le cronache, lavorando tutta la notte, trovò la funzione matematica che ricalcava perfettamente i dati sperimentali. Per fare ciò Plank fu costretto ad ipotizzare che una certa quantità potesse variare solo per multipli interi. In pratica era come dire che il campo elettromagnetico poteva scambiare energia con la materia solo per quantità discrete proporzionali al quanto hν (un quanto, due quanti, tre quanti…e mai frazioni di questo quanto). Questa ipotesi era già stata precedentemente adottata da Boltzmann per ottenere l’espressione dell’entropia. Nemmeno Boltzmann aveva compreso appieno il significato fisico di questa ipotesi, tuttavia la aveva adottata perché era l’unico modo per far tornare i calcoli. Plank ottenne il Nobel nel 1918 ma per molto tempo rimase convinto che l’ipotesi dei quanti fosse solo un espediente matematico per risolvere il problema specifico. In realtà Boltzmann, con lo stesso espediente, aveva ottenuto l’espressione dell’entropia. Quindi doveva essere più di un espediente. A questo punto Plank aveva una espressione matematica che seguiva perfettamente i dati sperimentali, sapeva come aveva fatto, ma riteneva che non avesse un significato fisico. Comunque, il 14 dicembre 1900, presentò i suoi notevoli risultati ad un congresso della Società Tedesca di Fisica. Plank applicò il metodo meccanico “inventato” da Archimede: prima trova il risultato che cerchi in qualche modo (“meccanicamente”, perché Archimede usava la riga ed il compasso, oggi diremo euristicamente) e poi cerca di dimostrarlo. Il metodo di Archimede pone l’attenzione sullo scopo: prima definisci il tuo scopo e poi lavora per ottenerlo. In soldoni: cosa vuoi dimostrare se non sai cosa dimostrare? Plank, ottenendo la curva sperimentale (“meccanicamente”) aveva definito lo scopo. Ora lo si doveva interpretare dal punto di vista fisico. Albert Einstein non era un fisico ortodosso ed aveva la capacità di leggere i risultati sperimentali in modo originale rispetto ai suoi colleghi dell’epoca: secondo Einstein, se un modello matematico funziona, significa che rappresenta la realtà. In pratica applicava gli isomorfismi al contrario. Quindi se il modello matematico dice che l’energia è quantizzata significa che l’energia è quantizzata. Einstein chiamò “fotoni” i quanti di energia luminosa e trasformò l’ipotesi matematica di Plank in una realtà fisica. Utilizzando i fotoni spiegò l’effetto fotoelettrico come urto tra una particella fisica (un elettrone) e una particella luminosa (il fotone). Nasceva così il modello corpuscolare della luce. La chiave di questi risultati è tutta in una frase: “..tutto avviene come se…”. Tutto avviene come se la luce fosse composta da uno sciame di particelle. L’ipotesi corpuscolare della luce era già stata formulata da Newton ma, all’epoca, le evidenze a favore dell’ipotesi ondulatoria erano troppo forti (e anche le uniche conosciute). Einstein dava più importanza alla bellezza dei modelli sperimentali che alle evidenze sperimentali anche se utilizzava estensivamente i risultati sperimentali ottenuti da altri. Questa ricerca della bellezza nelle teorie si ritrova esplicitamente in Keplero e in Dirac (che ha scritto anche un libro sull’argomento). In effetti l’idea di bellezza è legata alla semplicità: una espressione compatta, composta da pochi termini e con relazioni chiare non solo è bella in sé ma ha anche buone probabilità di funzionare perché l’Universo è strutturalmente semplice (siamo noi che facciamo fatica a comprenderlo). Einstein applicò nuovamente questo suo modo di operare per interpretare i risultati dell’esperimento di Michelson e Morley del 1887. Michelson e Morley volevano misurare l’azione dell’etere sul movimento della Terra che si sarebbe manifestato con una variazione della velocità della luce. Per farlo, impiegarono una tecnica interferometrica estremamente precisa. Il risultato dell’esperimento fu negativo: non fu misurata alcuna variazione della velocità della luce (e con ciò venne meno anche l’ipotesi dell’etere). Fu un disastro e Morley cadde in depressione. Einstein, invece, osservò che, se la velocità della luce non cambia, significa che è costante. Dire oggi: “ciò che non cambia è costante” sembra una banalità: a quei tempi comportò una rivoluzione. Anche grazie a questo risultato, Einstein formulò la Teoria della Relatività (mettendo assieme i risultati ottenuti d Lorentz e Poincaré). Uno dei postulati della Relatività è proprio la costanza della velocità della luce. Gli altri postulati riguardano le proprietà dello spazio e del tempo e discendono dalla rilettura del Primo Principio della Meccanica formulato da Galileo Galilei (in assenza di cause non si vedono effetti). La natura corpuscolare della luce (la dualità onda corpuscolo), la quantizzazione dell’energia, La Teoria della Relatività la stessa Meccanica Quantistica che si svilupperà nel primi decenni del XX secolo, tutto questo trova origine in quella frase “… tutto avviene come se…”. La Fisica smette di ricercare una descrizione “vera” dei fenomeni naturali ma punta su modelli che consentono di ottenere previsioni con errore noto. La probabilità prende il posto del determinismo, la ricerca della verità e l’assoluto lasciano il posto alla ricerca della predittività. Per ciò che ha fatto Plank è considerato il fondatore della Fisica Moderna ed il responsabile della transizione tra la Fisica Classica (determinista) e la Meccanica Quantistica (probabilista). Per questa transizione è stata fissata la data del 14 dicembre del 1900. L’esperimento, fallito, di Michelson e Morley è oggi ritenuto uno degli esperimenti più importanti mai compiuti. Oggi nelle Università si insegna che il risultato di un esperimento è sempre positivo perché, se non dice che cosa è una cosa, dice comunque cosa non è. Torna allora in mente Parmenide: - Ciò che è “è” e non può che essere Ciò che non è “non è” e non può che non essere Il resto sono dettagli o, come ha cantato Franco Califano, “tutto il resto è noia”. Parmènide di Elea Archimede di Siracusa (520/510 a.C.– 450 a.C) (287 a.C -212/211 a.C.) Johannes von Kepler (1571–1630) Gustav Robert Kirchhoff (1824–1887) Albert Abraham Michelson Hendrik Antoon Lorentz (1852–1931) (1853–1928) Ludwig Eduard Boltzmann (1844–1906) Edward Williams Morley (1838–1923) Hanrì Poincaré Albert Einstein Paul Adrien Maurice Dirac Franco Califano (1854–1912) (1879–1955) (1902–1984) (1938–2013) In questa storia sono stati citati un filosofo della Magna Grecia, dieci scienziati di varie epoche ed un poeta moderno. Boltzmann, incompreso, si suicidò a Trieste. L’epitaffio sulla sua tomba è « S = k Log W »