Nella stessa collana: Raffaele Monti, Piero della Francesca Raffaele Monti, Leonardo da Vinci Cristina Acidini Luchinat, Raffaello Raffaele Monti, Michelangelo Buonarroti A p. 30: Il ritorno di Giuditta a Betulia (part.) p. 31: Adorazione dei Magi (part.) p. 32: La Primavera (part.) Ilaria Taddei Letture e percorsi Botticelli © 2001 Ministero per i Beni e le Attività Culturali Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Firenze, Prato e Pistoia Una realizzazione editoriale s i l l a b e s.r.l. Livorno www.sillabe.it Prima edizione digitale Gennaio 2016 ISBN 978-88-8347-843-7 Questa pubblicazione è protetta dalla Legge sul diritto d’autore e pertanto è vietata ogni duplicazione, commercializzazione e diffusione, anche parziale, non autorizzata. Sillabe declina ogni responsabilità per ogni utilizzo dell’ebook non previsto dalla legge. direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare progetto grafico: Laura Belforte redazione: Barbara Galla layout e coding dell’ebook: Saimon Toncelli sillabe È sempre assai affollata la sala degli Uffizi dedicata a Botticelli, così era soprannominato Alessandro Filipepi, eppure le due opere più ammirate dell’artista La Primavera e La nascita di Venere – di fronte alle quali indugiano a lungo i visitatori – erano fino all’inizio dell’Ottocento pressoché sconosciute. Infatti, solamente alla metà di quel secolo è iniziata la riscoperta del pittore per impulso di artisti e amatori d’arte soprattutto inglesi: e da allora è stata una moda travolgente, un amore incondizionato, un tributo al limite del feticismo. Queste due allegorie profane sono espressione del raffinato clima della ‘corte’ di Lorenzo il Magnifico, di cui Botticelli fu uno dei maggiori interpreti, sensibile e ricettivo, prima che i tempi e il suo percorso artistico fossero attraversati da quell’inquietudine spirituale che sfociò nella tragica esperienza di Girolamo Savonarola. La Primavera, databile verso il 1482, apparteneva a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino del Magnifico, che la conservava nelle sue case di via Larga, vicine al famoso palazzo fatto costruire da Cosimo il Vecchio. Alla metà del Cinquecento l’opera si trovava, insieme con La nascita di Venere, nella villa di Castello, dove la vide Giorgio Vasari che, descrivendola, ne decretò il titolo. Il dipinto era espressione del raffinato circolo culturale che ruotava intorno alla figura di Lorenzo de’ Medici, del quale facevano parte il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino ed il poeta Agnolo Poliziano, autore delle Stanze per la Giostra. Sarebbero stati questi i riferimenti letterari che, insieme ad altri testi di autori classici, avrebbero ispirato a Botticelli la composizione. Questa va letta da destra a sinistra, a partire dunque da Zefiro, il leggero vento primaverile che insegue e fa sua la ninfa Clori, donandole il potere di far nascere i fiori (che infatti le escono dalla bocca) e trasformandola così in Flora, la dea latina della primavera. Al centro è Venere, dietro alla quale si può vedere il mirto, pianta a lei sacra; sopra Cupido volante che bendato scocca una freccia in direzione delle Grazie danzanti in circolo; infine sull’estrema sinistra Mercurio, il messaggero divino, è intento con il caduceo a diradare le nubi che offuscano la conoscenza. Nel giardino di Venere, simbolo di Humanitas, si compirebbe dunque un percorso dall’amore carnale a quello spirituale e intellettuale. Secondo un’altra ipotesi, che pure vede raffigurata nell’opera la Primavera, potrebbe essere stato Lorenzo il Magnifico a commissionarla facendone poi dono al cugino in occasione delle nozze di que4 A destra e alle pagine seguenti: La Primavera, 1482 ca, tavola, cm 203 × 314. Firenze, Uffizi. A sinistra e alle pagine seguenti: sto con Semiramide Appiani nel 1482. Lo splendido giardino è La nascita di Venere, senz’altro una fedele trascrizione botanica di più di cinquecento 1484 ca, specie di piante, molte delle quali fioriscono tra marzo e maggio tela, cm 184,5 × 285,5. sulle colline nei dintorni di Firenze. L’ipotesi più recente la inFirenze, Uffizi. terpreta invece come un’esaltazione delle Arti Liberali, cosicché la figura al centro non sarebbe più Venere, ma la Filologia. Non è perciò affatto chiaro il significato celato dietro quest’opera che affascina anche per l’eleganza estenuata delle figure, rese con colori brillanti grazie all’impiego della tempera grassa (cioè colori naturali con aggiunta di olio). I modelli figurativi sono antichi sarcofagi, ma anche coevi esempi scultorei quali il David del Verrocchio per Mercurio o la Natività del Battista di Antonio del Pollaiolo dell’altare d’argento, allora nel Battistero, per Flora. Egualmente legato al clima colto della Firenze laurenziana è La nascita di Venere, l’altro capolavoro, di poco posteriore (1484 ca), ricordato da Vasari come presente proprio insieme alla Primavera nella villa di Castello, già dimora di campagna di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici; non è sicuro, tuttavia, che questa fosse l’originaria collocazione della tela, sebbene tale supporto fosse in effetti impiegato proprio per temi profani destinati ad ambienti agresti. Ancora una volta testi classici, quali l’Inno a Venere di Omero, la poesia amorosa di Ovidio, e i versi di Poliziano sarebbero stati i riferimenti letterari insieme a quelli figurativi – come il tipo della Venus pudica – dai quali il pittore avrebbe tratto spunto per questa fiaba allegorica, che ha per protagonista Venere. Sospinta da Zefiro ed Aura su una conchiglia galleggiante sulle onde, le brezze primaverili cariche di profumi cui alludono le rose, Venere approda a riva e una fanciulla le porge un manto fiorito. Potrebbe trattarsi di una delle Ore, ninfe al suo seguito, oppure di una delle Grazie, dedite a tessere il manto della dea nata dal fecondante incontro dello spirito-idea con la materia-natura. In queste opere Botticelli era ormai giunto ad una calibrata e razionale sintassi attraverso selezionate eleganze di forme e trasparenze di colore, nella pienezza del suo percorso. Dopo l’apprendistato presso un orafo – come narra Vasari – dal quale derivò la precisione del segno e l’abilità nell’impiego dell’oro, aveva completato la sua educazione nella bottega di Filippo Lippi, ove aveva fatto il suo ingresso nel 1464, grazie ai buoni offici dei Vespucci, proprietari della casa di via Nuova vicino ad Ognissanti dove Sandro abitava con la sua famiglia. 9 La Fortezza, 1470, tavola, cm 167 × 87. Firenze, Uffizi. Madonna col Bambino e i santi Maria Maddalena, Giovanni Battista, Francesco, Caterina d’Alessandria, Cosma e Damiano (“Pala di Sant’Ambrogio”), 1467-1470, tavola, cm 170 × 194. Firenze, Uffizi. Commissionata insieme ad un’altra Virtù mai eseguita, La Fortezza (1470) doveva ornare le spalliere della sala delle Udienze del Tribunale della Mercatanzia (con sede in piazza della Signoria) a completare il ciclo richiesto l’anno prima a Piero del Pollaiolo, in ritardo forse nel consegnarlo. Un ruolo decisivo giocò Tommaso Soderini, console di quell’Arte proprio in quell’anno, al quale il pittore fu forse presentato da Giorgio Antonio Vespucci, vicino di casa di Botticelli nonché tutore del figlio del Soderini. Era questa un’ottima occasione per mettersi in luce ed entrare nell’entourage mediceo poiché Tommaso Soderini era cognato di Piero de’ Medici, padre del Magnifico. La Fortezza è seduta su un trono ornatissimo di pietra e marmi policromi, secondo una prospettiva scorciata dal basso. Suoi attributi sono la mazza ferrata, allusiva alla guerra, e la colonna di porfido a significare la fermezza. Morbide e trasparenti le vesti seriche modellano il giovane corpo, costretto in una corazza dai bagliori metallici. Così come a questa s’apparenta la santa Caterina della cosiddetta “Pala di Sant’Ambrogio” sempre agli Uffizi, ancora però vicina ai modi lippeschi, che è poi la prima grande pala d’altare che si conosca dell’artista (1467-1470). Essa proviene dal monastero benedettino di Sant’Ambrogio, anche se non dovette essere quella l’originaria collocazione, così come è ormai scartata l’ipotesi che la identificava con la pala di Sant’Elisabetta delle Convertite, mentre sembra più probabile che la sua destinazione fosse l’altar maggiore della chiesa di San Francesco a Montevarchi nel Valdarno Superiore. In un’architettura scandita da tarsie di albertiana reminiscenza, sono disposti ad emiciclo attorno al trono della Vergine col Bambino i santi Maria Maddalena, Giovanni Battista, Francesco e Caterina d’Alessandria, mentre, designati dai loro nomi, sono inginocchiati i santi Cosma e Damiano, protettori della famiglia Medici. 14 15 In questa stessa sala degli Uffizi (la numero 9) sono esposte due tavolette con storie di Giuditta databili al 1470-1472. Costituivano in origine un dittico entro una cornice intagliata e dorata (perduta). Le ricevette in dono da Rodolfo Sirigatti nel 1584 Bianca Cappello, seconda moglie del granduca Francesco I e furono poi ereditate da suo figlio Don Antonio, che le teneva nel Casino di via Larga. Le composizioni sono un debito evidente ad Antonio del Pollaiolo, in particolare al paramento di san Giovanni disegnato dall’artista per il Battistero ora al Museo dell’Opera del Duomo. Nel paesaggio luminoso e rasserenato de Il ritorno di Giuditta a Betulia, l’eroina ebraica incede leggera insieme alla sua ancella come sfiorando il terreno, con le vesti increspate dal vento. Una drammatica concitazione, viceversa, caratterizza La scoperta del cadavere di Oloferne. Nello spazio compresso di una tenda dell’accampamento assiro la luce rivela lo stupendo nudo del corpo decapitato di Oloferne, quasi come in una macabra adorazione dei magi dove alla meraviglia si uniscono il dolore e la disperazione. Botticelli affrontò in questi stessi anni il tema del ritratto. Il Ritratto di giovane con “mazzocchio” del 1470 circa nella sala di Prometeo della Galleria Palatina, nonostante abbia subito in passato una drastica pulitura che ne ha danneggiato la superficie pittorica, si pone con grande evidenza fisica: di tre quarti leggermente ruotato con il copricapo tipicamente fiorentino. Di poco posteriore, comunque entro il 1475, è agli Uffizi il Ritratto di giovane con medaglia, in realtà un calco in stucco dorato, ove è effigiato il profilo di Cosimo il Vecchio, come recita l’iscrizione: magnus cosmus medices p(rimus) p(ater) p(atriae), un titolo quest’ultimo che gli fu conferito post mortem, dopo il 1465. È assai probabile che il personaggio ritrattato fosse un medaglista, da alcuni critici identificato con Antonio Filipepi che svolse tale attività insieme a quella di orafo per i Medici. Ritratto di giovane con “mazzocchio”, 1470 ca, tavola, cm 51 × 34. Firenze, Galleria Palatina. Il ritorno di Giuditta a Betulia, 1470-1472, tavola, cm 31 × 24. Firenze, Uffizi. Ritratto di giovane con medaglia, 1470-1475, tavola e calco in stucco dorato (medaglia), cm 56,5 × 44. Firenze, Uffizi. La scoperta del cadavere di Oloferne, 1470-1472, tavola, cm 31 × 25. Firenze, Uffizi. 16 17