FLASHBACK
Rubrica della SIPSI a cura di Valentina Nesci
Come è nata l'idea del congresso di Porto San Giorgio sul tema "Innovare in PsicoOncologia"?
L’idea è nata dall’esigenza di portare a conoscenza della popolazione esperta e non esperta
nel settore della psiconcologia le innovazioni cliniche che ormai da diversi anni stanno
offrendo contributi, anche di provata efficacia, per il miglioramento della qualità di vita
delle persone affette da patologie oncologiche, dei loro familiari e delle equipe curanti. La
psiconcologia, che in Italia è nata nel 1985 con la fondazione della Società Italiana di
Psiconcologia (SIPO), è stata ovunque guidata nelle sue attività assistenziali, preventive e
formative dal modello biopsicosociale, secondo cui dimensioni multifattoriali, biologiche
psicologiche, sociali, possono influenzare l’esordio della malattia il suo decorso ed il
processo di guarigione. A distanza di 30 anni il modello biopsicosociale si è dimostrato
inefficace, per come è stato articolato concettualmente ed operativamente, nel render conto
di tutta la fenomenologia dei vissuti traumatici del paziente e della sua rete interpersonale e
nel venir incontro ai bisogni degli uni e degli altri in modo esaustivo. Dal punto di vista
della ricerca scientifica il modello biopsicosociale è stato tradotto, per esigenze di controllo
metodologico, in modo riduzionistico: si sono osservate o solo le variabili biologiche
mediche, o solo quelle psicologiche o solo quelle sociali. Ciò ha comportato la formulazione
di schemi terapeutici non integrati, di tipo prevalentemente o solo medico o solo psicologico
o solo sociali (fra questi ultimi rientra anche il grosso lavoro di formazione sulle relazioni
medico/paziente, o sui gruppi con le famiglie, che è stato svolto finora, nonché anche molta
parte del lavoro di prevenzione con approccio psicoeducativo- volendo considerare anche la
prevenzione come una fase propedeutica dell’eventuale terapia). Oggi invece il modello
biopsicosociale può avvalersi di studi neurofisiologici, ad esempio quelli del gruppo di
Marco Pagani in Italia, che rendono conto contemporaneamente sia delle risposte
biopsicosociali a seguito di un impatto traumatico a carico di una diagnosi di cancro o delle
manifestazioni medesime della malattia, sia degli aspetti neuroendocrini e neurobiopsicosociali che possono predisporre al cancro medesimo. Viene cioè meno la vecchia
dicotomia mente-corpo della prospettiva psicosomatica e somatopsichica che era sostenuta
dal modello psicosociale medesimo. A render conto delle differenti risposte di due soggetti,
quando ugualmente esposti all’evento cancro, risposte più funzionali ed adattive per uno e
disfunzionli disadattive per l’altro, è una dimensione prettamente neurofisiologica a cui si
interfacciano tutte le altre, somatiche, psichiche, emotive e relazionali remote e recenti.
Abbiamo pensato con il comitato scientifico del convegno, composto dal Prof. Domenico A.
Nesci, dal Prof. Tommaso A. Poliseno, dal Dott. Luca Imperatori, dalla Dott.ssa Elisa
Faretta e da me, di chiamare il convegno “Innovare in Psiconcologia” proprio per esaltare la
convergenza di queste nuove informazioni, acquisite dalle ultime ricerche di ambito
neuropsicologico, con i dati di efficacia clinica di nuovi approcci psicoterapici ma anche
medici, che, a dispetto dei precedenti introdotti in psiconcologia, hanno manifestato un esito
integrativo favorevole sulle esperienze e i vissuti frammentati dei pazienti oncologici e della
loro rete sociale. Questa la novità: aver potuto evitare una quota di riduzionismo con un
confronto integrato di discipline che già nel loro interno producono un effetto integrativo
sulla salute dei pazienti.
Quali innovazioni sono state presentate al Congresso?
Abbiamo proposto una sessione per la presentazione della medicina integrata, una per la
ricerca e la clinica dell’EMDR in Psiconcologia e una per il Social Dreaming e la
Psicoterapia Multimediale.
Sul versante medico oggi le proposte della omeopatia, della fitoterapia, dell’alimentazione
per il paziente oncologico sono presentate come medicine integrate. Integrate a quelle
ortodosse già indicate nelle linee guida farmacologiche per la cura della patologia
oncologica. Non si parla più cioè di terapie complementari o alternative ma di integrazione
delle terapie ad indicare un’unica finalità sinergica sul benessere curato o curativo del
paziente.
Per quanto attiene invece all’EMDR, si tratta di un modello terapeutico, facilmente
integrabile all’interno di altri approcci psicoterapici, indeato da Francine Shapiro negli anni
70 inizialmente per la risoluzione dei vissuti traumatici dei pazienti. I primi che vennero
sottoposti a questo approccio furono le vittime sopravvissute del Vietnam che avevano una
conclamata diagnosi di PTSD ( Disturbo Post-Traumatico da Stress – DSM-III, IV, e V) ma
l’OMS lo ha dichiarato nel 2103 come trattamento elettivo non solo per il PTSD ma anche
in generale per i disturbi d’ansia. Studi evidence-based confermano l’EMDR un metodo
utile per la psicopatologia generale con una stabilizzazione dei risultati oltre i 2 anni.
L’EMDR (Eye Movement Desesnization Reprocessing) si basa su un assunto
neurofisiologico esemplificato nel modello dell’A.I.P. (Adaptive Information Processing),
secondo cui noi possediamo un sistema innato di elaborazione adattiva delle informazioni
che può essere compromesso nei casi in cui le esperienze sovrastino le reali capacità della
persona di adattarsi ad esse. Ciò può capitare se di fronte a tali esperienze si manifestino
emozioni veementi o reazioni fisiologiche così disorganizzate da impedire alla persona di
modulare le proprie reazioni fisiche, le proprie emozioni o la propria capacità di estrapolare
da quell’esperienza un significato adattativo, integrabile nello scenario degli apprendimenti
già acquisisti dal soggetto. Ci sono eventi così improvvisi ed inaspettati per la persona da
non permetterle di farsene una ragione: la perona colpita da malattia oncologica in questi
casi si esprime dicendo “perché proprio a me?!”. L’EMDR consente con una stimolazione
bilaterale visiva o tattile un cablaggio nurologico di quelle areee cerebrali frontoorbitali
destre, temporo-parietali e limbiche, che erano rimaste disconnesse durante l’evento
traumatico. Questo cablaggio in altri termini consente alle memorie traumatiche
condizionate di inetgrarsi ad altre neutre e di portare il paziente ad una visione distaccata
dell’evento, alla collocazione circoscritta dell’evento (è accaduto nel passato, non è più
presente), alla maturazione di un significato più adattativo dell’esperienza (oggi sono al
sicuro o almeno ho qualche risorsa a cui affidarmi per creare sicurezza), consente cioè quella
che anche in psico-oncologia si chiama crescita post-traumatica, e permette
contemporaneamente, non consecutivamente, una stabilizzazione, una modulazione delle
reazioni emotive e fisiologiche.
La novità introdotta dall’EMDR in psico-oncologia è di due tipi secondo me:
una più generale che coinvolge tutta la psicopatologia. Non non si vanno a trattare i singoli
sintomi espressi dal paziente ma si vanno ad elaborare quelle memorie traumatiche anche
molto lontane nel tempo che possono aver generato una vulnerabilità cronica negli
apprendimenti e quindi nelle reazioni adattative di fronte ad eventi stressanti, come pure una
vulnberabilità nella gestione delle relazioni di attaccamento. Sappiamo infatti che i soggetti
più facilmente traumatizzabili non solo hanno alle spalle una staoria di precedenti traumi ma
anche attaccamenti disorganizzati nelle relazioni di cura: questo ovviamente può spiegare
come le relazioni medico/paziente siano pure compromesse dalla storia di relazioni
precedenti
di
ciascun
attore,
sia
medico
che
paziente.
La seconda più specifica è che l’EMDR può lavorare su tutte le dimensioni temporali del
passato presente e futuro, secondo procedure protocollate e adattabili a ciascun caso e quindi
spiegare e trattare la paura di una recidiva a fronte della guarigione clinica. Se la memoria
traumatica che si è generata per esempio a seguito della prima diagnosi di cancro non viene
elaborata, il soggetto continuerà a riesperire il vissuto emotivo e la reazione fisiologica che
ha manifestato durante quella comunicazione della diagnosi in tutte le situazioni che la
richiamano: per esempio un controllo medico, vedere un vicino di casa che si ammala,
assistere a scene di morte durante la visione di un film, vedere indossare un camice bianco
da un cuoco e così via. Le reazioni traumatiche che le persone con una storia di cancro
possono manifestare in contesti neutrali si spiegano perché quelle reazioni rimangono statodipendenti, sono cioè stati emotivi o fisici procedurali memorizzati durante l’evento
traumatico generatore e rievocati in modo condizionato dipendente, tali e quali. La stessa
reazione traumatica alla comunicazione di una diagnosi di cancro può manifestare elementi
cognitivi emotivi e somatici stato dipendenti, provenienti cioè da altre esperienze
improvvise, inaspettate, traumatiche e non elaborate. L’EMDR comincia a lavorare sempre
sugli eventi generatori che si hanno a disposizione nella memoria episodica. Quando la
persona non ricorda l’evento generatore si procede con protocolli inerenti gli eventi recenti o
con tecniche come il flow-back e l’affetto ponte che consentono di richiamare l’evento
generatore a partire da una cognizione o una emozione che si considera al momento una
risposta cognitiva o emotiva stato diependente.
Infine la novità introdotta dalla Psicoterapia Multimediale è interessante perché si colloca, a
mio avviso, in un crocevia epistemologico dove si incontrano la psicoterapia psicodinamica
e quella cognitivo comportamentale. Nel chiedere al paziente che ha vissuto un lutto
oncologico di portare in seduta una quarantina di foto dell’oggetto d’amore perduto, di
vederle commentarle ed emozionarsi insieme (le “picture sessions), così come poi di
scegliere e riascoltare insieme una canzone o un brano musicale da utilizzare come colonna
sonora del video dell’oggetto della memoria, che un artista produrrà per il paziente, c’è un
elemento che un terapista cognitivista può facilmente fare suo. Allo stesso modo, nelle
sedute di screening del video e di elaborazione successiva c’è una impostazione
psicodinamica che a me rievoca la terapia integrata ideata da Michael Garrett per la
psicoterapia con pazienti psicotici.
Il workshop cinema e sogni è di nuovo una tecnica ibrida nuova perché riprende l’idea
originaria del social dreaming di Gordon Lawrence, mettendola in un contesto ben definito,
quello dell’esperienza didattico/formativa dei Corsi in Psico-Oncologia dell’Università
Cattolica, utilizzando il cinema come matrice dell’esperienza. Anche in questa nuova
invenzione del Dr. Nesci io vedo un atteggiamento di apertura della Psicoanalisi al mondo
della Psicoterapia Cognitivo Comportamentale.
Pensa che la bellissima cornice del teatro Comunale, tornato agli splendori delle sue
origini grazie ad un sapiente restauro, abbia contribuito al successo dell'iniziativa?
Abbiamo scelto come location del convegno il teatro comunale di Porto San Giorgio per
unire innovazione e tradizione, secondo quello che è stato il leitiv motive dominante
dell’evento medesimo, cioè integrazione. Si è trattata di una scelta inusuale: i convegni
vengono organizzati in ambienti predisposti come hotel, sale congressuali di Istituti
scientifici o enti istituzionali. Ci piaceva immaginare che chi avesse partecipato al convegno
e fosse stato interessato ad aggiornarsi su temi così dolorosi ed impegnativi come la psicooncologia, entrando in quel teatro si potesse sentire accolto e ispirato da un’idea di arte, da
un’intuizione di bellezza, dal senso della rappresentazione della vita che alterna momenti
drammatici a momenti felici, ma si sta tutti insieme attori e pubblico, pazienti familiari e
operatori a costruire il senso degli atti in scena. Non so se il successo dell’evento sia dipeso
dalla location in sé. In molti hanno apprezzato il luogo suggestivo che emanava un senso di
calore prestigio appartenenza raccoglimento. Il colore che dominava era il rosso ed il giallo,
quando invece immaginiamo il cancro ci viene in mente il bianco asettico degli ambienti
ospedalieri, i camici verdi dei chirurghi. In effetti a ripensarci anche ora, la location dava un
senso di pienezza di appagamento. Si’, inoltre è vero il teatro è stato ristrutturato di recente.
Fu eretto tra il 1811 e il 1817 su disegno dell’artista tolentinate Giuseppe Lucatelli e la
direzione del capomastro sangiorgese Carlo Basili, è di modeste dimensioni, ospita 400
posti. Nella facciata esterna si distingue un portone di ingresso ritagliato ad arco, allo stesso
livello dei portoncini delle abitazioni contigue e sul frontone esterno, tra due mascheroni
simboleggianti la Commedia e la Tragedia, spicca in alto su lastra di pietra, “Castigat
ridendo mores” (mentre diverte corregge i costumi). L’interno è su tre ordini di 17 palchi
ciascuno. Fin oltre il secondo conflitto mondiale vantava un pregevole sipario, ora perduto,
opera dello scenografo Mariano Piervittori da Foligno, raffigurante l’ingresso di Vittorio
Emanuele II, il re liberatore, in piazza San Giorgio. Il teatro intitolato allo stesso Re il 6
aprile 1862 ha la volta dipinta dal pittore sangiorgese Sigismondo Nardi. La decorazione
della sala e la scenografia sono dei pittori Gaetano Galassi ed Egidio Coppola. Vi hanno
esercitato, nell’Ottocento, la loro arte le maggiori compagnie drammatiche italiane, tra le
quali la Pezzana con Eleonora Duse. Dal 1862 al 1890 anche opere liriche: Lucrezia Borgia,
I Due Foscari, Il Trovatore.
Si può dare uno sguardo al teatro presso questo sito http://portosangiorgio.virtour.it/.
Sono molto riconoscente e devo ancora tanto ringraziare il sindaco di Porto San Giorgio,
l’avvocato Nicola Loira e l’assessore alla cultura, il Dott. Reanto Bisonni, per aver concesso
gratuitamente l’uso del teatro.