L`epatite E nell`uomo e nel suino

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L’epatite E nell’uomo e nel suino
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O
P.S. MARCATO - L. FUSARO
Alma Mater Studiorum - Università di Bologna
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale - Servizio di Anatomia Patologica
Ozzano Emilia (BO)
RIASSUNTO
Nel mondo una delle più importanti cause di morbilità e mortalità nell’uomo è l’infezione sostenuta da uno dei 5 virus dell’epatite: HAV, HBV, HCV, HDV, HEV (Hepatitis E Virus). HEV, classificato nel genere Hepevirus (fam. Hepeviridae), di cui sono riconosciuti 4 genotipi principali (I-IV) e un unico sierotipo, è in numerosi Paesi asiatici l’agente principale di epatite virale endemica trasmessa per via enterica. In India incide per il 60% sui casi di epatite sporadica. Sono stati rinvenuti anticorpi anti-HEV in scimmie, suini, roditori, polli, cani, bovini, pecore e capre. Talvolta HEV può infettare l’uomo per contatto diretto con animali domestici o selvatici, e soprattutto con le loro deiezioni o con acque o cibi contaminati. In Cina il suino è il
principale serbatoio di HEV e le persone occupate nell’allevamento suino hanno un più alto rischio d’infezione. Uomo, animali, cibo e ambiente contribuiscono e interagiscono tra loro nel causare la malattia nell’uomo e nel mantenere il potenziale
endemico ed enzootico del virus dell’epatite E.
In Europa le infezioni da HEV sono un problema sanitario sporadico importato da persone che hanno viaggiato in regioni endemiche, ma è possibile anche la trasmissione indigena, autoctona, di HEV, e il suino o i roditori possono agire come serbatoi
d’infezione. L’epatite E da infezione autoctona è un’entità clinico-patologica ed epidemiologica distinta dall’epatite E dei Paesi in cui è endemica, ed è più frequente di quanto in precedenza constatato. In Europa gli esami sierologici confermano che l’esposizione al suino o al suo ambiente s’accompagna a un’elevata sieroprevalenza di HEV. Negli Stati Uniti e in Europa, HEV
suino è dal punto di vista genetico strettamente correlato agli isolati virali riscontrati nell’uomo. Il ceppo umano del virus (US2) è trasmissibile al suino e causa epatite. Casi di infezioni da consumo di cibi (carni o fegato crudi o poco cotti) occorrono
per la maggior parte in Giappone e raramente in Europa. Rarissima la trasmissione zoonosica di HEV per contatto diretto tra
suino e uomo. L’epatite E nell’uomo è per lo più auto-limitante e non progredisce verso la cronicità. Una forma più grave, con
mortalità fino al 25%, occorre soprattutto in donne gravide o in persone anziane che manifestano un’epatite fulminante accompagnata da encefalopatia e coagulopatia. Il quadro istopatologico dell’epatite E acuta nell’uomo mostra una grave necrosi
intralobulare, infiammazione con polimorfonucleati e colangite acuta distruttiva con infiltrazione di granulociti neutrofili e
raramente di linfociti. Nell’epatite E importata da regioni endemiche manca la grave colangite e la flogosi portale è attenuata.
Nei suini infettati naturalmente o sperimentalmente con HEV una sintomatologia clinica o un aumento del livello degli enzimi epatici o della bilirubina non sono apprezzabili. L’aumento di volume da lieve a moderato dei linfonodi epatici e mesenterici è l’unica osservazione possibile alla necroscopia. L’esame istologico mostra un’epatite multifocale linfoplasmocitaria e
istiocitaria da lieve a moderata, degenerazione vacuolare e rigonfiamento degli epatociti, necrosi e apoptosi in singoli epatociti. La positività immunoistochimica per l’antigene HEV può essere evidenziata in un numero variabile di epatociti in diversi
lobuli. Un danno microscopico simile a livello epatico si è osservato in soggetti infettati con PCV-2, ma solo nella PMWS è clinicamente palese. Pertanto un’epatite linfocitaria focale asintomatica sembra occorrere solo in suini infettati con HEV.
L’insufficienza epatica nell’uomo può essere a volte trattata con xenotrapianto di fegato suino. HEV suino non causa alcuna
sintomatologia clinica nell’ospite naturale ma è verosimilmente un agente zoonosico, del quale i suini sono serbatoi, che può
infettare l’uomo e causare epatite. I fegati, o le cellule epatiche, di suini infettati con HEV possono perciò rappresentare un rischio per la trasmissione di HEV dai suini alla specie umana nella eventualità di xenotrapianto.
PAROLE CHIAVE
Epatite E, HEV, uomo, suino, zoonosi.
INTRODUZIONE
L’epatite E è stata riconosciuta nell’uomo come patologia distinta solo nel 1980, in India, durante un’epidemia di epatite
da contaminazione idrica. I test diagnostici esclusero che si
trattasse di epatite A, e quindi s’ipotizzò l’intervento di un
nuovo virus1. Questa nuova malattia fu denominata epatite
trasmessa per via enterica non-A, non-B. Nel 1983 l’agente fu
riconosciuto come nuovo virus epatotropo (HEV = Hepatitis E Virus) con gli studi di Balayan, che trasmise l’infezione
a un volontario immune nei confronti del virus dell’epatite
A somministrandogli un estratto fecale di un paziente infetto. Nelle feci del volontario si evidenziarono, mediante microscopia elettronica, particelle virali che successivamente
isolate vennero inoculate per via intravenosa in una scimmia
in cui causarono un’epatite acuta2.
Nel 1990 con un ceppo di HEV, isolato in Asia centrale da
pazienti naturalmente infetti, si è ottenuta la trasmissione
sperimentale dell’epatite E umana a suinetti Large White,
con manifestazioni di ittero e di epatite acuta che, con successivi passaggi da suino a suino, si è attenuata diventando
anitterica3.
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Dopo la scoperta della trasmissione alla scimmia e ai suinetti in forma attenuata senza ittero4, il virus è stato identificato e caratterizzato nel suino nelle regioni centro-occidentali
degli USA. La maggioranza dei suini dell’età di tre mesi o superiore è risultata sieropositiva e i soggetti colpiti mostravano un’infezione asintomatica diagnosticabile solo istologicamente come epatite multifocale linfoplasmocitaria5.
Indagini in Nepal hanno dimostrato fin dal 1995 che HEV è
un virus a potenziale zoonosico e che i suini sono possibili
serbatoi e vettori naturali6. Successivamente studi sieroepidemiologici hanno evidenziato che l’infezione subclinica da
HEV è presente in allevamenti di tutto il mondo (Fig. 1). In
base a recenti segnalazioni è verosimile l’infezione alimentare dell’uomo con HEV suino presente in prodotti carnei in
commercio.
Inoltre allevatori e veterinari a contatto con suini sono ad alto rischio di contrarre l’infezione. Se si considera che i suini
sono attualmente riconosciuti come i più adeguati candidati
animali per xenotrapianti e che sono impiegati anche come
animali da esperimento, i rischi per l’uomo non vanno sottovalutati7.
Figura 1 - Distribuzione geografica di HEV. In rosso i Paesi dove
l’epatite da HEV è endemica. Fonte: CDC.
EZIOLOGIA
Il virus dell’epatite E per morfologia e organizzazione genomica è simile al virus Norwalk, un membro del genere Calicivirus, e perciò era stato inizialmente inserito nella famiglia
Caliciviridae nel genere “Hepatitis E-like viruses”. Il confronto della sequenza genomica e le analisi filogenetiche avevano
in seguito fatto propendere per una più stretta correlazione
con la fam. Togaviridae 8. Recenti studi più approfonditi, con
nuovo sequenziamento genomico, hanno inserito il virus
nella nuova fam. Hepeviridae 9, gen. Hepevirus 8,10. HEV è un
virus icosaedrico privo d’envelope, di circa 30-34 nm11 (Fig.
2). L’HEV suino è correlato antigenicamente e geneticamente all’HEV umano.
Il genoma virale consiste di un singolo filamento RNA a polarità positiva di 7,5 kb. In posizione 5’ è presente una regione non codificante di 27-35 nucleotidi che presenta un cap
all’estremità 5’12. A questa seguono 3 regioni codificanti, parzialmente sovrapposte, denominate ORF1, ORF2 e ORF3
(ORF = Open reading frames)13. ORF1 codifica per una poliproteina di circa 1690 amminoacidi, coinvolta nella replicazione del genoma e nella sintesi di proteine strutturali.
In ORF1 sono stati identificati tratti caratteristici di varie proteine virali: 1) una metil transferasi; 2) una sequenza a funzione sconosciuta denominata dominio Y in analogia a quella ritrovata in altri virus; 3) una cisteina-proteasi simile alla
papaina; 4) una regione ricca in prolina che contiene una regione ipervariabile; 5) un dominio X a funzione sconosciuta;
6) un’elicasi; 7) una RNA-polimerasi RNA-dipendente14.
ORF2 codifica per una proteina capsidica virale di 72 kDa
contenente 660 amminoacidi, per il principale epitopo immunogeno, situato all’estremità 3’ ed utilizzato per la preparazione di vaccini, e per altri importanti epitopi.
ORF3 codifica per una piccola proteina (pORF3) di 123 amminoacidi espressa a livello intracellulare15.
Negli ultimi anni sono stati studiati diversi isolati virali di
HEV di origine umana ed animale. Sebbene sia riconosciuto
un solo sierotipo, i diversi isolati di HEV presentano una
spiccata variabilità genetica e si caratterizzano sulla base del-
Figura 2 - Microscopia elettronica di HEV. HEV è un piccolo RNAvirus di circa 34 nm, rotondo, icosaedrico, privo di envelope. Fonte:
Dr. Richard Hunt, Microbiology and Immunology On-line, 2004.
le regioni ORF16,17,8,10. Attualmente HEV è suddiviso in quattro gruppi (genotipi I-IV)10 distinti in base alla distribuzione
geografica, all’ospite ed al pattern d’infezione. Sono rappresentati rispettivamente dall’isolato Burma, Messicano, Statunitense e Cinese.
Mentre i virus dei genotipi I e II sono isolati esclusivamente
dall’uomo, quelli dei genotipi III e IV sono stati isolati anche
dal suino e da altri animali.
Il genotipo I è prevalente in Asia e in Medio Oriente18,19 dove
causa frequentemente casi di epatite da contaminazione idrica. Il genotipo II è stato isolato per la prima volta in Messico
nel 198616. Il genotipo III è estesamente distribuito: è stato isolato dal suino in Nord America5,20,21, Sud America22, Europa23,24, Nuova Zelanda25, Sud Corea26, Giappone27, Thailandia22
e in alcune di queste aree da rari casi autoctoni di epatite E dell’uomo28,29. Un virus del genotipo III isolato da suini e cervi
selvatici in Giappone è stato recentemente ritenuto la causa di
un episodio di infezione alimentare nell’uomo30,31. Il genotipo
IV è ampiamente limitato all’Asia: è stato identificato in campioni d’archivio di siero suino raccolto in India nel 198532 e da
allora è stato rilevato nei suini a Taiwan, in Cina, Indonesia,
Vietnam, India e Giappone. È stato diagnosticato nell’uomo,
nel suino e altre specie animali in Cina33,34,35,32,36, in Giappone37,38, India39,32, Indonesia e Vietnam40,10. Il genotipo IV causa
nell’uomo casi sporadici di epatite da infezione alimentare. I
differenti genotipi di HEV sono sierologicamente indistinguibili41, tuttavia ricerche nei Primati dimostrano una protezione
crociata fra i quattro genotipi42,43.
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A causa della sua limitata capacità di crescita in colture cellulari, il modello di replicazione di HEV è stato dedotto basandosi sulle analogie con altri virus a RNA. Studi su suini
hanno dimostrato la presenza di RNA virale a polarità positiva in diversi tessuti: fegato, milza, reni, linfonodi, polmoni,
intestino tenue, colon, tonsille, ghiandole salivari, stomaco;
tuttavia la replicazione virale è stata dimostrata, attraverso la
rilevazione di RNA virale a polarità negativa, solo nel fegato,
intestino tenue, colon e linfonodi44. Si presume che il virus
aderisca primariamente ad un recettore situato su epatociti,
cellule dell’intestino tenue, del colon e dei linfonodi.
TRASMISSIONE DEL VIRUS
La principale modalità di trasmissione di HEV è oro-fecale
attraverso acqua o cibi contaminati, per cui l’epatite E rappresenta un importante problema di sanità pubblica umana
nei Paesi in via di sviluppo45. La frequenza e la gravità delle
epidemie sono strettamente associate alle carenti condizioni
igieniche e alla densità della popolazione46.
A differenza di altri virus che si trasmettono per via oro-fecale, non sono frequenti i casi di infezione da persona a persona, neppure fra soggetti conviventi. Nell’epatite E la frequenza di questi casi è intorno all’1-2%, mentre nell’epatite
A può raggiungere il 15%. Un’ulteriore differenza fra queste
due epatiti, ambedue a trasmissione oro-fecale, è che l’incidenza dell’infezione da HEV è inferiore nei bambini rispetto
agli adulti. Nelle aree endemiche, infatti, la prevalenza di anticorpi anti-HAV nei bambini raggiunge anche il 90%, mentre la prevalenza di anticorpi anti-HEV non supera il 10%46.
La trasmissione diretta uomo-uomo risulta di minor rilievo
anche durante epidemie prolungate con più di un picco d’infezione47. Boutrouille e colleghi48 hanno inoltre dimostrato la
presenza di anticorpi anti-HEV nei donatori di sangue francesi. Era già stata precedentemente ipotizzata la trasmissione
dell’infezione tramite il sangue49.
Nonostante siano state documentate viremie prolungate, la
fase viremica dell’infezione è solitamente breve. Si esclude
che la trasmissione iatrogena tramite aghi da un soggetto all’altro possa avere un qualche rilievo, poiché la scarsa quantità di sangue che rimane nell’ago dopo l’iniezione e la breve durata della viremia non consentono che siano veicolate
abbastanza particelle virali da trasmettere l’infezione50. Perciò la probabilità di trasmissione parenterale di HEV è bassa e i casi sono limitati agli ospedali. In particolare, i pochi
casi di infezione sono stati segnalati nel personale sanitario
ospedaliero e nei feti di madri infettatesi durante il terzo trimestre di gravidanza. RNA virale è stato identificato nel
sangue dei neonati, quando la viremia nella madre era già
risolta51. Non essendo stati segnalati casi di portatori cronici del virus, le fonti di contagio sono costituite dai soggetti
con infezione acuta46.
Il virus dell’epatite E è escreto dagli individui infetti con le
feci che rappresentano così la principale fonte di infezione.
La trasmissione sperimentale agli animali di HEV di origine
umana è documentata nei Primati52, nei suini53,54 nei ratti e
negli ovini46. Meng e colleghi hanno evidenziato l’elevata
contagiosità di HEV umano inoculandolo in suinetti SPF che
lo hanno poi trasmesso ad un suinetto rimasto a contatto
con quelli inoculati. Per trasmettere l’infezione, occorrono
alte concentrazioni virali e ripetute esposizioni al virus55. La
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trasmissione naturale di HEV nei suini è oro-fecale, ma la dimostrazione sperimentale di questa via d’infezione è stata
ottenuta solamente nel 2004 da Kasorndorkbua e colleghi50.
In precedenza la trasmissione era stata ottenuta sperimentalmente solo per via intravenosa o intraepatica. I suini sono ritenuti un serbatoio di HEV e l’esposizione alle feci di suini
infetti rappresenta un rischio di trasmissione di HEV ad altri suini e verosimilmente ad altre specie animali e all’uomo.
Nei suini l’età media al momento dell’infezione varia da 59 a
63 giorni e in Giappone più del 95% dei suini risulta infetto
prima dei 150 giorni di vita56.
Nei ratti la contemporanea presenza di HEV e di bassi livelli
di IgG anti-HEV, fa pensare che la viremia possa persistere
per un certo periodo di tempo dopo la comparsa degli anticorpi, contribuendo alla diffusione del virus nell’ambiente
ed al contagio dell’uomo. In Nepal, analisi filogenetiche degli isolati virali di origine murina, hanno dimostrato una
stretta correlazione con gli stipiti di HEV di origine umana,
con il 95-98% di omologia nucleotidica ed il 98% di omologia aminoacidica46.
La trasmissione del virus dagli animali all’uomo in seguito a
infezione alimentare è stata documentata in particolare in
Giappone a causa della frequente abitudine della popolazione di consumare carne di cervo e fegato di cinghiale crudi o
carne di cinghiale e fegato di suino poco cotti. In 9 su 10 casi di epatite E in Giappone la malattia si è sviluppata 2-8 settimane dopo il consumo di carne di suino grigliata o poco
cotta57. Casi di malattia sono stati associati al consumo, poche settimane prima dell’inizio dei sintomi, di carni poco
cotte di cinghiale58 e cervo Sika (Cervus nippon) 30. In particolare sono stati rilevati casi di epatite in individui che avevano mangiato fegato di cinghiale crudo59. Stipiti di HEV geneticamente omologhi sono stati isolati da pazienti con epatite E e dalla carne di cervo, conservata nel congelatore, che
avevano consumato60.
In Gran Bretagna è stato segnalato in una donna un caso di
epatite E acuta in cui l’infezione era causata da un ceppo di
HEV in cui la sequenza aminoacidica era al 100% identica a
quelle di due ceppi di HEV suino presenti nel Paese61.
In Spagna, a Barcellona, la presenza di HEV è stata accertata
mediante PCR negli scarichi e sono stati riportati casi d’infezione per ingestione di frutti di mare crudi46.
Negli Stati Uniti Feagins e colleghi62 hanno trovato HEV (genotipo 3) con RT-PCR in fegati di suino commercializzati in
negozi e ne hanno dimostrato il potere infettante inoculando omogenati di questi fegati a suini in cui si è rilevata eliminazione del virus con le feci, viremia e sieroconversione.
In Francia è stato descritto un caso finora unico di contagio di un uomo per contatto diretto con un minipig tenuto in casa63.
STUDI EPIDEMIOLOGICI NEL SUINO
L’infezione subclinica da HEV è dimostrata da studi sieroepidemiologici in allevamenti suini di tutto il mondo64. Nei
suini europei, analogamente a quanto rilevato in India, il tasso di sieroprevalenza anti-HEV varia dal 20% a >80%, come
è stato documentato in Spagna65,29,66, Gran Bretagna67, Grecia68,69, Paesi Bassi70 e Italia71,72.
In Spagna, in una ricerca su 41 allevamenti industriali, 40
erano positivi all’HEV (97,6%) ed in particolare erano posi-
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tive le scrofe anziane (60,8%), mentre dei suinetti fino a 6
settimane d’età era positivo il 36,2%66.
In Italia, secondo una ricerca sulla presenza di HEV in campioni collettivi di feci raccolti da allevamenti suini toscani e
piemontesi, si è identificato il genoma virale in suinetti di 26 mesi di età in 20 campioni provenienti da 9 allevamenti (in
un totale di 20). Gli isolati virali sono stati classificati come
appartenenti al genotipo III72.
In uno studio analogo condotto in Bolivia, il genoma di HEV
è stato isolato in 7/22 pool di feci di suini (31,8%) ed incluso
anch’esso nel genotipo III73.
In Italia, Martelli e colleghi74 hanno valutato la prevalenza di
HEV in una popolazione selvatica di cinghiali presente nel
Parco regionale dei Gessi Bolognesi. Sono stati inoltre esaminati i possibili fattori di rischio associati all’infezione e le correlazioni genetiche esistenti tra i ceppi identificati e altri ceppi umani e suini. Il genoma virale, ricercato su campioni di
bile da 88 animali abbattuti nel periodo marzo-settembre
2006, è stato identificato in 22/88 animali esaminati (25%).
L’EPATITE E NELL’UOMO
Le prime segnalazioni dell’infezione umana da HEV sono
avvenute in zone a clima tropicale o subtropicale con condizioni igieniche scadenti: Sud-Est asiatico, Medio Oriente,
parte dell’Africa e dell’America centro-meridionale. In queste aree l’infezione è endemica e occorrono epidemie soprattutto durante la stagione delle piogge. La sieroprevalenza è
abbastanza elevata, e può raggiungere e superare il 25% della popolazione generale. Ad esempio, nelle zone rurali del
Sud della Cina l’infezione è endemica da circa 60 anni, la sieroprevalenza media di IgG anti-HEV nella popolazione è del
43% (con oscillazioni dal 25% al 66%) e l’infezione viene
trasmessa soprattutto dai suini43.
L’epatite E, oltre che in forme di tipo epidemico, può manifestarsi in forma sporadica e talora, in casi isolati, in forma
d’epatite fulminante. Il virus, nei Paesi in cui è attualmente
diffuso con elevata prevalenza (Paesi tropicali e sub-tropicali in via di sviluppo, Asia, Africa e America centrale), colpisce
specialmente maschi di 15-35 anni e la mortalità non supera
l’1%, mentre con maggiore gravità colpisce le donne gravide,
specie nel terzo trimestre di gravidanza, con mortalità fino al
25%75. Nel subcontinente indiano l’epatite E rappresenta il
30-60% delle epatiti sporadiche76.
Fino a pochi anni fa i Paesi industrializzati erano considerati indenni. I pochi casi segnalati riguardavano persone che
avevano viaggiato nelle zone endemiche. Ma recentemente,
in USA, Canada, Giappone ed Europa, inclusa l’Italia77, l’Ungheria78 i Paesi Bassi79,70, l’Inghilterra80,13, la Spagna81 e la
Francia82,83, è stato rilevato un aumento dei casi di epatite
sporadica causati da HEV in individui che non avevano viaggiato in Paesi dove la malattia è endemica, e la sieroprevalenza nella popolazione umana è risultata superiore a quella attesa. È stato inoltre dimostrato che diversi episodi epidemici
di epatite, verificatisi nel passato ed erroneamente attribuiti
al virus dell’epatite A, erano stati in realtà causati da HEV46.
Nei Paesi Bassi la sieroprevalenza è più elevata nelle persone
che hanno contatto con suini o con l’ambiente dell’allevamento suino84. A differenza della malattia nelle regioni iperendemiche, che è causata da HEV di genotipo I, l’epatite E
autoctona nei Paesi sviluppati è causata da HEV di genotipo
III o IV, ha inoltre una predilezione per i maschi di mezza età
e anziani, e si manifesta soprattutto in primavera, estate ed
autunno80.
Si presume che dopo essere stato assunto per via orale il virus replichi nel tratto intestinale: è stato provato che in corso d’infezione sperimentale RNA virale è presente nelle feci
prima che nella bile ed in quantità 10 volte maggiore rispetto a quest’ultima50. Il virus raggiunge quindi il fegato tramite la vena porta, replica nel citoplasma degli epatociti, poi è
rilasciato nelle vie biliari, tramite le quali raggiunge nuovamente l’intestino da cui viene eliminato con le feci85.
Il periodo d’incubazione dell’epatite da HEV è di 2-9 settimane, durante il quale è già possibile mettere in evidenza un
aumento delle transaminasi. La malattia si presenta nella
maggior parte dei casi come un’epatite anitterica preceduta
da sintomatologia febbrile aspecifica. Nei casi conclamati il
decorso clinico è simile a quello di altre epatiti acute e si rilevano urine ipercromiche, feci ipocoliche ed ittero. Gli indici di funzionalità epatica si normalizzano generalmente in
1-6 settimane. Il diverso decorso clinico dipende probabilmente dal grado di risposta immunitaria dell’ospite e dalla
carica virale assunta, come suggeriscono i risultati di infezioni sperimentali negli animali. Non vi sono prove della
cronicizzazione dell’infezione o della persistenza della replicazione virale a livello epatico, ma sono stati segnalati casi di
malattia a decorso prolungato con persistenza degli indici di
colestasi che si normalizzano dopo 2-6 mesi. In una piccola
percentuale di pazienti, in special modo nelle regioni dove la
malattia è endemica, il tasso di letalità oscilla intorno allo
0,5-1%, leggermente superiore a quello riscontrato per l’epatite A (0,2%).
In Europa l’epatite E fulminante non era ritenuta particolamente frequente, ma di recente in Spagna81 e in Francia sono stati segnalati diversi casi autoctoni. L’insufficienza epatica acuta si accompagnava a encefalopatia e coagulopatie
(indice di protrombina <50%)83. In Gran Bretagna è stato
reso noto il primo caso di epatite E acuta autoctona di origine trasfusionale86.
Ai fini della conferma della diagnosi vengono utilizzati test
ELISA per la ricerca di anticorpi46. Le IgM anti-HEV compaiono nel siero dei pazienti infetti al sorgere dei sintomi e
rimangono identificabili per circa 2-3 mesi. Le IgG possono
essere individuate tempestivamente dopo la risposta delle
IgM. Il titolo delle IgG aumenta durante la fase acuta fino alla convalescenza, rimanendo elevato da 1 a 4 anni dopo il
picco d’infezione15. La caratterizzazione del genoma virale ha
reso possibile la produzione di antigeni ricombinanti particolarmente utili per la diagnosi in fase acuta di malattia. Metodiche di RT-PCR sono attualmente disponibili per svelare
il genoma virale nel sangue e nelle feci, sempre durante la fase acuta dell’infezione46.
Sul piano clinico-epidemiologico l’epatite E esibisce in definitiva due varianti: l’epatite E c.d. classica dei Paesi asiatici e l’epatite E autoctona del Giappone e dell’Europa87. La
prima interessa di norma i giovani adulti, mentre la seconda tende ad essere più frequente nelle persone di 50 anni ed
oltre, probabilmente per una caduta dell’immunità acquisita in gioventù. Inoltre nell’epatite E c.d. classica l’insufficienza epatica acuta grave occorre specialmente in donne
gravide e raramente negli anziani, mentre i casi di epatite
fulminante in Giappone e in Europa si osservano prevalentemente in anziani in cui epatopatie croniche ed alcolismo
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possono agire da fattori di rischio per l’insorgere di questa
grave patologia88.
Istologicamente, l’epatite E autoctona dell’uomo si manifesta
con alterazioni regressive disseminate degli epatociti (apoptosi, degenerazione acidofila e pallomiforme di singole cellule, steatosi, necrosi focale), accentuata colestasi con “rosette
colostatiche” (una forma di metaplasia biliare degli epatociti) e con o senza proliferazione di dotti biliari, ipertrofia delle cellule di Kuppfer con accumulo di pigmenti biliari, spazi
portali espansi da infiltrazione di cellule infiammatorie con
granulociti alla periferia e linfociti al centro, epatite interfacciale e colangiolite da moderata a grave, intensa infiltrazione
cellulare (granulociti, linfociti e macrofagi) a livello dell’acino89,90. Secondo Péron e colleghi88 le lesioni istologiche più
tipiche dell’epatite acuta sono una grave necrosi intralobulare e una colangite acuta con numerosi neutrofili. In alcuni
casi è stata rilevata una grave colangite distruttiva linfocitaria91. Invece, nei casi di epatite da infezione da HEV conseguente all’introduzione dall’estero, l’infiammazione portale
e a livello di acino è meno intensa, non si rileva la colangite
e la distribuzione dei leucociti nell’infiammazione portale
non è orientata90.
Nei Primati infettati sperimentalmente con HEV umano il
decorso dell’infezione è simile a quello della specie umana.
La dose infettante necessaria per indurre un’infezione per via
orale è più elevata di quella necessaria nel caso della via intravenosa52. Dopo un periodo di incubazione di 3-8 settimane si ha il picco viremico e la maggior eliminazione del virus
con le feci. Il virus è dimostrabile tramite ISH nella regione
submembranosa degli epatociti nel periodo iniziale dell’infezione, nella zona apicale di cellule epiteliali biliari nel periodo preepatitico e nell’intero citoplasma delle cellule biliari di
medie dimensioni nel periodo dell’epatite acuta92.
IL SUINO COME SERBATOIO
D’INFEZIONE
La presenza di anticorpi anti-HEV in animali nelle regioni
dove HEV è endemico e in suini e ratti negli Stati Uniti, ha
suggerito l’esistenza di serbatoi animali d’infezione. La possibilità che il virus dell’epatite E possa agire come agente
zoonosico emergente è supportata dall’isolamento di HEV, e
virus HEV-correlati, da suini e da altri animali domestici e
selvatici. La trasmissione interspecie è stata dimostrata sperimentalmente: uno stipite americano di HEV umano è stato
trasmesso al suino ed uno di HEV umano è risultato infettante per le scimmie.
Il ruolo del suino nella trasmissione di HEV all’uomo è ancora in fase di studio. Il virus risulta essere molto diffuso nella popolazione suina dove infetta prevalentemente soggetti
di età superiore ai tre mesi, causando lievi alterazioni asintomatiche a livello epatico. L’osservazione che stipiti suini di
HEV sono antigenicamente e geneticamente omologhi a
quelli umani isolati nella stessa area geografica, ha indicato
che HEV di origine suina possa infettare l’uomo. Indagini
sieroepidemiologiche per HEV, eseguite su persone che lavorano a stretto contatto con i suini hanno evidenziato sieroprevalenza più elevata rispetto ai normali donatori di sangue. La presenza di anticorpi anti-HEV in allevatori di suini
del Nord Carolina è risultata di 4,5 volte superiore rispetto
ad altre categorie professionali46. In Italia la sieroprevalenza
253
in addetti alla macellazione di suini nella Regione Lazio è risultata nettamente superiore (33%) rispetto a quella della
popolazione generale (2,9-3,3%)93.
In Cina le persone impiegate nell’allevamento dei suini sono
soggette a un rischio d’infezione da HEV del 74% più elevato rispetto a persone diversamente occupate, mentre le persone che vivono in comunità prossime ad allevamenti suini
hanno un rischio del 29% più elevato rispetto alle persone
che vivono in comunità distanti94.
In India gli uomini sono infettati dal genotipo I di HEV
mentre i suini sono infettati dal genotipo IV, e perciò, nonostante l’elevata prevalenza dell’infezione da HEV nei suini nel Paese, si ritiene che essi non costituiscano il serbatoio
del virus32.
Anticorpi anti-HEV sono stati accertati in altri animali:
scimmie, roditori, polli, cani, bovini, pecore e capre6,95,96,97,98,99,100,101,102. In questi casi per spiegare la sorgente
della trasmissione si è pensato alla possibilità che il suino
possa non essere l’unico serbatoio di HEV98,103.
La elevata correlazione fra ceppi europei umani e suini di
HEV non implicherebbe necessariamente un legame di trasmissibilità tra le due specie104. È possibile che esista un serbatoio comune alle due specie. In merito non è da escludere
l’importanza dei roditori, dato che, ad esempio, negli Stati
Uniti il tasso di sieroprevalenza in questi animali può arrivare al 60%101.
L’EPATITE E NEL SUINO
L’epatite E nei suini decorre di regola in forma asintomatica
ed è diagnosticabile solo con ricerche di laboratorio.
Le uniche alterazioni patologiche rilevate macroscopicamente durante l’infezione da HEV sono aspecifiche e consistono
in un moderato ingrossamento dei linfonodi mesenterici ed
epatici dal 7° al 55° giorno PI5,53,54. Solamente Lee e colleghi105
hanno accennato al reperto di piccoli foci giallognoli sparsi
sulla superficie del fegato di suini infetti allevati nell’Isola di
Jeju (Sud Corea).
Nell’infezione da HEV naturale5,53,106,105 e sperimentale54 solo
l’indagine istologica rivela un’epatite multifocale caratterizzata dalla presenza di modesti infiltrati linfoplasmocitari e
istiocitari sinusoidali e periportali associati a degenerazione
vacuolare degli epatociti e necrosi o apoptosi di singoli epatociti in limitate aree a distribuzione irregolare. La valutazione delle lesioni microscopiche suggerisce che il ceppo US-2
umano induce nei suini lesioni epatiche più gravi e persistenti del ceppo suino stesso105.
Nei suini è nota un’altra epatite asintomatica, anitterica, e di
esclusiva evidenza istologica (microepatite: epatite a microfocolai con prevalenti mononucleati) che si rileva nella PMWS
(Post-weaning multisystemic wasting syndrome) da PCV-2
(Porcine circovirus tipo 2)106,107,108. Mentre nella PMWS (e in
altre virosi: peste suina africana, Moulton e Coggins, 1968109;
PRRS, Halbur e Bush, 1997110) è evidente solo nella malattia
clinico-patologicamente conclamata (epatite virale secondaria), nell’infezione da HEV tale microepatite è invariabilmente primaria, asintomatica e macroscopicamente non sospettabile111,64. Inoltre, a differenza di quanto occorre nell’infezione
da HEV della donna gravida, non è stata rilevata alcuna esacerbazione dell’epatite, che rimane esclusivamente un reperto istologico, in giovani scrofe sperimentalmente infettate con
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L’epatite E nell’uomo e nel suino
HEV durante la gravidanza112. Una lievissima epatite linfoplasmocitaria multifocale con rare necrosi epatocellulari è stata
rilevata in 9/17 (53%) suini usati come controlli (negativi anche per virus della PMWS, PRRS e pseudorabbia) nell’esperimento di inoculazione di HEV umano e suino citato sopra54.
Secondo gli autori queste microepatiti sono “alterazioni di
fondo normali” (normal background changes) nei fegati suini
e risultano comunque più lievi di quelle indotte da HEV.
Marcato e colleghi113 hanno effettuato esami istologici, per la
ricerca di equivalenti di microepatite, sul fegato di suini normali alla visita sanitaria ante e post mortem, di suinetti SPF e
di suinetti con infezione sperimentale da HEV. Una microepatite linfocitaria (intralobulare e/o perilobulare) (Figg. 4 e
5) ha rilevato una elevata incidenza (41%) su oltre 500 suini
regolarmente macellati (224/547), e si è attestata al 9% su oltre 300 suinetti SPF (28/307) ed è stata diagnosticata in 7 su
8 suini infettati da HEV (4 per os e 3 per contatto). Gli animali infettati presentavano anche enterite linfoplasmocitaria
(Fig. 3) con accentuata iperplasia del GALT. Nei fegati con
microepatite (≥10 microfocolai per sezione istologica di 2 ×
2 cm) di 19 suini macellati l’indagine immunoistochimica
impiegata per identificare antigeni del PCV-2 è risultata ne-
gativa (per controllo positivo è stato impiegato un linfonodo
con lesioni da PMWS). Casualmente la percentuale di microepatiti in questi suini macellati ha coinciso con la percentuale (41%) di soggetti con feci positive a HEV-RNA registrata in suini in età da macello da Leblanc e colleghi45 nel
Canada. Tuttavia la prova che le microepatiti nei suini normalmente macellati in Italia (vedi sopra) sono causate da
HEV non è stata finora ottenuta con metodi di laboratorio in
corso di perfezionamento (ISH e immunoistochimica).
L’immunoistochimica ha infatti evidenziato dubbie positività in gruppi di epatociti o in singoli epatociti (Fig. 6) e raramente in leucociti dei focolai di microepatite. Questi risultati potrebbero essere attribuiti al fatto che HEV suino replica nel fegato per un periodo di tempo assai limitato44,54, a
meno che non si voglia assumere che tali microepatiti nei casi più lievi siano “alterazioni di fondo normali” del fegato
suino, come suggerito da Halbur e colleghi54.
Williams e colleghi44 con la RT-PCR hanno messo in evidenza potenziali siti di replicazione extraepatici. La presenza di
RNA virale è stata riscontrata, oltre che nel fegato, nell’intestino tenue, nel colon, nella milza, nei reni, nelle tonsille e nei
linfonodi epatici e mesenterici.
Figura 3 - Istopatologia. Suino. Enterite in suino infettato da
HEV. E-E.
Figura 5 - Istopatologia. Suino. Focolaio di epatite intralobulare in
suino infettato da HEV. E-E.
Figura 4 - Istopatologia. Suino. Focolaio di epatite interstiziale
portale in suino infettato da HEV. E-E.
Figura 6 - Immunoistochimica con anticorpo policlonale anti-HEV.
Suino. Fegato. Positività granulare nel citoplasma di singoli epatociti.
La reazione positiva per antigene di HEV è da considerare dubbia.
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De Deus e colleghi114 hanno rilevato HEV con RT-PCR in almeno uno dei campioni esaminati (di fegato, linfonodi mesenterici, siero, bile e feci) di 15 suini naturalmente infetti
con epatite microscopica da lieve a moderata.
La metodica RT-PCR, tuttavia, non permette di localizzare
HEV nelle strutture dei tessuti infetti e perciò non permette
di studiare l’interazione virus-cellule. La tecnica dell’ibridazione in situ (ISH) permette invece di identificare la localizzazione cellulare del virus (positive strand HEV-RNA) nei
tessuti infetti dei quali viene mantenuta evidente la morfologia istologica. Con questa tecnica, nel 2003 Choi e Chae115, in
campioni fissati in formalina e inclusi in paraffina, hanno
evidenziato un forte segnale di ibridazione positiva nel fegato e nei dotti biliari, ma anche nell’intestino, nei linfonodi,
nelle tonsille, nella milza e nei reni. Comunque, l’impiego
dell’ISH è possibile solo in laboratori specializzati in quanto
richiede maggior complessità tecnica e dispendio economico
rispetto alla ricerca immunoistochimica.
Nel 2004 Ha e Chae116, con la tecnica immunoistochimica su
sezioni di tessuto incluso in paraffina, impiegando un anticorpo policlonale di coniglio anti-HEV umano che reagisce con
HEV suino, hanno dimostrato la presenza dell’antigene virale
nel fegato (negli epatociti di numerosi lobuli), nell’intestino,
nei linfonodi, tonsille e milza di suini selezionati in quanto positivi alla RT-PCR. Il principale sito di infezione cellulare sono
risultate le cellule epatiche (localizzazione citoplasmatica sotto
forma di fini granuli). Il virus è stato localizzato negli epatociti normali, mentre gli epatociti in degenerazione erano negativi per l’antigene di HEV suino. Si è ipotizzato che questo stato
degenerativo possa essere l’espressione di alterazioni reattive
secondarie all’infezione da HEV. L’ipotesi è avvalorata dall’osservazione che il danno epatico può essere indotto dalla risposta immunitaria all’invasione del virus e può non essere un effetto diretto della replicazione virale negli epatociti117,92. Negli
altri tessuti esaminati l’intensità e la diffusione della colorazione positiva per HEV suino erano inferiori rispetto al fegato.
Cellule HEV-positive sono state rilevate nella zona mantellare
dei linfonodi, in cellule site nel centro di follicoli iperplastici
delle tonsille e attorno alle guaine linfoidi periarteriolari della
milza. Altre cellule HEV-positive erano sparse nella lamina
propria della mucosa intestinale e nell’interstizio dei reni. Queste cellule HEV-positive erano simili a linfociti e a macrofagi.
Le indagini con l’ISH e con l’immunoistochimica sono state
svolte con successo su fegati con infezione da HEV, ma in assenza di reperti di microepatite. HEV, pertanto, non è stato
ancora identificato nei focolai di microepatite e più precisamente né negli epatociti né nelle cellule infiammatorie che si
rilevano in tali focolai, e nemmeno in cellule epatiche prossime o lontane da focolai di microepatite.
Rimane comunque indubbia la concomitanza dell’infezione
epatica da HEV, accertata con RT-PCR, e di focolai di microepatite. Sebbene una microepatite linfocitaria sia presente in altre virosi suine, a differenza dell’epatite E queste sono
sempre clinico-patologicamente conclamate. L’epatite da
HEV sarebbe pertanto l’unica epatite virale asintomatica nel
suino. Rimane tuttavia ancora da perfezionare a livello microscopico la prova del rapporto causale tra HEV ed un’epatite asintomatica nei suini infetti. Sarebbe auspicabile, pur
considerando la breve permanenza del virus in fase replicativa nel fegato, che nei suini con infezione da HEV si potesse
dimostrare che il virus permanga nei focolai infiammatori
epatici perlomeno in casi sperimentali.
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IL PROBLEMA
DEGLI XENOTRAPIANTI
Il suino, più che i Primati, si è dimostrato il donatore animale di primario interesse nella pratica degli xenotrapianti, soprattutto perché i suoi tessuti sono per forma e dimensione
compatibili, nonché fisiologicamente affini, a quelli umani118,119. Nell’uomo, per sopperire ad insufficienze epatiche
causate da tumori al fegato o cirrosi scompensate, recenti
orientamenti prevedono il suino tra i possibili donatori come soluzione alla scarsità di organi umani disponibili85. Ma
con questa pratica non si può escludere l’involontaria trasmissione di malattie zoonosiche dagli animali donatori all’uomo ricevente (xenozoonosi). L’organo trapiantato potrebbe essere infettato da virus, non necessariamente patogeni, i quali, dopo xenotrapianto, potrebbero andare incontro
a ricombinazione o adattamento in riceventi immunocompromessi divenendo patogeni per l’uomo. Inoltre alcuni virus non provocano sintomi clinici manifesti, ma permangono latenti nei tessuti rendendo complicato il processo diagnostico e risultando di difficile eliminazione85.
Il virus dell’epatite E (prima denominata epatite “non-A,
non-B, non-C” a trasmissione enterica - enterically transmitted non-A, non-B, non-C hepatitis) per la sua capacità di attraversare la barriera interspecie potrebbe trasmettersi all’uomo a seguito di xenotrapianto120. In Cina è dimostrato
che il suino è il principale serbatoio di HEV e che è in grado
di infettare la specie umana96.
Nei trapianti sono utilizzati suini SPF, i quali dovrebbero garantire la totale assenza del virus dell’epatite E (HEV). Nell’uomo, la diagnosi di laboratorio di HEV è effettuata tramite la ricerca di anticorpi nel siero con tecniche immunoenzimatiche (EIA); tuttavia i kit presenti in commercio sono
scarsamente specifici e sensibili, per cui i risultati ottenuti
devono essere interpretati con cautela soprattutto in situazioni di bassa endemia121. Si preferisce perciò affiancare all’indagine indiretta, la ricerca diretta del virus con tecniche
molecolari, quali la RT-PCR, che consentono di rilevare il genoma virale con maggior specificità e sensibilità. La PCR
presenta però la limitazione di essere puramente qualitativa
e laddove si esegua una reazione di tipo Nested, è suscettibile di contaminazione122.
Le sole indagini sierologiche sono inadeguate perché gli anticorpi anti-HEV compaiono due settimane dopo l’infezione. Infatti, nei ratti, la contemporanea presenza di HEV e di
bassi livelli di IgG anti-HEV fa pensare che in questi animali
la viremia possa persistere per un certo periodo di tempo dopo la comparsa degli anticorpi, contribuendo alla diffusione
del virus nell’ambiente ed al contagio per l’uomo46. La viremia e la presenza del virus nelle feci si realizzano molto prima rispetto alla comparsa di anticorpi, per cui suini sieronegativi possono invece essere infetti5,53. Le indagini sierologiche possono essere associate alla RT-PCR, che è stata usata
con successo nella ricerca di ceppi differenti di HEV suino da
suini infetti5,98,103,123,124,20. Tuttavia l’uso della RT-PCR è limitato dalla diversità dei genotipi isolati nelle diverse aree geografiche. L’identificazione e la caratterizzazione dei genomi
dei ceppi isolati recentemente diventano fondamentali per
poter definire una RT-PCR che individui tutti i genotipi che
possono essere presenti nei suini donatori di organi120.
Halbur e colleghi54 hanno infettato suini SPF con il ceppo di
HEV US-2 (autoctono negli Stati Uniti con alta percentuale
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L’epatite E nell’uomo e nel suino
di omologia con il primo ceppo suino identificato nel 1997,
noto per essere patogeno nell’uomo)125,126,127. L’RNA virale è
stato rilevato nelle feci, nella bile, nel siero e nel tessuto epatico dei suini inoculati, i quali hanno sviluppato anche una
microepatite. Ciò conferma che i suini possono essere considerati un serbatoio di HEV e responsabili di trasmissione del
virus all’uomo.
In definitiva, vista la possibilità di cross-infezioni tra suino e
uomo54,55, il fegato di suino o le cellule di fegato suino da suini infetti da HEV se usati in xenotrapianti possono rappresentare un rischio per la trasmissione di HEV dai suini ai
soggetti riceventi.
❚ Human and Swine Hepatitis E
SUMMARY
A significant cause of morbidity and mortality in humans
worldwide is viral hepatitis from infection with one of the
hepatitis viruses: HAV, HBV, HCV, HDV, HEV (Hepatitis E
Virus). HEV has been classified in the genus Hepevirus (fam.
Hepeviridae) and there are 4 major recognised genotypes (IIV) with a single known serotype. HEV is a major etiological
agent of enterically-transmitted viral endemic hepatitis in
several developing countries. In the Indian subcontinent, it
accounts for 30-60% of sporadic hepatitis. There is strong evidence that HEV is a zoonotic virus that circulates among different animal species including humans. Anti-HEV antibody
has been detected in monkeys, pigs, rodents, chickens, dogs,
cows, sheep, and goats. Occasionally, HEV could infect humans through direct contact with domestic or wild animals
and their waste or with contaminated food or water supplies.
Swine is a principal reservoir of HEV that infects humans in
China and persons engaged in occupations related to swine
farming were found to have a higher risk of infection.
HEV infections of humans in Europe are recognized as an
imported disease related to travel to endemic regions. However, indigenous transmission of HEV may also occur and
swine and rodents may act as a possible reservoir. Hepatitis E
from autochthonous HEV infection in industrialized countries is a distinct clinico-pathological and epidemiological
entity and more prevalent than previously considered. In Europe results of serological assays confirmed that exposure to
swine or their environment was associated with elevated
HEV seroprevalence. HEV in swine in USA and Europe is genetically closely related to HEVs isolates from humans. Human-HEV strain (US-2 strain) was transmissible to pigs and
caused hepatitis. Cases of food borne infection from consumption of raw or undercooked pork are mainly described
in Japan and rarely in Europe. A possible zoonotic transmission of HEV from direct contact between a pet pig and its
owner has recently occurred in France. Hepatitis E in humans is mostly self-limited and never progresses to chronicity. It has a higher severity, with death rates as high as 25%,
in pregnant women and in old men where the disease condition is accentuated by a fulminant liver failure with encephalopathy and coagulation disorders. Characteristic
pathological signs of acute hepatitis E in humans are severe
intralobular necrosis, polymorph inflammation, and acute
neutrophilic or seldom lymphocytic destructive cholangitis.
In hepatitis E from endemic countries severe cholangitis is
absent and portal inflammation milder.
Evidence of clinical disease or elevation of liver enzymes or
bilirubin is not found in pig naturally or experimentally infected with HEV. Mildly to moderately enlarged hepatic and
mesenteric lymph nodes are the only alterations observed at
necropsy. Microscopic liver exams show a mild to moderate
multifocal lymphoplasmacytic and histiocytic hepatitis, vacuolar degeneration and swelling of hepatocytes and individual necrotic or apoptotic hepatocytes. A strong immunohistochemical signal of HEV-antigen may be seen within a variable number of hepatocytes in multifocal lobules. A similar
microscopic liver damage is also found in cases of PCV-2 infection, but only in animals clinically affected by PWMS. Although some authors have found a very mild focal liver lymphocytic infiltrations in ″ 52% non virus infected control
pigs or in ″ 41% healthy slaughtered pigs, an asymptomatic
focal lymphocytic hepatitis seems to occur only in HEV infected pigs.
Human hepatic failure may someday be treated by
xenograft implantation of porcine liver. Since swine HEV
does not cause any clinical symptoms in the natural host
but is a likely zoonotic pathogen of which pigs are reservoirs and can infect human beings and cause hepatitis, pig
livers or cells from the livers of HEV-infected pigs may represent a risk for transmission of HEV from pigs to human
xenograft recipients.
KEY WORDS
Hepatitis E, HEV, human, swine, zoonosis.
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