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Pubblicato il 31 Agosto 2016
Alla 56.ma edizione del Plautus Festival è andato in scena il capolavoro esotico di Verdi
Aida di grande suggestione
servizio di Edoardo Farina
SARSINA (FC) - Tra le proposte della 56.ma edizione del Plautus Festival di Sarsina-Calbano nel
forlivese, organizzato dall’Associazione “La Pomme” dopo il recente riscontro al Castello Sismondo di
Rimini con la rappresentazione di Tosca di Giacomo Puccini, con l’Orchestra “Città di Ferrara” e per
merito della bacchetta del M° Fabrizio da Ros (qui), torna con un’altra opera trionfale in assoluto, Aida
di Giuseppe Verdi messa in scena il 12 agosto 2016 nella sede del teatro Arena Plautina. Tutto
nuovamente esaurito per i celebri quattro atti su libretto del poeta e scrittore Antonio Ghislanzoni basati su un soggetto originale dell'archeologo francese Auguste Mariette - a cui il nome è legato, ma
anche alle revisioni di “La Forza del Destino” e del “Don Carlo”.
Isma'il Pascià, kedivè d'Egitto, commissionò un inno a Verdi per celebrare l'apertura del Canale di
Suez nel 1868, offrendogli un compenso di 80 mila franchi; inizialmente il Maestro rifiutò, sostenendo che non era in uso
scrivere musica d'occasione e circostanza, trovando però in seguito la richiesta considerevole di attenzione e accettando
solo quando pervenne l'invito a comporre un'opera per l'inaugurazione del nuovo teatro della capitale, dopo che Mariette
mandò il 27 aprile 1870 uno schema di libretto su un soggetto egiziano a Camille du Locle, direttore dell'Opéra-Comique di
Parigi, scrivendo: «Ciò che il Viceré vuole è un'opera egiziana esclusivamente storica. Le scene saranno basate su
descrizioni storiche, i costumi saranno disegnati avendo i bassorilievi dell'alto Egitto come modello».
Aida va in scena al Teatro dell’Opera del Cairo la sera del 24 dicembre 1871 sotto la direzione del noto contrabbassista di
allora Giovanni Bottesini, raggiungendo un effetto sensazionale soprattutto nell’esecuzione della celebre marcia, per la quale
scaturì una autentica ovazione. Verdi non è presente al debutto ma si guadagna il prestigioso titolo di Commendatore
dell’Ordine Ottomano. Un anno dopo ha luogo la “prima” italiana nella pomposa cornice del Teatro alla Scala di Milano: è la
sera dell’8 febbraio 1872, direttore è il compositore Franco Faccio.
L'azione ha luogo a Menfi e Tebe all'epoca della potenza dei faraoni; Radamès, un valoroso comandante militare, viene
incaricato di contrastare l’invasione dell’esercito etiope. E’ innamorato di Aida, una loro schiava, portata in Egitto, dove però
nessuno conosce la sua vera identità, combattuta fra l’amore per lui e l’affetto per il suo popolo. A dividerli non è solo una
questione sociale, egli è anche il futuro erede al trono egiziano essendo promesso ad Amneris, la figlia del faraone. Quando
durante una seconda guerra viene catturato Amonasro Re d’Etiopia e padre di Aida, questi la convince ad usare il suo
ascendente sull’amante. Da prigioniero spia un incontro dei due innamorati durante il quale Radamès le confida il luogo e la
prossima mossa dell’Egitto ove attaccheranno gli etiopi. In tal modo cade incautamente nel tranello e facendogli rendere
conto di avere tradito la sua patria lo convince a consegnarsi nelle mani dei sacerdoti per essere punito. Condannato a morte
viene ordinato ad essere seppellito vivo nonostante le suppliche da parte di Amneris verso il padre; vicino al suo sepolcro
trova inaspettatamente Aida che coraggiosamente affronta la tragica sorte con lui.
Ventiseiesimo e terzultimo capolavoro verdiano, è un’opera difficile da mettere in scena, senza nulla togliere alle precedenti,
soprattutto per il fatto di porre al direttore e al regista un falso dilemma, come già sostiene il critico Maurizio Maravigna.
La versione popolare vuole infatti sia un melodramma plateale: marce, animali, sfingi e obelischi di cartapesta ove le
edizioni areniane rispondono quasi sempre ad una determinata tipologia di lettura, mentre i musicologi invitano a cercare
diversamente la sua bellezza nelle pagine più intimistiche e nella raffinata orchestrazione. Quale visione prediligere? In realtà
la scelta non si pone, basterebbe rileggere Massimo Mila, uno dei più importanti storici della musica, vissuto nel novecento e
riflettere sul fatto che, dopo la Trilogia popolare (Rigoletto, Trovatore e Traviata), il “cigno di Busseto” si avventura per i sentieri
della Storia e, nello stesso momento in cui riduce i confini tra le forme chiuse, si chiede come coniugare individuale e
collettivo, come rappresentare l’intersezione tra pubblico e privato. Insomma, si era messo su una strada – dove aveva già
incontrato “Don Carlo” – che lo avrebbe portato alla continua pienezza di vita delle opere shakespeariane. Il contesto, in
questo Verdi, non è un elemento secondario, neppure se si tratta di un Egitto di fantasia, come precisa persino la sinfonia
d’apertura: non ci sono solo il tema di Aida e di Amneris, ma anche quello degli uomini di Dio, ove il conflitto tra individuo e
ragione di stato, o autorità ecclesiastica, è posto a epigrafe.
Fabrizio da Ros ha diretto ancora una volta con grande sicurezza servendosi di una dinamica sonora insidiosa per via
dell’esecuzione all’aperto ma riuscendo a curare con estrema attenzione ogni sfumatura: il fraseggio degli archi morbido e
vellutato, i pianissimi appena udibili. Di tanto in tanto l’ascoltatore si stupisce per la bellezza di certi passaggi che fino a quel
momento non aveva neppure notato e apprezza la sapienza della scrittura orchestrale. Le scene di massa, la celebre Marcia
e tutti i momenti eroici fortemente in conflitto ma connessi tra loro creano un effetto finale isolato, come fossero due blocchi
autonomi e distinti, quasi analoghi alle “due anime” di Aida.
Profondamente commossi dalla stessa figura e del suo destino di vittima, prigioniera ed etiope per giunta, riesce
egregiamente a coinvolgere nel dolore dei vinti: così, la grande sfilata dell’atto secondo rivela la sofferenza di un popolo
sconfitto, non rimanendo certamente solo esteticamente decorativa.
La brava Raffaella Battistini nel ruolo di Aida si è perfettamente calata nel ruolo con grande forza comunicativa, vera e
propria dominatrice della scena, sia nei duetti che nei concertati con coro e strumentisti; la Battistini è sempre stata
all’altezza della situazione senza mai dare segni di cedimento nonostante la durata considerevole dello spettacolo, oltre tre
ore con due intervalli.
Sia Antonio Marani, nel ruolo di Ramfis, che Luca Gallo, il Re, dispongono di una voce potente ricordando con rispetto la
tipologia da celebre basso del passato.
Ben caratterizzato poi Amonasro, interpretato dal baritono Francesco Baiocchi, quindi ottima prestazione anche da parte del
tenore Roberto Iuliano nelle vesti di Radamès, riuscendo ad esprimerne la tipologia in modo assai convincente, senza nulla
togliere a tutti gli altri bravi ed eccellenti cantanti/attori.
Infine la partecipazione del Centro Studi Danza e Arti Coreografiche di Gambettola, coordinato da Eleonora Pandolfini e
Giorgia Muratori, che fin dal debutto al Teatro Bonci di Cesena l’inverno scorso nella realizzazione della stessa performance,
ha destato grande attenzione per il sincronismo e precisione, nonostante la giovane età dei ballerini, tutti in grado di
dimostrare impegno e passione.
L’angusto spazio non propriamente adatto al teatro musicale o concerto bensì alla prosa in quanto privo della possibilità di
montare scene ampie e dall’acustica abbastanza sacrificata, non ha compromesso l’esito ad ogni modo sfarzoso riguardo
quella che normalmente viene considerata un po’ l’Opera delle opere, la più ottemperata e per tradizione legata
immancabilmente ai programmi decennali nel tempio della lirica per eccellenza, l’Arena di Verona (eseguita per
l’inaugurazione del 1913 in occasione del primo centenario della nascita di Verdi).
La regia affidata alla grande capacità di Gianmaria Romagnoli, ha contribuito a rendere intarsi straordinari, esempio di dolore
e lirismo in cui la meravigliosa attitudine compositiva di Verdi fa onore con superba maestria nel supporto strumentale da
parte dell’Orchestra Città di Ferrara, compagine autonoma di musicisti nata nel 1992 nella città estense con il sostegno del
M° Claudio Abbado.
Giuseppe Verdi, considerato il musicista "rivoluzionario” per eccellenza, dispone di rigore autentico dalle pagini forti e ribelli,
spesso connesse con la situazione politica non solo dell’Italia ma di tutto il suo tempo. Nelle sue note si rivelano verità
profondamente sofferte, sentimenti umani universali, seguendo le precise regole del melodramma qui messe bene in
relazione e musicalmente valorizzate, poi il merito va anche ai grandiosi costumi a cura di Maria Teresa Nanni e Laura
Donini, consentendo allo spettatore di immergersi nell’evento assaporando i caratteri dei personaggi e coinvolgendolo nella
dolorosa lirica che si sta narrando. Buona sinergia infine tra il “Coro Maria Callas” di Cesena e il “Coro Amintore Galli” di
Rimini diretti rispettivamente dai maestri Lorenzo Lucchi e Matteo Salvemini, in grado di sorreggere egregiamente
l’ensemble e tutti i protagonisti in questo progetto assai impegnativo e di spessore.
Crediti fotografici: Fabio Bernoni per Plautus Festival di Sarsina
Nella miniatura in alto: Raffaella Battistini splendida Aida a Sarsina
Sotto: Luca Gallo (il Re); Antonio Marani (Ramfis); e Francesco Baiocchi (Amonasro)
Al centro: ancora la Battistini con Roberto Iuliano (Radamès)
In fondo: una panoramica dall'alto di Fabio Bernoni sull'allestimento di Sarsina
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