Nel 1978 su progetto di Riccardo Schweizer (18925-2004) venne realizzato il ristorante “da Silvio” definito e coralmente riconosciuto come “opera d’arte”. Se l’edificio in cui si colloca si trova privo di interesse storicoartistico, l’allestimento interno al piano terra dove si trova il ristorante assume una particolare rilevanza dal punto di vista dell’interesse culturale. L’allestimento del ristorante sotto la direzione del pittore – che lavorò in questo caso come “mago” ricollegandosi alle esperienze futuriste – portò alla realizzazione di un’opera totale, in cui arte, architettura e design intessono un dialogo che supera i lessici disciplinari arrivando ad una comune unica espressione. Il complesso degli ambienti è stato indicato quale espressione materiale della ricerca di Riccardo Schweizer dio un superamento della distinzione tra arte e vita: nei suoi quadri oggetti d’uso quotidiano sono smontati e rimontati in collage, altri vengono rivisitati in una nuova funzione che si apre al poetico. Nell’allestimento – mai definitivo – emergono, tra continui rimandi e reciprochi approfondimenti, le diverse influenze: il sodalizio con Wenter Marini e la lezione cubista di Picasso, l’amicizia con l’architetto Francois Druet e il ceramista Roger Capron, il richiamo a Carlo Scarpa, della cui produzione si serve per integrare gli arredi. Il ristorante si compone di sei locali, a cui si aggiungono due edifici e i servizi. L’atrio riscatta l’anonima architettura con l’affresco a formelle “suite ecologica”, la bussola con gradini sospesi di ispirazione scarpiana, pannelli in legno o tinti, la pavimentazione stampata e la maniglia in fusione con lettere che giocano al futurismo, l’illuminazione in un’invenzione di setti seriali in legno e pannelli trasparenti, finti sheds rovesci. Sono già annunciati i temi svolti all’interno: pannelli e “tatami” lignei in un indiretto omaggio al Giappone passato della Bauhaus, colore e legno assemblati con proporzioni e accostamenti ritmici, ceramiche stampate, l’illuminazione. Nella Hall le ceramiche di Capron “fossilizzano” erbe aromatiche, di cui fissano le più minute venature. La cabina, che nasconde una colonna portante, diventa una scatola magica di cui scoprire l’apertura. Il pavimento di tutto il piano è in cotto con inserti di larice per evitare inestetici tagli. La Sala ristorante, cui si accede passando attraverso tre fontane di luce, in giocoso rito purificatore e rivelatore, è dedicata agli amanti. Il soffitto è interamente rivestito di cubi colorati e luminosi, che in trasparenza mostrano oggetti e fiori. L’arredo è composto da piccoli tavoli che sono segnati da una taglio attrezzato per abbassare la barriera consueta di bottiglie. Anche i fiori sono spostati su un lato del tavolo, dotato di un gancio per appendere le borsette. La parete di fondo inscena un pesce-tavolo in legno incassato in cui il rilievo è segnato da un filo di neon che lo fa galleggiare. Pesci, pani e piatti allestiscono un’agape laica. La cucina, con porte disegnate da intriganti “buchi di formaggio” è abbellita da un fregio ceramico bianco con sere e figurette di Capron. La “regina della cucina” è una straordinaria macchina girevole per cucinare, scaldare e arredare, teatrale e macchinosa come un cuore meccanico a ingranaggi, vagamente espressionista, senza perdere funzionalità. La Sala conferenze calda per la predominanza dei pannelli di legno, ma lineare nella composizione rigorosa, abbellita da riflessi dorati sul soffitto che richiamano insieme Venezia – il decorativismo di Zecchin – e il gusto per l’inserto Art & Crafts, è arredata con tavoli pieghevoli accostabili alle pareti, che riprendono la chiusura a parete del paravento della Sala Pranzo, rielaborando i temi della funzionalità Shaker. Il pannello centrale tratta un convivio di un uomo e di una donna, montando e accostando anatomie, frutti, oggetti. Cinque serigrafie assemblate in un unico raccoglitore trattano il tema caro a Schweizer della condanna del turismo di massa. Le porte di questa ala sono costituite da listelli che disegnano una trama quadrettata, immediatamente riconducibile a Scarpa, cui si deve anche il tavolo fisso. Gli uffici sono piccoli e funzionali macchine da lavoro, in cui tuttavia l’uso del legno riscalda la funzione. La stube, luogo archetipico delle abitazioni alpine, si adorna di simboli (lo stemma Manna che totemizza il clan, con la neve di manna che nutre) si apre a richiami altri. La lampada è un oggetto puro e morbido insieme, formata da tessuti elastici tesi su un esile telaio metallico. I temi pittorici sono ispirati alla natura, per riscontrare al chiasso condannato nelle precedenti serigrafie. Anche il colore delle pareti si ispira alla natura, forse alla lavanda del Sud della Francia. I servizi igienici sono decorati da faccine sorridenti solari e lunari di Capron, declinate in tinte forti per gli uomini e delicate per le donne. Una vetrina, a balzo tra due colonne, trasparente, diventa come negli antichi stipi, un modello di edificio in cui l’architettura di vetro incontra il gusto per l’esposizione di piccole arti nell’arte.