Cronaca di un tornado tra Modena e Bologna

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ARPA Emilia-Romagna Servizio IdroMeteoClima
Cronaca di un Tornado tra
Modena e Bologna
A cura di Paolo Mezzasalma
Sommario
Le due trombe d‟aria che hanno interessato la pianura modenese e bolognese nel pomeriggio del 3
maggio del 2013 hanno destato curiosità e allarme. Quest‟articolo, nel suo linguaggio divulgativo e
non rigorosamente scientifico, descrive le condizioni che ne hanno determinato la formazione e
riporta una breve cronaca degli eventi. Si cerca di dare una risposta all‟allarme, fornendo gli
elementi essenziali per i quali un temporale può trasformarsi in evento distruttivo. Da una questione
di semplice terminologia si passerà, quindi, a un argomento più prettamente climatologico, su quali
zone siano più interessate e perché. Infine, fissati i limiti delle nostre conoscenze, si parlerà di
anomalie, delle informazioni che ci vengono dal passato, limitatamente a dove queste sono
disponibili, e si proverà a dare, se mai possibile, una tendenza per il futuro.
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Le condizioni meteorologiche
Ancora alle prese con l‟emergenza frane
causate dalle incessanti piogge dei mesi
precedenti, la mattina del 3 maggio del 2013 i
meteorologi del Servizio IdroMeteoClima di
ARPA Emilia-Romagna erano concentrati
sulla nuova ondata di maltempo che avrebbe
portato, nel giro di qualche giorno (il 5 e 6
maggio), nuove piogge estese sul territorio
regionale. Nonostante ciò e sebbene la
giornata fosse iniziata con un bel sole, si
notarono i segnali precursori affinché si
formassero dei temporali di forte intensità
durante il pomeriggio seguente, segnali che i
lettori più esperti possono cogliere nella
figura 1.
Nei giorni precedenti, infatti, era affluita aria
africana la cui prerogativa è di aumentare
l‟instabilità termodinamica della colonna
d‟aria attraverso alcune condizioni particolari.
L‟aria che si muove da un‟area desertica
verso le medie latitudini è, in genere, calda,
secca e letteralmente ben rimescolata sulla
verticale grazie agli alti valori di temperatura
che si registrano da quelle parti. Questo vuol
dire che la differenza di temperatura tra le
diverse quote della troposfera (lo strato
dell‟atmosfera fino a 10-12 km d‟altezza) è
più marcata; in meteorologia si dice che il
profilo segue l‟adiabatica, cosa che di per sé
predispone all‟aumento dell‟instabilità. In
mancanza, però, di un contenuto apprezzabile
di umidità, la situazione rimane tranquilla.
Così non è dopo che la massa d‟aria,
spostandosi verso nord, ha subito una forte
umidificazione nei bassi strati, scorrendo su di
un lungo tratto del mar Mediterraneo che,
oltretutto, è più freddo rispetto alla zona
d‟origine della massa d‟aria. Alla fine, ci si
ritrova uno strato d‟aria al suolo non molto
caldo, ma parecchio umido, sovrastato da uno
strato potenzialmente più caldo, cioè da
un‟inversione termica, ma la cui temperatura
cala rapidamente con la quota. L‟atmosfera ha
acquisito, quindi, un livello elevato di energia
potenziale grazie all‟accumulo di vapor
Figura 1 - radiosondaggio previsto dal modello COSMO I2
per le ore 12 UTC sull’area tra Reggio e Modena. Gli indici
termodinamici sulla destra sono indicativi di una troposfera
molto instabile e favorevole e temporali intensi.
acqueo nei bassi strati, lì costretto a rimanere
per via dell‟inversione che impedisce il
rimescolamento verticale. Mancano ancora
ingredienti fondamentali. Uno di questi è
fornito dall‟avvicinamento di una saccatura
atlantica, associata ad aria più fredda, che
renda le correnti in quota più intense e
divergenti e predisponga un flusso di venti al
suolo provenienti tra sud ed est. Il tre maggio,
l‟intensità e la direzione del vento
cambiavano con la quota, da est al suolo e da
ovest-sud-ovest alle quote superiori della
troposfera. Questo comportamento dei venti,
detto shear, fa sì che un‟eventuale cellula
temporalesca possa acquisire un moto di
rotazione antioraria (ciclonica) rispetto al
piano parallelo alla superficie terrestre (per
sapere come lo shear metta in rotazione un
temporale, vedi la figura 2 o vai a:
http://www.srh.noaa.gov/jetstream/tstorms/wi
ndshear.htm).
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Figura 2 - la differenza di velocità del vento con la quota
produce dei rotori con asse orizzontale; nel caso l’aria si
sollevi in presenza di un temporale, il rotore dispone l’asse
sulla verticale mettendo in rotazione il temporale.
Mancano ancora gli ultimi due pezzi del
puzzle. Il primo è l‟intenso riscaldamento
solare, tipico di questa stagione, che fornisca
quella parte aggiuntiva di energia necessaria
alla rottura dell‟inversione termica presente in
quota; l‟altro è la presenza al suolo sia del
flusso umido da est sulla pianura emiliana sia
di un vento da sud, più secco e in arrivo
dall‟Appennino, a creare quella zona di
convergenza che faciliti il sollevamento
forzato dell‟aria surriscaldata al suolo. In quel
punto dove le variabili si combinano, si ha la
liberazione repentina dell‟energia accumulata
e, grazie allo shear, si assiste dopo un breve
periodo alla rotazione dell‟intera struttura
temporalesca. Si è formata, cioè, quella che i
meteorologi chiamano una supercellula
temporalesca (figura 3), che consiste in
un‟unica colonna d‟aria in sollevamento e in
rotazione, persistente per un certo lasso di
tempo, anche alcune ore. Nei casi più ordinari
e frequenti, i temporali non sono costituiti da
supercellule ma da singoli impulsi di
sollevamento e precipitazione che durano in
media circa 30 minuti (per approfondire:
http://www.srh.noaa.gov/jetstream/tstorms/tst
rmtypes.htm). Sebbene una successione di
Figura 3 - schema di una supercellula: l’aria calda e umida (colore verde) affluisce da sud-est ad alimentare la corrente ascensionale
in rotazione ciclonica (colore rosso). L’aria che scende dalla nuvola temporalesca (colore blu) è più fredda per via delle
precipitazioni e favorisce ancor di più il sollevamento dell’aria calda.
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distinti impulsi permette al temporale di
durare anche per diverse ore nel corso del suo
spostamento, soltanto nelle supercellule si ha
l‟esistenza di un unico impulso duraturo che
aspira aria umida dai bassi strati. Non
immaginate la corrente ascensionale come
una colonna perfettamente verticale rispetto
alla superficie: questa, infatti, deve essere
inclinata dai venti più intensi che soffiano in
quota, così che le meteore non cadano
all‟interno
della
medesima
corrente
ascensionale, distruggendola. La formazione
di una supercellula, tuttavia, non è portatrice a
cascata del tornado: solo una parte di queste
ha come risultato finale il vortice d‟aria che
porta vari gradi di distruzione al suolo.
Quest‟ultimo passaggio, dal temporale rotante
alla formazione della tromba d‟aria, ha un
meccanismo incerto. Si ritiene che sia guidato
da interazioni alla scala più piccola lungo le
zone di separazione tra l‟aria fredda che si
riversa verso il basso, trascinata e prodotta
dalle precipitazioni, e quella calda che sale,
“spiraleggiando”, ad alimentare il sistema.
Cronaca del 3 maggio
Nel primo pomeriggio del 3 maggio, gli
ingredienti
termodinamici
adatti
alla
formazione di un temporale forte e rotante si
ritrovano sulla pianura emiliana. Verso le 15,
il radar meteorologico di San Pietro
Capofiume, vicino a Molinella – BO,
evidenzia
l‟embrione
della
cellula
temporalesca tra le colline e la pianura
sottostante poco a est di Reggio Emilia. Il
temporale s‟intensifica rapidamente nei
minuti successivi, producendo grandine dalle
dimensioni di uova mentre si va spostando
verso Modena, Campogalliano e Carpi; le
zone interessate con alta probabilità dalla
grandine sono evidenziate nelle mappe
rilevate dal radar dalle aree che appaiono di
colore bianco nella figura 4.
Figura 4 - mappa della riflettività radar delle ore 15:45
locali. Nelle aree in bianco e in quelle rosse più prossime è
molto probabile la caduta di grandine dalle dimensioni
notevoli. Poco a nord di Carpi si nota la separazione con la
cellula più settentrionale, qui in arancione.
Tra le 15:45 e le 16:00, si nota una
separazione del temporale in due parti. Quella
più settentrionale si sposta verso la bassa
pianura modenese, l‟altra verso Castelfranco
Emilia. Qui, la mappa delle 16:15 locali
mostra la formazione tipica di un uncino nella
struttura del temporale (fig. 5), indicativo di
Figura 5 - mappa della riflettività radar delle ore 16:15
locali. Vicino a Castelfranco, l’uncino dentro l’ovale nero
indica la rotazione del temporale.
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una sua rotazione che talvolta può generare la
tromba d‟aria. Poco dopo, giungerà la
conferma che un tornado ha realmente toccato
il suolo nella periferia di Castelfranco, figura
6.
Il fenomeno, quindi, prosegue la sua corsa in
direzione est-nord-est, verso la pianura
bolognese di San Giovanni in Persiceto e Sala
Bolognese, zone dalle quali, però, non si
hanno conferme di danni. Lì il tornado o si è
Figura 6 - foto del tornado nei pressi di Castelfranco Emilia - MO.
attenuato di molto oppure si è dissipato
temporaneamente. Il vortice prende nuovo
vigore tra i territori di Argelato, San Giorgio
di Piano e Bentivoglio (figure 7 e 8), quando
la caratteristica forma della tromba d‟aria è
visibile, seppur in lontananza, anche dalla
nostra sede nel centro di Bologna. Un‟altra
manciata di minuti e la rotazione della
supercellula perde forza, mentre la grandinata
prosegue fino alle zone meridionali del
ferrarese.
Figura 7 - mappa della riflettività radar delle ore 17:15. Il
tornado, in quell’istante visibile anche da Bologna, è
all’interno del mesociclone evidenziato dall’ovale nero.
Contemporaneamente, l‟altro temporale,
quello sulla bassa pianura modenese, si
trasformava anch‟esso in una supercellula con
annesso tornado che investiva in pieno San
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Figura 8 - il tornado fotografato da Altedo di Malalbergo – BO.
Martino in Spino, frazione di Mirandola, il
centro abitato che ha subito i danni maggiori,
vedi figura 9. Quest‟ultimo temporale andrà
poi a spegnersi sul Veneto. Nella figura 10 si
presenta un mosaico delle mappe del radar tra
le 16 e le 18, messo insieme da Pierluigi
Randi, con indicazioni della probabile
posizione dei due tornado.
L’intensità dei due tornado
La forza di un tornado è dettata dalla velocità
del vento all‟interno dei vortici, velocità che
gli strumenti ordinari non sarebbero in grado
di misurare, sempre che uno di questi sia sulla
traiettoria. Come si fa nel resto del mondo,
l‟intensità della circolazione di un tornado si
può stimare indirettamente dall‟entità e dal
tipo di danni che provoca. E‟ ovvio che un
tornado di maggiore dimensione spaziale
Figura 9 - mappa della riflettività radar delle ore 17:15. Il
tornado sul mirandolese è all’interno del mesociclone
evidenziato dall’ovale nero.
abbia la possibilità di colpire estensioni più
vaste di territorio, provocando danni più
diffusi. Quello che qui interessa, però, è la
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Figura 10 - mosaico della mappe di riflettività radar dalle ore 16 alle ore 18.
massima velocità raggiunta in un qualche
punto e lungo il suo tragitto. Esistono varie
scale di riferimento per categorizzare le
trombe d‟aria. Una delle più usate è la scala
Fujita, soppiantata nel 2007 dalla scala
Enhanced Fujita, che ha cercato di rendere
meno soggettive le valutazioni dei danni e ha
preso in considerazione anche la qualità delle
costruzioni colpite. Le due scale hanno
mantenuto le sei classi, dalla 0 alla 5, anche se
quella aggiornata ha abbassato i valori del
vento stimato per le categorie più alte. Un
tornado d‟intensità 4 si esprimerà quindi con
la notazione EF4 (F4 nella notazione
precedente). Ma qual è stata l‟intensità dei
due tornado emiliani? Su questo punto
preferisco non pronunciarmi: non ho le
conoscenze ingegneristiche e l‟esperienza
sufficiente per provare a stimare la velocità
del vento all‟interno del vortice. Alcuni ci
hanno provato e si trovano varie stime sulla
rete. Quello che mi sento di affermare è che i
due tornado erano ben più intensi del solito.
E‟ poco lo so, ma a ognuno il suo mestiere.
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Caratteristiche differenti dei tornado
Le due trombe d‟aria del 3 maggio sono state
generate, come abbiamo visto, da due
rispettive strutture temporalesche rotanti, o
supercellule. La circolazione chiusa ai livelli
medi della troposfera, ben visibile da quando i
radar meteorologici di tipo doppler scrutano
l‟atmosfera, prende il nome di mesociclone,
sostantivo derivato dalla combinazione di
ciclone e di mesoscala (per approfondire:
http://en.wikipedia.org/wiki/Mesocyclone).
facile notare la formazione di nubi
torreggianti proprio sulla loro verticale
perché, data la convergenza, l‟aria è costretta
a sollevarsi. Se un mulinello è presente al
suolo, anche questo sarà stirato verso l‟alto,
magari fino alla base della nuvola
cumuliforme lì sopra. Ecco, dunque, che è
stato fornito il meccanismo attraverso il quale
si può formare una tromba d‟aria, senza la
presenza di una cellula temporalesca in
autonoma rotazione, vedi figura 11. A
differenza dei casi associati ai mesocicloni,
Figura 11 - formazione di un tornado non mesociclonico. Lunga una linea di convergenza tra venti con direzioni differenti
si creano piccoli vortici al suolo che sono stirati verso l’alto dal sollevamento dell’aria.
Quest‟ultimo termine indica in meteorologia
le scale spaziali tra la decina e le poche
centinaia di chilometri. Non tutte le trombe
d‟aria, però, sono associate a un temporale la
cui corrente ascensionale è in rotazione.
Molte, anche più comuni, prendono origine
già al livello della superficie terrestre lungo
zone di convergenza tra venti con direzione
diversa. A me è capitato spesso al mare di
assistere al cambiamento repentino del vento
che, soffiando prima da terra, è sostituito dalla
brezza in entrata prepotente dal mare. Lungo
queste linee sottili di venti convergenti si
formano facilmente vortici al suolo, che si
manifestano sulla spiaggia con la sabbia e gli
ombrelloni sollevati in un batter d‟occhio da
un mulinello. Se queste linee di convergenza
sono più robuste e, soprattutto, associate alla
presenza di una colonna d‟aria instabile, è
per questo tipo di trombe d‟aria non è
essenziale lo shear del vento tra i bassi strati
della troposfera e quelli superiori; anche i
valori di tutti gli altri indici che esprimono
l‟instabilità sono più bassi. Spesso, inoltre, il
vortice si osserva ancora prima che la nuvola
cumuliforme evolva in un cumulonembo
temporalesco e, di solito, il cono della tromba
d‟aria è attaccato direttamente alla base piatta
e orizzontale della nuvola, senza che se ne
notino abbassamenti in corrispondenza del
cono (figura 12).
La tromba d‟aria da
supercellula, invece, è situata in una zona
della base della nuvola temporalesca, la
cosiddetta wall cloud, molto più bassa e
vicina al suolo rispetto al resto della base del
cumulonembo (figura 13). I tornado più
intensi
sono
sempre
associati
alle
supercellule; questo non esclude che anche
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Figura 12 - tornado non mesociclonico (landspout). Notare l’attacco del vortice direttamente alla base piatta
della nuvola, da confrontare con la figura 12.
Figura 12 - tornado associato al mesociclone, quest’ultimo reso evidente dall’abbassamento della base del
cumulonembo (wall cloud).
quelli meno violenti possano fare danni o
vittime.
A questo punto, possiamo chiederci se esista
una differenza fra “tromba d‟aria” e
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“tornado”. Avverto spesso una certa riluttanza
anche tra i meteorologi, più che altro tra quelli
di formazione non recente, nell‟usare il
termine tornado per indicare i vortici visibili
dalle nostre parti, quasi che si mancasse di
rispetto per quei fenomeni tipici degli Stati
Uniti d‟America. Avrete notato che ho usato
entrambi i termini in maniera disinvolta:
infatti è solo una questione linguistica. Nella
lingua italiana si usa la terminologia “tromba
d‟aria”; in un contesto internazionale si usa il
termine “tornado”. Abbiamo già visto che la
famiglia dei tornado, cioè delle trombe d‟aria,
si divide in due tipologie: i tornado
mesociclonici, cioè quelli associati alle
supercellule rotanti, e quelli che mesociclonici
non sono. Per questi ultimi si va diffondendo
l‟appellativo di MISO-ciclonici. Questo non
preclude il fatto che, sia esso miso o meso
ciclonico, un tornado sull‟acqua sia chiamato
comunemente waterspout in lingua inglese e
tromba marina in Italia. Altri termini che si
sono diffusi nel parlare comune in America
sono landspout e gustnado.
Climatologia dei tornado
Una delle domande più pressanti che ci è stata
rivolta dopo il 3 maggio è: “Fenomeni di
questo tipo sono nuovi per la nostra zona?”
La risposta breve è: no!
E‟ vero, invece, che ci si dimentica troppo in
fretta di quanto è accaduto nel passato, e
questo non solo nell‟ambito delle vicende
meteorologiche ma, in genere, tutte quelle
volte in cui si fa affidamento alla memoria
umana. Oggi, per fortuna, è facile reperire in
rete molte informazioni storiche così che, in
pochi istanti, si possa venire a conoscenza di
un tornado che nel 1965 provocò 9 vittime
nella zona di Fiorenzuola (PC) e di un altro
che, cinque anni dopo, tolse la vita a ben 36
persone nei territori tra Padova e Venezia
(www.tornadoit.org). L‟esperienza mia diretta
e le ricerche pubblicate nel passato (Simonini,
AER n° 5 del 1995) ci fanno affermare che ci
sono in media uno o due tornado l‟anno in
Emilia-Romagna, sebbene quasi sempre
d‟intensità molto inferiore. I tornado,
insomma, sono una caratteristica del nostro
clima, anche se adesso, a mia opinione, la
velocità delle informazioni, le nuove
tecnologie, che permettono l‟individuazione
da remoto, e le registrazioni filmate hanno
aumentato la sensibilità verso questi e altri
fenomeni intensi. Si sente spesso dire sui
mass media o nelle registrazioni di filmati
amatoriali che questi fenomeni sono causati
da una “tropicalizzazione” del clima delle
nostre zone. Diciamo subito che i tropici non
c‟entrano per nulla con quanto osserviamo. I
tornado più intensi, cioè le trombe d‟aria
mesocicloniche o, per essere più precisi, le
supercellule
generatrici,
sono
una
caratteristica delle medie latitudini. E‟ infatti
a queste latitudini che si possono combinare
quei fattori che portano alla formazione di una
supercellula, a cominciare dal più importante,
l‟esistenza a breve distanza tra masse d‟aria
diversa, una calda, sia di tipo umido sia di
tipo secca, e l‟altra più fredda. Ai tropici, per
definizione, non c‟è la massa d‟aria fredda
che permetta quel livello di shear del vento
grazie al quale una corrente ascensionale
possa rotare su sé stessa. Ai tropici ci sono
altri tipi di tempesta. A noi le nostre, tra le
quali i tornado mesociclonici, che prendono
l‟energia proprio dalla differenza tra le masse
d‟aria. Detto questo, va precisato che nei
cicloni tropicali, lungo le bande periferiche di
precipitazione, si formano delle supercellule a
modesto sviluppo verticale. Questo succede in
particolare quando il ciclone si muove verso
latitudini più prossime ai poli, perché incontra
i classici venti occidentali in quota, e quando
si sposta nell‟interno, per via della maggiore
frizione esercitata dalla terraferma rispetto al
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mare. Questi sono fattori che aumentano
localmente lo shear del vento. Poiché le
supercellule associate ai cicloni tropicali sono
solitamente meno sviluppate sulla verticale,
anche i tornado sono d‟intensità in generale
minore e, inoltre, rappresentano un insieme
numericamente molto inferiore rispetto ai
vortici
associati
alle
più
classiche
supercellule. I tornado non mesociclonici,
invece, sono molto comuni anche ai tropici, in
particolare nella loro sottofamiglia marina.
Le supercellule, d‟altra parte, sono invece più
frequenti sulla terraferma, nelle aree
pianeggianti dell‟Europa e nelle grandi
pianure del Gange e del Brahmaputra, che alla
fine dell‟inverno rientrano all‟interno della
fascia climatica delle medie latitudini.
Comuni sono pure i tornado nelle pianure
della Cina, dell‟Argentina, del Sud Africa e
dell‟Australia. I territori pianeggianti, pur non
godendone l‟esclusiva, sono favoriti perché
non entrano in competizione con la
circolazione propria della supercellula
temporalesca, che può essere fortemente
disturbata dalla presenza di rilevi ad alta
pendenza. Niente comunque è paragonabile
alla frequenza dei tornado nelle grandi
pianure dell‟America settentrionale. Da lì, a
ogni stagione temporalesca, arrivano nelle
nostre case riprese di distruzione, in
particolare da un‟area chiamata dai giornalisti
la Tornado Alley, appellativo di sicuro effetto
mediatico ma di non alto contenuto
scientifico. Ma perché l‟Oklahoma, il Texas,
il Kansas, il Nebraska, ecc. sono così proni ai
tornado? La risposta ovvia è che, in quelle
zone, gli ingredienti indispensabili si
ritrovano molto di frequente e con valori
elevati. Ma che cosa ha di particolare
quell‟area? La risposta non può che essere
cercata nelle caratteristiche geografiche e
topografiche del continente nord-americano,
principalmente nella disposizione lungo i
meridiani delle Montagne Rocciose. Queste si
spingono dai freddi climi dell‟Alaska e del
Canada settentrionale fino all‟arido deserto di
Sonora e alle acque tropicali del Golfo del
Messico. In nessun‟altra parte del globo si ha
una simile disposizione delle catene
montuose: nell‟Eurasia, infatti, i rilievi
principali sono disposti da ovest verso est. Le
Ande dell‟America meridionale, disposte
lungo i meridiani, non riescono a esercitare
quel ruolo di barriera ai venti intensi delle
medie latitudini che soffiano sull‟oceano
meridionale. L‟Argentina, oltretutto, è una
striscia sottile di terra se paragonata alla
vastità della parte settentrionale del Nord
America. Il ruolo fondamentale delle
Montagne Rocciose sui tornado, e pure sulla
circolazione atmosferica di tutto l‟emisfero
settentrionale, è esercitato direttamente sulla
corrente a getto che, proveniente da ovest,
deve scavalcare la barriera montuosa. Nel fare
ciò, per motivi dinamici e legati alla rotazione
terrestre, la corrente a getto è costretta a
spingersi verso sud per poi ripiegare verso il
Polo Nord dopo lo scavalco. Quest‟onda in
quota favorisce la discesa dell‟aria polare
verso latitudini più meridionali sul lato
sottovento alle Montagne Rocciose e, allo
stesso tempo, la risalita poco più a est
dell‟aria del Golfo, carica di umidità tropicale.
Il confronto a distanza così ravvicinata tra aria
tropicale e aria polare rende la corrente a getto
ancora più intensa, aumentando lo shear del
vento. Aggiungete la presenza del deserto di
Sonora tra il sud-ovest degli Stati Uniti e il
Messico e la caduta dei venti dal crinale delle
montagne, così da formare una massa d‟aria
ben rimescolata, calda e secca, la cui
temperatura diminuisce verso l‟alto con un
gradiente più accentuato dell‟ordinario.
Quest‟aria, muovendosi verso le grandi
pianure, scorrerà sopra l‟aria ricca di umidità
in arrivo dal Golfo del Messico, vedi figura
14. I livelli di energia potenziale che si
raggiungono in quelle zone sono del tutto
peculiari e lontani da quelli raggiunti altrove
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Figura 14 - la Tornado Alley degli Stati Uniti. Le Montagne Rocciose creano un saccatura nella corrente a getto; l’aria fredda
si spinge verso sud mentre l’aria umida risale dal Golfo del Messico. L’aria del deserto, inoltre, si scontra con l’aria umida
(dry line).
sulla Terra. Questi sono i motivi che fanno di
quelle grandi pianure il luogo ideale per la
formazione di veri mostri distruttivi e che
hanno in Oklahoma City l‟area con la
maggiore probabilità statistica di vedere
tornado violenti (figura 15). Non sarà stato un
caso che le due istituzioni federali più
impegnate sugli eventi intensi, il National
Severe Storms Laboratory per la ricerca e lo
Storm Prediction Center (SPC) per la parte
della previsione, abbiano sede nella città di
Norman, situata a pochi chilometri da
Oklahoma City. Recentemente, in quella
zona, è stato osservato il tornado più esteso
Figura 15 - probabilità di tornado violenti (F4 – F5), calcolata in numero di giorni per
millennio. L’area più a rischio e nel mezzo dell’Oklahoma (fonte: NSSL).
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dei tempi moderni. La probabilità di tornado,
com‟è ovvio, cambia latitudine con le
stagioni, spostandosi da aree più vicine al
Golfo alla fine dell‟inverno, verso le praterie
del Canada meridionale in piena estate,
inseguendo l‟aria fredda che si ritira più a
nord. E‟ tanto è importante la presenza
dell‟aria fredda che il culmine della stagione
dei tornado negli Stati Uniti si ha nel mese di
maggio, mentre il massimo nella frequenza
dei temporali si ha nel mese di agosto.
E in Italia?
Anche in Italia la stagione dei tornado migra
tra il sud e il nord della penisola con lo
scorrere delle stagioni: la primavera e l‟estate
vedono la maggiore frequenza sull‟Italia
settentrionale, l‟autunno invece favorisce le
regionali meridionali, quando il contrasto tra
le acque relativamente calde del Mediterraneo
e i venti freddi rendono l‟aria particolarmente
instabile. Il Mediterraneo, però, non è un
mare tropicale. In estate le sue acque più
superficiali raggiungono valori prossimi a
quelli dei mari pienamente tropicali, ma
l‟invasione da sud dell‟aria africana spegne
ogni contrasto e impedisce in maniera efficace
il rilascio dell‟energia. In questi casi, i
temporali più intensi si verificano sull‟Europa
continentale e, se e quando un fronte freddo si
spinge verso sud, sulle pianure dell‟Italia
settentrionale. Quasi sempre, però, la corrente
a getto è piuttosto debole nel cuore
dell‟estate, fornendo poca potenza al motore
che permette il sostentamento di una corrente
ascensionale intensa e duratura, quella tipica
delle supercellule. Ad ogni modo, capita che
le condizioni possano essere favorevoli in
estate persino sulle regioni meridionali,
mentre l‟inverno tende a spegnere i temporali
più intensi ma, non di certo, altri tipi di
tempeste. Molto comuni, lungo le nostre
coste, sono anche i tornado non
mesociclonici, le trombe marine. Sulla rete si
trovano stime sulle zone con maggiore
frequenza delle trombe marine. Credo si tratti
di valutazioni poco accurate e legate più alla
presenza di qualcuno che le riporta. La
carenza d‟informazioni sistematiche è un dato
di fatto e non va superata col lavoro
encomiabile di qualche volenteroso motivato.
Se voleste partecipare a una più capillare
raccolta degli eventi, tornado e quant‟altro,
mandate
il
vostro
contributo
a
http://www.essl.org/cgi-bin/eswd/eswd.cgi.
Ritengo, in ogni caso, che tale attività
dovrebbe basarsi non soltanto su contributi
volontari.
Si possono prevedere i tornado?
Sì e no.
Le condizioni meteorologiche favorevoli alla
formazione dei temporali più intensi, in
particolare delle supercellule, sono di solito
facilmente prevedibili durante il normale
processo di formulazione di una previsione.
Come ogni previsione, questa diventa sempre
più accurata quanto più è breve l‟intervallo
che ci separa dall‟obiettivo. Purtroppo, si può
solo indicare quale sarà un‟area, vasta più o
meno come una regione o anche più, dove
quelle condizioni saranno raggiunte. Altra
cosa è scendere al dettaglio della previsione
del singolo temporale, compito alquanto
difficile se non praticamente impossibile fin
quasi al manifestarsi del fenomeno. Se,
quindi, il giorno prima o la mattina
precedente il pomeriggio a rischio di
temporali
forti
si
può
pubblicare
un‟attenzione meteorologica per eventi
intensi, in seguito non resta che aspettare il
momento in cui si formeranno i temporali.
Osservandoli con il radar, si potranno
scorgere i primi segnali di rotazione della
struttura. A quel punto si può emettere
un‟allerta per la presenza di un mesociclone
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che, è noto, potrebbe generare in pochi istanti
un vortice fino al suolo. La velocità e la
traiettoria di spostamento del temporale
generatore permettono di fornire alcuni minuti
di preavviso, magari fino a 15 o 20, prima che
una certa località sia colpita. Ciò non
permetterà di salvare i beni ma, se le strutture
pubbliche e i singoli cittadini sono preparati,
al suonare delle sirene o alla diffusione degli
allarmi sui vari media, si avrebbe il tempo
necessario per cercare rifugio, sempre che
questo sia disponibile. Così si sono
organizzati in vaste aree degli Stati Uniti,
dove la tempestività degli avvisi ha permesso
un calo drastico nel numero delle vittime
nonostante l‟aumento della popolazione
residente nelle aree più pericolose. E‟ naturale
che in quelle aree si sia sentito l‟obbligo di
organizzare una struttura di allertamento
efficiente. Questo potrebbe non valere per
altre zone, poiché si tratta di una questione di
priorità e di costi. E‟, insomma, una scelta
politica e aree degli Stati Uniti meno prone ai
tornado non sono così organizzate.
Bisogna tener conto, oltretutto, che niente è
perfetto. Non sempre, a esempio, si riesce ad
avere un tempo sufficiente per far partire gli
allarmi, per mettere e per mettersi tutti in
sicurezza. Occorre ricordare ancora che molti
mesocicloni, individuati grazie ai radar
doppler, non producono una tromba d‟aria.
Vanno messi in conto, quindi, un certo
numero di falsi allarmi. Non bisogna
dimenticare pure che molti tornado non sono
mesociclonici e, quindi, sono difficilmente
individuabili. Infine, molto pericoloso è
l‟atteggiamento di certe autorità municipali
che hanno usato gli allarmi con troppa
disinvoltura, creando nella cittadinanza la
convinzione che nel caso in atto non ci fosse
niente di realmente pericoloso. Questo è
quanto è successo il 22 maggio del 2011 nella
città di Joplin, Missouri, dove un tornado EF5
attraversò l‟area urbana uccidendo ben 161
abitanti in pochi minuti (Mike Smith 2012).
Questi sistemi vanno usati in maniera
appropriata, senza creare tra gli abitanti la
tendenza a prendere sottogamba gli avvisi che
devono servire in maniera esclusiva per quei
casi che mettono in pericolo la vita. Non
vanno usati, a esempio, nel caso di grandine.
Anomalie e tendenze passate e future
Ho già ricordato in precedenza che i tornado
sono una manifestazione meteorologica di
queste latitudini e che, in definitiva, non c‟è
niente di nuovo sotto il sole o, per meglio
dire, sotto le nuvole. Questo non garantisce
che, magari col solo fine di poter comunicare
un evento anomalo, non si attribuisca una
patente di eccezionalità anche ad eventi che
tali non sono. Sono infrequenti o rari, questo
sì, ma non anomali o addirittura eccezionali,
almeno finché la loro frequenza non superi
livelli impensabili. A questo si deve
aggiungere che non si fa statistica con pochi
eventi e, men che meno, dopo un singolo
episodio.
Occorre
contrastare
questa
ossessione da anomalia, stimolata in parte
dalla necessità dei mezzi di comunicazione
nel creare notizie persino dove queste non ci
sono. E‟ pur vero che anche al sottoscritto
capita di definire anomalo un certo evento
meteorologico. Prendo a esempio il tornado
che si è abbattuto il 31 marzo del 2010 vicino
a Bagnolo in Piano, pianura reggiana. In quel
caso gli ingredienti termodinamici erano
distanti dai valori cui siamo abituati, eppure il
tornado si è formato. Dove è più appropriato
attribuire l‟aggettivo “anomalo” per quel
caso? Alla mia conoscenza che non lo
riteneva possibile o al tornado che invece si è
manifestato?
Il nostro desiderio di
comprendere la natura tende a farci
semplificare troppo la complessità degli
eventi atmosferici. Questi, però, a volte
sfuggono alle categorie create nel nostro
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processo cognitivo. Ciò, ovviamente, non
rende un certo fenomeno anomalo. Magari
sarà infrequente secondo i nostri canoni, ma
non cadiamo verso una forzata attribuzione di
strana novità, di qualcosa che si è guastato.
Per comprendere davvero il presente e se
desideriamo a tutti i costi proiettarci verso il
futuro, sempre che ciò sia possibile,
dobbiamo partire dai dati del passato per
erigere una staccionata che fissi i limiti della
nostra conoscenza sui tornado. La parte più
deludente di questo processo risiede nel fatto
che in quasi tutto il mondo non esiste una
registrazione sistematica degli eventi accaduti
nel passato, se non quello più prossimo, né in
Italia né nel resto d‟Europa. Chi afferma che
quanto accaduto di recente da queste parti è
eccezionale e pronostica in maniera
pessimistica sul futuro dei tornado, sta solo
esprimendo congetture senza basi oggettive.
Per tornare ai dati, non ci resta che rivolgerci
verso gli Stati Uniti, dove esiste una storia
lunga decenni di registrazione attenta di
questi e di altri eventi meteorologici.
Depositario delle conoscenze oltre Atlantico è
il National Oceanic and Atmospheric
Administration (NOAA), che mantiene e
aggiorna l‟elenco dei tornado e della loro
intensità
fin
dagli
anni
„50
(http://www.spc.noaa.gov/wcm/ ).
Neppure i dati, purtroppo, sembrano capaci di
metterci al riparo da interpretazioni tra di loro
contraddittorie. Considerando tutti i tornado
registrati dal 1950 in poi, qui riportati in
figura 16, sembrerebbe che il numero
complessivo negli ultimi decenni sia schizzato
a livelli spaventosi rispetto al periodo iniziale.
Figura 16 - il grafico del numero dei tornado di ogni
categoria mostra un’impennata ininterrotta dal 1950 in poi.
Questo non corrisponde alla realtà.
Proviamo, allora, a togliere i tornado più
deboli, quelli di categoria EF0, come riporta
nella pagina seguente il grafico in figura 17.
Adesso, l‟apparenza dell‟istogramma ci fa
pensare che, tra alti e bassi, non ci siano state
variazioni di rilievo in circa 60 anni.
Consideriamo, per finire, solo i tornado più
intensi e distruttivi, quelli da EF3 in su, vedi
figura 18.
Ebbene, le variazioni non avranno un chiaro
significato statistico, ma se proprio volessimo
evidenziare un periodo con i tornado più
intensi, questo apparterrebbe ai 30 anni
iniziali. L‟interpretazione dei dati non
ammette dubbi e anche il NOAA, alla fine,
esprime: le nuove tecniche di rilevamento
tramite i radar doppler, la maggiore sensibilità
tra la popolazione e il suo aumento numerico
hanno provocato un aumento fittizio nel
conteggio dei tornado più deboli. Ripeto che
quelli più violenti, che difficilmente
rimanevano sconosciuti anche negli anni 50,
non sono aumentati affatto, anzi forse il
contrario.
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Figura 17 - il numero dei tornado di categoria EF1 e superiori non è aumentato dal 1954.
Figura 18 - il numero di tornado da forti a violenti, quelli di categoria EF3 e superiori, sembra in leggera diminuzione dall’inizio
del periodo con migliore copertura.
I dati sono incontrovertibili ed è talvolta
frustrante accorgersi che ripetere la
definizione di evento anomalo (cioè poco
probabile ma che appartiene al novero degli
eventi possibili) non aiuta a ridurre la ricerca
spasmodica della notizia, anche al di là del
ragionevole.
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Esaminato fin qui il passato, proviamo adesso
a dare una risposta per il futuro.
Ecco cosa afferma lo Storm Prediction Center
(traduzione abbastanza letterale):
E’ il riscaldamento globale causa dei
tornado? No, i temporali ne sono la
causa. La domanda più difficile potrebbe
essere: “Il cambiamento climatico
influenzerà gli eventi tornadici?” La
migliore risposta è: “Non lo sappiamo”. Il
Consiglio Nazione per la Scienza e la
Tecnologia nel suo rapporto “Valutazione
Scientifica sul Cambiamento Climatico”
ha scritto: “Le tendenze in altri eventi
meteorologici estremi che accadono alle
piccole scale spaziali (quali tornado,
grandinate, fulmini e tempeste di polvere)
non possono essere determinate al
momento perché il numero di evidenze è
insufficiente.” Questo perché i tornado
sono eventi con “la miccia corta”, che
agiscono su scale temporali pari ai
secondi o ai minuti e su scale spaziali di
frazioni di miglio. Diversamente, le
tendenze climatiche impiegano molti anni,
decenni o millenni, coinvolgendo vaste
aree del globo. E numerose incognite si
annidano nel grande divario esistente tra
le prime e le altre scale temporali e
spaziali. I modelli climatici non possono
risolvere i tornado o i singoli temporali.
Possono
dare
indicazioni
sui
cambiamenti a larga scala di tre dei
quattro ingredienti favorevoli allo sviluppo
dei temporali severi (umidità, instabilità e
shear del vento) ma, come ogni previsore
di eventi forti può testimoniare, avere
alcuni fattori favorevoli in gioco non
garantisce la formazione dei tornado. La
nostra comprensione dei processi fisici ci
suggerisce segnali contraddittori: alcuni
fattori possono aumentare (l’instabilità) in
un mondo più caldo, mentre altri possono
diminuire (lo shear). L’altro ingrediente
chiave (cioè il sollevamento dell’aria alla
scala del temporale) ma anche, sebbene
in misura variabile, l’umidità, l’instabilità e
lo
shear
dipendono
molto
da
configurazioni del giorno per giorno e,
spesso,
anche
da
condizioni
meteorologiche locali minuto per minuto.
Per finire, la stessa registrazione degli
eventi tornadici è affetta da molti errori e
incertezze, non esiste per buona parte
del globo e, persino negli USA, copre in
modo dettagliato solo alcuni decenni.
Quanto detto dai massimi esperti del settore è
sì un‟ammissione d‟impotenza ma, per quanto
mi riguarda, anche criticabile sotto alcuni
punti di vista. A cominciare dal dare per
assodato che i modelli climatici siano esenti
da errori, anche sulle scale spaziali più grandi.
I modelli mostrano errori talvolta importanti
già nel rappresentare in maniera corretta le
configurazioni climatiche del recente passato.
Ciò implica che anche le configurazioni del
futuro possano avere errori ancora maggiori.
Inoltre, se proprio si volesse ricavare
un‟indicazione dai dati passati, con tutte le
cautele del caso, i periodi più freddi, gli anni
60 e 70, potrebbero aver avuto una maggiore
frequenza di tornado più intensi. Se così
fosse, la cosa non ci dovrebbe sorprendere
poiché i fenomeni meteorologici caratteristici
delle nostre latitudini hanno la loro fonte di
energia prevalentemente nei contrasti (o,
come dicono i tecnici, nei gradienti), sia sul
piano orizzontale sia in quello verticale. Dato
per assodato che in un mondo più caldo i
contrasti tra poli ed equatore si affievoliscano
e, molto meno certo, che nell‟atmosfera
tropicale si attenuino i contrasti verticali, non
si vede come possa aumentare l‟energia
indispensabile
affinché
tali
fenomeni
accadano. In un mondo più freddo, viceversa,
l‟atmosfera tropicale rimarrebbe in buona
misura simile nel contenuto energetico,
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mentre quella polare si raffredderebbe in
maggiore proporzione, accentuando le
differenze.
Messe da parte le congetture, è conveniente
rifarsi a quanto è stato ben detto dall‟SPC per
ribadire che la semplice risposta, “Non lo
sappiamo”, è sicuramente la più prudente e,
probabilmente ancora per molti anni, quella
scientificamente più corretta.
La cronaca del 3 maggio è già stata pubblicata sul numero di Ecoscienza uscito in giugno con un
breve resoconto che, per ovvi motivi di spazio, ha dovuto tralasciare quasi tutti gli argomenti
inerenti i tornado. Ho così sentito la necessità di scrivere un articolo più completo dove trattare
anche gli elementi più generali e curiosi.
Ringrazio alcuni colleghi, che mi hanno spronato affinché scrivessi questo piccolo contributo, e
alcuni amici nell‟ambito dei cultori della meteorologia, in particolare Pierluigi Randi, per gli spunti
e le riflessioni che mi hanno ispirato.
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