Luce e Spettri - liceo wiligelmo

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Sorgenti di luce e spettri.
Le sorgenti di luce più comuni possono essere divise in due gruppi: sorgenti di luce bianca, sorgenti
di luce monocromatica.
Per luce bianca si intende la luce media del giorno. La curva di distribuzione spettrale dell’energia
raggiante del sole corrisponde a quella del corpo nero a circa 5200 °K. Le lampadine ad
incandescenza sono delle sorgenti artificiali di luce apparentemente bianca, ma hanno una luce pari
a quella del corpo nero a circa 2900 °K, da cui si deduce l’origine del colore giallastro di queste luci
rispetto a quella del giorno. Si può ottenere una luce bianca artificiale, confrontabile a quella
naturale, filtrando la luce di una lampadina mediante filtri colore azzurro.
L’analisi spettrale dei fenomeni più semplici (iniziata con gli studi di Fraunhofer, Kirchhoff e
Bunsen) ha subito indotto la conclusione che l’emissione luminosa è localizzata nell’atomo o nella
molecola. Lo spettro d’emissione di sostanze allo stato aeriforme, opportunamente eccitate,
presenta delle serie di righe attribuibili alla presenza di atomi (o molecole) di una determinata
specie.
Analogamente gli aeriformi, opportunamente irraggiati, mostrano uno spettro d’assorbimento a
righe ed ogni serie di righe
attribuibile alla presenza di
atomi
(o
molecole)
di
determinata natura.
La configurazione sperimentale
per
verificare
queste
fenomenologie è la seguente:
Una sorgente di luce bianca è posta in A, la luce passa attraverso una sottile fenditura F, poi in un
sistema di lenti acromatiche L2, detto collimatore, tale da convogliare sul prisma P un fascio di
raggi paralleli. Poiché l’indice di rifrazione dipende dalla lunghezza d’onda, i raggi di differente
lunghezza d’onda sono deviati secondo angoli diversi.
Si osserva così lo spettro continuo emesso dalla sorgente A.
Spenta la sorgente A, lo spettroscopio permette di osservare lo spettro che si ottiene ponendo su una
fiamma il campione posto in B: questo spettro è costituito, quasi esclusivamente, dalle righe
caratteristiche emesse dal campione, ad esempio per il sodio si osserva il doppietto di righe gialle a
5896 Å e 5890 Å.
Riaccesa la sorgente A, assieme alla fiamma B, l’osservatore si aspetta di vedere sovrapposti lo
spettro continuo della sorgente e quello di emissione della sostanza: quel che si osserva, invece, è
che al posto delle righe luminose dello spettro di emissione, lo spettro continuo appare solcato da
righe scure, dovute all’assorbimento.
In figura a è visibile lo spettro di emissione
del sodio posto sulla fiamma, in fig. b
quello di assorbimento.
Le righe nere stanno ad indicare che i vapori
incandescenti del campione assorbono la
stessa radiazione che emettono: l’emissione
propria del sodio posto sulla fiamma in B
non è in grado di compensare
l’assorbimento che gli stessi vapori producono sulla luce proveniente dalla sorgente A.
Spettri continui si hanno quando la sorgente è un solido o un liquido incandescente. Si hanno invece
spettri a righe quando la sorgente è un gas a bassa pressione. Gas non a bassa pressione mostrano
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spettri continui. Lo spettro del sole è continuo ma si osservano anche delle righe scure, dette righe
di Fraunhofer, dovute al fatto che l’assorbimento dell’atmosfera solare è più efficace dell’emissione
del nucleo (alcune righe di assorbimento sono anche dovute ai gas presenti nell’atmosfera terrestre).
In sintesi, due sono i fenomeni basilari nell’analisi spettrale:
1) Duplice natura degli spettri. Considerata una determinata sostanza, lo spettro di emissione
dipende principalmente dalle condizioni di eccitazione (incandescenza nella fiamma o nel forno,
scarica elettrica), lo spettro di assorbimento dipende invece dalle condizioni fisiche in cui si
trova (temperatura, stato di aggregazione). Sovrapponendo le spettro di emissione a quello di
assorbimento le righe luminose di uno corrispondono alle righe scure dell’altro.
2) Legge di Kirchhoff. Una sostanza emette radiazioni di quella frequenza (o lunghezza d’onda)
che, in uguali condizioni di temperatura, è capace di assorbire.
La complessità degli spettri d’emissione e di assorbimento ha inizialmente limitato la portata pratica
dell’analisi spettrale, nel corso del XX secolo la spettroscopia ha rivestito un ruolo fondamentale
per la comprensione della fisica dell’atomo e dell’astrofisica. I fenomeni di emissione
elettromagnetica sono oggi spiegati dalla teoria quantistica che trae origine dal modello di atomo
proposto da Niels Bohr (1885-1962) nel 1913.
Lo spettro dell’atomo d’idrogeno e l’atomo di Bohr
In figura è rappresentata
la serie spettrale che si
osserva eccitando, tramite
scarica elettrica, gli atomi
di idrogeno contenuto in
un tubo a bassa pressione:
la riga H , con λ = 6563
Å, è nel rosso, la riga successiva H , con λ = 4861 Å, è nel verde-azzurro, e così via verso
lunghezze d’onda minori, nel campo dell’ultravioletto.
1
1&
Balmer, nel 1885, scoprì che le lunghezze d’onda di
#% 1
( n = 3, 4, 5...
=
R
−
2
2
queste righe sono espresse dalla relazione a lato, con R
$
'
λ
2
n
(costante di Rydberg) = 1,097⋅107 m-1.
Ponendo n = 3 si ottiene la lunghezza d’onda della riga H . Successivamente sono state scoperte
altre cinque serie spettrali dell’idrogeno, che hanno preso il nome dei loro scopritori, ad esempio:
α
β
α
serie di Lyman (1914)
(ultravioletto)
serie di Paschen (1908)
(infrarosso)
1
#1 1&
= R% 2 − 2 (
$1 n '
λ
1
#1 1&
= R% 2 − 2 (
$3 n '
λ
n = 2, 3, 4...
n = 4, 5, 6...
Le lunghezze d’onda delle radiazioni elettromagnetiche emesse dall’atomo di idrogeno sono
complessivamente espresse dalla relazione proposta da Rydberg (1890: Philosophical Magazine,
vol. 29):
1
1&
# 1
= R% 2 − 2 (
$m
λ
n '
m = 1, 2, 3... n = m + 1, m + 2,...
Spettri simili sono presentati dagli atomi degli elementi più leggeri, quando sono ionizzati in modo
da possedere un solo elettrone, cioè da He+, Li++, Be+++, detti atomi idrogenoidi: la relazione che
descrive la lunghezza d’onda è formalmente uguale a quella dell’idrogeno.
3
Bohr apprese dei risultati di Rydberg e di Balmer all’inizio del 1913, dopo pochi mesi (..Bohr aveva
allora 28 anni e, da buon giovine irriverente, non aveva ritegno ad ignorare i dettami della fisica
classica..) ne propose un’interpretazione (1913: Philosophical Magazine, vol. 26) che può essere
opportunamente estesa a tutti gli spettri idrogenoidi.
Assumendo le orbite elettroniche circolari di raggio r, il nucleo costituito da una particella di carica
positiva +e, l’elettrone di carica –e, di massa m, occorre che la forza centripeta mv2/r sia uguale
all’attrazione elettrostatica :
1 e2
F=
4πε 0 r
da cui
mv 2
1 e2
=
r
4πε 0 r 2
con ε0= 8,86⋅10-12 C2/Nm costante dielettrica del vuoto.
2
L’energia totale del sistema è somma dell’energia cinetica 1/2mv2 e E = 1 mv 2 − 1 e
2
4πε 0 r
dell’energia potenziale elettrica, assunta col segno negativo per via
dell’attrazione tra le due cariche:
2
1
1 e
E = − mv 2 oppure E = −
2
8πε 0 r
Combinando le due relazioni si ottiene l’energia totale:
Bohr postulò due ipotesi fondamentali nella meccanica atomica.
La prima consiste in una condizione supplementare alla fisica classica: il movimento dell’elettrone
legato non è possibile su tutte le orbite, ma soltanto su alcune di esse (dette orbite stabili o orbite
quantistiche) i cui raggi rn costituiscono una serie di valori discreti e non continui. Bohr formulò
questa condizione imponendo che il momento angolare dell’elettrone p = rmv = mr2ω sia un
multiplo intero di h/2π = , con h (costante di Planck) = 6,62 ⋅ 10-34 J⋅s:
pn = n
Essendo:
1 2
1 e2
mv =
2
8πε 0 r
h
= n
2π
2
h
m v r =n
4π 2
2
2
2
2
dividendo membro a membro, si ottiene la relazione:
ε 0 h 2n 2
rn =
πe 2 m
che, sostituita nella formula dell’energia, definisce
una successione di valori discreti per n = 1, 2, 3, …:
e4 m 1
En = − 2 2 2
8ε 0 h n
Pertanto nell’atomo gli elettroni sono disposti in una serie discreta di stati stazionari 1, 2, 3 …, a
ciascuno di questi corrisponde un’energia totale E1, E2, E3, …ordinate per energia crescente.
Lo stato 1 corrisponde all’energia minima, cioè al livello energetico più basso: è lo stato normale,
non eccitato, di equilibrio.
Ponendo e = 1,6⋅10-19 C, m = 9,1⋅10-31 Kg, n = 1, il valore dell’energia minima che l’elettrone può
assumere nell’atomo di H risulta essere: E1 = -2,18⋅10-18 J. Questo valore è più comunemente
espresso in elettronvolt (l’energia che un elettrone assume in una differenza di potenziale di un
Volt: 1 eV = 1,6⋅10 –19J): E1 = -13,6 eV.
A tale energia corrisponde un raggio orbitale pari a r1 = 0,53⋅10-10 m = 0,53 Å, denominato raggio
di Bohr, che costituisce un riferimento per le misure delle orbite atomiche. Attenzione che il raggio
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di Bohr è un valore di riferimento dimensionale, non ha nessun valore materiale: non è pienamente
corretto parlare delle dimensioni dell’atomo!!
Si verifica che per n piccolo i valori di rn e En differiscono per quantità confrontabili con i valori
stessi, quando n è grande le differenze tra valori consecutivi diventano percentualmente più piccole,
fino a confondersi in valori quasi continui.
L’ipotesi di Bohr della quantizzazione dei livelli energetici realizzava un primo successo nel
giustificare la stabilità degli atomi, ma il suo vero successo consistette nella capacità di interpretare
la struttura degli spettri dell’atomo di idrogeno e degli atomi idrogenoidi.
Per fornire questa ulteriore spiegazione Bohr introdusse una seconda ipotesi nella teoria. Egli
suppose che affinché l’atomo sia eccitato dallo stato normale allo stato r-simo occorre che assorba
dall’esterno l’energia E r – E1: solo certe quantità discrete di energia sono tali da permettere
all’atomo di passare da uno stato ad un altro a maggiore energia. L’emissione luminosa avviene
quando l’atomo assume lo stato ad energia minore Ep da uno stato ad energia maggiore Er. In tal
caso l’emissione da luogo ad un “quanto” di luce (che diventerà il fotone) cui compete la frequenza
νr p definita dalla relazione:
hν r p = Er − E p
Per l’atomo di H si verifica che:
essendo νr p = c/λr s si ottiene:
e4 m
Er − E p = 2 2
8ε 0 h
# 1 1&
% 2 − 2(
$ np n r '
4
1 ν rs
e m % 1
1(
=
= 2 3 ' 2 − 2*
λ rs
c 8ε 0 h c & n p nr )
corrispondente alla relazione di Rydberg. Usando i valori già indicati per e, m, ε0, h, c si ottiene un
valore teorico di R = 1,1⋅107 m-1 in accordo col valore sperimentale.
Le righe di emissione prevedibili sul modello di Bohr sono meno numerose di quanto
effettivamente si verifica ed occorrono ulteriori ipotesi che giustifichino completamente gli spettri
atomici, tuttavia è stato grazie a questa interpretazione che l’idea quantistica della materia ha avuto
primo, fondamentale riconoscimento.
E’ importante notare che questa concezione di Bohr degli stati stazionari e del processo di
eccitazione e diseccitazione dell’atomo è incompatibile con l’elettromagnetismo classico, secondo il
quale una carica che si muove in moto accelerato (l’elettrone in moto attorno al nucleo) deve
necessariamente emettere energia elettromagnetica, determinando una continua diminuzione della
velocità, un’orbita a spirale e l’impossibilità dell’esistenza di un atomo stabile.
Prima del modello atomico di Bohr la spettroscopia era una procedura empirica di registrazione e
catalogazione di lunghezze d’onda e frequenze, dopo divenne la chiave di lettura sperimentale della
teoria quantistica.
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