Il lessico politico calvinista nella Politica di Althusius

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Sintesi
Il lessico politico calvinista nella Politica di Althusius
Corrado Malandrino
Althusius fu il maggior teorico politico tra Cinque e Seicento nell’ambito del calvinismo politico
tedesco. Per calvinismo s’intende l’insieme di dottrina confessionale e movimento ecclesiale della
Riforma originato dall'insegnamento di Giovanni Calvino che confluì, denominandola, in una più
vasta e variegata corrente religiosa e politica in cui si fusero le esperienze e dottrine di altri capi di
comunità cittadine riformate dell’Europa centrale, come Bucer a Strasburgo, Zwingli e Bullinger a
Zurigo. Tale orientamento generale si internazionalizzò nel passaggio drammatico della zweite
Reformation e nell'epoca della Konfessionalisierung: dalla Svizzera si espanse attraverso la Francia
(gli Ugonotti) e la Germania renana, fino alla Frisia orientale, ai Paesi Bassi, in Inghilterra
(influenzando altresì il puritanesimo e le sette radicali nella Nuova Inghilterra), in Scozia
(presbiterianesimo), in Polonia, Boemia e in alcune località dei Balcani. In esso spicca la preferenza
accordata al ruolo dei “predicatori” e degli “anziani” nel concistoro in un modello ecclesiale
assembleare e collegiale, un carattere "democratizzante" dell'organizzazione ecclesiale che trapassa
in quello civile ed è simboleggiato nell'immagine della "repubblica dei santi". Modello in senso lato
di comunità cittadine o regionali, critiche verso impero e statualità territoriali assolutistiche
(principio del repubblicanesimo).
Le fonti dottrinali del calvinismo politico si trovano a partire dall’Istituzione della religione
cristiana, che tratta del “governo civile” nel libro IV, nelle Ordonnances e in alcuni sermoni
calviniani, come quello di commento al I libro di Samuele. In tali fonti si dice che il popolo, ovvero
l’insieme degli ordini e delle consociazioni cittadine, cui spetta collettivamente la sovranità politica,
demanda tramite un patto al sommo magistrato l’esercizio del governo, che deve fondarsi sul
rispetto delle leggi, agire per la giustizia e per il bene della comunità. Il governante è coadiuvato
dagli efori, istituiti per la tutela del popolo come i tribuni della plebe a Roma. Spetta al magistrato
anche la difesa del culto e della chiesa, pur nella competenza dei pastori rispetto alla cura delle
coscienze. Calvino mostra di conoscere la distinzione aristotelico-polibiana delle forme di governo,
ma predilige il governo misto a prevalenza aristocratica, in cui tale elemento non è però dato tanto
dall’oligarchia economica, quanto dai membri della dirigenza riformata. L’obbligo dell’obbedienza
verso l’autorità si basa sul richiamo alle sacre scritture. Se inizialmente, in linea di principio, non è
ammessa la resistenza (“Non si può resistere al magistrato senza resistere a Dio”), tuttavia,
discostandosi dalla maggiore rigidità luterana in materia - che comunque non impedisce la
“protesta” dei prìncipi contro l’imperatore -, Calvino abbozza la possibilità di resistenza contro il
tiranno, elemento fondamentale del successivo calvinismo politico. Come Mosé guidò il popolo
ebraico contro il faraone fuori dalla schiavitù d’Egitto, così per il riformatore ginevrino è
ammissibile che, contro la reiterata tirannia di un magistrato o di un principe, sorga un “eroe”
liberatore, un “nuovo Mosé”. Tale teoria della resistenza è ampliata in forme costituzionali da Beza
e dal monarcomachesimo ugonotto della seconda metà del ‘500, esemplarmente riassunto nell'opera
Vindiciae contra tyrannos.
Attraverso queste e altre fonti coeve il calvinismo politico arriva ad Althusius, che lo traduce nei
termini di una dottrina politica completa nella Politica methodice digesta. Qui Althusius elabora,
nel rispetto della dimensione calvinista delle premesse profonde del suo pensiero, una concezione
della politica che affronta, però, con una conclusione non confessionale anche la relazione tra etica,
politica e diritto nell'ambito del pensiero politico della prima modernità. Nel senso che nonostante
l'evidente “intenzione” confessionale althusiana e la monumentale base scritturale del suo pensiero,
il carattere della politica nel suo trattato rimane laico e svincolato dalla concezione teocratica dello
Stato. Stretto rapporto esiste tra l'opera di Althusius e l’epopea dei calvinisti e repubblicani
olandesi, considerate anche le polemiche dottrinali tra radicali gomaristi e moderati arminiani,
nonché con la Föderaltheologie di Herborn e delle zone a prevalenza calvinista.
“Parole’ calviniste del ‘discorso’ politico althusiano sono i termini nuovi, o le parole trasformate
profondamente rispetto a quelle ricevute dalla tradizione umanistica e giuridica classica, greca e
romana, oppure da quella aristotelico-scolastica medievale o riformata.
In primo luogo la politica “simbiotica”: essa esalta la “santità” della “consociazione” o “simbiosi”.
Pur rendendo manifesto il legame della ‘politica’ althusiana con la religione e la morale cristiane,
non ne inficia l’autonomia in quanto arte di governo, disciplina socialmente formativa, scienza del
vivere associato. Il termine “simbiosi santa” non è altrimenti spiegabile se non facendo ricorso alla
“teologia federale”, anche se tale termine non è presente in Althusius.
Simbiosi e “patto simbiotico” sono però elementi fondanti della teoria althusiana del pactum, e del
foedus nella formazione delle comunità simbiotiche “sante” (per Althusius le “consociazioni
simbiotiche sante”). L’archetipo biblico del patto tra Dio e l’uomo, tra Dio e il suo popolo, e poi tra
il popolo e il suo magistrato, è la figura retrostante il patto calvinista tra i “santi”. Si può aggiungere
che Althusius – come giurista consapevole delle esigenze della continuità istituzionale - si
opponeva alla prassi accentratrice e assoluta del principe territoriale anche in nome dei princìpi
tradizionali che regolavano i rapporti fra le universitates dell’Impero; ma interpretava tali princìpi
alla luce della teologia federale nei suoi aspetti applicabili all’agire sociopolitico. Si tratta di una
concezione militante che deve necessariamente avere, per Althusius, il presupposto della symbiosis,
per realizzare una vocatio sentita dagli eletti come integralmente fondante l’attività umana e sociale.
L’esame della simbiosi fa rilevare la scelta althusiana di porsi su un piano distinto e ulteriore rispetto
al naturalismo politico aristotelico, anche se è vero che l’aristotelismo forma un comune retroterra
culturale e filosofico per Althusius, per i neoscolastici (e anche per Bodin). La simbiosi fu concepita
da Althusius perché vista come termine congeniale, sul piano del calvinismo politico e di una
conseguente teoria della società e dello Stato, con la generale impostazione teologico-federale che
caratterizzava l’atmosfera riformata, proveniente dalla cultura teologica di ispirazione svizzera, da
Bullinger a Calvino e ai successori. La simbiosi si rivela agli occhi di Althusius termine più
funzionale di altri al fine di trasferire anche sul piano sociopolitico e giuridico la duplice esigenza
contenuta nella teologia federale, ossia: dare realizzazione al ‘patto di opere’ (foedus naturale) e al
‘patto di grazia’, non solo sul piano personale e religioso, ma anche nelle istituzioni politiche,
conservando l’autonomia del disegno politico-istituzionale dalla sfera teologico-religiosa.
In conclusione, la simbiosi è l’unione ‘santa’, giusta, vantaggiosa e felice alla cui realizzazione non
basta l’inclinazione naturalistica di tipo aristotelico, ma necessita un elemento metafisico di volontà
rivolta a una scelta, un elemento intenzionale contenuto nello strumento teologico-federale del patto
istituito per primo da Dio come foedus naturae et operum, successivamente penetrato nella
metodologia sociale e politica attraverso la dottrina della predestinazione, e della redenzione tramite
il patto di grazia; infine divenuto una root metaphor (McCoy) nell’agire politico. Uno strumento
dato agli uomini perché imparino a convivere, in primo luogo, santamente nel vero culto di Dio. Ciò
necessariamente implica che sul piano storico, concreto e pratico gli individui simbiotici vivano
anche vantaggiosamente, cercando il proprio utile, ma secondo giustizia e nel rispetto della legge. In
caso contrario, al di fuori della simbiosi, ammonisce Althusius in Politica XXI, 18 “Legibus
sublatis, societas humana, quam symbioticam vocamus, in beluinam vitam mutatur”. La metodologia
del patto non ha solo valore fondativo ecclesiale, ovvero crea il popolo di Dio, ma si pone come
modello politico, e in tal modo serve a dar vita alla simbiosi: la sfera della politica mantiene infatti la
sua autonomia genetica, strutturale, tecnica e funzionale, pur se deve essere orientata, come
Althusius non si stanca di ripetere, alla realizzazione della seconda tavola del Decalogo e, attraverso
questo, della giustizia.
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