Il rispetto interetnico e interreligioso da Ruggero II a Federico II
di Hubert Houben
http://www.stupormundi.it/autori/Houben.htm"
1. Il rapporto tra etnie e religioni diverse nei giorni nostri è di grande attualità in un’Europa, la cui società sta
diventando sempre più multietnica e multireligiosa. Si guarda perciò con interesse crescente alle società
multiculturali del passato e particolarmente a due società del Medioevo, cioè all’Andalusia musulmana e al
Mezzogiorno normanno-svevo, in cui convivevano etnie, religioni e culture diverse.
Con una simile immagine idealizzata è stata caratterizzato, per molto tempo, anche il regno normanno-svevo di
Sicilia. È significativo, a questo proposito, un brano di uno storico siciliano dell’Ottocento, Isidoro La Lumia,
citato dallo scrittore inglese John Norwich (in un libro del 1970) come descrizione tipica del regno normanno di
Sicilia. Qui si legge una descrizione quasi idilliaca della Sicilia normanna: “La tolleranza durava interissima.
(…) Il castello di un nuovo barone, un villaggio degli Arabi, un’antica città greca o romana, una fresca colonia
lombarda poteano ritrovarsi in Sicilia nello spazio di poche miglia soltanto: nella stessa città, colla vecchia
popolazione nativa, un quartiere di Saraceni e di Ebrei, un altro di Franchi, di Amalfitani o Pisani; e per tutto in
quelle genti diverse, con un tipo lor proprio, le tranquille apparenze di concordia reciproca. (…) La campana
d’una chiesa novella, il salmeggiare de’monaci d’un nuovo convento sposatasi al grido che da’ minareti alzava il
muezzin, chiamando alla preghiera i credenti. Presso il culto latino, modificato secondo le norme della liturgia
gallicana, vigevano i riti e le cerimonie de’ Greci; ed insieme le discipline e i precetti della legge mosaica. Le
strade, le piazze, i mercati offrivano una singolar mescolanza di costumi e di fogge: il turbante orientale, il
bianco mantello degli Arabi, la ferrea maglia de’ cavalieri normanni, il corto saio italiano, la lunga tunica greca;
differenza d’inclinazioni, abitudini, feste, esercizi, spettacoli: contrapposti infiniti e continui, che doveano però
armonizzare a vicenda”. La citazione è del libro di Isidoro La Lumia, Storia della Sicilia sotto Guglielmo il
Buono, Firenze 1867._[3]
1. La descrizione di La Lumia, riportata dal Norwich, appare secondo Houben ‘quasi idilliaca’: perché?
2. Ma dobbiamo chiederci subito: il termine “tolleranza” spesso usato a proposito di Federico II è veramente
appropriato per il Medioevo? La riposta non può che essere negativa, perché si tratta di un termine moderno che
ha una storia complessa, ma non risale al Medioevo, anzi è, come vedremo, del tutto improprio per quest’epoca.
E questo è anche il motivo per cui l’ho evitato nel titolo della mia conferenza usando invece di “tolleranza”
“rispetto”.
“Tolleranza” nel senso del riconoscimento degli stessi diritti a tutte le comunità religiose è un concetto nato
soltanto in età moderna in seguito alla Riforma protestante (inizio sec. XVI), che distrusse il monopolio di una
confessione sola, quella cattolica.
Insomma, il concetto moderno di tolleranza religiosa presuppone concetti come la dignità intellettuale, la libertà
della persona e il diritto alla coscienza individuale, che nel Medioevo non si erano ancora sviluppati. Nel
Medioevo “tolleranza religiosa” può quindi essere intesa soltanto nel senso limitato di una “tolleranza di fatto”,
vale a dire: gli appartenenti ad altre fedi venivano tollerati nel senso che non si cercava di convertirli con la forza
alla propria religione; quindi una più o meno indisturbata convivenza di appartenenti a religioni diverse. Ciò non
vale soltanto per il Medioevo cristiano, ma anche per l’area del dominio dell’Islam, dove agli ebrei ed ai cristiani
era permesso di mantenere la propria fede, ma con una conseguente caduta in un ruolo giuridicamente e
socialmente subalterno (come dhimmi, “protetti” che dovevano pagare tasse particolari, tra cui un testatico detto
gizya). – Si tratta, detto per inciso, della stessa situazione in cui vivono oggi le minoranze religiose in alcuni
Stati islamici. –
2. Perché nel caso del Medioevo non si può parlare di ‘tolleranza religiosa’ ma solo di ‘rispetto’?
3. Ruggero II era figlio di Ruggero I d’Altavilla, un cavaliere normanno emigrato in cerca di fortuna nel
Mezzogiorno d’Italia che allora, siamo nel secolo XI, veniva considerato da molta gente proveniente da nord
delle Alpi come una specie di Eldorado. Ruggero I era un fratello minore di Roberto il Guiscardo, duca di Puglia
e di Calabria e della Sicilia ancora da conquistare, come recitava il titolo conferitogli dal papa nel 1059. Ruggero
riuscì insieme al fratello, nel corso di qualche decennio, a strappare la Sicilia al dominio arabo, assumendo il
titolo di gran conte di Sicilia e di Calabria. In terze nozze Ruggero I sposò una nobile piemontese-ligure,
Adelaide del Vasto della stirpe degli Aleramici. Da questo matrimonio nacque Ruggero II, il quale unì il ducato
di Puglia e il principato di Salerno alla contea di Sicilia e Calabria, assumendo alla fine, nel 1130, il titolo di re
di Sicilia.
In Sicilia i Normanni erano in netta minoranza in confronto con la maggioranza musulmana, costituita da arabi e
berberi immigrati nonché da siciliani convertitisi all’islam, e, inoltre, di un gruppo non indifferente di cristiani di
lingua e cultura greca, residenti prevalentemente nella Sicilia orientale. I nuovi signori dell’isola dovettero perciò
rispettare gli altri gruppi etnici e religiosi. La corte di Ruggero II a Palermo, città prevalentemente abitata da
arabi, era veramente “multiculturale”: al fianco di funzionari latini operavano colleghi greci e arabi. Accanto a
dotti bizantini come Nilo Doxapatres troviamo uno scienziato arabo, il geografo, botanico e farmacologo alIdrisi. Soltanto verso la fine della vita di Ruggero II, deceduto nel 1154, avvenne qualche episodio di
intolleranza: il comandante della flotta regia, Filippo di Madia, un eunuco arabo battezzato, venne giustiziato
perché aveva abbandonato la fede cristiana per tornare all’islam.
Episodi di intolleranza verso i musulmani siciliani avvennero poi particolarmente ad opera dei “Lombardi”,
come vennero indicati gli originari dell’Italia settentrionale immigrati in Sicilia, mentre alla corte regia a
Palermo i successori di Ruggero II, Guglielmo I ‘il Malo’ (1154-1166) e Guglielmo II (1166-1189) mantennero
l’aspetto orientale della corte.
3. Componenti etniche della corte di Ruggero, manifestazioni di rispetto/intolleranza nella medesima
4. L’arabista Jeremy Johns dell’Università di Oxford, in un convegno tenutosi nell’ottobre 2006 a Bari, ha
sottolineato che nel regno normanno di Sicilia avvenne una vera e propria “fusione culturale” tra cultura
occidentale e cultura orientale. Certo, i sovrani normanni tolleravano i musulmani anche per motivi pratici, dato
che questi costituirono la maggioranza della popolazione e pagavano la maggior parte delle tasse. Un noto
esempio di questa simbiosi culturale è la Cappella Palatina di Palermo con la sua struttura architettonica
occidentale, i suoi mosaici bizantini e il suo soffitto decorato con motivi arabi.
La situazione dei musulmani nel regno normanno di Sicilia verso la fine dell’epoca normanna viene descritta
molto efficacemente da Ibn Giubair, un musulmano spagnolo che visitò l’isola nel 1185. Egli descrive così la
corte di Guglielmo II ‘il Buono’: «Palermo (...) è la dimora di molti cittadini musulmani che hanno moschee,
mercati propri e molti sobborghi (...). Il re (...) è ammirabile per la sua buona condotta e per il suo valersi
dell’opera dei musulmani; tiene al servizio giovani eunuchi, i quali tutti o in maggior parte mantengono in
segreto la loro fede e sono attaccati alla legge dell’Islam. (...) il soprintendente della sua cucina è un musulmano.
Dispone di un corpo di schiavi neri musulmani comandati da un qaid scelto tra loro».
Poi Ibn Giubair parla dei medici ed astrologi del re e della sua capacità di leggere e scrivere l’arabo. Racconta
che «le ancelle e concubine che tiene a palazzo sono tutte musulmane», e che esse avrebbero persino convertito
all’islam le donne cristiane viventi nel palazzo regio, cosa che sarebbe rimasta ignota al re. Quando un giorno
l’isola fu scossa da un forte terremoto, il re si sarebbe accorto che le donne e i paggi invocarono «Dio ed il suo
profeta (Maometto)». Notata la presenza del sovrano questi sarebbero ammutoliti, ma il re avrebbe loro detto:
«ognuno di voi invochi l’Essere che egli adora ed in cui crede». Nel prosieguo del racconto di Ibn Giubair si
apprende però che al di fuori del palazzo regio la situazione dei musulmani stava peggiorando in seguito alla
crescente latinizzazione e cristianizzazione dell’isola.
4. La testimonianza di Ibn Giubair su Guglielmo II Il Buono
5. Mentre i musulmani, nel corso del secolo XII, in Sicilia da maggioranza stavano diventando minoranza, c’era
un'altra componente religiosa del Mezzogiorno d’Italia che era stata da sempre una minoranza. Si tratta della
comunità ebraica che all’epoca dei Normanni nel Mezzogiorno peninsulare ebbe un certo influsso culturale,
tanto che qui avvennero alcuni casi clamorosi di conversione dal cristianesimo alla fede mosaica. La conquista
normanna non modificò la situazione giuridica degli ebrei siciliani che continuarono a pagare il testatico (la
gizya) che avevano versato sotto il dominio arabo. Va notato che nell’Italia meridionale, diversamente dalla
Francia e dalla Germania, all’epoca della prima crociata non avvennero persecuzioni di ebrei.
Alla corte multiculturale di Ruggero II a Palermo la situazione delle comunità ebraiche, alle quali furono
garantiti il libero esercizio della loro religione e l’autonomia giuridica, doveva essere buona.
Un indizio che ci induce a questo giudizio è il fatto che nel 1153 a Napoli un ebreo acquisì due immobili
adiacenti alla sinagoga con la possibilità di trasformare uno di essi in una sinagoga o scuola. Secondo la legge
giustinianea, la costruzione di nuove sinagoghe era invece vietata, ed era permessa soltanto la rinnovazione o
restaurazione di quelle già esistenti.
Il rispetto interreligioso, praticato in quest’epoca, emerge anche da un documento del vescovo Giovanni di
Catania del 1168, secondo cui “Latini, Greci, Judei et Saraceni, unusquisque iuxta suam legem iudicetur”. Il
viaggiatore ebreo Beniamino di Tudela che visitò intorno al 1170 l’Italia trovò le comunità ebraiche più
consistenti nel Sud: a Palermo 1500 persone, o capifamiglia, a Salerno circa 600, a Napoli e Otranto circa 500, a
Capua e a Taranto circa 300. Lo stesso numero della comunità ebraica di Roma, cioè circa 200 persone o
capifamiglia, contavano le comunità ebraiche delle città di Benevento, Melfi, Trani e Messina. E altre città
meridionali, non visitate da Beniamino da Tudela, come per esempio Siracusa, dovevano anch’esse ospitare
delle comunità ebraiche notevoli, come sappiamo da singoli documenti.
In epoca normanna la maggior parte degli ebrei meridionali esercitarono mestieri di artigianato, mentre non
mancarono naturalmente medici e banchieri. Il prestito di denaro fu in quest’epoca però praticato anche dai
cristiani, mentre soltanto nel secolo successivo la Chiesa romana avrebbe vietato tale attività ai cristiani, e
Federico II avrebbe accolto questo divieto nelle Costituzioni di Melfi del 1231.
5. la situazione degli Ebrei con Ruggero II
6. Federico II, come è noto, era il figlio di Enrico VI Hohenstaufen e di Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero
II e erede del regno di Sicila in seguito alla morte senza figli di Guglielmo II. Federico, dopo la sua nascita
avvenuta nel 1194 a Jesi, passò la sua infanzia a Palermo e fu quindi profondamente influenzato dall’eredità
culturale dei suoi antenati materni.
Come testimonianza per il rispetto di Federico II per l’Islam viene spesso citato un episodio, avvenuto durante la
sua crociata (1228/29). La crociata federiciana, come è noto, a differenza dalle altre crociate ebbe successo senza
combattere, soltanto grazie a trattative diplomatiche tra Federico e il sultano d’Egitto, al-Kamil. Il cronista arabo
Sibt ibn-al Giawzi (1186-1256) racconta che l’imperatore avrebbe cacciato dal Santuario della Roccia un prete
cristiano, probabilmente perché questi ostentava lì il vangelo, cosa che poteva essere interpretata dai musulmani
come una provocazione; inoltre, Federico avrebbe fatto ripristinare i richiami dei muèzzin alla preghiera, sospesi
su ordine del sultano al-Kamil come gesto di cortesia verso l’ospite cristiano. L’imperatore, informato di questo,
avrebbe detto al funzionario arabo che aveva fatto eseguire l’ordine del sultano: «Avete fatto male! Volete voi
alterare il vostro rito e la vostra legge e fede a causa mia? Se foste voi presso di me nel mio paese, sospenderei io
forse il suono delle campane a causa vostra?»
Lo stesso episodio viene anche raccontato da un altro cronista arabo, Gamal ad-Din Ibn Wasil (1207-98),
nato a Hamat in Siria e dal 1252 a servizio del sultano mamelucco Baibars, il quale lo inviò nel 1261 al re
Manfredi in Sicilia. Ibn Wasil scrive: «Disse il cadi Shams ad-din: io raccomandai ai muèzzin di non far
l’appello alla preghiera quella notte, per riguardo al sovrano. Quando al mattino entrai da lui, egli mi disse: “O
cadi, perché i muèzzin non han fatto l’appello alla preghiera secondo il loro solito?” “Quest’umile schiavo, risposi, - ne li ha impediti, per riguardo e rispetto a vostra Maestà”. “Hai sbagliato nell’agir così, - ripos’egli; - il
mio maggiore scopo nel pernottare a Gerusalemme era di sentire l’appello alla preghiera dei muèzzin e la loro
lode a Dio durante la notte».
Questi racconti vanno però interpretati con molta cautela: Ibn Wasil cercò di giustificare il trattato, con
cui al-Kamil restituì Gerusalemme ai cristiani, molto contestato nel mondo musulmano, stilizzando Federico
come un amico dei musulmani.
6. Federico II e l’ Islam secondo alcune testimonianze
6.1 perché queste testimonianze forse non sono attendibili?
7. Nonostante ciò Federico II è stato accusato, con riferimento alla deportazione dei Musulmani di
Sicilia a Lucera, di aver praticato una specie di “pulizia etnica”. Ma vediamo brevemente i fatti: Nel 1221 la
minoranza musulmana della Sicilia, che viveva nella parte sudoccidentale dell’isola, nel Val di Mazara (a
sudovest di Palermo) e nel Val di Noto (tra Agrigento e Siracusa) si era ribellata contro il dominio cristiano e
aveva occupato la città di Agrigento prendendo in ostaggio il locale vescovo. Federico II reagì con una
spedizione militare, nel corso della quale espugnò, dopo tre mesi d’assedio, la roccaforte musulmana di Monte
Jato (presso l’odierna S. Giuseppe Jato, a sudovest di Palermo). Il capo dei ribelli Ibn ‘Abbàd si sarebbe recato
presso l’imperatore, ma questi gli avrebbe tirato un calcio ferendolo con lo sperone del suo stivale; dopo sette
giorni di prigionia l’avrebbe poi squartato, mentre avrebbe ucciso i suoi figli legandoli alle code di cavalli, i
quale correndo li avrebbero trascinati sulla terra con una morte atroce. Questo è quanto riferisce il cronista arabo
Ibn Nazìf, secondo cui Federico II avrebbe fatto uccidere 170.000 musulmani, deportandone altrettanti.
La testimonianza di Ibn Nazìf è però inattendibile per vari motivi: 1) egli non era presente agli eventi, ma
riferisce soltanto “per sentito dire”; 2) l’accusa di strage, cioè dell’uccisione di 170.000 musulmani, non trova
riscontro in altre fonti, si tratta quindi di una testimonianza isolata; se essa può avere una certa credibilità o meno
dipende da quanto possiamo accertare sulla personalità di Federico II, cioè se era un personaggio sanguinario,
come altre testimonianze riportano, e se aveva un odio particolare contro i musulmani, cosa invece nettamente
smentibile come già visto.
Per quanto riguarda l’episodio narrato sulle crudeltà commesse da Federico II contro Ibn ‘Abbàd, sembra
trattarsi di un’invenzione letteraria del cronista arabo. Da altre fonti risulta soltanto che l’imperatore fece
impiccare Ibn ‘Abbàd e i suoi figli per la loro ribellione considerata alto tradimento e per il sequestro del
vescovo di Agrigento. Sicuro è che Federico II, dopo un’ulteriore ribellione dei musulmani siciliani li fece
deportare a Lucera, che diventò una colonia musulmana in terra cristiana suscitando le vibrate proteste del papa.
A Lucera i musulmani potevano seguire indisturbati la loro religione ed essi diventarono fedelissimi seguaci
dell’imperatore, al quale i soldati musulmani facevano comodo, quando si trovò in guerra con il papa.
7. la contro-testimonianza di Ibn Nazìf ed il suo valore
7.1. quali sarebbero i veri fatti accaduti?
8. Il cronista arabo, Ibn Wasil, che abbiamo già citato dinnanzi, fornisce una breve descrizione di Lucera nel
1261 (quindi a poco più di 10 anni dalla morte di Federico II): “C’era una città di nome Lucera, i cui abitanti
sono tutti musulmani dell’isola di Sicilia; lì si tiene la pubblica preghiera del venerdì, e vi si professa
apertamente il culto musulmano. Questa città è così dal tempo dell’imperatore, padre di Manfredi. Egli (cioè
Federico II) aveva intrapreso in questa città la costruzione di un istituto scientifico perché vi fossero coltivati
tutti i rami delle scienze speculative. E la maggior parte dei suoi familiari e funzionari di corte erano musulmani,
e nel suo campo si faceva apertamente l’appello alla preghiera e la preghiera canonica stessa”.
Il caso di Lucera, come anche la corte orientaleggiante di Federico II, dove non mancavano eunuchi e danzatrici
arabe, venne sfruttato dalla propaganda pontificia per dipingere l’imperatore svevo, accusato anche di eresia, di
essere un cripto-musulmano. Significativa è la testimonianza di un cronista cristiano di Terra Santa, l’anonimo
continuatore della Cronaca di Guglielmo da Tiro, che scrive di Federico: “Egli aveva un amore e una fiducia così
grande verso gli infedeli e li conosceva così bene che onorava questo popolo e i suoi costumi più di tutti gli altri.
Come camerari e servi più fedeli sceglieva musulmani e faceva sorvegliare le sue donne da eunuchi. In molte
cose egli si teneva agli costumi e alle usanze dei saraceni. Se egli riceveva inviati di principi musulmani, li
faceva accogliere con una grande festa e faceva a loro tanti piaceri, che tutti ne erano meravigliati, e dava loro
doni belli e preziosi. Al sultano (al-Kamil) inviava spesso doni preziosi e splendenti, e allo stesso modo gli li
mandava il sultano. Perciò il papa e tutti gli altri cristiani erano molto preoccupati e sospettavano fortemente che
egli volessi convertirsi alla fede di Maometto. Tutta la gente assicurava però con decisione che egli non credette
in nulla e che non sapeva più quale fede volesse eliminare e quale scegliere e tenere.”
8. Il cripto-islamismo di Federico II nella propaganda papale
8. Un cronista inglese, Matteo Paris, era un monaco benedettino del monastero di St. Albans a nordovest di
Londra; egli era ben informato delle vicende dell’Italia meridionale perché era in stretto contatto con la casa
reale inglese, dalla quale proveniva la terza moglie di Federico II, Isabella d’Inghilterra. Il monaco inglese era
comunque molto critico verso il papato a causa della politica finanziaria dei pontefici che egli non approvava.
Matteo Paris scrive che il papa rimproverò all’imperatore di seguire piuttosto Maometto e la legge saracena che
Cristo e la fede cristiana; e inoltre che il papa in uno scritto diffamatorio (invectiva epistola) accusò l’imperatore
“che egli avrebbe, cosa orribile da leggere, chiamato impostori sia Maometto che Gesù e Mosè”. A questo
proposito il cronista inglese osservò però, che in verità l’imperatore “nelle sue lettere scrive umilmente e
cattolicamente di Dio, soltanto che egli fa rimproveri alla persona del papa, non alla sua carica; ed egli non
proclama ne afferma, per quanto ci risulta finora, qualcosa di eretico e di antiecclesiastico”.
Il benedettino inglese respinse l’accusa di eresia rivolta contro Federico II dalla propaganda pontificia. Si
trattava infatti di un’accusa strumentale che servì per giustificare la lotta contro l’imperatore, causata da motivi
politici, e in particolare dalla volontà del papa di affermare la sua superiorità sul potere temporale, cosa
inaccettabile per Federico, il quale difendeva con decisione la indipendenza del potere temporale da quello
spirituale.
9. La testimonianza del benedettino Paris
10. L’atteggiamento rispettoso di Federico II verso i musulmani e anche, come vedremo, verso gli ebrei va
inquadrato nel clima generale del Duecento, che fu, come ha scritto Franco Cardini “uno dei momenti, in cui
Cristianità e Islam (...) furono più vicini”, facendo riferimento alla passione di Federico II per la cultura araba.
L’imperatore svevo dimostrò un grande rispetto non soltanto verso i musulmani, ma anche verso gli
ebrei. Significativo è un caso avvenuto nel 1236, quando egli si trovò Germania: Gli ebrei di Fulda erano stati
accusati di aver ucciso dei ragazzi cristiani per usare il loro sangue per scopi rituali. Per dimostrare la falsità di
queste accuse, Federico fece convocare alcuni ebrei che si erano convertiti alla fede cristiana per accertare se ci
potesse essere un motivo per cui gli ebrei avrebbero avuto bisogno di sangue umano e per cui quindi avrebbero
potuto essere indotti a un tale crimine. Dall’interrogatorio si evinse che ciò non era il caso; anzi risultò che agli
ebrei era assolutamente vietato di macchiarsi di qualsiasi tipo di sangue. Nella sentenza emanata nell’agosto
1236 ad Augusta, considerato «che è impossibile che coloro, a cui è vietato il sangue di animali, abbiano sete di
sangue umano e mettano per ciò in pericolo i loro beni e le loro persone», fu decretato che gli ebrei venissero
prosciolti e fu vietato di molestarli in futuro; anzi essi, in qualità di «servi dell’imperatore» dovevano avere un
trattamento «favorevole e benevolo».
Interessante è il fatto che Federico dichiarò che egli già in partenza era convinto della innocenza degli
ebrei, perché egli conosceva molti dei loro libri, e che aveva fatto avviare l’inchiesta menzionata anzitutto «per
la soddisfazione (...) della popolazione cristiana priva di cultura». Che questa dichiarazione corrisponde ai fatti, è
stato dimostrato da fonti ebraiche: da esse si apprende che l’imperatore discusse personalmente con studiosi
ebraici presenti alla sua corte su questioni filosofiche e teologiche, e in particolare su alcuni versi del Talmud.
Nello stesso periodo in Francia, Luigi IX ‘il Santo’ fece invece bruciare lo stesso libro sacro degli ebrei
come testo eretico.
10. Ulteriori testimonianze su Federico e gli Ebrei
11. Quanto sia però improprio parlare di “tolleranza” di Federico II verso musulmani ed ebrei, invece di
rispetto, viene dimostrato dalle celebri Costituzioni di Melfi, emanate dall’imperatore svevo nel 1231. Qui
vengono stabilite delle norme notevoli di protezione delle minoranze religiose: si legge infatti nel § 18 del libro I
che “i giudei e i saraceni e altri” hanno il diritto di appellarsi all’imperatore contro eventuali abusi d’ufficio dei
funzionari statali, perché, così recita la norma “non vogliamo che vengano rinchiusi come innocenti solo perché
sono ebrei o musulmani”. Questa norma è notevolmente moderna, e contraddice il diritto canonico che vieta di
concedere a musulmani ed ebrei gli stessi diritti dei cristiani.
Ma avere lo stesso diritto di appello dei cristiani non significava essere considerati uguali a questi. Ciò è
dimostrato da un’altra norma delle stesse Costituzioni (I 28), che imponeva alle comunità locali, che non
riuscivano a consegnare alla giustizia un assassino, una multa che variava secondo l’appartenenza religiosa della
vittima: se si trattava di un cristiano, la multa era di 100 augustali; se invece la vittima era un ebreo o un
musulmano era soltanto di 50 augustali. Per dirla in modo esplicito: anche se nella norma precedente (I 27)
veniva proclamato che gli ebrei e i musulmani non dovevano essere perseguitati a causa della loro fede, divenne
così evidente che la vita di un ebreo o di un musulmano valeva la metà di quella di un cristiano!
Siamo quindi ancora lontani mille miglia dalla tolleranza moderna intesa come piena uguaglianza dei diritti. La
società medievale era del resto basata sulla disuguaglianza che si credette voluta da Dio. Penso al noto concetto
altomedievale della società tripartita in tre “classi”: gli oratores, cioè coloro che pregano, quindi il clero; poi i
bellatores, quelli che fanno la guerra (bellum), cioè la nobiltà; e infine i laboratores, coloro che lavorano, cioè il
resto della società: contadini e lavoratori di ogni genere.
10. Le Costituzioni melfitane: rispetto delle minoranze religiose e suoi limiti