«Io sono JHWH» Il Dio liberatore si rivela

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«Io sono JHWH»
Il Dio liberatore si rivela
Nel tempo in cui, nel deserto, Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero,
si accese sull’Oreb un roveto ardente destinato a non consumarsi. Lì Dio si rivela come colui che non si dimentica del suo popolo
e lo fa uscire da una situazione di schiavitù simile alla morte.
Nel roveto ardente, il Dio dei padri rivelerà a Mosè il suo nome.
«G
li israeliti gemettero per la
schiavitù, alzarono grida di
lamento, e il loro grido salì
a Dio. E Dio allora ascoltò quel grido, si
ricordò della sua alleanza con Abramo
e Giacobbe, guardò la condizione degli
Israeliti e se ne prese cura» (Es 2,13 ss.)
Si intravvede in queste righe il sopraggiungere improvviso del vero protagonista del racconto, dell’Atteso, del «prefigurato»: ciò che Mosè aveva fatto per suo
conto (visitare i suoi fratelli, osservare,
intervenire) s’era rivelato vano, perché
egli era solo un precursore, un simbolo.
Egli doveva soltanto, senza saperlo,
annunciare l’arrivo di Dio.
La grande rivelazione
Ed ecco ora Dio viene e si rivolge
proprio a quel suo inconsapevole messaggero. E lo sceglie per realizzare – a nome
Suo – ciò che, a nome proprio, Mosè non
ha saputo né potuto portare a termine.
Fu in quel momento che, nel deserto dove Mosè pascolava il suo gregge, il
roveto cominciò ad ardere senza consumarsi.
Quando l’esule incuriosito cercò di
avvicinarsi, sentì una voce che lo chiamava («Mosè, Mosè!». «Eccomi!») e lo avvertiva che quella era una terra santa, su cui
bisognava camminare scalzi, come in un
tempio.
Poi Dio gli parlò degli israeliti oppressi
in Egitto, e ne parlò come di una sventura che lo riguardava personalmente, dato
che Egli era «il Dio dei padri»: «Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il
suo grido..., conosco le sue sofferenze..., ho
visto l’oppressione con cui li tormentano...,
sono sceso per liberarli» (Es 3,7ss).
Era come il sollevarsi di un velo (una
«rivelazione», appunto): il deserto non era
solo deserto, era terra santa; Mosè non
era solo un esule sconfitto, era un «chiamato»; gli israeliti non erano abbandonati
a se stessi, c’era un Dio che vegliava su di
loro; il Faraone non incarnava un potere
divino, anzi Dio scendeva in campo contro di lui.
Mosè non ebbe nemmeno il tempo
di riflettere su come diventa luminosa e
bruciante la storia quando Dio vi entra
come protagonista, che si trovò coinvolto
nel disegno dell’Onnipotente:
«Va’! Io ti mando dal Faraone. Fa’ uscire
dall’Egitto il mio popolo!» (3,10).
Già una volta egli si era mosso, spinto
da un istinto di solidarietà, ed era stato
risucchiato da un vortice di sventure.
Il nome di Dio
Ora ha paura di lasciarsi afferrare da
quel Dio che vuole requisirlo per un’opera
umanamente impossibile: stare davanti al
Faraone (considerato allora quale Dio in
terra) come ambasciatore del vero, unico
Dio. E chiese a Dio di svelargli almeno il
suo Nome.
Secondo la concezione degli antichi,
conoscere il nome del proprio Dio, voleva dire avere su di lui un certo potere,
poterlo piegare alle proprie necessità,
essere garantiti sul suo intervento salvifico, poterlo «usare» contro i nemici, anche
solo pronunciando quelle sillabe magiche
e misteriose.
E Dio rispose: «Io sono Colui che
sono»: «JHWH».
LA BIBBIA - 113
Dal libro dell’Esodo
Capitolo 3 1-15
«Io Sono» mi ha mandato a voi
Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb.
2
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal
mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per
il fuoco, ma quel roveto non si consumava.
3
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?».
4
Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!».
5
Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi,
perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!».
6
E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il
Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
1
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in
Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8 Sono sceso per liberarlo dal
potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una
terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte
e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita,
7
IL ROVETO ARDENTE (vv. 1-6)
Questa scena è una combinazione
di fonti significativa da un punto di
vista teologico, perché indica la varietà e la ricchezza della tradizione
di Israele: nessuna singola tradizione
può reclamare il diritto esclusivo di
raccontare l’intera storia.
Fin dall’inizio c’è una stretta
associazione tra l’esodo e il Sinai,
infatti il termine “roveto” (in ebraico seneh) è probabilmente scelto
dal redattore J per collegare questa
scena con la montagna di Dio (in
ebraico sinai) e anche l’ardere del
roveto è connesso al fuoco della teofania del Sinai (cfr 19,18). Da questa
scena emerge una doppia dimensione: quella del timore e quella della
continuità storica.
Il timore è espresso dal gesto di
Mosè di togliersi i sandali a causa
della sacralità dell’incontro con il
Signore (la presenza del Signore
santifica il suolo) e, di conseguenza,
si copre il viso. La continuità storica
è articolata nel v. 6: il Dio che parla
a Mosè ha operato da secoli a favore
di questo popolo. Il Dio di Mosè è lo
stesso Dio dei patriarchi.
L’investitura di Mosè (vv. 7-15)
Questa scena è intimamente legata con la rivelazione divina al roveto
ardente; in questo modo l’esperien-
JHWH: Dio salva
Gesù: il Salvatore
Dio «osserva» I’oppressione che pesa sul suo popolo, «ode» il suo grido e «conosce» le sofferenze dei suoi, che vivono nella povertà e nell’umiliazione. Per questo «scende» ed entra nella loro
storia di dolore per intervenire in essa. A tale
scopo sceglie Mosè. Mosè fa resistenza. Il Signore
gli rivela il proprio nome.
Rivelazione e missione sono inseparabilmente
unite. Si tratta di un insegnamento prezioso: Dio
Ci rivela il suo mistero perché noi lo comunichiamo agli altri. Il nome di Dio è inseparabilmente
legato alla liberazione del suo popolo.
«Dirai agli israeliti: Io-Sono mi ha mandato a
voi». «Io-Sono» è un’espressione difficile e misteriosa che tentiamo di analizzare qui accanto ma
il suo significato salvifico è chiaro. Dice Dio: «la
liberazione dalla schiavitù d’Egitto farà capire al
mio popolo chi sono, meglio di qualsiasi definizione. Io sono colui salva».
Gli interventi di Dio nella storia degli uomini
danno luogo alla storia della salvezza. Rivelano
a poco a poco il nome santo di Dio. La rivelazione sarà piena e definitiva con l’incarnazione del
Figlio: «Lo chiamerai Gesù: egli infatti salvera il
suo popolo dai suoi peccati».
Gesù, come il Dio del Sinai, viene a liberare e a
salvare dal peccato e dalla morte. L’evangelista
Giovanni mette più volte sulla bocca di Gesù
l’espressione «Io sono», alludendo chiaramente
alla solenne affermazione di Dio a proposito di
se stesso.
Gesù ci dice il suo nome come Dio aveva detto
il suo nome a Mosè. Gesù è Dio, che è venuto
ed è presente, è «sceso» e agisce per salvarci. In
questa prospettiva possiamo apprezzare meglio
il significato e la forza della formula con cui la
chiesa conclude tutte le sue preghiere: «Te lo
chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore».
114 - LA BIBBIA
l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9 Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli
Egiziani li opprimono. 10 Perciò va’! Io ti mando dal faraone.
Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!».
11
Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far
uscire gli Israeliti dall’Egitto?». 12 Rispose: «Io sarò con te.
Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu
avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».
13
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro:
“Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno:
“Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
14
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!».
E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi». 15 Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti:
“Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio
nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di
generazione in generazione».
za di Dio è connessa con la funzione
che Mosè avrà in Israele.
I teologi d’Israele rispecchiano
la tradizione che riteneva Mosè un
profeta: egli era uno che parlava al
popolo di Israele a nome di Dio, era
il portavoce di Dio.
Il racconto utilizza il genere letterario del “racconto di vocazione”
tentando di comunicare il significato
di questa scelta di Dio rispondendo
al bisogno umano di avere dei segni
e delle conferme.
Mosè è esplicitamente mandato a condurre gli israeliti fuori
dall’Egitto. Non solo, ma anche a
condurlo nella terra promessa, il
paese dove scorrono latte e miele
(v. 8). Quest’ultima espressione, che
rappresenta il paese come il paradiso terrestre, è presa in prestito dalla
mitologia.
Mosè, per recarsi dagli israeliti,
ha bisogno di un’ulteriore prova, la
rivelazione del Nome (vv. 13-15).
IL NOME DI DIO È: «JHWH, Io sono colui che sono!»
Notiamo anzitutto che per il
redattore Javista la rivelazione
del nome Yhwh (sempre tradotto
«il Signore» nella versione della
Bibbia della CEI) non ha richiesto
un episodio specifico, infatti fin
dall’inizio della sua narrazione
(Gn 2,4b) J usa il nome proprio
Yhwh e da Gn 4,26 in poi presume che questo nome sia conosciuto dagli uomini.
Il redattore Eloista, invece,
fino a questa scena del capitolo
3° dell’Esodo usa sempre il termine generico “Dio” (in ebraico
Elohim) per cui la distinzione nel
nome divino è presto diventata
un criterio per separare le fonti
Javista ed Eloista.
Conoscere il nome
Per Israele, come per tutto il
Vicino Oriente e per il mondo
antico in genere, il nome implicava l’esistenza reale: qualcosa
diventava una realtà quando se
ne conosce il nome. Questo è il
senso di «dare il nome».
Il nome implica poi anche una
dimensione di intimità: cono-
scendo il nome di qualcuno, ci si
metteva in rapporto con quella
persona. Ma davanti al nome
proprio del Dio d’Israele si pongono due problemi.
L’etimologia
del tetragramma sacro
Il primo problema è l’etimologia di Yhwh, che è rappresentato
nel testo ebraico dalle quattro
consonanti YHWH, il tetragramma sacro. Le soluzioni a questo
problema etimologico sono numerose.Secondo una etimologia
popolare, le quattro consonanti
ebraiche YHWH con le quali è
indicato il Nome di Dio, viene
spiegato con l’accostamento al
verbo «essere» (hayah).
Il significato di questo verbo,
però, non va inteso tanto come
una definizione filosofica di Dio
come «Colui che ha l’essere per
essenza», ma come un «essere
per»: Dio è colui che si rende
presente «in favore di».
Ma vediamo da vicino alcuni
dei significati possibili per il tetragramma sacro JHWH.
I significati possibili
Il nome domandato da Mosè
ora viene rivelato. Ecco: «YHWH
(pronunciare lahvè) è il mio nome
per sempre» (v. 15). Secondo le
tradizioni «elohista» (Es 3,9-15) e
«sacerdotale» (Es 6,2-3), questo
nome è stato rivelato soltanto al
tempo di Mosè, mentre abbiamogià visto che secondo la tradizione a «jahvista» era conosciuto dai
primordi dell’umanità.
Il nome YHWH ha probabilmente un’origine pre-israelitica;
ma, qualunque sia l’origine,
questo testo fondamentale vuole
legare il nome di Dio ad un’antica forma del verbo «essere,
essere agendo = hawâh».
Altri testi si sono ancora
sforzati di spiegare la ricchezza
contenuta nel nome YHWH. Ma
la frase enigmatica «lo sono (o
sarò) colui che sono (o sarò)» non
ne spiega facilmente il senso. Per
esempio:
• Si può intendere: «lo sono
colui che sono, cioè non voglio o
non posso dire chi sono» (cf Gn
32,30, dove l’angelo del Signore
LA BIBBIA - 115
I segni (vv. 4,1-9)
Capitolo 4 1-20
«Io sarò con la tua bocca»
Mosè replicò dicendo: «Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: “Non ti è apparso
il Signore!”». 2 Il Signore gli disse: «Che cosa hai in mano?».
Rispose: «Un bastone». 3 Riprese: «Gettalo a terra!».
Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti
al quale Mosè si mise a fuggire. 4 Il Signore disse a Mosè:
«Stendi la mano e prendilo per la coda!». Stese la mano, lo
prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano.
5
«Questo perché credano che ti è apparso il Signore, Dio dei
loro padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe».
6
Il Signore gli disse ancora: «Introduci la mano nel seno!».
Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco, la sua mano
era diventata lebbrosa, bianca come la neve.
7
Egli disse: «Rimetti la mano nel seno!». Rimise in seno la
mano e la tirò fuori: ecco, era tornata come il resto della sua
carne. 8 «Dunque se non ti credono e non danno retta alla
voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo!
9
Se non crederanno neppure a questi due segni e non da1
rifiuta di dire il suo nome).
Questo sottolineerebbe il
fatto che non si può imprigionare Dio nelle parole umane.
• Si può anche comprendere: «lo sono colui che è» in
opposizione agli dèi che non
sono (Isaia 43,10) o che sono
niente (Isaia 41,24). La traduzione greca dei LXX ha dato
questo senso.
• Ci si può infine rendere
conto di tutti questi valori
sottolineando che il contesto parla di Dio presente con
Mosè per aiutarlo nell’opera
della salvezza e che la forma
verbale usata ha, in ebraico
sia valore di presente che di
futuro. Allora la traduzione: «lo sono colui che sarò»
vorrebbe affermare: «lo sono
là, con voi, e voi mi vedrete
all’opera». Sottolieerebbe il
fatto che Dio manifesta chi
egli è attraverso la storia della
salvezza degli uomini e il suo
intervento per salvarli.
Anche la formula di Apocalisse 1,4.8: «Egli è, egli era
116 - LA BIBBIA
e egli viene» è uno sviluppo
dell’«lo sono» di Es 3,14.
JHWH - Adonai
Bisogna notare che al
verso 15 si dimentica Jhwh e si
ritorna a «Elohim - Signore».
Ricordiamo qui che la pronunzia esatta del tetragramma
sacro non è giunta fino a noi.
A partire dal periodo del secondo tempio, il nome di Dio
non venne più pronunciato,
a motivo della sua santità, e
venne sostituito probabilmente dal termine «Adonay» tradotto nella versione greca dei
Settanta con la parola «Kyrios
(il Signore)» parola che nel
NT verrà usata per indicare il
Cristo risorto (cf Fil 2,11).
Le forme abbreviate «Yah,
Yahu» già molto antiche, sono
usate nel grido di lode «Allelu-Yah = Lodate il Signore»
e nella formazione di molti
nomi propri: Eliyahu = Elia,
cioè «Mio Dio è il Signore»,
Yehoshua =Giosuè o Gesù,
cioé «Il Signore salva».
I segni sono necessari perché
Mosè possa autenticare la propria
missione davanti al popolo e convalidare le sue richieste. I segni che
vengono forniti sono un bastone, o
una specie di bacchetta magica, e la
lebbra alla mano.
Il bastone in Oriente è l’insegna
del potere dell’uomo; in questo caso
è il segno del potere di Dio trasmesso a Mosè. La lebbra è il contagio
che separa.
I segni qui ricordati avranno in
seguito successo e confermeranno il
diritto di Mosè di parlare a nome del
Signore.
GLI ANNI DELLA VITA
DI MOSÈ
In sintonia con la tradizione
ebraica, è il capitolo settimo degli Atti degli Apostoli (7,20-43) a
scandire la vita di Mosè in tre tappe, ciascuna di 40 anni: al v. 23 si
dice che “quando furono compiuti
40 anni salì nel suo cuore l’idea di
visitare i fratelli, i figli d’Israele”; al
v. 30 si afferma che “compiuti altri 40 anni, gli apparve nel deserto
del Sinai un angelo in fiamma di
fuoco”. Nel libro del Deuteronomio è lo stesso Mosè morente a
dire: “Io oggi ho 120 anni” (31,2:
cf. 34,7).
Dunque, secondo questa preziosa testimonianza biblica, la vita
di Mosè dura tre volte 40 anni - 40
alla scuola del Faraone, 40 nella
terra di Madian, 40 nel deserto.
Quaranta - quattro, numero del
mondo definito dai quattro punti
cardinali, moltiplicato 10, numero
indicativo della perfezione - è una
cifra densamente simbolica: tre
tappe di 40 anni vogliono dire che
ognuna di esse ha un significato di
valore universale.
In esse ogni creatura umana
potrà riconoscere i propri decisivi
passaggi della vita e della fede e
rileggere la propria esistenza davanti a Dio.
ranno ascolto alla tua voce, prenderai acqua del Nilo e la
verserai sulla terra asciutta: l’acqua che avrai preso dal Nilo
diventerà sangue sulla terra asciutta».
10
Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un
buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma
sono impacciato di bocca e di lingua». 11 Il Signore replicò:
«Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore?
12
Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che
dovrai dire». 13 Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi
vuoi mandare!». 14 Allora la collera del Signore si accese
contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne,
il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti
incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. 15 Tu gli parlerai e
porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua
bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. 16 Parlerà lui al
popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci
di Dio. 17 Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni».
18
Mosè partì, tornò da Ietro suo suocero e gli disse: «Lasciami andare, ti prego: voglio tornare dai miei fratelli che sono
in Egitto, per vedere se sono ancora vivi!».
Ietro rispose a Mosè: «Va’ in pace!». 1
9
Il Signore disse a Mosè in Madian: «Va’, torna in Egitto,
perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!».
20
Mosè prese la moglie e i figli, li fece salire sull’asino e
tornò nella terra d’Egitto. E Mosè prese in mano il bastone
di Dio.
Capitolo 5, 1-23
L’incontro con il faraone
In seguito, Mosè e Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono: «Così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Lascia
partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!”». 2 Il faraone rispose: «Chi è il Signore, perché io debba
ascoltare la sua voce e lasciare partire Israele? Non conosco
il Signore e non lascerò certo partire Israele!».
3
Ripresero: «Il Dio degli Ebrei ci è venuto incontro. Ci sia
dunque concesso di partire per un cammino di tre giorni nel
deserto e offrire un sacrificio al Signore, nostro Dio, perché
non ci colpisca di peste o di spada!». 4 Il re d’Egitto disse
loro: «Mosè e Aronne, perché distogliete il popolo dai suoi
lavori? Tornate ai vostri lavori forzati!». 5 Il faraone disse:
«Ecco, ora che il popolo è numeroso nel paese, voi vorreste
far loro interrompere i lavori forzati?».
1
LASCIA PARTIRE (v. 1)
Il fatto di «celebrare un festa nel
deserto» ( o di «fare un pellegrinaggio nel de­serto» come traducono
alcuni) è probabilmente una consuetudine cui il nuovo faraone non
vuole accondiscendere. Queste celebrazioni o pellegrinaggi era­no feste comunitarie celebrate
in data fissa nei luoghi santi. La
festa che Mosè vuole andare a celebrare e che, in seguito agli avvenimenti dell’esodo sarà caricata di un
significato nuovo, doveva avere una
relazione con il sacrifico che i pastori
nomadi o seminomadi offrivano in
pri­mavera per la protezione dei loro
greg­gi.
Gli ebrei avevano probabilmente l’abitudine di celebrarla, ma in
quell’anno il faraone non aveva
voluto autorizzarne l’esecuzione, sia
per motivi di sicurezza del­le frontiere (cf 1,10) sia, probabilmente, per
assicurare un maggiore rendimento
dei lavori.
LA BIBBIA - 117
In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sovrintendenti del popolo e agli scribi: 7 «Non darete più la paglia al
popolo per fabbricare i mattoni, come facevate prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. 8 Però voi dovete esigere il
numero di mattoni che facevano finora, senza ridurlo. Sono
fannulloni; per questo protestano: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio!”. 9 Pesi dunque la schiavitù
su questi uomini e lavorino; non diano retta a parole false!».
10
I sovrintendenti del popolo e gli scribi uscirono e riferirono al popolo: «Così dice il faraone: “Io non vi fornisco più
paglia. 11 Andate voi stessi a procurarvela dove ne troverete,
ma non diminuisca la vostra produzione”».
12
Il popolo si sparse in tutto il territorio d’Egitto a raccogliere stoppie da usare come paglia. 13 Ma i sovrintendenti
li sollecitavano dicendo: «Portate a termine il vostro lavoro:
ogni giorno lo stesso quantitativo come quando avevate la
paglia». 14 Bastonarono gli scribi degli Israeliti, quelli che i
sovrintendenti del faraone avevano costituito loro capi,
dicendo: «Perché non avete portato a termine né ieri né oggi
il vostro numero di mattoni come prima?».
15
Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare, dicendo: «Perché tratti così noi tuoi servi? 16 Non
viene data paglia ai tuoi servi, ma ci viene detto: “Fate i
mattoni!”. E ora i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del
tuo popolo!». 17 Rispose: «Fannulloni siete, fannulloni! Per
questo dite: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al Signore”. 18 Ora andate, lavorate! Non vi sarà data paglia, ma
dovrete consegnare lo stesso numero di mattoni».
19
Gli scribi degli Israeliti si videro in difficoltà, sentendosi
dire: «Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei
mattoni». 20 Usciti dalla presenza del faraone, quando incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli,
21
dissero loro: «Il Signore guardi a voi e giudichi, perché ci
avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi
ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!».
22
Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: «Signore, perché
hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? 23 Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo
nome, egli ha fatto del male a questo popolo, e tu non hai
affatto liberato il tuo popolo!».
6
«Io sono! Questo è il mio
nome per sempre» (Es 3,15).
Pregare con il nome di Dio
La spiegazione al nome JHWH deve
essere trovata in tutte le forme in
cui il verbo potrà essere coniugato:
esso esprime l’Essere – e l’Esserci –
di Dio, come Salvatore, in ogni luogo e in ogni tempo; in ogni azione e
in ogni progetto.
Ecco il commento-preghiera di un
moderno autore spirituale.
Non un sostantivo
con il quale ogni essere
viene ‘nominato’
né un aggettivo che ti qualifichi:
potente, forte, unico...
No: un verbo, la parola chiave di
ogni frase, ma che, da solo, resta
avvolto nel mistero.
«Io sono»: un verbo al presente
che abbraccia tutti i tempi.
Io sono Colui che sono,
e tu non puoi saperne di più, Mosè.
Io sono Colui che sarò:
tu imparerai a conoscermi quando
vedrai quello che farò.
Io sono Colui che è: Il solo vero Dio...
gli idoli sono nulla.
Tuttavia, Mosè, ascolta bene:
io sono con te,
ti faccio dono della mia presenza.
Nessun nome mi si addice
poiché sono Dio,
l’inafferrabile, ma sarò, sempre,
un Dio operante, un Dio con te.
«Io sono», dice il Signore,
usando la prima persona.
Egli è, dirà l’ uomo.
«Egli è, era e sarà», dirà l’Apocalisse.
Colui la cui presenza
riempie il passato,
il presente e il futuro.
Un nome ineffabile.
Garanzia di un’alleanza inaudita
fra Dio e la stirpe dell’uomo.
E Gesù sarà crocifisso
per essersi definito
con le stesse parole: «Io sono»
affermandosi, così, lui stesso, Dio.
118 - LA BIBBIA