22 «Io sono JHWH» Il Dio liberatore si rivela Nel tempo in cui, nel deserto, Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero, si accese sull’Oreb un roveto ardente destinato a non consumarsi. Lì Dio si rivela come colui che non si dimentica del suo popolo e lo fa uscire da una situazione di schiavitù simile alla morte. Nel roveto ardente, il Dio dei padri rivelerà a Mosè il suo nome. «G li israeliti gemettero per la schiavitù, alzarono grida di lamento, e il loro grido salì a Dio. E Dio allora ascoltò quel grido, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe, guardò la condizione degli Israeliti e se ne prese cura» (Es 2,13 ss.) Si intravvede in queste righe il sopraggiungere improvviso del vero protagonista del racconto, dell’Atteso, del «prefigurato»: ciò che Mosè aveva fatto per suo conto (visitare i suoi fratelli, osservare, intervenire) s’era rivelato vano, perché egli era solo un precursore, un simbolo. Egli doveva soltanto, senza saperlo, annunciare l’arrivo di Dio. La grande rivelazione Ed ecco ora Dio viene e si rivolge proprio a quel suo inconsapevole messaggero. E lo sceglie per realizzare – a nome Suo – ciò che, a nome proprio, Mosè non ha saputo né potuto portare a termine. Fu in quel momento che, nel deserto dove Mosè pascolava il suo gregge, il roveto cominciò ad ardere senza consumarsi. Quando l’esule incuriosito cercò di avvicinarsi, sentì una voce che lo chiamava («Mosè, Mosè!». «Eccomi!») e lo avvertiva che quella era una terra santa, su cui bisognava camminare scalzi, come in un tempio. Poi Dio gli parlò degli israeliti oppressi in Egitto, e ne parlò come di una sventura che lo riguardava personalmente, dato che Egli era «il Dio dei padri»: «Ho osservato la miseria del mio popolo, ho udito il suo grido..., conosco le sue sofferenze..., ho visto l’oppressione con cui li tormentano..., sono sceso per liberarli» (Es 3,7ss). Era come il sollevarsi di un velo (una «rivelazione», appunto): il deserto non era solo deserto, era terra santa; Mosè non era solo un esule sconfitto, era un «chiamato»; gli israeliti non erano abbandonati a se stessi, c’era un Dio che vegliava su di loro; il Faraone non incarnava un potere divino, anzi Dio scendeva in campo contro di lui. Mosè non ebbe nemmeno il tempo di riflettere su come diventa luminosa e bruciante la storia quando Dio vi entra come protagonista, che si trovò coinvolto nel disegno dell’Onnipotente: «Va’! Io ti mando dal Faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo!» (3,10). Già una volta egli si era mosso, spinto da un istinto di solidarietà, ed era stato risucchiato da un vortice di sventure. Il nome di Dio Ora ha paura di lasciarsi afferrare da quel Dio che vuole requisirlo per un’opera umanamente impossibile: stare davanti al Faraone (considerato allora quale Dio in terra) come ambasciatore del vero, unico Dio. E chiese a Dio di svelargli almeno il suo Nome. Secondo la concezione degli antichi, conoscere il nome del proprio Dio, voleva dire avere su di lui un certo potere, poterlo piegare alle proprie necessità, essere garantiti sul suo intervento salvifico, poterlo «usare» contro i nemici, anche solo pronunciando quelle sillabe magiche e misteriose. E Dio rispose: «Io sono Colui che sono»: «JHWH». LA BIBBIA - 113 Dal libro dell’Esodo Capitolo 3 1-15 «Io Sono» mi ha mandato a voi Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2 L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3 Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4 Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5 Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6 E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. 1 Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8 Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, 7 IL ROVETO ARDENTE (vv. 1-6) Questa scena è una combinazione di fonti significativa da un punto di vista teologico, perché indica la varietà e la ricchezza della tradizione di Israele: nessuna singola tradizione può reclamare il diritto esclusivo di raccontare l’intera storia. Fin dall’inizio c’è una stretta associazione tra l’esodo e il Sinai, infatti il termine “roveto” (in ebraico seneh) è probabilmente scelto dal redattore J per collegare questa scena con la montagna di Dio (in ebraico sinai) e anche l’ardere del roveto è connesso al fuoco della teofania del Sinai (cfr 19,18). Da questa scena emerge una doppia dimensione: quella del timore e quella della continuità storica. Il timore è espresso dal gesto di Mosè di togliersi i sandali a causa della sacralità dell’incontro con il Signore (la presenza del Signore santifica il suolo) e, di conseguenza, si copre il viso. La continuità storica è articolata nel v. 6: il Dio che parla a Mosè ha operato da secoli a favore di questo popolo. Il Dio di Mosè è lo stesso Dio dei patriarchi. L’investitura di Mosè (vv. 7-15) Questa scena è intimamente legata con la rivelazione divina al roveto ardente; in questo modo l’esperien- JHWH: Dio salva Gesù: il Salvatore Dio «osserva» I’oppressione che pesa sul suo popolo, «ode» il suo grido e «conosce» le sofferenze dei suoi, che vivono nella povertà e nell’umiliazione. Per questo «scende» ed entra nella loro storia di dolore per intervenire in essa. A tale scopo sceglie Mosè. Mosè fa resistenza. Il Signore gli rivela il proprio nome. Rivelazione e missione sono inseparabilmente unite. Si tratta di un insegnamento prezioso: Dio Ci rivela il suo mistero perché noi lo comunichiamo agli altri. Il nome di Dio è inseparabilmente legato alla liberazione del suo popolo. «Dirai agli israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». «Io-Sono» è un’espressione difficile e misteriosa che tentiamo di analizzare qui accanto ma il suo significato salvifico è chiaro. Dice Dio: «la liberazione dalla schiavitù d’Egitto farà capire al mio popolo chi sono, meglio di qualsiasi definizione. Io sono colui salva». Gli interventi di Dio nella storia degli uomini danno luogo alla storia della salvezza. Rivelano a poco a poco il nome santo di Dio. La rivelazione sarà piena e definitiva con l’incarnazione del Figlio: «Lo chiamerai Gesù: egli infatti salvera il suo popolo dai suoi peccati». Gesù, come il Dio del Sinai, viene a liberare e a salvare dal peccato e dalla morte. L’evangelista Giovanni mette più volte sulla bocca di Gesù l’espressione «Io sono», alludendo chiaramente alla solenne affermazione di Dio a proposito di se stesso. Gesù ci dice il suo nome come Dio aveva detto il suo nome a Mosè. Gesù è Dio, che è venuto ed è presente, è «sceso» e agisce per salvarci. In questa prospettiva possiamo apprezzare meglio il significato e la forza della formula con cui la chiesa conclude tutte le sue preghiere: «Te lo chiediamo per Gesù Cristo nostro Signore». 114 - LA BIBBIA l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9 Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10 Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 11 Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». 12 Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». 13 Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». 14 Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi». 15 Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione». za di Dio è connessa con la funzione che Mosè avrà in Israele. I teologi d’Israele rispecchiano la tradizione che riteneva Mosè un profeta: egli era uno che parlava al popolo di Israele a nome di Dio, era il portavoce di Dio. Il racconto utilizza il genere letterario del “racconto di vocazione” tentando di comunicare il significato di questa scelta di Dio rispondendo al bisogno umano di avere dei segni e delle conferme. Mosè è esplicitamente mandato a condurre gli israeliti fuori dall’Egitto. Non solo, ma anche a condurlo nella terra promessa, il paese dove scorrono latte e miele (v. 8). Quest’ultima espressione, che rappresenta il paese come il paradiso terrestre, è presa in prestito dalla mitologia. Mosè, per recarsi dagli israeliti, ha bisogno di un’ulteriore prova, la rivelazione del Nome (vv. 13-15). IL NOME DI DIO È: «JHWH, Io sono colui che sono!» Notiamo anzitutto che per il redattore Javista la rivelazione del nome Yhwh (sempre tradotto «il Signore» nella versione della Bibbia della CEI) non ha richiesto un episodio specifico, infatti fin dall’inizio della sua narrazione (Gn 2,4b) J usa il nome proprio Yhwh e da Gn 4,26 in poi presume che questo nome sia conosciuto dagli uomini. Il redattore Eloista, invece, fino a questa scena del capitolo 3° dell’Esodo usa sempre il termine generico “Dio” (in ebraico Elohim) per cui la distinzione nel nome divino è presto diventata un criterio per separare le fonti Javista ed Eloista. Conoscere il nome Per Israele, come per tutto il Vicino Oriente e per il mondo antico in genere, il nome implicava l’esistenza reale: qualcosa diventava una realtà quando se ne conosce il nome. Questo è il senso di «dare il nome». Il nome implica poi anche una dimensione di intimità: cono- scendo il nome di qualcuno, ci si metteva in rapporto con quella persona. Ma davanti al nome proprio del Dio d’Israele si pongono due problemi. L’etimologia del tetragramma sacro Il primo problema è l’etimologia di Yhwh, che è rappresentato nel testo ebraico dalle quattro consonanti YHWH, il tetragramma sacro. Le soluzioni a questo problema etimologico sono numerose.Secondo una etimologia popolare, le quattro consonanti ebraiche YHWH con le quali è indicato il Nome di Dio, viene spiegato con l’accostamento al verbo «essere» (hayah). Il significato di questo verbo, però, non va inteso tanto come una definizione filosofica di Dio come «Colui che ha l’essere per essenza», ma come un «essere per»: Dio è colui che si rende presente «in favore di». Ma vediamo da vicino alcuni dei significati possibili per il tetragramma sacro JHWH. I significati possibili Il nome domandato da Mosè ora viene rivelato. Ecco: «YHWH (pronunciare lahvè) è il mio nome per sempre» (v. 15). Secondo le tradizioni «elohista» (Es 3,9-15) e «sacerdotale» (Es 6,2-3), questo nome è stato rivelato soltanto al tempo di Mosè, mentre abbiamogià visto che secondo la tradizione a «jahvista» era conosciuto dai primordi dell’umanità. Il nome YHWH ha probabilmente un’origine pre-israelitica; ma, qualunque sia l’origine, questo testo fondamentale vuole legare il nome di Dio ad un’antica forma del verbo «essere, essere agendo = hawâh». Altri testi si sono ancora sforzati di spiegare la ricchezza contenuta nel nome YHWH. Ma la frase enigmatica «lo sono (o sarò) colui che sono (o sarò)» non ne spiega facilmente il senso. Per esempio: • Si può intendere: «lo sono colui che sono, cioè non voglio o non posso dire chi sono» (cf Gn 32,30, dove l’angelo del Signore LA BIBBIA - 115 I segni (vv. 4,1-9) Capitolo 4 1-20 «Io sarò con la tua bocca» Mosè replicò dicendo: «Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: “Non ti è apparso il Signore!”». 2 Il Signore gli disse: «Che cosa hai in mano?». Rispose: «Un bastone». 3 Riprese: «Gettalo a terra!». Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si mise a fuggire. 4 Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano e prendilo per la coda!». Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. 5 «Questo perché credano che ti è apparso il Signore, Dio dei loro padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe». 6 Il Signore gli disse ancora: «Introduci la mano nel seno!». Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco, la sua mano era diventata lebbrosa, bianca come la neve. 7 Egli disse: «Rimetti la mano nel seno!». Rimise in seno la mano e la tirò fuori: ecco, era tornata come il resto della sua carne. 8 «Dunque se non ti credono e non danno retta alla voce del primo segno, crederanno alla voce del secondo! 9 Se non crederanno neppure a questi due segni e non da1 rifiuta di dire il suo nome). Questo sottolineerebbe il fatto che non si può imprigionare Dio nelle parole umane. • Si può anche comprendere: «lo sono colui che è» in opposizione agli dèi che non sono (Isaia 43,10) o che sono niente (Isaia 41,24). La traduzione greca dei LXX ha dato questo senso. • Ci si può infine rendere conto di tutti questi valori sottolineando che il contesto parla di Dio presente con Mosè per aiutarlo nell’opera della salvezza e che la forma verbale usata ha, in ebraico sia valore di presente che di futuro. Allora la traduzione: «lo sono colui che sarò» vorrebbe affermare: «lo sono là, con voi, e voi mi vedrete all’opera». Sottolieerebbe il fatto che Dio manifesta chi egli è attraverso la storia della salvezza degli uomini e il suo intervento per salvarli. Anche la formula di Apocalisse 1,4.8: «Egli è, egli era 116 - LA BIBBIA e egli viene» è uno sviluppo dell’«lo sono» di Es 3,14. JHWH - Adonai Bisogna notare che al verso 15 si dimentica Jhwh e si ritorna a «Elohim - Signore». Ricordiamo qui che la pronunzia esatta del tetragramma sacro non è giunta fino a noi. A partire dal periodo del secondo tempio, il nome di Dio non venne più pronunciato, a motivo della sua santità, e venne sostituito probabilmente dal termine «Adonay» tradotto nella versione greca dei Settanta con la parola «Kyrios (il Signore)» parola che nel NT verrà usata per indicare il Cristo risorto (cf Fil 2,11). Le forme abbreviate «Yah, Yahu» già molto antiche, sono usate nel grido di lode «Allelu-Yah = Lodate il Signore» e nella formazione di molti nomi propri: Eliyahu = Elia, cioè «Mio Dio è il Signore», Yehoshua =Giosuè o Gesù, cioé «Il Signore salva». I segni sono necessari perché Mosè possa autenticare la propria missione davanti al popolo e convalidare le sue richieste. I segni che vengono forniti sono un bastone, o una specie di bacchetta magica, e la lebbra alla mano. Il bastone in Oriente è l’insegna del potere dell’uomo; in questo caso è il segno del potere di Dio trasmesso a Mosè. La lebbra è il contagio che separa. I segni qui ricordati avranno in seguito successo e confermeranno il diritto di Mosè di parlare a nome del Signore. GLI ANNI DELLA VITA DI MOSÈ In sintonia con la tradizione ebraica, è il capitolo settimo degli Atti degli Apostoli (7,20-43) a scandire la vita di Mosè in tre tappe, ciascuna di 40 anni: al v. 23 si dice che “quando furono compiuti 40 anni salì nel suo cuore l’idea di visitare i fratelli, i figli d’Israele”; al v. 30 si afferma che “compiuti altri 40 anni, gli apparve nel deserto del Sinai un angelo in fiamma di fuoco”. Nel libro del Deuteronomio è lo stesso Mosè morente a dire: “Io oggi ho 120 anni” (31,2: cf. 34,7). Dunque, secondo questa preziosa testimonianza biblica, la vita di Mosè dura tre volte 40 anni - 40 alla scuola del Faraone, 40 nella terra di Madian, 40 nel deserto. Quaranta - quattro, numero del mondo definito dai quattro punti cardinali, moltiplicato 10, numero indicativo della perfezione - è una cifra densamente simbolica: tre tappe di 40 anni vogliono dire che ognuna di esse ha un significato di valore universale. In esse ogni creatura umana potrà riconoscere i propri decisivi passaggi della vita e della fede e rileggere la propria esistenza davanti a Dio. ranno ascolto alla tua voce, prenderai acqua del Nilo e la verserai sulla terra asciutta: l’acqua che avrai preso dal Nilo diventerà sangue sulla terra asciutta». 10 Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». 11 Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? 12 Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». 13 Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!». 14 Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. 15 Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. 16 Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio. 17 Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni». 18 Mosè partì, tornò da Ietro suo suocero e gli disse: «Lasciami andare, ti prego: voglio tornare dai miei fratelli che sono in Egitto, per vedere se sono ancora vivi!». Ietro rispose a Mosè: «Va’ in pace!». 1 9 Il Signore disse a Mosè in Madian: «Va’, torna in Egitto, perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!». 20 Mosè prese la moglie e i figli, li fece salire sull’asino e tornò nella terra d’Egitto. E Mosè prese in mano il bastone di Dio. Capitolo 5, 1-23 L’incontro con il faraone In seguito, Mosè e Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono: «Così dice il Signore, il Dio d’Israele: “Lascia partire il mio popolo, perché mi celebri una festa nel deserto!”». 2 Il faraone rispose: «Chi è il Signore, perché io debba ascoltare la sua voce e lasciare partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele!». 3 Ripresero: «Il Dio degli Ebrei ci è venuto incontro. Ci sia dunque concesso di partire per un cammino di tre giorni nel deserto e offrire un sacrificio al Signore, nostro Dio, perché non ci colpisca di peste o di spada!». 4 Il re d’Egitto disse loro: «Mosè e Aronne, perché distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri lavori forzati!». 5 Il faraone disse: «Ecco, ora che il popolo è numeroso nel paese, voi vorreste far loro interrompere i lavori forzati?». 1 LASCIA PARTIRE (v. 1) Il fatto di «celebrare un festa nel deserto» ( o di «fare un pellegrinaggio nel de­serto» come traducono alcuni) è probabilmente una consuetudine cui il nuovo faraone non vuole accondiscendere. Queste celebrazioni o pellegrinaggi era­no feste comunitarie celebrate in data fissa nei luoghi santi. La festa che Mosè vuole andare a celebrare e che, in seguito agli avvenimenti dell’esodo sarà caricata di un significato nuovo, doveva avere una relazione con il sacrifico che i pastori nomadi o seminomadi offrivano in pri­mavera per la protezione dei loro greg­gi. Gli ebrei avevano probabilmente l’abitudine di celebrarla, ma in quell’anno il faraone non aveva voluto autorizzarne l’esecuzione, sia per motivi di sicurezza del­le frontiere (cf 1,10) sia, probabilmente, per assicurare un maggiore rendimento dei lavori. LA BIBBIA - 117 In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sovrintendenti del popolo e agli scribi: 7 «Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni, come facevate prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. 8 Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano finora, senza ridurlo. Sono fannulloni; per questo protestano: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio!”. 9 Pesi dunque la schiavitù su questi uomini e lavorino; non diano retta a parole false!». 10 I sovrintendenti del popolo e gli scribi uscirono e riferirono al popolo: «Così dice il faraone: “Io non vi fornisco più paglia. 11 Andate voi stessi a procurarvela dove ne troverete, ma non diminuisca la vostra produzione”». 12 Il popolo si sparse in tutto il territorio d’Egitto a raccogliere stoppie da usare come paglia. 13 Ma i sovrintendenti li sollecitavano dicendo: «Portate a termine il vostro lavoro: ogni giorno lo stesso quantitativo come quando avevate la paglia». 14 Bastonarono gli scribi degli Israeliti, quelli che i sovrintendenti del faraone avevano costituito loro capi, dicendo: «Perché non avete portato a termine né ieri né oggi il vostro numero di mattoni come prima?». 15 Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare, dicendo: «Perché tratti così noi tuoi servi? 16 Non viene data paglia ai tuoi servi, ma ci viene detto: “Fate i mattoni!”. E ora i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del tuo popolo!». 17 Rispose: «Fannulloni siete, fannulloni! Per questo dite: “Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al Signore”. 18 Ora andate, lavorate! Non vi sarà data paglia, ma dovrete consegnare lo stesso numero di mattoni». 19 Gli scribi degli Israeliti si videro in difficoltà, sentendosi dire: «Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei mattoni». 20 Usciti dalla presenza del faraone, quando incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettarli, 21 dissero loro: «Il Signore guardi a voi e giudichi, perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!». 22 Allora Mosè si rivolse al Signore e disse: «Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? 23 Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo, e tu non hai affatto liberato il tuo popolo!». 6 «Io sono! Questo è il mio nome per sempre» (Es 3,15). Pregare con il nome di Dio La spiegazione al nome JHWH deve essere trovata in tutte le forme in cui il verbo potrà essere coniugato: esso esprime l’Essere – e l’Esserci – di Dio, come Salvatore, in ogni luogo e in ogni tempo; in ogni azione e in ogni progetto. Ecco il commento-preghiera di un moderno autore spirituale. Non un sostantivo con il quale ogni essere viene ‘nominato’ né un aggettivo che ti qualifichi: potente, forte, unico... No: un verbo, la parola chiave di ogni frase, ma che, da solo, resta avvolto nel mistero. «Io sono»: un verbo al presente che abbraccia tutti i tempi. Io sono Colui che sono, e tu non puoi saperne di più, Mosè. Io sono Colui che sarò: tu imparerai a conoscermi quando vedrai quello che farò. Io sono Colui che è: Il solo vero Dio... gli idoli sono nulla. Tuttavia, Mosè, ascolta bene: io sono con te, ti faccio dono della mia presenza. Nessun nome mi si addice poiché sono Dio, l’inafferrabile, ma sarò, sempre, un Dio operante, un Dio con te. «Io sono», dice il Signore, usando la prima persona. Egli è, dirà l’ uomo. «Egli è, era e sarà», dirà l’Apocalisse. Colui la cui presenza riempie il passato, il presente e il futuro. Un nome ineffabile. Garanzia di un’alleanza inaudita fra Dio e la stirpe dell’uomo. E Gesù sarà crocifisso per essersi definito con le stesse parole: «Io sono» affermandosi, così, lui stesso, Dio. 118 - LA BIBBIA