FEDERALISMO, FEDERALISMI, STATO FEDERALE*
Beniamino Caravita
(Professore ordinario di diritto pubblico,Università degli Studi di Roma,
“La Sapienza”)
17 novembre 2005
SOMMARIO: 1. Il successo dei fenomeni federali e regionali all’inizio del terzo
millennio. – 2. Alla ricerca di nuove categorie. – 3. Gli elementi caratteristici dello Stato federale.
Profili distintivi tra Stato federale e Stato regionale. – 4. Diritto alla secessione come possibilità di
intraprendere un processo di distacco. – 5. Federalismo e Stato federale. – 6. Il federalismo come
fenomeno di riorganizzazione istituzionale degli Stati contemporanei. – 7. Le ragioni istituzionali
del federalismo.
1. Il successo dei fenomeni federali e regionali all’inizio del terzo
millennio
Se si vuole parlare, all’inizio del terzo millennio, di Stato federale, non si
devono prendere le mosse dalle ricostruzioni teoriche del diciannovesimo e del
ventesimo secolo, bensì partire dall’osservazione dei reali fenomeni istituzionali
degli ultimi decenni: è facile allora osservare che i modelli federali di governo
hanno incontrato un grande successo politico, a cui si è accompagnata una
significativa ripresa degli studi su di essi [cfr., tra gli altri, C.J. FRIEDERICH
(I.1); J. KINCAID, A. TARR (I.2); A. D’ATENA (I.3)].
Ci porremo più avanti il problema del rapporto tra federalismo e Stato
federale. Per il momento, si può adottare, almeno inizialmente, la nozione di
"federalismo" offerta ancora recentemente da Giovanni Bognetti, secondo cui con
tale termine "si suol designare la tendenza, presente come fenomeno abbastanza
diffuso nella storia moderna, a organizzare ordinamenti politico-giuridici
ripartendo i poteri di comando tipici dello Stato tra enti politici distinti - un
apparato di governo centrale e una pluralità di apparati di governo periferici,
*
Il testo riproduce la Voce “Stato federale” in corso di pubblicazione nel Dizionario di diritto pubblico, a cura di
S. CASSESE, per i tipi dell’editore Giuffrè.
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l'uno e l'altro sovrapposti allo strato delle semplici autorità amministrative
municipali o locali" [G. BOGNETTI (I.4)].
Partiamo dall’Europa. Nel vecchio continente, il processo di costruzione di
un'Europa politica, dotata di una costituzione e di strutture di governo
sopranazionali [non è necessario né opportuno entrare in queste pagine nel
dibattito sul significato e sul futuro del Trattato costituzionale europeo: ci si può
in questa sede limitare ad osservare che, sotto il profilo materiale, esiste già un
diritto costituzionale europeo, sia per quanto riguarda il diritto delle strutture di
governo, sia per quanto concerne le situazioni soggettive e della loro protezione],
che fanno discutere dell’esistenza o meno di una Europa federale, si è
accompagnato a fenomeni di regionalizzazione (oltre che di rafforzamento del
decentramento) che hanno coinvolto quasi tutti gli Stati europei, sia quelli di
tradizione federale sia quelli tradizionalmente unitari [per uno sguardo
complessivo all’esperienza europea sia concesso il rinvio a B. CARAVITA, L.
CASSETTI (I.5)].
In Germania e in Austria le istituzioni del federalismo vivono una fase di
ripensamento, che non mettendo in discussione la struttura federale, ne tenta un
rilancio: la consapevolezza delle nuove sfide dell’integrazione comunitaria e dei
limiti della congiuntura economica internazionale ha favorito l’apertura di un
processo riformatore teso alla modernizzazione delle amministrazioni centrali e
regionali e dei raccordi tra di esse.
Nei paesi con una consolidata tradizione regionale (Spagna) i soggetti
istituzionali regionali avanzano richieste plurime ed eterogenee che mirano a
rivendicare nuovi spazi all’autonomia regionale (Catalogna) ovvero ad affermare
una qualche forma di sovranità regionale e il diritto all’autodeterminazione della
comunità.
Nel quadro di un modello nuovo di federalismo (la Costituzione belga parla
specificamente di Stato federale: l’art.1 recita: “Il Belgio è uno Stato federale
formato da Comunità e Regioni”) si colloca altresì il potenziamento e
l’ampliamento delle competenze regionali e comunitarie in Belgio, paese in cui il
processo di regionalizzazione ha ormai superato il ventennio.
Laddove, come in Italia, le istituzioni regionali attraversano una fase di
transizione verso una più matura forma di autonomia, il Governo centrale e le
rafforzate entità regionali cercano i luoghi del dialogo e della concertazione, in
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attesa che si chiarisca meglio l’ambito delle reciproche competenze legislative [il
principale contributo a tal fine è stato fornito dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale nel triennio 2003-2005 (I.7)] e che il processo di revisione
costituzionale porti ad una riforma del bicameralismo dalla quale emerga una
seconda Camera rappresentativa delle Regioni.
Altrettanto dinamico è il processo di devolution nel Regno Unito, che sta
conducendo a forme assai differenziate di autonomia concesse dal potere centrale
(asymmetrical process of devolving powers).
Il regionalismo appare in via di consolidamento anche in paesi con una
radicata tradizione unitaria come la Francia, affermandosi attraverso un processo
di riforme costituzionali in cui il decentramento e la sussidiarietà diventano
elementi caratterizzanti dell’organizzazione statale.
Un regionalismo “in via di sviluppo” appartiene anche alle realtà
caratterizzate da una forte tradizione di istituzioni locali: in questi casi il processo
si scontra con la difficoltà di definire una mappa delle nuove realtà regionali che
tenga ragionevolmente conto delle asimmetrie e delle diversità (geografiche,
culturali, economiche e sociali) esistenti tra le diverse aree del paese (tanto vale
per il Portogallo).
Lo sviluppo di forme di organizzazione regionale è strettamente collegato
con le esigenze della ristrutturazione dell’amministrazione centrale e periferica
imposte dall’integrazione europea: in alcune realtà l’ingresso nella Comunità ha
contribuito ad avviare un processo di regionalizzazione, al momento ancora
incompiuto, che si propone di razionalizzare lo sviluppo economico, la
pianificazione dei trasporti nonché il sostegno allo sviluppo dell’economia locale
(così in Svezia). Lo stesso processo di regionalizzazione indotto dall’integrazione
europea ha coinvolto anche paesi, come la Finlandia, che hanno sempre avuto in
ambito locale il solo livello di governo comunale.
La conferma del legame tra integrazione europea e ristrutturazione dei
livelli di governo sub-statali si ricava anche dall’esperienza in atto in taluno dei
paesi appena entrati nell’Unione: la Polonia è sotto tale profilo emblematica,
giacché i processi di ricostituzione del livello locale e di decentramento
dell’amministrazione centrale verso i livelli intercomunale e regionale sono
maturati proprio in concomitanza con l’avvio, nei primi anni novanta del secolo
scorso, dei negoziati per l’ingresso in Europa [sul punto W. PUZYNA (I.9)].
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Guardando, dunque, all’Europa è facile accorgersi come le esperienze
federali e regionali non solo sono largamente diffuse, ma vivono oggi una fase di
rilancio. Come ne dice Bognetti [G. BOGNETTI (I.4), p. 50], “sopravvenuto lo
stato sociale, le molte voci che sul continente europeo già in epoca liberale
avevano invocato il superamento o almeno un grosso temperamento
dell'unitarismo, si sono ingrossate, hanno fatto coro potente, e alla fine, sul
continente, hanno prevalso un po' dappertutto”. Dove non hanno attecchito è
perché vi è un livello di autonomia comunale (o provinciale) assai radicato (ad es.
Danimarca) ovvero le dimensioni del paese sono tali da impedire l’edificazione di
significativi livelli regionali, spingendo addirittura alcuni di questi nuovi Stati
comunitari a partecipare ad esperienze associative comuni con Regioni italiane,
tedesche, austriache o spagnole.
Ma, soprattutto, nell’ Europa a geometria variabile che sarà inevitabilmente
l’Europa a venticinque è ben probabile che sulla scena dei procedimenti
decisionali si presenteranno soggetti rappresentativi di interessi sovraregionali,
che vedranno al loro interno cooperare più Regioni europee ovvero Stati e Regioni
(basti pensare alla recente proposta dell’Euroregione Alto adriatico, che
comprenderebbe la Slovenia, ovvero ad una ipotetica Euroregione delle isole
mediterranee, che vedrebbe insieme regioni italiane, spagnole, francesi, greche e
due stati, quali Cipro e Malta) [M. CACIAGLI (I.10)].
Ma, se volgiamo lo sguardo al di fuori della “vecchia Europa”, scopriamo
ad esempio che gli Stati Uniti, forse per reazione alla percezione imperiale del
loro paese, stanno rivalutando lo studio delle costituzioni dei singoli stati membri,
scoprendo e rivelando al mondo - ma in realtà anche a sé stessi - le grandi
differenze che sussistono nelle forme di governo dei diversi stati [da ultimo questi
aspetti sono stati studiati da R. WILLIAMS (I.11)].
In Canada i “secessionisti” del Quebec persero sì il referendum nel 1995,
ma avendo ottenuto ben il 49,4% dei voti favorevoli al distacco del Quebec; e la
Corte suprema ha poi chiarito che il Quebec non vanta un diritto alla secessione
unilaterale e la sua uscita avrebbe dovuto essere negoziata secondo le esistenti
previsioni costituzionali, affermando nello stesso tempo che un chiaro risultato
favorevole alla secessione avrebbe tuttavia obbligato il Governo federale e le altre
Province a trattare con il Quebec la sua fuoriuscita dalla Federazione [cfr. D.R.
CAMERON (I.13)]: da allora, il Canada ha lanciato al mondo la parola d'ordine
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“federalismo è bello”, attraverso l’istituzione di un organismo internazionale di
confronto delle esperienze federali, il Forum of Federations.
I grandi stati dell'America del Nord (Canada e Messico), del Sud [quali
Brasile e Argentina; il Venezuela, pur inteso come stato federale, costituisce un
caso a parte, in ragione della non chiara situazione costituzionale; mentre la
Bolivia, pur nelle difficoltà istituzionali, sta studiando i modelli regionali tedeschi,
italiani
e
spagnoli
per
trovare
una
soluzione
al
problema
derivato
dall’individuazione di risorse petrolifere nell’area più povera dello Stato; cfr. L.
CASSETTI, C. LANDA (I.15)], dell'Africa (Nigeria, Etiopia, Sudafrica; mentre
sembra non fare grandi passi avanti il tentativo – di cui pur si discute dagli inizi
degli anni ’70 – di organizzare in forma federale il Sudan, in modo da temperare
le enormi tensioni tra il Nord arabo e mussulmano e le Province del Sud, nere e
animiste o cristiane, lascito – come di sovente accaduto – dei confini
postcoloniali), dell'Asia (India, Malesia; in Pakistan il Parlamento bicamerale è
stato dissolto nel 1999), dell'Oceania (Australia) presentano con orgoglio il
modello federale come strumento per governare grandi territori [G. MATHEW
(I.16)].
Ma il modello federale resta una importante ipotesi anche per governare
piccoli paesi fortemente disomogei (basti pensare al caso della Bosnia-Erzegovina
o alla proposta di federazione tra la Cipro greca e la Cipro turca, o ancora alle
suggestive ipotesi di modelli federali per risolvere il drammatico problema del
Medio Oriente); e su di un foedus, un covenant tra sunniti, sciiti e curdi si basa la
proposta della nuova costituzione irachena (I.17).
2. Alla ricerca di nuove categorie
In questa riscoperta delle esigenze di autonomia e di modelli di governo
federale le esperienze istituzionali si sono fortemente modificate; molti paesi
hanno abbandonato le tradizionali forme di stato centralizzate, assumendo modelli
intermedi tra l’assetto propriamente federale e il rafforzamento delle istanze
regionali. D'altra parte, il nome “Stato federale” o “Federazione” non è più
sufficiente, giacché Stati che recano quella dizione sono spesso molto meno
“federali” di paesi in cui quella formula non può nemmeno essere pronunciata:
basti raffrontare l'Austria, che è federale nel nome (Bundesrepublik), ma molto
meno nella pratica, con la Spagna, in cui, nonostante il fatto che il termine
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“Federazione” è escluso dal linguaggio politico, è conosciuta e praticata una
amplissima autonomia, di tipo sicuramente federale, delle Comunità autonome;
egualmente, nella Costituzione indiana non è mai utilizzato il termine “federale”,
parlandosi dell’India come di una “Unione di Stati”, al fine di sottolineare che
l’India non deriva da un accordo tra entità statali costituenti
[ricorda G.
MATHEW (I.16), p. 167].
Va in primo luogo sottolineato come abbia ormai perso significato la
discussione teorica sul significato di federalismo e, in particolare, sul rapporto fra
federalismo e regionalismo, specie se condotta con i parametri della cultura
ottocentesca, secondo cui nello Stato federale si riscontrerebbero ancora sintomi,
elementi, spie di una perduta sovranità degli Stati membri, intesa come
espressione di una situazione di “superiorem non recognoscens” [cfr. G.
LUCATELLO (II.1)], mentre il regionalismo altro non sarebbe che una forma di
decentramento autarchico [cfr. C. VITTA (II.2)]. Lo Stato regionale – si sostiene
ancora – troverebbe la sua fonte nella Costituzione statale, mentre lo Stato
federale scaturirebbe da un trattato internazionale, costituendo il passo di una
Confederazione di Stati verso una maggiore unità ed integrazione, ovvero sarebbe
prodromico a una situazione di dissoluzione dello Stato unitario [A. BARBERA,
G. MIGLIO (II.3)].
In realtà, il parametro della sovranità statale è ormai inutilizzabile nel
mondo moderno, un mondo talmente globalizzato e interrelato da rendere priva di
significato la pretesa statuale di escludere altri soggetti dal territorio in cui
dovrebbe essere esercitato un dominio supremo; un mondo, d’altra parte, in cui la
soggettività internazionale non è più patrimonio esclusivo degli Stati, di essa
godendo ampiamente organizzazioni internazionali e sopranazionali [come ne
dice S. CASSESE (II.4)]. Le drammatiche vicende dei primi anni di questo
millennio dimostrano plasticamente come il mondo ottocentesco della sovranità
statale e della soggettività internazionale degli Stati sia irrimediabilmente giunto
al capolinea: la più grande potenza politico-militare del globo, finita la fase del
confronto con l'Unione Sovietica, in cui due Stati difendevano le parti di mondo
assoggettate alla loro supremazia, ha dichiarato - per bocca del suo Presidente - di
trovarsi in guerra, non già con uno Stato, bensì con il terrorismo, sigla dietro la
quale si nascondono gruppi, organizzazioni militari, finanziarie, politiche, che
talvolta si sovrappongono agli Stati, ma certo non coincidono con essi.
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Nella realtà del mondo globalizzato, gli Stati (anche gli Stati Uniti!) sono
ormai troppo piccoli per fare (o per sopportare) la guerra (vedi il tentativo degli
Stati Uniti di costruire alleanze per contrastare il terrorismo o gli "Stati canaglia")
e per fare politiche economiche e finanziarie globali, per governare cioè i grandi
flussi delle scelte macro-economiche; sono però troppo grandi per svolgere
efficacemente politiche sociali, economiche, industriali: meglio a tal fine più
piccole entità substatuali, in grado di adeguarsi più plasticamente alle esigenze
economiche, sociali, culturali, identitarie di tipo micro, in grado di costruire
istituzioni interregionali per seguire quella o quell'altra politica (il grande sviluppo
della cooperazione regionale, sia infranazionale che transfrontaliera, dimostra
come le entità substatuali si aggreghino trasversalmente con grande facilità per
rispondere alle esigenze organizzative relative alle differenti politiche sociali:
d’altra parte, è noto ormai che non esiste un optimal size unico, buono per tutte le
politiche, su cui ricalcare una organizzazione politico-amministrativa).
Così come sul versante sovranazionale il trinomio Stato-sovranitàcostituzione non è più sufficiente, egualmente sul versante subnazionale
dobbiamo individuare nuovi parametri per riuscire ad afferrare la natura delle
realtà istituzionali di fronte alle quali ci troviamo.
Nel continuum tra Stato unitario e Confederazione di stati esistono una serie
di realtà intermedie, che non possono essere distinte le une dalle altre facendo
riferimento al “concetto dogmatico di sovranità come potere originario, assoluto
ed illimitato di comando che sarebbe caratteristico dell'ente stato” [G.
BOGNETTI (I.4), p. 7].
D’altra parte, anche sotto il profilo teorico, le Costituzioni democratiche
moderne hanno spostato l’asse della sovranità dallo Stato al popolo: questa è stata
l’intuizione dei padri costituenti americani; questa è la posizione scolpita nella
Costituzione italiana, all’art. 1, e interpretata dalla Corte costituzionale in una
sentenza recente [D. ELAZAR (II.6)].
Eppure, la tesi recentemente avanzata da De Vergottini [cfr. G. DE
VERGOTTINI (II.8)], secondo cui “modello federale e modello regionale sono
espressione di un’unica forma organizzativa che comporta un decentramento
dello stato unitario tramite la necessaria presenza di autonomie territoriali e
politiche”, non pare condivisibile, né nella drasticità della sua conclusione, né per
quanto riguarda l’argomento fondamentale ivi utilizzato. E, invero, l’Autore arriva
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a tale conclusione, non già verificando la perdita di peso e di significato e lo
spostamento di asse (dallo Stato al popolo) della sovranità, bensì proprio
prendendo le mosse dall’osservazione secondo cui “anche negli ordinamenti in cui
storicamente è più forte il ruolo degli Stati membri non può mettersi in dubbio che
la sovranità spetta allo Stato federale unitariamente considerato”. D’altra parte,
non può trarsi in dubbio che – non solo per ragioni storiche – tra entità substatuali
in uno Stato federale e entità substatuali in uno Stato regionale sussistano ampie
differenze, di tipo non solo quantitativo, bensì anche qualitativo.
3. Gli elementi caratteristici dello Stato federale. Profili distintivi tra
Stato federale e Stato regionale
E' opportuno costruire una griglia su cui verificare dove si collocano le
entità substatali nel continuum tra Confederazione, Stato federale, Stato regionale,
Stato unitario.
Si tratta in realtà di una pluralità di elementi, la cui ricorrenza va verificata
caso per caso per dare una valutazione della collocazione dell’esperienza di volta
in volta esaminata [cfr. D. WATTS (I.21)].
3.1. Punto di partenza è naturalmente l’esistenza di due (o più) ordini di
governo che agiscono direttamente sui cittadini: come vedremo più avanti, nella
tradizionale configurazione dello Stato federale dovrebbe trattarsi di ordini di
governo sovrapposti all’ambito delle comunità locali; ma, nella realtà dei nuovi
modelli federali, anche il governo locale diventa in qualche modo elemento
costitutivo dello Stato federale. Nel passaggio da modelli imperniati sull’idea
della sovranità statuale o comunque destinati a confrontarsi con la capacità
conformativa di questa idea a modelli destinati a confrontarsi con la logica della
multilevel governance, questo primo requisito diventa in realtà sempre più labile e
meno percepibile: tutte le esperienze statuali democratiche conoscono ormai una
pluralità di luoghi e di istituzioni chiamati a interferire con la vita dei cittadini.
3.2. Secondo pre-requisito è l’esistenza di una Costituzione scritta che
distribuisce competenze, funzioni e risorse finanziarie [secondo D. ELAZAR
(II.6), p. 129 ss., in ogni caso, tale requisito non sarebbe necessario, poiché è
sufficiente anche una costituzione non scritta], modificabile solo con il consenso –
diretto o per via di forme di rappresentanza a livello centrale - di una parte
significativa delle entità federate. È necessaria, dunque, una distribuzione di
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rango
costituzionale
dell'autorità
legislativa
e
amministrativa
ed
una
corrispondente allocazione delle risorse finanziaria fra gli ordini di governo, tale
da assicurare a ciascuno di essi una qualche area di genuina autonomia.
Per quanto riguarda i profili dell’autonomia finanziaria occorre tener
presente che il federalismo non può comportare la totale attribuzione al territorio
(o il ritorno ad esso, nelle esperienze in cui la riscossione è centralizzata) di tutte
le ricchezze prodotte dal territorio: al di là della difficoltà teorica
dell’individuazione del luogo di produzione della ricchezza in un’economia
moderna, resta il fatto che una organizzazione federale non può non prevedere che
al centro giungano (o rimangano) almeno le risorse per il pagamento del debito
pubblico, per le funzioni statali unitarie, per un fondo di perequazione e
solidarietà e di finanziamento di interventi speciali.
Ora, mentre la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato centrale
e entità substatali e la previsione costituzionale dell’autonomia finanziaria delle
seconde, pur essendo elementi tipici dello Stato federale (a sua volta, la garanzia
costituzionale dell’autonomia finanziaria
può limitarsi ad una generica
indicazione di obiettivi da raggiungere, come avviene nel caso italiano, ovvero
specificare la natura dei tributi e la qualità e quantità complessiva della garanzia
finanziaria delle entità), possono riscontrarsi anche nello Stato regionale, la
partecipazione – significativa – delle entità substatuali al processo di revisione
costituzionale sembra spingere maggiormente verso l’esistenza di un modello
federale di governo [sul tema, in generale, si veda il recente contributo di T.
GROPPI (III.1)].
3.3. Conseguenza del rango costituzionale del riparto di competenze è
l’esistenza di meccanismi che permettano la giustiziabilità delle reciproche
competenze: normalmente, è affidato a Corti costituzionali o a Corti supreme il
compito di controllare il rispetto del riparto di competenze. Esemplare il caso del
Belgio, in cui il progresso verso un modello federale ha portato alla istituzione di
un organo giurisdizionale deputato, non già al controllo generale del rispetto della
Costituzione, bensì specificamente al controllo del rispetto del riparto –
costituzionalmente previsto – delle competenze spettanti allo Stato, alle Regioni e
alle Comunità.
Nei modelli federali e regionali – che anche sotto questo profilo presentano
ormai
poche differenze – si assiste ad un sempre più ampio e massiccio
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intervento delle giurisdizioni costituzionali e supreme nella definizione,
costruzione, attuazione e interpretazione del rapporto tra centro e periferie, che
spinge la dottrina a chiedersi se non si sia ormai di fronte ad un “Judge made
federalism”.
Tradizionalmente diversa l’esperienza della Svizzera, in cui il ruolo di
arbitro tra Confederazione e Cantoni è svolto – secondo il modello di quel paese –
dal popolo, attraverso le ampie possibilità di ricorso al referendum.
3.4. Di particolare rilievo è il coinvolgimento delle entità substatali nella
determinazione dell’indirizzo politico centrale, in particolare attraverso una
Camera rappresentativa delle istituzioni substatali. In realtà, l’analisi comparativa
dimostra come la presenza di una seconda Camera rappresentativa delle istanze
substatuali sia elemento solo tendenziale, ma non costitutivo degli Stati federali; si
sottraggono a questa “regola” non solo la Costituzione del 1978 delle Isole
Comore e la Costituzione degli Stati federati della Micronesia, quanto soprattutto
il Canada, Stato sicuramente federale, in cui il Senato (i cui membri sono
nominati dal Governatore generale, su proposta del Primo Ministro) è costituito su
base territoriale e non su base provinciale (le entità federate in Canada si
chiamano Province): spettano infatti 24 membri alle Province marittime (Nova
Scotia, New Brunswick, Prince Edward Island), 24 al Quebec, 24 all’Ontario, 24
alle Province occidentali (Manitoba, British Columbia, Saakatchewan, Alberta), 6
al Newfoundland e al Labrador, 1 membro ciascuno ad ognuno dei tre Territori
(Northwest, Nanavut, Yukon). D’altra parte, anche in Belgio e Spagna la seconda
Camera non appare rappresentativa delle istanze substatuali secondo i modelli
tendenzialmente utilizzati (egual numero di rappresentanti per ogni stato o entità
membro, secondo il modello statunitense, adottato in molte seconde Camere:
Svizzera, Russia, Argentina, Brasile, Australia, Sudafrica, Nigeria, SerbiaMontenegro; ovvero, differenziazione che tenga conto del numero degli abitanti
ovvero del “peso” dei diversi soggetti, secondo il modello tedesco, seguito da
Austria, India e, in parte, Messico) [per un’analisi più dettagliata si può vedere B.
CARAVITA (III.2)].
La partecipazione delle entità substatali alla determinazione delle grandi
scelte politiche del Paese può in realtà avvenire anche attraverso l’istituzione –
formalizzata o meno – di meccanismi di collaborazione intergovernative nelle
aree in cui le responsabilità sono condivise o sovrapposte (accordi, intese, organi
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comuni, forme di partecipazione procedimentale, ecc.) [una significativa
esposizione delle esperienze si può trovare in P. MEEKISON (III.3)].
In verità, questo ultimo profilo caratterizza ormai non solo i modelli federali
o regionali, ma tutte le democrazie pluraliste contemporanee.
E’ osservazione comune che lo Stato sociale ha aumentato il livello di
intervento pubblico, distribuendo le funzioni tra tutti i livelli istituzionali ovvero a
privati o associazioni, e imponendo meccanismi di cooperazione tra di essi per il
raggiungimento degli obiettivi. L’intreccio di questi fenomeni fa sì che il modello
del federalismo duale o competitivo sia ormai un ricordo del passato: tutti i
modelli federali sono ormai più o meno improntati al modello cooperativo o
collaborativi.
3.5. Di particolare rilievo nella definizione della forma di stato è l’esistenza
di un autonomo sistema substatale di fonti del diritto, con particolare riferimento
alla potestà legislativa e alle modalità della sua distribuzione tra soggetto centrale
ed entità substatali. A tal proposito, è sicuramente vero che l’assenza di potestà
legislativa primaria delle entità substatali è sicuro elemento distintivo tra Stato
regionale e federale, da un lato, e Stato unitario decentrato, dall’altro (in Europa,
si è formata una associazione – CALRE – che riunisce le Assemblee delle Regioni
dotate di potestà legislativa); discutibile, invece, se sia elemento distintivo di uno
Stato federale rispetto al modello regionale la presenza di competenze legislative
enumerate dello Stato centrale e di competenze esclusive residuali degli Stati o
entità membri: per quanto questa affermazione sia condivisa in dottrina, non così
avviene in Canada, in India e in Sudafrica, Stati sicuramente federali in cui la
clausola della competenza legislativa residuale è rivolta a favore del governo
federale.
Anche il profilo della prevalenza della legge dello Stato centrale sulla legge
delle entità substatuali non costituisce elemento discretivo sicuro tra Stato
federale e Stato regionale [cfr. G. DE VERGOTTINI (II.8)]: sono proprio gli Stati
tradizionalmente federali a prevedere clausole di prevalenza, modellate sul
principio della commerce clause statunitense ovvero sul principio (proprio della
Germania: Grundgesetz, art. 31, e dell’Austria) secondo cui “Bundesrecht bricht
Landesrecht”. L’ingenuo e ambiguo tentativo della riforma costituzionale italiana
del 2001 di eliminare ogni riferimento normativo a formule di supremazia della
legge statale ha portato la Corte costituzionale a compiere un’opera di supplenza
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volta a introdurre meccanismi di prevalenza dell’intervento statale (è sufficiente il
riferimento alle cd. “materie trasversali”, a partire da Corte cost., sent. n. 282 del
2002; e alla utilizzazione del principio di sussidiarietà per attrarre, pur se a
determinate condizioni, la disciplina di materie concorrenti o residuali regionali
nell’area dell’intervento statale: Corte cost., sent. nn. 313 del 2003 e 6 del 2004).
Solo il Belgio – in nome di un rigido principio di separazione fra le
competenze statali e quelle regionali e comunitarie – non fa riferimento a
meccanismi di supremazia della legge statale, potendo essere i conflitti
immediatamente risolti dalla Cour d’arbitrage.
Va però osservato che, negli ordinamenti giuridici contemporanei,
caratterizzati da una apertura verso il livello internazionale e sopranazionale e
dalla pluralità delle fonti giuridiche, occorre prendere a riferimento, più che il
parametro della prevalenza del diritto centrale su quello locale, le procedure e le
sedi attraverso le quali, sottostando al principio di leale collaborazione, lo Stato
centrale e le realtà substatali esercitano le rispettive potestà legislative.
La supremazia della fonte legislativa centrale è un criterio ex post,
necessario per risolvere i conflitti; il buon funzionamento complessivo delle
procedure di cooperazione garantisce che il sistema – sopraffatto dai conflitti non si paralizzi.
3.6. Un ulteriore dato di analisi è costituito dalla partecipazione degli
ordinamenti substatali alle politiche internazionali e sopranazionali, nella duplice
attività – per quanto riguarda gli Stati europei - di determinazione della volontà
dello Stato in sede comunitaria e dell’attuazione dello stesso diritto comunitario
[proprio per ottemperare questa esigenza, gli ordinamenti europei hanno adottato
specifiche normative legislative o, nel caso tedesco e francese, anche modifiche
costituzionali. In Italia, oltre alla riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta
in seguito all’adozione della legge costituzionale n. 3 del 2001, questo aspetto
trova disciplina nelle norme della legge n. 131 del 2003 e della legge n. 11 del
2005]; nonché, con riguardo al “potere estero” delle Regioni, ossia la capacità di
porsi quali enti politici che dialogano con enti interni ad altri Stati ovvero con
Stati [F. PALERMO (III.6)].
Anche
questo
tema
sembra
aver
ormai
perduto
significatività
nell’esperienza contemporanea, caratterizzata non solo dalla globalizzazione
dell’economia e (molto meno) dei diritti, bensì anche dalla competizione globale
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dei territori. E, invero, concentrate le grandi scelte politiche in consessi
internazionali più o meno formalizzati, nulla impedisce più ai soggetti substatali
(e locali) di presentarsi sullo scenario internazionale per concludere accordi di
partnership economica, culturale, sociale, ecc.
3.7. Di minor rilievo appare la possibilità costituzionale di determinare
autonomamente la forma di governo dell'entità substatale; fermo rimanendo
infatti che nei modelli federali (così come in quelli regionali) è prevista un’ampia
autonomia organizzativa, nella maggior parte dei sistemi le entità substatali
assumono modelli organizzativi molto simili nei rapporti tra corpo elettorale,
assemblea ed esecutivo. Così come in Italia, nonostante la possibilità
costituzionale di modificare la forma di elezione del Presidente della Regione (art.
122 Cost.), nessuno Statuto è stato in grado di farlo, egualmente, negli Stati Uniti,
in Germania, in Austria, in Spagna, i principi della forma di governo sono identici
in tutte le entità substatali (così, ad esempio negli Stati Uniti, tutti gli Stati
adottano il modello dell’elezione diretta del Governatore – anche se la durata
varia da Stato a Stato – e tutti gli Stati, tranne il Nebraska, hanno Parlamenti
bicamerali).
3.8. Particolarmente delicato è il tema delle competenze ordinamentali sul
sistema degli enti locali. Nei modelli federali storicamente consolidati le unità
substatali sono titolari di tutti i poteri nei confronti degli enti locali, senza alcuna
previsione garantistica della Costituzione federale (questo è il caso, ad es., degli
Stati Uniti, del Canada, dell’Australia). Nei modelli europei di federalismo,
l’affidamento – totale o parziale – delle competenze ordinamentali agli Stati
membri o alle Regioni si accompagna alla presenza nella Costituzione nazionale
di norme di garanzia rivolte alle unità substatali a favore delle autonomie locali.
Ma il dato più interessante è che inizia a emergere nelle più recenti Costituzioni
federali il tentativo di costruire un federalismo a più livelli, riconoscendo e
garantendo costituzionalmente l’autonomia delle municipalità a fronte della
Federazione e degli Stati membri. Così la Costituzione del 1988 del Brasile
definisce (art. 18) la Repubblica Federale del Brasile come composta dell’Unione,
dei 26 Stati, del Distretto federale di Brasilia e delle Municipalità (circa 5.500),
ognuna delle entità essendo autonoma nell’ambito delle sue competenze; prevede
(art. 23) materie condivise tra Unione, Stati e Municipalità; detta (art. 24) regole
sul rispetto dell’autonomia delle Municipalità. Con gli emendamenti costituzionali
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del 1991 l’India si è mossa verso un sistema di federalismo multilivello, di cui gli
enti locali costituiscono il terzo livello [G. MATHEW (I.16), p. 173 ss]. E,
ancora, la Costituzione sudafricana del 1996 riconosce esplicitamente (Charter 3)
tre sfere di governo (federale, provinciale, locale). Così, la tralaticia affermazione
secondo cui “il riconoscimento formale del governo locale come una distinta
sfera costituzionale in Sudafrica contrasta con la pratica di molte federazioni in
cui i governi locali ricadono fra le competenze delle unità costituenti” [J. VAN
WESTHUIZEN (III.7)] costituisce in realtà un omaggio ad un modello di Stato
federale, che si potrebbe quasi definire obsoleto.
In questo nuovo quadro, non è dunque un’anomalia il modello italiano
sancito nel nuovo art. 114 Cost., secondo cui “La Repubblica è costituita dai
Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” e
“i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi
con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
3.9. Occorre, poi, guardare anche alla possibilità dell’intervento normativo
dei legislatori locali in tema di diritti di libertà. Tale attività si concretizza con
diverse modalità: dalla incidenza solo indiretta sulle situazioni soggettive di tipo
sociale, alla previsione che spetti allo Stato la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni o la salvaguardia del nucleo essenziale del diritto, potendo i
legislatori locali intervenire sull’area circostante [si veda, per l’Italia, la lettera m)
del comma secondo dell’art. 117 della Costituzione; per la Germania, gli artt. 70 –
75 del Grundgesetz], fino alla possibilità di coinvolgere anche i diritti
fondamentali [è il caso, estremo, del modello statunitense, dove la stessa pena di
morte vige solo in alcuni degli Stati membri ].
In qualche modo collegato alla possibilità di intervento substatale in tema di
diritti di libertà appare il profilo dell’esistenza di un livello giurisdizionale
substatale, diversamente organizzato e concernente tutte o solamente una delle
giurisdizioni (civile, penale, amministrativa o addirittura costituzionale, secondo il
modello di alcuni Laender tedeschi). Differenziazione nella tutela dei diritti e
presenza di strutture giurisdizionali substatali paiono caratterizzare i modelli
federali compiuti rispetto a quelli regionali: come spesso accade, l’Italia è a mezza
strada, non essendo disconosciuto l’intervento regionale nell’ambito dei diritti ed
essendo possibile l’attivazione dell’intervento regionale in tema di “giudici di
pace” (art. 116 Cost.).
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Nell’area degli interventi substatali in tema di diritti sta una delle difficoltà
principali dei sistemi federali e regionali: quale equilibrio trovare tra la garanzia di
pari trattamento dei cittadini e gli elementi di differenziazione che inevitabilmente
derivano dalla possibilità di regolamentazioni locali (tanto più se applicati e
giudicati da giudici substatali).
3.10. Affianco a questi elementi, tutti strettamente giuridici, un ruolo
fondamentale per distinguere uno Stato federale da uno Stato regionale consiste
nell'esistenza di un'opinione pubblica, di una società regionale: occorrerà allora
verificare l’esistenza di strutture della società civile, culturale, economica aventi
un fondamentale radicamento e collegamento regionale (partiti, giornali,
associazionismo economico e imprenditoriale).
Si potrebbe invero giungere alla conclusione che, in Italia, non è tanto il
dato formale dell’assenza di una Camera rappresentativa delle Regioni a impedire
la qualificazione dell’assetto istituzionale come federale, bensì proprio il dato
sostanziale e materiale dell’assenza - o della non ancora formata esistenza - di
strutture regionali della società civile e della società politica.
Lo schema qui proposto, come in verità qualsiasi altro si voglia adottare,
rimane tuttavia insufficiente di fronte alla grande varietà di modelli di
federalismo/regionalismo che si sono affermati nella pratica e soprattutto dinnanzi
ad un panorama istituzionale che ha visto la crescita contemporanea di fenomeni
istituzionali di diverso segno e direzione.
4. Diritto alla secessione come possibilità di intraprendere un processo
di distacco
Per quanto concerne il cd. diritto alla secessione, esso merita un’analisi a
parte. Va detto, infatti, che in tutti gli ordinamenti giuridici “complessi” (siano
regional/federali o “compositi”) [così è definito l’ordinamento comunitario da
parte della dottrina, cfr. V. G. DELLA CANANEA (IV.1)], non esiste un diritto
unilaterale alla secessione. Anche sotto questo profilo, non trova più riscontro
nella realtà l’idea che gli Stati federali siano differenti da quelli regionali perché
nei primi, a differenza dei secondi, esisterebbe un diritto unilaterale di secessione
volto a recuperare la perduta sovranità da parte degli Stati membri.
Alcuni Autori della dottrina giuspubblicista del secolo scorso giungevano
già a questa conclusione, pur in un contesto ben diverso da quello attuale; per
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usare le parole di Carl Schmitt, l’accordo tra Stati che costituisce una
confederazione o una federazione “è un libero trattato in quanto dipenda dalla
volontà del membro l’adesione alla federazione, ossia è libero per quanto
riguarda la conclusione. Esso non è un contratto libero nel senso di un contratto
liberamente risolubile, che disciplina solo singoli rapporti misurabili. Al
contrario, con l’appartenenza ad una federazione uno Stato viene inserito in un
sistema politico complessivo” [cfr. C. SCHMITT (IV.3)]. In questo “sistema
politico complessivo”, nelle forme più o meno complesse che può assumere, la
possibilità formale del recesso (pur giuridicamente rilevante) deve fare i conti con
le
conseguenze
materiali
che
produce
l’esclusione
rispetto
alla
vita
dell’ordinamento giuridico del quale faceva parte.
Oggi, a queste riflessioni teoriche, si affianca il dettato normativo delle
Costituzioni contemporanee e la giurisprudenza di rango costituzionale dei singoli
ordinamenti, dai quali emerge la necessità – per gli ordinamenti politici postmoderni – di un bilanciamento del principio, pur di ispirazione democratica,
dell’autodeterminazione “secessionista” con gli altri principi costituzionali.
Vale la pena ricordare, infatti, che proprio in Canada (paese la cui
formazione storica riproduce quelli che, per certa dottrina, sono i passaggi tipici
delle formazioni federali) la Corte costituzionale – relativamente alla vicenda del
Québec - ha ribadito che la secessione non può avvenire in modo unilaterale, ma
deve essere frutto di un consenso delle parti coinvolte (Provincia secessionista e
Federazione). La formazione di tale consenso deriva proprio, come ricorda la
Corte, dal bilanciamento del diritto alla secessione (quale espressione del
principio democratico) con altri principi (rule of law e rigidità costituzione). La
spinta secessionista della maggioranza della popolazione, dunque, pur
formalizzata (ad esempio in sede referendaria) comporta solo l’avvio di negoziati,
grazie ai quali si può giungere alla formazione di uno Stato nuovo.
Nell’assetto costituzionale italiano, si dovrebbe invece ritenere che, in
ragione del principio di indivisibilità sancito nell’art. 5 Cost., non possano
nemmeno essere introdotte iniziative che abbiano come sbocco conclusivo
processi di distacco di una entità territoriale dallo Stato italiano.
A conferma di quanto detto, si può richiamare anche la formulazione
tentativamente adottata nell’ordinamento comunitario, ossia in un ordinamento
nel quale la forza sovrana degli Stati è ancora molto presente. Il Trattato che
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istituisce una Costituzione europea, redatto dalla Convenzione, approvato dalla
Conferenza intergovernativa del 18 giugno 2004 ed in attesa di ratifica da parte
degli Stati aderenti, prevede proprio il diritto di recesso.
5. Federalismo e Stato federale
In questo quadro la domanda circa i requisiti di fronte ai quali ci si può
trovare di fronte ad uno Stato federale [ovvero la versione italiana della domanda
in cui ci si chiede se la Costituzione italiana, dopo la l. cost. n. 3 del 2001, sia
ormai approdata ad istituire uno Stato federale, o ancora se uno Stato federale lo si
avrà solo dopo la riforma tuttora in itinere, vedi il disegno di legge costituzionale
AS2544B – AC4862B (XIV legislatura) approvato in prima lettura dal
Parlamento] è mal posta e comunque fuorviante.
Il tema sul tappeto non è più quello dello Stato federale, bensì quello di
modelli federali di governo; e la differenza non
è solamente lessicale [pur
riconoscendo che “federalism”, “federal” e “federation” sono “related terms”: cfr.
J. KINCAID (I.2)]. Pur derivando tutti i termini dal latino foedus, nel corso del
tempo la nozione di “Stato federale” si è vieppiù strettamente legata ad una fase
peculiare dell’esperienza del costituzionalismo moderno ed alla esperienza e alla
(prima) crisi dello stato nazionale. La dottrina costituzionalistica e politologica ha
infatti in realtà ipostatizzato l’esperienza degli Stati Uniti (e, forse, della Svizzera,
pur se con alcune significative differenziazioni) a modello tipico di Stato federale
e su tale esperienza ha condotto la riflessione teorica in tema di Confederazioni di
Stati e di Stato federale. In realtà proprio il prototipo di Stato federale nasce come
risposta endogena al mal riuscito tentativo europeo di esportare altrove il modello
dello Stato nazionale.
Gli europei, padri dello Stato nazione, avevano, infatti, erroneamente
creduto di poter diffondere dappertutto il loro modello, anche lì dove, per svariate
e differenti ragioni, non poteva attecchire (Stati Uniti, Brasile, Argentina, Nigeria,
India, ecc.). Ai nostri occhi contemporanei appare oggi evidente che quegli
elementi che nel Seicento-Settecento avevano permesso nel continente europeo la
formazione dello stato nazionale erano tutt’altro che presenti fuori Europa. La
mancanza di un’unità
storica, etnica, culturale, religiosa, la mancanza della
nazione, rappresentò nei territori al di là dell’Europa (prima nelle colonie
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nordamericane della Gran Bretagna, poi nelle colonie europee in America, Africa
e Asia) un ostacolo insormontabile per la nascita dello Stato nazionale. Sicché la
risposta che prima gli Stati Uniti d’America, poi altri Stati, diedero a tali
sollecitazioni fu quella della ricerca di una diversa soluzione, più confacente alle
proprie esigenze politiche e istituzionali.
Ma, allora, se queste sono le radici del modello federale è evidente che il
tema non riguarda più lo “Stato federale”, poiché tale modello, nel suo senso
tipico di fase intermedia fra lo Stato unitario e la Confederazione di stati, è
strettamente legato all’esperienza (e all’epopea) dello stato nazionale, con i suoi
lati positivi e con i suoi lati negativi, e infine al suo progressivo superamento. Per
contro, oggi, si va sviluppando la richiesta di modelli federali di governo, vale a
dire di modelli che coniughino - in maniere estremamente diverse – un certo qual
livello di unitarietà con un significativo grado di autonomia dei livelli substatali e
intermedi di governo. E’ questo quello che hanno sperimentato i grandi Stati
federali del Nord e del Sud America, dell’Africa, dell’Asia o dell’Oceania; è
questo il modello verso il quale sembrano andare l’Italia, così come la Francia, la
Spagna, la Germania, il Belgio, il Portogallo, l’Austria, la Gran Bretagna, la
Polonia, e via di questo passo. Paesi questi che, per ragioni non sempre identiche
e con metodi non sempre uguali, si sono dotati di strutture regionali di governo e
che vivono oggi, sia pur in diverse forme, una fase di rafforzamento delle
autonomie substatali.
Al “nome” (Stato federale) non corrisponde la “cosa” (il federalismo) e,
soprattutto, la "cosa" (il federalismo) può esistere anche senza il "nome" (Stato
federale): o, se si vuole, modelli federali di governo possono essere adottati anche
in paesi che non si dichiarano federali. Si è già sottolineato come l’Austria, stato
federale di nome, lo è di fatto sicuramente meno della Spagna, che invece aborre
il termine federale, non a caso assente dalla Costituzione. Ma, soprattutto, alla
luce delle esperienze costituzionali più recenti, non ha più nessun senso la tesi –
pur strenuamente difesa da alcuni Autori - secondo cui nello Stato federale gli
Stati federati deriverebbero da entità precedentemente sovrane e conserverebbero
barlumi di quella perduta sovranità. E, invero, nell’esperienza dell’America
centro-meridionale, il modello dello Stato federale è servito soprattutto a ripartire
il potere tra élites territoriali che difficilmente avrebbero accettato la supremazia
di una parte del Paese sull’altra [V.V.M. FERREIRO COSTA (III.8)]. E, ancora,
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nell'esperienza della Nigeria o dell'Etiopia, ma forse anche dell’India, lo Stato
federale serve a tenere insieme non già entità substatali che hanno perso la loro
sovranità, bensì fenomeni nazionali e tribali sparsi sul territorio e malamente
costretti a stare insieme nella fuoriuscita dal colonialismo europeo. Così nella
Costituzione etiopica del 1995, il Preambolo fa riferimento a “We the Nations,
Nationalities and Peoples of Ethiopia” e l’art. 47 prevede il diritto di ogni
Nazione, Nazionalità o Popolo di istituire, in ogni momento, il proprio Stato;
cosicché, si può affermare che “il federalismo etiopico ha il carattere etnico come
sottostante principio organizzativo” [T. PAETZ (III.9)]. Viceversa, nel modello
sudafricano, i confini provinciali non coincidono con i confini razziali o tribali,
essendo sembrato preferibile non seguire un modello di sovrapposizione fra entità
substatali e preesistenti divisioni tribali e, soprattutto, razziali (la Costituzione
sudafricana riconosce invece esplicitamente un ruolo ai leaders tradizionali: sect.
212, sect. 235).
D’altra parte, per tornare a modelli a noi vicini, lo stesso Belgio, federale
per esplicita scelta costituzionale, è una federazione non già di entità territoriali
(Stati membri o Regioni, che si vogliano chiamare), che hanno perduto o vogliono
riconquistare la sovranità, bensì anche di comunità linguistiche (quella
francofona, quella fiamminga e quella germanofona).
6. Il federalismo come fenomeno di riorganizzazione istituzionale degli
Stati contemporanei
La questione circa i requisiti dello “Stato federale” è infine mal posta per un
altro – cruciale - ordine di ragioni. Accanto al rilancio mondiale, europeo e
italiano del modello di organizzazione istituzionale di tipo federal/regionale,
assistiamo oggi ad altri grandi fenomeni di (ri)organizzazione istituzionale.
Il primo fenomeno prepotentemente balzato alla ribalta è quello dello
svilupparsi del modello della cd. multilevel governance, vale a dire di una
organizzazione istituzionale caratterizzata dalla pluralità dei centri di governo,
secondo un modello dimensionale: il governo della cosa pubblica coinvolge oggi
diversi livelli, dal Comune alle organizzazione sovranazionali, tutte chiamati a
confrontarsi e cooperare. In Europa, la consapevolezza di questo fenomeno è
ormai acquisita in tutti i paesi europei, abbiano essi due o tre livelli territoriali di
governo, oltre al livello statale.
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Il secondo fenomeno è la riscoperta, affianco al pluralismo istituzionale, del
pluralismo sociale: il governo delle collettività non è affidato, né riservato, ai soli
soggetti istituzionali, bensì coinvolge una pluralità di attori sociali, organizzati in
forme diverse e diversamente legittimati alla rappresentanza degli interessi, spesso
titolari di potestà di normazione e in grado di svolgere attività di interesse
generale.
In
questo
contesto,
infine,
la
globalizzazione
dell'economia
(e
progressivamente, ma non pienamente né soddisfacentemente, delle libertà e della
democrazia) ha avuto effetti contraddittori; la possibilità e la facilità di mettere in
collegamento economie in tutto il globo (che ha condotto alla necessità di creare o
rafforzare istituzioni sopranazionali e mondiali di governo dei fenomeni collettivi)
ha nel contempo fatto riscoprire la dimensione locale degli interessi e la capacità
autonoma dei territori di competere sul mercato globale: è il fenomeno
icasticamente definito "glocal", per cui alle sfide globali partecipano
efficacemente soggetti non statali, bensì caratterizzati da una chiara e definita
dimensione locale.
Pensare che in Europa e nel mondo (e, nel nostro piccolo, in Italia) la
discussione sui modelli istituzionali verta solo intorno al dibattito federalismoregionalismo è un grave errore di prospettiva; in realtà, in Italia, come in Europa e
nel mondo, stanno avvenendo contemporaneamente i quattro fenomeni
istituzionali appena descritti: spinta verso modelli federali di governo; multilevel
governance; pluralismo sociale; “glocalismo”. Il difetto è – a ben vedere – nella
dottrina costituzionale che ancora non riesce a costruire modelli di osservazione e
di studio che tengano insieme e coniughino i diversi fenomeni: e le analisi
appaiono tuttora manchevoli.
Sotto altro profilo, solo il coniugarsi di questi fenomeni spiega perché
improvvisamente e – se si vuole – con una rapidità di diffusione inaspettata solo
qualche anno fa, la sussidiarietà, nelle sue versioni orizzontale e verticale, sia
diventata principio costituzionale, ma nel contempo motto, emblema, parola
d’ordine generalmente (e genericamente) condiviso al di là di confini politici e
ideologici: i complessi sistemi istituzionali che abbiamo creato – e che vieppiù si
svilupperanno nel prosieguo del tempo, non apparendo all’orizzonte segnali di
inversione di tendenza – potranno essere governati solo attraverso la riduzione
delle funzioni statali, la riconquista di un ruolo delle collettività e delle comunità
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nello svolgimento di attività di interesse generale e l’allocazione delle funzioni
pubbliche a quel livello istituzionale ragionevolmente più vicino ai cittadini
interessati.
7. Le ragioni istituzionali del federalismo.
Per rispondere alle domande sul rilancio del modello federale, in Italia, in
Europa, nel mondo, bisogna partire dalla considerazione che nei grandi Paesi di
democrazia liberale e sociale, il potere politico ha subito un contemporaneo – e
solo apparentemente contraddittorio – fenomeno di diffusione/dispersione e di
accentramento/concentrazione.
Solo apparentemente queste linee di tendenza sono contraddittorie:
l’elemento che le accomuna è l’incapacità delle forme della rappresentanza
politica, così come tradizionalmente organizzate nelle Assemblee rappresentative
delle democrazie liberali, di rispondere in modo soddisfacente alle trasformazioni
delle democrazie moderne.
Alla diffusione capillare del benessere della democrazia sociale corrisponde
una dispersione del potere sul territorio: nessuna comunità accetterà eterodecisioni per ciò che attiene alla difesa di alcuni elementi caratterizzanti il
benessere recentemente acquisito. Sull’altro versante, alla personalizzazione delle
leadership corrisponde un fenomeno di accentramento in poche mani e in ristrette
burocrazie delle grandi decisioni di indirizzo e del controllo degli strumenti di
attuazione amministrativa e finanziaria delle decisioni.
A questi fenomeni fa da pendant una crisi del Parlamento, come luogo di
rappresentanza politica, pensato e concepito, nelle sue funzioni ed attività, in
relazione alle omogenee e oligarchiche democrazie liberali europee del
diciannovesimo secolo: ma oggi, da un versante, non più in grado di cogliere le
centinaia di microdecisioni che vengono prese sul territorio; e, dall’altro,
egualmente non più capace di interloquire con le strutture governative, chiamate a
decisioni sempre più veloci, sempre più rapide, sempre più gravide di
conseguenze, chiamate soprattutto a confrontarsi continuamente con livelli
internazionali e sopranazionali di decisione politica ed economica.
In questo quadro, il modello dell’organizzazione federale si impone nei
paesi di democrazia liberale e sociale, perché, da un lato, costituisce una risposta
all’esigenza di offrire luoghi di sintesi più vicini alle microdecisioni diffuse sul
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territorio; dall’altro, costituisce un fondamentale strumento proprio per quanto
attiene alla garanzia di funzionamento democratico del sistema politico.
Se nelle mani dell’esecutivo si accentrano enormi poteri, politici, economici
ed istituzionali, non più sufficientemente controbilanciati dall’attività di controllo
e di impulso e, comunque, di indirizzo che l’opposizione può fare in Parlamento,
viene a mancare quel tipico meccanismo di equilibrio delle democrazie
parlamentari
dato
dal
confronto
parlamentare
maggioranza-opposizione
(l’equilibrio è parzialmente diverso nelle democrazie caratterizzate da una forma
di governo presidenziale, in cui la contrapposizione non è maggioranzaopposizione, bensì legislativo-esecutivo, godendo le due funzioni di legittimazioni
diverse, pur se scaturenti dalla stessa fonte). In questa situazione lo check and
balance
tipico
delle
democrazie
parlamentari
viene
garantito
proprio
dall’organizzazione federale che si trova così a svolgere alcune funzioni
democraticamente fondamentali: permettere la crescita di leadership alternative a
quelle di governo, che possono così formarsi, forgiarsi e prepararsi al ricambio
non in una attività di opposizione, spesso solo verbale, bensì in una concreta
attività di gestione; costituire, attraverso i governi regionali (e la loro eventuale
rappresentanza centrale), un limite e un contrappeso al potere pervasivo degli
esecutivi delle democrazie sociali e liberali; dare alle decisioni decentrate
contenuti più prossimi ai bisogni e ai desideri delle popolazioni [G. BOGNETTI
(I.4), pp. 46-47].
Si spiega così perché secondo molte concezioni moderne della democrazia
le strutture federalistiche del potere politico costituiscono una garanzia delle
libertà civili e politiche paragonabile alle forme organizzative che attuano la
divisione orizzontale delle funzioni tra i poteri dello Stato.
BENIAMINO CARAVITA
BIBLIOGRAFIA:
I. Sul recente successo politico dei modelli di governo federale, e la
significativa ripresa degli studi su di essi, si veda 1. C.J. FRIEDERICH, Trends of
Federalism in Theory and Practice, New York, Praeger, 1968, e da ultimo 2. J.
KINCAID, A. TARR, Constitutional origins, structure and change in federal
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countries, Mc Gill University Press, 2005; 3. A. D’ATENA L’Italia verso il
federalismo Taccuini di viaggio, Milano, Giuffrè 2001. Per una nozione di
“federalismo” si veda, tra gli altri, 4. M. BOGNETTI, Federalismo, Torino, Utet,
2001, p. 5. Per uno sguardo complessivo all’esperienza europea, sia concesso il
rinvio a 5. B. CARAVITA, L. CASSETTI, Il rafforzamento della democrazia
regionale e locale nell’Unione europea, (a cura di), Comitato delle Regioni,
Bruxelles, 2004 (ed. inglese 2005), voll. I e II, e ivi i saggi di A. Zei (Austria), M.
Togna (Belgio), A. de Petris (Danimarca), J. Sawicki (Finlandia), G. Allegri
(Francia), M. Corrado (Germania), S. Valta (Grecia), G. Lavagna (Irlanda), G.
Rosa-R. Theus (Italia), M. Togna (Lussemburgo), A. de Petris (Paesi Bassi), L.
Cassetti (Portogallo), F. Clementi – A. Sterpa (Regno Unito), L. Frosina (Spagna),
J. Sawicki (Svezia). Il testo della 6. Propuesta de estatuto politico de la
Comunidad de Euskadi è consultabile sul sito www.elmundo.es. La giurisprudenza
costituzionale sul tema è raccolta e commentata nel 7. volume del Servizio Studi
del Senato, a cura di F. MARCELLI e V. GIAMMUSSO, Tra Stato e Regioni:
guida all’orientamento, Roma, 2005; v. anche 8. B. CARAVITA, Judge made
federalism? The italian experience, Atti del Convegno 2005 dell’International
Association of Centres for Federal Studies, anche in federalismi, n. 18 del 2005.
Sul legame tra integrazione europea e ristrutturazione dei livelli di governo substatali si veda 9. W. PUZYNA, Il processo di decentramento in Polonia di fronte
alle prospettive di integrazione nell’Unione Europea, in B. CARAVITA, Le
Regioni in Europa. Esperienze costituzionali a confronto, (a cura di), Roma –
Lugano, 2002, p. 105 ss. Sul ruolo delle associazioni fra Regioni e delle
Euroregioni si veda lo studio di 10. M. CACIAGLI, Regioni d’Europa, Bologna,
Il Mulino, 2003. In ordine all’esperienza americana, gli aspetti più significativi
delle costituzioni dei singoli stati membri sono stati studiati nella conferenza su
Federalism and Subnational Constitutions: Design and Reform, svoltasi a
Bellagio dal 22 al 27 marzo 2004, organizzata dalla Rockfeller Foundation e dalla
Rutgers University: si veda in particolare la relazione di 11. R. WILLIAMS,
American State Constitutional Law, gli atti sono pubblicati sul sito internet
www.federalismi.it, nn. 8 e 9 del 2004; tra gli studi americani si veda 12. A.
TARR, Understanding State Constitutions, Princeton University Press, 1998. Sul
federalismo in Canada si veda 13. D. R. CAMERON, Canada,
in A.L.
GRIFFITH – K. NERENBERG, Handbook of Federal Countries, (a cura di),
www.federalismi.it
23
McGill University Press, Montreal & Kingston, London, Ithaca, 2005, p. 114; si
veda altresì la pronuncia della Corte suprema, Renvoi relatif à la sécession du
Québec, 16-19 febbraio 1998, nonché la legge che ha disciplinato la materia
seguendo le indicazioni del Giudice costituzionale, ossia la Loi donnant effet à
l'exigence de clarté formulée par la Cour suprême du Canada dans son avis sur le
Renvoi sur la sécession du Québec del 29 giugno 2000; si veda anche 14. il paper
del Ministro Benoit PELLETIER, L’action internationale du Québec dans une
perspective fédérale, in federalismi.it, n. 5 del 2005, www.federalismi.it. Sui
federalismi sudamericani si veda da ultimo 15. L. CASSETTI, C. LAND,
Governo dell’economia e federalismi. L’esperienza sudamericana (a cura di),
Torino, Giappichelli, 2005. Così, per l’India, si veda 16. G. MATHEW, India, in
Handbook of Federal Countries, McGill University Press, Montreal & Kingston,
London, Ithaca, 2005, p. 167. Per il testo della costituzione irachena si veda 17. il
sito www.federalismi.it, n. 5 del 2005. Un’ampia panoramica dei modelli federali
è oggi in 18.
A.L. GRIFFITH, K. NERENBERG, Handbook of Federal
Countries (a cura di), McGill University Press, Montreal & Kingston, London,
Ithaca, 2005, in cui sono trattate le esperienze di Argentina, Australia, Austria,
Belgio, Bosnia e Erzegovina, Brasile, Canada, Comore, Emirati Arabi Uniti,
Etiopia, Germania, India, Malesia, Messico, Micronesia, Nigeria, Pakistan,
Russia, St. Kitts and Nevis, Serbia e Montenegro, Sudafrica, Spagna, Stati Uniti,
Svizzera, Venezuela, nonché dello Sri Lanka e del Sudan, e degli elementi
federali del Trattato costituzionale europeo. Nella precedente edizione del 2002
sono altresì contenuti i saggi di 19. N. MICHAUD, Federalism and foreign
policy: comparative answer to globalization; 20. J. MCGARRY, Federal political
system and the accomodation of national minorities; 21. R.L. WATTS, The
distribution of powers, responsabilities and resources in Federations; 22. P.
PERNTHALER,
Asymmetric federalism as a comprehensive framework of
regional authonomy.
II. Sul rapporto tra federalismo e regionalismo si veda 1. G. LUCATELLO,
Stato federale, Padova, Cedam, 1967, p. 20; 2. C. VITTA, Regionalismo, Firenze,
1923, p. 3 ss.; 3. A. BARBERA, G. MIGLIO, Federalismo e secessione, Arnoldo
Mondatori, Milano, 1997; 4. S. CASSESE, Gli Stati nella rete internazionale dei
pubblici poteri, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, p. 321 ss.; 5. S. HUNTINGTON,
Lo scontro delle civiltà, trad.it., Milano, Garzanti, 2000, p. 123; 6. D. ELAZAR,
www.federalismi.it
24
Exploring federalism, The University of Alabama Press, 1987, trad. it.; 7. ID., Idee
e forme del federalismo, Milano, Mondadori, 1998, p. 35; e ancora 8. DE
VERGOTTINI, voce Stato federale, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1990, p. 859
ss; R. WATTS (I.21), p. 448.
III. In particolare, sui caratteri distintivi del federalismo si veda il recente
contributo di 1. T. GROPPI, Federalismo e Costituzione, Milano, Giuffré, 2001;
e, ancora, 2. B. CARAVITA, Il bicameralismo nelle più significative espererienze
federali. Composizione e attività legislativa delle Camere alte, in AA.VV., La
Costituzione promessa, Rubettino, Soveria Mannelli, 2004, p. 85 ss.; 3. P.
MEEKISON, Intergovernmental Relations in Federal Countries, (a cura di),
Ottawa, Forum of Federations, 2002; 4. A. STERPA, Il dibattito sulle intese
intergovernative:profili teorici e elementi comparati, in www. federalismi.it; 5. F.
MORATA, Come migliorare la governance democratica europea con le Regioni, in
Le istituzioni del federalismo, 2004, I, p. 24; 6. F. PALERMO, Il potere estero
delle Regioni, Padova, Cedam, 1999; 7. J. VAN DER WESTHUIZEN, South
Africa, in Handbook of Federal Countries, 2005, p. 313; 8. V.V.M. FERREIRO
COSTA, Brasile, in Handbook of Federal Countries, cit., 2005, p. 92; 9. T.
PAETZ, Ethiopia, in Handbook of Federal Countries, 2005, cit., p. 139.
IV. In relazione al diritto alla secessione si veda, tra gli altri, 1. V. G.
DELLA CANANEA, L’Unione Europea. Un’ordinamento giuridico composito,
Bari-Roma, Laterza, 2003; 2. C. MARGIOTTA, L’ultimo diritto, Profili storici e
teorici della secessione, Bologna, Il Mulino, 2005; 3. C. SCHMITT, Dottrina della
Costituzione (1928), Milano, Giuffrè, 1984, p. 478.
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