(c).

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Testo:
P.A.Samuelson - W.D.Nordhaus
“ECONOMIA”
McGraw - Hill
esclusi capp.
11- 16 - 17 - 18 -19 -34.
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1
Keynes ha scritto:
“Lo studio dell’economia non sembra richiedere alcuna dote particolare. Si
tratta dunque di una disciplina molto facile in confronto alle altre branche più
elevate della filosofia e delle scienze pure. Una disciplina molto facile nella
quale solo pochi riescono ad eccellere. Sembra un paradosso, ma si spiega,
forse, nel senso che un grande economista deve possedere una rara
combinazione di doti:
- deve essere allo stesso tempo e in qualche misura matematico, storico,
politico, filosofo;
- deve saper decifrare i simboli e usare le parole; deve saper risalire dal
particolare al generale e saper passare dall’astratto al concreto nello stesso
processo mentale;
- deve saper studiare il presente alla luce del passato, per gli scopi del futuro;
- deve essere concentrato sugli obiettivi da raggiungere e disinteressato allo
stesso tempo (cioè pensare e agire in maniera oggettiva pensando agli effetti che ogni azione
economica avrà sugli altri, quindi disinteressato personalmente).
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2
Perché studiare l’economia?
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3
1. Perché ci sono molti problemi economici per i
quali non sempre esiste una soluzione facile:
• Perché c’è disoccupazione?
• Perché c’è un trade-off negativo tra
disoccupazione e inflazione?
• Perché il prezzo del pane aumenta?
• Perché i tassi di interesse aumentano o
diminuiscono?
2. Perché ci sono economisti che suggeriscono
soluzioni diverse.
3. Per comprendere gli effetti della politica
economica, da tener presente nel momento in
cui siamo degli elettori attivi.
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4
Le ragioni delle divergenze di opinioni tra gli
economisti sono diverse:
Le teorie economiche a cui fanno riferimento
(classica, Keynesiana)
2. L’interesse personale di ogni economista
3. Il problema posto dal cambiamento.L’oggetto
di studio della scienza economica è soggetto
ad un continuo cambiamento perché
influenzato dal comportamento umano.
1.
A chi bisogna credere?
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5
Capire l’economia significa capire la maggior parte
della nostra vita.
Il posto dell’economia è nel cuore della vita sociale.
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6
Di che cosa si occupa l’economia?
Si occupa della società e del comportamento degli
uomini nella società.
Se ne occupa dal punto di vista economico, della
ricchezza. E ciò perché nella società non ci sono
mezzi sufficienti per soddisfare tutti i bisogni, per
raggiungere tutti gli obiettivi.
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7
L’economia è una scienza. Si parla infatti di scienza
economica.
Ciò che fa di una materia una scienza è il metodo
scientifico, cioè la formulazione di teorie e la
verifica di queste teorie sul funzionamento del
mondo.
La teoria nasce dall’osservazione della realtà
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8
I modelli economici
• Si utilizzano per spiegare la realtà
economica.
• Sono:
– Le equazioni matematiche
– I grafici
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9
Le fonti dei dati sull’economia
italiana
• Le principali sono:
– Le pubblicazioni dell’ISTAT
– Le pubblicazioni della Banca d’Italia
– Le pubblicazioni dell’ Eurostat (a livello
europeo)
– Le pubblicazioni della BCE
– Ecc….
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10
Parole chiave dell’economia
Scarsità
Beni economici
(beni scarsi)
la principale parola chiave,
che ha fatto definire
l’economia la scienza della
scarsità
beni materiali
(cioccolatini,automobili,
petrolio)
beni immateriali (spettacolo,
cura di un dente, l’uso di un
bene (pagandone l’affitto), il
lavoro di una persona
http://unict.myblog.it il salario)
(pagandone
11
Parole chiave dell’economia
Utilità
Prezzo
Un bene economico deve essere utile
I beni economici, in quanto scarsi, hanno
un prezzo per essere acquistati e venduti
(concetto di mercato)
Produzione I beni economici, in quanto scarsi, possono
dar senso alla produzione (anche i beni
prodotti sono beni economici in quanto
sono limitati alla quantità prodotta)
Risorse
Nel processo produttivo, per produrre un
bene, si utilizzano altri beni intermedi, altre
risorse, anche queste scarse, per cui sorge
il problemahttp://unict.myblog.it
dell’impiego alternativo
12
Non tutti i beni possono essere prodotti.
Es.
– La terra (risorsa naturale)
– Il lavoro (risorsa personale)
ma possono essere migliorati per aumentare
la produttività, attraverso l’uso dei fertilizzanti
(la terra) e attraverso l’istruzione (il lavoro)
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13
Condizioni perché l’azione umana sia suscettibile di
considerazione economica, identificate dall’economista
Lionel Robbins.
1. Che gli obiettivi siano molteplici
Riguardanti
gli obiettivi
2. Che gli obiettivi siano classificabili
secondo l’importanza (preferenze)
3. Che le risorse siano limitate
Riguardanti le
4. Che le risorse abbiano usi
risorse
alternativi
L’uso alternativo delle risorse deve essere razionale
ed efficiente, cioè ricavare il massimo evitando errori
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e sprechi.
Definizioni di economia
• L.Robbins “la scienza che studia la condotta
umana come una relazione tra scopi e mezzi scarsi,
applicabili ad usi alternativi”
(presuppone degli obiettivi ma non li giudica dal
punto di vista etico, religioso o politico)
(presuppone scarsità e uso razionale delle risorse)
• Altra definizione “L’economia è la scienza che
studia la produzione, lo scambio, la distribuzione e il
consumo di quei beni e servizi che contribuiscono al
benessere materiale”
(è implicito che l’economia studia il sistema
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15
economico)
Definizione di Samuelson
• “L’economia è lo studio del modo in cui gli
individui e la società pervengono a scegliere,
con o senza moneta, di impiegare risorse
produttive scarse, suscettibili di usi alternativi,
per produrre vari tipi di beni e distribuirli per il
consumo, attuale o futuro, tra varie persone e
gruppi sociali”
(moneta e tempo)
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16
La scienza economica si divide in due
branche principali:
• Teoria economica
(o Economia)
Studia le leggi
dell’economia e il
funzionamento dei
mercati
• Politica economica
E’ lo studio dell’intervento
pubblico e l’intervento pubblico
stesso. Lo Stato utilizza gli
strumenti a disposizione, per
correggere le imperfezioni del
mercato e per raggiungere
l’obiettivo del benessere della
collettività
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17
La teoria economica si distingue in:
•
• Microeconomia
Studia il comportamento
del singolo consumatore,
della singola impresa, la
formazione dei singoli
prezzi e i mercati
singolarmente (dei beni,
del lavoro, della moneta)
Macroeconomia
Studia i fenomeni aggregati
relativi al sistema economico
nel suo insieme (risultanti
dalla sintesi dei
comportamenti dei singoli
consumatori, investitori):
C,I,G,E, M, livello generale dei
prezzi,disoccupazione). La
macroeconomia studia
l’interdipendenza reciproca tra
Fino a metà degli anni ‘30 i vari mercati
Nata negli anni ’30 con Keynes
18
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L’Economia si distingue in:
1. Economia positiva: descrive i fatti di un
sistema economico e cerca di spiegarne le
cause. Questo compito spetta all’economista
quale scienziato, che fa un’analisi economica
dei fatti economici. Es. Analizza la
disoccupazione e ne spiega la causa; analizza
i flussi commerciali e spiega perché il
commercio è vantaggioso alle due parti.
L’economia positiva è quindi descrittiva.
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2. Economia normativa è invece prescrittiva, cioè
cerca di individuare le misure idonee per migliorare il
funzionamento del sistema economico.
L’economista in questo caso diventa un consigliere
economico, cioè suggerisce alle autorità pubbliche
quale manovra economica attuare per ridurre, ad
esempio, la disoccupazione. La decisione spetta poi al
politico.
L’ec. normativa chiama in causa i giudizi di valore, cioè
l’aspetto etico e morale di una decisione economica.
L’ec. positiva e l’ec. normativa sono correlate. Soprattutto
è l’economia positiva (gli economisti) che influenza
l’economia normativa.
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Molte Istituzioni e apparati dello Stato si avvalgono
dell’opera degli economisti:
•
•
•
•
•
La Banca l’Italia
L’ U.I.C. (Ufficio Italiano dei cambi)
Vari ministeri
L’ISTAT (Istituto di statistica)
Il CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del
lavoro)
• Le Regioni
• Alcune società private (ISFOL, Nomisma,
Prometeia, ecc..)
• Centri studi Universitari
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21
In base all’obiettivo l’economia si distingue in:
- Economia classica
stabilità dei prezzi
- Economia marginalista
- Economia keynesiana : gestione della domanda
aggregata
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LA NASCITA DELL’ECONOMIA
Nasce da una riflessione di Adam Smith,
professore di Filosofia morale, sui
comportamenti né ‘buoni’ né ‘cattivi’.
La nascita dell’economia come scienza
autonoma si fa risalire al 1776 con la
pubblicazione di Adam Smith “Ricerche
sopra la natura e le cause della ricchezza
delle Nazioni”
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Il pensiero economico prima di A. Smith
I problemi economici erano studiati da filosofi e teologi:
buon governo e giusto comportamento etico, morale.
16°secolo finisce il feudalesimo e inizia il
capitalismo:
_ Sviluppo del sistema di mercato,
_ Nascita dell’industria (in seguito alla rivoluzione
scientifica: Newton, Galilei, Copernico, Keplero),
_ Accumulazione di capitale in mano ai privati,
– Mutamenti economici e sociali (classe
lavoratrice, aumento popolazione)
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24
Capitalismo
16°-17°secolo
ricchezza, accumulazione
mercantilismo:
Lo scambio, sia all’interno che con l’estero, come
fonte di ricchezza per l’accumulo di oro e argento
Critiche di A. Smith al mercantilismo:
• Considerava i metalli preziosi le uniche componenti
della ricchezza
• Considerava il commercio l’unico mezzo per
aumentare la ricchezza
• Il commercio era basato sul protezionismo e quindi
vantaggioso per un solo paese (trattati di commercio
ineguali: dazi sulle merci importate).
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25
17°secolo
fisiocrazia
La produzione agricola come fonte di
ricchezza
Critiche di A. Smith alla fisiocrazia:
• sul protezionismo, in quanto si contrappone al
libero scambio, per l’intervento dello Stato
(dazi).
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26
18°secolo
•
•
Smith
La causa della ricchezza delle nazioni non era lo
scambio né la terra, ma il lavoro, il lavoro
industriale e in particolare il miglioramento delle
capacità produttive del lavoro reso possibile dalla
divisione, o specializzazione, del lavoro
(produttività), grazie al progresso tecnico.
Visione liberista degli scambi cioè libero mercato
(laissez-faire). Alla fine del 1800 si parla di
Vantaggi:
Economia.
a) Maggiore ripartizione territoriale del
lavoro
b) Aumento della specializzazione
c) Aumento del mercato interno ed estero
27
d) Vantaggi perhttp://unict.myblog.it
i due paesi scambisti
Nel 19° sec. gli eccessi del capitalismo (alti redditi in
poche mani) allentarono il laissez-faire e iniziò
l’intervento dello Stato (regolazione dei monopoli,
imposte sul reddito, e cominciò il welfare state, es.
l’assistenza medica).
Nel 20°sec. aumentò l’intervento dello Stato fino a d
avere un capitalismo di Stato (PP.SS).
Dal 1980, l’eccessiva ed inefficiente presenza dello
Stato spinse ad avviare un processo di
privatizzazione.
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Oggi ci troviamo in una situazione in cui il mercato
rivendica maggiore spazio. Vedi il sistema di mercato
dell’ex URSS e della Cina, nonché la globalizzazione,
che significa:
a) Aumento degli scambi
b) Integrazione economica, cioè specializzazione
(un singolo bene viene prodotto da diversi
paesi)
c) Integrazione dei mercati finanziari (movimenti di
capitali speculativi)
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29
Vantaggi della globalizzazione:
• Riduzione dei prezzi
• Maggiore innovazione
• Crescita economica più veloce
Svantaggi della globalizzazione:
• Effetto spiazzamento (un’impresa straniera che
produce a costi più bassi, riduce la produzione e
l’occupazione nazionale)
• Interdipendenza: dipendenza dagli scambi
• Riduzione del ruolo dello Stato
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30
Cos’è il mercato?
È quel meccanismo messo in moto
dall’agire e dall’interagire di compratori e
venditori e che determina il prezzo e la
quantità di beni e servizi da scambiare.
(mercato dei beni (prezzo) del lavoro
(salario), dei capitali (interesse), della terra
(rendita)
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Un mercato può essere:
• Centralizzato o organizzato: si stabilisce la data
e il luogo di incontro tra domanda e offerta. (Es.
Borsa valori; Bit; il mercato delle attività
patrimoniali di Cannes (interessante nel 2003
l’interesse del capitale privato ad investire in
Sicilia); Medibit (borsa internazionale del turismo
mediterraneo), presenta l’offerta turistica
dell’area mediterranea.
• Decentralizzato o libero (Es. il mercato del
lavoro o il mercato di qualsiasi bene)
• Elettronico (via Internet)
Nel mercato in cui domanda e offerta sono
uguali si ha l’equilibrio e il corrispondente prezzo
è il prezzo di equilibrio
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32
Smith e la teoria del mercato, intesa come
teoria della mano invisibile
Le premesse della teoria del mercato di Smith,
cioè le motivazioni che determinano le scelte
economiche sono:
• L’egoismo, nel senso di interesse personale,
• Libertà economica,
che portano ad una importante conclusione:
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33
<< L’interagire dei soggetti “egoisti” motivati
dall’interesse personale risulta come guidato da una
“mano invisibile” e provoca l’effetto di rendere
massima la ricchezza della società nel suo
complesso>>.
La mano invisibile esprime cioè il funzionamento e i
risultati del mercato.
Smith considera come ricchezza il reddito pro-capite: fu
il primo a considerare il benessere dei cittadini e non
la forza economica dello Stato.
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34
Secondo la corrente di pensiero classica, che parte da
Smith e che domina fino agli anni 1930, la teoria del
mercato porta a formulare la legge degli sbocchi o
legge di Say, secondo la quale il sistema economico è
sempre in equilibrio di piena occupazione
ALTRI PRESUPPOSTI DELLA TEORIA CLASSICA:
• È l’offerta che crea la domanda
• I prezzi e i salari sono flessibili
• Settore pubblico assente
• Moneta neutrale : nessun effetto sul settore reale
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La teoria economica classica studia la
microeconomia: comportamento dei singoli
consumatori, imprese, mercati (dei beni, del
lavoro, ecc..).
Il sistema economico nel suo complesso è la
somma dei comportamenti singoli e,
attraverso la mano invisibile, raggiunge
sempre l’ottimo, l’equilibrio.
La forma di mercato a cui ci riferiamo è la
concorrenza perfetta.
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Forme di mercato
Concorrenza perfetta
Ipotesi:
• Omogeneità del bene (con le stesse caratteristiche)
• Pluralità di compratori e venditori tale che ciascun
compratore e venditore non può influire sul prezzo del
bene
Concorrenza imperfetta assume diverse forme:
•
•
•
Monopolio: un solo venditore, che stabilisce il prezzo, e molti
compratori. Es: in un paese c’è una sola società che fornisce la risorsa
idrica o l’energia elettrica.
Oligopolio: pochi venditori. Essendo molto debole la concorrenza fra di
loro, riescono a stabilire il prezzo. Es. la produzione di petrolio in mano
a pochi paesi nel mondo
Concorrenza monopolistica: molti venditori dello stesso bene, ma
ciascun bene ha delle caratteristiche particolari che ne fa un
monopolio. Ciascun venditore può fissare il prezzo. Es: la ceramica
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I limiti del mercato o fallimenti del mercato
Il mercato può fare molto, ma siamo sicuri che raggiunge
l’ottimo?
Si ha fallimento del mercato quando non c’è concorrenza
perfetta e quindi quando esistono:
– Concorrenza imperfetta: un acquirente o un venditore hanno
la capacità di influire sul prezzo. Es. la forza sindacale dei
lavoratori o degli imprenditori; un’impresa oligopolistica.
– Monopolio: un solo venditore che fissa il prezzo. Caso
estremo di concorrenza imperfetta.
– Effetti esterni (o esternalità) positivi (es. beni pubblici- un
parco,la difesa) e negativi (inquinamento)
– Diseguale distribuzione del reddito fra categorie sociali o
territoriali o settoriali
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38
Microeconomia
Studia:
• Il comportamento del singolo consumatore
• Il comportamento della singola impresa
• Il comportamento del singolo mercato (dei beni, del
lavoro, dei fattori produttivi, dei capitali, ecc.)
• Il funzionamento del sistema economico nella sua
interezza attraverso la teoria dell’equilibrio
economico generale, che mette insieme i risultati
raggiunti in precedenza in tema di comportamento di
consumatori, imprese e mercati. E’ un punto di arrivo
(a differenza della macroeconomia che assume
l’interdipendenza del sistema economico nel suo
insieme come puntohttp://unict.myblog.it
di partenza dell’analisi).
39
Le forze del mercato:domanda e offerta
LA DOMANDA
Esprime il comportamento del compratore. Da che cosa
dipende la domanda di un singolo bene? es. il pesce:
• Dal prezzo (relazione inversa)
•
Dalle condizioni di mercato:
– Il prezzo di beni alternativi o succedanei (es. la
carne) (relazione diretta) Il prezzo dei beni
complementari (es. il limone) (relazione inversa)
– il prezzo dei beni complementari (es. il
limone)(relazione inversa).
– I gusti e le preferenze dei consumatori (es. se un
bene diventa di moda fa aumentare la domanda
anche se il prezzohttp://unict.myblog.it
non diminuisce). Dipendono40da
fattori personali, culturali, storici.
- Il reddito: (relazione diretta) Se aumenta il
reddito aumenta la domanda di beni normali.
Se aumenta il reddito può diminuire la
domanda dei beni inferiori (es.domandavo
legumi (bene inferiore) ora domando
carne(bene superiore).
- Le aspettative Ciò che ci attendiamo domani
influisce sulla domanda di oggi.
Es. se ci aspettiamo che il prezzo delle
macchine, dei telefonini sarà più basso, oggi ne
domandiamo di meno. Se ci aspettiamo uno
stipendio più alto, oggi domandiamo di più.
- Influenze particolari Es. nelle zone di Tarvisio,
Cervinia è più alta la domanda di sci che in
Sicilia. In Sicilia è più alta la domanda di
condizionatori
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41
In base al celebre assunto marshalliano del “ceteris
paribus”, in un’analisi parziale le condizioni di
mercato sono considerate date. Per cui la
domanda di un bene dipende dal prezzo. La
relazione tra Qd e P è inversa.
Qd=f(p)
La stessa relazione vale per la domanda aggregata.
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43
La domanda di mercato è la somma algebrica
delle domande individuali di un dato bene.
La domanda di un bene può variare:
• Se varia il prezzo
• Se, fermo restando il prezzo, variano le
condizioni di mercato.
Nel primo caso si ha uno spostamento lungo la
stessa curva di domanda. Nel secondo caso si
ha una trasposizione della curva: a destra se la
domanda aumenta, a sinistra se diminuisce.
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Graficamente:
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45
Un concetto importante è quello di Elasticità della
domanda rispetto al prezzo (ED): è la variazione della
quantità domandata conseguente alla variazione del
prezzo. Si misura rapportando la variazione % della D
e la variazione % del P
variazione % della D
ED =
variazione % del P
L’ED può avere valore 1: se la domanda si riduce nella
stessa misura % dell’aumento % del prezzo.
È questo un caso raro.
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47
Es. il prezzo aumenta da 20 a 30 (50%)
la domanda diminuisce da 500 a 250 (50%)
50
ED =
=1
50
Ci sono poi due casi limite:
a)La domanda è perfettamente elastica (o elasticità
infinita (E∞)) quando aumenta infinitamente ad ogni
piccola riduzione di prezzo. Graficamente è una linea
orizzontale.
b)La domanda è perfettamente anelastica o nulla
quando non varia affatto alle variazioni di prezzo.
Graficamente è una linea verticale.
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48
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49
Normalmente l’elasticità della domanda è:
a) Elastica: la variazione % è maggiore di 1. Cioè
la variazione della D è proporzionalmente
maggiore alla variazione di P
Es. il prezzo aumenta da 20 a 30 (50%)
la domanda diminuisce da 500 a 200 (60%)
ED =
60
= 1,2
50
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50
Graficamente:
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51
b) Anelastica: la variazione % è minore di 1. Cioè
la variazione della D è proporzionalmente
inferiore alla variazione di P.
Es. il prezzo aumenta da 20 a 30 (50%)
la domanda diminuisce da 500 a 400 (20%)
20
ED =
= 0,4
50
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52
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53
L’elasticità della domanda dipende:
a) Dal grado di sostituibilità del bene (es. burro e
margarina)
b) Dal grado di necessità del bene (beni di prima
necessità Domanda anelastica; beni di lusso
(tra cui il turismo)
domanda elastica)
c) Dal livello del prezzo del bene (se il prezzo è
già alto un minimo aumento ne scoraggia la
domanda).
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54
L’elasticità della domanda è molto seguita dalle
imprese in quanto da questa dipende il RICAVO
TOTALE
Ricavo = Q × P
Il ricavo aumenta se aumenta Q o se aumenta P.
Alle imprese sarebbe conveniente aumentare P per
aumentare i ricavi. Ma devono fare i conti con
l’elasticità della domanda.
Dopo aver analizzato l’Ed decidono se aumentare o
diminuire i prezzi. Perché a volte conviene
aumentare i prezzi per avere un maggiore ricavo,
ma a volte conviene diminuirli.
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Domanda anelastica
(generi di prima
necessità)
Domanda elastica
(altri beni, compresa
la domanda turistica)
Aumento di P aumento di
RT (ricavo totale)
Riduzione di P riduzione
di RT
Aumento di P riduzione di
RT
Riduzione di P aumento di
RT
Aumento di P RT invariato
Domanda con
elasticità=1
Riduzione di P
invariato
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RT
56
L’offerta di mercato
Esprime il comportamento dell’imprenditore- venditore.
Essa è la quantità di un bene che il venditore offre
sul mercato. L’offerta dipende:
a) Dal prezzo
b) Dalle condizioni di mercato
• Costo dei fattori produttivi (relazione inversa)
• Tecnologia (relazione diretta)
• Eventi casuali (es. in agricoltura le condizioni
climatiche influenzano l’offerta).
Anche per l’offerta si considerano date le condizioni di
mercato, per cui l’offerta
di
un
bene
dipende
dal
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57
prezzo. La relazione tra Q0 e P è diretta.
Graficamente:
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58
Ad ogni variazione di prezzo la quantità offerta
varia lungo la stessa curva di offerta. Ad ogni
variazione delle condizioni di mercato, fermo
restando il prezzo, si ha una trasposizione della
curva di offerta, a sinistra se diminuisce, a destra
se aumenta.
Anche l’offerta ha la sua elasticità rispetto al prezzo
variazione % quantità offerta
Eo =
variazione % P
A differenza della domanda, l’offerta aumenta
quando aumenta P, e viceversa.
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Casi limite:
a) Elasticità nulla (zero) o perfettamente
anelastica quando ad ogni variazione di P
l’offerta resta immutata. Graficamente si ha
una curva verticale.
b) Elasticità infinita o perfettamente elastica
quando una minima variazione di prezzo fa
variare di molto l’offerta. Graficamente è una
curva orizzontale
c) Elasticità unitaria quando l’elasticità dell’offerta
rispetto al prezzo è uguale a 1. Graficamente
linea a 45°.
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61
Normalmente l’Eo può essere:
a) elastica se la variazione % è maggiore di 1.
Graficamente la curva è al di sotto della linea a
45°
b) Anelastica se la variazione % è minore di 1.
Graficamente la curva è al di sopra della linea
a 45°
L’elasticità dell’offerta dipende dalla possibilità
che le imprese hanno di aumentare l’offerta
quando il prezzo aumenta:
a) Cioè trovare i fattori produttivi ai prezzi di
mercato che permettono l’aumento di offerta.
b) Avere il tempo per organizzare la produzione,
quindi il lungo periodo. Nel breve periodo
solitamente l’offerta è anelastica.
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Comportamenti degli individui
A questo punto ci interessa sapere in che modo gli
individui formulano i loro piani di consumo
(consumatori) e i loro piani di vendita
(imprese), in quanto sono questi
comportamenti che influenzano le curve di
domanda e offerta e le elasticità che abbiamo
visto.
Teorie del comportamento o delle scelte del
consumatore
1. Teoria dell’utilità
2. Teoria delle preferenze
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63
Teoria dell’utilità
Supponiamo:
• Dato il prezzo dei beni
• Dato il reddito disponibile
• Che ci sia concorrenza perfetta
Il consumatore dovrà scegliere tra i panieri alternativi di
beni secondo il criterio di razionalità che gli indica la
scelta ottimale.
Il consumatore sceglie quei beni ai quali attribuisce un
maggiore valore in termini di utilità nel senso di
soddisfacimento, di piacere. Dal punto di vista
economico è importante il concetto di utilità marginale,
che è l’utilità che se ne ricava da una unità aggiuntiva
del bene.
La somma di tutte le utilità marginali ci dà l’utilità totale,che
aumenta all’aumentare del consumo del bene.
Legge dell’utilità marginale decrescente: man mano che
aumenta il consumo di un bene l’utilità marginale
decresce.
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64
Graficamente:
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65
Tra tutti i beni che esistono sul mercato quali beni
sceglierà il consumatore? Naturalmente quelli
che gli danno la massima utilità. In base alla
legge dell’utilità marginale decrescente, egli
sceglierà quei beni che gli danno la stessa utilità
marginale. È questa la condizione di equilibrio
del consumatore.
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66
Un approccio alternativo al concetto di utilità: le
preferenze rivelate
Più recentemente alcuni economisti, tra cui Samuelson,
spiegano il comportamento del consumatore
attraverso le curve di indifferenza, utilizzando l’effetto
reddito e l’effetto sostituzione.
Effetto reddito: il reddito influenza la domanda. Ci
riferiamo al reddito reale  Reddito monetario 


P


Un aumento di P o una riduzione del R monetario
riducono il reddito reale, e quindi la domanda.
Effetto sostituzione. L’esistenza di un bene sostitutivo
influenza la domanda. Se aumenta P di un bene
67
aumenta la domandahttp://unict.myblog.it
del bene sostitutivo.
Preferenze del consumatore e Curve di indifferenza
Le curve di indifferenza sono la rappresentazione grafica
delle preferenze del consumatore.
Sembra un bisticcio di parole parlare di preferenze
rappresentate da curve di indifferenza.
Per capirne il senso dobbiamo pensare che
l’ordinamento delle curve può essere visto come una
scala nella quale ai gradini più alti,si trovano i panieri
di beni, o combinazioni di beni più preferiti. Mentre
nello stesso gradino si trovano le combinazioni di beni
che per il consumatore risultano appunto indifferenti.
Definizione. La curva di indifferenza è l’insieme di
panieri di beni (combinazioni), tra i quali il
consumatore fa la sua scelta, e ognuno gli dà lo
stesso grado di soddisfazione.
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68
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69
A,B,C,D sono combinazioni diverse che
danno la medesima soddisfazione. La
curva di indifferenza è convessa verso
l’origine perché i consumatori tendono a
dare una composizione bilanciata al
paniere di beni. Cioè partendo da un punto
qualsiasi della curva, ogni volta che si
riduce il bene vestiario di una unità,
occorre compensare tale riduzione con
una aggiunta sempre maggiore di generi
alimentari. (Se l’aggiunta fosse costante si
avrebbe una retta e non una curva).
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70
Infatti, dal punto A al punto B la sostituzione del vestiario
3
con i generi alimentari è data dal rapporto 1 = 3 ,
cioè si rinuncia a 3 di vestiario per avere 1 di generi
alimentari.
1
Da B a C il rapporto è = 1
1
0,5
= 0,5
Da C a D il rapporto è
1
3, 1, 0.5 è il saggio marginale di sostituzione .
Esso è decrescente in valore assoluto per movimenti
lungo la curva da sinistra a destra.
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71
La mappa di indifferenza
Il consumatore avrà maggiore soddisfazione se disporrà
di più generi alimentari e più vestiario. Questa
maggiore soddisfazione viene rappresentata via via
da diverse curve di indifferenza.
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72
1. Man mano che ci si allontana dall’origine
aumenta la soddisfazione del consumatore
2. Una combinazione di beni appartiene ad una
sola curva di indifferenza, nel senso che le
curve non si intersecano.
3. Nella mappa di indifferenza non si fa un
confronto numerico dei livelli di soddisfazione,
nel senso che la soddisfazione non si può
misurare. Si parla, infatti, di ordinamento dei
panieri di beni o di classificazione ordinale (1°,
2°, 3°,…) (e non di ordinamento cardinale (1,
2, 3, …).
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Applicazione al settore turistico
Diversi panieri di iniziative turistiche. La scelta del turista
è indifferente in termini di soddisfazione per i paesi
che si trovano sulla stessa curva. La soddisfazione
aumenta man mano che si passa alle curve a destra.
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75
Vincolo di bilancio del consumatore
Le curve di indifferenza ci indicano le preferenze del
consumatore. Ma egli deve fare i conti con il suo
Reddito (Y)e con i prezzi dei beni. Il consumo dipende
cioè dal suo potere d’acquisto. La condizione che
deve rispettare prende il nome di vincolo di bilancio:
p1q1 + p2 q2 ≤ Y
Graficamente la retta di bilancio è una linea con
pendenza negativa. Se il consumatore spende meno
di Y, la differenza costituisce risparmio (punto C del
grafico).
Nell’esempio di due beni, cibo e vestiario, il
76
consumatore ha variehttp://unict.myblog.it
combinazioni di scelta:
Ris
m
par
io
c
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77
Supponiamo:
•
Y = € 480
•
PGA = € 120
•
Pv = € 80
1.
2.
3.
Y
480
=
=4
Domandare solo cibo. Quantità acquistata=
Pcibo 120
Domandare solo vestiario.
Y
480
Quantità acquistata =
=
=6
Pvestiario
80
Domandare sia cibo che vestiario (varie combinazioni)
La pendenza negativa della linea di bilancio è data dal rapporto
tra i prezzi dei beni PGA
PV
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78
Nell’esempio il rapporto tra i prezzi è 120 = 1,5 cioè il
80
consumatore deve rinunciare a 1,5 unità di vestiario
per avere una unità aggiuntiva di cibo.
Possiamo dire che il costo opportunità del cibo in termini
di vestiario è 1,5. Esso uguaglia il rapporto tra prezzo
del cibo e prezzo del vestiario.
 120

= 1,5 

 80

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79
Variazioni del reddito (effetto reddito)
L’aumento del reddito monetario sposta a destra la linea
di bilancio da NM a N’M’, dando la possibilità di
acquistare più beni.
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80
Variazione dei prezzi (effetto prezzi)
L’analisi diventa più problematica. Si possono
avere due casi:
a) Se i prezzi dei due beni raddoppiano la linea di
bilancio si sposta parallelamente a sinistra. In
sostanza si è dimezzato il potere d’acquisto, è
diminuito il reddito reale. È come se si fosse
dimezzato il reddito, fermo restando i prezzi.
La pendenza non varia, ma varia la sua
posizione, cioè la distanza dall’origine.
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82
b) Se varia il prezzo di un solo bene. Es. se
il prezzo del vestiario resta immutato e il
prezzo dei generi alimentari raddoppia.
Con il nostro reddito possiamo comprare
o sempre le 6 unità di vestiario oppure la
metà dei generi alimentari (non più 4 ma
2 unità).
Graficamente la retta di bilancio sarà non
più NM ma NM’
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84
L’effetto della variazione di un solo prezzo è
duplice:
• Effetto reddito: varia il reddito reale, cioè il
potere d’acquisto.
• Effetto sostituzione: conviene sostituire il bene
divenuto più caro con il bene meno caro.
In generale, se varia uno solo dei prezzi, oppure
se variano entrambi ma in proporzioni diverse, la
retta di bilancio modifica la propria pendenza.
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Equilibrio del consumatore
Conoscendo le preferenze e il vincolo di
bilancio il consumatore è pronto a fare le
sue scelte.
In base al criterio di razionalità egli sceglie
quei beni che gli procurano la massima
soddisfazione.
Graficamente sovrapponiamo la retta di
bilancio e le curve di indifferenza.
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87
Tutti i punti lungo la linea di bilancio indicano panieri di beni
economicamente accessibili. Il consumatore razionale preferirà
la combinazione B, in quanto a parità di esborso monetario si
trova sulla curva di indifferenza più elevata (U3).
B è il punto di equilibrio del consumatore ed è il punto di tangenza
della retta di bilancio con la curva di indifferenza più elevata.
Richiamando il significato economico:
PGA
• Il punto B della linea di bilancio ci indica il rapporto tra
PV
e qui il consumatore è influenzato dal prezzo dei due beni
• Il punto B della curva di indifferenza ci indica il Saggio
marginale di sostituzione (SMS), e qui il consumatore è
influenzato dalla preferenza che egli dà all’uno o all’altro bene.
Per cui la condizione di equilibrio del consumatore è:
PGA
= SMS
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PV
88
Concludendo
Nel modello di scelta il consumatore ha ordinato le
alternative secondo le proprie preferenze e, tenendo
conto del reddito e dei prezzi, ha individuato così la
quantità domandata.
Precisazione. I termini “acquisto” e “domanda” devono
tenersi distinti, anche se spesso si usano
indifferentemente.
• Acquisto significa che il consumatore è in grado di
effettuare l’acquisto sul mercato.
• Domanda significa soltanto che il consumatore ha
deciso di acquistare ma non è detto che poi acquista
effettivamente. E ciò per diversi motivi. Uno potrebbe
essere che se il prezzo è basso e la domanda è alta, e
l’offerta sarà insufficiente a soddisfarla per intero.
Es. un turista che “ domanda” un viaggio in Spagna
trova esaurite le prenotazioni, per cui non può
89
effettuare “l’acquisto” http://unict.myblog.it
del servizio turistico.
Dalla domanda individuale alla domanda di mercato
Ogni singolo consumatore, in base al reddito e alle
preferenze, esprime la sua domanda individuale. La
domanda di mercato è la somma delle domande
individuali e mette in relazione quantità domandata e
prezzo.
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90
La costruzione della curva di domanda aggregata
presuppone che le curve individuali di domanda, cioè
le scelte dei singoli, siano tra loro indipendenti e
razionali. Nella realtà esistono delle interferenze nelle
scelte del consumatore:
• Effetto traino o effetto imitazione: la domanda di un
singolo aumenta come conseguenza del consumo di
altri individui.
• Effetto snob: quando la domanda aumenta per una
riduzione del prezzo, ma contemporaneamente
diminuisce la domanda dei consumatori “snob”.
L’effetto sulla domanda aggregata dipenderà da
quanti nuovi consumatori entreranno nel mercato e
quanti dei vecchi ne usciranno.
• Effetto Veblen o effetto ostentazione: la domanda
aumenta quando aumenta il prezzo. Il prezzo alto di
un bene, di solito un bene di lusso, cattura quella
parte di consumatori che
individua in quel bene un 91
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modo di ostentare ricchezza.
Variazioni della domanda aggregata o di mercato.
Anche a livello aggregato è importante conoscere
come varia la domanda, perché da questa
dipendono i consumi e la spesa per consumi per
i singoli beni o classi di beni che troviamo nelle
statistiche ufficiali. È dalla domanda aggregata
che possono nascere manovre di politica
economica.
Come la domanda del singolo consumatore, anche
la domanda aggregata dipende dal prezzo.
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92
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93
Una trasposizione della curva di domanda dipende
da variazioni del reddito o dal prezzo dei beni
sostitutivi o complementari. Anche per la
domanda di mercato è importante conoscere
l’elasticità rispetto al prezzo e rispetto al reddito.
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94
La teoria dell’offerta o teoria dell’impresa o teoria
della produzione
I beni che non esistono in natura bisogna produrli.
Produrre significa essenzialmente trasformare beni e
servizi in altri beni e servizi. In economia il fenomeno
della trasformazione va inteso come trasformazione di
valore e non in senso fisico o merceologico.
Così, quando trasformiamo il legno in tavolo
(trasformazione in senso tecnico), quando conserviamo
il grano in un silos (trasformazione nel tempo), quando
vendiamo al consumatore un bene che abbiamo
acquistato all’ingrosso (trasformazione nel modo),
quando trasportiamo il caffè dal Brasile all’Italia
(trasformazione nello spazio). Alla base di queste
trasformazioni vi è una caratteristica comune: la
creazione di valore, il valore aggiunto, che contribuisce
a formare il PIL.
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95
Generalizzando possiamo dire che l’attività di
produzione consiste nell’ottenimento da certi beni o
servizi (input o fattori produttivi) altri beni o servizi
(output o prodotti).
Di solito, quando si pensa alla produzione si pensa alla
produzione industriale, mentre la produzione
comprende anche i servizi che, negli ultimi decenni,
hanno generato un sempre crescente valore aggiunto.
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96
La contabilità nazionale suddivide la produzione in:
• Settore dei beni e servizi destinabili alla vendita, che
hanno un prezzo. Esso è suddiviso in settore primario
(agricoltura, silvicoltura e pesca; a volte unito alle
industrie estrattive); settore secondario (industria);
settore terziario (servizi destinabili alla vendita).
• Settore dei servizi non destinabili alla vendita: sono i
servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche e dalle
istituzioni private senza fini di lucro. Questi servizi non
hanno un prezzo di mercato. Gli utenti pagano tributi
specifici o tasse (servizi sanitari, istruzione, ordine
pubblico).
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97
I fattori produttivi
Ogni processo produttivo, che viene attuato per produrre
beni (output),
Di consumo
beni
Di investimento (cioè mezzi di produzione)
necessita di risorse materiali, i c.d.
Fattori Produttivi
Terra o risorse
lavoro Capitale (strumenti
naturali (terra,
di produzione e beni
materie prime del
intermedi)
sottosuolo o
foreste, fiumi, laghi,
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98
mare)
1)Le risorse naturali sono quelle risorse
appropriabili, cioè che possono formare oggetto
di proprietà da parte dei soggetti economici, sia
pubblici che privati. Da questo punto di vista la
risorsa principale è la terra, ma anche le
miniere, le foreste, fiumi, mari).
Caratteristiche:
a) Sono limitate. Qualcuna si può migliorare
(fertilità della terra) ma altre sono non
riproducibili (risorse minerarie).
b) Non devono essere prodotte, in quanto esistono
in natura, per cui non ci sono costi di
produzione (ma costi per l’utilizzazione o per lo
sfruttamento o per
l’estrazione).
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99
2)Il lavoro è lo sforzo fisico e mentale dell’uomo per
produrre beni e servizi, cioè l’energia fisica o intellettuale
dell’individuo.
Le risorse naturali e il lavoro sono considerati fattori
originari o risorse primarie della produzione, a differenza
del terzo fattore, il capitale, che è una risorsa prodotta
dall’uomo.
Il lavoro può essere considerato dall’individuo:
•Penoso e
faticoso
•gratificante
In ogni caso è sottoposto al
vincolo dell’esecuzione (ma ha
riflessi economici. Vedi lavoratore
giapponese).
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100
Dal punto di vista strettamente economico il lavoro
viene valutato in base alla capacità produttiva,
cioè in base all’efficienza economica. Ma,
essendo strettamente legato all’individuo come
persona, il lavoro va valutato anche dal punto di
vista sociale, della dignità e della libertà
individuale.
L’offerta di lavoro dipende:
• Dalla grandezza della popolazione
• Dalla composizione per età della popolazione
• Dallo sviluppo socio-economico (salario,
prolungamento degli studi, disponibilità
individuale al lavoro).
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101
3)Il capitale o beni capitale è l’insieme di beni prodotti
dall’uomo e che vengono utilizzati come fattori produttivi
per produrre altri beni. (Comunemente si chiama
capitale anche il denaro e la ricchezza finanziaria, ma
non sono capitale come fattore di produzione, anche se
la moneta è necessaria per disporre di beni capitale).
Per capitale quale fattore produttivo si intende:
– Il capitale fisso (attrezzature, macchinari, computer,
ecc). Può essere privato e pubblico (o sociale).
Quest’ultimo: strade, ponti, ospedali, scuole, ecc).
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102
– Capitale circolante è dato dalle scorte (di materie
prime, di semilavorati, di prodotti finiti invenduti).
Anche se non sono veri e propri strumenti di
produzione, le scorte sono considerate capitale in
quanto rendono efficiente il processo produttivo
impedendone le interruzioni. Nella contabilità
nazionale, non a caso, nella voce “investimenti”
sono conteggiate le variazioni delle scorte.
Il capitale che si logora è detto “ammortamento”. Il
nuovo capitale prodotto è “l’investimento lordo”. Se
sottraiamo man mano l’ammortamento si ha
l’investimento netto.
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103
L’organizzazione del processo produttivo
I fattori produttivi devono essere “combinati”,
“organizzati”. L’organizzazione del processo
produttivo necessita di una capacità, che fa di questo
lavoro un ulteriore fattore produttivo: la capacità
imprenditoriale, capacità di attuare un processo
produttivo efficiente sia dal punto di vista tecnico che
economico.
L’impresa
Dal punto di vista economico è l’organizzazione
efficiente dei fattori produttivi messa in atto per
produrre beni e servizi destinabili alla vendita.
Un’impresa può essere di piccole, medie o grandi
dimensioni secondo il numero degli addetti (piccola:
fino a 100- media da 100 a 1000- grande: oltre i 1000
addetti). Spesso una piccola impresa lavora per la
104
http://unict.myblog.it produttivo).
grande impresa (decentramento
Dal punto di vista giuridico le imprese possono essere:
•individuali
Società semplice
Società in nome collettivo
Società di
persone
Società in accomandita
semplice
•Collettive
Società a responsabilità
(società)
limitata
Società di
Società per azioni
Società in accomandita per capitali
azioni
•Cooperative Produzione di beni e servizi a scopo
mutualistico, offerti ai soci a prezzi più
bassi in quanto non esiste il profitto di
impresa. http://unict.myblog.it
105
Molte grandi imprese sono S.p.A., caratterizzate
da una molteplicità di soci (azionisti). Molte sono
quotate nelle Borse valori, dove vengono
scambiati i titoli azionari. La S.p.A. ha il
vantaggio di reperire risorse finanziarie nel
mercato azionario, ma ha lo svantaggio di essere
tassata due volte: una volta sul profitto della
società e una volta sui dividendi come reddito
personale.
L’esistenza dell’impresa in genere, cioè di una
produzione organizzata e gestita, ma soprattutto
della grande impresa, è importante perché
presenta dei vantaggi in termini di efficienza
(sottolineati da Ronald Coase, premio Nobel nel
106
1991), che sono: http://unict.myblog.it
a) Produzione su vasta scala (economie di scala).
b) Maggiore potere contrattuale, che le consente di
reperire più facilmente le risorse finanziarie (prestiti
obbligazionari o credito bancario) e di influire sui
prezzi di acquisto dei beni intermedi di cui ha
bisogno e sui prezzi di vendita dei suoi prodotti.
c) La gestione e il controllo del processo produttivo,
spesso ripartiti in vari settori e uffici: direzione,
settore acquisti, settore vendite, gestione del
personale, promozione e vendite, pubbliche
relazioni, ufficio studi e programmazione, uffici
finanziari e contabilità aziendale.
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107
Dal punto di vista della dislocazione dell’attività
produttiva si possono avere:
a) Imprese nazionali: l’attività produttiva si svolge
in un solo paese.
b) Imprese internazionali: una parte della
produzione avviene all’estero, conservando la
dirigenza nel paese.
c) Imprese multinazionali: imprese di grandi
dimensioni la cui attività produttiva è “dislocata
in molte nazioni” tramite filiali o imprese
controllate. La direzione è nel paese d’origine.
d) Impresa transnazionale: è un’impresa
multinazionale che ha dislocate l’ attività
produttiva e anche la direzione.
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108
Abbiamo inoltre:
Holding: è quell’impresa che, in una S.p.A. possiede
almeno il 50,1% delle azioni, e ciò le dà diritto di
controllare le altre società. La holding è detta anche
società capogruppo o società madre. Le società
controllate possono appartenere allo stesso ramo
produttivo, o a rami diversi oppure avere differenti
stadi del processo produttivo.
Trust: è una forma di coalizione di imprese integrate fra
di loro, che giuridicamente restano autonome e
distinte, ma “sotto un’unica direzione” che può
decidere per tutto il gruppo.
Cartello: è un accordo tra imprese operanti in uno stesso
settore produttivo. Le imprese non sono integrate fra
di loro e non sono sotto la stessa direzione. Lo scopo
dell’accordo è quello di ridurre la concorrenza fra di
loro mediante la fissazione dei prezzi di vendita dei
prodotti e la spartizione
dei mercati. Il cartello più 109
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conosciuto è l’OPEC.
I cartelli e i trust sono coalizioni di imprese che tutte
insieme formano un monopolio e la loro presenza
ostacola l’entrata nel settore di altre imprese. Per
evitare ciò in molti paesi esiste una legislazione
antitrust.
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110
La teoria dell’offerta o teoria della produzione
Studia il comportamento dell’impresa, cioè studia
la relazione in valore tra gli input immessi nel
processo produttivo e l’output ottenuto, dato un
livello di conoscenze tecniche. Tale relazione è
detta funzione di produzione.
Dal punto di vista economico a noi interessa
studiare come l’impresa stabilisce la quantità di
output da produrre e quindi la costruzione della
curva di offerta (che, sappiamo mette in
relazione prezzo e quantità prodotta).
Obiettivo dell’impresa: massimizzazione del
profitto
111
Profitto: differenza trahttp://unict.myblog.it
costi e ricavi
Come i consumatori, anche le imprese
devono prendere delle decisioni: cosa,
quanto e come produrre.
Le scelte dell’impresa devono essere
razionali, cioè devono massimizzare i
ricavi e minimizzare i costi.
L’impresa deve quindi pianificare il livello di
produzione e scegliere la combinazione di
fattori produttivi, in base a determinati
vincoli da rispettare: vincoli tecnici
(tecnologia disponibile) e vincoli di
mercato (domanda e prezzo).
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112
Cominciamo con la funzione di produzione, o prodotto
totale, cioè la relazione tra la quantità massima di
output ottenibile e la quantità necessaria di input per
ottenerla. Essa ci indica la capacità produttiva
dell’impresa. Ogni funzione di produzione esprime una
tecnica produttiva. La funzione di produzione si può
costruire con tutti i fattori produttivi (terra, lavoro,
capitale) (F. di produzione aggregata) o con un solo
fattore produttivo (F. di prod. disaggregata). Noi
consideriamo l’input lavoro, fermo restando gli altri
fattori produttivi. La produzione o il prodotto totale
aumenta all’aumentare del fattore lavoro.
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113
Graficamente:
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114
Man mano che aumenta il numero dei lavoratori, il
prodotto totale aumenta in maniera meno che
proporzionale. E questo in base alla legge dei
rendimenti decrescenti, secondo la quale una unità
aggiuntiva di un input produce una quantità aggiuntiva
di output sempre minore, fermo restando la quantità
degli altri input.
Oltre al Prodotto totale, altri concetti importanti sono:
• Prodotto marginale: è il prodotto aggiuntivo che si
ottiene con una unità aggiuntiva di input. Esso è
decrescente ad ogni aumento dell’input.
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115
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116
•
Prodotto medio: è il rapporto tra Prodotto totale
unità totali di input
Anche il prodotto medio è decrescente ad ogni
aumento dell’input.
Il prodotto totale aumenta, naturalmente, quando
aumentano tutti gli input. In questo caso si produce a
scala più ampia. L’output che si ottiene quando tutti
gli input aumentano ci dà i rendimenti di scala. Si
possono avere:
a) Rendimenti di scala costanti: quando l’output
aumenta nella stessa proporzione dell’aumento degli
input.
b) Rendimenti di scala crescenti (o economie di scala):
quando l’output aumenta in maniera più che
proporzionale all’aumento degli input.
c) Rendimenti di scala decrescenti (o diseconomie di
scala): quando l’output aumenta in maniera meno
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117
che proporzionale all’aumento
degli input.
Il prodotto totale aumenta, oltre che per l’aumento degli
input, anche per effetto del progresso tecnico che
permette di aumentare la produttività attraverso:
a) Una innovazione di prodotto quando si possono
migliorare i prodotti già esistenti o produrre prodotti
nuovi.
b) Una innovazione di processo quando migliorano le
tecniche produttive esistenti o se ne introducono di
nuove. (es. l’introduzione delle tecnologie
informatiche, prima, e il miglioramento, dopo, che ha
aumentato la velocità dell’informazione).
Il progresso tecnico permette di produrre più e migliori
prodotti, spostando nel tempo la funzione di
produzione verso l’alto.
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118
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119
Il progresso tecnico può avere effetti
negativi. Es. le tecnologie attuali sono
fortemente inquinanti. Le leggi
antinquinamento stanno cercando di
sostituire i vecchi macchinari con
macchinari meno inquinanti, anche se più
costosi.
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120
La produttività
È il rapporto tra output e input.
output totale
produttività totale =
unità di input totali (capitale, lavoro)
output totale
produttivitàdellavoro =
unità di lavoro
output totale
produttività del capitale =
unità di capitale
La produttività aumenta per effetto di:
• Un aumento del progresso tecnico
• Un aumento delle economie di scala
• Livello di specializzazione dei lavoratori
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121
Analisi dei costi
• Essendo: Profitto = Ricavo totale - costo totale
L’impresa deve tenere sotto controllo soprattutto i
costi, in quanto i ricavi dipendono dalle condizioni
di mercato (domanda e prezzi). Controllare i costi
significa seguire il principio della massima
economicità. L’impresa decide il livello di
produzione in base ai ricavi e ai costi totali da
sostenere. Tra costi totali e quantità prodotta esiste
una relazione diretta
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122
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123
Il CT è l’insieme delle spese che l’impresa
deve sostenere per produrre la quantità di
beni e servizi programmata. Esso
comprende:
• I costi fissi: quelli che l’impresa sostiene
indipendentemente dalla quantità prodotta
(acquisto attrezzature, canoni d’affitto,
interessi sui debiti, ecc.)
• I costi variabili: quelli che variano al
variare della produzione (materie prime,
salari, ecc.)
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124
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125
Dobbiamo distinguere:
• Dal punto di vista contabile: il costo totale è uguale ai costi che
danno luogo a esborsi di moneta. Sono tutti i costi che figurano
nel conto Profitti e Perdite.
• Dal punto di vista economico: il costo totale comprende anche i
costi extracontabili, cioè i costi opportunità, cioè i rendimenti
alternativi delle risorse utilizzate. Le risorse che più
significativamente hanno un costo opportunità sono il capitale e
il lavoro. Col capitale investito si potevano acquistare BOT e
l’imprenditore poteva offrire il suo lavoro e ottenere uno
stipendio. Interessi dei BOT e stipendio sono costi opportunità
e fanno parte dei costi totali.
Cioè, dal punto di vista economico tra i costi totali vi sono i costi
del capitale proprio e la remunerazione per il lavoro svolto
dall’imprenditore. Questa precisazione è importante per capire
il concetto di profitto che influisce sulla decisione di investire o
meno.
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126
Il profitto può essere:
a) Profitto normale o Profitto economico zero: quando i
ricavi totali sono uguali ai costi totali (compresi i costi
opportunità del capitale proprio e del lavoro
dell’imprenditore)(normale per l’imprenditore, zero per l’impresa)
b) Extraprofitto o profitto economico: quando i ricavi
totali sono superiori ai costi totali (compresi i costi
opportunità). È questa differenza che è decisiva
perché l’imprenditore scelga di fare l’imprenditore
anziché l’impiegato, in quanto guadagna più del
costo opportunità.
Alcuni concetti di costo, quali indici di riferimento per il
controllo dell’economicità
dell’impresa
:
costo
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127
marginale (CM) e costo medio unitario (CU)
Costo marginale (CM): è il costo aggiuntivo sostenuto
per produrre una unità aggiuntiva di output. In genere
è un costo variabile. il costo marginale fa aumentare il
costo totale ma anche il ricavo totale. L’impresa si
chiede: conviene aumentare la produzione? Conviene
se CM ≤ RM
Il valore di riferimento è il CT. Dal punto di vista
matematico:
(incremento costo totale)
∆CT
CM =
∆Q (incremento quantità prodotta)
Es. se CT aumenta da €100 a €110 per produrre un
maglione in più
CM = 10 = 10
1
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128
Graficamente il costo marginale (CM )ha una
forma ad U, cioè, il CM in una prima fase
decresce all’aumentare della produzione, e
successivamente cresce.
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129
Costo medio unitario (CU): è il costo di una unità
prodotta.
costo totale
CT
È il rapporto tra CU =
Q quantità prodotta
Es. costo totale per produrre 1 maglione €100
100
CU =
= 100
1
Costo totale per produrre 2 maglioni €110
110
CU =
= 55
2
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130
Graficamente:
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131
Mettendo insieme i due grafici:
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132
Notiamo che:
a) Il costo medio unitario (CU) sin dall’inizio parte da
un livello più alto rispetto al CM. Si abbassa
gradualmente fino a raggiungere valori inferiori al
CM. Il costo medio è influenzato dal costo
variabile, cioè dal costo marginale, e dal costo
fisso.
b) Il costo marginale nel primo tratto è inferiore al
costo medio. Nel punto M incrocia il CU nel suo
punto di minimo, e poi, per ulteriori quantità
prodotte, aumenta più del costo medio. Fino a
quando il CM è inferiore al CU, il CU diminuisce.
Quando il CM è maggiore del CU, il CU aumenta.
Fino al punto M’ per ogni unità aggiuntiva di
produzione il CM diminuisce in maniera meno che
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133
proporzionale.
Oltre il punto M’ aumenta in maniera più che
proporzionale, in quanto per aumentare la
produzione deve aumentare il fattore variabile, es. il
lavoro, e ogni lavoratore in più, utilizzando la stessa
quantità di macchinari, ha una produttività del lavoro
decrescente (legge dei rendimenti decrescenti).
c)
È la legge dei rendimenti decrescenti che determina
la forma a U delle curve di costo medio e marginale.
Infatti, in una prima fase l’aumento dell’input
variabile ha una produttività crescente e costi
decrescenti (il CM nel punto M’ e il CU nel punto M).
In una seconda fase la produttività decresce e i costi
crescono (il CM dal punto M’ in poi e il CU dal punto
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134
M in poi).
L’importanza del costo medio nella
determinazione della quantità prodotta.
Tra le fasi di costi decrescenti e costi crescenti vi è
un punto in cui i costi medi (CU) sono al loro
livello minimo, e in questo punto sono uguali al
costo marginale (punto M). Il punto M ci indica
l’efficienza tecnica degli impianti, cioè a quel
livello di produzione gli impianti sono utilizzati in
modo ottimale. Cioè, dal lato dei costi vi è
l’ottima allocazione delle risorse. Non ci sono
sprechi di risorse.
Ma vi è efficienza economica? Lo vedremo dopo,
quando analizzeremo i ricavi.
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135
Altri indici dei costi:
• Costo fisso unitario:
CF
CFU =
Q
Essendo fisso, il costo fisso unitario diminuisce
all’aumentare della quantità prodotta.
• Costo variabile unitario:
CV
CVU =
Q
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136
Le scelte dell’imprenditore
Come i consumatori, anche gli imprenditori devono
prendere delle decisioni ed effettuare delle scelte:
cosa, quanto e come produrre. Devono essere
razionali, cioè minimizzare i costi e massimizzare i
ricavi.
Le scelte dell’imprenditore si basano su previsioni. Egli
pianifica il livello di produzione e sceglie la
combinazione dei fattori produttivi in base a
determinati vincoli da rispettare: vincoli tecnici
(tecnologia disponibile) e vincoli di mercato
(domanda e prezzo). In particolare le scelte
riguardano:
a) La grandezza, o scala, di produzione
b) La dislocazione dell’impresa
c) La tecnica produttiva (scelta di lungo periodo)
d) La combinazione ottima
dei fattori produttivi (scelta
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137
di breve periodo)
a) La grandezza, o scala di produzione dipende dalla
possibilità di collocare i prodotti sul mercato di sbocco. La
scelta della scala di produzione deve essere pertanto
preceduta dalle previsioni della futura domanda. A tale
proposito si ricorre alla tecnica della ricerca di mercato,
cioè alla raccolta ed elaborazione di dati informativi per
individuare gli orientamenti e le preferenze dei potenziali
acquirenti.
b) La dislocazione dell’impresa riguarda la scelta del luogo
dove l’impresa deve sorgere. La scelta deve seguire il
criterio della convenienza economica e dell’efficienza
produttiva (facilità di reperire i fattori produttivi e loro costi,
rete di trasporti)(Es. un albergo in una zona turistica)
c) La tecnica produttiva o metodo di produzione. Si intende
la definizione delle “modalità del processo produttivo, cioè
quale tecnica produttiva viene utilizzata quando si deve
scegliere tra diversi metodi di produzione diversi fra di
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138
loro.
Es.
• Per la raccolta del grano un contadino può scegliere
come tecnica produttiva la falce (e molti operai) o la
macchina falciatrice (e un solo operaio)
• Un ristoratore può scegliere di utilizzare una
lavastoviglie per lavare i piatti ( e un solo operaio) o
nessuna lavastoviglie (e molti operai).
La scelta della tecnica produttiva è molto importante in
quanto da questa scelta dipende il rapporto tra
capitale fisso (lavastoviglie) e capitale variabile (N. di
lavoratori e beni intermedi) e quindi il rapporto tra costi
fissi e costi variabili.
È importante perché dall’installazione del capitale fisso
l’impresa determina le caratteristiche del processo
produttivo e acquisisce una determinata capacità
produttiva, intesa come la quantità di beni e servizi
che può essere ottenuta dall’utilizzazione del capitale
fisso.
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139
La capacità produttiva può essere variata solo
effettuando nuovi investimenti. Così, se si vuole
aumentare la produzione, lasciando immutato il
metodo di produzione, cioè il capitale fisso, bisogna
aumentare solo il capitale variabile (beni intermedi e
lavoro).
L’imprenditore sceglierà la tecnica produttiva più
economicamente efficiente, cioè quella che gli
consentirà di produrre a costi più bassi. La scelta
dipende fondamentalmente dalla scala di produzione
di beni e servizi. Es. per un piccolo appezzamento di
terreno si sceglierà falce; il piccolo ristorante non
comprerà la lavastoviglie.
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140
Valutazione della tecnica produttiva più conveniente
Per questa valutazione non si può fare riferimento alle
sole funzioni di produzione, che esprimono solo le
quantità fisiche di beni e servizi.
Per scegliere la tecnica produttiva più conveniente,
all’imprenditore interessano i costi monetari. Si devono
conoscere pertanto i prezzi dei fattori produttivi e
individuare la tecnica che minimizza i costi di
produzione.
Es. una volta scelta la scala di produzione (livello
dell’output) e, in base a questa, si è previsto il
coefficiente di produzione, cioè la quantità di fattore
produttivo richiesta per produrre una unità di bene,
l’imprenditore dovrà scegliere tra due tecniche
produttive diverse, esprimibili con una funzione di
produzione aggregata.
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141
Noi per semplicità consideriamo solo due fattori
produttivi: capitale (K) e lavoro (L).
Q= una unità di output e le due tecniche hanno
coefficiente di produzione diversi.
Tecnica A: Q=0,25K+0,45L (a più alta intensità di
lavoro)
Tecnica B: Q=0,38K+0,30L (a più alta intensità di
capitale)
Entrambe le tecniche ci danno una unità di
prodotto. Ma qual è la più conveniente? Occorre
conoscere i prezzi dei fattori produttivi.
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142
Supponiamo che:
– Il prezzo di una unità di capitale=4
– Il prezzo di una unità di lavoro = 5
Moltiplicando quantità dei fattori per il prezzo si ha:
Tecnica A: (0,25 x 4)+(0,45 x 5)= 3,25
Tecnica B: (0,38 x 4)+(0,30 x 5)= 3,02
La tecnica B è più conveniente: consente di
produrre una unità di bene a costi inferiori.
Naturalmente la variazione dei prezzi dei fattori
produttivi può cambiare la convenienza della
tecnica produttiva.
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143
d) La combinazione ottima dei fattori produttivi
variabili. Se la tecnica produttiva è data e
l’impresa ha a disposizione un dato capitale
fisso, la combinazione ottima dei fattori
produttivi riguarda la scelta dei fattori
produttivi variabili, cioè sostituibili tra di loro, e
che a sua volta si combinano ottimamente con
il capitale fisso disponibile, cioè in modo tale
da utilizzare al massimo la capacità produttiva
(efficienza tecnica). Per avere l’efficienza
economica bisogna rapportare la quantità dei
fattori produttivi variabili con i rispettivi prezzi
e con la produttività
marginale.
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144
In particolare la condizione perché l’impresa possa
minimizzare i costi di produzione è che:
Prodotto marginale di un
Prodotto marginale di un altro fattore
fattore di produzione (es. L) di produzione (es. un bene intermedio)
=
Prezzo di L
Prezzo del bene intermedio
Graficamente:
• Se consideriamo la combinazione di due fattori per
ottenere la stessa quantità di output abbiamo una
curva detta isoquanto (che si può paragonare alla
curva di indifferenza del consumatore).
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145
isoquanto
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146
• Per sapere qual è il costo totale per ogni combinazione dei due
fattori dobbiamo conoscerne il prezzo. Il costo totale dipende
dalla quantità che si è stabilita di produrre e dal prezzo dei due
fattori. Graficamente il costo totale viene rappresentato da una
linea, detta isocosto.
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147
Ogni linea ci dà il costo totale. La distanza dall’origine
dipende dall’ammontare monetario di cui l’impresa
dispone per acquistare i due fattori. La pendenza
dipende dal rapporto dei prezzi dei due fattori.
L’isocosto può essere paragonato alla linea di bilancio
del consumatore.
• Se i prezzi dei due fattori non variano le linee saranno
parallele
• Se aumenta il prezzo della terra l’isocosto è più piatto
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148
• Se aumenta il prezzo del lavoro l’isocosto è più
ripido
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149
Conoscendo la linea dei costi (isocosto) e la curva della
quantità di bene che si vuole produrre (isoquanto)
possiamo stabilire la combinazione dei fattori produttivi
che ci consente un costo minimo. Sovrapponendo
l’isoquanto con gli isocosti, conosceremo la posizione
ottima per l’impresa
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150
I punti A, B, C, D, che si trovano sullo stesso
isoquanto ci assicurano la stessa produzione,
ma solo il punto C si trova sull’isocosto più
basso, che richiede una minore spesa, cioè un
minore costo totale; esso si trova nel punto di
tangenza tra l’isocosto e l’isoquanto.
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151
La curva di offerta
Abbiamo visto i modelli di scelta dell’impresa:
• Scelta della tecnica produttiva (combinazione degli
input)
• Scelta della quantità prodotta (in base ai costi totali)
Queste scelte non sono sufficienti perché l’imprenditore
stabilisca la quantità prodotta e offerta e il suo
profitto.
L’imprenditore, abbiamo visto, ha stabilito la quantità da
produrre in base ai costi totali di produzione.
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152
Egli però, volendo massimizzare il profitto, deve
tener conto anche dei ricavi, essendo il profitto
la differenza tra costi totali e ricavi totali. Egli
deve tener conto:
a) Della disponibilità dei consumatori a comprare
(e ciò può essere ricavato dalla curva di
domanda)
b) Del numero e del comportamento delle
imprese concorrenti che producono gli stessi
beni. Cioè si deve tener conto del tipo di
mercato in cui l’impresa opera (concorrenza
perfetta o concorrenza imperfetta).
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153
Mercato perfettamente concorrenziale ovvero
l’offerta dell’impresa concorrenziale
Un mercato di concorrenza perfetta è caratterizzato da:
1) Omogeneità dei prodotti: i prodotti presentano le
stesse caratteristiche. Es. un’impresa agricola offre
prodotti identici a quelli delle altre imprese (grano,
mele, ecc..).
2) Un numero elevatissimo di imprese di piccole
dimensioni, tali che ognuna di esse con il proprio
comportamento non influenza tutte le altre, né
influenza il prezzo di mercato. L’incapacità di
influenzare il prezzo è una caratteristica esclusiva
della concorrenza perfetta.
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154
•
•
Il non attaccamento da parte degli acquirenti a
nessun produttore in particolare. Ciò significa
che se l’impresa aumentasse il prezzo
perderebbe i clienti.
La libertà di entrata e di uscita dal mercato da
parte delle imprese. Il loro numero è talmente
alto che l’entrata o l’uscita di una impresa non
influenza né il comportamento delle altre
imprese né il prezzo.
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155
Il prezzo di mercato è pertanto un dato per
ciascuna impresa, e l’impresa in concorrenza
perfetta è detta impresa price-taker. Ciascuna
impresa cioè non può aumentare il prezzo,
perché perderebbe i clienti. Dall’altro, non ha
interesse ad abbassare il prezzo, perché è
talmente piccola, rispetto alle dimensioni del
mercato, che può vendere qualsiasi quantità
desideri al prezzo dato, e la sua produzione è
talmente bassa che non riuscirebbe a
soddisfare l’aumento di domanda.
Per l’impresa concorrenziale la curva di domanda (dei
suoi clienti) è orizzontale, è cioè perfettamente
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156
elastica.
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157
Nel breve periodo come un’impresa price-taker
stabilisce la quantità da offrire sul mercato?
Condizione necessaria per massimizzare il profitto è
che ci sia almeno uguaglianza tra costo marginale e
ricavo marginale (o prezzo di vendita, visto che il
RM=prezzo di vendita).
Ricavo marginale ≥ costo marginale
cioè
Prezzo ≥ costo marginale
Graficamente. La quantità di prodotto che massimizza il
profitto è quella quantità rispetto alla quale la curva del
costo marginale (CM) interseca la retta del prezzo pari
a 4O(punto B).
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158
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159
Se il prezzo di mercato è 40, nei punti a sinistra di B, il prezzo (P)
è maggiore del costo marginale (CM). Per cui all’impresa
conviene aumentare la produzione fino al punto B.
Man mano che aumenta la produzione fino al punto B aumenta
anche il profitto normale, che sarà massimo nel punto B
(profitto economico zero, cioè non c’è extraprofitto) e CM=CU.
Oltre il punto B il prezzo è inferiore al costo marginale, per cui non
conviene produrre oltre il punto B. Se l’impresa continua a
produrre oltre al punto B, con il prezzo a 40, avrebbe un
aumento del ricavo totale (Q x P) ma avrebbe sempre più una
riduzione dei profitti, in quanto l’aumento del ricavo totale non
coprirebbe tutti i costi, e i costi che si sacrificano sono i costi
opportunità. A meno che non aumenta il prezzo. Se P aumenta
a 50, l’impresa massimizza il profitto nel punto A.
Ciò significa che la curva di costo marginale (CM) determina la
quantità offerta per ogni dato livello di prezzo. La curva di costo
marginale è quindi la curva di offerta dell’impresa. Essa ci dice
che l’offerta aumenta all’aumentare del prezzo.
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160
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161
Quando l’impresa ha un extra-profitto?
Per saperlo dobbiamo fare riferimento al costo medio totale (CU)
e al costo medio variabile (CVU). E precisamente quando:
P > CU
P > CVU
Tornando al nostro grafico, dal punto B in poi, e con un prezzo =
40, per ogni unità aggiuntiva, come si è detto, si avrà un ricavo
totale maggiore per l’aumento della quantità prodotta, ma un
profitto sempre in diminuzione. Non si ha extraprofitto perché
P<CU.
Se il prezzo è 50 non solo si massimizza il profitto dell’ultima unità
aggiuntiva, ma si ha anche extraprofitto, in quanto P>CU. Man
mano che aumenta la produzione l’extraprofitto va man mano
diminuendo, fino ad azzerarsi
nel punto E.
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162
Una condizione sufficiente perché l’impresa resti nel
mercato è che:
P > CU
P ≥ CVU
Viceversa, le imprese che hanno costi variabili medi e
costi medi totali maggiori del Prezzo vengono
eliminate dal mercato.
Lungo periodo. Fin qui ci siamo riferiti al breve periodo,
dove l’entrata e l’uscita di un’impresa nel mercato non
modifica né il comportamento delle altre imprese né il
prezzo.
Ma cosa succede nel lungo periodo alle imprese che
non sono state eliminate
dalla concorrenza?
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163
Nel lungo periodo se il prezzo di mercato è alto, e tale
da creare extraprofitti, attira altre imprese ad entrare
liberamente nel mercato. Ciò comporta un aumento
della capacità produttiva totale del settore, cioè una
maggiore offerta in quel settore, oltre che la ricerca di
miglioramenti nella struttura produttiva delle imprese
già esistenti per affrontare la nuova concorrenza.
Com’è noto dalla legge della domanda e dell’offerta,
ferma restando la domanda, un aumento dell’offerta
sposta a destra la curva di offerta e riduce il prezzo di
equilibrio. La riduzione del prezzo riduce i ricavi e
quindi i profitti.
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164
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165
Ma, i ricavi, e i profitti, si riducono anche perché
sono aumentati i costi dei fattori produttivi per
la maggiore domanda proveniente dalle nuove
imprese.
Nel lungo periodo quindi in un regime di
concorrenza perfetta i prezzi tendono a
diminuire, facendo scomparire gli extraprofitti
che hanno attratto nuove imprese, fino al
punto in cui i profitti diventano normali e
scompare l’incentivo per entrare nel mercato,
e quelle imprese che avranno CU>P
usciranno dal mercato.
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166
Concludendo. il meccanismo concorrenziale:
a) Possiede un’elevata “efficienza allocativa” o
“ottimo paretiano” in quanto elimina le imprese
inefficienti, assicurando che le risorse
produttive vengano utilizzate senza sprechi.
b) Tende a portare il prezzo verso il costo di
produzione minimo, impedendo elevati profitti,
a favore del consumatore.
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167
Il regime concorrenziale, pur essendo effettivamente operante
nella realtà, tuttavia spesso non rispetta le indicazioni della
teoria:
– Nella realtà non tutte le imprese inefficienti escono dal
mercato (es. una piccola impresa agricola a conduzione
familiare, o una piccola impresa a lavoro autonomo). Per cui
nella realtà esistono imprese che percepiscono e accettano
redditi bassissimi.
– Soprattutto nel settore agricolo ciò comporta l’intervento
dello Stato a sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli e per
mantenere a un certo livello i redditi degli agricoltori. Il
sostegno avviene o acquistando direttamente le eccedenze
agricole a un prezzo minimo prefissato o erogando delle
integrazioni per coprire la differenza con il basso prezzo di
mercato. Lo scopo di stabilizzare i prezzi agricoli è stato alla
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168
base della PAC, che opera
in questa direzione.
Quando esiste l’intervento dello stato non si dovrebbe
parlare di concorrenza perfetta, di mercato libero, ma
di economia mista, quali in effetti sono la maggior
parte delle economie. Tuttavia, anche in presenza di
intervento pubblico, la produzione può continuare a
definirsi come perfettamente concorrenziale.
I mercati completamente liberi sono rari, in quanto lo
Stato è spinto spesso ad intervenire sia in forma
fiscale e monetaria, sia soprattutto in forma legislativa
(norme riguardanti l’igiene, l’inquinamento, la qualità
dei prodotti, ecc..) per correggere i fallimenti del
mercato (concorrenza imperfetta, esternalità, non
equa distribuzione del reddito).
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169
MACROECONOMIA
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170
Keynes e la nascita della
macroeconomia
L’occasione per verificare i limiti del mercato è
stata data dalla crisi del 1929: crisi di
sovrapproduzione
riduzione di produzione
e di occupazione.
Perché esiste la disoccupazione?
Carenza di domanda
La domanda effettiva fu il centro dell’analisi di
Keynes esposta nella sua famosa pubblicazione
<< Teoria generale dell’occupazione,
dell’interesse e della moneta>>
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171
Oggetto della macroeconomia sono quei fenomeni che
riguardano il funzionamento del sistema economico
nel suo complesso, cioè il comportamento degli
aggregati macroeconomici (C,I,G,PIL,Inflazione, BP)
assumendo come dati i comportamenti dei singoli
consumatori e delle singole imprese.
Scopo della macroeconomia è dare una spiegazione
ai cambiamenti economici che condizionano i singoli
consumatori, le singole imprese e il mercato.
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172
I PRESUPPOSTI
DELLA TEORIA KEYNESIANA
1) il sistema economico è sempre in equilibrio di
sottoccupazione.
2) è la domanda che crea l’offerta.
3) i prezzi e i salari sono rigidi.
4) è presente il settore pubblico.
5) la moneta non è neutrale.
Con Keynes si ritorna a parlare di Economia politica.
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173
Cos’è il sistema economico?
È quel meccanismo messo in moto dall’agire e
dall’interagire degli agenti, o soggetti, economici.
Gli agenti economici sono:
La famiglia (unità di consumo) o consumatore,
che agisce attraverso il consumo, il risparmio, il
pagamento delle tasse, l’offerta di lavoro, ecc..
L’impresa, che agisce attraverso la produzione
di beni e servizi che offre sul mercato.
Il governo o Stato o P.A. che agisce attraverso
la politica economica (monetaria, fiscale,
ambientale, ecc..) e attraverso leggi e
regolamenti.
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174
I tre problemi dell’organizzazione economica
a) cosa produrre: stabilire la struttura produttiva del
sistema economico (più beni di consumo o più beni di
investimento)
b) come produrre: stabilire la tecnica produttiva
(artigianale, meccanizzata o avanzata). Più lavoratori o
più macchine. Quali risorse: petrolio, carbone o il sole?
C) per chi produrre: distribuzione del reddito: a chi va il
beneficio della produzione (pochi ricchi e molti poveri,
industrie con salari alti e industrie con salari bassi).
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175
Diversi tipi di sistemi economici
• In base al coordinamento delle decisioni dei
vari agenti economici distinguiamo:
Economie di mercato
(le decisioni
avvengono nel mercato
attraverso il sistema
dei prezzi. Domanda e
offerta sono infatti correlate
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al prezzo)
Economie pianificate
(le decisioni sono
centralizzate. Prezzi
fissati a livello
centrale)
176
In base alla proprietà dei mezzi di
produzione:
Economie
Capitalistiche (mezzi di
produzione di proprietà
privata. Le imprese
private decidono
quanto produrre, quanti
lavoratori assumere,
ecc.)
Economie socialiste
(mezzi di produzione di
proprietà pubblica. E’ lo
Stato che decide
quanto, cosa e per chi
produrre, e fissa i
prezzi)
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177
In genere un’economia di mercato è
un’economia capitalistica e un’economia
pianificata è un’economia socialista.
Nella realtà, nel mondo, esistono Economie
miste cioè mercato e Stato. Il ruolo dello Stato è
quello di eliminare le imperfezioni del mercato,
imponendo leggi, offrendo beni, ma soprattutto
servizi (istruzione, sanità, ordine pubblico).
Esistono anche fallimenti dello Stato.
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178
Comunque lo Stato ha un ruolo importante per
1. Aumentare l’efficienza del sistema economico,
Favorendo la concorrenza (legge antitrust),
Limitando le esternalità negative,
Fornendo beni pubblici (istruzione, sanità, difesa..)
Regolamentando il prezzo dei monopoli (luce,
acqua)
2. Promuovere l’equità nella distribuzione del reddito
attraverso diverse aliquote di imposte o trasferimenti
in moneta (sussidi alla disoccupazione, agli anziani,
ai disabili)
3. Favorire la stabilità economica e la crescita
179
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economica attraverso
la politica economica.
Il funzionamento del sistema economico, il c.d.
circuito economico o modello economico o flusso
circolare dell’attività macroeconomica o flusso
circolare del reddito
avviene attraverso le interazioni tra Famiglie (o
consumatori), Imprese e Governo (o Stato).
Le interazioni hanno due aspetti:
• reale
• monetario
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180
Aspetto reale
Governo
Beni
Famiglie
Imprese
Servizi
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181
Aspetto monetario
Governo
Famiglie
Ricavi
Salari
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Imprese
182
Gli interrogativi macroeconomici
È facile o difficile trovare lavoro?
Qual è il volume del reddito nazionale o
PIL che l’economia sta producendo?
Il tasso di interesse è alto o basso?
Il tasso di cambio è favorevole o
sfavorevole?
Questi interrogativi ci impongono di
conoscere alcuni concetti fondamentali.
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183
Concetti macroeconomici fondamentali
1. Tasso di disoccupazione = rapporto tra numero di
persone in cerca di occupazione (disoccupati) e
Forza lavoro (occupati e disoccupati).
Disoccupat i
u=
× 100
Forza _ lavoro
Es. Forza lavoro 1000
disoccupati 50
50
u=
= 0,05 × 100 = 5%
1000 http://unict.myblog.it
184
2. Tasso di inflazione
Lo calcoleremo quando conosceremo il
valore del PIL nominale e reale.
L’inflazione, cioè l’aumento generalizzato
e continuo dei prezzi, riduce il potere
d’acquisto della moneta. L’inflazione
penalizza i consumatori, i percettori di
reddito fisso, mentre agevola chi ha dei
debiti.
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185
3. La produttività
È la quantità media per lavoratore di
beni e servizi finali prodotta da una data
economia.
Se il tasso di crescita della produttività è
pari a zero si parla di “società a somma
zero”. Ciò significa che se si vogliono, ad
es., più beni di consumo bisogna
rinunciare a qualche altro bene o
servizio.
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186
4. Il tasso di interesse.
È il costo del denaro. Un tasso di
interesse alto danneggia gli investitori, i
debitori, e anche il governo, quando, per
coprire il bilancio statale in disavanzo,
ricorre all’emissione di titoli pubblici
(BOT, CCT), contribuendo all’aumento
del debito pubblico.
I vantaggi sono per il risparmiatore e per
la BP relativamente all’entrata di valuta
estera per investimenti finanziari.
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187
5. Il tasso di cambio
È il prezzo di una moneta espresso in termini di
un’altra moneta. Es. il cambio Euro-Dollaro è pari a
1-1,03.
La variazione del cambio significa apprezzamento o
deprezzamento della moneta.
Se il cambio €/$ aumenta,l’Euro si apprezza,
viceversa, se diminuisce, si deprezza. Se è causato
dallo Stato si parla di rivalutazione e svalutazione.
Se l’Euro si svaluta saranno danneggiate le
importazioni, sopratutto di materie prime, pagate in
dollari, e ciò può significare anche inflazione. Ma
saranno avvantaggiate
le esportazioni.
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188
6.
La moneta
È il mezzo di pagamento accettato da tutti negli
scambi.
È importante il controllo della quantità di moneta in
circolazione
7.
Il capitale
È l’insieme dei beni durevoli, o mezzi di
produzione, cioè quei beni che sono stati prodotti
e che servono per produrre altri beni (macchinari
industriali, trattori agricoli. Costituiscono capitale
pubblico le autostrade, gli edifici pubblici, ecc..
L’aumento del capitale corrisponde a un aumento
degli investimenti. http://unict.myblog.it
189
Ricapitolando.
L’importanza di questi concetti che sono collegati tra
di loro: la specializzazione aumenta l’efficienza
produttiva e la produzione; la produzione fa aumentare
gli scambi; la moneta rende gli scambi più rapidi e
finanzia con i risparmi gli investimenti; l’aumento degli
investimenti fa aumentare il reddito, e quindi i consumi e
il tenore di vita.
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190
Gli “aggregati economici”
•
•
•
•
•
•
•
•
Il valore della produzione
Il livello di reddito
I consumi
I risparmi
Gli investimenti
Il disavanzo del bilancio pubblico
Le esportazioni
Le importazioni
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191
La frontiera delle possibilità
produttive o frontiera della tecnica
Essendo scarse le risorse, la possibilità di
produzione ha un limite, una frontiera.
Il problema è scegliere la quantità dei diversi
beni da produrre
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192
Curva della frontiera delle possibilità produttive
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193
La possibilità di produzione dipende dalle risorse e
dalla tecnologia. In presenza di progresso tecnico,
si ha la possibilità di aumentare la produzione di
entrambi i beni (la curva si traspone a destra). È
questa la situazione dei paesi ricchi.
Se si decide di produrre più burro e meno
cannoni, tale scelta ha un costo, detto costoopportunità (il rendimento alternativo delle risorse
utilizzate)
In tutti i punti della curva il sistema economico è
efficiente in senso tecnico, ma può non essere
efficiente in senso economico (es. nel punto B)
quando non soddisfa le esigenze della collettività.
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Nel punto G ci sono risorse disoccupate.
194
L’offerta aggregata
Per i classici ( la legge di Say o legge degli sbocchi)
è l’offerta che crea la domanda. La curva di offerta è
verticale. Si produce in piena occupazione. La
flessibilità dei prezzi assicura l’equilibrio dei singoli
mercati e del sistema. Se aumenta la domanda oltre la
piena occupazione, non potendo aumentare l’offerta,
aumentano i prezzi e si innesca l’inflazione.
Graficamente l’offerta classica, essendo di piena
occupazione, è una linea
verticale.
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195
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196
Nell’analisi Keynesiana il sistema è
sempre in equilibrio di sottoccupazione
perché la rigidità dei prezzi e dei salari non
permette la piena occupazione.
Sappiamo che l’offerta si relaziona al
prezzo e la curva ha pendenza positiva.
Cioè le imprese sono disposte a produrre
di più ad un prezzo più alto.
La quantità prodotta, cioè l’offerta effettiva
dipende poi dal livello della domanda.
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197
L’offerta aggregata
• Mette in relazione il
prezzo e la quantità
offerta. È una
relazione diretta e la
curva ha pendenza
positiva
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198
Nel modello Keynesiano un aumento della quantità
offerta , fermo restando il prezzo, traspone a destra
la curva di offerta
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199
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200
Costi di
produzione
Le determinanti dell’offerta
1. Il prezzo
2. Il costo dei fattori produttivi: salari, materie
prime ecc.. È in relazione inversa con la
quantità offerta
3. La tecnologia o progresso tecnologico Una
tecnologia avanzata riduce il lavoro umano e
quindi il costo del lavoro, che fa aumentare la
produttività e l’offerta
4. Le aspettative sul futuro andamento dei
prezzi. Se si attende un aumento dei prezzi
aumenta l’offerta
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201
5. Le politiche governative Es. le leggi ambientali,
che richiedono l’uso di macchinari meno inquinanti
ma più costosi, riducono l’offerta. L’aumento delle
imposte scoraggia l’offerta. La liberalizzazione degli
scambi fra paesi induce le imprese ad offrire di più
per abbassare il prezzo e diventare più competitive.
6. Influenze particolari Es. condizioni atmosferiche
favorevoli aumentano l’offerta dei beni agricoli. In
una zona turistica è più alta l’offerta turistica.
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202
Equilibrio di mercato globale
Si ha equilibrio di
mercato quando
domanda e offerta
sono uguali. Il prezzo
corrispondente è il
prezzo di equilibrio
che soddisfa la
domanda e l’offerta
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203
Variazioni dell’equilibrio
• Si hanno quando la quantità domandata o offerta
variano per una o più determinanti diverse dal
prezzo. Si ha una trasposizione delle curve a
destra o a sinistra, una variazione di prezzo e un
nuovo equilibrio.
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204
PIL
ovvero
L’offerta aggregata
ovvero
La misurazione dell’attività economica
La misura di grandezza dell’economia generalmente
usata è il PIL (Prodotto Interno Lordo).Vi sono diverse
definizioni di PIL in base al metodo di calcolo(VA al
costo dei fattori, Reddito nazionale). La più usata è:
Il PIL è il valore monetario di tutti i beni e servizi
finali prodotti all’interno del paese e venduti
correntemente in un anno.
- valore monetario: espresso in moneta.
- finali: cioè quelli venduti al consumatore e non
all’imprenditore che li utilizza come beni intermedi.
- prodotti all’interno del http://unict.myblog.it
paese: sia da italiani che da 205
stranieri.
- venduti: contabilmente tutti i beni e servizi risultano
venduti. La parte non venduta costituiscono le scorte,
inglobate negli investimenti. Come se comprate
dall’impresa.
- correntemente: ai prezzi di mercato.
- in un anno: ma anche mensile o semestrale.
Essendo valutato in moneta lo chiameremo
PIL nominale.
Il PIL nominale si ottiene sommando i valori di tutti i beni
e servizi effettivamente prodotti e venduti.
PIL = Q × P
( PQ )
2002
2002
Q= quantità prodotta
P= prezzi
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206
Il PIL non è un indicatore perfetto in quanto:
- trascura le transazioni a titolo gratuito: produzione per
l’autoconsumo, lavoro delle casalinghe, il prodotto del
tempo libero (dipinti, ricami).
- non considera gli effetti collaterali indesiderati: cioè i
danni al benessere individuale e sociale e i danni
ambientali (es. inquinamento,un incidente stradale).
- non considera il deprezzamento del capitale naturale,
o capitale ambientale, anzi lo considera una
componente positiva. Es. la costruzione di una strada
aumenta il PIL ma non si sottrae il valore del terreno se
era adibito ad altro uso. Si trascura poi completamente
la perdita del capitale naturale (la ‘produzione’ di materie
prime non rinnovabili non è altro che ‘vendita’ di capitale
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207
naturale e quindi impoverimento).
- considera il valore dei servizi pubblici uguale al costo di
produzione, non avendo questi servizi un prezzo di
mercato ed essendo erogati gratuitamente (sanità,
istruzione). Il loro valore effettivo è più alto.
- l’economia sommersa: la parte di attività non
dichiarata, riguardante sia le attività legali per evadere il
fisco (totalmente o in parte- vedi scontrini di acquisto),
sia illegali (traffico stupefacenti, gioco d’azzardo).Lo
Stato cerca di far riemergere le attività legali.
C’è da dire che la P.A. non contribuisce alla
formazione del PIL per quanto riguarda i trasferimenti
pubblici (contributi, sussidi, pensioni) e gli interessi sul
debito pubblico. Questi vengono contabilizzati nel
Bilancio pubblico ufficiale
da parte del Tesoro.
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208
Critica al PIL come indicatore di benessere. Non ha
effetti diretti sul benessere della collettività. Li ha solo se
si traduce in sviluppo economico (istruzione, sanità,
trasporti, ecc.). Il PIL indica solo la crescita economica,
cioè la crescita dal punto di vista quantitativo, mentre lo
sviluppo indica la crescita qualitativa.
Il PIL misura il potere d’acquisto, la potenza economica
di un paese soprattutto nella competizione
internazionale.
Nonostante le imperfezioni il PIL è la misura dell’attività
economica a cui si fa riferimento.
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209
PIL PRO-CAPITE
Un indicatore di riferimento per esprimere il benessere è
il PIL pro-capite (PIL medio per abitante).Neanche
questo è un indice affidabile in quanto vi è confusione
nel calcolo statistico (es. di riferimento le due persone
che mangiano il famoso pollo).
Viene chiamato in causa il problema della distribuzione
del reddito. Il PIL pro-capite ci dice che tutti hanno lo
stesso reddito.
Come indicatore di benessere è superato in quanto oggi
per benessere si intende “lo sviluppo integrale della
persona”, il “ben-essere”, lo star bene, a cui
contribuiscono, oltre il reddito, altri fattori non monetari:
210
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salute, istruzione, durata
della vita, tempo libero.
Dal PIL al PNL al REDDITO
NAZIONALE
AL REDDITO DISPONIBILE
Il PIL si basa sul criterio di territorialità: computa il valore
dei beni e servizi prodotti nel territorio nazionale, sia
dagli italiani che dagli stranieri non residenti che
lavorano in Italia.
Il PNL si basa sul criterio di nazionalità: computa il
valore dei beni e servizi prodotti da tutti i connazionali
(lavoratori o imprenditori), sia che lavorino in Italia che
all’estero, ma che hanno la residenza in Italia.
Il PNL è cioè il PIL corretto per i flussi di reddito netti dal
resto del mondo e rappresenta il totale dei redditi
percepiti dai fattori produttivi (capitale utili- e lavoro
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211
rimesse), impiegati sia in Italia che all’estero.
La differenza tra PIL e PNL è diversa da paese a paese
in base al rapporto tra emigrazione ed immigrazione . I
paesi con forte immigrazione e i paesi che attirano
capitali dall’estero avranno un PIL maggiore del PNL.
In un’economia chiusa il PIL è uguale al PNL.
Comunque, la differenza tra PIL e PNL è esigua, per cui
se ne può parlare indifferentemente.
L’aggettivo lordo indica che è comprensivo degli
ammortamenti.
Vediamo come si arriva al concetto di REDDITO
NAZIONALE e al REDDITO DISPONIBILE delle
famiglie:
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212
PNL
meno
beni intermedi
PIL o VA
meno
(somma dei Valori Aggiunti ai prezzi di
mercato)
ammortamenti
PIN o RNN
meno
più
meno
più
(ai prezzi di mercato)
imposte indirette
sovvenzioni pubbliche
alle imprese (o contributi sociali alla produzione)
PIN o REDDITO NAZIONALE NETTO
o VA
(al costo dei fattori)
imposte dirette
trasferimenti dallo Stato alle famiglie
REDDITO DISPONIBILE
Affrontando problemi macroeconomici,
la differenza tra PNL, PIL e RN è
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esigua. Pertanto, di solito, si usano indifferentemente.
213
Come si origina il reddito
nazionale, il PIL
Si origina dalla produzione
Settori produttivi
(agricolturaindustria-servizi)
utilizzano e
trasformano
Beni intermedi
(materie
prime,
semilavorati)
ottengono
PNL (Q):quantità di beni e servizi
in termini monetari
PNL = Q x P
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214
Come si calcola il PIL. Diversi metodi:
1) METODO DEI FLUSSI DI PRODOTTO O DELLA
PRODUZIONE O DEL VALORE AGGIUNTO.
E’ visto dal lato della produzione di ogni settore. E’ il
valore che si aggiunge ad ogni fase della produzione.
Settore agricolo produce il grano
Settore industriale produce farina e pane
Settore commerciale vende il pane
PNL
PIL = Q x P - beni intermedi
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215
Esempio: due imprese
Mugnaio
produzione
costi
(farina)
50
Fornaio
produzione
costi
(pane)
-grano 10
-salari 20
100
-farina 20
-salari 40
Qual’ è il PIL di questa economia?
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216
Il mugnaio ha prodotto Euro 50
meno i beni intermedi
“ 10
PIL del mugnaio
“ 40
Il fornaio ha prodotto
meno i beni intermedi
PIL del fornaio
100
20
“ 80
PIL TOTALE
40
80
120
Euro
Il paese ha prodotto 50 + 100=150 (PNL) meno i beni
intermedi ( 30) si ottiene il PIL ( 120). 120 non è altro
che il Valore Aggiunto del mugnaio e del fornaio
- PIL: valore del prodotto ai prezzi di mercato
- VA: “
“
“
al costo dei fattori
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217
2) METODO DEI REDDITI O DEI COSTI:
Il PIL viene visto dal lato dei redditi che la produzione
ha generato per chi ha partecipato alla produzione,
redditi che costituiscono costi per l’impresa.
Il PIL o VA (120) è il costo dell’impresa per pagare
salari (W), interessi (capitale), ammortamenti, imposte
indirette e, il valore residuo,costituisce il profitto
dell’imprenditore (Pr). Questi costi, tranne il salario,
costituiscono il “Risultato lordo di gestione” (R).
W
R
salari e stipendi
- interessi
- Profitti (Pr)
- ammortamenti
- imposte indirette nette
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(nette da eventuali trasferimenti)
218
Per cui:
PIL = W + R
Essendo i profitti (Pr) la parte più significativa di
questo gruppo di costi:
PIL = W + Pr
valore del
Prodotto nazionale
reddito distribuito
Reddito nazionale
Essendo W e Pr redditi per i lavoratori e gli
imprenditori e costi
per
l’impresa,
questo
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metodo è detto dei costi o dei redditi..
219
ES.
Costi del mugnaio
e Redditi dei lavorat
Salari Euro 20
Profitti Euro 20(50-costi totali(30)
40
120
Costi del fornaio
e Redditi dei lavorat.
40
Euro 40(100-costi totali(60)
80
Euro
I due metodi sono equivalenti, identici. Sono visti da
due punti di vista diversi: dal lato della produzione
e dal lato del reddito che la produzione ha
generato.
Dire Prodotto nazionale o Reddito nazionale o PIL è
la stessa cosa, e ciò è reso possibile in quanto il
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220
profitto (Pr) è un valore residuo.
L’OFFERTA AGGREGATA
Il prodotto nazionale, cioè la quantità di beni e servizi
prodotti, rappresentano le RISORSE DISPONIBILI,
ovvero L’OFFERTA AGGREGATA, risorse che
aspettano di essere impiegate, cioè domandate. In
un’economia aperta, le risorse disponibili sono date dalla
produzione interna e dalle importazioni (M). Per cui:
RISORSE DISPONIBILI = PNL + M
meno i beni intermedi
in termini monetari
si ha il PIL
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221
PIL = W + Pr
redditi percepiti
da chi ha contribuito
alla produzione, cioè
Reddito nazionale (Y)
Per cui:
OFFERTA AGGREGATA = Y + M
(RISORSE DISPONIBILI)
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222
IMPIEGO DELLE RISORSE DISPONINBILI
OVVERO
LA DOMANDA AGGREGATA
Le risorse disponibili vengono vendute sia all’interno
del paese (domanda interna) che all’estero (domanda
estera). Insieme formano la domanda aggregata o
globale, che è formata da:
- C (domanda di beni di consumo e servizi)
- I (domanda di beni di investimento - imprese private)
- G (domanda della PA: Cg e Ig)(utilizzando fondi
pubblici la chiameremo Spesa pubblica)
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223
- E (domanda estera - esportazioni)
Ora, le risorse disponibili (offerta) e le risorse impiegate
(domanda) sono contabilmente uguali, come abbiamo
detto, per l’esistenza delle,scorte.Per cui:
OFFERTA AGGREGATA = DOMANDA AGGREGATA
(Risorse disponibili)
(Risorse impiegate)
Y+M
= C+I+G+E
Per conoscere il PIL, o Reddito nazionale, isoliamo Y:
Y=C+I+G+E-M
E’ questo il nostro modello macroeconomico.
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224
Equazione di equilibrio del sistema economico (per
Keynes è un equilibrio di sottoccupazione)
Domanda interna domanda estera(X)
Y=C+I+G+E-M
• PIL
• o Valore aggiunto
• Risorse impiegate
lordo monetario
• o Domanda globale o aggregata
• o Reddito nazionale • o Spesa globale o aggregata
• o Offerta globale o
aggregata
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225
La domanda aggregata è detta anche Spesa aggregata
o globale in quanto ad ogni domanda di C, I, G, X è
collegata la relativa spesa per C, I, G, X.
Ricapitolando: il PIL, o reddito nazionale, viene
distribuito a chi ha partecipato alla produzione che, a
sua volta lo spende per acquistare beni e servizi,
formando il famoso flusso circolare del reddito, cioè la
consueta relazione prodotto-reddito-spesa.
Domanda e offerta si alimentano a vicenda:più alta è la
produzione(Q) maggiore sarà Y, il reddito distribuito e la
domanda globale. Così come più alta è la domanda
globale(C,I,G,X) maggiore
sarà il reddito nazionale(Y).
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226
REDDITO DISPONIBILE
E’ il reddito di cui i consumatori dispongono (dopo aver
pagato le imposte e i contributi sociali obbligatori) e che
ripartiscono tra consumi (C) e risparmi (R).
Y=C+R
Questa relazione ci serve per costruirci una
fondamentale condizione di equilibrio del sistema
economico: uguaglianza tra risparmi e investimenti
R=I
Dimostrazione:
equilibrio sistema economico: Y=C+I
reddito disponibile:
Y=C+R
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227
PIL reale è il valore dei beni e dei servizi prodotti
e valutati a prezzi costanti, cioè ai prezzi che quei beni
e servizi avevano in un anno base, scelto
arbitrariamente.
È cioè l’indice della quantità di beni e servizi
effettivamente prodotti.
PIL reale = Q × P
(Q )
2002
2001
Cioè è il PIL nominale deflazionato, cioè depurato
dell’aumento dei prezzi.
Il PIL reale può essere anche espresso:
PIL nominale
PQ
reale
=
PIL
deflatore
P
(Q )
http://unict.myblog.itdel PIL
228
Deflatore del PIL
È un indice che indica il livello generale dei prezzi (P). Esso
ci dice quanta parte del PIL nominale è attribuibile a
variazioni di prezzo anziché a variazioni di produzione.
PIL nominale
Deflatore del PIL =
Pil reale
Cioè Defl = PxQ / Q = P
Es. anno base 2001
Q
P
PIL
pizze pizze nominale
PIL reale Deflatore
2001
100
2
200(100× 2) 200 (100× 2)
2002
150
4
(150× 4) 300 (150× 2)
http://unict.myblog.it
600
 200 
1  200 


 600 

229
2  300

• Nell’anno base il PIL nominale e il PIL reale sono
identici
• Quindi il deflatore dell’anno base è sempre uguale a
1
• Il deflatore dell’anno 2002 ci dice che P è aumentato
di 2 volte
Se vogliamo conoscere il tasso di inflazione del 2002
rispetto al 2001:
deflatore
−
deflatore
deflatore
anno t
anno (t - 1)
× 100
(t - 1)
2 −1
Es.
×100 = 100
1
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Su base percentuale il tasso
di inflazione è del 100%230
Conviene avere un PIL reale
né troppo basso né troppo alto
Perché?
Un PIL reale troppo basso è comprensibile: bassa
produzione, disoccupazione, basso tenore di vita
Un PIL reale troppo alto rischia di innescare l’inflazione,
perché un’eccessiva produzione e occupazione tende:
• A fare aumentare i salari e quindi i costi di
produzione
• A fare aumentare la domanda di beni di consumo
Tra PIL reale alto e PIL reale basso esiste un
compromesso che consiste nel tenere il PIL reale a
quel livello che si combina con la costanza del tasso di
inflazione. È il PIL reale naturale, che è uguale al PIL
reale effettivo quandohttp://unict.myblog.it
il tasso di inflazione è costante
231
Le fluttuazioni economiche
o cicli economici
Le serie storiche dell’andamento del PIL
mostrano:
• Nel lungo periodo un andamento
crescente (nei Pi)
• Nel breve periodo un’economia che oscilla
tra periodi di espansione e periodi di
depressione, più o meno prolungati e di
ampiezza diversa, chiamati cicli
economici.
Il ciclo economico si può definire il
cambiamento nelle condizioni dell’ attività
economica, cioè http://unict.myblog.it
le variazioni del PIL reale232
nel breve periodo.
http://unict.myblog.it
233
La variabile che di solito viene tenuta sotto
controllo per monitorare le fluttuazioni
dell’attività economica nel breve periodo è il PIL
reale.
Ma, durante il ciclo,espansivo o recessivo, tutte le
variabili macroeconomiche sono interessate al
cambiamento,anche se in misura differente.
In sincronia, infatti,variano il Reddito (generato
dalla produzione), i profitti aziendali, i consumi,
gli investimenti, la produzione, l’occupazione, il
livello generale dei prezzi, il tasso d’interesse.
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234
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Es. nella fase recessiva le caratteristiche tipiche sono:
Riduzione del PIL reale.
Riduzione dei consumi e aumento delle scorte.
Riduzione degli investimenti e della produzione.
Riduzione della domanda di lavoro (disoccupazione).
Riduzione di domanda di materie prime e relativi
prezzi.
Riduzione dei profitti delle imprese (che, di solito, per
la sfiducia e le previsioni pessimistiche, fanno
scendere i prezzi delle azioni e tutti cercano di
disfarsene).
Riduzione dei tassi di interesse (a causa della ridotta
domanda di crediti per investimenti).
Riduzione dell’inflazione (per carenza di domanda).
Difficilmente diminuiscono i salari (il livello raggiunto
resta invariato).
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235
Le teorie del ciclo economico
Qual è la causa dei cicli economici, cioè dello
spostamento della domanda e offerta aggregata?
(graficamente le due curve si spostano a sinistra, nella
fase recessiva, e a destra, nella fase espansiva).
Disaccordo fra gli economisti e varie teorie:
• Teorie esogene: cicli causati da fattori esterni al
sistema economico: prezzo del petrolio, migrazioni,
progresso tecnico, guerre, elezioni politiche, ecc..
• Teorie endogene: cicli causati da meccanismi
all’interno del sistema economico.
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236
Es.: due meccanismi interni che innescano una fase
espansiva:
• Il moltiplicatore degli I: ∆I amplifica ∆y.
• L’acceleratore del reddito: ∆y amplifica ∆I, in quanto
aumentano le aspettative degli imprenditori che
investono più dell’aumento del reddito in produzione,
acquisto di macchinari tecnologicamente avanzati e in
ricerca scientifica.
Questi due meccanismi interni innescano una fase
espansiva fino alla piena capacità produttiva, oltre la
quale scatta l’inflazione e il processo va a ritroso verso
la depressione.
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237
L’attribuzione della causa dei diversi economisti
• P. Samuelson: cause endogene (teorie del
moltiplicatore-acceleratore).
• W Nordhaus-M. Kalecki: cause politiche, cioè
manovre monetarie e fiscali da parte di politici che
vogliono essere rieletti (teoria politica).
• M. Friedman: cause monetarie: aumento o riduzione
dell’offerta di moneta e del credito attraverso la
manovra di i (teoria monetarista).
• R. Lucas-R. Barro: la causa è l’offerta di lavoro chepercependo erroneamente le variazioni di prezzi e
salari- si riduce in una fase di recessione, rinunciando
al posto di lavoro che dà salari più bassi di quelli
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238
percepiti.
• J. Schumpeter P. Long e altri: la causa è la
variazione dell’offerta (approccio classico) per la
variazione della produttività in uno o più settori o per
un clima di incertezza. (teoria del ciclo economico
reale).
• R. J. Gordon:: la causa è la variazione della
domanda aggregata (Es. shock petrolifero)(causa
esogena).
Ognuna di queste teorie non può essere
generalizzata né applicata a tutte le realtà
economiche e a tutti i periodi storici.
In effetti, nella realtà esse coesistono e portano tutte
a variazioni della domanda e dell’offerta aggregata.
Il modello che generalmente si utilizza per spiegare i
cicli economici è infatti il modello di domanda e
239
offerta aggregata. http://unict.myblog.it
Previsione dei cicli economici
Non si possono prevedere con certezza i cicli
economici, anche se esistono economisti
specializzati, gli econometristi, che attraverso la
costruzione di modelli econometrici e l’utilizzo di
dati storici possono proiettare nel futuro
importanti variabili economiche.
I primi econometristi furono Jan Timbergen e
Laurance Klein.
L’econometria è una
disciplina universitaria.
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240
La domanda globale
ovvero
La determinazione del reddito
Quali sono le forze che determinano il livello del
reddito? Il reddito dipende dal livello della domanda
globale.
Bisogna distinguere - in base alle disponibilità delle
risorse dell’economia – tra il breve e il lungo periodo
Nel lungo periodo c’è la possibilità di aumentare le
risorse attraverso l’applicazione del progresso tecnico,
l’aumento della Forza lavoro e l’aumento del capitale
(beni di investimento).
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241
Nel breve periodo il progresso tecnico e la
disponibilità delle risorse sono dati. Così, se si
vogliono aumentare gli investimenti per
aumentare la produzione si devono distogliere
risorse da altri settori.
Nel breve periodo la domanda dipende dal livello
generale dei prezzi.
Keynes mise al centro della sua analisi la
domanda globale effettiva.
È la domanda che crea l’offerta.
Alcune precisazioni sulla relazione
Y = C+I+G+E-M
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242
Offerta globale domanda globale
Y = C+I+G+EC+I+G+E-M
(PIL)
Variabili
indipendenti
dal reddito
Variabili dipendenti dal reddito
Questa relazione riguarda i programmi di spesa e di
produzione, che sono decisioni ex-ante.
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243
Nella realtà le decisioni di produzione delle
imprese e le decisioni di spesa delle famiglie e
del Governo sono indipendenti, per cui potrebbe
non aversi l’equilibrio.
Eppure, la contabilità nazionale ci presenta
questa relazione sempre come una identità in
quanto è una rilevazione ex-post.
Perché?
Un ruolo riequilibratore è svolto dagli I, in
particolare della parte di I in scorte (di solito di
prodotti finiti), che, da un lato, fanno parte dei
programmi di investimento, dall’altro,le scorte
effettive fanno parte degli investimenti.
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244
Se Y>C+I
•Aumentano le scorte
•Che si incorporano in I
•Aumenta I
•Equilibrio ex-post
o
Y<C+I
•Diminuiscono le
scorte
•Aumenta C
•Equilibrio ex-post
Concludiamo dicendo che il livello del reddito è
determinato dal livello della domanda effettiva e,
come abbiamo detto, la domanda è correlata al
prezzo, per cui la domanda dipende dal livello
generale dei prezzi.
In definitiva il PIL reale dipende dal livello generale
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245
dei prezzi.
Il modello di domanda aggregata (DA)
e di offerta aggregata (OA)
Questo modello considera due variabili:
• Il PIL reale, cioè la produzione di beni e servizi (Q)
(variabile reale).
• Il livello generale dei prezzi (P) misurato dall’IPC o
dal deflatore del PIL (variabile monetaria).
In questo modello abbandoniamo la dicotomia
classica, cioè la neutralità della moneta, il che può
essere valido nel lungo periodo, ma nel breve
periodo la moneta non è neutrale: variabili monetarie
e reali sono correlate.
Secondo questo modello P e Q si aggiustano per
portare in equilibrio domanda e offerta aggregata
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246
• Il modello di DA e OA non deve confondersi con
il modello di domanda e offerta di mercato:
– Nel modello di domanda e offerta di mercato
le risorse possono muoversi da un mercato
all’altro (dei beni, del lavoro, ecc..). Es.
aumenta il prezzo del gelato e compro babà.
Smetto di fare il rappresentante e lavoro in
banca.
– Nel modello di DA e OA questa sostituzione
microeconomica non ha senso in quanto il PIL
reale comprende tutti i beni e servizi prodotti
in tutti i settori dell’economia. (o compro
gelato o compro babà il consumo totale è
uguale; o faccio il rappresentante o lavoro in
banca, contribuisco
al
PIL).
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247
La teoria macroeconomica Keynesiana della
domanda globale o aggregata
La domanda aggregata (DA) è la quantità di beni e servizi
prodotta, ovvero la spesa complessiva prevista per tutti i settori
economici.
Le componenti della DA sono:
– C dipendenti dal Reddito e su cui la politica economica può
incidere attraverso le aliquote d’imposta.
– I componente autonoma, dipendente da i e su cui il Governo
può incidere attraverso la politica monetaria.
– G componente autonoma, dipendente dalle decisioni
politiche di spesa pubblica.
– E dipendenti dai redditi esteri, dai prezzi relativi e dai tassi di
cambio.
– M dipendenti dal reddito
interno, dai prezzi relativi e dai248
tassi
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di cambio.
Graficamente la curva di DA mette in relazione il PIL
reale e il livello dei prezzi (P). Ha pendenza negativa ed
è la somma delle sue componenti.
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249
Come agisce il livello dei prezzi sulla quantità
domandata per C, I, X?
Consideriamo una riduzione dei prezzi.
• Livello dei prezzi (P) e consumo (C): l’effetto
ricchezza. Una riduzione di P aumenta il potere
d’acquisto della moneta e aumenta C.
• Livello dei prezzi (P) e investimenti (I): l’effetto
tasso di interesse. Una riduzione di P fa
aumentare C ma anche R, cioè l’offerta reale di
moneta (offerta nominale).
P
I maggiori risparmi, o depositati in banca o
utilizzati per acquistare obbligazioni (titoli)
aumentano la disponibilità monetaria per
finanziare gli I e fanno abbassare il tasso di
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250
interesse, che stimola
I.
• Livello dei prezzi (P) ed esportazioni nette (X): l’effetto
tasso di cambio.
Una riduzione di P, abbassando il tasso di interesse
spinge verso la fuga di capitali all’estero per
investimenti finanziari attraverso i Fondi comuni di
investimento. Aumenta la domanda di valuta estera,
es. $, il cui prezzo aumenta, cioè il dollaro si apprezza
e l’Euro si deprezza, (si svaluta) e il cambio €/$
diminuisce. (Es. €/$=1 adesso €/$=0,9).
Con un € svalutato aumentano le esportazioni (E) e
diminuiscono e importazioni (M). Le esportazioni
aumentano anche direttamente per il mutato rapporto
tra i prezzi interni ed esteri.
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251
Tra livello dei prezzi e domanda globale la relazione è inversa.
La riduzione o l’aumento dei prezzi crea uno
spostamento lungo la curva di DA.
Si hanno invece spostamenti della curva di DA, cioè
trasposizioni, quando, fermo restando i prezzi, altri
fattori determinano un aumento o una riduzione della
DA.
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252
Gli altri fattori che spostano la curva di DA sono diversi:
Monetaria. Es aumento offerta di moneta
•Manovre di
riduzione di i aumento di I
politica
economica
Fiscale. Es. aumento di G o riduzione di T
aumento di C
•Aumento o riduzione della PMC
•PIL estero: un aumento fa aumentare le nostre
esportazioni (E)
•Progresso tecnico: se applicato fa aumentare I e C. Es.
cellulari.
•Valori delle attività patrimoniali: se un immobile o
un’azione vale di più, si è più ricchi e aumenta C.
•Varie: accordi di libero scambio, la fine della guerra
fredda, accrescendo la http://unict.myblog.it
fiducia stimolano I e C. Gli eventi
253
bellici li scoraggiano.
La contabilità dei flussi finanziari
Nella contabilità nazionale vi sono
Conti economici
e
Rilevano le transazioni
connesse con la
produzione, distribuzione,
redistribuzione e impiego
del reddito
conti finanziari
Rilevano le
transazioni monetarie
e finanziarie
Sia nei rapporti interni che nei rapporti con l’estero
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254
Esempi di conti finanziari: le famiglie
depositano soldi in banca; le imprese
risparmiano per autofinanziarsi o ricorrono
al finanziamento bancario o all’emissione
di azioni o obbligazioni; il Governo
attraverso T e G crea movimenti finanziari;
nei rapporti con l’estero investimenti diretti
e investimenti finanziari.
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255
L’offerta aggregata (OA)
• L’offerta aggregata ci indica la quantità di beni e
sevizi che le imprese desiderano produrre e
vendere per ogni dato livello di prezzo.
• La relazione tra P e Q dipende dall’orizzonte
temporale (lungo e breve periodo).
• Nel breve periodo l’OA dipende dal prezzo.
• Nel lungo periodo sull’OA influiscono anche le
altre condizioni di mercato:offerta di lavoro,
capitale,risorse naturali e tecnologia produttiva
disponibile.
• La curva di OA è una linea verticale quando si
produce a livello di pieno impiego.
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256
Per Keynes comunque la piena occupazione, e quindi la
curva di OA verticale, è un’eccezione. Il lungo periodo è
visto come la somma di periodi brevi.Ogni periodo è
breve.
Per Keynes nel lungo periodo si ha un aumento del PIL.
Infatti, il PIL del 1970 è maggiore del PIL del 1950; il PIL
del 2000 è più alto del PIL del 1970.Ma ci sono sempre
disoccupazione e risorse produttive inutilizzate. Si ha
sempre un equilibrio di sottoccupazione.
Per i classici, invece, la normalità, anche nel breve
periodo, è l’equilibrio di piena occupazione.
Nel breve periodo quindi il PIL, o OA:
- per i classici non dipende
dal prezzo.
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- per Keynes dipende dal livello dei prezzi.
257
-Livello naturale di produzione
-O livello potenziale del PIL
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-O livello di pieno impiego
258
•
•
•
•
La curva di OA, sia verticale che con pendenza
positiva, si sposta se variano:
La forza lavoro (N) se aumenta, la curva si sposta a
destra.
Il capitale: Se aumenta lo stock di capitale fisico (I) o il
capitale umano (N laureati o specializzati), aumenta
la produttività e aumenta Q. La curva si sposta a
destra.
Le risorse naturali (terra, clima, materie prime):
l’aumento fa spostare la curva a destra.
Le conoscenze tecnologiche: è una importante causa
che influenza l’OA. Grazie alle invenzioni di nuovi
prodotti e processi produttivi la produzione può
aumentare.
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259
• Altri Eventi:
– Es, l’apertura agli scambi internazionali che,
permettendo una specializzazione
internazionale del lavoro (che riduce i costi di
produzione) e usufruendo di un mercato
internazionale più vasto, fa aumentare la
produzione mondiale.
In un singolo paese la parte di beni importati
(M) fa aumentare le risorse disponibili, cioè
l’OA.
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260
La curva di OA di breve periodo.
Modello Keynesiano
Nel breve periodo (2-3 anni) la curva di OA ha pendenza
positiva, cioè l’offerta è influenzata da P, che è un
livello di prezzi atteso..
Ad un prezzo più alto le imprese sono disposte a offrire
di più. E ciò perché nel breve periodo sono dati il
livello della domanda, i salari (w), la produttività del
lavoro (π), gli altri costi e le altre condizioni.
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261
Equilibrio macroeconomico
Si ha dall’incontro tra DA e OA.
Se il prezzo fosse 200 si avrebbe una domanda inferiore
all’offerta. Le imprese ridurrebbero la quantità prodotta
e i prezzi fino a raggiungere di nuovo l’equilibrio E.
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262
Se nel breve periodo all’aumentare di P aumenta Q,
nel lungo periodo gli altri fattori possono variare.
Es. ogni tre anni quando vengono negoziati i contratti
di lavoro, i salari aumentano se i prezzi sono
aumentati.
Fino ad allora l’OA aumenta all’aumentare dei prezzi
attesi.
Nel momento in cui aumentano i salari, le imprese
aumentano ulteriormente i prezzi per coprire i
maggiori costi, ma aumentano anche la produzione
perché (siamo già nel medio-lungo periodo) la
domanda aumenta, ci sono aumenti di capitali e di
forza lavoro, o una politica monetaria e fiscale
espansiva.
Nel lungo periodo la curva di domanda e offerta si
sposta verso l’alto, fissando prezzi e produzione più
elevati.
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263
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264
La funzione del consumo
è un’innovazione Keynesiana
Il consumo (C) è stato considerato da Keynes una
componente importante nella determinazione della
domanda effettiva, in quanto più stabile rispetto agli I,
perché si basa sulla legge di decrescenza della
propensione marginale al consumo (c).
La PMC decresce all’aumentare del reddito.
Propensione marginale al consumo misura di quanto
varia il consumo al variare di 1 euro di reddito.
c ha un valore compreso fra 0 e 1
0<c<1 .
∆C
c=
∆Y
Essa è più alta tra i percettori di redditi più bassi, e
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265
viceversa.
Da cosa dipende il Consumo?
Esso dipende dal reddito disponibile (RD): reddito
percepito meno le tasse (T).
Reddito e consumo hanno un trade-off positivo.
Il consumo aumenta in maniera meno che
proporzionale all’aumento del reddito
Esiste una parte di consumo indipendente dal reddito
(C0) che chiameremo consumo autonomo.
Funzione del consumo
C = C 0 + cY
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266
Graficamente:
http://unict.myblog.it
267
All’interno di questa funzione del consumo
vi è la spesa per l’acquisto di diversi beni e
il comportamento dei singoli consumatori.
Lo statistico Engel ha osservato che
regolarmente si verifica che all’aumentare
del reddito aumenta la spesa per il
consumo di un bene (bene normale) e
diminuisce quella di un altro bene(bene
inferiore).
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268
Per la presenza di C0 la curva non parte mai dall’origine.
La pendenza della curva dipende dalla propensione
marginale al consumo.
Es.
Y=100
c=0,8
C=100 x 0,8 =80
Y=200
c=0,7
C=200 x 0,7 =140
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269
La funzione del risparmio
Per Keynes il risparmio è un valore residuo.
Y =C+R
R =Y −C
Propensione marginale al Risparmio (PMR), r
o
∆R
r = 1− c
r=
∆Y
La PMR è crescente all’aumentare del reddito.
La funzione del risparmio è
R = rY
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270
Graficamente:
Funzione del risparmio
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271
La funzione del risparmio è una curva
crescente. Essa aumenta in maniera più che
proporzionale all’aumento del reddito in quanto
la PMR aumenta in conseguenza del fatto che
la PMC diminuisce all’aumentare del reddito.
ES.
Reddito
PMC
Consumo
PMR
Risparmio
100
0,8
80
0,2
20
200
0,7
140
0,3
60
300
0,6
180
0,4
120
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272
Il concetto di propensione marginale, al consumo e al
risparmio, è molto importante in macroeconomia per la
politica economica.
Il livello del Consumo nazionale è importante perché
influenza gli Investimenti e l’occupazione.
Il livello del risparmio nazionale è importante perché
rappresenta la risorsa che finanzia gli Investimenti.
Il Governo può pilotare il livello di C e di R con una
politica fiscale.
• Se vuole aumentare il C aumenta il RD dei percettori
dei redditi bassi. (che hanno c più alta)
• Se vuole aumentare il R aumenta il RD dei percettori
dei redditi alti. (che hanno r più alta)
Keynes fa dipendere C ed R dal Reddito
I classici fanno dipendere
R dal tasso di interesse 273
(i)
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Alla fine del secondo conflitto bellico le statistiche sul
consumo riferite a serie storiche di lungo periodo,
hanno mostrato che la PMC non era decrescente,
ma stabile e a volte crescente rispetto al reddito.
L’evidenza empirica portò molti economisti a
formulare delle teorie che abbandonano il reddito
corrente per spiegare queste tendenze.
La teoria del reddito relativo di Duesenberry (effetto
di dimostrazione o di imitazione).
Parte dall’ipotesi che il Consumo dipende non solo
dal livello assoluto del reddito, ma anche dal reddito
relativo, cioè relativo al reddito delle altre famiglie.
Se gli altri hanno un Reddito e un Consumo più alti
si cerca di imitarne ihttp://unict.myblog.it
consumi.
274
•
La teoria del ciclo vitale del consumo e del
risparmio di F. Modigliani.
Gli individui programmano le proprie decisioni di
consumo e di Risparmio in modo da garantirsi un
livello di Consumo soddisfacente e uniforme per tutto
l’arco della vita. Durante l’età lavorativa si avrà una
PMC rispetto al reddito più bassa, mentre durante l’età
pensionabile si avrà una PMC rispetto alla pensione
più alta. Le società soggette a un rapido
invecchiamento (Italia, Giappone) vedranno un
aumento della PMC e una diminuzione della PMR.
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275
•
La teoria del reddito permanente di M.
Friedman
Il consumo attuale viene influenzato non solo dal
reddito presente ma anche dal reddito permanente,
o reddito vitale, passato e futuro atteso.
Il reddito passato comprende altri redditi già esistenti
(affitto di un appartamento)
Il reddito futuro atteso comprende il reddito che si
pensa di percepire in futuro in base all’età, alla
capacità professionale, a un’ eventuale eredità.
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276
Gli Investimenti
Per Investimenti si intende la domanda, e la
corrispettiva spesa, delle imprese per l’acquisto di
mezzi di produzione durevoli addizionali, cioè in
aggiunta alla capacità produttiva esistente.
Investimenti fissi (macchinari, impianti e attrezzature in
genere)
Investimenti mobili (mezzi di trasporto, computer)
Nel settore turistico non c’è un’unica impresa che
investe in turismo, ma tante imprese in settori diversi:
277
ristorazione, trasporto,http://unict.myblog.it
agenzie di viaggio.
L’aumento della capacità produttiva può
assumere due forme:
1) Aumento di dotazione di beni capitale con
caratteristiche tecniche uguali a quelli già in
funzione (Investimento estensivo)
2) Sostituzione di vecchi beni capitali con beni
che incorporano un progresso tecnico
(Investimento intensivo)
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278
Gli I hanno un duplice ruolo:
1) Nel breve periodo contribuiscono all’aumento
della produzione e del PIL, influendo sui cicli
economici
2) Nel lungo periodo contribuiscono alla crescita
economica, cioè a un continuo aumento del
PIL negli anni, cioè all’accumulazione di
capitale
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279
• Investimenti privati (che comprendono anche le
scorte) sono quelli effettuati dai soggetti economici
privati. Comprendono anche gli I nel settore turistico.
• Investimenti pubblici sono effettuati dai soggetti
economici pubblici. Li troviamo nella componente G
(spesa pubblica) della domanda aggregata (insieme ai
consumi pubblici). Comprendono anche gli I pubblici
nel settore turistico.
• Investimenti esteri sono effettuati da cittadini Italiani
all’estero o da cittadini esteri in Italia. Li troviamo nel
saldo della BP. Nella nostra equazione di equilibrio, i
primi riducono gli investimenti privati I e il PIL, i
280
secondi li aumentano.http://unict.myblog.it
Da che cosa dipendono gli investimenti?
• Dal profitto, cioè dalla comparazione tra costi e ricavi.
I
Costi (tasso di interesse)
Ricavi (C)
Aspettative di vendita e di profitto
• I costi si conoscono. Sono il prezzo di acquisto dei
beni capitale. Essi vengono equiparati al tasso di
interesse (i), che è il costo del capitale investito, sia
preso a prestito che proprio (costo-opportunità). I costi
sono valori attuali.
• I ricavi. Più problematica è la conoscenza dei
http://unict.myblog.it
281
rendimenti futuri, o rendimenti
attesi.
Per rendere comparabili costi attuali e rendimenti
futuri la matematica finanziaria ci aiuta a trasformare
in valore attuale i rendimenti futuri.
Keynes definisce Efficienza Marginale
dell’Investimento (EMI) il rendimento percentuale (di 1
euro) dell’investimento (r), cioè quanto rende 1 euro di
investimento in più, così come i rappresenta il costo
percentuale di 1 euro preso in prestito.
L’investimento conviene quando r≥i
http://unict.myblog.it
282
Nelle decisioni di Investimento, oltre alla
comparazione tra costi e ricavi, che è un calcolo
matematico, influiscono anche le aspettative,
cioè quell’elemento di incertezza che rende gli I
la componente più instabile della domanda
aggregata e i maggiori responsabili dei cicli
economici.
L’incertezza nelle decisioni di investimento è
stata sottolineata da Keynes, facendola
dipendere dalla psicologia dell’investitore
(ottimismo o pessimismo)
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283
Le aspettative dipendono da molti fattori:
• Le relazioni industriali (possibilità di usufruire di
lavoro straordinario, di operare più turni, ecc..)
• L’andamento dei prezzi
• L’andamento dei salari
• La fiducia nelle istituzioni (se l’ideologia politica
dominante al governo è favorevole all’aumento
degli investimenti)
• L’e-commerce (che può incrementare le vendite)
• Lo stato in cui si trova il sistema economico (se
in uno stato espansivo incoraggia gli
investimenti).
http://unict.myblog.it
284
Essendo la nostra un’analisi di breve periodo, dove le
aspettative e i consumi ( la domanda) si considerano
immutati, concludiamo che gli Investimenti dipendono
dal tasso di interesse (strumento di politica
economica).
I = f(i)
Graficamente Funzione degli I o curva di domanda di I
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285
Un aumento più elevato del PIL o l’euforia delle
vendite con l’e-commerce traspone la curva di
domanda di investimenti a destra, mentre un
aumento delle imposte la traspone a sinistra.
Anche il rapporto tra rendimento degli
investimenti (r) e Investimenti è un rapporto
negativo, anche se potrebbe sembrare il
contrario.
Ciò perché man mano che aumentano gli
investimenti, r decresce, in quanto l’aumento
della domanda di beni capitale ne fa aumentare
il prezzo, i, allargando la forbice tra r ed i,
http://unict.myblog.it
286
riducendo i ricavi.
Graficamente:
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287
Il moltiplicatore della spesa autonoma:
I-G
Il modello Keynesiano del moltiplicatore è il modello
più semplice per determinare il Reddito di breve
periodo.
Ogni aumento autonomo di I, G, ha l’effetto di
aumentare il PIL in maniera “moltiplicata””.
Questo effetto è importante per G quale strumento
di politica economica utilizzato per stabilizzare
l’economia. Sono dati altri elementi importanti:
prezzi, salari, politica http://unict.myblog.it
monetaria, ecc..
288
Il moltiplicatore degli I
Il modello semplificato della determinazione del
reddito.
Sappiamo che:
Y =C+I
Y = cY + I
Y − cY = I
C = cY
Y (1 − c) = I
1
Y=
I
1− c
1
1− c
1
PMR =
moltiplicatore. E’ il reciproco della
r
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289
Il moltiplicatore degli I
Il modello semplificato della determinazione del
reddito.
Sappiamo che:
Y =C+I
Y = cY + I
Y − cY = I
C = cY
Y (1 − c) = I
1
Y=
I
1− c
1
1− c
1
PMR =
moltiplicatore. E’ il reciproco della
r
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290
Quale sarà l’effetto di una variazione autonoma di I sul
reddito?
Sarà:
y = 100
Es. Se
C = 80
1
∆Y =
∆I
1− c
I = 20
c = 0,8
• Es. se I = 10. Il primo effetto sarà diretto e immediato
y =C+I
equazione di equilibrio, dove
R=I (condizione di equilibrio)
100 = 80 + 20
∆I = 10
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291
110 = 80 + 30
• L’aumento di I inoltre mette in moto un
meccanismo moltiplicativo, per cui alla fine ∆y
sarà maggiore di ∆I. E sarà tanto maggiore
quanto maggiore sarà c.
Applicando la formula
1
∆Y =
1− c
∆I
l’incremento di reddito del nostro esempio sarà
pari a:
1
∆Y =
10
1 − 0,8
∆Y = 50
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292
Meccanismo moltiplicativo
Consumi
Investimenti
Risparmio
Reddito
100
=
80
+
20
-
110
=
80
+
30
-
118
=
88
+
30
2
124,4
=
94,4
+
30
1,6
128,72
=
98,72
+
30
1,08
………
………
……
……
150
Gli aumenti di C
tendono via via
allo zero
=
120
+
30
10
∆R = 10 = ∆I
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293
• Durante tutti gli anni in cui è in atto il
meccanismo moltiplicativo il sistema non è
in equilibrio, in quanto si ha I>R.
Infatti: I=10 R=2 R=1,6…
• Il nuovo equilibrio vedrà un reddito più
alto, una maggiore produzione, una
maggiore occupazione, un maggiore
risparmio e un maggiore consumo.
• Economia in fase di crescita.
• Il nuovo equilibrio si ristabilisce attraverso
variazioni del reddito.
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294
Graficamente:
L’area tratteggiata ci indica
che
I>R
e
che
la
domanda
>
http://unict.myblog.it
295
offerta.
Infatti, nel momento in cui aumentano gli I si ha che
I > Y -C
(30) (100-80)
Se aggiungiamo C al I e al II membro:
C + I > Y − C/ + C/
C + I >Y
Domanda >offerta
Y, cioè il PIL, tende ad aumentare per l’aumento
iniziale di I e degli aumenti successivi di C, fino
all’uguaglianza con la domanda.
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296
Il paradosso della parsimonia
• In microeconomia più si consuma più diminuisce
il reddito.
• In macroeconomia, paradossalmente, più si
consuma più aumenta il reddito.
Infatti, più alta è c nella formula del moltiplicatore
più alto sarà il reddito. Più alto sarà il reddito più
alti saranno i Consumi e più alto il risparmio.
Keynes rovescia così la logica degli economisti
classici, secondo i quali prima si risparmia e poi
si investe. Per Keynes prima si investe e poi si
risparmia.
Per i classici R (i)
per Keynes R (Y)
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297
La spesa pubblica – G –
G è una componente autonoma della DA. Il livello di
G dipende dalle decisioni politiche, che vengono
prese in base agli obiettivi macroeconomici che si
vogliono raggiungere.
L’agente economico pubblico è il
Settore pubblico = PA + Aziende autonome
• Centrale
Monopoli
• Locale
(prima della privatizzazione
• Enti previdenziali
SIP -Poste – Ferrovie)
La PA ha una duplice veste: contemporaneamente
offre servizi che non sono venduti sul mercato e
domanda beni di consumo
e beni di investimento. 298
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La spesa pubblica viene utilizzata, cioè si distingue in:
Spesa pubblica in beni e servizi
Trasferimenti
(dà luogo alla creazione di
beni e servizi)
(G)
Cg
(stipendi
dipendenti
pubblici,
acquisto beni:
alimentari e
divise militari,
ecc)
Sono trasferimenti
monetari unilaterali e a
Ig
scopo
sociale
(costruzione
(pensioni, sussidi di
di strade,
disoccupazione,
ospedali,
scuole, ecc.) contributi alle imprese,
interessi sul debito
pubblico, ecc.)
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299
Alla formazione del PIL contribuisce solo G e non i
trasferimenti. Il bilancio pubblico ufficiale tiene conto
invece di G e dei Trasferimenti in quanto il bilancio
statale contabilizza tutte le entrate e tutte le spese.
La PA si finanzia principalmente con le entrate fiscali
Entrate
tributarie
•Imposte dirette
•Imposte indirette
•Contributi sociali obbligatori
Entrate
fiscali
•Redditi da capitali
Entrate
•Vendita di beni e servizi
extratributarie http://unict.myblog.it
•Altre entrate
300
La parte più cospicua sono le entrate tributarie.
Se dalle entrate fiscali totali togliamo i
trasferimenti che la PA paga ai cittadini otteniamo
l’imposizione fiscale netta (T).
G e T sono due strumenti di politica fiscale
Se G>T abbiamo un indebitamento netto o
disavanzo pubblico che può essere finanziato o
con l’emissione di nuova moneta (aumento di
offerta di moneta) o attraverso l’emissione di titoli
pubblici acquistati da privati, o attraverso
l’apertura di un credito presso la Banca d’Italia.
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301
Il ruolo della politica fiscale
È quello di essere anticiclica, cioè di stabilizzazione
dei fondamentali dell’economia (reddito,
occupazione, inflazione) quando gli I non ci riescono.
Nel breve periodo la politica di stabilizzazione più
appropriata sarebbe la politica monetaria, mentre la
politica fiscale lo sarebbe nel lungo periodo.
Nel breve periodo la politica fiscale può avere degli
effetti indesiderati:
•
Ritardi per i tempi dell’iter legislativo di una proposta
di legge
•
Se per il finanziamento di G aumentano T si
http://unict.myblog.it
302
penalizzano i C e le imprese aumentano i prezzi
•
Se per il finanziamento di G si emettono titoli
pubblici, il tasso di interesse può aumentare
creando un “effetto spiazzamento degli I”, e
una riduzione delle esportazioni (attira capitali
dall’estero, aumenta la domanda di Euro, che
si apprezza, e aumenta il cambio), oltre che
scoraggiare il turismo.
• Aumenta il rapporto Debito pubblico/PIL per i
più alti interessi.
L’aumento di G ha l’effetto positivo di aumentare la
DA e il PIL.
I problemi che sorgono sono problemi di scelta: se
aumentare Cg o gli Ig. Più problematica è la
scelta quando si effettua una politica fiscale
restrittiva, in quanto i tagli alla spesa toccano
interessi specifici.
La politica monetariahttp://unict.myblog.it
è invece più impersonale e 303
più imparziale.
Moltiplicatore della spesa pubblica
• La teoria del moltiplicatore si applica anche a G, nel
senso che un aumento di G si traduce in un aumento
del reddito:
– Direttamente
– Indirettamente e con effetti moltiplicativi secondo la
formula del moltiplicatore della spesa pubblica
1
∆y =
∆G
1− c
Essendo G finanziata da T (prelievo fiscale), ogni
aumento di G comporta un aumento di T.
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304
Anche T influisce sul livello del reddito, ma il trade-off
tra Y e T è negativo, in quanto un aumento di T riduce
il RD, e quindi i C, e quindi I.
Anche il prelievo fiscale mette in moto il moltiplicatore,
ma in chiave recessiva.
L’effetto moltiplicativo recessivo di T è però inferiore
all’effetto moltiplicativo espansivo di G
Il moltiplicatore di G è
1
1− c
Il moltiplicatore di T è
c
1− c
Ha un valore inferiore a
1
1− c
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305
Es. se
c = 0,8
1
Molt. di G =
=5
1 − 0,8
0,8
Molt. di T =
=4
1-0,8
Ciò significa che un aumento di G di 100 Euro fa
aumentare il reddito di 500 Euro (PCM=0,8).
Un aumento di T di 100 Euro riduce Y di 400 Euro.
Ciò perché se non ci fosse stato T i 100 Euro non
avrebbero contribuito alla formazione del PIL
interamente, ma solo per 80 (100 Euro x 0,8)
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306
Concludendo: l’aumento di pari importo di T e G
ha l’effetto di aumentare il PIL.
Questo risultato prende il nome di teorema del
bilancio in pareggio o teorema di Haavelmo.
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307
La determinazione del reddito di equilibrio mediante
R=I
È questa una condizione di equilibrio. Algebricamente
abbiamo:
y=C+I
y-C=I
R=I
R
Per keynes R(y) e I(i) per cui prima si investe e poi si
risparmia
Per i classici R(i) e I(i) per cui prima si risparmia e poi
si investe
Nella realtà le decisioni dei risparmiatori e degli
imprenditori non sempre coincidono.
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308
Se R>I il sistema non è in equilibrio. Questa
imperfezione del mercato verrà corretta
attraverso una politica monetaria espansiva
(riduzione di i), che fa aumentare I e attraverso il
moltiplicatore anche R, fino all’equilibrio.
Per Keynes l’equilibrio si raggiunge attraverso
una variazione del reddito. Per i classici
attraverso la variazione di i, che si riduce
automaticamente nel mercato della moneta.
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309
Graficamente riprendiamo la funzione del
risparmio
Nel punto E di equilibrio il R desiderato o previsto dalle famiglie è
uguale agli I desiderati o previsti dalle imprese. M è il reddito di
equilibrio. Nel modello del moltiplicatore la quantità M è il PIL che
si ha prima di ∆I. Se I aumentano a I’ si ha I>R. Si mette in moto il
moltiplicatore fino a produrre C. Nuovo equilibrio nel punto A.
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310
(C+I)
La determinazione del reddito di equilibrio
mediante i C e gli I
Sistema in equilibrio Y=C+I
Graficamente riprendiamo la funzione del consumo
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311
In tutti i punti della bisettrice degli assi (linea a
45°) Y=C+I.
L’equilibrio si ha nel punto E (spesa totale o
domanda aggregata uguale a PIL o offerta
globale).
Nei punti a sinistra di E la domanda è maggiore
dell’offerta.
Nei punti a destra di E la domanda è inferiore
all’offerta.
In queste situazioni di disequilibrio si mettono in
moto le forze o spontaneamente (le imprese
aumentano o diminuiscono la produzione e
l’occupazione) o stimolate dall’intervento
pubblico per spingere verso l’equilibrio.
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312
Il mercato dei titoli
È in questo mercato che si forma il tasso di interesse
(i). i dipende dalla domanda e dall’offerta di titoli, sia
privati (obbligazioni) che pubblici (BOT,CCT).
Per semplicità consideriamo un unico mercato dei
titoli.
Chi ha bisogno di finanziamento emette titoli, diventa
debitore e paga un interesse sul suo debito.
Il titolo ha:
•Un valore nominale (es. 100 Euro)
•Un prezzo di mercato (es. 90 Euro)
•Un rendimento (i)
(100-90=10)
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313
Il prezzo di mercato dipende dalla domanda e dall’offerta
di titoli.
Se la domanda di titoli aumenta, aumenta il prezzo e si
riduce i, e viceversa.
Se l’offerta dei titoli aumenta, diminuisce il prezzo dei
titoli e aumenta i, e viceversa.
Il prezzo dei titoli e il tasso di interesse riflettono la
domanda e l’offerta di titoli e la domanda e l’offerta di
moneta.
Questo mercato però nasconde la trappola degli
speculatori. La domanda e l’offerta di titoli non riflette
la domanda di investimento finanziario per avere un
rendimento e l’offerta per esigenze di finanziamento,
ma spesso gli acquisti e le vendite di titoli avvengono
per motivi speculativi. Per cui molti scambi di titoli
avvengono con i titoli vecchi e non solo con quelli di
nuova emissione.
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314
I tassi di interesse di cui abbiamo parlato sono
quelli nominali o monetari, ma, se c’è inflazione
quel rendimento ci da un potere d’acquisto più
basso. In periodi di inflazione il tasso di interesse
nominale va corretto con i tassi di interesse reali,
che si ottengono sottraendo da quelli nominali il
tasso di inflazione. Es.
Tasso di interesse - Tasso di =Tasso di interesse
nominale (i)
inflazione reale (r)
6%
2%
4%
Il mercato dei titoli è strettamente collegato con il
mercato della moneta. La teoria monetaria mette
in relazione domanda e offerta di moneta e tasso
di interesse.
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315
La moneta
PIL, C, I, G vengono espressi in moneta.
La moneta si può definire l’insieme di valori, o gli
strumenti, che vengono utilizzati dagli individui per
acquistare beni e servizi.
Le principali funzioni della moneta sono tre:
1. Intermediaria degli scambi: è il mezzo di pagamento
comunemente accettato. Essa elimina gli
inconvenienti del baratto (non coincidenza dei
bisogni, indivisibilità dei beni). La moneta è
facilmente divisibile, trasferibile, non deteriorabile,
riconoscibile e soprattutto accettata da tutti. Un
sistema economico in cui gli scambi avvengono beni
contro moneta è detto economia monetaria. La
moneta dà un potere d’acquisto a chi la possiede.
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316
2. La moneta è una unità di conto, cioè è la
misura del valore di un bene. Un bene cioè si
misura in prezzi monetari. L’unità di valore in
cui si esprime la moneta (1 Euro, 1 dollaro)
varia da paese a paese. Inoltre il valore di un
bene varia da un periodo all’altro. La moneta è
allora una unità di misura relativa e non
assoluta. Ciò vuol dire che il valore reale di un
bene varia in paesi e in tempi diversi.
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317
3. Ha la funzione di riserva di valore, cioè un potere
d’acquisto che si conserva nel tempo. In questo
senso la moneta è un’attività finanziaria, come lo
sono i titoli. Moneta e titoli sono attività finanziarie in
quanto entrambi rappresentano un debito per un
operatore economico e un credito per un altro.
• Chi emette titoli è un debitore (lo Stato, una
società), chi possiede titoli è un creditore.
• Chi emette moneta (la BCE) è un debitore, chi la
possiede è un creditore (come risulta dalla
banconota “pagabile a vista al portatore”, cioè
pagabile in termini di beni che si acquistano). Ogni
biglietto rappresenta un credito (attività
finanziaria) per chi lo detiene e un debito per la
BCE, debito nel senso che autorizza, attraverso il
corso legale o forzoso ad essere accettato nei
pagamenti.
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318
A differenza dei titoli, la moneta è un’attività
finanziaria infruttifera, ma ha il vantaggio della
liquidità, cioè la capacità di essere spesa senza
ritardi e senza costi. In questo senso si dice che
l’interesse è il compenso per la rinuncia alla
liquidità. Se si preferisce la liquidità, il costo è in
termini di interesse a cui si rinuncia.
Le forme delle moneta.
La moneta può avere un valore intrinseco e allora
è detta moneta-merce. In passato la monetamerce. In passato era rappresentata da moneta
d’oro o d’argento. La moneta priva di valore
intrinseco, come la carta moneta, è detta
moneta cartacea o moneta-segno. Il suo valore
è dato perché ha corso legale o corso forzoso,
cioè viene accettato come mezzo di pagamento
per decreto legge.
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319
Il comportamento dei soggetti economici che
detengono moneta è molto importante in un
sistema economico.
I soggetti economici possono decidere di:
• Tenere moneta liquida (domanda di moneta)
• Spenderla in beni di consumo (C)
• Risparmiarla (depositarla in banca)
• Acquistare attività patrimoniali (case, terreni)
• Acquistare attività finanziarie (titoli)
Influenzano le componenti della domanda e quindi il
livello del PIL. Comunque la politica monetaria ha il
compito di regolare il comportamento dei soggetti
economici privati attraverso il controllo dell’offerta di
moneta, cioè della moneta in circolazione.
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320
Cosa intendiamo per moneta in
circolazione
Mentre tutti gli economisti sono d’accordo sulle tre
funzioni che deve adempiere la moneta, non tutti
sono d’accordo su quali attività sono da
considerarsi moneta.
• Per i neoclassici e i monetaristi la moneta è
quella che svolge solo la funzione di mezzo di
pagamento. In questo modo la moneta serve per
determinare il livello generale dei prezzi (aspetto
monetario) ma non influenza l’aspetto reale
dell’economia. Un aumento di moneta in
circolazione aumenta la domanda di beni e i
relativi prezzi.
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321
• Per gli economisti di ispirazione keynesiana deve
considerarsi moneta quella che svolge le funzioni di
mezzo di pagamento e di riserva di valore, in
particolare mettendo l’accento sull’acquisto di titoli. Un
aumento della moneta in circolazione si riversa sul
mercato dei titoli, facendone aumentare il prezzo e
diminuire il tasso di interesse, e per questa via
aumentare gli I. La moneta cioè influenza l’aspetto
reale dell’economia.
Considerando le due funzioni della moneta i Keynesiani
annullano la differenza tra attività monetarie e attività
finanziarie. Considerano moneta sia la moneta in
senso stretto (monete metalliche, biglietti cartacei e
assegni di c/c), sia i titoli a breve scadenza (1 anno) o
a lunga scadenza ma prossimi alla scadenza, o
comunque trasformabili in breve tempo in contanti.
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322
La banca d’Italia dal 1991 adotta le seguenti definizioni
di moneta, che si uniformano a quelle europee:
M1
(liquidità primaria
con funzione di
mezzo di
pagamento)
•Circolante (C) o valuta:
banconote e moneta metallica
•Depositi in c/c bancari e postali
•Vaglia cambiari e assegni circolari
•Depositi presso il Tesoro
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323
M2
(con funzione di riserva di
valore ma convertibile
velocemente e senza
perdita di valore
•M1
•Depositi a risparmio
bancari e postali
•Certificati di deposito
bancari (titoli emessi
dalle banche)
•Fondi comuni di
investimento
•Raccolta bancaria
pronto contro termini
(lo steso cliente vende
titoli a pronti e li
riacquista a termine)
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324
M3
•M2
•BOT, CCT (detenuti dal
pubblico non bancario)
•Buoni fruttiferi postali
•Depositi presso filiali di
banche italiane all’estero
•Accettazioni bancarie
(cambiali emesse da un
cliente di una banca che
firma “per accettazione”
e diventa l’obbligato
principale fra tutte le
girate
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325
Questi aggregati monetari (M1, M2, M3)
costituiscono lo stock di moneta, cioè la
ricchezza monetaria di un paese.
La definizione di moneta fa riferimento alle tre
funzioni che essa svolge. Esse sono svolte dalla
moneta legale ma anche dalla moneta bancaria,
costituita da passività del sistema bancario.
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326
Come viene creata la moneta
bancaria?
La banca, intermediaria del risparmio, da un lato
raccoglie risparmio e dall’altro lo da in prestito,
generalmente alle imprese per gli I.
Nella raccolta la Banca è debitrice e paga un interesse.
Fin qui la moneta in circolazione è uguale alla moneta
legale che è stata emessa (parte è detenuta dal
pubblico e parte è depositata).
Nel momento in cui la banca dà in prestito alle imprese il
risparmio raccolto, diventando creditrice e ricevendo
un interesse, scatta il meccanismo di creazione della
moneta bancaria.
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327
Es. (in assenza di riserve bancarie)
Prelevati
400
Prelevati 200
Raccolta
risparmio
Euro 1000
Depositati e
dati in
prestito 600
Prelevati 100
Depositati e dati
in prestito 400
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Depositati e
dati in
328
prestito 300
La banca ha creato moneta bancaria, cioè ha creato
una ulteriore offerta di moneta pari a 1.100 euro
(600+400+300), che si aggiunge alla moneta in
circolazione.
Moneta legale e moneta bancaria formano l’offerta
di moneta M1. L’offerta di moneta è pertanto
sempre maggiore del circolante.
Nell’esempio non abbiamo tenuto conto delle
Riserve bancarie:
– Riserva legale, o obbligatoria, che è una quota
% dei depositi stabilita dalla B.I.
– Riserva volontaria o discrezionale, stabilita
dalla banca.
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329
In presenza di riserva bancaria la possibilità di
creare moneta è più bassa. La riserva
obbligatoria è infatti uno strumento di politica
monetaria per il controllo dell’offerta di moneta.
La quantità di moneta che un sistema bancario
crea per ogni euro di depositi è detto
moltiplicatore monetario. Esso dipende dal tasso
% di riserva legale, o coefficiente di riserva
obbligatoria (R).
Se per es. il tasso di riserva obbligatoria è del 10%
significa che le banche devono versare alla BI il
10% dei depositi. Se la riserva aumenta al 20%,
si riduce la disponibilità delle banche di
effettuare prestiti alle imprese. Si riducono
quindi gli I.
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330
Il mercato monetario
Come qualsiasi mercato è formato da domanda e
offerta di moneta. L’incontro tra domanda e
offerta determina il valore della moneta, cioè il
prezzo della moneta, il tasso di interesse
nominale e segna l’equilibrio del mercato
monetario.
L’offerta di moneta
È una variabile decisa dalla Banca centrale e
tenuta sotto controllo. La curva dell’offerta di
moneta è pertanto verticale. Essa non è
influenzata dal tasso di interesse, ma lo
influenza.
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331
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332
La domanda di moneta è la quantità di moneta
detenuta dal pubblico (Famiglie, Imprese) sia
sotto forma di circolante che di depositi. Essa
dipende dal tasso di interesse (i) e il trade-off è
negativo.
L’equilibrio nel mercato monetario determina il
333
tasso di interesse http://unict.myblog.it
Le determinanti della domanda di moneta:
1. Motivo transattivo: si detiene moneta in attesa di
spenderla per i consumi. La domanda di moneta per
transazione dipende dal livello del reddito, dalle
abitudini di pagamento (contanti o a rate) e dal livello
dei prezzi. Man mano che si acquistano beni
diminuisce la domanda di moneta.
2. Motivo precauzionale: per far fronte a spese
impreviste. Dipende dal reddito.
3. Motivo speculativo (o domanda patrimoniale): è la
motivazione più importante, sottolineata da Keynes,
in quanto è questa parte di domanda di moneta che
contribuisce alla determinazione del tasso di
interesse. O, il che è la stessa cosa, è il tasso di
interesse che determina la domanda di moneta. Vi è
una importante relazione inversa tra tasso di
interesse e domanda di moneta. Perché?
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334
Il movente speculativo di chi detiene moneta li
induce ad acquistare titoli e a ridurre la
domanda di moneta. Questo acquisto avviene
quando il prezzo dei titoli è basso e il tasso di
interesse è alto. Si entra nel meccanismo del
gioco di borsa, della speculazione al rialzo e al
ribasso.
– I rialzisti: acquistano quando pensano che
oggi il prezzo dei titoli è basso e credono che
salga.
– I ribassisti pensano che il prezzo scenda e
vendono titoli.
Se prevalgono i ribassisti si ha un aumento di
domanda di moneta. Ma la vendita dei titoli ne fa
abbassare il prezzo e aumentare il tasso di
interesse. Ricomincia il gioco di borsa.
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335
•
Come la domanda di moneta, anche l’offerta di
moneta influisce sul tasso di interesse. Il
controllo dell’offerta di moneta è effettuato
dalla Banca d’Italia che, in piena autonomia,
può aumentare o diminuire la moneta in
circolazione, utilizzando diversi strumenti di
politica monetaria, che sono:
1. Il tasso ufficiale di sconto (TUS), che utilizza
per le operazioni di risconto. TUS più alto se si
vuole attuare una politica monetaria restrittiva.
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336
2. Il razionamento del credito che la BI concede alle
banche. Un credito che serve per finanziare il settore
produttivo, quando il risparmio privato non basta
(rifinanziamento delle aziende di credito).
3. La riserva obbligatoria. La BI aumenta la % di
riserva sui depositi bancari quando vuole attuare
una politica monetaria restrittiva.
4. Le operazioni di mercato aperto, cioè la BI acquista
o vende titoli, sia di nuova emissione da parte del
Tesoro (mercato primario) sia quelli già in
circolazione (mercato secondario). La BI acquista
titoli quando vuole attuare una politica monetaria
espansiva.
5. Il tasso di cambio è un altro strumento di politica
monetaria che influisce sull’offerta di moneta (canale
estero).
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337
Se si vuole aumentare la moneta in circolazione si
riduce il cambio, es. Euro/dollaro, cioè si svaluta
l’euro allo scopo di esportare di più ed avere un
saldo attivo della BP. La valuta estera in
eccesso sarà presentata all’UIC per essere
cambiata in euro, che aumentano la moneta in
circolazione.
La valuta estera presentata all’UIC andrà ad
aumentare le Riserve Ufficiali della BI per far
fronte alla domanda di valuta proveniente dai
cittadini (importatori, turisti).
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338
Il meccanismo di trasmissione della moneta ovvero gli
effetti della politica monetaria sull’economia reale
L’obiettivo principale della BI è la stabilità monetaria,
cioè il controllo dell’inflazione. In presenza di
inflazione la BI attua una politica restrittiva. Cioè:
– Riduzione dell’offerta di moneta (aumento di i)
Si avrà:
– Riduzione degli I, della produzione,
dell’occupazione, dei consumi, del PIL.
– Riduzione dell’inflazione (P)
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339
– Aumento del tasso di cambio (es. euro/$) per i
maggiori investimenti finanziari nel nostro paese,
che domandano euro facendo apprezzare la nostra
moneta.
– Riduzione delle esportazioni
Viceversa, se la Banca centrale effettua una politica
espansiva, non essendoci il problema dell’inflazione,
si avrà un aumento del PIL e un modesto aumento dei
prezzi. C’è da dire che fin quando vi sono risorse
inutilizzate (capacità produttiva e risorse umane) un
aumento di offerta di moneta provoca un aumento
della domanda e del PIL. Solo quando vi è piena
occupazione delle risorse, l’aumento della domanda fa
aumentare i prezzi, e ciò anche perché in piena
occupazione aumentano anche i salari.
Vediamo ora il rapportohttp://unict.myblog.it
tra PIL e tasso di interesse.340
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341
Il rapporto tra PIL e tasso di interesse è un rapporto
inverso
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342
Occupazione e disoccupazione
Per i classici il sistema economico è sempre in
equilibrio di piena occupazione: si risparmia, si
investe fino a raggiungere il PIL potenziale,
occupando tutte le risorse (lavoro, capacità
produttiva).
Tutta la produzione trova sbocco sul mercato.
Legge degli sbocchi o legge di Say: “l’offerta crea
la propria domanda”. Gli squilibri nei singoli
mercati vengono corretti dalla legge della
domanda e dell’offerta, cioè dai prezzi.
Nel sistema economico classico non esiste
disoccupazione.
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343
Keynes: è la domanda che crea l’offerta: il livello di
produzione è determinato dalla domanda effettiva.
Anche quando il sistema è in equilibrio:
domanda=offerta e R=I è un equilibrio di sottooccupazione.
Nel breve periodo l’occupazione dipende dal livello della
domanda. L’offerta aggregata dipende dal livello della
domanda
Y=C+I+G+E-M
Se la domanda diminuisce (per una riduzione dell’offerta
di moneta, o della propensione marginale al
consumo), diminuiscono gli I, l’occupazione, il PIL e
una leggera riduzione dei prezzi. E viceversa.
Per sostenere l’occupazione Keynes dà importanza
all’intervento pubblico per sostenere la DA (aumento
di G e moltiplicatore di G)
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344
Se la domanda aumenta le imprese sono disposte ad
aumentare la produzione e l’occupazione. E ciò
perché nel breve periodo i salari sono vischiosi, o
rigidi, cioè non si adattano immediatamente
all’aumento della domanda.
La curva di OA di breve periodo ha pertanto pendenza
positiva: le imprese reagiscono ad un aumento della
domanda aumentando la produzione (e l’occupazione)
e i prezzi, a fronte di costi rigidi (soprattutto i salari),
ma anche di prezzi rigidi (costi per l’impresa) per
affitto locali, elettricità, acqua, telefono.
Ciò si traduce solo in un maggior profitto dell’impresa.
Nel breve periodo un aumento di occupazione è
possibile grazie alla vischiosità o rigidità di salari e
prezzi.
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345
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346
Nel lungo periodo l’aumento della domanda
provoca:
• Aumento dei prezzi in generale (dei beni, affitti,
elettricità, ecc..)
– Nel rinnovo dei contratti collettivi di lavoro (ogni
tre anni) si avrà un aumento dei salari, sia per
l’adeguamento all’aumento dei prezzi sia per
l’accresciuta forza sindacale.
Nel lungo periodo cioè aumentano i costi di
produzione, che spingono le imprese ad
aumentare i prezzi, ma non la produzione e
l’occupazione (si ha alta occupazione ma
inflazione). La curva di OA di lungo periodo è
verticale.
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347
Disoccupazione
Keynesiana per
carenza di domanda
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Tasso naturale
Disoccupazione
strutturale
di disoccupazione
348
Nel lungo periodo, nel punto B, la disoccupazione per
carenza di domanda è stata eliminata. Ma ciò non
significa che non esiste altra disoccupazione, che
chiameremo strutturale. Il tasso di disoccupazione
esistente nel punto B è detto tasso naturale di
disoccupazione. Esso dipende dalle imperfezioni del
mercato. Le statistiche mostrano che anche nei
periodi in cui il PIL reale è alto la disoccupazione è
inevitabile proprio per la frammentazione del mercato
del lavoro:
• Squilibrio di qualificazione: esiste domanda di lavoro
qualificato e pochi lavoratori qualificati, che trovano
lavoro, mentre gli altri, non qualificati, restano
disoccupati.
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349
• Squilibri settoriali: vi sono posti di lavoro vacanti
in dati settori e non ci sono lavoratori disponibili
per quei settori.
• Squilibri territoriali: ci sono posti di lavoro al nord
e disoccupati al sud.
Nel punto B c’è disoccupazione per le imperfezioni
di mercato ma le imprese hanno ancora
capacità produttiva fino al punto C Dal punto C
in poi la capacità produttiva può aumentare se ci
sarà progresso tecnico (che permette la
produzione di nuovi prodotti o nuovi processi
produttivi e la riduzione dei costi) o un aumento
della popolazione lavorativa.
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350
La disoccupazione può essere:
• Frizionale: è data dal normale processo di ricerca di
un posto di lavoro (3-4-5 mesi). Si può risolvere con
misure volte a far incontrare domanda e offerta di
lavoro (Agenzie per il lavoro, Internet)
• Ciclica: dipende dall’andamento congiunturale
dell’economia (cicli economici). È quindi legata
all’andamento del PIL e della produzione. Si ha
durante le fasi di recessione e di depressione quando
DA<OA. Si può risolvere con una politica economica
espansiva.
• Strutturale: dipende dalle caratteristiche strutturali
dell’economia, che porta alla non coincidenza tra
domanda e offerta di lavoro: squilibri territoriali,
settoriali, di qualificazione. Si può risolvere, se si
risolve, nel lungo periodo.
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351
La disoccupazione può essere:
• Volontaria: riguarda quella parte di
lavoratori che, pur trovando un posto di
lavoro lo rifiutano perché ritengono basso
il salario di equilibrio del mercato. La teoria
della disoccupazione volontaria non si
concilia con la teoria classica, dove i salari
flessibili non eliminano la disoccupazione
volontaria.
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352
Graficamente:
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353
• Involontaria: riguarda quei lavoratori che,
pur accettando il salario di equilibrio del
mercato, non trovano occupazione. Ciò
dipende dalla rigidità dei salari che, di
fronte alla disoccupazione stranamente
non si riducono. Di fronte alla
disoccupazione le imprese preferiscono
mantenere rigidi i salari a T** e pretendere
una maggiore selezione nell’assunzione.
Inoltre, i sindacati, fissati i salari nei
contratti collettivi, difficilmente chiedono
una riduzione dei salari.
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354
Graficamente:
Cioè, le imprese preferiscono tenere più alti i salari a T” e avere meno
lavoratori (J H), ma più specializzati, anziché abbassare i salari a T’ e
assumere più lavoratori (J G) e spostare la curva D a destra fino ad
incrociare la curva di O nel punto
G. Per cui HG è disoccupazione
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355
involontaria.
Legge di Okun
Abbiamo visto che c’è un legame tra mercato dei
beni e mercato del lavoro: quando il PIL effettivo
aumenta la disoccupazione diminuisce (ciclica di
breve periodo).
Okun, analizzando questo legame ha formulato la
legge secondo la quale ogni aumento del PIL
reale di 2 punti percentuali riduce la
disoccupazione di 1 punto percentuale.
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356
Indicatori del mercato del lavoro
frizionali
N disoccupati
Tasso naturale
strutturali
=
× 100
occupati
di disoccupazione
Forza lavoro
disoccupati
frizionali
ciclici
N disoccupat i
struttural i
tasso di disoccupaz ione =
× 100
occupati
Forza lavoro
disoccupat i 357
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N occupati
tasso di occupazion e =
× 100
Forza lavoro
Forza lavoro
tasso di attività =
× 100
Popolazion e totale
I disoccupati sono coloro che cercano lavoro. Non sono
quindi disoccupati gli studenti, i pensionati, le
casalinghe.
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358
Indici dei prezzi e inflazione
calcolati dall’ISTAT
Gli indici dei prezzi sono una misura del costo
della vita, cioè una misura del livello medio dei
prezzi e servono per misurare l’inflazione.
L’inflazione è l’aumento generale e continuo dei
prezzi
Il tasso di inflazione, espresso in percentuale,
misura la velocità di variazione del livello
generale dei prezzi. Può ottenersi utilizzando
l’IPC o il deflatore implicito del PIL.
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359
Indice dei prezzi al consumo (IPC)
Misura il costo per l’acquisto di un determinato paniere
standard composto da circa un migliaio di beni e
servizi rappresentativi di tutti i consumi nazionali.
Il paniere va revisionato periodicamente.
Le principali classi di consumo, in ordine di importanza
decrescente sono: l’alimentazione, i trasporti e le
telecomunicazioni, il vestiario, le calzature,
l’arredamento, la ricreazione e la cultura, l’abitazione
e l’energia, i servizi sanitari.
All’interno di ogni classe ogni bene e servizio viene
ponderato in base al peso
che hanno sui consumi.360
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Calcolo dell’IPC
Si sceglie un anno base (il 2000) assegnando al prezzo
di ciascun bene e servizio il prezzo di 100.
Nel 2000 i consumi sono stati ripartiti, per semplicità, in
tre beni:
il 20% generi alimentari
il 50% acquisto casa
il 30% cure mediche
IPC del 2000, anno base, è 100, ottenuto sommando
qxp di ciascun bene e servizio.
[qxp]+[qxp]+[qxp]
[0,20x100]+[0,50x100]+[0,30x100]
20
+
50 +
30 = 100
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361
Per calcolare l’IPC del 2001 dobbiamo osservare
l’aumento dei prezzi di ogni bene. Supponiamo che:
• Il prezzo dei generi alimentari è aumentato del 2%
passando da 100 a 102
• Il prezzo delle case è aumentato del 6% passando da
100 a 106
• Il prezzo delle cure mediche è aumentato del 10%
passando da 100 a 110
L’IPC del 2002 si calcola sommando i prodotti delle
stesse quantità per il nuovo prezzo:
(q x p)+(q x p)+(q x p)
(0,20 x 102)+(0,50 x 106)+(0,30 x 110)=106,4 IPC2001
Il tasso di inflazione del 2001 rispetto al 2000 è 6,4%.
Oppure: (0,20x2)+(0,50x6)+(0,30x10)http://unict.myblog.it
0,40+3+3= 6,4
362
Oppure in formula:
q p
∑
IPC =
∑q p
0
t
0
0
×100
106,4
IPC =
×100 = 106,4
100
106 ,4 − 100 = 6 ,4 (tasso di inflazione)
Oppure: tasso di =
inflazione del 2001
IPC2001 − IPC2000
×100
IPC2000
106,4 − 100
×100 = 6,4
100
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363
Deflatore del PIL
Deflatore PIL2001 − Deflatore PIL2000
tasso di inflazione =
× 100
Deflatore PIL2000
Indice dei prezzi all’ingrosso (IPI)
Differisce dall’IPC per la diversa composizione del
paniere: contiene quei beni non acquistati dai
consumatori, come materie prime, semilavorati, beni
di investimento
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364
Differenza tra deflatore del PIL e
IPC
• Il deflatore del PIL misura la variazione dei
prezzi di tutti i beni e servizi prodotti all’interno
del paese.
• L’IPC misura la variazione dei prezzi di tutti i
beni e servizi acquistati dai consumatori, quindi
include anche i beni importati.
Se aumenta il prezzo delle auto Volvo prodotte
in Svezia, l’aumento del prezzo viene incluso
nell’IPC ma non nel deflatore del PIL.
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365
L’inflazione
È l’aumento generalizzato e continuo del livello
generale dei prezzi (P).
Il tasso di inflazione viene misurato utilizzando l’IPC o
il deflatore del PIL in riferimento a 1 anno o anche
mensilmente
tasso di
IPC2001 − IPC2000
=
×100
inflazione
IPC2000
oppure
tasso di
Deflatore 2001 − Deflatore 2000
=
× 100
inflazione
Deflatore 2000
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366
L’inflazione può essere
• Moderata se P aumenta lentamente, nell’ordine di un
tasso di inflazione a 1 sola cifra
• Galoppante Se il tasso di inflazione è a 2 o a 3 cifre. È
devastante per l’economia. Si riduce il potere
d’acquisto e si riducono i C. Si investe di meno per gli
alti costi di produzione. I salari si agganciano a P. Si
ha fuga di capitali all’estero. Può ancora essere
gestita.
• Iperinflazione quando il tasso di inflazione ha cifre da
capogiro: 8-10 cifre. È catastrofica per l’economia.
Tutti cercano di disfarsene comprando beni immobili,
facendone lievitare ulteriormente i prezzi. Fuga di
capitali all’estero. Richiesta di alti aumenti salariali.
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367
Cause dell’inflazione
Un tasso di inflazione, seppure minimo, esiste sempre
nelle economie moderne. È il cd. Tasso di inflazione
inerziale, o di fondo, o prevista.
A questo tasso di inflazione i cittadini si sono abituati e
i sindacati ne tengono conto nelle contrattazioni
collettive. In questo tipo di inflazione, in assenza di
shock da domanda o da offerta, un ruolo importante è
svolto dalle aspettative. I prezzi e i salari vengono
fissati tenendo conto del previsto aumento dei prezzi.
Diventa una spirale prezzi salari, anche se di entità
modesta.
Inoltre il PIL reale è sempre inferiore al PIL nominale
per l’influenza dell’inflazione inerziale.
Le cause più significative dell’inflazione sono l’eccesso
di domanda e l’aumento
dei costi.
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368
Inflazione da domanda
Fino a quando il sistema non ha raggiunto
l’equilibrio, di piena occupazione cioè fino
a quando c’è disoccupazione, un aumento
della DA fa aumentare i prezzi ma anche
la produzione. E ciò fino a quando non si
arriva al PIL potenziale, cioè fino a quando
le imprese sono disposte ad aumentare la
produzione, restando lungo la stessa
curva di offerta.
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369
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370
Fin qui non si ha reazione da parte dell’OA e
l’aumento dei prezzi è accettato in quanto
compensato da un aumento del PIL reale
e dell’occupazione. È il sistema stesso che
stabilisce un nuovo punto di equilibrio: da
E0 ad E1 ad E2. Fin qui si parla di aumento
dei prezzi ma non di inflazione.
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371
L’inflazione vera e propria inizia nel
momento in cui si raggiunge il PIL
potenziale, cioè quando l’OA non è più
disposta ad aumentare la produzione
perché da quel punto in poi aumentano i
salari (per la maggiore forza contrattuale
dei sindacati). Le imprese rivedono la
combinazione tra produzione Q e prezzi P
spostando la curva di OA a sinistra. La
nuova curva di OA1 incontra DA2 nel punto
B, dove si ha una riduzione di Q e un
aumento di P.
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372
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373
Fin qui abbiamo avuto la reazione delle forze di mercato
(DA e OA). Oltre il mercato il sistema economico è
influenzato dall’intervento pubblico. Se le autorità
vogliono raggiungere l’obiettivo di aumentare la
produzione e l’occupazione a Q2 devono fare
incontrare la DA con la nuova offerta OA1. Devono
cioè aumentare la DA a DA3, con una politica
espansiva (aumento di moneta in circolazione,
riduzione del TUS e/o delle aliquote fiscali, aumento di
G).
In questo modo però hanno mantenuto l’occupazione al
livello di Q2 ma hanno alimentato l’inflazione a P3.
Concludendo: quando la domanda cresce più del
potenziale produttivo si ha inflazione da domanda.
Rimedi all’inflazione da domanda: politica monetaria e
fiscale restrittiva.
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374
Inflazione da costi o da shock dell’offerta
Può verificarsi indipendentemente dalla piena
occupazione, cioè al di sotto del PIL potenziale.
Si ha inflazione da costi quando aumentano i costi di
produzione, di cui il più significativo è il salario.
Pertanto si collega l’inflazione da costi all’aumento dei
salari.
Di solito i salari aumentano ad ogni contrattazione
collettiva e questi aumenti si ripercuotono sui prezzi, in
quanto le imprese non sono disposte a ridurre i profitti.
A meno che l’aumento dei salari non si accompagna
ad un aumento di produttività.
Graficamente l’inflazione
da costi si spiega mettendo375in
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relazione W e Pr
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376
Ad ogni linea corrisponde un diverso livello dei
prezzi.
Se l’aumento dei salari è superiore all’aumento dei
prezzi si può avere un aumento della domanda,
per cui inflazione da costi e inflazione da
domanda si alimentano.
L’inflazione da costi può aversi anche per un
aumento del prezzo delle materie prime
(petrolio) o da altri costi di produzione. Se le
materie prime sono importate si parla di
inflazione importata.
Ogni volta che gli elementi di costo turbano
l’equilibrio macroeconomico, i precedenti
obiettivi dei tre soggetti economici (lavoratori,
imprese, Stato) non sono più compatibili. Se
nessuno cede l’inflazione
da costi è inevitabile. 377
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Rimedi all’inflazione da costi
1. Politica industriale. Nel lungo periodo si può favorire
la crescita della produttività, per compensare gli
aumenti salariali (formazione professionale dei
lavoratori, riduzione delle imposte sulle imprese,
fiscalizzazione degli oneri sociali, ecc..)
2. Politica dei redditi. Nel breve periodo, la ricerca di un
accordo, in genere promosso dallo Stato, tra
sindacati dei lavoratori e degli imprenditori.
L’accordo si basa sull’impegno a non richiedere
aumenti salariali superiori all’aumento della
produttività. Gli accordi comunque non sono facili da
raggiungere fino a quando o per stanchezza o per
mutati rapporti di forza
qualcuno cede.
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378
Gli effetti economici dell’inflazione
• Effetti sulla distribuzione del reddito e della
ricchezza: sono favoriti i debitori e sfavoriti
i creditori.
• Effetti sull’efficienza economica:
riducendosi il potere d’acquisto si riducono
i consumi e anche i risparmi, e quindi
anche gli I.
• Quali sono gli effetti sul turismo?
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379
La curva di Phillips
L’economista inglese individuò che nel breve periodo
esiste un rapporto inverso tra tasso di inflazione e
tasso di disoccupazione: a un tasso di inflazione alto
corrisponde un tasso di disoccupazione basso, cioè
un alto tasso di occupazione.
Ciò si spiega perché un’alta occupazione fa aumentare i
salari, e quindi i prezzi.
L’aumento dei prezzi sarà uguale all’aumento dei salari
se la produttività media del lavoro è uguale a zero.
Se la produttività aumenta, l’aumento dei prezzi sarà
inferiore all’aumento dei salari.
Tasso di
Tasso di crescita
Tasso di crescita
=
inflazione
dei salari
della produttività
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380
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381
La curva di Phillips, di ispirazione Keynesiana, è andata
in crisi negli anni ’70 quando si ebbe il fenomeno della
stagflazione, cioè alta inflazione e alta disoccupazione
contemporaneamente.
È riapparsa la teoria classica con i monetaristi, il cui
esponente, M. Friedman, riafferma l’importanza del
libero mercato, suggerendo che disoccupazione e
inflazione vanno affrontate separatamente utilizzando
strumenti diversi:
• La disoccupazione attraverso una riduzione dei salari
e l’agevolazione della concorrenza sia interna
(deregolamentare i settori regolamentati, eliminare la
legge sui salari minimi, eliminare il monopolio dei
sindacati) che estera (eliminare i contingentamenti al
commercio estero).
• L’inflazione attraverso la costanza nell’aumento
dell’offerta di moneta.http://unict.myblog.it
382
L’economia aperta
Y=C+I+G+X-M
Spesa
Spesa dipendente
autonoma dal reddito
I rapporti con l’estero hanno influenza
sull’economia interna attraverso:
– I prezzi esteri
– Il tasso di cambio
– La quantità di beni importati ed esportati
– Inoltre attraverso il canale estero possiamo
creare o distruggere base monetaria
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383
Obiettivo esterno: equilibrio dei conti
con l’estero, cioè uguaglianza tra flusso
e deflusso di valuta.
I conti con l’estero assumono varie forme:
• Bilancia commerciale
• Bilancia dei servizi
• Trasferimenti unilaterali
• Movimento di capitali (investimenti diretti e
investimenti finanziari)
• Movimenti monetari (bilancia valutaria)
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384
I saldi di tutte queste voci si trovano nella Bilancia
dei pagamenti (BP)
La BP è un documento che, sulla base dei dati
raccolti dal sistema bancario e dagli uffici
doganali, registra tutte le relazioni economiche
intercorse tra cittadini di un paese e i non
residenti, di solito in un anno.
La struttura della BP è uguale in tutti i paesi.
Essa si suddivide in tre parti:
– Le partite correnti
– I movimenti di capitali
– I movimenti monetari
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385
Scambi di beni
Scambi di servizi
Trasferimenti unilaterali (rimesse
degli emigranti, regalie, donazioni
pubbliche e private
Investimenti diretti
Investimenti finanziari (acquisto di
titoli pubblici o privati)
Partite correnti
Movimenti di
capitali
(acquisto di
attività
patrimoniali)
Saldo partite
correnti
+
Saldo movimenti
di capitali
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=
Saldo BP
386
La bilancia dei pagamenti
Voci
Crediti
(vendite) o
esportazioni
+
Debiti
(acquisti o
importazioni)
-
Saldo
I PARTITE CORRENTI
A. Merci e servizi
Bilancia
1. Merci………10
Commerciale
2. Trasporti e assicurazioni
Bilancia dei
3. Viaggi all’estero (turismo)
servizi
4. Redditi da capitali (cioè guadagni degli IDE)
B. Trasferimenti unilaterali
5. Privati
6. Pubblici………20
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387
Totale A e B = saldo partite correnti
Vendite
(indebitamento)
+
Voci
acquisti
(accreditamento)
–
Saldo
II MOVIMENTO DI CAPITALI
1. Investimenti
2. Prestiti
3. Crediti commerciali e altri capitali…….….10
Totale
Totale della I e II parte
Errori e omissioni
Saldo Bilancia dei Pagamenti
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388
Voci
Crediti
Debiti
Saldo
III Movimenti monetari
1. Istituzioni monetarie centrali: variazioni delle riserve ufficiali
intestato a BI……………………………..….20
2. Aziende di credito: variazione della posizione netta
sull’estero
Saldo III parte
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389
I movimenti monetari registrano unicamente i
regolamenti valutari delle transazioni con
l’estero. Il saldo ci dà la Bilancia dei pagamenti
valutaria ed è uguale al saldo delle due prime
parti, ma col segno invertito. Un deficit della BP,
nella III parte va scritto come un credito, cioè in
attesa di essere pareggiato.
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390
La BP funziona secondo le regole della partita
doppia. Bisogna però stare attenti al significato
delle parole e dei segni. Il segno + indica
pagamenti in entrata e il segno – pagamenti in
uscita. Ma un movimento di capitale in entrata in
Italia (che si registra col segno + ) non
corrisponde a un credito dell’Italia verso l’estero,
ma a un debito, nel senso che deve essere
bilanciato.
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391
La parte più significativa delle partite correnti è la voce
Merci, il cui saldo ci dà il saldo della Bilancia
commerciale. Se attivo è un avanzo, se passivo un
disavanzo.
Nella bilancia dei servizi abbiamo i viaggi all’estero, che
riguarda in particolare il turismo.
Il turismo non ha una voce “servizio turistico”, cioè non si
acquista il turismo come servizio. Il turismo si
concretizza nella domanda del servizio di trasporto,
quando partiamo, nella domanda del servizio
alberghiero, quando andiamo a dormire; nella
domanda del servizio di ristorazione, quando andiamo
a mangiare.
392
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Nella contabilità nazionale quindi le spese
turistiche le troviamo divise e incorporate in tanti
servizi.
Nella bilancia dei pagamenti, invece, troviamo la
voce “viaggi all’estero” perché possiamo
ricavare questo dato dalle agenzie di viaggio,
dalle aziende di credito che cambiano valuta
estera, dal movimento passeggeri all’aeroporto.
Il turista italiano che va all’estero fa registrare un
debito nella voce viaggi all’estero e un
indebitamento nelle variazioni delle riserve
ufficiali.
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393
L’uso del sistema di registrazione della
partita doppia fa si che dal punto di vista
contabile la BP risulti sempre in equilibrio.
Ma dal punto di vista economico la BP può
presentare un avanzo o un disavanzo, a
seconda che i pagamenti in uscita sono
minori o maggiori di quelli in entrata. In
altre parole quando la domanda di valuta
non è uguale all’offerta di valuta.
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394
È chiaro che si cerca di bilanciare entrate e uscite.
Perché in caso di disavanzo della BP, questo
deve essere pagato con le riserve valutarie
tenute dalla Banca Centrale. Si ha quindi una
riduzione delle riserve che bisognerà ripristinare
cercando di fare affluire valuta estera nel paese
(con maggiori esportazioni, con un maggiori
investimenti esteri). E se le riserve di valuta non
bastano si devono chiedere prestiti a governi o
istituzioni straniere (è il caso dei PVS) o, in
ultima istanza, il che è più gravoso, pagare con
le riserve d’oro.
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395
Se il deficit viene pagato con le riserve
ufficiali vuol dire che si è dato ai cittadini la
valuta estera in cambio di Euro per pagare
i conti con l’estero più di quanto la valuta
non sia entrata nel paese. In tal modo si
distrugge base monetaria.
Se non si vuole distruggere base monetaria
attraverso il canale estero, la regolazione
da parte della BI avviene attraverso la
variazione della posizione netta sull’estero
delle aziende di credito. (punto 2 della III
parte)
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396
Cioè in caso di disavanzo della BP siamo in
una posizione debitoria nei confronti del
resto del mondo, perché:
• Saldo negativo BC che non abbiamo
pagato e il paese estero ci ha concesso un
prestito.
• Un eccesso di IDE nel nostro paese, che
dovremmo bilanciare con i nostri IDE.
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397
Da cosa dipendono E e M?
Dipendono da:
1. Il rapporto tra prezzi interni e prezzi esteri
(prezzi relativi)
2. Il tasso di cambio cioè il prezzo di una valuta
espresso in termini di un’altra valuta
(nominale)
3. Il livello del reddito del paese acquirente per le
importazioni
4. Le preferenze dei consumatori per beni e
servizi esteri
5. Il costo di trasporto dei beni da un paese
all’altro
6. L’atteggiamento dei governi rispetto al
commercio internazionale
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398
I movimenti di capitali dipendono:
• Investimenti diretti: da maggiori rendimenti del capitale
• Investimenti finanziari: dal tasso di interesse
Il controllo dell’equilibrio esterno si presenta alquanto
complesso in quanto tutte le grandezze sono
strettamente interdipendenti.
Es. se le autorità pubbliche effettuano una manovra
espansiva per accrescere l’occupazione, attraverso
l’aumento dell’offerta di moneta e una riduzione del
tasso di interesse, ciò provoca una uscita di capitali,
una maggiore domanda di valuta estera che influisce
sul corso del cambio, e alla fine un peggioramento di
BP.
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399
Allora diciamo che le manovre che riguardano domanda
globale, interesse e cambio vanno sempre studiate
come manovre simultanee.
L’obiettivo dell’equilibrio esterno può essere raggiunto
come:
1. Obiettivo unitario, cioè pareggiare entrate e uscite di
valuta indipendentemente dalla partita che le ha
originate. Questo obiettivo è generalmente preferito
dalle Banche centrali, che per la loro natura
istituzionale, si preoccupano di tutelare il livello delle
riserve di valuta estera, e non del contenuto
economico delle singole partite.
2. Obiettivo sdoppiato cioè considerare la struttura
economica delle singole voci, che deve essere
corretta e adeguata alla situazione economica del
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400
paese.
Es. non si può accettare un disavanzo
cronico della B. commerciale anche se è
compensato da un avanzo nel movimento
dei capitali, in quanto un disavanzo della
BC significa che importiamo beni più di
quanto ne esportiamo, e ciò significa che
all’interno produciamo di meno e
occupiamo meno lavoratori.
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401
Es. di fronte a un fenomeno di fuga di capitali
all’estero (per motivi speculativi o per evasioni
fiscali) si ha un passivo nei movimenti di capitali,
e le autorità pubbliche potrebbero pensare di
compensare creando artificialmente un attivo nel
movimento merci, per es., riducendo le
importazioni. Ma se le importazioni riguardano le
materie prime, ciò provocherebbe all’interno una
riduzione della produzione e dell’occupazione.
Si pagherebbe con la caduta del reddito e con la
disoccupazione il desiderio degli speculatori e
degli evasori fiscali.
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402
Le manovre da preferire sarebbero pertanto quelle
che incentivano le esportazioni di beni e servizi
per poter avere un afflusso di valuta estera che
consente di aumentare le riserve ufficiali di
valuta e avere la possibilità di poter effettuare
maggiori importazioni, soprattutto di materie
prime necessarie, all’interno, per aumentare il
reddito e l’occupazione.
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403
Tra queste manovre un ruolo importante può
essere svolto dal turismo, soprattutto per un
paese, come l’Italia, che ha le risorse per poter
accrescere l’offerta turistica (bellezze naturali,
paesaggistiche e artistiche).
Si tratta di “perfezionare” l’offerta turistica per
avere un riscontro sostenuto della domanda
turistica.
L’offerta turistica trova un’occasione per esprimersi
alla BIT (Borsa Internazionale del Turismo).
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404
Il sistema dei pagamenti
internazionali
Come il singolo operatore ha la necessità di
tenere una scorta liquida, così, nell’ambito
del commercio internazionale, ogni paese
deve avere una riserva di mezzi di
pagamento internazionali, dal momento
che incassi e pagamenti internazionali,
connessi con le importazioni ed
esportazioni, non coincidono.
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405
Due considerazioni:
1. La riserva valutaria serve per fronteggiare gli
squilibri temporanei fra incassi e pagamenti, cioè la
riserva valutaria può essere utilizzata per periodi
ragionevolmente brevi (4-6 mesi), mentre, oltre
questo periodo essa deve essere ricostituita, nel
senso che le entrate devono pareggiare le uscite:
importazioni ed esportazioni devono equilibrarsi.
Non è, infatti, auspicabile avere riserve valutarie in
eccesso o in difetto. Se sono troppe il paese
avrebbe una risorsa inutilizzata, e sarebbe uno
spreco di risorse; se sono troppo poche viene meno
la possibilità di importare ed effettuare pagamenti
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406
all’estero.
2. La riserva valutaria deve essere commisurata
al volume del commercio internazionale. Se il
paese attraversa una fase di sviluppo e vede
crescere il suo reddito e gli scambi con
l’estero, deve accrescere regolarmente anche
le riserve.
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407
Le riserve valutarie possono essere costituite in
due modi sostanzialmente diversi:
1. Riserve in valuta nazionale. Se i pagamenti
vengono effettuati utilizzando valute nazionali,
anche le riserve devono essere costituite da
quelle valute. Nei paesi occidentali per lunghi
anni la valuta dominante è stata il dollaro
statunitense e le riserve sono state costituite
da dollari. Attualmente i pagamenti vengono
regolati anche in altre valute (Euro, Yen
giapponesi), per cui anche queste valute sono
entrate a far parte delle riserve.
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408
Il sistema dei pagamenti internazionali basato su
valute nazionali dà luogo a numerosi inconvenienti.
È innanzitutto un sistema asimmetrico, nel senso che
divide i paesi in due gruppi: paesi a valuta forte, che
forniscono moneta per gli scambi internazionali (es.
USA con il $) e paesi a valuta debole, che invece
devono acquistare valuta forte per alimentare le
proprie riserve per pagare i conti con l’estero.
I paesi a valuta debole per disporre della valuta forte
devono necessariamente realizzare costantemente
un saldo attivo con i paesi a valuta forte, cioè
devono poter esportare molto per avere in cambio
valuta forte, con la quale poter importare.
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409
I paesi a valuta forte, dal canto loro,
devono registrare un passivo nella loro
bilancia commerciale. Pensate ai rapporti
tra USA e PVS. I PVS devono esportare
più di quanto importano per avere i dollari
necessari per importare altri beni.
Questo sistema inoltre crea disparità di
ordine politico: i paesi a valuta forte,
godendo di una posizione vantaggiosa,
potranno esercitare un potere economico
e politico nei confronti dei paesi a valuta
debole.
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410
2. Riserve in valuta internazionale. Gli
inconvenienti di cui sopra vengono meno se i
pagamenti avvengono in valuta internazionale,
cioè una valuta emessa da una Banca
internazionale, una valuta nuova, diversa dalle
singole valute nazionali. Ogni paese accetta la
valuta internazionale come mezzo di
pagamento e si impegna a pareggiare la
propria posizione verso la Banca
internazionale nell’arco di un periodo
predeterminato (nessun paese cioè potrebbe
indebitarsi in eterno).
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411
Le operazioni si svolgerebbero così: dovendo
effettuare dei pagamenti all’estero, un paese
prelevare liquidità sotto forma di valuta
internazionale. Se la posizione del paese è
sana, verrà il momento in cui il paese realizza
incassi dall’estero in misura equivalente potendo
così saldare il suo debito con la Banca. Se tutti i
paesi rispettano la regola del pareggio la Banca
non emetterà mia moneta internazionale in
misura illimitata, in quanto tutti i prestiti verranno
prima o poi rimborsati.
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412
Questo sistema consente una piena
compensazione multilaterale: non vi è
alcun gruppo di paesi che deve realizzare
un passivo permanente nei confronti di un
altro gruppo di paesi. L’acquisizione di
riserve non è un procedimento costoso.
A rigore non ci sarebbe bisogno di tenere
riserve dal momento che la Banca
internazionale fornisce i mezzi di
pagamento via via che essi devono essere
utilizzati.
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413
Inoltre, con questo sistema non ci sono
paesi forti e paesi deboli. Esso fissa
unicamente per tutti i paesi l’obbligo del
pareggio fondamentale della propria
posizione con l’estero (ovviamente le
disparità economiche restano, ma esse
non sono accresciute dal modo in cui la
liquidità internazionale viene creata).
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414
Il sitema dei pagamenti internazionali
attualmente in vigore trae origine dagli
accordi raggiunti da 44 paesi a Bretton
Woods (cittadina dell’Hampshire,USA.) nel
1944, con i quali vennero regolati i rapporti
monetari internazionali fra i paesi facenti
capo al blocco occidentale.
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Venne allora creato
• Il FMI è come se fosse la Banca centrale delle banche
centrali nazionali. Raccoglie fondi in prestito dalle
banche centrali e li da in prestito temporaneamente ai
paesi con deficit nella BP
• La Banca Mondiale è finanziata dai paesi partecipanti
in percentuale del PIL e concede prestiti a lunga
scadenza e a tassi di interesse bassi ai PVS che non
riescono ad ottenere prestiti dalle banche.
• Il GATT (accordo generale sui dazi e sul commercio)
dal 1995 WTO (World Trade Organization) che fissa le
regole sul commercio.
Nel corso delle trattative di Bretton Woods, sorse allora il
conflitto tra la proposta di Keynes, appoggiata dalla
Gran Bretagna, che proponeva la creazione di una
valuta internazionale (piano Keynes), e il Piano White,
proposto dagli USA e basato sull’adozione delle valute
nazionali.
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Il piano White risultò vincente, non perché era migliore
del Piano Keynes, ma perché gli USA erano l’unica
potenza industriale uscita intatta dagli eventi bellici e
rappresentavano quindi l’unico mercato che potesse
fornire i beni materiali necessari per la ricostruzione.
Il dollaro era quindi la valuta più ambita e divenne, di
fatto, la valuta internazionale dominante in tutto il
mondo occidentale, nel quale tutti i paesi
cominciarono a costituire le proprie riserve valutarie in
Dollari.
Gli USA erano poi l’unico paese ad avere una riserva
aurea adeguata, e il dollaro fu l’unica moneta ad
essere dichiarata convertibile in oro, alla parità di 35
dollari per oncia d’oro.http://unict.myblog.it
417
L’esigenza di immettere dollari nelle proprie
riserve costringeva i paesi del blocco
occidentale a creare un costante avanzo
nella propria bilancia commerciale nei
confronti degli USA. La BP USA era invece
in continuo passivo (accettato dagli USA
perché la domanda globale e il reddito
erano sostenuti da G, soprattutto spese
militari e aiuti ai paesi esteri in via di
ricostruzione e di sviluppo). Il vantaggio per
gli USA era quello di poter importare
pagando come contropartita dollari di carta
che andavano a costituire le riserve degli
altri paesi.
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Il sistema di Bretton Woods prevedeva che i
pagamenti internazionali fossero regolati in
regime di cambi fissi. Venne fissata una parità
iniziale (cioè un rapporto di cambio tra valuta
nazionale e oro, e implicitamente tra valuta
nazionale e dollaro) e veniva fissata una banda di
oscillazione.
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Le autorità monetarie si impegnavano poi a difendere
questa parità, intervenendo nel mercato dei cambi,
acquistando o vendendo valuta.
Nelle maggiori città (new York, Londra, Zurigo,
Francoforte, Tokio) esistono i mercati dei cambi, dove
avviene lo scambio tra le valute e dove si determina il
tasso di cambio. Questa situazione si perpetuò per
circa un quindicennio. Dopo il 1960, con la ripresa
dell’economia europea e con lo sviluppo industriale
del Giappone, altre valute andavano emergendo come
valute forti, atte a costituire riserve valutarie accanto al
dollaro. Si passava così
a un sistema a valute plurime.
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Parallelamente, la possibilità per gli USA di avere una
bilancia dei pagamenti costantemente in passivo
andava restringendosi, per l’intensificarsi degli scambi
tra gli altri paesi.
Gli USA si rendevano conto che, se le masse di dollari
accumulatesi nelle riserve fossero riaffluite sul
mercato dei cambi, avrebbero provocato
inevitabilmente una repentina svalutazione del dollaro.
Gli Usa presero allora dei provvedimenti: si dichiararono
disposti a convertire i dollari detenuti dalle Banche
centrali in certificati fruttiferi: in tal modo risultava più
conveniente tenere riserve in dollari anziché in altre
valute.
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Inoltre le autorità monetarie dei paesi occidentali
permisero alle banche ordinarie di aprire depositi
stilati in dollari (l’Italia concesse questa autorizzazione
nel 1960). In tal modo i dollari entrarono a far parte
non solo delle riserve ufficiali delle Banche centrali ma
anche delle riserve liquide dei privati.
Intanto era il periodo in cui gli scambi si accrescevano e
sorgevano le società multinazionali, che rendevano
conveniente tenere riserve liquide in dollari. Venne
così a crearsi una circolazione privata di dollari anche
nell’ambito dei paesi europei, dove vennero emessi
anche titoli di credito stilati in dollari.
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Per i dollari circolanti fuori dagli USA venne
coniato il termine eurodollaro.
Tutto ciò non poteva impedire che il passaggio ad
un sistema a valute plurime rendesse il dollaro
sempre meno desiderato come valuta di riserva,
cosa che a sua volta creava una tendenza alla
svalutazione del $.
Nel 1951 venne raggiunto un accordo fra USA e
sette Banche centrali europee, in virtù del quale
i partecipanti si impegnavano ad impedire rialzi
del prezzo dell’oro (rialzi che significavano
svalutazioni del dollaro, in quanto quando il
prezzo dell’oro sale il prezzo del dollaro scende,
perchè, perchè il prezzo dell’oro è espresso in
dollari. Cioè se il prezzo dell’oro sale ci vogliono
più dollari per acquistare la stessa quantità di
oro e il valore del dollaro diminuisce rispetto al
424
valore dell’oro). http://unict.myblog.it
Questo accordo durò fino al 1968. Nel marzo 1968
risultando impossibile difendere ulteriormente la
parità di 35 dollari per oncia d’oro, si decise di
creare due mercati paralleli dell’oro. Nel mercato
ufficiale sarebbero confluiti soltanto gli scambi di
oro fra Banche centrali: qui si sarebbero
conservate le antiche parità.
Nel mercato libero sarebbero confluiti tutti gli altri
scambi, e qui il prezzo dell’oro avrebbe potuto
crescere senza controlli precisi.
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In tal modo, almeno per quanto riguardava i rapporti
tra banche centrali, il dollaro non fu svalutato, però
venne dichiarato non più convertibile in oro.
Nell’agosto 1971, l’allora presidente Nixon dichiarò
l’inconvertibilità del dollaro sia rispetto all’oro che
rispetto alle altre valute (cioè i pagamenti
internazionali potevano essere effettuati anche in
altre valute).
Nel dicembre dello stesso anno 1971, a seguito di
una Conferenza internazionale tenutasi a
Washington, presso lo Smithsonian Institute,
vennero rivedute le parità di tutte le valute e per la
prima volta, il dollaro venne ufficialmente svalutato
di circa l’80% (svalutazione realizzata portando il
prezzo dell’oro da http://unict.myblog.it
35 a 38 dollari l’oncia).
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La svalutazione del dollaro segnò l’abbandono del
sistema di Bretton Woods e il passaggio ad un
sistema di cambi flessibili.
Una dopo l’altra, tutte le valute europee vennero
sganciate dalla parità del sistema di Bretton
Woods, che dal 1973 fu definitivamente
abbandonato.
A livello europeo cominciò intanto a delinearsi la
necessità di rendere stabili i cambi tra le monete
europee. Dopo diverse prove fallite, nel 1979 fu
firmato a Bruxelles l’accordo per l’istituzione
dello SME, che istituì, a livello europeo, il
sistema a cambi fissi, abbandonato con la
moneta unica, l’Euro.
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Cambi flessibili o fluttuanti
Il cambio viene determinato dalla domanda e dall’offerta
di valuta, cioè dal mercato dei cambi.
Es. tasso di cambio €/$ significa quanti dollari ci
vogliono per 1 euro. (es. 1,10 €/$ ) (sistema certo per
l’incerto).
• La domanda di euro proviene dai residenti USA che
devono importare dall’Italia (ns. importazioni),
compresi i turisti USA che vogliono venire in Italia.
• L’offerta di euro proviene dai residenti italiani che
devono importare dagli USA (ns. importazioni),
compresi i turisti italiani che vogliono andare negli
USA.
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Quando la domanda e l’offerta di euro sono uguali
il cambio di equilibrio è uguale a 1.
Se la domanda di euro aumenta, ferma restando
l’offerta, si ha una trasposizione a destra della
curva D, l’euro si apprezza e il cambio aumenta,
da 1 a 1,10, che diventa il nuovo cambio di
equilibrio.
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La domanda di euro può
aumentare:
• Per l’aumento della domanda estera
• Per l’aumento dei prezzi esteri che spinge ad
acquistare beni Italiani
• Per l’aumento dei tassi di interesse in Italia, che
attirano investimenti finanziari.
• Per l’aumento dei tassi di rendimento del
capitale in Italia che attirano investimenti diretti
• Per l’aumento del reddito nel paese estero
• Per l’aumento dei turisti stranieri in Italia
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L’aumento della domanda di euro ne determina
l’apprezzamento, e quindi un aumento del
cambio.
L’euro si apprezza e il cambio aumenta anche
quando si riduce l’offerta di euro. In questo caso
è la curva di offerta che si traspone a sinistra,
fermo restando la domanda.
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L’offerta di euro può diminuire:
• Per la riduzione del reddito, che riduce le
importazioni
• Per la riduzione del numero di turisti
italiani che vanno all’estero
• Per la riduzione dei prezzi dei beni italiani
• Per l’aumento dei tassi di interesse
(politica monetaria restrittiva) e dei tassi di
rendimento italiani rispetto a quelli esteri.
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Quando il tasso di cambio varia solamente per le
variazioni della domanda e offerta di valuta, senza
l’intervento della Banca centrale, si parta di
fluttuazione pulita. Sono le forze del mercato che
apprezzano o deprezzano una valuta.
Nella realtà domanda e offerta di valuta non
rispecchiano i fondamentali dell’economia. Gran parte
della domanda e offerta ha un movente speculativo,
che porta spesso ad un’eccessiva volatilità dei cambi.
In questi casi si rende necessario l’intervento della
Banca centrale, che acquista o vende valuta per far
variare il cambio, aumentando o riducendo le riserve
ufficiali.
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In questo senso il cambio, in regime di cambi flessibili, è
uno strumento di politica monetaria per il controllo
dell’offerta di moneta attraverso il canale estero.
Quando il cambio varia in seguito all’intervento della
Banca centrale si parla di svalutazione e rivalutazione.
Per evitare la volatilità dei cambi sono stati istituiti i
vertici monetari annuali tra i maggiori Pi al fine di
pervenire ad una fluttuazione controllata o
amministrata delle principali valute.
Tendenze di massima di alcuni paesi:
• USA ed Europa verso la libera fluttuazione
• Giappone, Canada e molti PVS verso la fluttuazione
controllata
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Fin qui abbiamo considerato il cambio nominale, cioè il
rapporto di scambio fra due valute e ci siamo riferiti al
breve periodo: il cambio è determinato dalla domanda
e offerta privata di moneta e dalla politica monetaria. Il
cambio nominale è strettamente collegato con il
cambio reale, che è il rapporto di scambio tra beni e
servizi prodotti in due paesi, cioè il livello di cambio
nominale che permette di comprare allo stesso prezzo
un bene in un paese o in un altro. Il tasso di cambio
reale tiene conto quindi dei prezzi nei due paesi.
Pi
tasso di cambio reale = × tasso di cambio nominale
Pe
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Esiste una relazione tra inflazione e tasso di cambio. Se
c’è inflazione negli USA, noi importiamo di meno,
domandiamo meno dollari. Il dollaro si deprezza e
l’euro si apprezza. Il tasso di cambio aumenta: ci
vogliono più dollari per acquistare un euro.
Quindi, nel paese dove i prezzi sono più alti le
esportazioni si riducono e la moneta si deprezza,
mentre nel paese dove i prezzi sono più bassi le
esportazioni aumentano e la moneta si apprezza.
Nel lungo periodo questa tendenza porta il cambio a
quel livello al quale si può comprare lo stesso bene (o
paniere di beni) in un paese o nell’altro allo stesso
prezzo.
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È questo il tasso di cambio con PPA. Si parla, infatti, di
teoria della parità del potere d’acquisto o legge del
prezzo unico. Alla base di questa teoria ci sta il
principio della concorrenza internazionale e del
libero commercio.
La teoria della PPA non è però una teoria perfetta, ma
solo tendenziale e approssimativa, in quanto:
1. Non tutti i beni sono commerciali. Es: un taglio di
capelli; i beni turistico-ambientali.
2. Alcuni beni, anche se commerciabili, non sempre
sono sostituibili. Es: anche se la birra tedesca costa
di più, i tedeschi la preferiscono a quella americana
che costa di meno.
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L’effetto di breve periodo del
commercio sul PIL e sull’occupazione
Y
=
C + I + G + E - M
Domanda
Domanda
interna
estera (BC)
Il saldo attivo della BC ha un effetto positivo sul PIL e
sull’occupazione, e viceversa.
Si può avere il sistema in equilibrio anche quando il
saldo della BC è negativo, se la domanda interna è
alta. Se il sistema è in equilibrio di piena occupazione,
gli ulteriori saldi positivi della BC portano ad un
aumento della DA superiore all’OA. Il risultato è quello
di avere una fase espansiva dell’economia, ma si
innesca l’inflazione. http://unict.myblog.it
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Propensione marginale alle
importazioni (PMm)
Sappiamo che le M dipendono dal reddito Y o PIL.
La PMm è l’incremento delle importazioni per ogni
euro di PIL in più.
Cioè:
1
∆M =
∆Y
PMm
0<PMm<1
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Visto che sia C (e R) che M dipendono dal reddito,
un euro in più di reddito si divide tra C, R e M.
Per cui il moltiplicatore di un’economia aperta
non sarà solo:
ma
1
1
1− c
(1 − c) + m
Per cui il moltiplicatore dell’economia aperta è
inferiore al moltiplicatore dell’economia chiusa.
Ciò significa che l’espansione della nostra
economia sarà rallentata man mano che
aumentano le importazioni.
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1°Esercizio
Nel modello semplificato della domanda
aggregata conosciamo i seguenti dati:
C = 100 + 0,8 Y
I = 50
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Rispondete alle seguenti domande:
1) Qual è il livello di equilibrio del reddito?
2) Se per qualche ragione la produzione fosse
al livello di 800, quale sarebbe il livello
dell’accumulo indesiderato di scorte?
3) Se gli investimenti dovessero salire a 100,
quale sarebbe il nuovo reddito di equilibrio? Qual è
in questo caso il valore del moltiplicatore?
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2°Esercizio
Considerate un’economia che produce solo tre
beni: bistecche, uova e vino. La tabella ci fornisce
le quantità vendute e i prezzi negli anni 1990 e
2000.
---------------------------------------------------------------1990
2000
---------------------------------------------------------------Q
P
Q
P
---------------------------------------------------------------Bistecche
10 2,80
7
3,10
Uova
10 0,70
13
0,85
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Vino
8
4,00
11
4,50 445
----------------------------------------------------------------
1) Calcolate il PIL nominale nel 1990 e
nel 2000.
2) Calcolate il PIL reale nel 1990 e nel
2000 (anno base 1990).
3) Calcolate il Deflatore del PIL nel 1990
e nel 2000.
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