Comune di Padova Comune di Padova Una strada per superare l’impasse dei vincoli urbanistici Il convegno del 4 maggio scorso a Palazzo Moroni ha messo a fuoco il “caso Padova”, ma fornendo anche una puntuale documentazione sulla situazione in altre città italiane in tema di “Vincoli urbanistici, politiche ambientali e bisogni delle città – Il contributo della perequazione”. La questione che è al centro di una spirale di polemiche riguarda uno dei temi più rilevanti dell’urbanistica italiana di oggi: le modalità di acquisizione delle aree destinate ad uso pubblico. La situazione giuridica è delicata: ci sono due problemi che si intrecciano. Il primo concerne l’efficacia e la durata dei vincoli urbanistici. Ci sono vincoli che riguardano beni culturali e ambientali, normalmente derivano da leggi nazionali e regionali e da pianificazioni sovraordinate rispetto a quella comunale. I vincoli di questo tipo sono illimitati nel tempo e non sono indennizzabili. Ma ce ne sono anche altri, sono quelli imposti dalla pianificazione locale per aumentare la quantità e la qualità delle dotazioni pubbliche. Durano 5 anni dalla data di approvazione dello strumento urbanistico. Ciò è previsto con legge dello Stato, la 1187/68. Questa norma è stata approvata per adempiere alle indicazioni della sentenza 55/68 della Corte Costituzionale. Passati i cinque anni, i vincoli possono essere rinnovati per altri cinque, ma solo pagando uno specifico indennizzo. Anche questo è previsto da una sentenza della Corte Costituzionale, la 179/99. L’ammontare, dell’indennizzo non viene quantificato, si stabilisce che lo sarà in sede giudiziaria. Resta comunque assodato che i vincoli espropriativi hanno una durata limitata nel tempo. Secondo Federico Oliva, presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica La perequazione compensativa Il convegno Mentre la maggioranza dei Comuni è annichilita sotto il vuoto della decadenza dei vincoli, esiste un gruppo piccolo, ma in crescita, che adempie all’obbligo di ripianificare l’area a vincolo decaduto come impone la giurisprudenza e l’unica strada percorribile se si vuole acquisire l’area alla proprietà pubblica è quella della perequazione compensativa. L’approccio è analogo a quello della Variante dei servizi di Padova. Funziona così: i diritti alla costruzione sono assegnati in cambio della cessione gratuita delle aree necessarie a soddisfare il fabbisogno di servizi, di verde e di edilizia sociale della collettività. La perequazione in realtà non è un’opzione, un’opportunità politica da cogliere o meno, è un passaggio obbligato se si vuole aumentare e migliorare le dotazioni pubbliche. Se, al contrario, questo risultato non interessa, si può mettere una croce sopra all’area il cui vincolo espropriativo è decaduto e non reiterabile e imporre un nuovo vincolo ricognitivo che rende quel suolo del tutto inedificabile oppure si può assegnare all’area una destinazione agricola. Entrambe le scelte hanno un verso tagliente della medaglia: nel primo caso c’è il rischio di un contenzioso pericoloso, nel secondo c’è il problema di riportare ad una destinazione agricola, cioè extraurbana, aree che da decenni hanno una destinazione urbana, di verde e servizi e che a volte si insinuano all’interno di aree fittamente edificate. “Il piano urbanistico - ricorda Oliva – è soprattutto progetto: un progetto di trasformazione della città finalizzato a migliorarne la qualità urbana e ambientale; senza trasformazione e agendo solo in una logica di vincolo, il progetto non esiste e il piano non serve”. La differenza è quella tra un parco vero e un parco di carta. Tabelle e immagini a centinaia sono state presentate a documentare la trasformazione urbanistica in diverse città italiane, da Torino a Roma, da Ravenna a Reggio Emilia: progetti e realizzazioni mostrano stupende estensioni di verde con disegni esteticamente pregevoli e soluzioni di approccio innovativo tra residenziale e parco, tra impianti sportivi e spazi per le passeggiate. In città il campo di battaglia della perequazione è il parco del Basso Isonzo, un’estensione di 600 mila metri quadrati. Il primo stralcio occupa 311 mila metri quadrati più il 75% di altri 280 mila nel secondo stralcio. Il rapporto tra superficie e cubatura è decisamente basso: 0,15 metri cubi per metro quadrato. Cera un volta il Prg di Piccinato (1954-1957). “L’area del Basso Isonzo – dice Sandro Faleschini, presidente della commissione urbanistica – avrebbe dovuto ospitare una pionieristica Cittadella dello Sport. La destinazione era a verde attrezzato su un’estensione più ampia dell’attuale, circa 900 mila metri quadrati. Tale destinazione però avrebbe visto solo il 30 per cento a parco mentre il resto, destinato a servizi sportivi, avrebbe potuto essere coperto (campi da gioco, palestre, stadi)”. Negli anni 90, su progetto dell’architetto Abrami, Sandro Faleschini, allora assessore all’Urbanistica, presenta un progetto di parco agrario in un’area con forte presenza di coltivazioni. Avrebbero potuto essere realizzate serre e piste ciclabili, ma a cubatura zero. In seguito viene preso in considerazione il progetto dell’architetto Gambino, suggestivo e ambizioso, ma che imponeva costi elevati insostenibili per il Comune. Successivamente con Riccoboni e Luigi Mariani viene scelta la strada della perequazione. L’assessore comunale Luigi Mariani ha illustrato i mutamenti giuridici e cartografici dell’urbanistica cittadina. Il piano Piccinato evidenziava solo le destinazioni: residenziale; commerciale-produttivo; parchi pubblici e aree sportive; l’area periurbana aveva destinazione agricola. La variante generale del 1983 destinava a servizi di vario tipo vaste aree urbane e perirurbane riservando una quota significativa a verde pubblico; nel periodo 1993-1999 alcune aree verdi periferiche venivano riportate a destinazione agricola, mentre un’area a Nordovest di 190 ettari veniva destinata a Cittadella e parco dello sport. La situazione delle aree a servizio nel 1999 fa rilevare un’esuberanza delle previsioni del Prg rispetto agli standard di legge (riferiti alla popolazione insediabile) e una carenza di aree effettivamente realizzate. La variante ai servizi (2001-2005) ha destinato a perequazione vaste aree già vincolate a servizi pubblici. Sono stati adottati tre tipi di perequazione: urbana per lotti di dimensione limitata all’interno di aree edificate, indice 0,5 mc/mq, cessione al Comune del 50 per cento dell’area; perequazione integrata con indice di edificablità di 0,25 mc/mq, cessione al Comune del 70% dell’area, sul 10% della quale si può edificare Erp per una cubatura pari a ¼ di quella privata; perequazione ambientale con indice di edificabilità di 0,15 mc/mq, cessione al Comune del 75 per cento dell’area. La spallata Comunicazione istituzionale e consulente per il Pat (Piano di Assetto Territoriale) del Comune di Padova, i casi di reiterazione dei 5 anni, previo pagamento di indennizzo, sono rarissimi e l’esperto spiega anche il perché: “I Comuni italiani non dispongono delle risorse per espropriare le aree vincolate, figuriamoci per rinnovare un vincolo senza poter usufruire di un bene. La maggioranza dei Comuni, quindi, non fa nulla”. Si barcamena con i vincoli decaduti, “aspettando Godot”, nell’attesa cioè di un’improbabile provvedimento legislativo che cavi le castagne dal fuoco e nella speranza che i proprietari non reclamino i propri diritti “richiedendo – continua Oliva – l’intervento di un commissario ad acta o addirittura avanzando una richiesta di danni nei confronti dell’Amministrazione”. Ma che succede in questo impasse? Le possibilità edificatorie concesse da commissari ad acta sono di solito assai più ampie di quelle determinate dalla decadenza del vincolo. La normativa che viene applicata consente ai proprietari di recuperare gli edifici eventualmente già esistenti per le aree interne al perimetro del centro abitato o di edificare con l’indice di 0,03 metri cubi per metro quadro per la residenza o con il rapporto di copertura di 1/10 per le attività produttive. Si tratta, in pratica, delle condizioni dettate dalla legge ponte del 1967 per i Comuni privi di strumento urbanistico. Proprio questa disposizione ha consentito, secondo Oliva, le edificazioni più consistenti e clamorose sulle aree a vincolo decaduto, anche perché il terziario è stato considerato tra le funzioni produttive. Ed ecco gli argomenti decisivi, la spallata che sfonda ogni obiezione all’applicazione della perequazione. Oggi le dotazioni pubbliche di Padova sono inferiori a quelle fissate dal decreto del 1968 quando l’Italia aveva standard abitativi e livelli di ricchezza assai inferiori a quelli attuali. “Se per raggiungere quello che in quarant’anni non è stato raggiunto – conclude il presidente Oliva – l’unico strumento disponibile è la perequazione, non ci si può trincerare dietro a soluzioni vincolistiche inefficaci e precarie o dietro a impraticabili ipotesi espropriative. Che, fra l’altro, dati gli attuali valori delle indennità rappresenterebbero un riconoscimento della rendita ai proprietari. Occorre quindi utilizzare al meglio questo strumento, proponendo indici perequativi tali da non scoraggiare la cessione gratuita compensativa ma, al contempo, da non determinare pesi insediativi insostenibili per i tessuti urbani circostanti e la città in generale”.