APPUNTI del CORSO di
MACCHINE I
A cura del dott. ing. Romano Impero Abenavoli,
dalle lezioni del prof. Cinzio Arrighetti
1
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE MACCHINE A FLUIDO
MACCHINE
Si può definire macchina, in senso lato, un qualsiasi convertitore di energia cioè, in generale, una scatola chiusa
in cui entra energia ed esce energia di tipo diverso da quella entrante.
In questa definizione rientra qualsiasi congegno capace di effettuare una conversione energetica, dallo
schiaccianoci alla pila a combustibile.
Il campo di nostro specifico interesse é quello delle macchine a fluido, ovvero le macchine che necessitano per il
loro funzionamento dell’intervento di un fluido per effettuare la conversione di energia a cui sono destinate.
Le macchine a fluido, di cui ci occupiamo, convertono una parte del patrimonio energetico del fluido
operante in energia meccanica oppure viceversa.
Le macchine a fluido si possono suddividere quindi in due tipi fondamentali:
MACCHINE MOTRICI
convertono l’energia (spesso prevalentemente potenziale) posseduta da un
fluido in energia meccanica utile all’esterno
MACCHINE OPERATRICI
convertono energia meccanica spesa dall’esterno in energia (spesso
prevalentemente potenziale) di un fluido.
Un’ulteriore classificazione delle macchine può farsi dividendole in:
MACCHINE VOLUMETRICHE e TURBOMACCHINE .
Le macchine volumetriche sono caratterizzate dal fatto che elaborano volumi finiti di fluido; necessitano di una
fase di ammissione e di una di scarico.
Le turbomacchine (o macchine dinamiche) elaborano invece una portata continua di fluido (costante nel tempo
se il funzionamento è a regime). Sia le macchine volumetriche che le turbomacchine possono essere motrici
oppure operatrici.
Le macchine volumetriche possono, a loro volta, suddividersi nelle macchine ALTERNATIVE e nelle macchine
ROTATIVE.
Le macchine volumetriche alternative sono fondate sul cinematismo biella/manovella: un esempio di operatrice è
il compressore alternativo; di motrice, un motore a combustione interna a pistoni.
Le macchine volumetriche rotative operatrici comprendono una vasta gamma (macchine ad ingranaggi, a lobi, a
1
“palette”, a viti, etc.), mentre un esempio di volumetrica rotativa motrice è il motore Wankel .
La turbomacchina è attraversata con continuità dal fluido evolvente e non presenta, quindi, valvole o luci che
vengano periodicamente aperte e chiuse. A regime le portate massiche entrante ed uscente sono uguali, possono
differire invece tra loro durante i transitori.
Le turbomacchine possono suddividersi in ASSIALI e RADIALI, ma possono essere in genere ad architettura
mista ( ASSIO-RADIALI ).
In una macchina volumetrica la conversione di energia avviene in maniera diretta, cioè essa viene ceduta od
assorbita dal fluido durante la fase di espansione o di compressione del fluido stesso.
1
IRA
Dr Felix Wankel, (1902-1988), inventore tedesco.
2
Nelle turbomacchine la conversione avviene invece per mezzo di un passaggio intermedio, che comporta
sempre una variazione di energia cinetica del fluido.
La turbomacchina è formata, in genere, da una serie di “stadi”; il singolo stadio è, ordinariamente, costituito da
uno STATORE (parte fissa) e da un ROTORE (parte mobile).
Nelle turbomacchine motrici il fluido, nel suo percorso, attraversa prima lo STATORE e poi il ROTORE. Nello
statore si opera una conversione di energia potenziale del fluido in energia cinetica dello stesso; nel rotore si opera
una conversione di tale energia cinetica in lavoro meccanico utile.
Nelle macchine operatrici il fluido attraversa prima il ROTORE e poi lo STATORE. Nel rotore l’energia
meccanica (lavoro speso) viene convertita in energia cinetica del fluido; nello statore questa viene convertita in
energia potenziale.
Ogni conversione energetica avviene attraverso un certo rendimento, di regola inferiore all’unità.
Appunti di Macchine
3
Schematizziamo una prima classificazione delle macchine a fluido.
Il patrimonio energetico del fluido diminuisce
nel caso di macchina motrice
IMPIANTI
motrici
idroelettrici
25%
(producono energia utilizzabile
termoelettrici
72%
dall’utente sfruttando il patrimonio
geotermoelettrici
energetico del fluido entrante)
Macchine
3%
energia
energia
meccanica
disponibile
operatrici
(elevano il patrimonio energetico del
disponibile alla flangia di
fluido attraverso la somministrazione
accoppiamento fra
dall’esterno di energia meccanica)
macchina produttrice ed
patrimonio
energetico
del fluido
utilizzatore (ad es. un
alternatore)
aumenta nel caso di
macchina operatrice
L’energia disponibile in un impianto motore può provenire da fonti tradizionali (idraulica, chimica, geotermica,
nucleare) o da fonti non tradizionali (quali le fonti rinnovabili, in primo luogo l’eolica e la solare).
In definitiva
potenziale energetico
del fluido
energia meccanica
(lavoro speso)
IRA
Macchina
motrice
Macchina
operatrice
energia meccanica
(lavoro utile)
potenziale energetico
del fluido
4
Possiamo costruire una “matrice di esistenza e di connessione” delle varie classificazioni possibili delle
macchine a fluido secondo 5 criteri distinti:
1°° criterio:
basandosi sulla direzione della conversione energetica, dividiamo le macchine in
motrici
2°° criterio:
operatrici
basandosi sulla caratteristica fisica del fluido evolvente, dividiamo le macchine in
macchine
idrauliche
macchine
termiche
a seconda che il fluido evolvente sia un liquido o un aeriforme;
3°° criterio:
basandosi sul moto dell’ organo predisposto al trasferimento di lavoro (alternativo o rotatorio)
le dividiamo in
macchine
alternative
4°° criterio:
macchine
rotative
basandosi sull’andamento nel tempo del flusso del fluido (pulsante o continuativo), le
dividiamo in
macchine
volumetriche
Questo tipo di macchina elabora un
volume (o massa) finito di fluido che,
una volta elaborato, viene espulso
(motori a combustione interna,
compressori alternativi, etc.)
5°° criterio:
macchine
dinamiche
o turbomacchine
Questo tipo di
macchina elabora il
fluido con portata
massica costante in
esercizio a regime
basandosi sul tipo di traiettoria del fluido evolvente (cioè del suo percorso all’interno della
macchina), le sole macchine dinamiche si possono dividere in
assiali
radiali
assio-radiali
È opportuno precisare che il 5° criterio si basa sulla componente fondamentale della velocità del fluido, ovvero
su quella componente del vettore velocità che garantisce lo smaltimento della portata del fluido attraverso la
macchina: se tale componente è quella assiale la macchina è detta assiale, se è quella radiale la macchina è detta
radiale. Da notare che le macchine alternative possono essere solo volumetriche, ma non viceversa.
Appunti di Macchine
5
In base a quanto esposto è possibile disegnare la MATRICE di CONNESSIONE
motrici
operatrici
idrauliche
termiche
alternative
rotative
volumetriche
dinamiche
assiali
radiali
assio-radiali
componente
statore
radiale
della velocità
direzione della
velocità assiale
(parallela all’asse di
rotazione della
macchina)
rotore
IRA
turbomacchina assiale
turbomacchina radiale
(pluristadio)
(rotore di uno stadio)
6
Richiami di termodinamica tecnica
È opportuno svolgere alcuni richiami fondamentali di Termodinamica tecnica, fondati sul 1° e sul 2° Principio
della termodinamica, rivisitati in chiave applicativa, con riferimento alle macchine a fluido ed ai relativi impianti.
Il primo concetto che occorre puntualizzare è quello di sistema, ovvero una determinata massa di fluido, liquido
od aeriforme, spesso (ma non sempre) unitaria, contenuta in una superficie di controllo chiusa, fissa o mobile, a
seconda dei casi.
Contemporaneamente l’esterno al sistema è tutto ciò che non è incluso nel sistema, ovvero non ne fa parte. Ai
fini pratici, l’esterno si limita a quella parte che “dialoga” col sistema attraverso scambi energetici.
Questi scambi, per le nostre applicazioni, sono essenzialmente termici (calore) e meccanici (lavoro).
I fluidi utilizzati nelle macchine possono essere vapori (in particolare vapore d’acqua), gas (in particolare aria) e
liquidi (in particolare acqua); questi fluidi appartengono alla classe dei fluidi termodinamici, ovvero quei fluidi la cui
equazione di stato, in forma generale implicita, è scritta in tre variabili di stato ed il fluido possiede quindi 2 gradi di
libertà termodinamici (la terza variabile è calcolabile in funzione dei valori delle altre due).
La scelta di queste 3 variabili di stato è libera:
F(X, Y, Z) = 0
ad esempio: pressione, temperatura e volume specifico (ovvero il suo reciproco, cioè la densità).
Questa libertà è assoluta, salvo nei casi in cui, come nei passaggi di stato, un parametro sia univocamente
2
legato ad un altro; ricordiamo infatti che per un vapore saturo, all’interno della campana di Andrews , pressione e
temperatura sono due parametri non indipendenti ma fra loro biunivocamente vincolati.
Per il cosiddetto gas perfetto, si avrà, assumendo, X = p
l’equazione di stato nella forma:
F=
,
Y = ρ , Z = T (temperatura assoluta)
p
− RT = 0
ρ
dove R è la costante del gas (diversa per ciascun gas)
costante universale dei gas
8,314 [kJ/mol K]
R=
ℜ
M
massa
molecolare
del gas
è pari al rapporto fra la costante universale R dei gas e la massa molecolare dello specifico gas in questione.
2
Thomas Andrews, (1813-1885), chimico e fisico inglese.
Appunti di Macchine
7
Nella tabellina si riportano i valori di M e di R per alcuni gas di frequente impiego.
GAS
M [kg/kmol ]
R [kJ/kg K ]
GAS
M [kg/kmol ] R [kJ/kg K ]
H2
2,0158
4,196
H2O
18,016
0,462
O2
31,891
0,261
CH4
16,044
0,518
N2
28,14
0,297
Aria
28,968
0,287
CO2
44,012
0,189
He
4,0028
2,078
Le funzioni di stato, o parametri termodinamici, possono essere di tipo estensivo (o additivo), come l’energia
interna u, l’entalpia h, l’entropia S, etc., oppure di tipo intensivo, come la pressione p e la temperatura T.
Le quantità estensive sono proporzionali alla massa del fluido; i simboli usati (u, h,
S etc.) si riferiscono sempre
all’unità di massa e sono quindi relativi alle grandezze specifiche (energia interna specifica, entalpia specifica,
entropia specifica, etc.).
Parlare di un fluido termodinamico equivale a parlare di un fluido il cui stato termodinamico è univocamente
determinato quando siano assegnati i valori numerici di 2 parametri (ad es. 2 dei 3 che figurano nell’eq.ne di stato
del fluido stesso).
Per un gas perfetto, i calori specifici dipendono solo dalla temperatura
cp = cp(T)
cv = cv(T)
ed anche
cp = cp0 + f(T)
cv = cv0 + f(T)
da cui
cp - cv = cp0 - cv0 = R = cost
LEGGE DI MAYER
Se i calori specifici cp e cv sono costanti, cioè indipendenti dalla temperatura, il gas perfetto in questione è anche
ideale (è il caso in natura dei gas monoatomici).
I gas non monoatomici sono spesso assimilabili, con buona approssimazione, ad un gas perfetto (ma non
ideale). Può accadere che entro un determinato “range” di temperatura, non molto esteso, caratteristico di una
certa macchina, il cp ed il cv del gas che in essa è impiegato siano approssimativamente costanti; in questo caso
varrà la schematizzazione del gas ideale ai fini dei calcoli, che risulteranno particolarmente semplificati.
Se variano nel tempo le condizioni termodinamiche del fluido considerato, si può verificare una successione di
stati termodinamici del fluido, descrivibili con continuità, che rappresentano una trasformazione termodinamica;
essa, a rigore, dovrebbe venir descritta, come successione di stati di equilibrio, in condizioni di reversibilità, mentre
nella realtà ciò non avviene, e le varie condizioni termodinamiche fuori equilibrio del fluido vengono
“statisticamente” assimilate a stati di equilibrio “equivalenti”.
Quando un fluido termodinamico evolve in una macchina, si può rappresentare ogni trasformazione
termodinamica su di un piano termodinamico (ad es. il piano X, Y) dove si fa riferimento all’equazione di stato F(X,
Y, Z) = 0 e all’equazione della trasformazione Φ(X,Y,Z) = 0.
IRA
8
ϕ(X, Y) = 0
Dal sistema tra le due, può dedursi, ad es. eliminando Z :
rappresentabile come equazione della trasformazione nel piano (X, Y).
Y
2
ϕ(X, Y) = 0
percorso descritto dal fluido durante la trasformazione
(evoluzione di un fluido in una macchina od in un
elemento di impianto)
z = cost
1
X
ad es.:
la politropica di un gas perfetto sarà, assumendo X = p,
p
Y = υ = 1/ρ:
pv m = cos t = p0v 0m ovvero :
p
p
= cos t = m0
m
ρ
ρ0
V=1/
Introduciamo il 1° principio della Termodinamica (o principio dell’equivalenza o della conservazione
energetica, rivisitato in chiave macchinistica ed impiantistica) riferendoci all’unità di massa e, quindi, all’energia
3
specifica. Questo principio fu stabilito da James Prescott JOULE nel 1840 e dimostrato con l’esperienza del
famoso mulinello a pale.
Considerando una superficie chiusa (fisica e matematica) contenente una certa quantità di fluido (ad es. l’unità
di massa), in termini differenziali e specifici (ovvero riferiti all’unità di massa) si può scrivere
dQ + dL = du
(1)
trascurando eventuali variazioni di energia potenziale e cinetica del sistema, altrimenti
dQ + dL = du + dEpot + dEcin
3
(2)
James PRESCOTT JOULE, (1818-1889), fisico inglese.
Appunti di Macchine
9
La (2) esprime l’eq.ne dell’energia per sistemi chiusi, ovvero il 1° principio generalizzato
dove
dEpot = gdz
è la variazione di energia geodetica del fluido calcolata rispetto ad un asse z
orientato verso l’alto;
2
c
dEcin = d
2
= c dc
dQ
è l’energia cinetica del fluido, dove c è il modulo della sua velocità;
è la quantità elementare di calore che l’unità di massa scambia con l’esterno
(effettivamente);
dL
è il lavoro termodinamico elementare che l’unità di massa scambia con
l’esterno;
du
è la corrispondente variazione elementare di energia interna dell’unità di
massa del fluido.
Gli scambi energetici avvengono tutti nel medesimo intervallo di tempo dt.
La convenzione moderna (qui adottata) dei segni delle energie scambiate prevede che le energie (calore e
lavoro) siano entrambe intese positive se “entranti” nel sistema e negative se “uscenti” (ricordiamo che questa
convenzione è diversa da quella adottata nella Termodinamica classica, in cui
entrante, mentre d
Con la
L è considerato positivo se uscente).
dQ è considerato positivo se
(1) si afferma che sia il calore sia il lavoro ricevuti dal fluido ne arricchiscono il patrimonio energetico,
costituito dall’energia interna e dalle energie “macroscopiche” (potenziale e cinetica).
In ogni stato termodinamico il fluido possiede una sua energia interna dovuta ai movimenti di traslazione,
rotazione e vibrazione molecolari, che si annulla soltanto allo zero assoluto di temperatura. In ogni processo
termodinamico all’energia interna (integrata) del fluido si aggiunge (o si sottrae) un importo pari alle quantità di
calore e/o lavoro ad esso fornite (o da esso sottratte).
L’energia interna di un fluido, che non sia sede di reazione chimica, non può che essere valutata in base allo
stato termodinamico del fluido stesso; essa è dunque una “funzione di stato”, dato che il suo valore dipende
esclusivamente dallo stato del fluido, a meno di una costante arbitraria il cui valore è associabile ad uno stato di
riferimento.
L’energia interna è un’importante funzione di stato descrivibile, per un fluido termodinamico, ad es. in termini di p, v:
du =
∂u
∂T
dT +
v
∂u
∂v
dv
(3)
T
ovvero secondo la scelta più conveniente delle variabili indipendenti utili a definire l’energia interna; in particolare,
per un gas perfetto, la 1 derivata parziale è uguale a cv , mentre la 2 derivata è nulla (cv dipende solamente dalla
a
temperatura, così come cp.ed
IRA
a
anche u e h dipendono dalla sola T.
10
4
Si supponga di avere un fluido OMOGENEO .
Nella
(2) il termine du è esaustivo della totale variazione di energia interna (ovvero la (2) è veramente
u
generale) a patto che in seno al fluido non avvenga una trasformazione chimica in quanto, in questo caso, d non
esprimerebbe più la variazione della sola energia interna termodinamica. In questi casi, infatti, dovremmo
u con la variazione di energia interna totale (du ), che ha l’espressione seguente
du = du + du
(4)
dove du
è il precedente du termodinamico, riferito alla composizione chimica corrente,
sostituire d
t
t
term
chim
term
e la (4) si può
sviluppare in funzione dei tre parametri (T, ν, ξ)
∂u
∂T
du t =
dT +
t
v,ξ
∂u
∂v
dv +
t
T, ξ
∂u
∂ξ
dξ
t
T,
(5)
v
dove ξ è il grado di avanzamento della reazione chimica (variabile da 0 ad 1).
Quando ξ passa da 0 ad 1, ovvero mentre la reazione chimica si sviluppa completamente dall’inizio alla fine, il
fluido non si può definire termodinamico perché il suo stato dipende da tre variabili; nel momento in cui la reazione
chimica si completa, si torna ad avere un fluido termodinamico che non è più, tuttavia, quello iniziale; (ad es. una
miscela di gas combusti diversa dalla miscela reagente iniziale).
Un caso particolare delle trasformazioni termodinamiche (le sole, a rigore, rappresentabili come successione di
stati di equilibrio su un piano termodinamico) è quello delle trasformazioni reversibili.
In una trasformazione reversibile
1
dove ρ è la massa specifica o densità.
ρ
Si ricorda che per l’espansione il lavoro termodinamico reversibile
p
risulterà, per la nostra convenzione dei segni, negativo; l’area
1
p1
tratteggiata in figura:
a = |Lrev|
2
p2
a
v1
4
dLrev = - pdv = - pd
sarà uguale al valore assoluto di tale lavoro, essendo l’area sottesa
v2
v
dalla trasformazione sull’asse v nel piano (p, v).
Ovvero, se si esegue la misura in diversi punti della massa fluida considerata, di alcune grandezze termodinamiche, quali temperatura,
pressione, densità, ecc. si ottengono, per una stessa grandezza, nei diversi punti, gli stessi valori numerici.
Appunti di Macchine
11
Se il sistema è chiuso, cioè privo di scambi di massa con l’esterno e, se si possono trascurare i termini,
dEcin :
dEpot ,
dEpot ≅ dEcin ≅ 0
per una trasformazione irreversibile si potrà scrivere
dL = -pdv + (dQi)I
dove con (dQ )
i I
> 0 si indica il calore d’irreversibilità di 1a specie.
Le irreversibilità termodinamiche possono essere di due tipi, di prima o di seconda specie
dQi = (dQi)I + (dQi)II
dove le irreversibilità di prima specie sono causate da uno o più dei seguenti tre fattori
(dQi)I > 0
sempre!
- attriti (dovuti alla viscosità del fluido e alla rugosità delle pareti a contatto con
esso);
- differenze (variazioni) finite di pressione ∆p in seno al fluido;
- differenze (variazioni) finite di temperatura ∆T in seno al fluido;
mentre quelle di seconda specie sono dovute solo alla presenza di una reazione chimica e non ai precedenti fattori
(dQi)II
> 0, reazione esotermica
< 0, reazione endotermica.
Il (dQ ) figura direttamente nel bilancio energetico dell’energia meccanica, dove
i I
dL = - pdv + (dQi)I
Il (dQi)II influenza direttamente, invece, soltanto i bilanci termici e può, infine, esprimersi come
(dQi)II = -
∂u
∂ξ
dξ
t
v
T,
La distinzione tra i due tipi di calori d’irreversibilità è fondamentale.
Ciò non solo per la diversità delle cause che generano il
(sempre
(dQi)I e il (dQi)II e le diverse possibilità di segno
(dQi)I > 0, mentre (dQi)II >< 0 ), ma anche perché – come già accennato e come vedremo meglio in
seguito – (dQi)I altera direttamente, con la sua presenza, il bilancio del lavoro meccanico mentre (dQi)II , quando è
presente, altera invece quello del calore.
Parlando di attrito non si intende soltanto quello tra il fluido e le superfici di contatto (rugosità delle pareti) ma
anche quello dovuto alla viscosità del fluido stesso, da cui dipende l’energia dissipata nel moto relativo tra particella
e particella a contatto fra loro.
IRA
12
Conviene esaminare l’equazione dell’energia con riferimento ai sistemi che solitamente sono oggetto del Corso
di Macchine. Nel campo delle macchine e degli impianti che le utilizzano, le equazioni
(1) o (2) sono utili
ogniqualvolta si abbia a che fare con un sistema chiuso ovvero senza ricambio di massa (ciò implica impermeabilità
del fluido rispetto alla superficie di contorno fissa o mobile, ma sempre chiusa, che lo contiene). In questo caso, i
termini
dEpot e dEcin sono il più delle volte trascurabili. Ad es., il sistema può essere costituito dalla miscela
carburante in un motore a combustione interna;
dEpot e dEcin possono trascurarsi globalmente nelle fasi di
compressione ed espansione e non in quelle di ingresso dell’aria o della miscela e di uscita dei gas combusti; in
tali fasi, necessarie al funzionamento della macchina volumetrica, la variazione di
dEcin non è trascurabile, ma è
fondamentale ai fini dei bilanci energetici.
Molto spesso ci occuperemo di sistemi aperti, ovvero di sistemi come quello descritto da un fluido che scorre
all’interno di un condotto e che viene in contatto con una superficie mobile, ad esempio quella di un’elica, attraverso
la quale si scambia energia meccanica.
NB.
Il volume fluido delimitato dalla superficie laterale e compreso tra le sezioni A e B (prefissate) costituisce il Sistema Fisico (o meglio il
volume controllato) in studio.
Se questo sistema opera a regime, per le portate in massa vale la MA = MB
= M = cost.
Consideriamo due sezioni (piane o non) A e B; in un certo istante il volume fluido compreso tra A e B costituisce
il sistema cui si riferisce il nostro studio. Si può “seguire” un kg di fluido da A a B registrandone le vicissitudini
termodinamiche con opportuni strumenti di misura e, di solito, i termini dEpot e dEcin non sono trascurabili. Per
quanto concerne la trasmissione di calore verso l’esterno o l’interno, attraverso le pareti, si può utilizzare la (2).
L
Il lavoro termodinamico elementare è, sempre, d . Questo, integrato da A a B, è uguale a quello che possiamo
misurare sulla superficie mobile a contatto con il fluido (ad es. quella dell’elica in figura)?
La risposta è NO.
Vi è una differenza, come vedremo, che può, in certi casi, essere dell’infinito per cento!
Appunti di Macchine
13
Si deve adottare, dunque, una espressione diversa dalla
(2) se si vuole valutare il lavoro scambiato, in un
organo aperto, tra il fluido (per unità di massa) e la superficie mobile. Infatti, il lavoro termodinamico
L globalmente
scambiato, tra A e B, dal kg di fluido, deve scriversi
L = L + (L
lavoro termodinamico
*
A
− L*B )
lavoro tecnico;
lavoro misurabile sull’albero
dell’elica
(scambiato tra fluido e
superficie mobile)
In definitiva, la
(6)
differenza fra il lavoro che il fluido riceve
attraverso le forze di pressione all’atto
dell’ingresso nel condotto e quello che
compie alla uscita dallo stesso (differenza
dei lavori di pulsione all’ingresso e
all’uscita).
(2) è ancora valida purché si tenga conto dell’espressione (6) del lavoro termodinamico5; la (2)
non è, dunque, conveniente nelle applicazioni ingegneristiche dei sistemi aperti, perché in questi interessa valutare
evidentemente il lavoro tecnico, mentre il problema non si pone in un sistema chiuso dove il lavoro che interessa
direttamente è quello termodinamico.
Il lavoro tecnico è il lavoro effettivamente scambiato tra il fluido e la superficie
A
i
mobile; quindi, per un sistema aperto si utilizza la
S
(2) sviluppando L secondo la
(6), per un sistema chiuso la (2) è invece esaustiva poiché per un sistema chiuso
u
il lavoro termodinamico coincide con il lavoro scambiato attraverso le superfici
mobili a contatto con il fluido.
Facendo l’esempio di una macchina alternativa, non si hanno variazioni rilevanti
di energia potenziale e cinetica se le valvole sono chiuse (sistema chiuso); nel
caso contrario (sistema aperto) ciò non è più vero.
È utile ricordare la
(2), che esprime nella forma più generale il principio di
conservazione per un sistema omogeneo:
dQ + dL = du + dEpot + dEcin
(2)
Riprendiamo in esame il sistema aperto precedentemente considerato (condotto + elica): il lavoro che interessa
al tecnico, lavoro tecnico, non coincide con il lavoro termodinamico, ma è la differenza algebrica tra il lavoro
termodinamico e il lavoro di pulsione.
La strada più semplice per valutare il lavoro di pulsione è quella di seguire “lagrangianamente” il fluido nelle sue
successive posizioni, anche se esiste il punto di vista “Euleriano” che fissa l’attenzione su un volume di controllo
all’interno del quale si ha un continuo ricambio di materia (fluido).
5
IRA
È , pertanto, errato dire che la (1) o la (2) perdono di validità nel caso di sistemi termodinamici aperti !
14
Si supponga che nel condotto avvenga un efflusso monodimensionale, ovvero i parametri termodinamici e fisici
siano uniformemente distribuiti su ciascuna sezione; ciò consente di estendere all’intera massa fluida il discorso
precedentemente riferito ad
1 kg. Immaginiamo un elemento fluido cilindrico (di sezione dA e spessore dx) che
attraversa una generica sezione del condotto; la forza che spinge l’elemento oltre la sezione in parola sarà in
modulo pdA ed il lavoro durante l’attraversamento della sezione sarà pdA × dx.
B
A
p
ρ dA dx
La massa dell’elementino fluido è
ed il valore assoluto lavoro per unità di massa sarà pertanto:
lavoro pdA ⋅ dx p
=
= = pv
massa ρ dA ⋅ dx ρ
dove
v
è il volume specifico locale, cioè l’inverso della densità locale ρ.
Nell’attraversamento del condotto da
A a B, il lavoro globale di pulsione sarà dato dalla differenza tra i valori
assoluti dei lavori di pulsione di ingresso e di uscita (ricordando la convenzione sui segni del lavoro, positivo se
esercitato sul fluido e negativo se esercitato dal fluido).
Pertanto:
dL* = −d
p
= − d ( pv )
ρ
LAVORO DI PULSIONE ELEMENTARE
da cui
L*
AB
=
−
pB pA
p
p
−
= A − B = p Av A − p Bv B
ρB ρA
ρA ρB
Il lavoro termodinamico è dunque la somma algebrica del lavoro tecnico e del lavoro di pulsione
dL = dL + dL* = dL − d
p
= dL - d(pv )
ρ
mentre il lavoro tecnico è, ovviamente, la differenza algebrica tra il lavoro termodinamico ed il lavoro di
pulsione
dL = dL − dL* = dL + d
Appunti di Macchine
p
= dL + d( pv )
ρ
15
A questo punto si può ottenere, a partire dalla
(2), l’equazione che viene convenientemente utilizzata quando si
descrivono i sistemi aperti. La (2):
dQ + dL = du + dEpot + dEcin
essendo:
dL = dL − d
p
ρ
diventa:
dQ + dL − d
e definendo la funzione di stato entalpia,
p
= du + dEpot + dEcin
ρ
h:
dh = du + d
p
= du + d(pv)
possiamo scrivere infine:
(2*)
dQ + dL = dh + dEpot + dEcin
La (2*) è l’eq.ne dell’energia nella forma utile per i sistemi aperti con una sola sezione d’ingresso e una di
uscita; in essa compare esplicitamente il lavoro tecnico in luogo del lavoro termodinamico.
Per passare dalla
(2) alla (2*) è necessario, come regola mnemonica, sostituire al lavoro termodinamico il
lavoro tecnico ed all’energia interna l’entalpia.
Ricordiamo che l’errore che si può commettere confondendo i due tipi di lavoro può anche essere dell’infinito per
cento.
Se, ad esempio, l’elica non fosse presente il lavoro tecnico sarebbe nullo; quello termodinamico avrebbe
l’espressione consueta ed in generale sarebbe ≠ 0
L=0
errore relativo
εrelat = 100
0 + L*AB
0
L*AB =
ma:
pA
ρA
−
pB
ρB
;
L = L +L* = L*
AB
AB
= ∞ %!
In una trasformazione reversibile il lavoro termodinamico è sempre dato da
dLrev = - pdv = - p d
se dv > 0 si ha una dilatazione del fluido
(d
L
rev
< 0)
se dv < 0 si ha una contrazione del fluido
(d
L
rev
> 0)
1
ρ
mentre il lavoro tecnico reversibile è determinabile, tenendo conto del lavoro termodinamico e di quello di
pulsione dalla
dLrev = dLrev + d
IRA
p
= - pdv + d(pv) = - pdv + pdv + vdp
ρ
16
ovvero, in una trasformazione reversibile
se dp
> 0 si ha una compressione
se dp
< 0 si ha una espansione
dLrev= vdp
(dLrev
p
Lrev
>0)
(dLrev
2
tecnico
<0).
Nel piano termodinamico (p, v) possiamo rappresentare, sotto forma di
area, sia il lavoro termodinamico che quello tecnico (a patto di considerare
le trasformazioni reversibili).
1
Lrev
termodinamico
v
In un processo isocoro il lavoro termodinamico reversibile è nullo, mentre quello tecnico non lo è; invece, in
un processo isobaro il lavoro tecnico reversibile è nullo mentre non lo è quello termodinamico.
Se un gas perfetto subisce un processo isotermo, dove la trasformazione è rappresentabile con una iperbole
equilatera, il lavoro di pulsione complessivo è nullo
(essendo pv = p/ρ = RT = cost).
A≡B
Facciamo un’ulteriore considerazione: esaminiamo un percorso ciclico
del fluido, quale quello che si realizza in un impianto dotato di tanti elementi
posti in serie e collegati tra loro mediante tubazioni percorse dal fluido, che
subisce diverse trasformazioni termodinamiche, passando da un elemento
ad un altro, e dove lo stato termodinamico finale del fluido è, al termine
delle trasformazioni, uguale a quello iniziale (ciclo termodinamico):
in questo caso
dQ + dL = 0
⇔
dQ + dL = 0
dalle quali discende che
dL = dL
N.B.
In un percorso ciclico il lavoro termodinamico e quello tecnico sono uguali tra loro in quanto tutti i lavori di pulsione (pi/ρi) si
elidono l’uno con l’altro. Nel computo del lavoro di ciclo, non ha senso, pertanto, distinguere il lavoro tecnico da quello
termodinamico.
Trascurando i due termini dell’energia potenziale e di quella cinetica
dEpot + dEcin ≅ 0
la variazione di entalpia d
h è pari alla somma del calore dQ e del lavoro tecnico dL scambiati:
dh = dQ + dL
ovvero, integrando su una qualsiasi trasformazione aperta:
∆h = Q + L
In definitiva, la variazione di entalpia misura il totale scambio di energia tra il sistema aperto e l’esterno; nel
caso di un sistema chiuso tale funzione spetta invece alla funzione di stato energia interna.
Appunti di Macchine
17
Esaminiamo il caso in cui il fluido entri ed esca attraverso più sezioni, come può avvenire, ad es., negli
scambiatori di calore, in reattori chimici o in altre apparecchiature. In questo caso non conviene usare l’energia
specifica (cioè riferita al
Kg di fluido) ma è utile moltiplicarla per la portata massica di fluido e l’ultima formula
assume, nel caso più generale, per un generico sistema aperto, la seguente forma, alla quale si può pervenire
considerando il volume di controllo occupato dal sistema aperto e delimitato dalle sezioni di ingresso (i) e da quelle
di uscita (j) ed effettuando il bilancio energetico del sistema con modalità euleriane:
(
+(
ϕ +P =
+
dove
j
M 2 jh2 j −
j
i
M 2 j gz 2 j −
M2j
j
c22 j
2
)
M 1ih1i +
i
−
11
12
(i)
P
)
M 1i gz1i +
M 1i
i
c12i
2
ϕ
21
22
(j)
ϕ è la potenza termica scambiata e P la potenza meccanica; se il sistema è stazionario (funzionamento a
regime) si ha:
M2 j =
j
i
M 1i cioè la somma delle portate massiche entranti eguaglia quella delle uscenti. Si è
indicato con (j) la generica sezione di uscita e con (i) la generica di ingresso.
Gli organi preposti a fungere da scambiatori di calore non sono, in genere, destinati a scambiare con l’esterno
anche lavoro; la variazione di entalpia misura, allora, il solo scambio di calore. Così pure, gli organi destinati a
scambio di lavoro non sono di solito destinati contemporaneamente a scambio di calore, anche se non sempre
sono assimilabili ad adiabatici. Le macchine, soprattutto se di dimensioni medio-grandi, possono ritenersi, con
buona approssimazione, adiabatiche poiché il calore scambiato è modesto rispetto al lavoro trasferito all’esterno
(basso valore del rapporto: superficie di scambio/volume della macchina).
Alcuni esempi notevoli li abbiamo quindi nelle
macchine adiabatiche, dove
∆h ≅ L
negli scambiatori di calore, dove
∆h ≅ Q
in un condotto rigido ed adiabatico, dove
∆h ≅ 0
Esistono, tuttavia, molti esempi di macchina o componenti di macchina nei quali i due termini macroscopici
dEpot e dEcin non sono affatto trascurabili risultando, talvolta, addirittura dominanti (in particolare dEcin, come
accade sovente negli elementi delle turbomacchine).
In una turbomacchina motrice, ogni stadio è costituito dallo statore (elemento fisso) e dal rotore (elemento
mobile): nel
1°, (statore), l’energia potenziale (di pressione) del fluido viene convertita, in parte e con un certo
rendimento, in energia cinetica, mentre nel
2°, (rotore), detta energia viene nuovamente trasformata, in parte e
ancora con un certo rendimento, in energia meccanica utile.
IRA
18
In effetti, in uno stadio di macchina motrice avviene la doppia conversione energetica:
Energia cinetica fluido
Energia potenziale
fluido
Statore
(ugello)
rotore
Energia meccanica
stadio = statore + rotore
per lo statore (che nelle macchine motrici è costituito da ugelli) per la (2*), si può scrivere, tenendo conto che
dL = 0
dE pot ≅ 0
dh + dE cin = dh + cdc = 0
dQ = 0
In uno stadio di turbomacchina operatrice, in cui lo statore prende il nome di diffusore, avviene la duplice
conversione:
Energia cinetica fluido
Energia meccanica
statore
(diffusore)
rotore
Energia potenziale
fluido
Stadio = rotore + statore
Si tratta, in ambedue i casi, di “turbomacchine” che sfruttano la variazione dell’energia cinetica del fluido per
produrre (nella motrice) o consumare (nella operatrice) energia meccanica; il termine energia cinetica è, dunque,
in questi casi, essenziale ai fini della funzione della macchina!
Osserviamo che, nei due casi precedentemente esaminati, la sequenza delle conversioni energetiche è
opposta: nel
1° caso (macchina motrice) si ha produzione di energia meccanica a spese del potenziale
energetico del fluido; nel
2° caso (macchina operatrice) l’energia meccanica consumata conferisce un
incremento del potenziale energetico del fluido.
Appunti di Macchine
19
Si esamina, ora, sempre da un punto di vista macchinistico ed impiantistico, il
Termodinamica. Ricordiamo che il
2° principio della
1° principio è il principio di conservazione dell’energia, mentre il 2° principio è
quello che stabilisce la direzione dell’evoluzione dell’energia a seguito di una qualsiasi trasformazione o processo
termodinamico.
Possiamo esprimere il
importanti sono:
2° principio attraverso più enunciati diversi ma equivalenti fra loro; i più noti ed
“Non è possibile realizzare un trasferimento di calore (energia termica) da un
corpo ad una certa temperatura ad un altro a temperatura superiore a meno
che non si intervenga dall’esterno con una opportuna azione compensatrice 6”
(enunciato di Clausius7)
“È impossibile realizzare un ciclo motore che sia monotermodiabatico
(ovvero in cui il fluido scambi calore con una sola sorgente a temperatura
definita)”
(enunciato di Lord Kelvin8)
Quest’ultima è la formulazione più eloquente dal punto di vista delle applicazioni impiantistiche.
Al 2° principio è direttamente collegata l’introduzione della funzione di stato entropia
massa del fluido) il cui differenziale è dato da:
dS =
dQ rev
T
=
dQ
T
+
S (riferita all’unità di
dQi
T
dQi = (dQi)I + (dQi)II è la somma dei calori di irreversibilità di prima e di seconda specie
precedentemente introdotti, dQ è la quantità di calore effettivamente scambiata dal fluido con l’esterno e dQrev è la
quantità di calore che verrebbe scambiata con l’esterno qualora la trasformazione avvenisse per via reversibile. T è
dove
sempre la temperatura assoluta.
Ricordando che
ed anche che
dQrev + dLrev = dh
dQrev + dLrev = du
possiamo scrivere
dS =
du dLrev dh dLrev
−
=
−
T
T
T
T
dS =
ed infine
dS =
du pdv
+
T
T
dh vdp
−
T
T
queste espressioni dell’entropia sono fondamentali ed ampiamente utilizzate nei pratici calcoli impiantistici.
6
7
8
IRA
Ovvero “Non è possibile un trasferimento SPONTANEO di energia termica da un corpo più freddo ad uno più caldo”.
Rudolf Julius Emanuel Clausius, (1822-1888), fisico tedesco.
William Thomson (nominato Lord Kelvin), (1824 - 1907), fisico inglese, nato a Belfast, Irlanda.
20
Il concetto di RENDIMENTO
Definiamo il rendimento di un ciclo termodinamico motore, cioè di un ciclo produttore di energia, come
η=
L
=
Q1 Q1
dove i termini energetici sono riferiti all’unità di massa,
Q1
è il valore (positivo) del calore entrante nel sistema
attraverso le sorgenti superiori, mentre il lavoro (qui inteso in valore assoluto) è indifferentemente quello tecnico o
quello termodinamico dal momento che ci riferiamo all’intero ciclo.
η=
La precedente si può anche scrivere
essendo
Q1 − Q2
Q1
= 1−
Q2
Q1
L = L = Q1 _ Q2
dove Q è il valore assoluto del calore che il sistema cede all’esterno attraverso le sorgenti inferiori.
2
Conseguentemente, la perdita di rendimento,
dove
θ
θ,
è
Q2
= θ = 1− η
Q1
può esprimersi come prodotto di tre termini, ciascuno dei quali tiene conto di tre distinti effetti
termodinamici, i quali comportano, singolarmente, una perdita di rendimento:
9
1) Effetto Carnot ;
2) Effetto di molteplicità delle sorgenti;
3) Effetto Clausius o di irreversibilità.
9
Nicolas Léonard Sadi Carnot (1796-1832), scienziato francese.
Appunti di Macchine
21
1) Effetto Carnot
Q1 < Q1c
3
2
T1
ciclo qualsiasi inscritto
in un ciclo di CARNOT
ciclo di Carnot
1-2-3-4
Q1c
T
Q2 > Q2c
T2
1
4
Q2c
S
∆S
In un ciclo di Carnot, ovvero in un ciclo reversibile che operi tra le due medesime temperature assolute
T1
e
T2 , rispettivamente massima e minima, del ciclo considerato, si definisce perdita di rendimento (o effetto Carnot):
θc =
perdita di rendimento di
Carnot
Q2c T2 S T2
=
=
Q1c T1 S T1
(< 1)
Si deduce che, fissate due temperature estreme T e T , il ciclo di massimo rendimento, evolvente tra tali
1
2
temperature, è quello di Carnot. In altre parole un qualsiasi ciclo termodinamico ha rendimento non superiore a
quello di un ciclo di Carnot, ηC, evolvente tra le medesime temperature estreme, T1 e T2.
2) Effetto di molteplicità delle sorgenti
Consideriamo ancora un ciclo reversibile, che evolve tra le temperature
T1 e T2, “dialogando” con un numero
qualsivoglia (anche infinito) di sorgenti esterne e calcoliamo la perdita di rendimento
temp. max delle
sorgenti superiori
T
Gli scambi di calore tra il fluido e
T
l’esterno avvengono in “gamme”
Q1rev
1
A
(1)
di temperature e in genere non a
B
(2)
temperatura costante.
T
temp. min. delle
T’
T’’
2
Q2rev
sorgenti inferiori
S
Sono indicati con (1) e (2) rispettivamente il percorso del ciclo con assorbimento di calore e quello con cessione
di calore.
Calcoliamo la perdita di rendimento di un Ciclo reversibile che approssimi il Ciclo reale nel suo percorso
per il teorema
termodinamico:
della media
dQrev = TdS
Q
θ rev = Q2rev =
1rev
ovvero
θrev =
( 2)
T
S
= m2
'
T dS Tm1 S
dove
'
'
Tm1 ∈ [Tmin
, Tmax
= T1 ]
''
''
]
Tm2 ∈ [Tmin
= T2 , Tmax
è
(1)
Tm2
Tm1
che, in forma più utile, diventa
IRA
T ''dS
rapporto tra le temperature assolute medie delle
sorgenti inferiori e superiori
θrev =
Tm 2 T2 T2
⋅
= ξM.S. θc
Tm1 T1 T1
22
ξ M.S. =
avendo posto
Tm2 T2
Tm1 T1
denominatore è certamente
ξ M.S. ≥ 1
,
termine chiaramente
≥ 1 perché il numeratore è certamente ≥ 1 ed il
≤ 1 . Sarà ovviamente anche θrev ≥ θc e quindi ηrev ≤ ηc.
è il coefficiente o fattore di molteplicità delle sorgenti.
Ciò significa che in un ciclo che presenti molteplicità di sorgenti (gli scambi termici avvengono in genere a
temperature variabili) il rendimento si allontana tanto più da quello del Ciclo di Carnot, quanto minore è il rapporto
fra la temperatura media e la massima delle sorgenti superiori e quanto maggiore è il rapporto fra la temperatura
media e la minima delle inferiori; in altri termini, quanto maggiori sono i “range” nei quali sono distribuite le
temperature delle sorgenti superiori e le temperature delle sorgenti inferiori, sempre a parità di temperatura
massima T e minima T .
1
2
3) Effetto Clausius
L’effetto Clausius tiene conto delle irreversibilità (di sola prima specie, essendo assenti quelle di seconda specie
trattandosi di un ciclo termodinamico, ove le reazioni chimiche non posso essere presenti). Consideriamo la perdita
di rendimento di un ciclo reale
θr =
ed essendo
dS =
dQ
rev
T
dQ
=
T
+
(dQ )
T
i I
Q2r
Q1r
possiamo scrivere che
( )
dQ = TdS − dQ
i I
e quindi i valori assoluti di Q1r e Q2r saranno espressi da:
Q1r =
(1)
TdS − QiI (1)
Q2r =
( 2)
TdS + QiI ( 2 )
Di conseguenza:
θr =
Tm2 S + QiI(2)
Tm1 S − Q iI(1)
>1
=
Tm2 1 + Q iI(2) Tm2 S Tm2 1 + Q iI(2) Q 2rev
=
= θ rev
Tm1 1 − Q iI(1) Tm1 S Tm1 1 − Q iI(1) Q1rev
è evidente che il fattore di Clausius è
ξCLAUSIUS > 1
e che
CLAUSIUS
= θc
M.S.
CLAUSIUS
<1
θr > θrev , ovvero ηr < ηrev.
In un ciclo motore reale la perdita totale è, dunque, il prodotto di tre fattori distinti che possono,
convenientemente, essere determinati individualmente. Sia
rispetto a
ξ M.S. che ξCLAUSIUS maggiorano la perdita di rendimento
θc (perdita di Carnot).
L’effetto Clausius cresce a misura che le SORGENTI ENTROPICHE interne al ciclo si fanno via via più
cospicue. Il coefficiente di Clausius,
ξCLAUSIUS , può, dunque, definirsi GRADO di IRREVERSIBILITA’ del ciclo, ed
aumenta in funzione delle irreversibilità tendendo ad assumere valore 1 per un ciclo reversibile.
Se si vuole aumentare il rendimento termodinamico di una macchina termica, occorre, innanzitutto, minimizzare
– compatibilmente con le tecnologie disponibili - il valore di
un’ottimizzazione progettuale ai fini di minimizzare sia
θc (cioè il rapporto T2 T1 ) ed inoltre realizzare
ξ M.S. che ξCLAUSIUS nel rispetto dei vincoli tecnici ed
economici certamente presenti.
Appunti di Macchine
23
Facciamo un esempio in cui l’effetto Clausius è concentrato nelle due trasformazioni adiabatiche (compressione
1-2 ed espansione 3-4) in un ciclo derivato da un ciclo di Carnot.
Adiabatiche ma non
T
reversibili
Q1
2
T1
T2
3
1
4
Q2
∆Sa
∆S
∆Sb
S
Il rendimento reale sarà sempre
ηr = 1 − θ r
dove
θr =
T2 ( Sa + S + Sb ) T2
Sa + S b
1+
=
T1
T1 S
S
scomponendo le perdite nei tre contributi individuati precedentemente, possiamo scrivere che
θc =
T2
T1
(perdita di Carnot)
ξM.S. = 1
(Tm2 = T2 ; Tm1 = T1 ) (sorgenti inferiori e superiori a temperatura costante)
ξCLAUSIUS = 1 +
∆Sa + ∆Sb
∆S
Si nota come le irreversibilità di prima specie si “pagano” alle sorgenti inferiori, come incremento di
Q 2r = Q 2rev + T2 ( ∆Sa + ∆S b ) rispetto al caso reversibile e a parità di Q1r = T1∆S = Q1rev .
IRA
24
Si utilizzi il 2° principio della termodinamica per ricavare, a partire dalla forma “termica” (2*), l’equazione
dell’energia in forma “meccanica”. La forma “termica”, per un sistema aperto, è quella sinora considerata:
dQ + dL = dh + dEpot + dEcin
Se in seno al fluido avviene una reazione chimica (ad es. una combustione), allora scriviamo
dht = dh +
dh t = dh − d ( Q
da cui
Nel caso in cui
ϑht
dξ
ϑξ
ϑht
ϑu t
dξ = − d (Q i )II =
dξ
ϑξ
ϑξ
dove
i )II
d( Q i )II ≠ 0 , la precedente assume la forma:
(1)
dQ + dL = dht + dEpot +dEcin
ovvero
(1’)
dQ + d(Qi)II + dL = dh + dEpot + dEcin
La
(1), scritta per un sistema aperto, indica che, a parità di variazione di stato del fluido, nonché a parità di
lavoro tecnico scambiato con l’esterno, la presenza del termine
d(Qi)II altera il bilancio dell’energia termica
(calore).
Facciamo riferimento, per trattare il caso più generale, all’equazione del bilancio energetico secondo
l’espressione (1), che tiene conto della reazione chimica che si svolge eventualmente in seno al fluido.
Ricordiamo che la variazione elementare di entropia è data da:
dS =
dQrev dQ d(Q i )I d(Q i )II
=
+
+
T
T
T
T
(2)
e che
dQ rev + dL rev = dh
dove d
(3)
h è l’effettiva variazione di entalpia termodinamica.
Lungo la trasformazione reversibile equivalente vale la
per cui
TdS = dQ rev
dQ rev + dL rev = dh
TdS = dh − dL rev
dp
ma, dato che
dLrev = dp =
e dato che
dQ = dQ rev − d(Q i )I − d(Q i )II
ovvero:
dQ = dh −
Appunti di Macchine
e anche la
dQ rev = dh - dp = dh -
dp
dp
− d (Q ) − d (Q )
i I
i II
ρ
25
sostituendo in (1) si avrà:
dL + dh −
dp
− d (Q ) − d (Q ) = dh − d (Q ) + dE pot + dE cin
i I
i II
i II
ρ
ed infine:
dL =
dp
+ dE pot + dE cin + d (Q )
i I
ρ
lavoro passivo,
(purtroppo sempre
dLp > 0
positivo)
(4)
[dLp = (dQi)I]
che rappresenta per l’appunto l’equazione dell’energia in forma meccanica. In maniera analoga, per un sistema
chiuso si otterrebbe:
dL = − pdν + dE pot + dE cin + d (Q )
i I
Questa espressione è del tutto generale ed utile per trovare un riscontro chiaro sul fatto che il
sul bilancio del lavoro, mentre ciò non accade per il
d(Qi)I influisce
d(Qi)II che incide, invece, sul bilancio del calore.
Le due forme dell’equazione dell’energia, quella termica (1) e quella meccanica (4), per la loro provenienza sono
perfettamente equivalenti. Quale delle due è più utile nella pratica? A seconda dei casi potrà essere più
conveniente l’una o l’altra forma.
La (1) ci dice che l’energia fornita al fluido determina complessivamente un aumento globale di entalpia,
di energia potenziale e di energia cinetica oppure che l’energia sottratta al fluido determina una
diminuzione globale di entalpia, di energia potenziale e di energia cinetica.
La (4) ci dice che il lavoro meccanico compiuto sul fluido (caso di una macchina operatrice) ne incrementa
il patrimonio energetico globale in termini di pressione, di energia potenziale e di energia cinetica, mentre
una parte di questo lavoro viene spesa a causa del calore d’irreversibilità di prima specie (sempre positivo)
ovvero che il lavoro meccanico (in valore assoluto) compiuto dal fluido (caso di una macchina motrice) ne
decrementa il patrimonio energetico globale in termini di pressione, di energia potenziale e di energia
cinetica, mentre una ulteriore parte di questo lavoro viene dissipata a causa del calore d’irreversibilità di
prima specie.
In altri termini, le irreversibilità di prima specie si pagano sempre o “in termini di maggiore lavoro speso
(macchine operatrici)” o “di minore lavoro reso (macchine motrici)” per unità di massa del fluido.
IRA
26
Anche per il lavoro termodinamico si può definire l’espressione
dL = − pdν + dE pot + dE cin + d (Q )
i I
dove:
(5)
dEpot = gdz
2
dEcin = d c = cdc
2
Nel caso di lavoro tecnico nullo, quando il fluido non è a contatto con superfici mobili, trascurando il termine
d(Qi)I, nel caso ideale di assenza d’irreversibilità di prima specie (lavoro passivo nullo) dalla (4) si ottiene la nota
10
equazione di BERNOULLI ; se invece è presente il termine
d(Qi)I si avrà l’equazione di BERNOULLI in forma
generalizzata:
0=
dp
+ gdz + cdc + d(Q i ) I
Integrando, se è ρ=cost (liquido) e d(Qi)I = 0, si perviene alla costanza del trinomio di Bernoulli, soddisfatta, per
l’appunto, nel caso di fluido incomprimibile ed in assenza di dissipazioni.
c2
p
+ gz + = cost
2
10
Daniel Bernoulli, (Groninga 1700 - Basilea 1782), scienziato svizzero nato in Olanda.
Appunti di Macchine
27
Rendimento di un Ciclo
Analizziamo il modello fisico-matematico di un ciclo produttore di lavoro e ricaviamo il rendimento
termodinamico, η, del ciclo stesso esaminando i tre casi che seguono:
1)
ciclo ideale
2)
ciclo limite
3)
ciclo reale
questi tre riferimenti corrispondono a tre livelli crescenti di approssimazione alla realtà.
Il
1° modello descrive il ciclo termodinamico percorso da un fluido ideale (inteso come gas ideale) che evolve in
a
una macchina (o meglio in un impianto) ideale o perfetta, ovvero priva di irreversibilità di 1 specie. Il ciclo ideale si
può attribuire soltanto a cicli descritti da gas, prevedendo sovente drastiche semplificazioni per il fluido, dovendo
valere la
p
= RT
ρ
con
cp e cv
costanti;
ricordiamo che
valendo questa
equazione di stato, il
gas è PERFETTO
R=
R
M
varia da gas a gas.
se vale anche questa
condizione, il gas è IDEALE
Il fatto che tutti gli organi costituenti l’impianto siano considerati privi di irreversibilità di
1a specie conduce ad
ignorare completamente l’effetto Clausius.
È, chiaramente, impossibile avere un fluido reale che, nelle applicazioni pratiche della tecnica, si comporti come
ideale; i casi più prossimi sono quelli degli impianti motori a gas, dove il fluido è assimilabile ad un gas perfetto
(ARIA), mentre l’approssimazione a gas ideale (sottoinsieme dei gas perfetti) è più discutibile, perché i calori
specifici non si possono ritenere costanti, a rigore, salvo il caso di gas monoatomici.
a
È opportuno ricordare che nel ciclo ideale sono escluse anche le irreversibilità di 2 specie essendo il fluido in
gioco un gas ideale di composizione chimica invariabile. Questo motivo inserisce un’ulteriore restrizione:
supponendo che in un impianto vi sia una reazione di combustione, il modello del ciclo ideale non può a rigore
applicarsi.
Si potrebbe effettuare la sostituzione del calore di
2a specie prodotto dalla reazione di combustione con un
equivalente calore, Qequiv, fittiziamente scambiato con l’esterno attraverso una superficie opportuna
Qequiv = (Qi)II = - L + ∆Epot +∆Ecin
calore Qequiv fittiziamente scambiato con l’esterno
attraverso una superficie opportuna
tuttavia permarrebbe la contraddizione con quella che è l’”essenza” del ciclo ideale, in seno al quale il fluido non
muta la propria costituzione perché non è ammessa alcuna reazione chimica nell’evolvere del fluido.
Concludendo, possiamo affermare che il Ciclo IDEALE non ha, dunque, considerevoli POSSIBILITA’ di
APPLICAZIONE ma è utile per descrivere qualitativamente le trasformazioni che possono avvenire in un impianto e
il relativo bilancio energetico, qualora il fluido presente nell’impianto sia un gas.
IRA
28
Il
2° modello, quello del Ciclo LIMITE, è uno strumento di calcolo molto valido perché è il ciclo descritto in un
impianto ancora perfetto, privo cioè di irreversibilità di
1a specie, da un fluido reale (lo stesso che si utilizza nel
Ciclo REALE).
Se nell’impianto avvengono reazioni chimiche, il modello del Ciclo LIMITE non trascura le irreversibilità di
2a
specie effettivamente presenti, appunto perché il fluido è reale e può mutare la propria composizione chimica nel
periodo in cui esso evolve attraverso la sequenza delle trasformazioni costituenti il ciclo.
Questo modello di Ciclo è utile per la valutazione previsionale dell’efficienza massima concepibile di un impianto.
Poiché la diversità fra il Ciclo LIMITE e quello REALE è dovuta alla presenza di irreversibilità di
1a specie, il Ciclo
a
LIMITE rappresenta il “limite” di quello “reale” al tendere a zero delle irreversibilità di 1 specie.
Nella misura in cui l’impianto reale viene perfezionato, il rendimento interno (rapporto tra il rendimento reale e
quello limite) aumenta tendendo all’unità; da cui il nome di ciclo limite, “limite” verso il quale tende il ciclo reale a
seguito di graduali miglioramenti nella realizzazione tecnica dell’impianto. Verificando, in sede di collaudo, il
rendimento reale dell’impianto e confrontandolo con il suo rendimento limite si avrà una misura del livello tecnicotecnologico dell’impianto (grado di “bontà” dell’impianto, come si usava dire in passato).
Nella definizione di ciclo limite vi è, tuttavia, una contraddizione: non possiamo, infatti, supporre tutte nulle le
irreversibilità di
1a specie, anche facendo riferimento ad una tecnologia perfetta, prescindendo dalla viscosità del
fluido che è modellato come reale. Possono, infatti, al limite, ipotizzarsi nulli i fattori di perdita delle irreversibilità di
1a specie legati alla costruzione dell’impianto, ma non si può estendere questa possibilità alla viscosità del fluido. In
altre parole il fluido non è perfettibile mentre lo è la macchina in virtù della continua evoluzione della tecnica.
Gli effetti della viscosità del fluido (reale), secondo la convenzione del ciclo limite, si “scaricano” sull’impianto,
costituendo, cioè, un ulteriore fattore di perdita ad esso legato, assimilabile agli altri fattori dipendenti dalla
tecnologia dell’impianto stesso. In definitiva, nel ciclo limite il modello assunto per il fluido è quello reale, facendo
però astrazione della viscosità, assimilata a nulla, i cui effetti vengono “addebitati” al ciclo reale nel computo delle
sue irreversibilità.
Il modello di Ciclo REALE è quello descritto dal fluido reale nella macchina reale, o, meglio nell’impianto reale.
La differenza, rispetto al Ciclo LIMITE, risiede nelle imperfezioni dell’impianto, al quale convenzionalmente si
imputano tutte le sorgenti di irreversibilità di
1a specie, nonché la non perfetta adiabaticità delle trasformazioni
destinate a scambi di lavoro, che si considerano abitualmente isoentropiche in sede limite.
Appunti di Macchine
29
Il Rendimento del Ciclo REALE può essere definito nel modo seguente
rendimento del ciclo
limite (calcolabile)
Dal momento che
ηl
è calcolabile mentre
rendimento interno dell’impianto
(ovvero della macchina), valutabile su
impianti costruiti
ηr = ηl ηi
ηi
è valutabile su impianti già costruiti, possiamo individuare il
rapporto
ηi =
ηr
ηl
< 1
che, tenendo conto delle perdite interne (effetto Clausius) dell’impianto, fornisce la misura di quanto questo si
differenzia dalla perfezione (a cui corrisponderebbe
ηi = 1).
Spesso, lo studio del ciclo reale non viene affrontato per via numerica, perché troppo oneroso dal punto di vista
computazionale, ma lo si valuta in sede di collaudo; evidentemente si verificherà che:
η
id
>
η
l
>
η
r
Adottando macchine (e impianti) dello stesso tipo, ovvero di un certo livello tecnologico,
discostano di pochissimo tra loro. In virtù di questa circostanza, per prevedere
spesso calcolare
ηl
ηi assume valori che si
ηr, in sede di progetto, conviene
e moltiplicarlo per il rendimento interno di impianti simili già realizzati, anziché avventurarsi,
nell’intento di ricavare direttamente
ηr, nella costruzione di modelli matematici estremamente costosi sia in termini
di lavoro di allestimento che di tempo di calcolo (run-time). Si pensi, a proposito, che in un impianto i componenti da
simulare possono essere molto numerosi ed il modello fine di alcuni di essi (ad es. turbomacchine, scambiatori,
condensatori, generatori di vapore, camere di combustione, etc.) può essere complicatissimo e pesantissimo in
termini di oneri di elaborazione.
IRA
30
Il vapor d’acqua
PIANI DI RAPPRESENTAZIONE TERMODINAMICA 11
Prima di iniziare lo studio degli impianti motori a vapore, ci occuperemo del comportamento termodinamico del
fluido operante in tali impianti: il VAPOR d’ACQUA.
Nel caso di un vapore non si può fare riferimento ad un modello di gas ma, piuttosto, alla effettiva equazione di
stato del vapore, oppure alle TABELLE del vapore.
v
I piani termodinamici cui faremo riferimento sono: piano (p- ), piano entropico (T,
di Mollier
12
S), piano entalpico (o piano
per il vapore acqueo) (h, S).
C, punto critico:
Tc = temperatura critica = 374,2 °C = 647,36 K
pc = pressione critica = 221,2 bar (22,12 MPa)
ρ = densità critica = 325,73 kg/m3
curva o campana di Andrews
all’interno della quale le
⇔
isoterme sono anche isobare
v
Il piano (p- ) mal si presta alle discussioni sulle trasformazioni dei vapori perché le variazioni di volume specifico, nel campo del
vapore rispetto a quelle nel campo del liquido (pressoché incomprimibile), sono ENORMI e costringono ad impiegare SCALE DIVERSE
NB.
nelle varie zone del piano. Inoltre il piano (p-
v) è scarsamente utile, come si vedrà meglio in seguito, ai fini dei bilanci energetici.
SISTEMI LIQUIDO-VAPORE
13
La regola delle fasi di GIBBS -HELMHOLTZ
14
fornisce la varianza di un sistema, cioè il numero di informazioni
indispensabile per definire lo stato e quindi il numero di grandezze di stato di cui occorre conoscere il valore per
caratterizzare termodinamicamente un fluido:
ν = N - f + 2 dove N è il numero di componenti indipendenti del sistema ed f il numero delle fasi presenti. Il
componente indipendente è un’unica sostanza di ben definita struttura chimica. Se il fluido è solo aria,
invece è aria umida, cioè una miscela di aria ed acqua, N
N = 1, se
= 2.
La fase è uno stato di aggregazione: aeriforme, liquido, solido, fisicamente identificabile, presente nel sistema.
Nel caso di un gas è N
11
= 1 ed f = 1, segue che ν = 2.
Soltanto le TRASFORMAZIONI REVERSIBILI sono, a rigore, rappresentabili, perché in caso di IRREVERSIBILITA’ non è definibile uno
STATO GLOBALE del fluido, ma soltanto STATI ISTANTANEI LOCALI.
12
13
14
Richard Mollier, (1863-1935), matematico, fisico ed ingegnere meccanico, tedesco.
Josiah Willard Gibbs, (1839-1903), fisico e chimico, americano.
Hermann Ludwig Helmholtz, (1821-1894), scienziato e chirurgo, tedesco.
Appunti di Macchine
31
Nel caso del vapore saturo, sistema acqua-vapore,
N = 1 ed f = 2, segue che ν = 1, mentre nel campo del
surriscaldato, la mancanza della fase liquida riporta la varianza
ν = 2, come nel campo dell’acqua liquida, per la
mancanza della fase aeriforme.
Nel caso di aria umida, sistema aria-vapore, i componenti sono 2 e la fase 1, soltanto quella aeriforme. La
formula precedente dà
ν = 3
ma bisogna ricordare che disponiamo già di una informazione che è quella
riguardante il rapporto in massa vapore/aria o il rapporto tra le rispettive pressioni parziali, così la varianza ritorna
ad essere ν
= 2.
Piano T, S (piano entropico)
curva di Andrews
4
T
CAMPI DI ESISTENZA:
isoterma critica
≈ asse di simmetria
1
LIQUIDO
2
VAPORE SATURO
1
3
3
2
curva limite
curva limite
superiore
4
inferiore
(ovvero vapore alla “minima temperatura
compatibile con la sua pressione”, ovvero
“in equilibrio termodinamico con il
liquido”)
VAPORE SURRISCALDATO (vapore a
temperatura superiore a quella di
equilibrio per la pressione attuale)
GAS
(aeriforme a temperatura superiore a
quella critica)
273,16 K = 0 °C
S
Te
isobara critica
C
T
temperatura di
equilibrio
p = cost
∗
•
P ≈ ke Te5
p
+
piano entropico (T - S)
S
* , zona del liquido
nell’ultimo grafico si individuano le seguenti zone:
+ , zona del vapore surriscaldato
• , zona del vapore saturo
IRA
32
Piano entalpico
o Piano di Mollier per il vapore acqueo
h
p = cost
rette isotermobariche
che all’interno della
campana divergono
muovendosi dal
basso verso l’alto (α
crescente)
T = cost
C , flesso
α
tratto prossimo ad una retta, curva limite
inferiore ma anche inviluppo delle rette
isotermobariche ovvero delle ISOBARE
nel campo del SATURO
tgα =
∂h
∂S
S
nel campo del SURRISCALDATO le ISOTERME (che si raccordano con le ISOTERMOBARICHE nel campo del VAPORE
SATURO) tendono ad assumere
un andamento parallelo all’asse
delle ascisse tanto + quanto +
accentuato è il SURRISCALDAMENTO ovvero quanto + il
vapore tende verso il
comportamento del GAS
PERFETTO
la tangente trigonometrica
di α misura la temperatura
assoluta
= T : la pendenza delle rette isotermobariche del vapore saturo è crescente con p (ovvero con T),
p
esprimendo la temperatura assoluta.
TABELLE DEL VAPOR D’ACQUA
a
Si hanno 2 tipi di TABELLE; la 1 si riferisce al vapore SATURO (v
si riportano le seguenti grandezze:
p
T
hLIQ
talvolta è riportata anche la differenza,
e la differenza
hSAT
SLIQ
= 1) (entro la campana di Andrews15), dove
SSAT
vLIQ16
vSAT
r = hSAT - hLIQ (calore di vaporizzazione)
∆S = SSAT - SLIQ .
Normalmente le tabelle del vapore saturo, per comodità dell’utente, sono ripetute due volte:la prima con step
regolare di p, la seconda con step regolare di T.
15
16
Thomas Andrews, (1813-1885), fisico e chimico irlandese.
Talvolta è riportata la
Appunti di Macchine
ρ (ρLIQ e ρSAT).
33
La
2a tabella (che occupa un grande numero di pagine) si riferisce al vapore surriscaldato ed al liquido (v = 2)
(entrambi al di fuori della campana di Andrews):
T
p
1
1,1
1,2
100
110
h , S e v (oppure ρ)
120
NB.
all’interno di ciascun riquadro si riportano i valori dell’entalpia, dell’entropia e del volume specifico (ovvero della densità) nelle
condizioni di temperatura e di pressione che interessano, che vengono posti sulle righe e sulle colonne della tabella.
Si ha, nel campo del vapore saturo:
x=
dove
Mvap = M vap
Mliq + Mvap Mtot
h =h
Liq
+ rx
dove r = hSat − hLiq ;
S = SLiq +
rx
T
x (compreso tra 0 ed 1) è il titolo del vapore (frazione in massa del vapore rispetto alla massa totale) ed r il
calore di vaporizzazione dell’acqua, alla temperatura corrispondente.
NB.
Per capire l’enorme interesse pratico del PIANO di MOLLIER basta pensare che gli scambi di LAVORO e di CALORE si valutano come
variazioni di ENTALPIA del fluido evolvente. Le tabelle (disponibili su supporto cartaceo e su supporto elettronico) sostituiscono ai fini
pratici l’eq.ne di stato del fluido, che è rappresentabile analiticamente con espressioni molto complesse (alcune inseriscono parecchie
decine di costanti !) valide, ciascuna, in ristrette zone del campo (p, T).
In pratica, si usano prevalentemente le tabelle per calcoli manuali e prevalentemente le formule per calcoli automatici.
IRA
34
IMPIANTI MOTORI A VAPORE
Costituiscono la prima famiglia di impianti motori termici tradizionali, destinati soprattutto alla produzione di
potenza meccanica da utilizzare per la produzione di potenza elettrica, accoppiando alla turbina un alternatore. Si
tratta di impianti a circuito chiuso nei quali si realizza un ciclo termodinamico in senso stretto, descritto dal fluido
motore (H2O).
Iniziamo studiando il circuito dell’impianto a vapore elementare, ovvero l’impianto a vapore di struttura più
17
semplice fra quelle concepibili per vapore surriscaldato (Ciclo di Hirn ).
CICLO DI HIRN
sorgenti termiche superiori
(ANATERMICHE)
flangia di accoppiamento
turbina-utilizzatore:
(è indicato un alternatore)
Q1
sorgenti termiche inferiori
(CATATERMICHE)
T
punto (3)
S
U
punto (2)
Q2
V
punto (4’)
C
punto (1)
E
p >> pa
H2O di refrigerazione
riferito allo
stato reale
punto (0)
P.E.
Z
0*
P.A.
pompa di alimento
Il Generatore di Vapore,
G.V.
V
pozzo caldo”
(depressione)
pompa di estrazione
Generatore di Vapore
(suddiviso in tre elementi
essenziali) costituito da
FASCI TUBIERI collegati
da COLLETTORI
S
∆t ≅ 10 °C
SERBATOIO o bacino di alimentazione
o polmone dell’acqua di alimento
(ipotizzato a cielo aperto)
G.V. è un particolare sistema scambiatore di calore nel quale il
fluido riceve calore a spese di una combustione esterna e, chiaramente, l’ambiente che contiene
il fluido motore (sistema ACQUA--VAPORE) è separato da quello più ampio, in cui avviene la
E
combustione, dalle PARETI METALLICHE attraverso le quali avviene lo scambio di calore.
Queste, per MOTIVI FUNZIONALI e COSTRUTTIVI, nonché per elevare al massimo il rapporto
SUPERFICIE--VOLUME del sistema acqua-vapore, sono in prevalenza TUBIERE.
17
Gustave Adolphe Hirn, (1815-1890), scienziato francese.
Appunti di Macchine
35
Il Generatore di Vapore è costituito da tre elementi principali:
E
Economizzatore dell’acqua di alimento: l’acqua viene riscaldata fino alla temperatu-ra di
vaporizzazione (LIQUIDO SATURO), almeno nei grandi impianti, alla pressione di esercizio (quella
di equilibrio) ed a spese dei cascami di calore contenuti nei FUMI CALDI.
V
Vaporizzatore o BOLLITORE: avviene la vaporizzazione completa dell’acqua (cioè il LIQUIDO
SATURO diventa VAPORE SATURO); il vapore saturo, pressoché secco, è contenuto in un
CORPO CILINDRICO posto nella parte alta del generatore.
S
Surriscaldatore: avviene il surriscaldamento, a pressione costante, fino ad una temperatura che è la
massima nell’ambito del ciclo. Il VAPORE SATURO è prelevato dal CORPO CILINDRICO.
Le due pompe, P.E. e P.A., conducono l’acqua di alimento alla pressione di esercizio che vige in caldaia. Il
vapore surriscaldato giunge alla turbina,
T, dove espande in condizioni pressoché adiabatiche producendo la
potenza meccanica che è poi convertita nell’alternatore in potenza elettrica. Nell’espansore,
T, il fluido subisce
un aumento del suo volume specifico ed una contemporanea riduzione di pressione e temperatura. Data
l’adiabaticità dell’espansione e la circostanza che il ∆Ecin tra monte e valle della turbina è di regola trascurabile, alla
CADUTA di ENTALPIA del vapore, tra le sezioni
3 e 4’ del circuito, corrisponde un pari importo di lavoro tecnico
prodotto.
Il Condensatore,
C, è un particolare scambiatore di calore di grande volume (ospita fluido di bassissima
densità), disposto immediatamente a valle della turbina (per non creare CONTROPRESSIONI allo scarico di
quest’ultima), nel quale, entro fasci di tubi paralleli, fluisce la cospicua portata di acqua di refrigerazione (sono molto
costosi i Condensatori AEROTERMI, ai quali si ricorre in caso di carenza di acqua refrigerante) destinata alla
sottrazione del calore
(Q2)
dal fluido evolvente che deve condensare completamente. L’acqua di refrigerazione
proviene da una grande sorgente naturale (mare, fiume, lago).
Nel Condensatore la condensazione del vapore è totale; il fluido ne esce allo stato liquido pressoché saturo e in
depressione, poiché il condensatore funziona a pressioni dell’ordine di 4÷5 centesimi della pressione ambiente,
ovvero alla pressione di equilibrio corrispondente alla temperatura di esercizio che è di alcuni gradi superiore alla
temperatura dell’acqua di refrigerazione. La condensa viene estratta dal “pozzo caldo” (nella parte inferiore del
C.)
dalla pompa di estrazione, P.E. ed immessa in un polmone (immaginato a cielo aperto in questo impianto
elementare), che funge da “volano” di massa liquida dell’intero impianto. Da questo punto l’acqua di alimento, per
raggiungere la Caldaia,
G.V., dove vige una pressione molto elevata, passa attraverso una pompa di
alimentazione, P.A.. Lungo le tubazioni vi sarà, comunque, una perdita di carico nell’attraversamento P.A.→
G.V.,
di cui occorre tener conto per garantire al fluido la pressione desiderata all’ingresso del G.V..
Il G.V. lo si può considerare uno scambiatore di calore costituito da tre serie di fasci tubieri; all’interno dei tubi vi
è il passaggio dell’acqua di alimento che viene riscaldata dai gas prodotti mediante la combustione di un
combustibile industriale; i gas della combustione lambiscono i fasci tubieri del Surriscaldatore, del Vaporizzatore ed
infine dell’Economizzatore. L’Economizzatore funziona essenzialmente a convezione, mentre nel Vaporizzatore e
nel Surriscaldatore agiscono in modalità combinata sia l’irraggiamento che la convezione.
IRA
36
p (kPa)
0* 1
104
2
3
DIAGRAMMA 1
103
102
0’
10
1
0
0.001
4
0.01
0.1
1
10
v = 1/ρ
100
(m3/kg)
Analizziamo le trasformazioni termodinamiche che interessano l’impianto in esame
DIAGRAMMA 2
(1-2) completa
vaporizzazione
nel G.V.
p (kPa)
(0*-1) pressoché coincidenti
(fase di riscaldamento del
liquido)
surriscaldamento
4
10
0*
(0-0*) compressione
in 2 fasi nelle pompe
10
P.E. e P.A.
3
in questo grafico è rappresentata l’espansione
del il ciclo limite (espansione 3-4) e quella del
ciclo reale (espansione 3-4’) e si prescinde dalle
perdite di carico nel G.V. e nel condensatore;
è opportuno ricordare che le scale sono
logaritmiche
P.A.
103
102
2
1
0’
condensazione completa nel
Condensatore (ISOTERMOBARICA)
P.E.
0
4’
4
1
0.001
Il piano
0.01
0.1
1
10
100
v = 1/ρ
(m3/kg)
(p-v) non è, tuttavia, molto indicativo per caratterizzare le vicissitudini termodinamiche dell’impianto; ad
es., la fase energeticamente rilevante del riscaldamento del liquido
(0*-1) è poco evidenziata, mentre una
trasformazione secondaria, dal punto di vista energetico, cioè quella di compressione del liquido, è “esaltata”
(corrisponde, infatti, al tratto esteso (0
Appunti di Macchine
- 0*)).
37
È opportuno ricordare che
a)
per l’INCOMPRIMIBILITA’ del liquido, le compressioni, nelle pompe P.E. e P.A., sono rappresentate da tratti
prossimi alla curva limite inferiore: rispettivamente (0-0’) e (0’-0*) (diagramma 1);
b)
la VAPORIZZAZIONE ed il SURRISCALDAMENTO del fluido sono isobari in sede limite; in sede reale,
invece, il surriscaldamento si sviluppa a pressione lievemente decrescente per effetto delle PERDITE DI
CARICO nei fasci tubieri;
c)
è evidente la SCARSA SIGNIFICATIVITÀ della rappresentazione del Ciclo di Hirn nel piano (p-v) che
NASCONDE la fase di riscaldamento del liquido, mettendo inutilmente in evidenza quella MECCANICA di
compressione del liquido. Inoltre, essendo molto grande l’escursione del volume del fluido durante il
processo, il diagramma richiede un tracciamento a “settori” e ciò rende materialmente difficile
rappresentare, ad es., l’espansione; in alternativa - come appunto in figura - occorre impiegare scale
logaritmiche.
Analizziamo la situazione sul piano entropico (T-S)
questa isobara è, in
realtà, molto + vicina
alla curva limite e, in
definitiva, 0 e 0*
vengono, in pratica, a
coincidere.
L’isobara si riferisce
alla pressione
d’esercizio in
caldaia.
le isobare, nel campo
del liquido, sono tutte
adagiate sulla curva
limite inferiore
T
3
Espansione
isoentropica
(ciclo limite)
C
1
0
0
2
*
4 4’
NOTA:
nel computo delle
quantità di calore scambiate, quali aree sottese
alle trasformazioni, occorre trasferire l’asse
delle ascisse allo zero
assoluto.
273,16 K
0K
S
Nel caso del ciclo limite, l’area dello stesso computa, per unità di massa, il lavoro di ciclo prodotto (tecnico o
termodinamico) mentre ciò non accade per il ciclo reale, dovendo tener conto dei termini di irreversibilità di prima
specie, d(Qi)I .
N.B. Il lavoro di compressione del liquido nelle pompe (P.E., P.A.) è molto modesto, percentualmente, rispetto al lavoro prodotto dal vapore in
turbina. Per comprenderlo, basta pensare che la quota reversibile, che è la dominante numericamente, del lavoro di compressione, è pari
a
p*0 − p0
ρ
dove ρ è elevatissimo (acqua liquida), mentre la quota reversibile del lavoro di espansione è pari a
dp
ρ
lungo la turbina;
il valore di ρ del vapore in espansione è mediamente molto basso rispetto a quello del liquido!
IRA
38
Tracciamo, sul Diagramma di Mollier del vapore, un impianto “sottocritico” ovvero funzionante con un vapore
surriscaldato a pressione inferiore a quella critica (pc).
3
h
2
x4’
H4’
H4
4
x4 4’
4
C
concentrazioni di vapore
(ovvero TITOLI)
−
= H4'− h0
H4 h0
−
x4 = HH44−hh00
x
1
0*
4'
0
S
Per ciascun organo costruttivo dell’impianto l’equazione dell’energia, in forma termica, trascurando i termini
macroscopici dEpot e
dEcin in quanto non significativi nell’ambito di un intero componente, è la seguente
Q+L=∆
QA,B + LA,B =
ovvero
B
-
A
dove A e B sono gli stati termodinamici che caratterizzano l’ingresso e l’uscita del fluido da ciascun organo.
È evidente, allora, l’utilità del diagramma tracciato; infatti, si ha
TURBINA e POMPE
G.V. e CONDENSATORE
Q=0
L=0
(organi assunti adiabatici),
(organi destinati allo scambio di calore)
∆ =L
∆ =Q
h
Il ∆ fornisce, quindi, una misura del totale scambio di energia specifica (calore/lavoro, per unità di massa).
Appunti di Macchine
39
Ricordiamo l’equazione dell’energia in forma meccanica
dL =
dp
ρ
+ dE pot + dE cin + d (Q i )I
’
Integrando sulla macchina operatrice, di “estremi” A e B , si ottiene
L=
L=
ed in sede limite
B'
dp
A
ρ
B
B'
+ d (Qi ) I
B’ ≠ B
A
dp
A
ρ
trascurando le variazioni di energia potenziale e cinetica tra l’ingresso e l’uscita della macchina.
Per le pompe
Lpompe =
∆p
ρliq
se anziché LIQUIDO si ha VAPORE, a parità di
con
∆p = p0* - p0 ≈ p1 - p0
liq
∆p si avrà un lavoro molto maggiore18.
turbine quello delle pompe è al massimo di solo qualche
≈ cost
Rispetto al lavoro delle
%; se, dunque, si fanno coincidere i due punti O e O* si
commette un errore massimo, nel bilancio energetico globale, di qualche
%. Osserviamo che, tanto minore è la
pressione nel Condensatore, tanto più aumenta l’area del ciclo limite (cioè il lavoro) ed anche in sede di ciclo reale
si avranno analoghi benefici.
La temperatura dell’acqua condensata, nel Condensatore, è di circa
30 °C, molto prossima a quella dell’acqua
di refrigerazione proveniente, in generale, da grandi bacini naturali. Nel Generatore di Vapore la temperatura di
surriscaldamento è di circa
500-550 °C. Impiegare temperature superiori prevederebbe l’utilizzazione di tubi
realizzati con materiali di costo proibitivo per i fasci tuberi più caldi.
Scriviamo le relazioni che esprimono i bilanci di energia nell’impianto in esame
calore fornito dalle sorgenti superiori
Q1l = H 3 −h0 * ≅ H 3 −h0 = Q1r = Q1
dove, secondo una usuale convenzione adottata per i vapori,
H indica l’entalpia del vapore e
h l’entalpia del
liquido;
calore ceduto alle sorgenti inferiori
Q2l = H4 − h 0 = r0 ⋅ x4
Q2r = H4' − h 0 = r0 ⋅ x4'
(sede limite)
(sede reale)
dove r0, calore di vaporizzazione globale alla temperatura di esercizio del vapore, è pari ad
H4 − h0 ; mentre x4’ e
x4 sono i Titoli del vapore, i cui valori sono misurati, sul diagramma entalpico, in corrispondenza ai due punti 4’ e 4
del diagramma precedente; chiaramente x4’ > x4 e ne consegue che Q2r > Q2l , (le irreversibilità del ciclo si
“pagano” al condensatore in termini di aumento di Q2 , ovvero di diminuzione di L a parità di Q1).
18
IRA
A causa della grande diversità di volume specifico, ovvero di densità (ρ) tra liquido e vapore,
(ρLIQ >>ρVAP).
40
Il lavoro specifico del ciclo (per unità di massa) è, trascurando il lavoro speso per le pompe, dato dal lavoro
prodotto dalla turbina:
L
≅ H3 − H4 = Q1 − Q2
(sede limite)
Lr ≅ H3 − H4' = Q1 − Q2r
dove i segni di approssimazione si hanno perché si approssima
(sede reale)
LP.E. + LP.A . ≅ 0
In termini di rendimento possiamo scrivere
Q − Q2 H3 − H4
=L = 1
=
Q
Q
H3 − h0
1
(rendimento limite)
1
ed inoltre
Q − Q2r H3 − H4'
= Lr = 1
=
r
Q
Q
H3 − h0
1
Sappiamo, poi, che
(rendimento reale)
1
ηr = ηi ηl
dove
ηi
è il rendimento interno dell’impianto, ovvero il “grado di
bontà” tecnica e tecnologica dell’impianto stesso.
Nel caso dell’impianto a vapore, finora esaminato, possiamo scrivere
ηi ≅
H3 − H4' = ( ∆H T ) r = = ( L T ) r
ηT L
( T)
H3 − H4 ( ∆H T )
19
che rappresenta il rendimento adiabatico della Turbina, nell’ipotesi di poter confondere
h0
con
h0*. ηi
è,
dunque, il rapporto fra la variazione entalpica della Turbina, nell’espansione reale, e l’analoga variazione
nell’espansione limite.
Il risultato
ηi ≡ ηT
è, evidentemente, non valido nel caso in cui si tenga conto
a) delle perdite di calore verso l’esterno nei vari organi dell’impianto;
b) delle perdite di carico nei condotti (linee di trasferimento, fasci tubieri, etc.);
c) del lavoro delle pompe;
risultando, allora, il rendimento interno dell’impianto funzione del rendimento della Turbina ma anche degli altri
organi dell’impianto, comprese le tubazioni.
19
Nel piano (h - S) si è ipotizzato che la porzione di isobara, 0*1 coincide col tratto 01, cioè con il ramo della curva limite inferiore che
presenta una variazione di pressione continua e rilevante. Ciò non comporta errori particolarmente notevoli sul piano delle valutazioni
numeriche dei bilanci energetici, per effetto della uniforme vicinanza delle isobare fra loro nel campo del liquido.
Appunti di Macchine
41
Valutiamo, infine, la potenza meccanica disponibile alla flangia di accoppiamento Turbina-Utilizzatore
P = M ⋅∆H
in SEDE LIMITE
dove M è la portata del fluido e il
∆H è il salto entalpico limite della Turbina (isentropico);
°
2 membro
in pratica
Pr = M ⋅ ∆ H
P è in kW, M in kg/h, ∆H in kcal/kg;
se:
860
in SEDE REALE
dove
3, 4
3, 4 '
M è ancora la portata del fluido e il ∆H è il salto entalpico reale della Turbina;
°
2 membro
in pratica
se:
3600
P è in kW, M in kg/h, ∆H in kJ/kg.
kg di vapore sono necessari per ottenere un kWh di energia
A questo punto possiamo sapere quanti
meccanica (da convertire in energia elettrica).
Misurando ad es.
Pr in kW, ∆H in kJ/kg ed M in kg/h possiamo scrivere
M ⋅ (∆H3,4) ⋅ ηT
Pr =
3600
che, riferito ad
1=
1 kWh prodotto,
NB. Il valore di (∆
∆H)S ed il corrispondente
valore di m sono validi con condensatori
operanti a basse pressioni e temperature;
contrariamente si avrebbe un (∆
∆H)S
minore ed una m maggiore
Se
kg h
M
= 3.125
P
kW
circoleranno circa 500,
IRA
rendimento adiabatico
della turbina per grandi
impianti
m ⋅1200
⋅ ( 0,87 ÷ 0,91) ci consente di ricavare m
3600
m ≅ 3 ÷ 3.5 kg/kWh
significa che in gruppi da 160,
valore medio del
∆H isoentropico nei
grandi impianti
320 e 640 MW
1.000 e 2.000 t/h di vapore, rispettivamente.
42
Sempre riferendosi al precedente Diagramma di Mollier, ricaviamo il rapporto tra la portata di acqua di
refrigerazione che circola nel Condensatore e la portata del fluido motore, vapore:
bilancio energetico del condensatore
M (H4' − h 0 ) = M c
H 2O
potenza termica ceduta
nel condensatore dal
vapore condensante
ovvero
M , imponendo il
potenza termica asportata
dall’acqua di refrigerazione
2
2O
2O
2O
r0 ≈ 580 kcal/kg ≅ 2400 kJ/kg; c
H 2O
≈ 1 kcal/kg0 C = 4.186 kJ/kg0 C
M H O ≅ 55
M
2
in definitiva
ciò significa che
H 2O
calore specifico
dell’H2O liquida
H 2O
M H O = H4' − h 0 = r0 ⋅ x4' = 580 ⋅ (0.92 ÷ 0.95)
1⋅10
M cH T H cH TH
2O
essendo
H 2O
T
M
per ogni kg di fluido motore che circola nell’impianto occorrono più di 50 kg di acqua di
refrigerazione da far circolare nel Condensatore. Questa quantità è davvero considerevole nel caso di impianti di
grande o grandissima taglia che impongono l’onere di imponenti circuiti di refrigerazione e di una notevole spesa
per il pompaggio dell’acqua di refrigerazione.
In un impianto motore a vapore è conveniente, ai fini del miglioramento delle prestazioni, che la condensazione
del vapore avvenga alla temperatura, ovvero alla pressione più bassa possibile (il condensatore opera in condizioni
prossime all’equilibrio). Chiaramente, il parametro che condiziona lo stato del fluido al Condensatore è la
temperatura del refrigerante disponibile. Poiché, dunque, è essenziale mantenere basse
si limita l’escursione termica dell’acqua di refrigerazione a circa
T e p, nel Condensatore,
10 °C, anche a prezzo di consumarne molta
(50≅60 kg per ogni kg di vapore condensato !), accettando l’onere di imponenti circuiti di refrigerazione, di
elevate superfici tubiere del condensatore e di una notevole potenza spesa per il pompaggio. Imponendo valori più
bassi all’escursione termica dell’acqua si sconfinerebbe in soluzioni troppo onerose in termini costruttivi e di
esercizio.
Appunti di Macchine
43
Ricordando che il rendimento termodinamico di questo tipo di centrali è, per grandi taglie, dell’ordine del
40 %
possiamo determinare il consumo specifico, cioè la quantità di combustibile necessaria per produrre 1 kWh.
r
=
Lr
≅ 0 .4
Q1r
Q1r =
per
Lr = 1 kWh = 860 kcal
possiamo scrivere
1
= 2.5 kWh ≅ 2150 kCal
0.4
e, se la combustione nel Generatore di Vapore avviene con un rendimento, (il pedice b sta per l’inglese “burner”)
b
=
Q1r
= 0.9 ÷ 0.95
mc H i
bruciando gasolio con un potere calorifico inferiore di
dobbiamo utilizzare circa 0.23
10.000 kcal/kg ≅ 42.000 kJ/kg, per ogni kWh prodotto
kg di combustibile.
Considerando che il rapporto tra la massa di combustibile e la massa di vapore, per unità di lavoro prodotto, è
pari 0.08
÷ 0.07 si vede che, per una Centrale da 640 MW, sono necessarie 150 t/h di combustibile. Se dovesse
funzionare, con un coefficiente di utilizzazione pari a
0.8, per un anno di esercizio sarebbe necessario circa un
milione di tonnellate di combustibile.
Analizziamo i parametri-chiave del Ciclo al fine di sceglierne i valori più opportuni ai fini delle prestazioni
dell’impianto:
1° parametro:
temperatura (o pressione) al Condensatore;
2° parametro:
pressione in Caldaia (o pressione di vaporizzazione);
3° parametro:
temperatura di surriscaldamento;
questi 3 parametri definiscono interamente il Ciclo Limite.
Il primo parametro non può essere modulato a piacere dal progettista, essendo vincolato alla temperatura della
sorgente naturale d’acqua impiegata per la refrigerazione e al
∆t che si impone all’H2O di refrigerazione (secondo
un compromesso tecnico-economico); per noi, dunque, questo primo parametro può ritenersi pressoché costante.
Per ciò che riguarda le condizioni del generatore di vapore, una volta fissata, al valore minimo consentito dalle
condizioni di progetto, la temperatura al condensatore, le prestazioni dell’impianto elementare in studio, in termini di
LAVORO RESO per
kg di fluido evolvente e di RENDIMENTO TERMODINAMICO, dipendono dalle condizioni del
vapore all’uscita del generatore (si prescinde, discutendo in sede limite, dal rendimento dell’espansione e dalle
perdite di carico e di calore nei condotti); le variabili sono dunque, in pratica, due: la PRESSIONE di
VAPORIZZAZIONE e la TEMPERATURA di SURRISCALDAMENTO.
Si possono effettuare studi intesi ad ottimizzare le scelte di p1 (pressione di vaporizzazione) e di T3 (temperatura
di surriscaldamento), come illustrato ampiamente nel libro “Gli impianti convertitori di energia” del prof. C. Caputo.
IRA
44
In sintesi, tuttavia, tenendo conto dell’esigenza di ottenere, a fine espansione, titoli finali
elevati (0.92
x4’ sufficientemente
– 0.94) e tenendo conto del massimo di T3 intorno ai 550 °C per motivi di economia, si può dire che,
per il Ciclo di Hirn, le pressioni
dell’ordine di 500
p1 possono raggiungere valori dell’ordine di 40 ÷ 45 bar con temperature T3
÷ 550 °C.
Il titolo x4’ non deve essere inferiore ai valori indicati per evitare il danneggiamento erosivo dell’acqua liquida
sulle palettature degli ultimi stadi della turbina. D’altronde x4’ non deve essere troppo elevato, per evitare che, in
certe condizioni di esercizio, il vapore possa uscire allo scarico della turbina in condizioni di surriscaldato: ciò
provocherebbe un sovraccarico termico inaccettabile per il condensatore, che necessiterebbe di una sezione
desurriscaldante, operante con coefficienti di scambio termico globali molto bassi e potrebbe risultare anche
compromessa la stabilità di esercizio del condensatore stesso, governata dalla pressione di esercizio all’equilibrio
(in condensazione).
Nei grandi impianti si è imposta la scelta progettuale del doppio surriscaldamento; vediamo quali sono i
vantaggi. Innanzi tutto le potenze in gioco devono essere tali da giustificare l’elevato onere dei costi d’investimento
per conseguire un maggiore lavoro specifico, a parità di potenza termica fornita.
Appunti di Macchine
45
Consideriamo un impianto in cui il vapore percorra un Ciclo di Hirn e suddividiamolo nel seguente modo:
T
Q1I
Ciclo I - triangolare
Ciclo II - di Carnot
(rettangolare)
3
Q1III
Q1II
Q1I , calore di riscaldamento
2
1
Q1II , calore di vaporizzazione
III
II
Q1III , calore di surriscaldamento
I
0
Ciclo III - trapezio
mistilineo
A
B
4’
4
S
Fissando la nostra attenzione sul ciclo reale supponiamo di suddividere l’impianto in tre impianti parziali,
interfacciati dinamicamente tra loro, nei quali circola la stessa portata, ciascuno dei quali opera secondo uno dei
cicli I,
II, III che ammettono, evidentemente, trasformazioni termodinamiche comuni (adiabatiche isoentropiche)
che si svolgono, in senso opposto in due impianti contigui. I tre impianti devono, pertanto, ritenersi dinamicamente
connessi ed i lavori adiabatici isoentropici di interfaccia si elidono fra loro nel bilancio energetico globale.
Il rendimento termodinamico,
mentre, per i tre cicli parziali, I,
η, dell’impianto effettivo è
η= L
Q1
II e III possiamo scrivere
Lavoro della turbina
ηI = L I
Q1I
ηII = L II
Q1II
ηIII = L III
ed essendo:
L = LI + LII + LIII
Q1III
media pesata dei
rendimenti parziali,
dove i pesi sono i
calori Q1 forniti dalle
sorgenti superiori ai
singoli impianti
si ha
=
L I + L II + L III
=
Q 1I + Q 1II + Q 1III
I
⋅ Q 1I + II ⋅ Q 1II + III ⋅ Q 1III
Q 1I + Q 1II + Q 1III
È utile osservare che
ciclo fortemente penalizzato
dall’effetto di molteplicità
delle sorgenti (ridotta la
temperatura media delle
sorgenti termiche superiori)
ηI < ηII < ηIII
l’effetto della molteplicità delle sorgenti è
favorevole; pertanto, questo ciclo è
premiante ai fini di η, (elevata temperatura
media delle sorgenti termiche superiori)
rendimento di un ciclo di
Carnot, operante tra T0 e
T1, quindi massimo in
tale intervallo termico
e, ricordare che
T
ξ M.S. = Tm2 2
Tm1 T1
IRA
46
Il valore di
ηIII è intermedio fra il rendimento di un Ciclo di Carnot operante tra T0 e T1 e quello di un altro Ciclo
di Carnot operante tra T0 e T3.
Per enfatizzare l’utilità di
ηIII si può percorrere la strada del surriscaldamento multiplo, ovvero quella di un solo
surriscaldamento, ma elevandone la temperatura. Per ridurre l’effetto negativo di
ηI
si può percorrere una sola
strada, quella di procedere ad una rigenerazione termica (operazione molto conveniente, anche se – come
vedremo – il grado di rigenerazione non dovrà mai essere unitario). Un limite alla possibilità di spingere al massimo
il grado di rigenerazione termica è infatti costituito dall’effetto Clausius; non conviene, cioè, come meglio vedremo in
seguito, somministrare l’intero calore di surriscaldamento del liquido per via rigenerativa.
Aumentare la temperatura massima del Ciclo di Hirn
di problemi: quello del
caldi e quello delle
(t3, temperatura di surriscaldamento) comporta due ordini
COMPORTAMENTO oltre il limite elastico del metallo impiegato per i fasci tubieri più
CORROSIONI dovute, soprattutto, all’impiego di combustibili economici. Tali problemi sono
imponenti per valori della temperatura di surriscaldamento superiori a
550 °C, ma non conviene superare questi
valori di t3, anche per motivi inerenti alle pressioni di ottimizzazione. Eccessive pressioni in caldaia, scelte ai fini del
rendimento del Ciclo di Hirn, condurrebbero a titoli troppo bassi del vapore alla fine dell’espansione.
Soprattutto per ovviare a queste limitazioni si adottò la tecnica del
DOPPIO SURRISCALDAMENTO per
gli impianti di grande e grandissima taglia.
In pratica si realizzano grandi gruppi con doppio (raramente triplo) surriscaldamento e, simultaneamente, si
effettua la rigenerazione termica; negli impianti di media dimensione si adotta la tecnica, più economica, del
semplice surriscaldamento. Con il doppio surriscaldamento la pressione p1 può salire a valori da
150 bar in poi
(esistono anche soluzioni iper-critiche), mentre la pressione del secondo surriscaldamento può essere dell’ordine di
40 bar).
Appunti di Macchine
47
La configurazione del Ciclo, nel caso di doppio surriscaldamento, è mostrata nel piano entalpico (si può operare
a pressioni molto elevate, talvolta superiori a quella critica, ottenendo un titolo conveniente alla fine dell’espansione)
3*
N.B. 3 e 3* sono sulla medesima
isoterma ossia t3 = t3*
3
h
SH
(surriscaldatore)
2
4’
4*
RH
(risurriscaldatore)
4*’
1
0
S
Occupiamoci, ora, della
RIGENERAZIONE TERMICA, grazie alla quale migliorano notevolmente le
prestazioni dei grandi impianti e, in particolare, il loro rendimento termodinamico.
L’effetto di molteplicità delle sorgenti è, nel ciclo
I (triangolo mistilineo 01A) particolarmente severo, in quanto
le sorgenti anatermiche si distribuiscono, lungo la fase di riscaldamento del liquido, praticamente dalla temperatura
minima
T0 alla temperatura massima T1. Il ciclo parziale I incide pesantemente sulla media pesata dei rendimenti
e si vuole, dunque, neutralizzarne, o per lo meno limitarne, l’effetto sfavorevole sul rendimento complessivo.
Osserviamo che
interamente per
ηI non comparirà nell’espressione di η se il calore Q1I non è prelevato dall’esterno, ma fornito
SCAMBIO INTERNO dal fluido stesso, nel corso della sua evoluzione, per via rigenerativa.
Si può, secondo una prima ipotesi, pensare di sottrarre calore al vapore durante la sua espansione ed
impiegarlo, convenientemente, per riscaldare il liquido sino alle condizioni di vaporizzazione.
IRA
48
Facciamo riferimento ad un Ciclo di Hirn nel piano
T
Q1III
Q1II
Q1I
(T-S), per semplicità in sede limite.
3
2
1
3
Si suppone che la trasformazione
3 − 4 sia realizzata
CONGRUENTEMENTE con la trasformazione 0-1
A
0
4
B
4
0 °C
0 K
273,16 K
S
Durante la fase di espansione possiamo procedere ad una espansione adiabatica isoentropica fino a
l’evoluzione
3;
3 → 4 non è adiabatica, ovvero il vapore può drenare calore verso l’esterno: possiamo pensare di
sostituire l’espansione
3 → 4 con la 3 → 4 .
Durante questa espansione,
3 → 4 , il calore asportato è uguale a quello utilizzato dall’acqua per riscaldarsi da
0 →1. L’integrale di TdS da 0 a 1 rappresenta il calore richiesto per il riscaldamento dell’acqua. L’area sottesa da
4 a 3 rappresenta il calore drenato dal vapore e ceduto all’acqua di alimento.
Un impianto del genere è, tuttavia, improponibile perché si dovrebbero avere superfici di scambio immense ai
fini di un’efficienza elevata (mai comunque unitaria) dello scambiatore rigenerativo; inoltre l’espansione
3→4
porterebbe il vapore a titoli inaccettabili (contenuto certamente eccessivo di liquido) per un funzionamento
accettabile della turbina.
La Rigenerazione Termica per sottrazione di calore dal vapore in espansione è, in pratica,
e, comunque,
IRREALIZABILE
NON CONVENIENTE. Irrealizzabile perché le superfici delle casse delle turbine di espansione
non sono sufficientemente estese – neppure praticandovi fittissime alettature – per consentire i ragguardevoli
scambi di calore richiesti; non conveniente perché il titolo del vapore, al termine dell’espansione, risulterebbe troppo
basso, compromettendo non solo, quanto meno, il rendimento interno della turbina, ma anche la sua integrità.
Infine, enormi problemi di regolazione sorgerebbero ai carichi parziali dell’impianto.
Lo stesso
espansione,
EFFETTO RIGENERATIVO si può ottenere, invece, SOTTRAENDO, durante la fase di
VAPORE anziché CALORE. O meglio, anziché sottrarre una parte del calore possibile all’intera
portata di vapore, si sottrae l’intero calore disponibile ad una porzione (appositamente spillata) della portata di
vapore.
Si può procedere quindi, prelevando una parte del vapore che si sta espandendo in turbina
(SPILLAMENTO
del vapore) per riscaldare l’acqua di alimento; questa porzione di vapore spillato non espande in turbina e non
produce, pertanto, potenza utile, ma viene ad essere utilizzato al
spillato continua la sua espansione
100 % per scopo rigenerativo. Il vapore non
INDISTURBATO, raggiungendo il TITOLO che gli compete alla fine
dell’espansione adiabatica.
Appunti di Macchine
49
RIGENERAZIONE TERMICA a gradini, ormai universalmente
Quello sopra descritto è il principio della
applicata negli Impianti a Vapore di media, grande e grandissima taglia.
La rappresentazione del ciclo rigenerato è riportata, ancora sul piano
(T-S) (entropico), in figura:
3
T
1° spillamento
X1
2
1
x1
x2
x3
2° spillamento
.
.
ecc.
X2
X3
Xz
xz
0
4 4’
0 °C ≡ 273,16 K
0K
S
Si definisce grado di rigenerazione (totale):
R = h x1
−h0
h1 − h 0
il rapporto tra il calore di riscaldamento dell’acqua conferito per via rigenerativa ed il calore totale di riscaldamento
dell’acqua. Se indichiamo con
λ il calore totale di riscaldamento del liquido, che è h1-h0 , si potrà scrivere:
R = h x1 h 0
λ
−
e, definendo:
R i = h xi
− h x ( i+1)
λ
il generico grado di rigenerazione parziale dovuto all’i.mo rigeneratore sarà, ovviamente
R=
z
i
Ri
1
La
RIGENERAZIONE CONTINUA, come caso limite, prevede una successione infinita di prelievi di
vapore di portata infinitesima, durante l’espansione
(3-4’), ciascuno dei quali eleva in misura infinitesima la
temperatura (e quindi anche l’entalpia) dell’acqua di alimento. Conseguentemente, in siffatto processo, del tutto
ipotetico, non sussisterebbero irreversibilità per
∆T finiti fra i due fluidi entranti nel generico microscambiatore e
l’effetto CLAUSIUS non entrerebbe in gioco.
IRA
50
Senza ricorrere alla
RIGENERAZIONE CONTINUA, di fatto irrealizzabile, analoghi benefici, anche se in
misura meno elevata, sono ottenibili se gli spillamenti sono in numero
(z) finito anziché infinito (ad es. z ≤ 6÷7). Si
può vedere, peraltro, che quando il numero di spillamenti è piuttosto elevato (appunto
6÷7) tale beneficio è
cospicuo e di poco aumenterebbe se, pur con notevole incremento di costi e di complicazione dell’impianto, si
aumentasse ulteriormente z.
In conseguenza di quanto detto, oggi, quasi tutti gli Impianti a Vapore di taglia elevata sono provvisti di
RIGENERAZIONE a GRADINI e DOPPIO SURRISCALDAMENTO.
Raggiungere un grado di rigenerazione unitario
all’aumentare di
(R = 1) non risulta conveniente, perché, nella misura in cui
R, a parità di z, aumenta l’effetto (positivo) della molteplicità delle sorgenti per l’incremento della
temperatura media delle sorgenti superiori, aumenta simultaneamente l’effetto Clausius (negativo) legato al fatto
che aumenta la differenza (finita) di temperatura,
∆t, tra il vapore spillato e l’acqua di alimento entranti nel generico
rigeneratore.
Si sceglie, allora, una soluzione di compromesso.
Per
z → ∞ si parla di RIGENERAZIONE CONTINUA; essa, pur se non realizzabile, è importante da un
punto di vista didattico e costituisce un tetto superiore alle prestazioni conseguibili.
Si vedrà in particolare che all’aumentare di
η
R, per z → ∞, aumenta progressivamente il massimo rendimento
conseguibile in quanto si risente sempre più dell’effetto migliorativo della molteplicità delle sorgenti, mentre
l’effetto Clausius tende ad attenuarsi sempre più.
Appunti di Macchine
51
LA RIGENERAZIONE A GRADINI. GENERALITA’
L’impianto a Ciclo di Hirn dotato di rigenerazione con
z gradini corrisponde al diagramma (h, S) ed allo schema
indicati nelle figure sottostanti.
3
h
λ = h1 - h 0
X1
2
X2
R=
Xz
4’
4
C
α
1
T
x1
λ
hx1
h x1 − h 0
λ
=
ϑh
ϑS
p
x2
0x
z
S
Gli spillamenti di vapore sono numerati da
1 a z, da quello a pressione più elevata a quello a pressione più
bassa.
Gli scambiatori rigenerativi (rigeneratori) sono per ora tutti a miscela.
T
A
G.V.
Rx
R1
P.A.
R2
1
2
P.R.
…
P.R.
C
Rz
z
H 2O
P.E.
La singola pompa di ripresa (P.R.) serve a convogliare la condensa ottenuta nel rigeneratore
corrispondenza allo
(i), in
i-esimo scambio, allo scambiatore (i-1) (ovvero al rigeneratore contiguo operante a pressione
più elevata). Ogni rigeneratore a miscela dispone di due ingressi (uno per il vapore spillato ed uno per l’acqua di
alimento) e di un’uscita (per l’acqua d’alimento preriscaldata e mescolata alla condensa dello spillato).
Con
Xi (i=1, z) si indicano i punti sulla curva di espansione ove sono posti gli spillamenti e con xi (i=1, z) i
punti corrispondenti sulla curva limite inferiore. Ai fini dei calcoli, l’acqua di alimento uscente dal generico
rigeneratore (i) è considerata liquido saturo (punto xi).
IRA
52
Per
R = 0 l’impianto non è rigenerato ed il rendimento avrà l’espressione usuale valida per il Ciclo di Hirn
semplice:
R =0
dove
− h0
−h
= 1 − H4' 0
(H3 − h1) +
H 3 − h0
= 1 − H4'
≅1−
f( h0)
f( h1) +
f(h) rappresenta, in funzione di h, il calore disponibile, sotto forma di differenza entalpica, nello spillamento di
1 kg di vapore; si tratta del totale calore messo a disposizione dell’acqua di alimento (dallo stato competente al
prelievo sino alla condensazione completa, secondo un processo isobaro). Dunque:
f(h) = H – h
A parità di h, f(h) avrà un valore dipendente dall’andamento della curva di espansione in turbina.
Qualora si potesse assumere:
f(h) = I = cost
si avrebbe:
R =0
ed il rendimento
R =0
= 1−
I
I+
= 1−
1
1+
I
dipenderebbe esclusivamente dal rapporto λ/I.
Ricordiamo che il Grado di Rigenerazione è la frazione di calore di riscaldamento conferita al liquido per via
rigenerativa rispetto al calore totale di riscaldamento:
R=
h R − h0
λ
(hR = hx1)
mentre il rendimento dell’impianto rigenerato fino ad x1 è
ηR = 1 −
z
H 4 '− h 0
(1 + m0 )[(H 3 − h 1) + (h 1 − h x1)]
Frazione (riferita al condensatore) di
massa spillata in totale nei punti (i) di
prelievo sulla curva di espansione
Appunti di Macchine
53
Ricordando, inoltre, le precedenti definizioni, si ha:
Rλ = hx1 - h0
R
z
=1−
≅1−
(1-R) λ = h1 - hx1
H 4' − h 0
(1 + m 0 )[(H 3 − h 1 ) + (1 − R )
]
=1−
f (h 0 )
(1 + m 0 )[f (h 1 ) + (1 − R
) ]
≅
1
(1 +
m
0
) 1 + (1 − R )
Il valore della frazione
I
m0 (rispetto al condensatore) della massa spillata in totale sui prelievi effettuati lungo la
linea di espansione richiede di effettuare i bilanci termici di tutti i rigeneratori.
RIGENERAZIONE CONTINUA
Un caso ”didattico” di grande interesse è quello della rigenerazione “continua”, ovvero quello di
z → ∞
attraverso un passaggio al limite.
Ogni rigeneratore è un microrigeneratore a cui perviene una portata spillata infinitesima ed il numero di
rigeneratori è infinito. Il caso è privo di interesse sul piano applicativo, ma è ricco di significato sul piano
concettuale, poiché conduce alla determinazione delle prestazioni – in particolare in termini di rendimento –
dell’impianto conseguibili nelle condizioni concettualmente più favorevoli dal punto di vista dell’effetto Clausius.
Per valutare
m0, massa di vapore (o meglio, frazione riferita al
dm
H
condensatore) globalmente spillata in turbina, bisogna effettuare il
bilancio termico del generico microrigeneratore
massa
elementare
di
vapore
spillato,
normalizzata
rispetto
al
condensatore, il calore disponibile sarà
dm (Hx - hx) = (1 + m) dhx
dove
h
(z → ∞); se dm è la
(1 + m + dm)
(1 + m)
h + dh
Microrigeneratore generico
dhx è l’incremento di entalpia dell’acqua di alimento (di massa normalizzata, 1 + m); il 1° termine è il calore
ceduto dalla massa
dm di vapore spillato nel punto generico X sulla curva di espansione, il 2° termine è il calore
assorbito dalla massa del liquido (acqua di alimento).
Possiamo allora scrivere:
dm
dh x
dh
=
≅
1 + m H x − hx f( h )
dove
(1+m) è la massa di liquido che giunge al rigeneratore elementare generico, di cui 1 kg proviene dal
condensatore ed
m conteggia le condense degli spillamenti effettuati a valle del punto X ed inviati nei
rigeneneratori posti a “monte”.
IRA
54
Integrando la precedente si ha
m0
hx
hx
dm
dh x
dh
=
≅
1 + m h 0 H x − h x h 0 f (h)
0
Se fosse
f(h) = I = cost
ln (1 + m 0 ) =
sarebbe
da cui
ln(1 + m0 ) =
dh
h 0 f ( h)
hx
h x1 − h 0 R
=
I
I
e quindi:
m 0 = exp R
Una volta disegnata la curva di espansione
λ
−1
I
3 → 4’, ovvero una volta definito il ciclo reale, si stabilisce una
corrispondenza biunivoca tra hx ed Hx.
Per una generica curva di espansione, la funzione
f(h) ha un andamento del tipo indicato in figura:
f(h)
f(h) = H - h
con entalpie misurate
non si hanno normalmente
scostamenti superiori al 10
% rispetto al valore medio I
I
sulla medesima isobara.
h1
h0
h
Questa funzione spesso si schematizza in prima approssimazione con f(h)
della
≅ cost = I dove I è il valore medio
f(h), nell’intervallo [h0, h1], ricordando che f(h) dipende da FORMA e POSIZIONE della linea
d’espansione nel piano
(h - S).
Con questa ipotesi si compie una analisi termodinamica semplice e significativa, ovvero si perviene a leggi
semplici, approssimate ma vicine a quelle rigorose.
In uno studio più approfondito, di solito, conviene assegnare a
f(h) una forma nella quale compaiono 3 costanti
(forma polinomiale del 2° ordine), del tipo
f(h) = A + B h + C h2
che dà luogo a errori assai contenuti. Si può utilizzare anche una legge inversa (più comoda per la soluzione
dell’integrale di 1/f(h)) del tipo:
f (h ) =
1
a + bh + ch 2
I coefficienti delle leggi di cui sopra potranno essere valutati col metodo dei minimi quadrati, rendendo minimo
l’errore quadratico medio di f(h) nell’intervallo (h0, h1).
Appunti di Macchine
55
Nel caso in cui si assuma
f(h) = cost, l’espressione del rendimento diventa ovviamente:
R (z → ∞ )
1
= 1−
exp R
I
che mostra come tale rendimento, per un ciclo definito (p0,
1 + (1 − R )
I
p1, T3 e curva di espansione assegnati), sia funzione
soltanto del Grado di Rigenerazione, R. Il massimo del rendimento si ottiene cercando il massimo del denominatore
della perdita di rendimento, che – come può verificarsi facilmente – si trova in corrispondenza di
R = 1; possiamo
tracciare il grafico seguente che mostra l’andamento del guadagno relativo di rendimento all’aumentare di
R da 0 a
1.
∆η ηR(z→∞ ) − ηR=0
=
ηR =0
ηR=0
∆η
ηR =0
il massimo si ha
per R = 1
“guadagno” di rendimento
0
Il rendimento è sempre crescente con
Rz
1
R
R, grazie al progressivo miglioramento offerto dall’effetto di molteplicità
delle sorgenti senza l’intervento dell’effetto Clausius mentre, ovviamente, non muta l’effetto Carnot. L’effetto
Clausius dominante, quello dovuto alla differenza finita di temperatura fra vapore spillato condensante ed acqua di
alimento entrante, è infatti nullo grazie al numero infinito di spillamenti (rigenerazione continua).
IRA
56
LA RIGENERAZIONE A GRADINO CON UN SOLO SPILLAMENTO DI VAPORE
3
Esaminiamo, quale caso particolare, un impianto dotato di
h
2
un solo rigeneratore, ovvero un solo spillamento in
corrispondenza al punto
consueto diagramma
X [Hx]
X della linea di espansione. Il
(h -S) è accanto.
In generale le incognite del problema di progetto sono
due
per ogni rigeneratore: portata di vapore spillato e posizione,
sulla linea di espansione
(punto X), in corrispondenza della
4
1
x [ h x]
0
quale si ha lo spillamento.
Lungo l’isobara
S
Xx, la massa m di vapore spillato cede il calore m⋅(Hx- hx).
Questo calore viene somministrato al
entalpico
4’
kg di liquido, in uscita dal condensatore, il quale acquista l’incremento
(hx - h0) = R λ, essendo R = (hx - h0)/(h1 - h0) = (hx - h0)/λ , per definizione di Grado di
Rigenerazione.
Cerchiamo, allora, quel valore o quei valori di
X più favorevoli in termini di rendimento
ηR ,z =1 = 1 −
massa al condensatore
(= 1 kg)
1
H 4' − h 0
(1 + m )[(H 3 − h1 ) + (h1 − h x )]
massa normalizzata corrispondente
all’unico spillamento effettuato
m
Lo schema dell’impianto sarà il seguente
T
R
P.A.
ed in questo caso non ci sono pompe di ripresa
A
X
G.V.
C
H 2O
P.E.
(P.R.), che in genere sono presenti in numero di (z-1) essendo z
il numero di rigeneratori.
Appunti di Macchine
57
Il bilancio termico dell’unico gradino di rigenerazione si può scrivere, per quanto già detto:
m(Hx - hx) = 1 ⋅ (hx - h0)
da cui
m=
h x − h0
Rλ
Rλ
=
≅
H x − h x f (h)
I
si avrà allora
ηR ,z =1 = 1 −
dove
λ = h1 - h0
h x − h0 h x − h0
=
h1 − h 0
λ
f (h0 )
(1 + m )[f (h1 ) + (1 − R )λ ]
20
relazione valida per uno scambiatore a miscela .
f(h) = I = cost
Per
I
ηR ,z =1 = 1 −
dove
R=
ed
1+ R
λ
I
[I + (1 − R )λ]
si avrà:
1
= 1−
1+ R
λ
I
1 + (1 − R )
λ
I
η risulta funzione di R.
Si ha poi
η = ηmax
per il massimo valore del denominatore
Ψ (R ) = 1 + R
ovvero
dΨ (R)
=0
dR
R = R ottimo =
per
Se non avessimo considerato
1
2
1 + (1 − R )
λ
I
0,5 si ha l’espressione di ηmax = 1 −
Nel diagramma si vede che il valore
1
1λ
1+
2 I
ηR=1 − ηR=0
⋅ 100
ηR=0
M
R=
2
B
Z=∞
f(h) = cost avremmo
ottenuto un risultato di poco differente; sostituendo
punti estremi
λ
I
Ψ(R) della perdita di rendimento:
Z=1
A
0
R = 0,5
ηmax si ha in corrispondenza al punto M
1
R
che giace sulla congiungente i
A e B.
Con un solo rigeneratore, per
R crescente da 0 a ½ il rendimento cresce. Per R = 1, il guadagno di
rendimento è nullo come se non si effettuasse la rigenerazione. Quindi, la rigenerazione completa, effettuata con un
solo gradino, non apporta alcun beneficio al rendimento termodinamico del ciclo. All’aumentare di
prevale il progressivo effetto positivo della molteplicità delle sorgenti. Da
Clausius dovuto all’incremento del
∆T
R, da 0 a 0,5
0,5 a 1 prevale invece l’effetto negativo di
tra i fluidi entranti nel rigeneratore. Per
R = 0,5 si ha il compromesso
ottimale.
20
Il RIGENERATORE a MISCELA, di notevole volume, assolve anche alla funzione di POLMONE dell’impianto e, perciò, sostituisce, tra
l’altro, il serbatoio a cielo aperto dell’impianto a circuito elementare.
IRA
58
CENNO AI CASI DI RIGENERAZIONE A GRADINI CON PIÙ SPILLAMENTI DI VAPORE
Si supponga ancora l’impianto di base a ciclo Hirn semplice e si ipotizzi che tutti i rigeneratori siano a miscela. Il
grado di rigenerazione totale R:
R=
h x1 − h 0
( = h1 − h 0 )
Rk
può essere considerato somma dei gradi di rigenerazione parziali
R=
essendo
z
z
k =1
(k= 1,z):
Rk
il numero di spillamenti (e quindi il numero di rigeneratori presenti); il k-mo grado di rigenerazione
parziale Rk sarà ovviamente:
Rk =
e sarà anche: hx
(z+1)
h x k − h x (k +1)
= h0, avendo al solito approssimato h *0 con h0.
L’espressione generale del rendimento termodinamico del ciclo sarà:
R,z
f (h 0 )
= 1−
1+
z
k =1
[ f (h ) + R ]
mk
1
e, ammettendo l’approssimazione:
f(h) ≈ I = cost
R,z
1
= 1−
z
1+
k =1
Il caso di
1+ R
mk
I
z = 2 è particolarmente interessante dal punto di vista didattico, essendo analizzabile con facilità per
via grafica.
Dal bilancio termico dei due rigeneratori:
m2 f(hx2) = 1 × (hx2 - h0)
m1 f(hx1) = (1 + m2)(hx1 - hx2)
che, con l’ammissione semplificativa di
f(h) ≈ I = cost , diventano:
m2 I ≅ R 2 λ
m2 = R 2
m1 I ≅ (1 + m2) R1 λ
λ
I
m1 = 1 + R 2
λ
λ
R1
I
I
per cui
(1 + m1 + m 2 ) =
Appunti di Macchine
1 + R1
I
1+ R2
I
(a)
59
Il grafico in figura mostra gli andamenti di m1, m2 e della loro somma al variare di R2 per un determinato valore
prefissato di R; tale grafico mostra come il massimo valore della somma
del rendimento si consegua, a parità di R = R1 + R2 , per R1
(m1 +
m2), e quindi anche il massimo
= R2 = R/2.
21
Per z qualsiasi, si dimostra facilmente la generalizzazione della (a)
(1 +
)
m k = ∏ k=1 1 + R k
1
z
z
λ
I
e si perviene, per R totale prefissato, alla distribuzione ottimale dei gradi di rigenerazione parziali:
Rk = R/z
che risulta essere quella uniforme. In corrispondenza di essa, risulterà:
(1 +
)
z
mk = 1 +
1
R
z I
z
e si perviene facilmente alla condizione di rendimento ottimale assoluto per z spillamenti in corrispondenza di:
R = R opt =
tale condizione tende ad
Ropt = 1
al tendere di
z
z
z +1
all’infinito, come dedotto indipendentemente analizzando
la rigenerazione continua.
Somma delle portate
normalizzate spillate
m1 + m2
m1
m2
m1
m2
0
21
IRA
R2 ottimo
R
R2
Per maggiore dettaglio, si consulti il libro di testo “Gli impianti convertitori di energia” di C. Caputo, Casa Editrice Ambrosiana.
60
La figura che segue mostra l’andamento del massimo guadagno di rendimento:
=
0
R opt ,z
−
0
0
in funzione di R rispetto al caso di ciclo non rigenerato:
0
= 1−
1
1+
nell’ipotesi di
f(h) ≈ I = cost .
I
z di uno, in corrispondenza di R=1 (rigenerazione completa) si ottiene lo stesso
vantaggio, in termini di rendimento, che si otteneva con z spillamenti e per R ottimale (R = z/(z+1) = Ropt); ciò
Si può notare che, incrementando
è facilmente verificabile a mezzo di una semplice analisi energetica.
Le curve hanno un massimo per
R = Ropt.
A sinistra del massimo, prevale il beneficio in termini di effetto di
molteplicità delle sorgenti rispetto al nocumento in termini di effetto Clausius; a destra prevale invece il secondo. E’
infatti evidente che, a parità di z, all’aumentare di R aumenta la temperatura media delle sorgenti superiori del ciclo
(ferma rimanendo la temperatura delle sorgenti inferiori, pari alla temperatura di condensazione), mentre aumenta il
∆T finito fra la temperatura dei due fluidi entranti nel generico rigeneratore.
Il grafico dei rendimenti evidenzia anche che, all'
aumentare di
z,
l'
incremento di rendimento ottenibile con
l'
aggiunta di uno spillamento è sempre più modesto. Per tale motivo non conviene incrementare il numero di
rigeneratori oltre un certo limite; per impianti di taglia (potenza nominale) molto piccola può essere presente un solo
rigeneratore (che sarà a miscela, ovvero il degassatore), mentre z sarà, in linea di massima, crescente con la taglia
dell'
impianto sino a raggiungere valori di
surriscaldamenti multipli. La scelta di
z
7-8
per le taglie più elevate (molte centinaia di
MW) dei gruppi a
va condotta nell'
ambito dello studio di fattibilità tecnico-economica
dell'
impianto, quale compromesso ottimale fra il guadagno conseguibile in termini di economia di esercizio (grazie
all'
aumento di rendimento) e l'
incremento degli oneri di investimento per la realizzazione dell'
impianto, tenuto anche
Appunti di Macchine
61
conto dell'
affidabilità dell'
impianto stesso che, a parità di livello tecnologico dei suoi componenti, decresce
all'
aumentare del loro numero.
IL CIRCUITO DELL’ACQUA DI ALIMENTO NELLE PRATICHE APPLICAZIONI DEGLI
IMPIANTI RIGENERATI
Si è fin qui ipotizzato, ai fini di disporre di un modello di calcolo semplice capace di fornire risultati in termini
espressioni semplici, generali e facilmente utilizzabili nei calcoli, di ammettere f(h)
≈ I = cost e di impiegare
rigeneratori esclusivamente a miscela. Questi ultimi presentano il vantaggio innegabile di un’altissima efficienza
termica, ma sono per contro ingombranti e pesanti, richiedono elevati spessori del mantello soprattutto per elevate
pressioni di spillamento e, infine, richiedono una pompa di ripresa, posta alla loro mandata, per convogliare l’acqua
di alimento al successivo rigeneratore, funzionante a pressione più elevata del precedente. Se z sono i rigeneratori,
l’impianto necessita di (z-1) pompe di ripresa che si aggiungono alle due pompe di base: quella di estrazione (dal
condensatore) e quella di alimento. Ogni pompa di ripresa, tra l’altro, dovrà essere dimensionata per una portata
dell’ordine della portata massima circolante nell’impianto.
Pertanto, nella pratica realizzazione degli impianti a vapore, vengono impiegati quasi esclusivamente rigeneratori
a superficie, tipicamente costruiti a fasci tubieri; dal lato mantello passa il vapore spillato e dal lato tubi l’acqua di
alimento. La condensa dello spillato di un generico rigeneratore può essere convogliata, anziché al rigeneratore
successivo a mezzo di pompa di ripresa, a quello precedente (funzionante a pressione inferiore) a mezzo di una
valvola di regolazione, come mostrano le due figure successive; la prima figura, (a), corrisponde ad un impianto a
semplice surriscaldamento (ciclo di base Hirn) e la seconda, (b), ad un impianto a doppio surriscaldamento.
Sotto il profilo dell’efficienza termica, il rigeneratore a superficie è meno vantaggioso di quello a miscela. Il
progetto di un rigeneratore a superficie, e in particolare il dimensionamento della sua superficie di scambio, è
dettato dall’assegnazione delle due differenze terminali di temperatura (v. figura):
∆t1 = te – tw out
(es. 2, 1, 0, -1 gradi centigradi)
∆t2 = tc out – tw in
(es. 5 gradi centigradi).
dove si è indicato con:
t ≥ te
t = temperatura del vapore spillato (t ≥ te)
te = temperatura di equilibrio alla pressione di esercizio del
rigeneratore
tw = temperatura acqua (water) di alimento
tc = temperatura della condensa
in = indice ingresso nel rigeneratore
out = indice uscita dal rigeneratore.
I valori di
∆t1 sono dell’ordine di 2 °C per rigeneratori funzionanti a vapore saturo, possono scendere sino a -
1 per spillamenti di surriscaldato (zone più alte dell’espansione).
IRA
62
Nonostante i vantaggi specifici dei rigeneratori a superficie, un rigeneratore a miscela è sempre inserito
nell’impianto (v. ancora figg. (a) e (b)). A valle di esso sarà presente una pompa che coinciderà con la pompa di
alimento. Se le condense degli spillati sono convogliate a monte, a mezzo di valvola di regolazione, nel circuito
dell’acqua di alimento saranno presenti due sole pompe: quella di estrazione, posta tra il condensatore ed il
rigeneratore a miscela (degassatore) e quella di alimento, posta tra quest’ultimo ed il generatore di vapore.
Il rigeneratore a miscela porta il nome di degassatore: operando in condizioni di equilibrio, assolve
brillantemente la funzione del degassagio del fluido, che non può essere garantita, con le desiderate tolleranze, dal
solo condensatore, ove viene operato un primo degassagio (a mezzo, ordinariamente, di eiettori funzionanti con
vapore ad elevate p e T spillato appositamente da una linea del vapore “vivo”).
Oltre a quella di rigeneratore a miscela, il degassatore assolve ad ulteriori funzioni:
quella di degasare, asportando buona parte dell’ossigeno disciolto nell’acqua (e di altri residui gassosi),
indesiderabile sia per gli effetti della sua pressione parziale sulle prestazioni del ciclo sia per la sua
aggressività chimica nelle zone ad elevata temperatura dell’impianto;
quella di polmone di liquido, sostituendo il serbatoio a cielo aperto dell’impianto elementare studiato in
precedenza, garantendo una stabile pressione di base dell’impianto stesso;
quella di separatore del circuito dell’acqua di alimento in due linee: una alla pressione del degassatore
(garantita dalla pompa di estrazione) ed una alla pressione del generatore di vapore (garantita dalla
pompa di alimento), frazionando convenientemente l’altissimo ∆p del circuito dell’acqua di alimento.
Per impianti di grande taglia, il degassatore
viene realizzato secondo la configurazione a serbatoio
in pressione ad asse orizzontale e colonna a piatti (v.
fig.). La parte inferiore del serbatoio (S) è occupata dal
liquido, quella superiore dal vapore saturo in equilibrio
alla pressione di esercizio (prossima alla pressione del
vapore spillato). La colonna a piatti porta alla sua
sommità un orifizio destinato allo sfogo spontaneo dei
gas. Alla base della colonna viene convogliato il vapore
spillato, alla sommità la condensa già preriscaldata nei
rigeneratori
a
pressione
più
bassa.
Il
vapore,
ascendendo, condensa, la condensa, discendendo, si
riscalda e si accumula in (S). I gas incoercibili trovano
l’uscita attraverso l’orifizio superiore opportunamente
dimensionato. La pompa di alimento, come quella di estrazione, è installata sotto battente per scongiurare
l’insorgere di cavitazione. La pressione di esercizio del degassatore deve essere sufficientemente elevata per
favorire convenientemente la fuoriuscita del gas, ma non eccessivamente per non elevare troppo la pressione di
esercizio, che incide sullo spessore (e sul costo) del grande serbatoio ad asse orizzontale. In pratica, si adotta una
pressione di
4÷5 bar negli impianti a semplice surriscaldamento (fig. a) ed una di 6÷10 bar per quelli a
surriscaldamenti multipli (fig. b). Tali scelte sono dettate anche da motivi di ottimizzazione termodinamica
dell’impianto; di solito a monte ed a valle del degassatore si ha un numero di rigeneratori a superficie dello stesso
ordine, ad es. 2 o 3 negli impianti di grande taglia, per un totale massimo di 7÷8 rigeneratori o poco più.
Appunti di Macchine
63
In diversi casi, per uno a al massimo due rigeneratori a superficie, la condensa dello spillato viene inviata, a
mezzo di pompa di ripresa, a valle anziché a monte, conseguendosi così un piccolo vantaggio in termini di
rendimento termodinamico. E’ in tale caso necessaria una pompa di ripresa, per il convogliamento della condensa
dello spillato, e non più una valvola di regolazione. Ciò comporta un maggior onere di costo dell’impianto; la
presenza della pompa richiede fra l’altro l’installazione di una seconda pompa di back-up per garantire la continuità
di funzionamento in caso di avaria della pompa stessa. Peraltro, il costo della macchina risulta più contenuto,
rispetto a quanto avviene in un impianto con rigeneratori tutti a miscela, poiché la portata della pompa di ripresa per
scambiatore a superficie è modesta, corrispondendo ad una contenuta percentuale (spillamenti) della portata
massima (di ammissione in turbina).
La fig. (b) riporta uno schema di impianto a duplice surriscaldamento in cui l’alta pressione
(AP) e la media
pressione (MP) sono realizzate con un unico corpo di turbina, mentre la bassa pressione (BP) è realizzata su due
corpi (simmetrici per il bilanciamento delle spinte assiali sull’albero).
In altri casi, là dove le elevate portate lo richiedano, la crescita del volume specifico del vapore nel corso
dell’espansione impone già alla
MP la realizzazione a “doppio corpo” e quella della BP a due “doppi corpi”,
ciascuno alimentato dalla mandata di un corpo di MP.
Un moderno gruppo a vapore a doppio surriscaldamento per centrale termoelettrica, dotato di appropriata
catena rigenerativa, può funzionare, a carico nominale, con un rendimento termodinamico dell'
ordine del 40-42%.
Si sottolinea che l'
adozione di un circuito dell'
acqua di alimento semplificato (scambiatori tutti a miscela),
unitamente all'
assunzione semplificativa di f(h) costante, ha permesso di condurre comodamente una facile
analisi termodinamica degli impianti, conseguendo risultati espressi da formule molto semplici e di validità del tutto
generale, con precisioni numeriche non esemplari ma tali da non stravolgere gli ordini di grandezza della realtà. Nel
caso di analisi termodinamiche fini, sia di progetto che di verifica, è ovviamente necessario fare ricorso ad un
modello fisico-matematico dell'
impianto che rispetti la reale architettura del circuito dell'
acqua di alimento e che
schematizzi realisticamente la legge f(h), consentendo di raggiungere, a mezzo di procedura di calcolo numerica,
risultati molto accurati per lo specifico gruppo analizzato.
IRA
64
Fig. impianto (a).
Appunti di Macchine
65
R1
R2
R3
R4
Pa
AP
R5
R6
MP
R7
R8
BP
Pe
Fig. impianto (b).
66
IRA