Comporre dopo (e durante) la Shoah
Andrea Cauduro
RICERCAR
Va,
ciò che ti passava per le mani,
per la via delle tue mani, la via della notte — ,
del destino, va.
Però: una riga, una volta
Alitata su un foglio, sul
tavolo ieri annegato —:
Durante
Durante la notte, durante la notte, diventano,
diventano
bianchi
i giorni.
Chi camminava sulle mani, che
scrissero questo: lui,
che leggeva la scrittura sul lenzuolo, il non
capito, lui solo
capisce anche gli altri1.
1
Ricercar, Celan, 2001, p. 69. Traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien.
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PAUL CELAN IN ITALIA 2007 - 2014
Ho avuto la fortuna di scoprire Celan già ai tempi del liceo e rimasi
subito colpito da una delle sue più famose poesie, Todesfuge. Col
tempo, approfondendo i miei studi musicali, cominciai ad apprezzare
non solo la profondità e la sensibilità con cui Celan affronta il tema
della Shoah, ma anche l'estrema raffinatezza tecnica con cui riesce a
richiamare attraverso l'uso della parola l'idea della Fuga (intesa come
tipologia di componimento musicale). Questo rapporto tra contenuto
e tecnica, tra idea e lavoro da artigiano del materiale linguistico, è stato
ciò che poi ho sempre ricercato come valore massimo anche nella mia
formazione come musicista. In occasione della Giornata della Memoria,
ho cercato di ripercorrere storie e vite di compositori uniti idealmente a
Celan dalla condivisione della problematica che più emerge dalla usa
opera: che poesia, che arte può esistere dopo Auschwitz? Ho quindi riscontrato diverse analogie nel rapporto tra l'artista (nel mio caso musicista), il dramma dei campi di concentramento, l'isolamento e l'emarginazione e più in generale il rapporto con la tradizione ebraica.
Tra le opere studiate che si inseriscono in questo mio filone di ricerca c'è A Survivor from Warsaw Op. 46 del compositore Arnold Schönberg. Si tratta di un oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra, nel quale l'essenza della sofferenza patita dagli ebrei di Varsavia
viene perfettamente resa dal linguaggio espressionista tipico del compositore, che riesce a trovare una sintesi perfetta e originale tra messaggio (ossia il contenuto del testo dell'oratorio dove viene narrata l'atrocità delle violenze nel ghetto di Varsavia e le successive deportazioni) e stile musicale.
Del Quatuor pour la fin du Temps di Olivier Messiaen mi ha colpito
invece la genesi dell'opera, composta dall'autore durante la sua permanenza nel campo di concentramento di Görlitz ed eseguita dallo
stesso insieme ad altri compagni di prigionia durante una delle assurde esibizioni organizzate dai nazisti. L'elevatissima carica emotiva
e la profondità del linguaggio che emergono in questo lavoro di Messiaen mi hanno fatto tornare in mente il dialogo tra Celan e Adorno
circa la possibilità o meno di fare arte dopo Auschwitz. In questo caso
la problematica si fa ancora più profonda poiché si tratta di un'arte non
commemorativa, non successiva, bensì di un'espressione istantanea
nata proprio durante l'orrore. Ascoltando l'opera non si può fare a
meno di porsi la domanda per poi lasciarla inevitabilmente irrisolta.
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La terza opera da me presa in esame, la Sinfonia n.3 di Henryk Górecki, mi ha aiutato a mettere in luce invece altri aspetti. Nel secondo
movimento della sinfonia viene intonato quello che sembra un lamento, dove viene utilizzata come testo un'iscrizione ritrovata sui
muri di una prigione della Gestapo, mentre nell'ultimo movimento
conclusivo viene ripreso un canto tradizionale. L'andamento meditativo ed estremamente lento di tutta la sinfonia suggerisce la riflessione
che ha spinto l'autore a comporre l'opera; la cifra stilistica è data dall'elemento stesso della prigionia e dell'essere ebreo, dove però l'ebraismo
e la sua eredità culturale non viene ripresa in maniera esplicita o immediatamente riconoscibile, ma piuttosto con un senso di vaghezza attraverso un canto tradizionale riutilizzato in maniera quasi irriconoscibile. La sofferenza stessa patita dal popolo ebraico non viene
esternata in maniera forte e chiara come nell'opera di Schönberg, ma
viene introiettata in una dimensione più personale, familiare (l'incisione
e il canto tradizionale sono entrambi messaggi di una madre alla figlia).
Questi elementi, che ho ritrovato anche nella vita e nell'opera di Celan, mi hanno spinto a comporre il brano Herr C.2. Già nel titolo ho
carcato di evidenziare il rapporto tra Celan e la lingua tedesca, lingua
della sua arte e contemporaneamente lingua dell'aguzzino.
Il brano è per violino solo; il violino è lo strumento principe della
musica klezmer, la musica ebraica. In questa tradizione è lo strumento intimo di chi è costretto a scappare. Racchiude in sé una vastissima gamma di timbri e quindi di rimandi emotivi, può essere
dolce e aspro, violento e delicato. Per mezzo del violino ho ideato
una musica che in qualche modo potesse rimandare alla estrema
complessità della figura di Celan.
Il richiamo alla tradizione emerge musicalmente solo in alcuni passaggi; non volevo calcare troppo la mano o risultare troppo didascalico
per cui ho cercato di filtrare attraverso gli occhi della contemporaneità
quegli elementi che penso siano i più caratterizzanti della cultura e
della tradizione ebraica.
2
A. Cauduro, Herr C., in Paul Celan in Italia. Un percorso tra ricerca, arti e media,
https://celan2014.wordpress.com/2015/05/26/herr-c-di-andrea-cauduro/.
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Figg. 1-3. Andrea Cauduro, Herr Paul (2014), prima stesura del brano per
violino solo Herr C.
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Bibliografia
Opere di Paul Celan
Sotto il tiro di presagi. Poesie inedite 1948-1969, traduzione e cura di
Michele Ranchetti e Jutta Leskien, Einaudi, Torino, 2001.
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