A04
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Barbara Aldighieri
Bruno Testa
L’ARMONIA
FRA UOMO E NATURA
NELLE VALLI
DOLOMITICHE
ATTI DELLE GIORNATE DI STUDIO
AGORDO, 12-13 NOVEMBRE 2010
Copyright © MMXI
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–4171–0
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 2011
INDICE
PRESENTAZIONE............................................................................ pag.
7
Luca Luchetta
DOLOMITI PATRIMONIO NATURALE DELL’UMANITÀ DOLOMITI UNESCO... pag.
9
Mario Panizza
VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEI GEOMORFOSITI:
ESEMPIO “VALLE DI SAN LUCANO” .............................................. pag. 21
Alberto Bertini
VALLE DI SAN LUCANO, ASPETTI GEOMORFOLOGICI........................ pag. 49
Danilo Giordano
GEOMORFOLOGIA FLUVIALE IN VALLE DI SAN LUCANO:
IL PROGETTO TEGNAS .............................................................................. pag.
83
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
ECHI SISMICI NELLA VALLE DI SAN LUCANO................................... pag. 113
Grazia Caielli, Roberto de Franco
LA FLORA ANISICA DELLA VALLE DI SAN LUCANO......................... pag. 131
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
PALE DI SAN LUCANO:
ESEMPIO DI IMPORTANZA MONDIALE PER GEOMETRIE DI PIATTAFORMA CARBONATICA E PROBLEMA DELLA DOLOMITIZZAZIONE .............................
pag. 147
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
IL MONITORAGGIO DELLE RISORSE IDRICHE IN VENETO:
L’ATTIVITÀ DI A.R.P.A.V .................................................................... pag. 187
Giacomo Renzo Scussel, Raffaele Rampazzo
RISCHIO IDRAULICO NEI CORSI D’ACQUA MONTANI: ESPERIENZE ED
INTERVENTI ................................................................................ pag. 197
Alvise Luchetta
LA CONOSCENZA DEL TERRITORIO: BANCHE DATI E SISTEMI INFORMATIVI TERRITORIALI IL CENTRO SERVIZI TERRITORIALE DI BELLUNO .... pag. 207
Giovanni Piccoli
OPENALP: WEBGIS A INDIRIZZO GEO-TURISTICO PER LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO NATURALE E CULTURALE ........................ pag. 219
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
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6
IL RISCHIO GEOLOGICO INDOTTO DAL CARSISMO NELLE ROCCE
.......................... pag. 233
GESSIFERE DELLE VALLI DOLOMITICHE BELLUNESI
Vittorio Fenti
LA CADUTA MASSI NELL’AGORDINO:
L’ESEMPIO DEL CROLLO DI LISTOLADE ............................................. pag. 267
Ennio Chiesurin
LA MINIERA DI RAME DEL SASSO NEGRO VALLE DI GARÉS):
STUDIO PRELIMINARE E PRIME IMPLICAZIONI STORICHE ...................... pag. 305
Paolo Nimis, Paolo Omenetto, Gilberto Artioli
PRESENTAZIONE
Le Dolomiti stupiscono sempre, non solo per la loro straordinaria
bellezza ma anche per l’infinità di temi di ogni genere che ad esse si
ispirano.
Così la Conca Agordina, con la superba Valle di Lucano, sono state
la cornice all’importante convegno “L’armonia fra uomo e natura nelle
valli dolomitiche”, evento che, come sottolinea il titolo, esalta la simbiosi tra la montagna e la gente che su di essa vive, poiché le Dolomiti
non sono solo Cattedrali della natura, ma anche luogo in cui la civiltà si
è sviluppata ed è cresciuta, cercando di modellare l’ambiente al fine di
renderlo vivibile.
E, in nome di questo legame inscindibile tra le genti e la propria terra,
è crescente l’attenzione per i temi scientifici e antropologici, certi che
non è possibile parlare del presente e del futuro se non si ha, almeno in
parte, chiaro quello che è stato il nostro passato.
A colpire l’immaginario è poi l’assoluta varietà di argomenti che
possono essere affrontati e, nel convegno, è risaltata l’autorevolezza
dei relatori, i quali, alla luce del dovuto rigore scientifico, hanno saputo
coinvolgere il pubblico, trattando con brio e profonda competenza le tematiche esposte.
Il convegno è quindi stato l’occasione per confrontare gli studi nelle diverse discipline, sottolineando lo stato attuale delle conoscenze per
quanto riguarda l’affascinante viaggio nel tempo che le Dolomiti hanno
affrontato dal Permiano sino ai giorni nostri.
Non è infatti possibile pensare di presentare al mondo le Dolomiti, patrimonio naturale dell’umanità, se nel contempo non si approfondiscono
anche i temi scientifici che le caratterizzano, anche alla luce del crescente interesse manifestato sia dal turismo che dai valligiani sui valori della
storia, del presente e del futuro di queste splendide vallate.
In nessun luogo forse, quanto in questo infatti, la simbiosi tra uomo e
ambiente è così forte; il magnifico paesaggio che ci circonda infatti è sì
un inno alla natura nelle rocce che lo costituiscono, ma è anche il frutto
di una sapiente trasformazione antropica dei boschi e dei fondovalle che
l’uomo ha posto in essere nei secoli per facilitare la sopravvivenza.
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Ecco che lo sviluppo armonico, presente nel titolo del convegno, allude sia allo sviluppo storico delle vallate dolomitiche, ma anche e sopratutto alla sfida che la recente dichiarazione di patrimonio naturale
dell’umanità ci pone in capo ai nostri giorni, responsabilizzandoci a consapevoli e attente riflessioni sulla corretta evoluzione dei territori, consci
che essi costituiscono non solo una ricchezza ambientale e naturale, ma
anche una ricchezza turistica ed economica in grado di garantire lavoro,
benessere e dignità alle genti della montagna.
Un ringraziamento particolare va rivolto al CNR di Milano nella figura di Bruno Testa e Barbara Aldighieri per la professionale organizzazione del Convegno, all’Istituto Tecnico Industriale Minerario e all’Associazione Periti Minerari nella figura di Dino Preloran, che è stato
infaticabile promotore dell’iniziativa.
Con la speranza che questo Convegno possa essere il primo di una
lunga serie e che permetta di promuovere sempre di più queste splendide montagne che ci circondano, sia negli aspetti scientifici che umani,
viene licenziata questa opera che raccoglie gli interventi del convegno,
auspicando che questo prezioso dono della natura, chiamato Dolomiti,
sia sempre di più un dono alla portata di tutti poiché solo la ricchezza
condivisa è vera ricchezza.
Presidente della Comunità Montana Agordina
La Geomorfodiversità delle Dolomiti, patrimonio mondiale UNESCO
LA GEOMORFODIVERSITÀ DELLE DOLOMITI,
PATRIMONIO MONDIALE UNESCO
Mario PANIZZA,
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Modena e Reggio Emilia
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
Le Dolomiti rappresentano un insieme costituito da vari sistemi montuosi
che, pur a luoghi fisicamente discontinui, mostrano una straordinaria unitarietà geomorfologia. Esse contengono un’ampia ed esemplare casistica di fenomeni, che derivano dalla loro complessa struttura geologica e dalle condizioni
climatiche passate ed attuali. Un’originale chiave di lettura geomorfologica
di questi paesaggi consiste nella loro geodiversità morfologica: geomorfodiversità.
Presentano una geomorfodiversità “estrinseca” sia dal punto di vista paesaggistico, che le caratterizza e le distingue da tutte le altre montagne del mondo, sia di origine strutturale, con forme del rilievo connesse ad una tettonica
recente più o meno attiva (scarpate e linee di faglia, evidenze neotettoniche
ecc.), o più antica e con un ruolo passivo (versanti strutturali, valli di linea di
faglia, creste sezionate da fratture ecc.), oppure collegate alla litologia (vette
maestose e sub-verticali sovrastanti pendii poco acclivi, altopiani, cenge ecc.).
Esse s’incrociano con altre di origine morfoclimatica, che presentano un’alta geomorfodiversità “intrinseca” e costituiscono, all’interno delle Dolomiti,
una casistica didattica e scientifica pressoché completa. Si tratta di morfologie
connesse alle condizioni climatiche attuali e a quelle che si sono avvicendate
nel corso delle ultime epoche geologiche. Fra queste si rinvengono alcune
vestigia pre-glaciali e interglaciali, ma soprattutto forme di erosione e di accumulo glaciali (rocce montonate, valli sospese, circhi e depositi morenici, tracce di “permafrost”, testimonianze di glaciopressione ecc.). Queste morfologie
relitte condizionano tuttora l’evoluzione geomorfologica, per esempio sotto
forma di terrazzi, oppure in rapporto ad alcuni fenomeni di frana. Un esempio
invece a livello locale di geomorfodiversità “intrinseca” di tipo litologico è la
vasta gamma di forme carsiche epigee ed ipogee. La morfologia connessa alle
recenti e attuali condizioni climatiche è di tipo periglaciale (falde e coni detritici, nivomorene, “rock-glaciers”, corridoi e coni di valanga ecc.). Un aspetto
ricorrente di questa stessa geomorfodiversità è quello delle frane, con tutte le
possibili varietà tipologiche, fino a casi vistosi e spettacolari, che sono ormai
venuti a far parte paradigmatica della letteratura scientifica internazionale.
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Mario Panizza
In definitiva, si può affermare che le Dolomiti rappresentino una specie di
laboratorio d’alta quota a cielo aperto di un patrimonio geologico di eccezionale valore universale, ideale per le ricerche, per la didattica e per comprendere e sviluppare le teorie geomorfologiche.
PAROLE CHIAVE:
GEOMORFOLOGIA, GEODIVERSITÀ, GEOMORFODIVERSITÀ,
PATRIMONIO GEOLOGICO,
DOLOMITI, UNESCO
Dal punto di vista geomorfologico, le Dolomiti rappresentano un
insieme costituito da vari sistemi montuosi che, pur a luoghi fisicamente discontinui, mostrano una caratteristica unitarietà morfogenetica di
paesaggio.
In sintesi, l’evoluzione geomorfologica delle Dolomiti risulta legata
a cause tettoniche, litologiche, climatiche e, in tempi più recenti, anche
antropiche. Infatti il paesaggio delle Dolomiti è il risultato, dapprima,
dei fenomeni di litogenesi e di orogenesi e, successivamente, dei processi di morfogenesi, che le hanno modellate e continuano tuttora a
modellarle. Ne deriva un fantastico spettacolo di torri, guglie, cornici,
creste e pinnacoli di roccia, a luoghi isolati, a luoghi riuniti in festoni
o giogaie, che sovrastano dolci e verdi pendii, sedi di pascoli, boschi e
strutture o infrastrutture antropiche, che ne accentuano i contrasti. E’ il
paesaggio alpino conosciuto, celebrato, descritto e raffigurato a livello
universale. Il termine “paesaggio dolomitico” è infatti attribuito a certe
montagne che possono in parte evocare la spettacolarità geomorfologica delle Dolomiti.
Scarpate calcaree e dolomitiche, contrafforti di rocce vulcaniche,
conche in terreni argillosi, strati piegati, fagliati o contorti, falde e coni
detritici, ripiani e laghetti, colori e forme, luci e ombre: la loro storia è
antica, complessa e affascinante. Man mano che le rocce emergevano
dal mare, a partire dal Miocene superiore, sui nuovi rilievi, sulle montagne e su questa nuova parte di continente, cominciavano a scorrere le
acque meteoriche; sui litorali marini si frangevano le onde; le variazioni di temperatura e di umidità provocavano alterazioni fisiche e chimiche della roccia; la forza di gravità, l’acqua e il vento ne spostavano i
detriti. A poco a poco le rocce furono erose, in particolar modo quelle
meno resistenti, come quelle argillose e marnose o i detriti piroclasticí; si formarono delle depressioni e delle valli in corrispondenza dei
La Geomorfodiversità delle Dolomiti, patrimonio mondiale UNESCO
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loro affioramenti oppure di importanti dislocazioni tettoniche e relative
fasce cataclastiche. Al contrario, quelle più resistenti, come le rocce
calcaree, dolomitiche o magmatiche, rimasero in risalto a formare le
vette più elevate della regione. Questa morfogenesi ha avuto differenti
modalità e ritmi d’evoluzione, anche in rapporto all’attività del diastrofismo e alle variazioni del clima.
Per un’interpretazione geomorfologica delle Dolomiti, nell’ambito
della loro candidatura come patrimonio mondiale dell’UNESCO (GIANOLLA, MICHELETTI E PANIZZA, 2008), è stata introdotta una chiave di lettura originale, indicata come “geomorfodiversità” (PANIZZA, 2009, a):
“valutazione critica e specifica delle caratteristiche geomorfologiche
di un territorio, paragonandole, in senso estrinseco, con quelle di altri
territori e intrinseco, fra quelle del territorio stesso, tenendo in considerazione la loro qualità scientifica, la scala e lo scopo della ricerca”.
Alcuni esempi chiarificatori possono essere i seguenti.
La geomorfodiversità estrinseca in senso “globale” è data dal paesaggio dolomitico stesso, le cui caratteristiche di monumentalità e di
spettacolarità lo fanno distinguere da tutte le altre montagne del mondo.
Dal punto di vista paesaggistico infatti, in queste montagne i viaggiatori dell’ ‘800 riconoscevano la realizzazione del paesaggio “romantico”
(Fig. 1) e tuttora costituiscono un riferimento d’importanza fondamentale per la definizione di varie espressioni estetiche. Val la pena di ricordare i pittori che si sono ispirati a queste montagne per la realizzazione
di loro opere: da Tiziano, ai romantici, agli espressionisti, ai futuristi e
via via fino a quelli contemporanei (STROBL, 2006). Oltre ad essi, romanzieri, poeti, musicisti ed altri artisti hanno ricevuto stimoli e richiami da queste montagne per immortalarne le suggestioni estetiche. Per
questi motivi le Dolomiti sono da considerare un riferimento mondiale
per l’estetica del “sublime” e, di conseguenza, un tassello d’importanza fondamentale per la definizione del moderno concetto di “bellezza
naturale”.
D’altra parte le Dolomiti, paragonate con altre montagne alpine o di
altre catene, cioè secondo una scala regionale, ma anche con riferimenti
europei ed extraeuropei, ed in relazione alle forme del rilievo di tipo
“strutturale”, mostrano un elevato grado di geomorfodiversità estrinseca. Si ricorda (PANIZZA, 1992) che la Geomorfologia strutturale può
essere suddivisa nel modo seguente. La morfotettonica (o morfotectodi-
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Mario Panizza
namica) studia i rapporti fra le forme del rilievo e i movimenti tettonici,
cioè le conseguenze geomorfologiche di spostamenti diastrofici avvenuti dall’inizio della geo-storia fino ad oggi. La morfoselezione invece
studia le forme del rilievo legate all’erosione selettiva o differenziale,
cioè alla struttura geologica con ruolo passivo: in particolare, se ci si
riferisce alla disposizione tettonica, si parla di morfotectostatica; se ci
riferisce alla composizione litologica, si parla di morfolitologia.
Per quanto riguarda la morfotectodinamica, le Dolomiti sono comprese nella fascia dell’orogenesi alpina: in generale si constata un’elevata energia del rilievo, con notevoli dislivelli fra cime montuose e
fondivalle. In maniera più specifica, vi sono evidenze di una tettonica
attiva o recente, marcate da piani e scarpate di faglia, incisioni torrentizie, gomiti fluviali, insellature, dislocazioni di crinale ecc., tutte di
chiara esemplarità scientifica e didattica: per esempio nell’alta val Badia o nella media val di Fassa (PANIZZA et alii, 1978; CORSINI E PANIZZA, 2003). Altri casi più di dettaglio sono rappresentati da alcuni solchi
nei versanti, come quello alla Forcella Piccola del Monte Antelao. Si
possono osservare anche particolari evidenze di rapporti fra processi
di erosione, di sedimentazione e di pedogenesi, in chiave neotettonica,
Figura 1 - La valle del Vajolet con il Catinaccio, in un acquarello di J. Gilbert (metà del 1800).
La Geomorfodiversità delle Dolomiti, patrimonio mondiale UNESCO
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come al Col Bechei, nelle Dolomiti di Fanes (PANIZZA E DIBONA, 1990).
Per quanto concerne la morfoselezione e in modo più specifico, la
morfotectostatica, la direzione delle maggiori vallate ad andamento rettilineo devono la loro origine strutturale alla presenza di faglie, come
nel caso della Vallonga, della val Travenanzes o della val Cismon. Anche l’ubicazione di molti valichi e selle oppure la posizione di alcune
tra le pareti più ripide e maestose sono determinate dall’andamento di
importanti linee di dislocazione e da fasce di cataclasiti ad esse associate, che facilitano i processi di disfacimento e di erosione. Inoltre la
disposizione degli strati, in relazione all’orientazione dei versanti, ha
influito sull’acclività di questi ultimi: pendii più ripidi si alternano ad
altri più dolci, a seconda che i banchi rocciosi siano inclinati in senso
opposto o conforme al versante. Un bell’esempio di morfologia connessa a questa disposizione è dato dai Lastoni di Formin, ove l’ampia
superficie sommitale riproduce la geometria del dorso delle superfici
di strato, mentre il versante opposto presenta una ripida scarpata corrispondente alla testata strati. Un esempio di forma del rilievo connessa a
Figura 2 - I torrioni della parete
nord dell’Agner (foto di A. Bertini).
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Mario Panizza
pieghe tettoniche è la Cima Bocche, fra i passi di S.Pellegrino e di Valles: si tratta di una piega anticlinale, che ha interessato le formazioni dal
Permiano all’Anisico e che appare parzialmente erosa lungo la sua direzione assiale. In corrispondenza di sovrascorrimenti si possono essere
formate contropendenze e selle, come ai passi Falzarego o Valparola. Il
paesaggio più tipico è comunque quello delle cime dolomitiche scolpite lungo fratture, in forma di torri, guglie, creste e pinnacoli, come per
esempio le Tre Cime di Lavaredo, le Cime di Fanis, l’Agner (Fig. 2), la
Croda da Lago o le Cinque Torri (Fig. 3).
Per quanto concerne la morfolitologia, la grande varietà di formazioni rocciose determina una serie di forme del rilievo di tipo selettivo, con
versanti scoscesi e vette ardite in contrapposizione a pendii più dolci.
In particolare le alternanze di litologie compatte con altre meno coerenti, oppure di rocce di origine diversa (sedimentaria ed eruttiva), la
vicinanza di rocce a diversa costituzione e così via, danno luogo ad una
morfologia varia e contrastata, caratterizzata da ripiani, gradini, ripide
pareti rocciose od uniformi massicci montuosi. È il caso, ad esempio, di
pendii arenaceo-marnosi sottostanti a ripide pareti di banconi dolomitici o calcarei; ad esempio ciò si verifica quando livelli marnoso-argillosi si intercalano tra rocce dolomitiche. Un tipico esempio è costituito
dalla “cengia” del Sella, dove la formazione pelitica “di Travenanzes”
si frappone fra due litotipi dolomitici. L’ubicazione di alcuni valichi
Figura 3 - Le Cinque Torri.
La Geomorfodiversità delle Dolomiti, patrimonio mondiale UNESCO
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dolomitici, inoltre, è in molti casi connessa alla presenza di rocce più
erodibili delle circostanti, come nel caso dei passi Gardena, Pordoi o
Campolongo.
Nella regione dolomitica esistono degli esempi caratteristici e spettacolari di pendii strutturali carbonatici d’origine primaria deposizionale, non influenzati dalla tettonica: si tratta delle scarpate originali, che
raccordavano con angoli più o meno inclinati il tetto delle piattaforme
mesozoiche ai fondali dei bacini antistanti. Queste morfologie di piattaforma sottomarina triassiche si stagliano nel paesaggio, isolate dall’erosione differenziale delle rocce marnoso-argillose e vulcanoclastiche dei
bacini circostanti. Esempi sono la parete orientale dell’Altipiano dello
Sciliar, il versante orientale del Monte Cernera e il versante nord-occidentale delle Pale di San Lucano.
Un altro esempio di morfolitologia è fornito dall’estesa presenza di
forme “carsiche”, sia epigee come doline (Fig. 4) o campi carreggiati
(per esempio sugli altopiani di Fanes e Sennes, sul Brenta, nelle valli feltrine), sia ipogee come grotte o cavità sotterranee (come ai Piani
Eterni o sulla Rosetta). Si tratta di una geomorfodiversità intrinseca a
scala locale.
Figura 4 - Dolina nell’altopiano di Fosses (Foto di M. Panizza).
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Mario Panizza
Le condizioni climatiche avvicendatesi nel tempo, con periodi caldi
o temperati e più o meno umidi nel pre-Pleistocene, oppure con altri
freddi alternati a temperati nel Pleistocene e nell’Olocene, hanno generato una serie di morfologie fra loro sovrapposte ed intrecciate, che
forniscono esempi particolarmente didattici di una complessa geomorfodiversità intrinseca a scala regionale, nell’ambito della morfoclimatologia. Si possono infatti rinvenire superfici relitte terrazzate o morfologie esumate di ipotetica origine preglaciale (PANIZZA, 2009, a), oppure
depositi interglaciali, come in val di Fassa o in val Gardena. Tuttavia
quelle ad essere maggiormente rappresentate sono le vestigia lasciate
dai ghiacciai: questi nel Pleistocene, a più riprese, hanno occupato le
vallate, con spessori di ghiaccio anche superiori ai 1000 metri, lasciando emergere soltanto le vette più elevate. Si tratta di depositi morenici
in forma di terrazzi, di archi o di accumuli sparsi, di rocce “montonate”,
di circhi glaciali, di valli sospese ecc. Queste ultime sono ubicate in
corrispondenza di alcune confluenze vallive, come in val di Fassa o
nella valle di Landro. Alcuni archi morenici hanno sbarrato specchi lacustri, come quelli di Misurina o di Carezza. Un certo numero di vallate
modellate dai ghiacciai pleistocenici presentano tuttora resti del glacialismo, arroccati su versanti esposti a nord, come sui monti Cristallo,
Tofane, Sorapis, Antelao, Pelmo, Civetta, Fradusta, Pale di S. Martino
(Fig. 5), Brenta e vari altri; il più esteso è quello della Marmolada. E’
stato notato (PANIZZA, 1973) che la confluenza in strette vallive di più
lingue glaciali, durante la loro fase d’avanzata, ha provocato fenomeni
di spinta sulle pareti rocciose (glaciopressione), con conseguenti deformazioni in corrispondenza di superfici di discontinuità.
Queste morfologie relitte condizionano tuttora la dinamica geomorfologica: dalle valli sospese precipitano cascate d’acqua con notevole
potere erosivo; i detriti morenici sono a più riprese soggetti a processi
di degradazione e di collasso; la fusione di antichi suoli gelati (“permafrost”) può determinare fenomeni franosi da imbibizione idrica; le
rocce frantumate dal crioclastismo sono affette da cadute di massi, che
a loro volta sono soggetti a colate di detrito (“debris flows”), i terrazzi
fluvioglaciali sono sede privilegiata di situazioni di fito-morfo-stasìa
e di processi pedogenetici; i laghetti e le paludi di “kettle” mostrano a
luoghi emblematiche successioni morfo-stratigrafiche con reperti organici, databili per ricostruzioni paleo-geomorfologiche; i fenomeni di
La Geomorfodiversità delle Dolomiti, patrimonio mondiale UNESCO
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glaciopressione da confluenza sopra citati hanno determinato la creazione di superfici potenziali di distacco, lungo le quali sono avvenuti alcuni fra i più vistosi fenomeni di frana nelle Dolomiti. Fra questi ultimi,
quello di San Martino di Castrozza, nella Val Cismon, oppure quelli dal
Monte Faloria o dal Monte Antelao, nella Valle del Boite, o di quello
nella Valle del Cordevole, che ha determinato la formazione del Lago
di Alleghe. Anche i processi periglaciali o fluvioglaciail correlati al
glacialismi hanno lasciato tracce caratteristiche, per esempio di antichi
suoli gelati permafrost e di crioclastismo, oppure di forme terrazzate e
di depressioni lacustri e palustri.
Un ulteriore esempio di geomorfodiversità intrinseca a scala regionale e di particolare importanza scientifica e didattica è dato dai numerosi fenomeni franosi: nelle Dolomiti si possono praticamente riscontrare tutte le tipologie di frane citate nella bibliografia geologica
internazionale. La varietà e la complessità di categorie, di cause, di età,
di litologie, di movimento, di estensione ecc. delle frane (SOLDATI, CORSINI E PASUTO, 2004) fanno di questo territorio un laboratorio a cielo
aperto per la ricerca e la didattica a livello globale. Val la pena di accennare anche ad alcuni fenomeni di crollo e di ribaltamento di masse
Figura 5 - Circhi glaciali alle Pale di S. Martino (Foto di M. Price).
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Mario Panizza
rocciose avvenuti recentemente (PANIZZA, 2009, b): alle Cinque Torri,
in val Gardena, in val Fiscalina (Fig. 6), alle Tofane ecc. Ciò è conseguenza della fusione di antichi suoli gelati intrappolati allo stato fossile nelle fenditure delle rocce. L’innalzamento delle temperature estive,
riscontrato negli ultimi anni, ha determinato la fusione di porzioni di
questo ghiaccio fossile. Le fenditure si sono così riempite d’acqua di
fusione, oltre a quella di precipitazioni. Durante l’inverno successivo
si è formato nuovo ghiaccio entro le stesse fenditure, con un aumento
di circa un decimo del volume idrico e conseguente allargamento delle
fenditure stesse. Nell’estate seguente queste si sono così riempite di una
maggiore quantità d’acqua, che poi rigelando ha ancor di più allargato,
deformato e infine frantumato la roccia. Cicli di gelo-disgelo progressivi hanno via via creato una maggior propensione al distacco di porzioni
di roccia, con conseguenti fenomeni di crollo.
Nelle frazioni argillose analoghe porzioni di acque di fusione hanno
invece fluidificato la roccia provocando la produzione o la riattivazione
di fenomeni di scivolamento e di colata, come nelle pendici sovrastanti
Figura 6 - Crollo dalla Cima Una, in Val Fiscalina, prodottosi nell’ottobre del 2007.
(Foto del Servizio Geologico, Provincia di Bolzano).
La Geomorfodiversità delle Dolomiti, patrimonio mondiale UNESCO
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varie vallate dolomitiche (Badia, Boite, Cordevole).
Il valore delle Dolomiti è dato anche dall’interesse che queste montagne da sempre hanno suscitato nei cultori delle Scienze della Terra,
infatti fin dal XVIII secolo sono stati effettuati nelle Dolomiti studi
pionieristici in stratigrafia, mineralogia, sedimentologia, paleontologia
e geomorfologia da parte di eminenti geologi italiani e stranieri. Questo
interesse per le Dolomiti è documentato dalle innumerevoli pubblicazioni scientifiche che le riguardano, dal grande numero di ricercatori
di tutto il mondo che continuano a frequentarle e dai numerosi studenti
che qui svolgono tesi di laurea e di dottorato.
In definitiva, considerate nel loro complesso, queste montagne offrono eccezionali complessità e varietà di rilievi morfostrutturali e morfoclimatici, integrati paesaggisticamente anche nei loro più minuti dettagli: esse possono essere ritenute un territorio di valore mondiale, tra
i più straordinari ed accessibili, per le ricerche, la didattica e per comprendere e sviluppare le teorie delle Scienze della Terra, con particolare
riferimento alla Geomorfologia.
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Mario Panizza
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Valutazione quantitativa dei geomorfositi: esempio “Valle di San Lucano”
VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEI GEOMORFOSITI:
ESEMPIO “VALLE DI SAN LUCANO”
Alberto BERTINI
Istituto Tecnico Industriale Minerario “U. Follador” Agordo
e-mail: [email protected]
Il termine geomorfosito è stato utilizzato in vari modi in passato: introdotto per la prima volta da PANIZZA nel 2001, oggi indica una caratteristica
“forma del paesaggio con particolari e significativi attributi geomorfologici che la qualificano come componente del patrimonio culturale di un
territorio”. E’ proprio partendo da questa definizione tratta da PANIZZA E
PIACENTE (2003) che si è cercato di valutare se la Valle di San Lucano
possa essere classificata per le sue caratteristiche come un geomorfosito
all’interno di un’area così particolare come quella dolomitica.
Per ottenere questo scopo è stato usato il metodo proposto da CORATZA E GIUSTI (2005) e riportato da PANIZZA (2005) per la valutazione e la
quantificazione dei geomorfositi. Questo metodo permette di ottenere
una valutazione quantitativa di un Bene Geomorfologico, in particolare una valutazione della sua “qualità scientifica”. Con questo termine,
indicato con Q, gli autori indicano un valore ricavato dalla somma di
parametri che l’esperto, ovvero il conoscitore della zona da esaminare,
riporta sulla base delle sue osservazioni.
La formula che permette di ricavare il valore di Q è la seguente:
Q = sS + dD + aA + rR + cC+ eE + zZ
dove:
S rappresenta il valore per la “ricerca scientifica”,
D rappresenta il valore “didattico”,
A rappresenta l’ “area”, in relazione all’area totale dei geomorfositi
simili presenti nella zona considerata,
R rappresenta la “rarità”, in relazione alla quantità di geomorfositi
simili presenti nella zona considerata,
C rappresenta il “grado di conservazione” del geomorfosito,
E rappresenta l’ “esposizione” del geomorfosito,
Z rappresenta il “valore aggiunto” del geomorfosito.
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Di ognuno di questi parametri vengono fornite le caratteristiche per
l’attribuzione di un valore.
Ricerca scientifica S
Vengono forniti 4 valori compresi tra 0,25 e 1:
0,25 = basso
0,50 = medio
0,75 = alto
1 = altissimo
Linee guida:
il numero e la qualità delle pubblicazioni scientifiche che riguardano il Geomorfosito;
ricerche in atto o passate e progetti che lo coinvolgono;
importanza del Geomorfosito per la ricostruzione geomorfologica
di quel dato territorio;
importanza del Geomorfosito per la Storia della Geomorfologia in
generale;
il valore aggiunto che il suo studio può dare alla ricerca scientifica.
Valore didattico D
Vengono forniti 4 valori compresi tra 0,25 e 1:
0,25 = basso
0,50 = medio
0,75 = alto
1 = altissimo
Linee guida:
il Geomorfosito è rappresentativo di quella particolare forma o
processo;
è citato in testi didattici come Bene di una certa importanza;
il Geomorfosito è inserito in itinerari didattici;
è conosciuto anche al di fuori dell’ambiente scientifico;
il Geomorfosito può avere valore didattico anche se non è testimoniato da materiale didattico.
Valutazione quantitativa dei geomorfositi: esempio “Valle di San Lucano”
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Area A
Vengono utilizzati 4 valori rappresentativi del rapporto area Geomorfosito/area totale occupata da tutti i Geomorfositi della stessa tipologia, calcolata in percentuale.
0,25 = < 25% dell’area totale
0,50 = 25-50% dell’area totale
0,75 = 50-90% dell’area totale
1 = 90-100% dell’area totale.
Più il Geomorfosito è esteso maggiore è il suo valore: nel caso di
questo studio si tratta di geomorfositi di limitata estensione per cui il
valore appare significativo solo per i pochi di tipo areale. Per questo il
peso attribuito è basso rispetto ad altri parametri.
Rarità R
Viene valutata in base al numero di elementi simili presenti nel territorio in esame. I valori attribuiti sono quattro, variabili da 0,25 a 1.
0,25 = molti elementi simili nel territorio;
0,50 = abbastanza elementi simili nel territorio;
0,75 = pochi elementi simili nel territorio;
1 = esemplare unico.
Linee guida:
la rarità aumenta se il Geomorfosito è testimone di un ambiente
morfoclimatico diverso dall’attuale;
la rarità aumenta il valore del Geomorfosito se inserita in un discorso di Pianificazione Territoriale o VIA.
Grado di conservazione C
Il grado di conservazione di un Geomorfosito dipende sia da fattori naturali sia antropici. I valori attrribuiti sono quattro, variabili da 0,25 a 1.
0,25 = cattivo stato di conservazione;
0,50 = discreto stato di conservazione;
0,75 = buono stato di conservazione;
1 = ottimo stato di conservazione.
Linee guida:
il grado di degradazione naturale cui è soggetto il Geomorfosito;
presenza di elementi antropici che alterano o distruggono il Geomorfosito;
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presenza di atti di vandalismo;
presenza di strutture di protezione da agenti sia naturali che antropici.
Valore didattico D
Rappresenta la visibilità del Geomorfosito. I valori attribuiti, variabili
da 0,25 a 1, sono i seguenti:
0,25 = forte penalizzazione del Geomorfosito;
0,50 = il Geomorfosito è penalizzato;
0,75 = il Geomorfosito non è particolarmente penalizzato;
1 = il Geomorfosito non è penalizzato.
Linee guida:
raggiungere il Geomorfosito può essere difficoltoso;
ci sono alcuni elementi antropici che ne disturbano la visione da lontano;
ci sono alcuni elementi antropici di disturbo nelle vicinanze del
Geomorfosito;
il Geomorfosito emerge sul paesaggio circostante essendo situato in
un punto panoramico.
Valore aggiunto Z
Rappresenta la presa di coscienza del Geomorfosito in quanto tale,
anche per aspetti esterni alla geomorfologia (storici, religiosi, sportivi, storici, ecc.), che ne costituisce comunque il fattore condizionante.
vengono attribuiti a Z cinque valori, compresi tra 0 e 1.
0 = nessun valore aggiunto;
0,25 = valore aggiunto di scarsa importanza, a livello di curiosità
di carattere locale;
0,50 = valore aggiunto di discreta importanza;
0,75 = valore aggiunto di molta importanza;
1 = valore aggiunto di fondamentale importanza, senza questo il
Bene perde parte del suo valore geomorfologico.
Linee guida:
il Geomorfosito ha anche una certa valenza ecologica e/o naturalistica;
nell’intorno del Geomorfosito ci sono elementi geologici che lo
“arricchiscono” ulteriormente;
il Geomorfosito ha un certo valore turistico-economico;
il Geomorfosito ha un certo valore storico-culturale.
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Il valore della qualità scientifica Q viene normalizzato per ottenere
valori compresi tra 0 e 1 con la formula:
Q = Qn /Qmax
dove:
Qn = Qualità scientifica del Geomorfosito
Qmax = valore massimo che può avere un Geomorfosito ( nel nostro
caso = 7)
I geomorfositi sono stati suddivisi in tre categorie in accordo con lo
schema di CARTON, CORATZA & MARCHETTI (2005):
Areale: presenta uno sviluppo bidimensionale, come ad esempio
un accumulo morenico, un circo o anfiteatro glaciale;
Lineare: si sviluppa in una singola direzione, come ad esempio
un corso d’acqua, una cascata, una forra rocciosa;
Puntiforme: si tratta di un elemento del paesaggio avente singola forma, come ad esempio un masso erratico, un torrione, una
piccola cavità.
Il VALORE GLOBALE di un geomorfosito viene attribuito sommando al VALORE SCIENTIFICO un cosiddetto VALORE ADDIZIONALE: quest’ultimo è stato assegnato in base ai seguenti indicatori:
NR - RARITÀ NATURALISTICA
ME - MODELLO DI EVOLUZIONE
DE - ESEMPIO DIDATTICO
PE - EVIDENZA PALEOAMBIENTALE
EV- VALORE ECOLOGICO
SHV - VALORE STORICO - SCIENTIFICO
MV - VALORE MINERALOGICO
PV - VALORE PALEONTOLOGICO
SCV- VALORE SCENICO
PRV - VALORE PREISTORICO
CRV - VALORE CULTURALE-RELIGIOSO
SEV - VALORE SOCIO-ECONOMICO
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L’attribuzione delle seguenti valenze è stata fatta secondo lo schema
riportato in AVANZINI, CARTON, SEPPI & TOMASONI (2005), modificandolo
in base alle esigenze riscontrate per la Valle di San Lucano. Si è così
ottenuta la Tabella 1.
Figura 1 - Ubicazione dei geomorfositi della Valle di San Lucano.
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Tabella 1 - Elenco geomorfositi della Valle di San Lucano.
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Tabella 2 - Descrizione dei geomorfositi della Valle di San Lucano con il valore addizionale
ad essi attribuito.
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LIMITI E APPLICAZIONI DEL METODO ATTRIBUZIONE DEI PESI
Questo primo tentativo di classificazione dei geomorfositi presenti
nella Valle di San Lucano è nato dalla rielaborazione di precedenti analisi eseguiti su diversi territori e si è dimostrato valido anche nell’assegnazione dei punteggi attribuiti. Il limite maggiore nasce dalla soggettività del singolo operatore, influenzata dalle conoscenze personali
sui vari geomorfositi. Un altra limitazione è data dall’attribuzione dei
cosiddetti “PESI” per i quali a tutt’oggi non esiste una univoca e precisa linea da seguire tra i vari ricercatori. Il peso è stato assegnato in
funzione delle caratteristiche geologiche e geomorfologiche dell’area
in esame con lo scopo di valorizzare la stessa per fini geoturistici. Sono
stati quindi adottati i seguenti pesi:
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S = 0,75
D = 0,75
A = 0,5
R=1
C = 0,75
E=1
Q=1
Questi valori risultano alti specialmente per le componenti Rarità,
Esposizione e Valore Aggiunto per mettere in evidenza la valorizzazione della Valle di San Lucano. Anche in questo caso il fattore soggettività gioca un ruolo fondamentale.
CONCLUSIONI
La Valle di San Lucano è conosciuta per le sue attrattive naturalistiche: i valori ottenuti, relativamente alti, indicano che questa zona si
presta ad essere valorizzata dal punto di vista turistico. Potranno essere presi in considerazione specifici obiettivi quali realizzazione di
sentieri geoturistici, sentieri con pannelli esplicativi lungo la valle e
lungo i percorsi escursionistici, pubblicazione di guide geoturistiche,
ecc. Questo potrà essere realizzato con sinergie tra Enti Locali, Amministrazioni, Associazioni legate alla frequentazione di montagne quali
il CAI, esperti di geologia locale. Da segnalare che dal 2009 la Valle
di San Lucano è entrata a far parte, insieme a molti gruppi dolomitici,
dell’area considerata Patrimonio dell’Umanità (UNESCO) per cui è da
avvallare una collaborazione anche con membri di tale associazione per
poter far conoscere e divulgare questa zona.
Figura 2 - Valutazione della qualita’ scientifica dei geomorfositi della valle di San Lucano
(Taibon Agordino - Belluno).
Tabella 3 - Schema riassuntivo con attribuzione dei valori per il calcolo della qualità scientifica dei geomorfositi della Valle di San Lucano.
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Figura 3 - La cascata di Pónt.
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Figura 4 - Spigolo e parete nord del Monte Agnèr.
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Figura 5 - Cascata dell’Inferno.
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Figura 6 - Il laghetto delle Peschiere con la Prima Pala di San Lucano sullo sfondo.
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Figura 7 - La zona detta Le Crepe Rosse con vistosi fenomeni di crollo nelle rocce del Membro
di Cencenighe.
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Figura 8 - Le brecce anisiche della Formazione di Moena in località Pónt.
Figura 9 - Il “piano Inclinato” sulla Terza Pala, corrispondente a un piano di faglia.
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Figura 10 - Resti di piante nella Formazione di Agordo. (Foto: Danilo Giordano)
Figura 11 - Il Pizét, la cuspide a forma di piramide rimasta dopo la frana del 1908.
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Figura 12 - Faglia diretta lungo il Torrente Bordina.
Figura 13 - Il campanile della Besauzèga visto dalla Conca Agordina.
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Figura 14 - La sorgente perenne del Livinàl dell’Acqua, al contatto tra il Membro di San Lucano e la Dolomia del Serla Inferiore.
Figura 15 - La Tromba di Miel verso l’Altopiano delle Pale di San Martino.
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Figura 16 - Il Pian di Miel.
Figura 17 - Particolare del Sass da le Cròss.
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Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
VALLE DI SAN LUCANO, ASPETTI GEOMORFOLOGICI
Danilo GIORDANO
Istituto Tecnico Industriale Minerario “U. Follador” - Agordo (BL)
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
La Valle di San Lucano (Dolomiti Agordine) si presenta in apparenza come
una valle glaciale dal profilo ad “U” di dimensioni gigantesche, scavata inaspettatamente proprio in corrispondenza del nucleo di una scogliera dolomitica (Pale di S. Martino-Pale di S. Lucano-Civetta), ma in realtà la sua genesi è
molto più complessa. Questo lavoro si prefigge di spiegare come si sia potuta
generare una simile valle, che non ha eguali nelle Dolomiti, a questo scopo
verranno presi in considerazione diversi fattori: la successione stratigrafica,
la situazione paleogeografica anisico-ladinica, l’evoluzione delle strutture tettoniche alpine, lo sviluppo del reticolo idrografico, l’attuale assetto tettonico,
il modellamento dei ghiacciai quaternari e i movimenti di versante avvenuti
durante la deglaciazione.
INTRODUZIONE
La Valle di San Lucano, percorsa dal T. Tegnàs, si estende per una
lunghezza di 10 km con una larghezza e una profondità media di quasi
2 km, essa attraversa il nucleo della più grande fra le scogliere dolomitiche e conserva una chiara impronta glaciale. Nel bacino del Tegnàs rocce sedimentarie carbonatiche e detritiche e rocce magmatiche intrusive
ed effusive sono affiancate a formare un luogo unico.
La Valle è racchiusa a sud da una serie di frastagliati picchi che culminano con lo spigolo nord dell’Agner, la più alta parete delle Dolomiti;
a nord dai 1300 m di “crode” diritte e aggettanti delle Pale di San Lucano, solcate da profondi abissi rocciosi; in fondo sembra finire contro
l’Altopiano delle Pale di San Martino, ma in realtà prosegue con la Val
Angheràz un enorme circo glaciale attorniato da costoni verticali.
Qui le peculiarità del paesaggio dolomitico raggiungono la massima
espressione con linee orizzontali di cenge e altopiani che si intrecciano
perpendicolarmente con torri e canaloni.
Con la verticalità delle pareti; la ricchezza delle forme: guglie sottili,
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Danilo Giordano
maestose torri, imponenti bastionate; il contrasto di colori: rocce dolomitiche dipinte dai raggi del sole accanto a scure rocce vulcaniche; la
monumentalità dello smisurato obelisco dell’Agnèr e dell’agile Torre
Armena che contrastano con l’edificio squadrato delle Pale.
Pochi luoghi evocano il senso del sublime come questa Valle le cui
pareti verticali incombenti lasciano un piacevole senso di smarrimento
e di paura specialmente quando le nubi temporalesche si insinuano tra
le torri e risalgono i “borai” facendo risaltare particolari altrimenti invisibili.
NOTE STORICHE
I primi studiosi ad occuparsi di questa valle furono TARAMELLI (187781), MOJSISOVICS (1879) e DAL PIAZ (1912), ma il lavoro più importante si
deve a CASTIGLIONI con “Il Gruppo delle Pale di San Martino e le valli limitrofe” del 1939. CASTIGLIONI riconosce la particolarità della valle e dalle sue
parole «Più ardua si presenta l’interpretazione della Valle d’Angheràz-S.
Lucano…» si intuisce che non ha un’ipotesi che lo convinca completamente, anche se indica una possibile influenza della tettonica lungo il fianco
sinistro della Val d’Angheràz e ipotizza che il tratto finale della valle di S.
Lucano sia impostato lungo una faglia. Nella sua opera CASTIGLIONI definisce la serie stratigrafica, l’assetto morfologico e riconosce gli apparati morenici dello stadio Bühl (poco a monte di Taibon) e dello stadio Gschnitz
(alta Val d’Angheràz).
La zona di Malgonera è oggetto degli studi di SOMMAVILLA (1969), che
individua un laccolite monzonitico con differenziazioni basiche e alcaline,
direttamente collegato con il vulcanismo di Cima Pape, argomento a sua
volta degli studi di GASPAROTTO E SIMBOLI (1991); SARTI E ARDIZZONI (1984)
trattano in particolare la tettonica triassica del Gruppo di Cima Pape.
FARABEGOLI, PISA E OTT (1976 e 1978) studiano in modo esteso e preciso
la stratigrafia dei terreni anisici dell’Agordino e dello Zoldano descrivendo
dettagliatamente due sezioni nella Valle di S. Lucano (Livinàl dell’Acqua
e Rio Bordina). La Formazione di Livinallongo è oggetto degli studi di
BOSELLINI E FERRARI (1980).
ZAMPIERI (1987) si occupa delle piattaforme carbonatiche delle Pale
di San Martino, riconoscendo una piattaforma carnica che poggia su
quella ladinica, anche ROEDER (1987) si dedica all’evoluzione delle
scarpate della piattaforma Pale-Civetta. Nel lavoro di MASETTI E TROM-
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
51
(1998), rivolto allo studio delle formazioni che stanno alla base
delle scogliere ladiniche viene coinvolta anche l’area della Val Bordina.
Studi dettagliati sulla piattaforma parzialmente dolomitizzata del
gruppo delle Pale di San Lucano sono stati svolti da BLENDINGER, MEISNER, SATTLER E BERTINI (2007).
Infine molti sono gli studiosi che negli ultimi anni, senza interessarsi
in particolare della Valle di S. Lucano, hanno revisionato a più riprese la
stratigrafia delle Dolomiti ridefinendo in particolare i rapporti stratigrafici delle formazioni anisico ladiniche (DE ZANCHE, GIANOLLA, MIETTO,
MASETTI, NERI, STEFANI, PRETO, DELFRATI e altri ancora).
BETTA
INQUADRAMENTO GEOLOGICO
La Valle di San Lucano, tributaria di destra idrografica della Valle
del Cordevole, intaglia profondamente la piattaforma carbonatica delle
Pale di San Martino-Civetta, la maggiore delle scogliere ladiniche delle
Dolomiti. Il Gruppo delle Pale di San Martino, leggermente incurvato
in una blanda sinclinale (LEONARDI 1967; DOGLIONI 1987, 1992; CASTELLARIN 1996), è compreso fra la Linea della Valsugana, limite geologico
Figura 1 - Valle di San Lucano dalla Grotta di S. Lucano, il profilo ad “U” è evidente come
pure l’asimmetria fra il versante sinistro (Pale di. S. Lucano) verticale e uniforme e quello
destro (M. Agnèr) più complesso e articolato.
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Danilo Giordano
meridionale delle Dolomiti e un retroscorrimento ad essa collegato. La
complessità geologica della valle è notevole, gli strati più antichi, appartenenti alla F. di Werfen sono ricoperti da successioni anisiche eterogenee che testimoniano una intensa attività tettonica sinsedimentaria
protrattasi anche durante il ladinico (vulcano tettonica).
La Valle è un luogo privilegiato per l’osservazione dei rapporti eteropici fra scogliera carbonatica e bacino: qui il magmatismo mediotriassico (rocce intrusive ed effusive e rocce sedimentarie vulcanoclastiche) riveste un’importanza diretta nella genesi del paesaggio.
LA SERIE STRATIGRAFICA
Le formazioni rocciose affioranti nella Valle di S. Lucano vanno dal
Trias inferiore (F. di Werfen) al Trias superiore (Dolomia Cassiana) e
benchè l’intervallo temporale sia relativamente breve (circa 20 milioni
di anni), esse sono numerose per i frequenti rapporti eteropici e per il
magmatismo di Cima Pape. Sulla base di quanto esposto non si può far
riferimento ad una colonna stratigrafica in senso stretto ma è meglio rifarsi ad uno schema dei rapporti stratigrafici (fig. 3).
Figura 2 - Inquadramento geologico, il cerchietto giallo indica l’ubicazione della Valle di San
Lucano, (ridisegnato da DOGLIONI 1987).
Figura 3 - Schema semplificato dei rapporti stratigrafici della Valle di San Lucano attraverso le Pale di San Lucano e la Val Bordina.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
53
Figura 4 - Carta schematica delle paleofaglie anisiche.
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Danilo Giordano
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
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Didascalia di Figura 3 (pag. 53) - Schema semplificato dei rapporti stratigrafici della Valle di
San Lucano attraverso le Pale di San Lucano e la Val Bordina.
1 Formazione di Werfen (Induano-Egeico): marne, calcareniti, calcari, dolomie, arenarie e
siltiti in strati sottili.
2 Dolomia del Serla Inferiore (Egeico): dolomie bianche, grigie, gialline, calcareniti oolitiche
grigie.
3 Conglomerato di Voltago (Bitinico-Pelsonico): marne siltose, grigie o rossastre con intercalate siltiti e arenarie da fini a grossolane.
4 Formazione di Agordo (Pelsonico p.p.). Membro delle Calcareniti di Listolade: calcareniti e
biocalcareniti bianche, grigie, spesso oolitiche con clasti terrigeni. Membro dei Calcari Scuri
del Framont: calcari nerastri a chiazze di alterazione giallastre intercalati a strati di marne
grigie e nerastre.
5 Conglomerato di Richthofen (Illirico p.p.): arenarie rossicce medio-fini, alternanza fra arenarie grigie, siltiti e micriti scure con resti vegetali.
6 Calcare di Morbiach (Illirico p.p.): calcari marnoso siltosi grigi, grigio scuri, fortemente
nodulari, alla base arenarie grossolane e medio fini, marne grigie e siltiti con resti vegetali.
7 Formazione del Contrin (Illirico p.p.): Dolomie grigio chiare o giallastre microcristalline in
strati da 10-50 cm passanti a dolomie bianche macrocristalline massicce.
8 Formazione di Moena (Illirico p.p.): Brecce e megabrecce carbonatiche alternate a micriti
scure laminate, dolomie fetide e laminiti silicee bituminose.
9 Formazione di Livinallongo (Illirico p.p.-Longobardico p.p.): Calcari a laminazione parallela, calcari scuri con selce nera (plattenkalke); calcari nodulari di colore grigio, rosso o verde,
con selce (knollenkalke); alternanze di calcareniti, arenarie, siltiti con strati di tufiti (bänderkalke). All’interno della F. di Livinallongo è presente una sottile intercalazione di Arenarie di
Zoppé.
10 Formazione dello Sciliar (Illirico p.p.-Longobardico p.p.): Dolomie granulari bianche o
grigio chiare, fortemente ricristallizzate, calcari, calcari dolomitici bianchi o grigio chiari.
11 Monzoniti, monzogabbri, monzosieniti, sieniti in un corpo subvulcanico tipo laccolite.
12 Lave a pillow di composizione prevalentememte basaltica e latitica, pillow brecce e conglomerati a pillow rimaneggiati, alla base livelli caotici formati da brecce e megabrecce (Caotico
Eterogeneo).
13 Formazione del M. Fernazza (Longobardico p.p.) Arenarie vulcanoclastiche di colore grigio scuro, verdastro, massicce, con intercalazioni di filoni strato di lave colonnari.
14 Formazione di Wengen (Longobardico p.p.) Membro del Conglomerato della Marmolada:
conglomerati a matrice arenacea e elementi magmatici, massicci o stratificati, con intercalazioni di arenarie tufacee.
15 Dolomia Cassiana: (Julico inferiore) dolomie bruno grigiastre a grandi cristalli, calcari
dolomitici.
Didascalia di Figura 4 (pag.54) - Carta schematica delle paleofaglie anisiche, in linea continua quelle osservate direttamente, in tratteggio quelle ipotizzate sulla base delle variazioni di
facies e spessori. 1) Sezioni in cui si assiste ad un passaggio diretto fra la F. di Agordo (direttamente sul Membro delle Calcareniti di Listolade o con presenza del Membro dei Calcari Scuri
del Framont) e la F. del Contrin.
2) Sezioni con passaggio F. di Agordo (M. Calcarenitico)-F. di Richthofen-C. di Morbiac-F.
del Contrin.
3) Sezioni con F. Agordo-C. Richthofen-C. Morbiac.
56
Danilo Giordano
L’ASSETTO PALEOGEOGRAFICO ANISICO
Le formazioni rocciose anisiche in Valle di San Lucano presentano
continue variazioni di facies e di spessori. Un esame, anche se relativamente sommario, di varie sezioni (oltre a quelle studiate dettagliatamente da PISA et al. (1978) al Livinàl dell’Acqua e al Rio Bordina) e il
riconoscimento in campagna di più faglie sinsedimentarie hanno permesso di ricostruire parzialmente l’assetto tettonico Anisico, riassunto
e schematizzato in Figura 4.
Si distinguono tre fasce, la prima verso il T. Cordevole con sedimenti
di peripiattaforma e piattaforma (F. di Agordo-F. del Contrin), la seconda dal centro della Valle a Cencenighe con peripiattaforma, piattaforma
e bacino anossico (F. di Agordo - C. di Richthofen - C. di Morbiac - F.
del Contrin) e la terza in asse con la Val Bordina, sedimenti di sola
peripiattaforma e bacino anossico (F. di Agordo - C.Richthofen - C.
Morbiac).
Si sono riconosciuti due sistemi di paleofaglie dirette.
l primo, di direzione circa Nord-Sud (già individuato da MASETTI
& NERI, 1980; GAETANI et al., 1981; MASETTI & TROMBETTA, 1998) e
immersione Ovest, è ben visibile sul fianco sinistro della Valle di San
Lucano, fra la Terza Pala e la Val Bordina (Fig. 5). Si tratta di uno
splendido esempio di sprofondamento del margine di una piattaforma
con faglie dirette suturate (Fig. 6) e spessore dei sedimenti che cresce
con motivo a gradinata da est a ovest, passando dalla piattaforma carbonatica del Contrin della Terza Pala ad un bacino stretto e profondo in
Val Bordina. Qui la serie stratigrafica anisica è più spessa e completa.
Una situazione simile, ma meno vistosa e più complessa per la presenza
di faglie alpine, è stata individuata anche ai piedi dell’Agnèr. Lungo il
solco del torrente Van di Mez la F. di Agordo ha uno spessore di 1 metro
ed è ricoperta direttamente dalla F. del Contrin, pochi metri ad ovest lo
spessore della F. di Agordo, supera i 30 m, ed il tetto è rappresentato
dal C. di Morbiac, lungo un canalino adiacente si individua la paleofaglia
anisica (a sua volta rigettata da faglie alpine).
Il secondo sistema, disposto in direzione prossima a Est-Ovest lungo
l’asse della valle, è meno evidente perché in buona parte sepolto sotto
la copertura detritica.
Questi sistemi di faglie e fratture hanno avuto, a giudizio dello scri-
Figura 5 - Il versante meridionale della Quarta Pala di San Lucano limitata a destra, verso la Terza Pala, dal Boral di Lagunaz dal sentiero
per il B. Cozzolino. In evidenza la serie di faglie dirette con motivo a gradinata che conducono ad un abbassamento dell’area ad ovest (sx nella
foto). Il quadratino indica la posizione della Fig. 6.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
57
58
Danilo Giordano
vente, una fondamentale importanza anche nel successivo sviluppo
della Valle che presenta un segmento orientato in senso E-O ed il tratto
superiore N-S.
LA SITUAZIONE DURANTE IL LADINICO
La frammentazione ambientale iniziata nell’Anisico influenza anche la paleogeografia ladinica. Sulle aree poco sprofondate attecchiscono più nuclei di scogliere organogene che poi si uniscono a formare
l’edificio Pale di San Martino-San Lucano-Civetta (BLENDINGER et al.
2007). Nell’area della Val Bordina permane invece una fossa tettonica
(DE ZANCHE et al. 1995, MASETTI, TROMBETTA 1998) dove sedimentano
la F. di Moena, la F. di Livinallongo che contiene un livello di 8 metri
di Arenarie di Zoppé (PIZZIN,2010).
Non è quindi un caso se l’edificio delle Pale di San Lucano presenta una
rientranza proprio in quest’area (successivamente incisa dal Rio Bordina).
Con la fase vulcanica ladinica la scarpata di scogliera viene ricoperta da lave a pillow, vulcanoclastiti, lave colonnari e si mette in po-
Figura 6 - Particolare della fig. 5: lungo il fondovalle, alla base della parete delle Cime di Van
del Pez, si può osservare il passaggio tra la F. di Contrin (roccia compatta bianca a destra) e il
C. di Morbiac (r. grigia, sottilmente stratificata a sinistra); in evidenza al centro della foto una
faglia sinsedimentaria suturata.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
59
sto un laccolite a composizione media monzonitica (SOMMAVILLA 1969,
GASPAROTTO & SIMBOLI 1991), intruso a bassa profondità nella F. di
Livinallongo. Nell’alta Val Bordina (Val di Reiane, Val di Gardès) la
morfologia è condizionata, oltre che dalla litologia, per gli aspetti più
appariscenti (vedi Fig. 7), dalla tettonica connessa al magmatismo triassico con diverse valli di faglia (SARTI E ARDIZZONI, 1984).
Le Pale di San Lucano rappresentano una situazione eccezionale
per osservare lo sviluppo delle scogliere ladinico-carniche. Nell’edificio delle Pale si riconosce la prima generazione di scogliere (F. dello
Sciliar prevulcanica e sinvulcanica) prima progradante e poi aggradante
(Fig. 13) e la soprastante scogliera carnica (DE ZANCHE E GIANOLLA 1995,
BLENDINGER et al., 2007).
L’OROGENESI ALPINA
La Regione Dolomitica, dopo lo sprofondamento con continua sedimentazione fino al Cretaceo, dall’Eocene viene coinvolta nell’Orogenesi con la fase Mesoalpina (tettonica dinarica, con compressione
Figura 7 - Da Campo Boaro: sula sinistra le rocce vulcaniche e vulcanoclastiche del M. Prademur (Gr. di Cima Pape) in onlap sulla scarpata di scogliera delle Pale di San Lucano-Lastia
di Gardes (superficie strutturale). In primo piano a destra la scarpata delle Pale del Balcon.
60
Danilo Giordano
ENE-OSO, DOGLIONI E BOSELLINI 1987, DOGLIONI 1987, 1992, 2007; CAet al. 1996), ma rimane ancora sommersa, anche se prossima
al livello del mare. L’esame delle successioni stratigrafiche terziarie ha
permesso (CASTELLARIN et al. 1996; ZATTIN et al. 2003, STEFANI et al.
2007) di ricostruire dettagliatamente le fasi del sollevamento. Nelle serie terrigene terziarie, del bellunese e della fascia prealpina, che vanno
dal Cattiano al Langhiano, i clasti delle arenarie indicano come sorgente
le rocce del Basamento Australpino a nord del Lineamento Periadriatico.
È solo a partire dal Serravalliano che i flussi provenienti da nord vengono ostacolati dal sollevamento di parte delle Alpi Meridionali (fase
Neoalpina con compressione NNO-SSE), infatti i sedimenti tortonianomessiniani sono dominati da frammenti litici, calcareo-dolomitici, provenienti proprio dall’erosione dell’area dolomitica. L’impostazione del
reticolo idrografico attuale risale a questo periodo.
La regione ha cominciato ad innalzarsi prima grazie ad una serie di sovrascorrimenti pellicolari localizzati in una fascia che attraversa i gruppi
della Marmolada e dell’Antelao. Il sollevamento maggiore si è concentrato in corrispondenza dell’anticlinale di propagazione di faglia collegata
alla Linea della Valsugana, solo qui, infatti, l’erosione ha riesumato il Basamento Cristallino. Col procedere dell’orogenesi si sono attivate, sempre
più a sud, altre strutture (L. di Belluno, L. di Bassano, L. del Montello),
responsabili dell’attuale sismicità dell’area prealpina, che hanno continuato a sollevare “passivamente” i nuclei dolomitici principali.
STELLARIN
L’IMPOSTAZIONE DEL RETICOLO IDROGRAFICO
L’attuale reticolo idrografico è un’eredità del Miocene superiore;
esaminando i rapporti temporali fra tettonica e impostazione dei corsi
d’acqua si può rilevare che la valle del Cordevole è conseguente rispetto
al primo sollevamento (zona Sella-Tofane), mentre è antecedente per
quanto riguarda l’innalzamento dell’Anticlinale della Valsugana, tagliata nettamente in senso N-S.
Il rapido sollevamento dell’anticlinale, nella zona delle Pale di S.
Martino, ha generato una serie di corsi d’acqua diretti lungo le linee di
massima pendenza della struttura (valli conseguenti).
La Val d’Angheràz, segmento iniziale della Valle di San Lucano
(Figg. 9, 20, 22), disposta in senso S-N si può definire una valle conseguente. Il tratto successivo orientato O-E (Fig. 1) ha le caratteristiche
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
61
di valle susseguente, collocata parallelamente alla struttura tettonica in
corrispondenza di una fascia di rocce più erodibili, in prossimità del nucleo della blanda sinclinale delle Pale di San Martino.
La minor resistenza all’erosione si può ricondurre a fattori di natura
stratigrafica (presenza in superficie durante l’impostazione della valle
di formazioni tenere) e/o tettonica (rete di faglie e fratture, vicinanza
all’asse di una sinclinale).
Comunque sia con il procedere dell’approfondimento, il solco vallivo
diventa un limite invalicabile che delimita l’ambito di azione morfogenetica del corso d’acqua. L’incisione continua anche se come in questo
caso, esso incontra rocce più dure di quelle iniziali. La configurazione
del reticolo idrografico, una volta abbozzata, non subisce più modifiche
sostanziali; la sua evoluzione successiva consiste nell’approfondimento dei solchi, nell’allargamento dei fondovalle, nell’arretramento delle
testate (erosione regressiva), nella degradazione dei fianchi (erosioni,
frane) e nella proliferazione del reticolo affluente.
Si può osservare che la Valle di S. Lucano incide profondamente il
margine orientale della scogliera della Pale mentre l’Altopiano verso
ovest è rimasto sostanzialmente integro. Si ritiene che ciò sia dovuto alla
vicinanza del Cordevole, con la sua valle (antecedente), ben incisa e un
reticolo idrografico laterale in via di definizione. Diversamente la valle
del T. Cismon è di tipo conseguente e con la sua impostazione N-S non
ha mai offerto un richiamo per i torrenti delle Pale di San Martino.
L’ASSETTO TETTONICO
Come già riferito la Valle di San Lucano è posta sul fianco nord, poco
inclinato, dell’Anticlinale della Valsugana. La fase di sollevamento (e
ripiegamento) Neoalpina, nonostante la vicinanza con l’importante dislocazione, non ha prodotto sul blocco delle Pale strutture tettoniche in
grado di influenzare in modo significativo l’ assetto del paesaggio. Sul
fianco destro della valle si sono rilevate diverse faglie e sovrascorrimenti
di direzione valsuganese che però risaltano poco nella morfologia e non
sono sempre di facile individuazione, nemmeno nelle fotografie aeree.
Gli elementi morfologici sono invece dominati da un sistema di faglie verticali a prevalente rigetto trascorrente di direzione scledense
compresa fra NNO-SSE e NO-SE (Fig. 8). Si tratta di elementi tettonici
connessi con l’ultimo evento deformativo importante che ha coinvol-
62
Danilo Giordano
to la regione dolomitica nel Messiniano-Pliocene inf. (fase neoalpina
Adriatico-Padana CAPUTO 1996 CASTELLARIN et al. 1996, 1998). Probabilmente (CAPUTO, 2007 in NERI et al.) si tratta in gran parte di fenomeni
di riattivazione di faglie dirette ad alto angolo che hanno interessato la
regione durante il rifting Triassico sup.-Giurassico.
Queste faglie, con le fratture e le fasce cataclastiche ad esse collegate,
Figura 8 - Ortofoto della Valle di San Lucano con individuazione delle lineazioni (nord in alto).
Molto evidente il sistema di faglie (trascorrenti) di direzione compresa fra NNO-SSE e NO-SE.
Sono indicate: la L. del Coston della Vena (CV), la L. Pale del Balcon-Croda Grande (PD-CG),
la L. del Van delle Scandole (VS) e la L. del Van de Mez (VM).
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
63
hanno condizionato in modo decisivo la genesi del paesaggio.
In presenza di strutture tettoniche con assetto subverticale l’erosione
è più efficace per l’elevata energia del rilievo e per la facilità con la quale i detriti prodotti dalla disgregazione vengono allontanati lungo i canaloni. Al contrario con piani di faglia poco inclinati i detriti non vengono
asportati e tendono a ricoprire la struttura preservandola dall’erosione
(CAPUTO 2007 in NERI et al., 2007), l’effetto di erosione accelerata si
verifica indipendentemente dall’entità del rigetto fra i blocchi.
Le cime della catena Agnèr-Croda Grande come pure le Pale di S. Lucano sono solcate da profondi canaloni (borai, van) impostati in corrispondenza delle fasce di roccia cataclasata e quindi facilmente erodibile, associate
alle faglie. La stessa Val d’Angheràz presenta un reticolo di faglie e fratture
(evidenti alla testata della valle e lungo i fianchi ma non sul fondovalle per
la copertura detritica) che ne giustifica le dimensioni (Figg. 9, 20).
Una riprova che questo sistema di faglie trascorrenti sia collegato ad
Figura 9 - La catena dell’Agnèr-Croda Grande e la sottostante Val d’Angheràz da F.lla Caoz.
L’influenza della tettonica nella genesi del paesaggio è notevolissima: la cima dell’Agnèr è
separata dallo Spiz d’Agnèr (sx) e dalla Torre Armena (dx) da due canaloni di faglia. A destra
della Torre Armena si sviluppa il Van delle Scàndole impostato su una faglia trascorrente sinistra che attraversa anche la catena di Cima Pape. Si può notare inoltre l’intensa tettonizzazione della testata della Val d’Angheràz e del suo fianco destro, contraddistinto da un paesaggio
a guglie e pinnacoli.
64
Danilo Giordano
una tettonica recente è costituita dalle forme ad esse associate che sono
molto fresche. Si ricordano, a titolo di esempio la scarpata di faglia che
borda ad est il Pian del Miel (Linea Pale del Balcon-Croda Grande PBCG, fig. 17), lo specchio di faglia alto 5-6 m ed esteso per più di 200
m, ubicato a sud del Coston della Vena (Fig. 18, Linea del Coston della
Vena CV), la scarpata di scogliera dislocata dalla L. del Coston della
Vena (Fig. 10).
Sulla base dei dati bibliografici e delle osservazioni di campagna
sono state disegnate due sezioni geologiche (Fig. 12), la prima in direzione N-S all’altezza di Mezzavalle, dal M. S-Lucano allo Spiz d’Agnèr,
la seconda in direzione NO-SE dalla Lastia di Gardès al M. Agnèr.
Nella prima il profilo è abbastanza simmetrico, mentre nella seconda si
nota una spiccata asimmetria, poco imputabile alla direzione del profilo.
Il fianco nord più ripido (Pale S. Lucano) è scolpito nelle tenaci bancate dolomitiche con strati a reggipoggio, tagliate in basso da una faglia
parallela alla parete, al piede affiorano le formazioni anisico-scitiche
parzialmente ricoperte da detriti di versante e macereti di frana.
Figura 10 - Pale del Balcon e Campo Boaro da Val Gardès. È evidenziata la Linea del Coston
della Vena; si tratta di una trascorrente destra che disloca la scarpata di scogliera delle Pale
del Balcon (sx) rispetto alle vulcaniti di Campigat-Campo Boaro (dx), in rapporto di onlap
sulla scarpata di scogliera.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
65
Sul versante dell’Agnèr gli strati immergono in media lievemente a
franapoggio, le tenere formazioni anisiche arrivano a quote più elevate,
esiste una fitta rete di faglie e fratture che si intersecano perpendicolarmente isolando grosse masse rocciose e rendendo le rocce più erodibili.
La conseguenza è che i depositi quaternari (frane postglaciali e debris
flow) sul lato sud della Valle sono più estesi e potenti. Il loro maggior
sviluppo ha prodotto una graduale migrazione dell’alveo del Tegnàs
verso il fianco nord della valle dove l’apporto detritico è minore.
La faglia disegnata al di sotto della copertura quaternaria, al centro
della Valle, è stata ipotizzata per rendere conto del diverso spessore delle formazioni anisiche. La sua presenza è stata confermata nelle indagini sismiche ad alta risoluzione eseguite nella media Valle di San Lucano
nei pressi dell’omonima chiesa (CAIELLI E DE FRANCO, 2010 in stampa).
Figura 11 - Van de Mez. Si può notare l’intensa tettonizzazione che caratterizza il fianco sud
della Valle sotto l’Agnèr, si tratta in questo caso di faglie dirette con immersione verso SE e inclinazione di circa 60°. FW S.L.: Formazione di Werfen, Membro di San Lucano; DSI: Dolomia
del Serla Inferiore; FA: Formazione di Agordo; FC: Formazione del Contrin.
66
Danilo Giordano
LE ROCCE E L’EROSIONE
Le rocce del substrato soggette alle azioni erosive degli agenti morfogenetici (corsi d’acqua, ghiacciai, neve-gelo, carsismo, ecc. ) hanno
“risposte morfologiche” diverse. Sulla base delle caratteristiche geomeccaniche e litologiche vengono individuate quattro classi (tipo FENTI
et al., 2001) che, per i litotipi della Valle di San Lucano, comprendono
rocce con comportamenti simili.
Figura 12 - Profili geologici attraverso la Valle di San Lucano.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
67
A) Rocce ad alternanza di tipi litologici e fittamente stratificate
(arenarie, siltiti, calcari marnosi, marne, dolomie).
La resistenza meccanica a livello campione di queste formazioni è molto variabile ma esse sono accomunate da un comportamento meccanico
d’insieme nel complesso omogeneo, determinato dalla fitta stratificazione e dall’alternanza litologica. Sono contraddistinte da una scarsa
evidenza morfologica, originano forme blande e arrotondate, pendii
poco acclivi, cenge, basse pareti rocciose; sono facilmente erodibili
perché gelive e degradabili.
(F. di Werfen; C. di Voltago, C. di Richthofen, C di Morbiac parte inferiore; F. di Moena; F. di Livinallongo; Arenarie di Zoppé; “Caotico
Eterogeneo”).
B) Rocce vulcaniche e subvulcaniche e rocce conglomeratiche e
arenitiche vulcanoclastiche
Sono rocce grossolanamente suddivise e poco fratturate, hanno un’evidenzia morfologica da media ad elevata, formano pareti rocciose alte
anche più di 100 metri; per la loro composizione in prevalenza basica
sono soggette ad alterazione superficiale e si disgregano con facilità.
(monzoniti, latiti, andesiti, basalti; F. del M. Fernazza, “Conglomerato
della Marmolada”).
C) Rocce carbonatiche dolomie, calcari, calcareniti, arenarie in
strati massicci in formazioni di spessore decametrico
Sono rocce compatte, in strati massicci, ma lo spessore della formazione è in genere modesto per questo motivo costituiscono dei gradoni
alti dai 10 ai 50 metri separati da cenge inclinate. L’evidenza morfologica è medio-elevata, sono rocce poco degradabili ma possono essere
sottoposte ad erosione per scalzamento al piede costituito da rocce più
tenere.
(Dolomia del Serla Inferiore, Formazione di Agordo, Calcare di Morbiac, Dolomia Cassiana).
D) Rocce carbonatiche dolomie e calcari massicci in formazioni
di spessore sull’ordine delle centinaia di metri
Si tratta di rocce calcareo-dolomitiche di aspetto massiccio talvolta
cariate e vacuolari, massicciamente stratificate o prive di stratificazione,
l’evidenza morfologica è elevatissima formano pareti rocciose subverticali, verticali e strapiombanti, alte diverse centinaia di metri (Pale S.
68
Danilo Giordano
Lucano, Agnèr, ecc.), sono poco erodibili e degradabili. Per l’elevata
pendenza sono soggette a frane di crollo. (Formazione del Contrin, Formazione dello Sciliar).
FORME LEGATE ALLA LITOLOGIA
Il versante Pale di San Lucano e la Val Bordina sono litologicamente
più complessi e nel contempo meno tettonizzati del versante Agnèr, Val
d’Angheràz e si prestano meglio ad evidenziare il grado di erodibilità delle
rocce (Fig. 13).
Osservando il profilo a destra della Terza Pala a partire dal T. Tegnàs si
hanno inizialmente pendenze blande, sviluppate in corrispondenza della F.
di Werfen e della D. del Serla inferiore, parzialmente ricoperte da depositi
di frana. Un primo basso gradino si individua in coincidenza col bancone
calcarenitico della F. di Agordo (vedi anche Fig. 14), la successiva attenua-
Figura 13 - Il Gruppo delle Pale dalla Grotta di San Lucano. Il pendio a sinistra della Lastia
di Gardés è una superficie strutturale che coincide con la scarpata di scogliera della Pale di
San Lucano, di cui si notano le clinostratificazioni; sulla cima dello Spiz di Lagunaz invece
gli strati sono orizzontali (laguna interna F. Sciliar). Alla base della Terza Pala è indicata (in
rosso) una faglia parallela alla parete,mentre un grande specchio di faglia inclinato si può
individuare appena sotto la cima.
F.A. Formazione di Agordo; F.C. Formazione del Contrin, C.M. Calcare di Morbiac; F.S. Formazione dello Sciliar; F.L. Formazione di Livinallongo.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
69
zione di pendenza è in relazione con l’affioramento degli strati arenaceomarnosi del C. di Richthofen e/o del Calcare di Morbiac. Con la F. del
Contrin, il pendio diventa verticale e si mantiene tale (lieve interruzione
al passaggio con la F. dello Sciliar), fino alla cima scolpita ancora nella F.
dello Sciliar.
Prendendo in esame invece il profilo sotto la Lastia di Gardès si osserva
una prima parete alta 50-60 m scolpita nei calcari nodulari del “Morbiac”,
poi un’ampia cengia inclinata modellata negli strati sottili della F. di Livinallongo. Un nuovo incremento di pendenza si ha con la F. dello Sciliar, la
verticalità è localmente interrotta (e messa in evidenza dalla fasce boscate)
da interdigitazioni della F. di Livinallongo nella F. dello Sciliar (vedi anche
Fig. 5). Il pendio a sinistra è una superficie strutturale che coincide con la
scarpata di scogliera della Pale di San Lucano (F. dello Sciliar).
Il gradino modellato nella Formazione di Agordo si può riconoscere
facilmente lungo il fianco sinistro della valle a partire dalla chiesa di
S. Lucano. Il bancone aumenta gradualmente di spessore e, benchè sia
frequentemente interrotto da faglie, sottolinea la componente dell’immersione generale degli strati nella direzione dell’asse della valle, pas-
Figura 14 - Boral di Lagunàz, profilo che evidenzia il diverso grado di erodibilità delle formazioni anisiche. Formazione di Agordo (F.A.); C. di Richthofen (C.R.); C. di Morbiac (C.M.); F.
del Contrin (F.C.), è indicata la traccia di un piano di faglia.
70
Danilo Giordano
sando dalla quota di 830 m s.l.m. ai 1030 m in Val Bordina. La Cascata
dell’Inferno lungo il Rio Bordina è un tipico esempio di erosione selettiva (Fig. 15) con il bancone della F. di Agordo che sporge a strapiombo
rispetto ai litotipi arenaceo-siltosi teneri della parte inferiore della F. di
Agordo e del C. di Voltago.
Nella parte alta della Val Bordina gli effetti delle eteropie di facies
del Ladinico sulla genesi del paesaggio sono eclatanti (Fig. 7). Il paesaggio sviluppato sulle rocce vulcaniche e vulcanoclastiche, (modellato
in basse pareti rocciose, pendenze blande, forme morbide, arrotondate,
estesamente colonizzate dalla vegetazione), contrasta anche per il colore con le forme rupestri dolomitiche delle Pale.
In quest’area si riconoscono altre forme riconducibili all’erosione
selettiva come la cuesta di Cima Vanidiei (Fig. 16) e il versante a gradinata del M. Prademur.
Figura 15 - Cascata dell’Inferno lungo il Rio Bordina, un classico esempio di morfologia selettiva; la soglia è scolpita nella F. di Agordo. Sotto la cascata e sulla destra, separati da una
faglia, affiorano gli strati varicolori del C. di Voltago.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
71
LE FORME GLACIALI
Gli agenti morfogenetici più importanti che si sono avvicendati più
volte nel corso degli ultimi 3 milioni di anni ed hanno prodotto l’attuale
assetto del paesaggio sono stati corsi d’acqua e ghiacciai.
La valle del Cordevole è una valle fluviale molto antica (Miocene
superiore), presente prima del sollevamento delle Pale e delle Dolomiti
Bellunesi e scavata contestualmente all’innalzamento.
La prima grande espansione glaciale risale a 2,4 milioni di anni fa
(2,4 M.a. B.P.), a partire da questa data fino alla prima parte del Quaternario (0,9 M. a. B.P.) si sono succedute molte fluttuazioni glaciali anche
se di entità moderata.
Nel Pleistocene medio le glaciazioni diventarono nettamente più marcate ma ogni avanzata dei ghiacci distruggeva i depositi morenici delle
precedenti ecco perché i dati ricavati dagli isotopi dell’ossigeno (BINI et
al. 1999) nei sedimenti marini indicano otto episodi glaciali separati da
interglaciali più caldi, mentre la suddivisione alpina classica riconosce
Figura 16 - Cima dei Vanidiei. La cima dei Vanidiei rappresenta un classico esempio di cuesta,
un rilievo monoclinale con strati poco inclinati, originato per erosione selettiva. Lo strato
superiore è formato da tenaci banconi di “Conglomerato della Marmolada”. Sul pendio sottostante affiorano gli strati meno resistenti della F. del M. Fernazza e ancora più sotto, dove la
pendenza aumenta, lave a pillow.
72
Danilo Giordano
solo quattro glaciazioni (Gunz, Mindel Riss, Würm), nelle Dolomiti rimangono tracce consistenti solamente della glaciazione würmiana.
L’attuale aspetto delle valli del Cordevole, del Tegnàs, della Liera, dal
classico profilo trasversale ad “U”, con fondo piatto e i fianchi ripidi, è
un’eredità dell’azione dei ghiacciai che hanno modificato, allargando e
talvolta approfondendo i solchi scavati prevalentemente dai corsi d’acqua. Il letto in roccia del Tegnàs all’altezza della chiesa di S. Lucano, ad
esempio, si trova ad oltre 200 metri di profondità rispetto al piano campagna (CAIELLI E DE FRANCO, 2011).
Circa 120.000 anni fa la Terra si trovava in un periodo interglaciale,
ma verso i 110 mila anni fa le calotte glaciali erano già ben sviluppate ed
il livello marino si era abbassato di 60 metri. A questa prima pulsazione
glaciale seguirono varie oscillazioni climatiche “tiepido”-glaciali. Il massimo del freddo venne raggiunto circa 20 mila anni fa con una temperatura media terrestre di circa 5° e un livello del mare di 120 metri inferiori
alle condizioni attuali.
Nel pleniglaciale würmiano le Alpi erano ricoperte da una enorme calotta di ghiaccio spessa localmente più di 2 km, possenti lingue glaciali
scendevano dall’asse della catena alpina e percorrevano le valli dolomitiche dove venivano alimentate anche dai ghiacciai locali.
Il ghiacciaio del Cordevole, nella conca agordina, raggiungeva una
quota di oltre 1500 m (CASTIGLIONI, 1940) e ad esso si univano i ghiacciai
provenienti dal Civetta (Val Corpassa) e dalle Pale (V.S. Lucano).
Larghezza e profondità della Valle di San Lucano, laterale secondaria,
sono inaspettatamente maggiori di quella del Cordevole, valle principale
nella quale convergevano i ghiacciai provenienti dalla calotta alpina. Il
fatto può essere spiegato facendo riferimento all’area di alimentazione
del ghiacciaio. Il Gruppo delle Pale di San Martino per la sua posizione
geografica (è il primo gruppo montuoso che raggiunge i 3000 ad essere
investito dalle perturbazioni provenienti da Sud-Est) è caratterizzato da
precipitazioni molto più elevate che nel resto delle Dolomiti, con temperature invernali record (27 dicembre 2010 -48,3 °C). Il limite delle nevi
permanenti è posizionato a quote inferiori rispetto alle Dolomiti più settentrionali, prova ne è la presenza del Ghiacciaio della Fradusta (purtroppo in fase di ritiro avanzata), adagiato sul fianco nord di un monte alto
solo 2939 m s.l.m. Le condizioni microclimatiche durante la glaciazione erano molto favorevoli all’accumulo di ghiaccio sull’Altopiano delle
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
73
Pale. Il ghiacciaio “di San Lucano” era alimentato da lingue diffluenti
dalla calotta che occupava l’altopiano e dalle valanghe provenienti dai
profondi canaloni che incidono la catena dell’Agnèr nei quali la neve si
conserva, anche attualmente, per tutta l’estate.
L’elevata profondità raggiunta dalla sovraescavazione glaciale è connessa con la presenza di strati teneri (G. di Braies e F. di Werfen), facilmente
erodibili anche perché tettonizzati, una volta “sfondata” la dura roccia dolomitica.
Le forme di erosione glaciale nella Valle sono imponenti come la classica
forma ad “U”(Figg. 1 e 22), l’enorme circo glaciale della Val d’Angheràz
(Fig. 20), i circhi sospesi (Pian del Miel), i piccoli ma caratteristici circhi
che intaccano l’orlo della Prima e della Seconda Pala, la montonatura delle
rocce dolomitiche (Fig. 17). Le forme di accumulo sono più modeste ma
molto significative: CASTIGLIONI (1939) aveva individuato la serie di argini
morenici, attribuiti allo stadio del Bühl, poco a monte di Taibon (loc. Le Torte) e gli argini frontali e laterali dello stadio Gschnitz in alta Val Angheràz.
Nel corso di questo studio sono stati scoperti altri argini morenici fron-
Figura 17 - L’altopiano delle Pale con il Ghiacciaio della Fradusta dalle Cime dei Vanidiei. A
sinistra il Pian del Miel (circo glaciale sospeso bordato da una scarpata di faglia) sulla destra
la Val di Reiane (glaciale sospesa); l’azione dei ghiacciai würmiani e stadiali è riconoscibile
anche dalla “montonatura” delle rocce dolomitiche.
74
Danilo Giordano
tali (attribuibili al Daun) attorno a q. 2000, nei pressi della Tromba del
Miel (Fig.18).
In località Pont sono stati individuati più affioramenti di strati di limi
argilloso-sabbiosi di colore scuro, con frequenti dropstone (Fig. 19), sulla
base delle osservazioni di campagna si ritiene che si tratti di sedimenti
lacustri deposti in un lago di contatto glaciale, creatosi nelle prime fasi di
ritiro dei ghiacciai würmiani.
Si ipotizza che il lago si sia originato quando il ghiacciaio principale
della Val d’Angheràz-V.S. Lucano si era già notevolmente contratto rispetto alla massima espansione (i depositi morenici sul soprastante colle
di S. Lucano arrivano quasi a q. 1700) e stazionava ad una quota prossima ai 1200 metri, impedendo il deflusso delle acque provenienti dalla
V. Bordina. Qui il ghiacciaio locale, meno alimentato, si era già staccato
da quello principale, ritirandosi in Val Reiane (Figg. 20, 21).
Altri depositi lacustri sono stati individuati con l’esecuzione di un sondaggio meccanico in località Paluc (TESTA B., comunicazione personale).
Si tratta di un lago di sbarramento correlato con gli argini morenici del
Bühl, la diversa permeabilità dei terreni in questa zona rispetto alla parte
più interna della valle è sottolineata anche dalla diffusione delle risorgive.
Figura 18 - Argini morenici frontali (attribuibili allo stadio Daun) in Val del Miel. In primo
piano due specchi di faglia circa perpendicolari, collegati alla L. del Coston della Vena.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
75
Figura 19 - Limi argilloso-sabbiosi glaciolucustri con dropstone nei pressi di Pont.
Figura 20 - Val d’Angheràz e Val di Reiane dal versante sud della C. dei Vanediei. Al centro
della foto la Val Bordina che tronca la scogliera ladinica. S Formazione dello Sciliar, L Formazione di Livinallongo, V Vulcaniti; 1 frana di Pian della Stua, 2 Deformazione Gravitativa
Profonda di Versante sotto le Pale del Balcon 3 Colate detritiche attive in alta Val d’Angheràz.
76
Danilo Giordano
IL MODELLAMENTO DEI VERSANTI
Con la scomparsa dei ghiacciai, grazie alle eccezionali pendenze dei
versanti, l’azione morfogenetica più rilevante nel definire l’attuale profilo della Valle è stata quella collegata alla gravità.
Imponenti colate detritiche (debris flow) sono diffuse nell’alta Val
d’Angheràz e nel Van de Mez; una falda detritica continua, composta
da conoidi coalescenti e accumuli di frana contorna entrambi i versanti
della Valle di S. Lucano.
Grandi frane postglaciali si sono staccate dai versanti e collassate sul
fondovalle. La più imponente, situata sotto le Pale dei Balconi (Figg. 20
e 22) (CASTIGLIONI, 1939; ZAMPIERI, 1987) è probabilmente un D.G.P.V.
(Deformazione Gravitativa Profonda di Versante). Si tratta di una massa
in apparenza compatta (ma delimitata da fasce di rocce fratturate), fuori
asse rispetto alla conformazione originaria ad U della valle e contornata
da una nicchia semicircolare.
Osservando la morfologia del versante sud della valle sotto l’Agnèr e
la fratturazione delle rocce si può ipotizzare che fenomeni simili abbiano interessato anche il pendio di fronte a Lagunàz e in località Borselle,
Figura 21 - Ricostruzione ipotetica del lago di contatto glaciale di Pont, originato per l’ostruzione della valle di Reiane da parte del ghiacciaio principale di S. Lucano.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
77
ma i macereti di frana sono in buona parte sepolti nella copertura alluvionale molto profonda in quest’area dove la sovraescavazione glaciale
supera i 200 metri.
Un altro deposito di frana di notevole estensione coinvolge le vulcaniti in Val di Reiane nella zona di Pian della Stua, ma la più nota è la
frana di crollo di Prà e Lagunaz del 1908, staccatasi dalle Cime di Van
del Pez, dove masse instabili incombono ancora sulla valle.
PARTICOLARITÀ GEOMORFOLOGICHE MINORI
La Valle di San Lucano si nota per i sui lineamenti molto appariscenti, ma nasconde nei suoi angoli più o meno remoti altre particolarità
geomorfologiche “minori”.
Forme carsiche superficiali del tipo campi carreggiati (con rillenkarren, rinnenkarren, trittkarren, kamenitza) sono diffuse sulla superficie
della scarpata di scogliera delle Pale dei Balconi e nel vallone del Miel.
Figura 22 - Dall’alta Val d’Angheràz verso nord con Cima Pape e Lastia di Gardès. In primissimo piano detriti di frana e debris flow, al centro della foto uno degli argini morenici dello
stadio Gschnitz (collina alberata), in fondo sul fianco sinistro, si può notare una massa fuori
asse rispetto ai fianchi della valle stessa, ribassata rispetto al crinale delle Pale del Balcon
e sottolineata da una fascia di rocce chiare. Si tratta di una grande frana post-glaciale molto
probabilmente un DGPV. Si noti l’interruzione del fianco della scogliera fra le Cime del Balcon
a sinistra e la Lastia di Gardès a destra in corrispondenza della Val Bordina.
78
Danilo Giordano
Frequenti le doline sulle Pale di S. Lucano e sul bordo dell’altopiano
delle Pale di S. Martino dove si sono individuate anche cavità a sviluppo verticale (circa 20 m di profondità) lungo la faglia del Coston della
Vena. Diverse sono le sorgenti carsiche di fondovalle, di cui la più conosciuta è quella del Livinàl dell’Acqua, con portate che superano i 100 l/s.
Si segnalano anche due curiosi archi di roccia, l’arco del Besanel alla
sommità del Boral de Lagunàz e “el Cor” nelle Pale del Balcon, caratterizzato da una insolita forma a cuore.
CONCLUSIONI
La Valle di San Lucano ha solo l’aspetto di valle glaciale in realtà nasce
come valle fluviale con forti influenze tettoniche.
Il segmento della Val d’Angheràz (Sud-Nord) è una valle fluviale conseguente, impostata nel Miocene Superiore, durante il sollevamento dell’Anticlinale della Valsugana. Il tratto successivo, la Valle di S. Lucano propriamente detta (Ovest-Est), si può interpretare come valle susseguente,
impostata lungo una fascia dove affioravano rocce tenere, tettonizzate, in
vicinanza del nucleo di una blanda sinclinale, alla sua origine ha collaborato
l’azione di ampliamento laterale del reticolo idrografico del T. Cordevole.
L’attraversamento completo della scogliera ladinica delle Pale di S.
Martino è un fenomeno di sovrimposizione; quando un solco vallivo è delineato esso conserva la sua posizione anche se, come in questo caso, va ad
incidere rocce più dure.
Il reticolo di faglie e fratture connesse con l’Orogenesi Alpina ha condizionato in modo molto significativo l’approfondimento e l’allargamento
della valle, così come la presenza, al di sotto della dolomia ladinica, di rocce del Trias Inferiore, facilmente erodibili e attraversate da due sistemi di
faglie anisiche. La giacitura degli strati, la frequenza e la disposizione delle
faglie (sia anisiche che alpine) sono responsabili dell’asimmetria del profilo
trasversale della valle, più ripido sul lato Pale e più articolato sul versante
Agnèr.
L’erosione glaciale è stata comunque molto efficace nel modellare i fianchi e scavare il fondo della valle che, pur essendo una valle laterale minore,
non è sospesa sul solco principale del Cordevole. Il ghiacciaio locale possedeva dimensioni e spessori simili a quello del Cordevole perché ben alimentato da un’area particolarmente prodiga di precipitazioni nevose come
il Gruppo delle Pale di S. Martino.
Valle di San Lucano, aspetti geomorfologici
79
RINGRAZIAMENTI
Sono grato all’amico geologo Lucio D’Alberto per avermi accompagnato in molte escursioni sulle montagne della Valle di San Lucano, per
i frequenti e proficui scambi di idee e per la lettura critica del lavoro.
Ringrazio l’amico e collega Alberto Bertini, per le piacevoli discussioni
geologiche e per la sua lettura critica. Ringrazio inoltre Bruno Testa,
Barbara Aldighieri, Roberto de Franco per le informazioni fornite.
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Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
GEOMORFOLOGIA FLUVIALE IN VALLE DI SAN LUCANO:
IL PROGETTO TEGNAS
Bruno TESTA, Barbara ALDIGHIERI
Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali - CNR, Milano
e-mail: [email protected]
con la collaborazione di:
Istituto Tecnico Minerario “U. Follador”: Prof. Bruno Bulf, Prof. Dino Preloran, Prof. Danilo Giordano, Prof. Enrico Pescosta, Ing. Michele Costa, Classi IV e V – (a.2009/2010)
Comunità Montana Agordina: Ing. Luciano Sabbedotti
RIASSUNTO
Il “Progetto Tegnas” si propone di sperimentare e verificare l’applicabilità
della metodologia indicata come “Watershed Assessment of River Stability
and Sediment Supply” (WARSSS – ROSGEN, 2006) nel contesto morfologico
alpino, iniziando con lo studio di un’area prototipo nella Valle di San Lucano
(Comune di Taibon Agordino, Dolomiti Bellunesi).
Nato dalla collaborazione tra l’Istituto per la Dinamica dei Processi
Ambientali (CNR-IDPA-Milano), l’Istituto Tecnico Industriale Minerario
“U.Follador” di Agordo, e la Comunità Montana Agordina, il progetto è giunto al suo secondo anno e coinvolge ormai tutti gli enti locali vocati alla gestione territoriale.
La realizzazione di un laboratorio stabile a cielo aperto permette di svolgere nel contempo attività di ricerca e di monitoraggio del sistema fluviale;
inoltre, dato che l’ITIM svolge un ruolo di primo piano nella pianificazione ed
esecuzione delle campagne di acquisizione dati sul terreno, fornisce il supporto didattico ai programmi istituzionali dell’Istituto al fine di indirizzarli verso
tematiche territoriali e ambientali, tra l’altro il “Progetto Tegnas” ha vinto il
primo premio del “Concorso 100 scuole” indetto dal Provveditorato agli Studi
nel 2010.
La prospettiva a lungo termine è duplice: quella di ampliare l’indagine
ai bacini adiacenti ed elaborare modelli interpretativi dell’evoluzione idrogeomorfologica della “Regione Dolomitica”, basati su osservazioni a lungo
periodo.
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Bruno Testa, Barbara Aldighieri
INTRODUZIONE
La Progettazione di Canale Naturale per il ripristino dei corsi d’acqua (Natural Channel Design, NCD) è stata sviluppata, realizzata e verificata per quasi quattro decenni dallo “United States Department of
Agricolture - Natural Resources Conservation Service” (USDA-NRCS).
Il metodo deriva infatti dai risultati di indicazioni fornite da un dettagliato progetto di monitoraggio. Una componente alla base della metodologia di ripristino, implica l’applicazione di un sistema di classificazione
di corso d’acqua. Gli “strumenti” correntemente utilizzati per l’NCD includono la “Rosgen Stream Classification” (RSC) (ROSGEN, 1994, 1996).
Il principio su cui si basa il metodo dell’NCD è che ogni corso d’acqua naturale sia la risposta univoca alle condizioni geomorfologiche
e climatiche di un’area o “Regione Fisiografica”: eccessivi fenomeni
di sedimentazione/erosione rivelano condizioni di disequilibrio, la progressiva perdita nelle funzionalità biologiche può rivelare una condizione di degrado ambientale, al contrario il regolare deflusso idrico e
dei sedimenti lungo il canale indica l’equilibrio del bacino di drenaggio
con le condizioni climatiche locali. Nella progettazione degli interventi
di ripristino NCD, basati sul concetto di “canale naturale”, un corso
d’acqua, ricostruito con parametri geometrici (dimensioni, sinuosità,
pendenze) e idro-geomorfologici che rispettino le caratteristiche naturali originali, permette di controllare i meccanismi di aggradazione o
degradazione del suo letto (ROSGEN, 2007) e prevederne il comportamento idraulico; un corso d’acqua quindi può essere riportato in una
condizione stabile compatibile con l’ambiente circostante.
Ogni corso d’acqua ha quindi caratteristiche tipiche proprie classificabili che definiscono il suo stato fisico (“stream-type”) che, nel tempo
e nello spazio, può cambiare, passando da uno stato all’altro.
Una particolare attenzione merita il termine “portata formativa di
canale” o “portata di bankfull” (o anche portata ad argini pieni): esso
fa riferimento alla portata che raggiunge la sommità degli argini, ma
non partecipa alla formazione della piana fluviale. La portata di bankfull è il flusso di massima magnitudine, associata alla formazione attiva
del canale e riveste quindi il più alto significato morfologico (LEOPOLD,
1994). La combinazione tra la grandezza della portata allo stadio di
bankfull e la sua frequenza produce il più alto stress di taglio medio
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
85
nel corso d’acqua e trasporta la maggior parte dei sedimenti (WOLMAN
& MILLER, 1960). Per tali ragioni, la portata di bankfull è considerata
il deflusso migliore per rappresentare la morfologia del canale naturale
nella costruzione delle Curve Regionali (vedi di seguito).
Gli studi di Geomorfologia fluviale, come il Watershed Assessment
of River Stability and Sediment Supply (WARSSS - ROSGEN, 2006), che
indicano alcuni metodi per la progettazione di ripristino del “canale naturale”, sono fondamentalmente basati sulle misurazioni dell’alveo allo
“stadio di bankfull” ovvero sul rilevamento idraulico-geomorfologico
del corso d’acqua con riferimento alla sua portata di bankfull, e la conseguente stima di tale portata (HEY, 2006). Si tratta di una metodologia
complessa che integra ecologia e idraulica, ma che si basa sulla semplicità dell’equazione di continuità (w * d * u = Q) dei canali naturali, per
cui ciascun parametro – quale Q (portata), w (larghezza), d (profondità
nella sezione dell’alveo allo stadio di bankfull) e v (velocità del flusso
in quel momento) – subisce variazioni continue e sfumate, piuttosto che
delimitate e brusche. Le variabili di torrente cambiano continuamente
sia nel tempo che lungo il canale quindi, di solito, uno “stream-type
ottimale” non passa repentinamente e in un preciso punto al successivo
tipo “ottimale”. Questo concetto di continuum del corso d’acqua, durante le procedure di classificazione, contribuisce a risolvere problemi
che insorgono quando un parametro è al di fuori della gamma dalla
maggior parte degli altri, per il “tipo” di torrente indicato.
Interventi di ripristino, coerenti con i valori dei parametri idraulici
originari, permettono la conversione da un tipo fluviale ad un altro, a
seconda delle situazioni e delle finalità di progetto.
Ad esempio, se a seguito dell’attecchimento di vegetazione riparia
resistente all’erosione, si attua il passaggio da un canale naturale con
alto rapporto ampiezza/profondità a uno con basso rapporto ampiezza/
profondità, alcune variabili aumentano: Velocità, Sforzo di taglio, Potenza unitaria di canale, Capacità di trasporto di sedimenti, Competenza
dei sedimenti, Sinuosità, Habitat ittico, Ossigeno disciolto, Valore visivo; mentre altre diminuiscono: “n” di Manning, Pendenza, Erosione di
sponda, Temperatura dell’acqua, Livelli di piena (ROSGEN, 2007).
Nel realizzare un ripristino tuttavia la progettazione deve tener conto di alcuni semplici principi fondamentali: a) per ridurre la Velocità,
86
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
occorre aumentare l’Area, b) per aumentare l’Area (A = w * d), meglio
aumentare la larghezza piuttosto che la profondità, onde minimizzare
lo sforzo di taglio. Come risultato, vengono ricostruiti canali naturali
con il più alto rapporto ampiezza/profondità possibile (larghi e poco
profondi) per il “tipo” di progetto; interventi ben progettati migliorano
le potenzialità di fruizione dell’area fluviale, rendendola più sicura in
tutti i suoi possibili aspetti e si rivelano spesso un’opportunità di valorizzazione del territorio, obiettivo primario nelle aree ad alto valore
ecologico e ambientale, come nel caso delle Valli Dolomitiche.
Basandosi sull’ipotesi che il suolo, la geologia, il clima e l’idrologia
in combinazione con l’uso del territorio, influenzino il regime idrologico e quindi anche il periodo di ritorno della portata formativa (stadio di
bankfull) che costruisce e modella la morfologia del canale, è possibile
definire come “regione fisiografica” l’area che comprende, al suo interno, caratteristiche distintive da altre adiacenti.
Negli Stati Uniti, per ciascuna “regione fisiografica”, confrontando i dati rilevati sull’alveo con quelli delle stazioni di misura per quei
siti che possono essere considerati completamente adattati al regime
idrogeologico (WILKERSON, 2008), sono state sviluppate alcune Curve
Regionali. Esse sono quindi relazioni tra la portata formativa (stadio
di bankfull), l’ampiezza o la profondità di canale, con l’area del bacino
di drenaggio (DUNNE & LEOPOLD, 1978; LEOPOLD et al., 1964), costruite
laddove i canali naturali sono in equilibrio con il regime idrologico.
I dati di portata in senso strettamente statistico mostrano stazionarietà e hanno quindi media e varianza costante: registrazioni brevi (<10
anni) possono aver registrato solo un ciclo umido o secco ma, all’interno di una “regione fisiografica”, un evento estremo ne modificherà
la media e la varianza. Per questo, poche stazioni con brevi periodi di
misurazione mostreranno stazionarietà, ma stazioni con serie di lungo
periodo (>50 anni), che hanno molto probabilmente registrato anche
eventi estremi, sono comunque da preferire (HAUCKE & CLANCY, 2011)
nel calcolo dei periodi di ritorno dello stadio di bankfull. DUNNE & LEOPOLD (1978), dalle serie storiche degli Stati Uniti occidentali, hanno derivato un tempo di ritorno di 1.5anni (Q1.5), valore che potrebbe essere
considerato, in mancanza di dati rilevati o di informazioni addizionali,
un valido riferimento per la portata di bankfull anche nella nostra “Regione Alpina”.
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
87
LA VALLE DI SAN LUCANO E IL T. TEGNAS
Inquadramento idro-geomorfologico
La Valle di S. Lucano è tributaria destra della Valle del T. Cordevole
(Fig. 1). Si estende da Ovest verso Est con un bacino idrografico di circa 46 km2 che sviluppa un reticolo idrografico di 167 km. In testata di
valle, si fronteggiano due affluenti di 4° ordine perpendicolari all’orientamento dell’asta principale di 5° ordine: la Valle d’Angheràz, da Sud,
e la valle del T. Bordina, da Nord; i due corsi d’acqua si riuniscono a
850 m s.l.m. a Col di Prà, dopo aver raccolto le precipitazioni di un’area
di circa 29 km2. Da qui, l’asta principale del T.Tegnas scorre per 7 km
con lunghi tratti a pendenze inferiori al 2%, raccordati da brevi tratti
ripidi, con una pendenza media del 5.8%; il tratto di 5° ordine raccoglie
le precipitazioni dirette di circa 18 km2 tra le pareti quasi verticali delle
Pale di S. Lucano e quelle del Monte Agnèr, e una serie di sorgenti di
fondovalle, prima della conoide con cui confluisce nel T. Cordevole
(Fig. 2, Tab. 1).
Figura 1 - Valle di S. Lucano vista da Ovest verso Est.
Figura 2 - Ortofoto del tratto di fondovalle e ubicazione delle sezioni trasversali di riferimento.
88
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
89
Tabella 1 - Bacino del T. Tegnas, reticolo idrografico di 5° ordine.
Ordine
n°
1
2
3
4
5
Area numero pendenza lunghezza tot
kmq
aste
%
km
29,780
281
62,50
102,04
29,102
61
48,22
39,16
22,576
12
38,21
13,63
28,704
2
21,77
4,92
46,177
1
5,84
7,13
lunghezza media
km
0,36
0,64
1,13
2,46
7,13
Geomorfologia quantitativa
Sul reticolo idrografico della Valle di S. Lucano è stata eseguita in
prima battuta l’analisi geomorfica quantitativa (HORTON, 1945) per individuarne le caratteristiche e le eventuali anomalie.
L’Integrale Ipsometrico (Fig. 3) fornisce una percentuale tra superficie erosa e in erosione: il valore relativo all’intera valle (Tegnas) indica
uno stato di maturità abbastanza evoluto, mentre le due valli tributarie
(Bordina e Angheraz) appaiono ancora ad uno stadio immaturo: la prima con maggiori volumi da erodere ad alte quote, correlati alla presenza di litologie a bassa erodibilità, la seconda con abbondanti accumuli
(conoidi e depositi di versante) a quote medio-basse.
Anche dall’analisi delle pendenze delle due valli minori appare che
il T. Angheraz, sebbene abbia valori massimi molto elevati, presenta valori medi confrontabili con quelli del T. Bordina, ad indicare l’esistenza
di estese superfici sub-orizzontali (Tab. 2).
In Tabella 3 sono illustrati i principali parametri geomorfici e morfometrici di caratterizzazione del reticolo idrografico del T. Tegnas secondo l’analisi classica hortoniana, relativi al bacino del T.Tegnas e ai
sottobacini della Valle di Angheraz e del T.Bordina:
Figura 3 - Integrale Ipsometrico: Tegnas =47%; Bordina =52,6%; Angheraz =52%.
90
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Tabella 2 - Sottobacini di 4° ordine, caratteri geomorfologici.
quota min
quota max
quota media
pend. % min
pend. % max
pend. % media
T. Bordina:
bacino
849,5
2585,22
1737,36
4
291,77
68,67
T. Bordina:
asta 4° ord.
4,04
67,07
38,11
T. Angheraz:
bacino
849,5
2815,77
1848,77
0
423,72
85,49
T. Angheraz:
asta 4° ord.
2,2
124
32,15
Tabella 3 - Parametri di geomorfologia quantitativa.
T.Angheraz
T.Bordina
T.Tegnas
Rb
4,87
4,12
4,42
Rbd
4,67
3,23
2,75
R
0,21
0,89
1,67
Ga
77
35
339
ga
4,45
3,07
8,64
g
0,67
0,61
1,42
D
2,57
3,64
3,61
Rb - Rapporto di biforcazione: indica il grado di organizzazione
gerarchica raggiunto dal reticolo; i valori sono compresi tra 2 (massima
organizzazione) e 5; valori superori sono solitamente correlati ad un
importante controllo strutturale);
Rbd - Rapporto di biforcazione diretta (valori compresi tra 2 e 5):
indica quante aste confluiscono in ordini direttamente conseguenti al
loro; il valore di questo parametro è sempre inferiore a Rb;
R - Indice di biforcazione: ottenuto come differenza tra Rb e Rbd,
descrive l’organizzazione gerarchica; i valori variano da 0,2 a 4: alti
valori sono legati alla presenza di controlli litologici e/o strutturali;
Ga - Indice di anomalia gerarchica: indica il numero di aste di I ordine necessarie per eliminare tutte le anomalie; all’aumentare del valore
corrisponde un’inferiore organizzazione gerarchica del reticolo;
ga - Densità di anomalia gerarchica: ottenuta dal rapporto tra Ga e
l’area del bacino, è significativa per confrontare il grado di evoluzione
tra bacini; a valori maggiori corrisponde una maggiore disorganizzazione del reticolo;
- Indice di anomalia gerarchica: ottenuto dal rapporto tra Ga e le
aste di I ordine e utilizzato per confrontare bacini con differenti condizioni areali, presenta valori che crescono al diminuire del grado di
organizzazione gerarchica.
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
Figura 4a - Le leggi di Horton: curve esponenziali su grafico semilogaritmico.
91
92
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
D - Densità di drenaggio: rapporto tra lunghezza totale delle aste
fluviali e l’area del bacino idrografico; i valori sono tanto più elevati
quanto è elevata l’impermeabilità e l’erodibilità dei litotipi affioranti.
L’esame globale dei parametri in Tabella 3 fornisce una valutazione
relativa dello stato di organizzazione dei due sottobacini e del bacino
del T. Tegnas. Nonostante l’elevato valore di Rb per tutti i reticoli idrografici in esame, i valori dei rimanenti parametri gerarchici (Ga, ga e
ne) mostri una disorganizzazione del reticolo marcata rispetto ai due
sottobacini (conseguenti, 4° ordine), caratterizzati invece da una discreto grado di organizzazione (STRAHLER, 1958). La forma asimmetrica del
Figura 4b - Legge di Morisawa e Legge di Schumm. Curve esponenziali su grafico semilogaritmico.
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
93
Tabella 4 - Ubicazione dei siti di riferimento (reference reach) e delle sezioni trasversali.
N° Sez.
1
2
3
4
52
x_Gb
1726136,2310
1726695,9493
1727641,8289
1729481,5003
1730815,6159
y_Gb
5130959,8115
5131004,5138
5131129,6660
5131199,6205
5131356,3098
R. Reach
Col di Prà
Cozzolin
Mezzavalle
Ansa
Centrale
bacino è quindi da imputare ai diversi controlli strutturali (GIORDANO,
2011) ben evidenziati dalle caratteristiche geomorfologiche. Il valore
del parametro morfometrico D, strettamente correlato all’impermeabilità e all’erodibilità, conferma per il bacino della Valle di Angheraz
la presenza di depositi di versante molto permeabili, già evidenziati dall’integrale ipsometrico; sia il T.Bordina che l’intero bacino del
T.Tegnas, impostati su litologie comuni senza eccessivi accumuli, hanno valori simili.
In Figura 4a e 4b, sono illustrate le curve di interpolazione per le
principali leggi della geomorfologia quantitativa di Horton. Esse evidenziano una generale buona correlazione tra le caratteristiche analizzate e l’ordine a cui vengono riferite, mostrando tuttavia un moderato
eccesso di pendenze nel 3° e 4° ordine (terza legge) sottolineato anche
da un lieve difetto di lunghezza (seconda legge), in relazione al pianeggiante fondovalle che si allarga a ridosso di pareti rocciose quasi verticali. Queste considerazioni, unite alle osservazioni precedentemente
evidenziate dagli indici geomorfici, supportano l’ipotesi di un originario controllo strutturale della valle, sul quale si sono poi sovrapposti sia
processi glaciali che fluvioglaciali e infine quello specificamente fluviale (BINI et al., 1999; CASTIGLIONI, 1964; GIORDANO, 2011; DE FRANCO,
2011), che ha conferito alla valle la caratteristica forma a “U”.
GEOMORFOLOGIA FLUVIALE E ROSGEN STREAM CLASSIFICATION (RSC)
Inquadramento idro-geomorfologico
Lungo l’asta principale (5° ordine) sono state battute 17 sezioni trasversali, cinque tra queste sono state selezionate come stazioni di riferimento (Tab. 4) per la misura dei parametri idro-morfologici principali,
utili alla classificazione RSC e alla stima delle portate di bankfull.
94
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Procedura di rilevamento
Le tecniche di rilevamento forniscono un insieme basilare minimo di
dati fisici sul corso d’acqua. La quantità di dati raccolti è funzione delle
esigenze specifiche. Per esempio, se l’obiettivo è valutare le variazioni
di un sito nel tempo, è necessario raccogliere i dati di base a fissati intervalli regolari. Se l’obiettivo è confrontare un bacino stabile con altri
dissestati, oppure per valutare la risposta di diversi torrenti alla loro
gestione, vanno invece selezionati più tratti di alveo di tipo simile. Uno
studio dettagliato della risposta di canale potrebbe richiedere il rilievo
di sezioni trasversali multiple per mappare rapide (run, riffle), vasche
(pool), curve di meandro, ecc.
Un studio specifico sull’habitat potrebbe dover raccogliere dati su
insetti acquatici, comunità vegetali, o acque sotterranee. Indipendentemente dalla complessità dello studio, una precisa descrizione fisica del
torrente in un suo tratto di riferimento (reference reach) è essenziale,
insieme con un’analisi statistica, nella pianificazione di ogni progetto
di raccolta dati.
Le fasi per il corretto rilevamento di un sito di riferimento sono le
seguenti:
1) selezione del sito (reference reach);
2) mappatura del sito e del luogo;
3) misura della sezione trasversale;
4) rilievo del profilo longitudinale;
5) misura di portata;
6) misura del materiale dell’alveo;
7) archiviazione permanentemente delle informazioni.
Sull’asta di 5° ordine del T. Tegnas sono stati selezionati cinque tratti
di riferimento (reference reach), sui quali sono state eseguite sezioni
trasversali in corrispondenza di tratti rappresentativi di riffle o run dove
le evidenze di erosione erano minime (Fig. 2 e Fig. 5). La lunghezza
del rilievo ha interessato almeno da 20 a 30 volte l’ampiezza dell’alveo
(HARRELSON et al., 1994; DUNNE & LEOPOLD, 1978). Sono state usate
una Livella Digitale Leica SPRINTER 100 e due Stazioni Totali LEICA
TCR 407 (Fig. 6).
Il profilo longitudinale del torrente è stato rilevato ad intervalli variabili
dal metro al decametro lungo i tratti di riferimento, per una lunghezza suffi-
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
Figura 5a - Sezione trasversale 1 (u.m. piedi, scala verticale amplificata).
Figura 5b - Sezione trasversale 2 (u.m. piedi, scala verticale amplificata).
95
96
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Figura 5c - Sezione trasversale 3 (u.m. piedi, scala verticale amplificata).
Figura 5d - Sezione trasversale 4 (u.m. piedi, scala verticale amplificata).
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
97
ciente a descrivere la morfologia del letto, misurando la quota dei terrazzi,
della piana fluviale, del bankfull, del livello dell’acqua su entrambe le sponde del corso d’acqua e del thalweg, nel letto del torrente. I dati del profilo
sono stati usati per determinare quindi la pendenza media dell’acqua, del
thalweg, nonché della quota del bankfull (fig. 7).
Solo in alcuni tratti lungo il profilo “Alto Tegnas” a Col di Pra e nella
sezione trasversale “Centralina” (la più a valle di tutte in corrispondenza
della Centrale Pastalegno), durante il periodo di deflusso minimo è stata misurata la portata media istantanea con Mulinello WaterMark 6200FD (fino
a 7.6 m/s) seguendo la procedura standard US Geological Survey (USGS,
2004) e utilizzata come confronto nel calcolo del coefficiente di scabrezza
di Manning (Tab. 5).
Contestualmente, alcune misure eseguite con campionatore Helley-Smith
a monte e a valle delle sezioni trasversali, hanno rivelato valori di trasporto
solido al fondo molto bassi (Tab. 6 ). E’ ovvio che i considerevoli volumi di
sedimenti ghiaioso-sabbiosi presenti lungo estesi tratti di fondovalle possono essere attribuiti solo a deflussi notevolmente superiori a quelli misurati,
tuttavia questi valori, adeguatamente elaborati, possono essere utilizzati per
stimare il trasporto di materiale alla portata di bankfull (ROSGEN, 2007).
Figura 5e - Sezione trasversale 5 (u.m. piedi, scala verticale amplificata).
98
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Figura 6 - Planimetria del tratto “Ansa”.
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
99
Tabella 5 - Misure dirette di portata nel tratto ”Col di Pra” e “Centralina”.
Mulinello
02/09/2010
confluenza Bordina
col di pra 1sez.1
col di pra 1sez.2
col di pra 1sez.3
col di pra 1sez.4
col di pra 2sez.1
col di pra 2sez.2
col di pra 2sez.3
centralina
battente
medio
cm
22,64
25,43
20,77
51,71
33,63
27,05
23,58
22,50
21,87
H strum.
media
cm
14,64
14,71
10,76
30,07
16,25
14,16
11,83
12,55
15,20
Ampiezza
Sezione
cm
580,00
490,00
805,00
410,00
440,00
928,00
433,00
464,00
546,00
m²
1,31
1,25
1,67
2,12
1,48
2,51
1,02
1,04
1,19
V
media
m/sec
0,94
0,83
0,78
0,58
0,77
0,99
0,86
0,72
0,84
Q
media
m³/sec
1,23
1,04
1,31
1,24
1,13
2,48
0,88
0,75
1,00
tipo
alveo
run
riffle
riffle
pool
run
run
riffle
riffle
riffle
Tabella 6 - Misure di trasporto solido al fondo con Campionatore Helley-Smith a monte e a
valle delle sezioni trasversali.
n.
Trasporto
Trasporto
Peso
n.
Peso
campione tratt. (gr.) gr./sec campione tratt. (gr.) gr./sec
1
2,80
0,0016
6
902,90
0,5016
2
38,00
0,0211
7
186,60
0,1037
3
8,90
0,0049
8
9,30
0,0052
4
10,80
0,0060
9
55,50
0,0308
5
8,70
0,0048
10
128,20
0,0712
Figura 7 - Profilo longitudinale del tratto ”Col di Pra”.
100
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Identificazione del Bankfull (BKF) e della geometria idraulica
dell’alveo
La misura dell’area di una sezione trasversale alla quota dello stadio
di bankfull è una delle variabili fondamentali della geometria idraulica
del torrente.
L’individuazione della morfologia del bankfull richiede attente valutazioni di terreno basate sul rilievo consistente dei valori di quota lungo
il corso d’acqua e nelle sue adiacenze. (POWELL et al., 2004; DOLL et
al., 2002; HARRELSON et al., 1994; LEOPOLD 1994; DUNNE & LEOPOLD,
1978). L’indicatore primario del bankfull è la piatta superficie deposizionale dell’incipiente piana di esondazione, formata dalle condizioni
idrologiche attuali.
Anche le barre di meandro, all’interno della sinuosità del torrente,
possono essere efficacemente usate per l’identificazione della quota di
bankfull (LEOPOLD, 1994).
Al fine di classificare il corso d’acqua secondo quanto richiesto dallo schema di ROSGEN (1996), la dimensione delle particelle del letto
(D50 - D84), il rapporto ampiezza profondità (Wbkf/dbkf), il rapporto
Figura 8a - Col di Pra D4.
101
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Figura 8c - Cozzolin B4.
Figura 8d - Idaho B4 (da ROSGEN, 1996).
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
Figura 8b - Colorado D4 (da ROSGEN, 1996).
Figura 8c - Ansa D4 .
102
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
Figura 8e - Mezzavalle B4.
Figura 8f - Centralina (F4, corretto: C4).
103
104
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Figura 8g - Texas F4 (da ROSGEN, 1996).
di incassamento (ER), l’area di bankfull (Abkf) per ciascuna sezione e
le pendenze medie delle quote di bankfull, del thalweg e dei terrazzi
fluviali, sono state calcolate a partire dai dati di terreno delle sezioni
trasversali e del profilo longitudinale.
La stima della portata di bankfull si basa sulla formula di Manning
(1) usata per calcolare la velocità della corrente in una sezione trasversale in un canale non confinato:
dove:
2
1
1.486R 3 S 2
(1)
v
n
v = velocità del flusso allo stadio di bankfull (m/s),
R = raggio idraulico di bankfull in metri (m),
S = pendenza del letto nel profilo longitudinale,
n = coefficiente di scabrezza di Manning.
Il coefficiente di scabrezza “n”, funzione delle dimensioni dei sedimenti, è calcolato da numerosi conteggi sui ciottoli presenti nell’alveo
con il metodo modificato di WOLMAN (1954), descritto in WESTERGARD
et al. (2004). La curva granulometrica complessiva fornisce una stima
abbastanza dettagliata della distribuzione dei sedimenti, il cui valore
D84 viene usato come chiave di ingresso in alcuni abachi utili alla determinazione di “n”. In definitiva, il coefficiente di Manning n è stato
stimato basandosi sulle misure dell’analisi granulometrica di terreno,
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
105
sulla classificazione di Rosgen con le approssimazioni di scabrezza associate (LEOPOLD, 1994; ROSGEN, 1996), e sulle informazioni tabellari
per differenti tipi di materiali del letto e delle sponde (CHOW, 1959).
Sono inoltre state eseguite numerose analisi granulometriche in colonna di setacci standard su campioni rappresentativi.
Standardizzazione
Avendo confrontato solo cinque sezioni, tutte ubicate entro un unico
bacino, l’area di drenaggio (variabile indipendente) e i dati di portata (variabile dipendente) non necessitano di essere log trasformati, ne
l’esiguo numero di dati richiede una standardizzazione affinché i dati
abbiano media uguale a zero (QUINN & KEOUGH, 2002).
RISULTATI E DISCUSSIONE
I dati di geometria idraulica, la classificazione dei tratti di fiume e le
informazioni dei siti di riferimento sono sintetizzati in Tabella 7.
La classificazione dei tipi D e B, nella sequenza delle immagini presentate (Fig. 8a e 8g), appare corretta già nel confronto con i rispettivi
analoghi del Colorado e dell’Idaho, mentre è altrettanto evidente la non
corrispondenza del tipo F4 se confrontato con l’esempio del Texas. Infatti, nella sezione 5 il rapporto di incassamento (ER) risulta amplificato dall’esistenza di un argine artificiale, che simula l’incasso naturale.
Quest’unico parametro alterato non interferisce tuttavia con tutte le altre misure effettuate sulla sezione di bankfull, che si possono pertanto
ritenere corrette per classificare il tratto come C4.
Quindi, la “portata formativa” stimata nelle cinque sezioni, cioè
quella che costruisce l’alveo attivo nelle attuali condizioni climatiche,
varia tra 12 e 15m3/s per i tipi D4 e F4 (C4), mentre sembra poter superare i 20m3/s nei tratti classificati come B4. Questi valori risentono
sicuramente dalla posizione delle sezioni rispetto agli importanti contributi degli affluenti laterali (evidenziati anche dall’anomalia gerarchica)
ma soprattutto dalle caratteristiche morfologiche e granulometriche del
fondovalle nei tratti scelti.
Per ciascuna sezione trasversale è stata misurata l’area del bacino di
drenaggio chiuso in quel punto (Fig. 9), quindi gli incrementi di area
cumulata sono stati messi in relazione con le geometrie idrauliche dello
106
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Tabella 7 - Dimensioni di bankfull rilevate alle sezioni trasversali e classificazione RSC, nei siti
di riferimento (reference reach).
sezione tipo
Col di Prà
Cozzolin
Mezzavalle
Ansa
Centralina
Superf. di Portata BKF Area sez. di Ampiezza a Prof. media
drenaggio (m³/sec) QBkf BKF (m²) sez. di BKF a sez. di
BKF (m)
A (km²)
Abkf
(m) WBkf
DBkf
29,45
15,62
8,64
19,00
0,45
30,78
20,25
8,3
29,00
0,28
34,38
21,6
7,1
18,20
0,4
40,21
12,4
6,8
20,95
0,32
44,22
14
6,16
14,20
0,44
Tipo di corso
d'acqua
(Rosgen)
D4b
B4
B4
D4b
F4
stadio di bankfull (Tab. 7): le equazioni di regressione, con i corrispondenti valori di R2, per l’intero data set sono le seguenti:
QBkf = 0.3783x + 30.311
ABkf = 0.1574x + 13.028
WBkf = 0.5168x + 38.801
DBkf = 0.5168x + 38.801
R2 = 0.3559
R2 = 0.9138
R2 = 0.3448
R2 = 0.3448
(2)
(3)
(4)
(5)
Dove QBkf è la portata di bankfull (m3/s), x è l’area del bacino di
drenaggio (km2), ABkf è l’area di bankfull (m2), WBkf è l’ampiezza del
bankfull (m) e DBkf la profondità media del bankfull (m) alla sezione.
Le aree di drenaggio cumulate includono tre tipi di caratteri morfologici e condizioni idrauliche ( B4, C4 e D4) differenti lungo un unico
corso d’acqua e quindi non mostrano correlazioni con le singole geometrie, come si può notare dalle funzioni (4) e (5), rispettivamente (W)
e (D), che sono perciò indipendenti dall’estensione della superficie di
drenaggio; lo stesso dovrebbe valere per la relazione 3) (A), che invece
mostra una marcata correlazione inversa. Sarebbe logico un progressivo aumento della portata (Q) di bankfull (correlazione diretta) lungo
il corso d’acqua verso valle, anche perché alla diminuzione di A corrisponde un aumento di pendenza, e quindi di velocità; invece il valore
massimo di portata è quello di Mezzavalle: in corrispondenza di questo
tratto di torrente confluiscono i deflussi di due importanti tributari laterali, ma la sezione è ubicata all’inizio di un materasso ghiaioso, profondo centinaia di metri, che si estende a valle per un paio di chilometri,
nel quale si infiltrano le acque superficiali come in un grande bacino di
espansione naturale.
107
Figura 9 - Area cumulata dei bacini di drenaggio per le 5 sezioni.
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
108
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
CONCLUSIONI
La classificazione dei corsi d’acqua naturali (RSC) basata sull’approccio geomorfologico (metodologia ROSGEN, 1996) può essere efficacemente applicata al contesto alpino, nonostante il differente rapporto
di scala con quei bacini per i quali è stato messo a punto il metodo.
Nelle valli alpine tuttavia, il rilievo geomorfologico e idraulico richiede una particolare attenzione a causa dei micro-interventi (per lo più
occultati o dissestati) disseminati su un territorio ad alta pressione antropica, che possono fuorviare nell’attribuzione di alcuni parametri, tuttavia gli indicatori dello “stadio di bankfull” possono essere considerati
un affidabile riferimento per la Progettazione di Canale Naturale (NCD).
L’analisi dei parametri di bankfull ha messo in evidenza un comportamento idraulico anomalo della Valle di San Lucano. La causa di questa anomalia va cercata nell’influenza esercitata dal materasso alluvionale di Mezzavalle, di spessore variabile da 150 a 200 metri, delimitato
a valle da un setto impermeabile, forse una morena o più probabilmente
un profondo collasso di versante (CAIELLI E DE FRANCO, 2011), che agisce come regolatore dei deflussi dividendo il bacino idrografico in due
parti a differente comportamento: a monte con portate elevate variabili e
grandi volumi di materiale mobilitato, a valle con deflussi minori e regolarizzati che si sommano a quelli del citato sistema di sorgenti carsiche
di fondovalle (GIORDANO, 2011), con poco trasposto solido.
I valori delle portate di bankfull (Qbkf), calcolati per le tre tipologie
di classificazione, andrebbero verificati con l’analisi dalla distribuzione
di frequenza sulle serie storiche di portata del bacino, determinandone
l’Intervallo di Ricorrenza (RI) specifico in base ai dati forniti dalle stazioni idrometriche permanenti.
In mancanza di serie storiche specifiche, per convenzione, Qbkf viene posta a un RI =1.5anni (Q1.5); valori inferiori (1.1 - 1.4anni) dovrebbero indicare l’effetto di un regime di flusso dominato dallo scioglimento delle nevi, per cui tale portata può essere raggiunta ogni primavera,
quando c’è un eccesso di runoff, oppure per la topografia scoscesa che
può produrre portate istantanee che raggiungono facilmente durante
l’anno quella del bankfull.
Queste considerazioni possono essere validamente riferite alla parte
Ovest della Valle di San Lucano, in quanto il T. Tegnas, possiede en-
Geomorfologia fluviale in Valle di San Lucano: il progetto Tegnas
109
trambe le caratteristiche.
In conclusione, è ipotizzabile che la frequenza di ritorno della Qbkf
sia inferiore al Q1.5 nel tratto a monte, mentre nel tratto da Mezzavalle
in poi sia necessario un RI più lungo per raggiungerla. Per il momento,
il tentativo di elaborare Curve Regionali in area dolomitica, si basa su
serie storiche disponibili solo per alcuni bacini limitrofi (sempre in area
agordina), quindi le ipotesi fin qui avanzate troveranno risposta solo
fra qualche anno, grazie all’osservazione delle portate che verrà attuata
dall’osservatorio permanente della Valle di San Lucano sul T. Tegnas.
Nel frattempo, data la buona corrispondenza nella determinazione degli
“stream-type” alpini rispetto a quelli degli Stati Uniti Occidentali, sono
ragionevolmente utilizzabili tutte le relazioni già esistenti per tali classi
di corsi d’acqua (area/portata, potenza unitaria/trasporto solido, ecc.).
I dati del laboratorio permanente saranno utili in diversi contesti, a
sostegno sia delle decisioni di gestione locale che per grandi iniziative
di ricerca. Stabilire le condizioni di base è una pietra miliare per una
vasta gamma di caratteristiche fisiche, chimiche, biologiche e tecniche
di monitoraggio e consentiranno di: seguire l’evoluzione fluviale e le
condizione geomorfologiche nel tempo, quantificare l’impatto ambientale di eventuali interventi in alveo, valutare la risposta del torrente e
del bacino alla sua gestione, fornire dati reali sull’alveo e sulla portata,
redigere un inventario delle risorse (habitat, qualità dell’acqua, vegetazione), tracciare gli effetti cumulativi per l’intero bacino di drenaggio,
permettere validi raffronti basati sul tipo di torrente e, infine, contribuire alla base di dati a livello regionale, nazionale, internazionale.
RINGRAZIAMENTI
Gli Autori ringraziano vivamente il Dr. Pietro M. Rossi del CNRIDPA per la lettura critica del manoscritto, la Prof.ssa Katherine Clancy del Water Resources College of Natural Resources (University of
Wisconsin) per i preziosi suggerimenti e la pazienza dimostrata nel leggere il testo inglese e Dave Rosgen per la professionalità e l’entusiasmo
con cui sa trasmettere la sua smisurata esperienza; un ringraziamento
particolare va a tutti quanti coloro che hanno fornito aiuto e sostegno
alla realizzazione del Laboratorio Permanente in Valle di San Lucano.
110
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
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112
Bruno Testa, Barbara Aldighieri
Echi sismici nella valle di San Lucano
ECHI SISMICI NELLA VALLE DI SAN LUCANO
Grazia CAIELLI e Roberto DE FRANCO
Grazia CAIELLI* e Roberto DE FRANCO*
* Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali - CNR, Milano
e-mail: [email protected]
con la collaborazione di:
Barbara Aldighieri*, Graziano Boniolo*, Adelmo Corsi*, Antonio Morrone*, Bruno Testa* e
Istituto Tecnico Minerario “U. Follador”- Agordo (BL)
INTRODUZIONE
L’esplorazione geofisica, in particolare l’esplorazione sismica, permette di caratterizzare dal punto di vista fisico le strutture delle valli
(geometrie e parametri geo-meccanici), di ricostruire la sismostratigrafia sismica delle coperture sedimentarie e del basamento sismico e di
ricostruirne la morfologia.
Dall’integrazione dei risultati di un’indagine geofisica con i dati
geologici, strutturali, geomorfologici di superficie e geostratigrafici è
possibile, inoltre, cercare di ricostruire l’evoluzione dei bacini quaternari ed ottenere informazioni di base per studi di valutazione sui rischi
geologici e del potenziale di georisorse.
Per caratterizzare dal punto di vista fisico le strutture presenti nella
media Valle di San Lucano al fine di cercare di ricostruire l’evoluzione
dell’area, con l’integrazione con i dati geologici di superficie, geomorfologici e geostratigrafici, sono state acquisite dall’ Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali del Consiglio Nazionale delle Ricerche
(IDPA-CNR sez. di Milano) due linee sismiche ad alta risoluzione trasversali al Torrente Tegnas.
In questo lavoro si presentano le fasi di acquisizione, processamento
ed interpretazione dei dati. I dati sono stati interpretati con i metodi
sismici a riflessione, che permette di ottenere informazioni sulla sismostratigrafia, velocità di propagazione delle onde e morfologia delle
strutture ed a rifrazione (tomografia sismica) che fornisce informazioni
sulla distribuzione del parametro velocità di propagazione delle onde e
sulla morfologia delle strutture. I dati sono stati infine interpretati con
il metodo multirifrattore che consente di ottenere un’immagine delle
discontinuità direttamente dalle sezioni sismiche.
113
Figura 1 - Mappe riportanti l’ubicazione dei profili topografici ricostruiti (alto a sinistra) e delle due linee sismiche (alto a destra), lungo i profili
topografici è stata indicata da frecce la posizione delle linee sismiche.
114
Grazia Caielli e Roberto de Franco
Echi sismici nella valle di San Lucano
115
UBICAZIONE RILEVI SISMICI
Il rilievo sismico ad alta risoluzione effettuato nell’area di San Lucano ha previsto l’acquisizione di due linee ubicate nella media valle
di San Lucano in località Peschiere. Entrambe le linee sono orientate
NNE-SSW, trasversali alla valle del Taibon un solco glaciale che separa il gruppo dell’Agner a sud dalle Pale di San Lucano a Nord. La prima
linea è stata posizionata in corrispondenza dell’omonima chiesa mentre
la seconda è posizionata circa 400 m a ovest dalla prima (Fig. 1).
La scelta del posizionamento dei rilievi sismici è stata fatta dopo la
verifica della fattibilità logistico sperimentale. Entrambi gli stendimenti
sono stati oggetto di un rilevamento topografico di dettaglio, effettuato
dal personale dell’Istituto Tecnico Minerario ‘U. Follador’ di Agordo
(BL), che ha permesso di avere l’esatta ubicazione e le quote dei punti
di misura. Le misure hanno evidenziato un dislivello massimo di 5 metri lungo la linea 1 e di 13 metri lungo la linea 2 come si può osservare
anche dal profilo topografico ricostruito per le due linee e riportato in
figura 1. Il profilo topografico è stato prolungato a nord ed a sud rispetto alla lunghezza delle linee sismiche per evidenziare la morfologia
della valle e l’asimmetria tra i due fianchi.
ACQUISIZIONE DATI
Le due linee sismiche sono state acquisite in due fasi successive la
linea 1 nel Luglio 2010 e la linea 2 nel Settembre 2010. L’acquisizione è
stata preceduta da un sopraluogo volto alla progettazione della prospezione. La prospezione è stata eseguita dal personale dell’IDPA con strumenti e
mezzi propri, avvalendosi del supporto e della collaborazione del personale
dell’ Istituto Tecnico Minerario di Agordo.
L’acquisizione del rilievo sismico di entrambe le linee è stato effettuato
utilizzando una geometria sperimentale a cavo esteso. Questo metodo, testato in precedenti esperimenti effettuati da alcuni membri del gruppo di lavoro
(DE FRANCO et al., 2009), prevede la registrazione di dati a grande offset consentendo l’acquisizione del campo d’onda riflesso e di quello rifratto e quindi la successiva elaborazione dei dati sia mediante il metodo a riflessione che
a rifrazione. Oltre a ciò lo stesso campo d’onda riflesso risulta essere vincolato delle riflessioni a grande offset che stabilizzano il processamento dei
dati nella fase dell’analisi di velocità soprattutto per le riflessioni profonde.
Figura 2 - Esempio di pannello relativo a uno scoppio della linea 1 (a sinistra) e lo stesso dopo l’applicazione di un filtro passabanda con range di
frequenze tra 30-40 e 90-110 Hz (a destra).
116
Grazia Caielli e Roberto de Franco
Echi sismici nella valle di San Lucano
117
Per l’acquisizione delle linee è stato utilizzato un sistema costituito da 3 acquisitori Geode Geometrics 24 canali a 24 bit, opportunamente dislocati lungo la linea, e dal sistema Stratavisor NZ Geometrics
come acquisitore centrale posizionato a bordo del laboratorio mobile
dell’IDPA-CNR.
Parametri di acquisizione sono stati: frequenza di campionamento di
1000 hz e durata di registrazione di 1 s.
Il cavo sismico era costituito da 72 gruppi geofonici con stringa doppia con sensori veloci metrici verticali Geospace a 14 hz di frequenza
propria infissi nel terreno ad intervalli regolari di 5 m l’uno dall’altro
per una lunghezza totale di ogni stendimento di 355 m.
Come sorgente sismica è stato utilizzato il sistema denominato Minipulse costituito da una massa accelerata di 120 kg controllata idraulicamente e montata su trattore che ne garantisce la mobilità anche su
terreni accidentati e/o con notevoli pendenze. Si tratta di una sorgente a
basso impatto ambientale utilizzabile anche all’interno di centri abitati.
La procedura di energizzazione ha previsto la ripetizione, con relativa
somma dei dati, per ogni punto di energizzazione fino all’ottenimento
di registrazioni con rapporto segnale disturbo ottimale. La procedura di
stack dei dati è stata di tipo manuale con pre-visualizzazione del dato
sommato al fine di garantire una selezione dei dati. In figura 2 si riporta
l’esempio di un pannello di energizzazione che evidenzia l’efficienza
della sorgente utilizzata. Il sistema di trigger di acquisizione è costituito da una cella di carico posta sulla massa del Minipulse e collegata
via cavo ai sistemi Geode. La spaziatura di energizzazione è stata di
5 m cioè ogni stazione o picchetto. Sono state inoltre effettuate delle
energizzazioni esterne alle linee rispettivamente 15 m a nord e 60 m a
sud per la linea 1 e 25 m a nord e 60 m a sud per la linea 2. Sono stati
complessivamente acquisiti 880 m di rilievo sismico.
I dati evidenziano in generale un buon rapporto segnale disturbo che
permette anche una buona stima delle letture dei primi arrivi (picking)
fino a grandi offset utili alle elaborazioni con il metodo a rifrazione (Fig 2).
PROCESSAMENTO DATI SISMICI
Il processamento dei dati acquisiti ha previsto una fase di preprocessamento consistente nello scaricamento e archiviazione dei file dati.
118
Grazia Caielli e Roberto de Franco
I dati acquisiti sono stati elaborati con il software Visual_Sunt
(ver.9.0). Tale software costituisce un’interfaccia per il processing di
dati di sismica a riflessione basati sui moduli Seismic Unix del “Center for Wave Phenomena del Colorado School of Mines” e tradotti per
Windows da Hugh WINKLER (1996).
I dati sono stati elaborati col metodo a riflessione e con il metodo a
rifrazione.
I primi passi comuni ad entrambe le elaborazioni, consistono:
a) nel caricamento e conversione dei dati grezzi acquisiti in campagna dal formato dello strumento (SEG2) al formato Seismic Unix
(SU) idoneo all’uso del software di processamento;
b) nell’immissione della geometria di acquisizione che consiste
nell’assegnare ad ogni traccia dei riferimenti geografici dedotti del
rapporto dell’osservatore di campagna e dal rilievo topografico;
c) nell’ordinamento per posizione di energizzazione (shot);
d) nell’editing di traccia consistente nell’eliminazione di eventuali
tracce morte o caratterizzate da bassi rapporti segnale disturbo;
e) nell’analisi spettrale;
f) nell’applicazione di un filtro passa banda ottimale che è risultato
essere 30-40 e 90-110 hz per entrambe le linee (Fig. 2).
A questo punto i dati sono disponibili in unico file, ordinati nella
configurazione common shot ed utilizzabili per i passi successivi delle
procedure di elaborazione. Nel pannello oltre ai primi arrivi diretti e
rifratti ed agli arrivi riflessi si possono osservare anche quelli delle onde
superficiali (ground roll).
PROCESSING A RIFLESSIONE
Il primo passo del processamento è consistito in un ulteriore miglioramento dei segnali provenienti dagli orizzonti riflettenti mediante
l’applicazione dell’Automatic Gain Control (AGC) con finestra ottimale di 0.1 ms e deconvoluzione al fine di eliminare eventuali multiple e
recuperare un segnale più focalizzato relativamente agli eventi riflessi.
In figura 3 si riporta un esempio dei risultati dei passi di processing qui
descritti. Nei pannelli ottenuti si osservano, oltre alla buona qualità dei
dati acquisiti chiari primi arrivi rifratti e chiari eventi riflessi.
I dati sono stati successivamente ordinati per Common Depth Point
Figura 3 - Esempio di pannello relativo ad uno scoppio della linea 1 dopo l’applicazione di un guadagno AGC (a sinistra) e lo stesso dopo l’applicazione di deconvoluzione (a destra).
Echi sismici nella valle di San Lucano
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Figura 4 - Esempio di pannello ordinati per Common Mid Point (a sinistra) e dopo l’applicazione della correzione di Normal Move Out (a destra).
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Grazia Caielli e Roberto de Franco
Echi sismici nella valle di San Lucano
121
(CDP) e soggetti ad analisi di velocità, che è stata eseguita con la tecnica del Constant Velocity Scan (CVS), esplorando il campo di velocità
compreso tra 500 m/s e 5300 m/s (Fig. 4). Ai dati è stata applicata una
correzione di Normal Move Out (NMO) ottenuta dalle analisi di velocità. E’ stata applicata una correzione di NMO con velocità di 1500 m/s
a 0 s, di 1800 m/s a 0.05 s, di 2600 m/s a 0.07 s e di 3000 m/s a 0.5 s.
Infine tutte le tracce appartenenti allo stesso CDP sono state sommate tra loro. In figura 5 e 6 si riportano gli stack finali relativi rispettivamente alla linea 1 ed alla linea 2.
Alle sezioni finali sono state applicate le correzioni statiche e sono
state infine migrate in profondità. Le sezioni ottenute sono riportate
in figura 7 e 8. La sezione sismica finale relativa alla linea 1 (Fig. 7)
permette la ricostruzione delle strutture sepolte fino ad una profondità
di circa 200 m. La riflettività del basamento sismico e delle coperture
sedimentarie che si osservano per questa sezione presentano le caratteristiche che si riscontrano nelle valle originatisi in ambiente glaciale
Figura 5 - Sezione stack finale ottenuta lungo la linea 1.
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Grazia Caielli e Roberto de Franco
come descritto in un precedente lavoro da DE FRANCO et al. (2009).
Dall’alto verso il basso osserva la presenza di tre unità sismiche la
più superficiale caratterizzata da una velocità delle onde P fino a 1700
m/s raggiunge una profondità massima di circa 60 m ed è costituita da
sedimenti recenti saturi in acqua. Al di sotto si trova un’unità caratterizzata da velocità delle onde P che raggiungono valori maggiori di 2500
m/s costituita da sedimenti compatti che raggiungono una profondità
massima nella parte centrale della sezione di 100-110 m e la cui profondità decresce verso nord e sud raggiungendo profondità rispettivamente
di 30 - 40 m. Infine si trova una terza unità che presenta il massimo
spessore e la massima profondità circa 200 m in destra idrografia (sud)
e ha valori di velocità maggiori di 3200 m/s, potrebbe essere costituita
da porzioni di basamento collassato.
La sezione sismica finale ottenuta lungo la linea 2 (Fig. 8) presenta
caratteristiche molto simili a quelle descritte per la linea 1 infatti, anche in
questo caso, si è evidenziata la presenza di tre unità sismiche caratterizzate
Figura 6 - Sezione stack finale ottenuta lungo la linea 2.
Echi sismici nella valle di San Lucano
123
Figura 7 - Sezione stack finale ottenuta lungo la linea 1 dopo applicazione delle correzioni statiche
e convertita in profondità, con le linee sono stati indicati i limiti delle unità individuati.
Figura 8 - Sezione stack finale ottenuta lungo la linea 2 dopo applicazione delle correzioni statiche
e convertita in profondità, con le linee sono stati indicati i limiti delle unità individuati.
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Grazia Caielli e Roberto de Franco
dagli stessi valori di velocità osservati per la linea 1 e di cui la più superficiale presenta profondità massima di circa 70 m nella parte più a sud.
PROCESSING A RIFRAZIONE
I dati acquisiti sono stati oggetto anche di una interpretazione sismica
tomografica dei primi arrivi rifratti. Sul dato già predisposto per il trattamento a riflessione fino alla fase del filtraggio è stata effettuata l’operazione di picking (lettura dei primi arrivi). Tale operazione è stata effettuata
in modo automatico, mediante il software utilizzato per il processamento
a riflessione Visual_Sunt, assistita e corretta manualmente dall’interpretatore. I primi arrivi estratti sono stati sottoposti ad un controllo di qualità
sulla condizione di reciprocità. Nel caso specifico sono stati effettuate un
totale di 5472 letture dei primi arrivi per la linea 1 e di 6390 per la linea 2.
L’inversione tomografica dei primi arrivi è stata effettuata mediante il
programma SeisOpt pro 2D (PULLAMMANAPPALLIL AND LOUIE, 1994).
Il modello di velocità per entrambe le linee è stato parametrizzato con
pixels di dimensione 5 m x 5 m. Il modello finale ottenuto per la linea 1,
riportato in figura 9, è affetto da un errore quadratico medio di 3.9 10^-5,
mentre il modello finale ottenuto per la linea 2 e riportato in figura 10, ha
un errore quadratico medio di 4.1 10^-4. Nelle figure si riportano anche
i diagrammi di quante volte è stato coperto ogni pixel dalla procedura di
costruzione del modello.
Il modello di tomografia relativo alla linea 1 campiona i primi 50 m di
profondità. Esso presenta velocità che variano da un minimo di circa 800
m/s in superficie fino ad un massimo di circa 2700 m/s che concordano
con i valori di velocità ottenuti per questa parte di modello con il processamento a riflessione. La ricostruzione per profondità maggiori che si osserva per questa linea (Fig. 9) non è attendibile infatti come si può osservare
nel diagramma di copertura non è stata sufficientemente campionata.
Il modello tomografico relativo alla linea 2 (Fig. 10) campiona anche
in questo caso all’incirca 50 m in profondità e presenta valori di velocità
simili a quelli ottenuti per la linea 1. Anche in questo caso i valori di velocità per la parte di modello analizzata sono in accordo con i valori ottenuti
col processamento a riflessione.
Echi sismici nella valle di San Lucano
125
MULTI REFRACTOR IMAGING
Ai dati acquisiti oltre al processamento con i metodi sismici a riflessione e rifrazione è stata applicata anche la tecnica multi-rifrattore che consente di ottenere un’immagine delle discontinuità rifrangenti presenti nel
sottosuolo, analogamente a quanto ottenibile col processing a riflessione
relativamente alle discontinuità riflettenti, applicando alle sezioni sismiche l’operazione di convoluzione e cross-correlazione (DE FRANCO, 2005).
Figura 9 - Modello di velocità ottenuto dall’inversione tomografica dei dati acquisiti lungo la
linee 1 (sopra) e diagramma di copertura delle singole celle nell’inversione tomografica della
linea sismica (sotto).
126
Grazia Caielli e Roberto de Franco
Una condizione per l’applicazione di tale analisi è la disponibilità di energizzazioni reciproche che campionino lo stesso rifrattore. Nel caso specifico sono stati utilizzati i sismogrammi relativi agli scoppi posizionati in
corrispondenza dei geofoni 3 e 67 lungo la linea 1 ed in corrispondenza
del geofoni 1 e 72 per la linea 2.
In figura 11 è riportata la sezione in tempi di ritardo ottenuta lungo la
linea 1, risultante dall’analisi multi-rifrattore, che individua chiaramente
la presenza di un paleoalveo a circa metà dello stendimento. Per chiarezza
Figura 10 - Modello di velocità ottenuto dall’inversione tomografica dei dati acquisiti lungo la
linee 2 (sopra) e diagramma di copertura delle singole celle nell’inversione tomografica della
linea sismica (sotto).
Echi sismici nella valle di San Lucano
127
Figura 11 - Immagine in tempi di ritardo e convertita in profondità per la linea 1 relativa agli
scoppi posizionati sui geofoni 3 e 67. Le distanze sono relative al geofono 1.
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Grazia Caielli e Roberto de Franco
Figura 12 - Immagine in tempi di ritardo e convertita in profondità per la linea 2 relativa agli
scoppi posizionati sui geofoni 1 e 72. Le distanze sono relative al geofono 1.
Echi sismici nella valle di San Lucano
129
il tempo di ritardo è legato al tempo di riflessione TWT dalla relazione:
TWT*cos(I)/2, dove I è l’angolo di incidenza critico. L’analisi di velocità
del rifrattore stima per tale interfaccia un valore di velocità delle onde P
pari a 2100 m/s. Considerando tale valore per il rifrattore, e una velocità
del primo strato di 1500 m/s, deducibile dalle onde dirette, la sezione tempi di ritardo è stata convertita in profondità (Fig. 11).
In Figura 12 sono riportate le sezioni in tempi di ritardo e profondità
ottenute lungo la linea 2. Anche in questo caso si sono stimate come velocità del primo strato 1500 m/s e del rifrattore 2100 m/s. Le immagini
ottenute evidenziano la presenza di un rifrattore a circa 60 m di profondità
che si approfondisce verso sud analogamente a quanto si osserva nelle
immagini ottenute dalla tomografia sismica tale discontinuità potrebbe
essere interpretato come limite tra i depositi alluvionali sciolti più recenti
e i sottostanti depositi fluvio-glaciali più compattati.
CONCLUSIONI
L’elaborazione dei profili sismici acquisiti nella Valle di San Lucano
ha permesso ottenere un’immagine ‘eco’ dei punti di riflessione del sottosuolo mediante il metodo a riflessione, la ricostruzione di un’immagine
del sottosuolo in termini del parametro caratteristico la velocità delle onde
sismiche compressionali che lo attraversano mediante il metodo a rifrazione e di ottenere un’ immagine del rifrattore mediante la tecnica ‘Multi
Refractor Imaging’. L’interpretazione delle immagini ottenute ha permesso di ricostruire sia le geometrie dei principali rifrattori dei depositi recenti che la geometria del substrato roccioso. Si è inoltre potuta ipotizzare la
presenza di più sequenze deposizionali e con profondità massime dell’ordine di qualche centinaia di metri (massimo 250 m). Dall’osservazione
delle immagini ottenute per entrambe le linee (Fig. 7 e 8) è possibile ipotizzare una migrazione del depocentro da sud verso nord, si individuano
infatti e posizioni del posizioni del depocentro poste rispettivamente a
circa 60 m, 135 m e 240 m.
Dette ipotesi dovranno essere verificate ed integrate con i dati geologici e strutturali.
Si evidenziano infine nella porzione più meridionale della valle per entrambe le linee sismiche la presenza di strutture imputabili probabilmente
a collassi gravitativi sia superficiali che medio profondi che potrebbero
essere la causa della migrazione verso nord del processo deposizionale.
130
Grazia Caielli e Roberto de Franco
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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DE
La flora anisica della Valle di San Lucano
LA FLORA ANISICA DELLA VALLE DI SAN LUCANO
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
Evelyn KUSTATSCHER*, Danilo GIORDANO** & Alberto RIVA***
*Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, Via Bottai 1, 39100 Bolzano.
**Istituto Tecnico Industriale “U. Follador”, Loc. Tamonich, 32021 Agordo (BL).
***G.E.Plan Consulting, Via Borgo dei Leoni 132, 44121 Ferrara
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
Per la prima volta vengono segnalate piante fossili nelle successioni anisiche (245-237 milioni anni fa) della Valle di San Lucano. Questi resti provengono prevalentemente dalla Formazione di Agordo (Bitinico-Pelsonico), dal
Conglomerato di Richthofen e dal Calcare di Morbiac (Illirico). All’interno
della flora si distinguono almeno 8 specie attribuibili a equiseti (?Equisetites sp.), felci (Neuropteridium voltzii, Anomopteris mougeotii, Scolopendrites
sp.) felci con semi (Peltaspermum sp.), cicadee (Taeniopteris sp.) e conifere
(Voltzia recubariensis, Voltzia sp., Albertia sp.). I resti mostrano evidenti segni
di frammentazione a causa del trasporto subito dalla terraferma al mare. Risulta comunque interessante l’abbondanza dei resti di felci preservate malgrado
la loro facilità ad essere distrutte durante il trasporto. Questo fa presupporre
che la flora in quest’area durante l’Anisico fosse molto rigogliosa, suggerendo
un ambiente con clima caldo ed umido.
INTRODUZIONE
La conservazione delle piante allo stato fossile avviene attraverso
processi di fossilizzazione che richiedono particolari condizioni ambientali e/o diagenetiche, per cui il ritrovamento di esemplari fossili
non è frequente e, nella maggior parte dei casi, il luogo di seppellimento
non coincide con quello di vita. Per questo motivo, anche nel Triassico
delle Dolomiti, le piante fossili terrestri sono rare e si rinvengono normalmente in rocce di ambiente marino.
Piante fossili dalle Dolomiti erano finora state rinvenute nelle Arenarie della Val Gardena (Permiano superiore), nella Formazione di
Dont (Anisico superiore, circa 238 milioni di anni fa), nella Formazione di La Valle e nella Formazione del M. Fernazza (Ladinico superiore, circa 235-230 milioni di anni fa). La più antica segnalazione risale
al 1841(WISSMANN & MÜNSTER, 1841), la prima lista di piante fossili
contenente piante fossili dolomitiche risale al 1879 (MOJSISOVICS) men131
132
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
tre la prima descrizione combinata con figure la pubblicò OGILVIE GORDON
nel 1927. Per trovare studi più approfonditi si deve arrivare alla metà del
secolo scorso (LEONARDI, 1953) mentre studi effettuati con criteri moderni, ma purtroppo ristretti alle Dolomiti settentrionali e occidentali sono
ad esempio quelli di WACHTLER & VAN KONIJNENBURG-VAN CITTERT (2000),
BROGLIO-LORIGA et al. (2002), KUSTATSCHER & VAN KONIJNENBURG-VAN
CITTERT (2005) e KUSTATSCHER et al. (2010).
In questo lavoro vengono descritti recenti ritrovamenti di piante fossili all’interno di successioni bacinali attribuibili all’Anisico della Valle
di San Lucano, una zona dove sino ad ora non sono stati segnalati ritrovamenti di flore fossili. Queste sono state rinvenute prevalentemente
alla Formazione di Agordo (Bitinico-Pelsonico), nel Conglomerato di
Richthofen e nei Calcari Scuri di Morbiac (Illirico). Lo studio di questi
primi rinvenimenti è arricchito da un primo confronto con le flore anisiche più importanti in Europa.
INQUADRAMENTO GEOLOGICO
La Valle di San Lucano si trova nel settore meridionale delle Dolomiti Centrali e rappresenta una delle zone stratigraficamente più complesse e meno conosciute dell’area dolomitica.
Nel primo studio geologico e geomorfologico, corredato da una carta geologica, redatto da BRUNO CASTIGLIONI (1939), l’Anisico viene suddiviso in tre unità che approssimano la situazione stratigrafica locale
(Dolomie, Calcari Marnosi, Arenarie con conglomerati).
Bisogna però attendere la fine degli anni ’70 perché qualche studioso
inizi a decifrare le complesse relazioni tra le varie unità che compongono l’Anisico della Valle di San Lucano (FARABEGOLI et al., 1976; PISA
et al., 1978).
Le unità che presentano fossili vegetali in vario stato di conservazione sono comprese tra il Conglomerato di Voltago e la Formazione del
Contrin. Al di sopra del “Conglomerato di Voltago”, PISA et al. (1978)
individuano la “Formazione di Agordo”, suddividendola in tre membri,
assai differenti tra loro, che non solo si sovrappongono verticalmente, ma anche possono variare lateralmente dall’uno all’altro. Il primo
membro è prevalentemente calcareo, con calcareniti più o meno bioclastiche di colore grigio o grigio scuro alternate ad arenarie e conglomerati fini (“Calcareniti di Listolade”). Il secondo membro (“Calcari Scuri
Figura 1 - Schema stratigrafico e sequenziale dell’Anisico delle Dolomiti (modificato da GIANOLLA et al., 1998).
La flora anisica della Valle di San Lucano
133
134
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
del Torrente Framont”) è rappresentato da Calcari nerastri più o meno
fetidi, con aspetto talora nodulare, con sparsi resti di piante. Il terzo
membro (“Calcari scuri del Coll’Alto”) é caratterizzato da calcari nerastri o gialli in alterazione, a cui si alternano arenarie fini con frustoli
e frammenti di vegetali. Lo spessore complessivo di questa formazione
è di poche decine di metri e varia fortemente lungo l’asse della Valle di
San Lucano.
Il limite superiore della Formazione di Agordo è rappresentato dalla superficie di erosione su cui poggia il Conglomerato di Richthofen:
l’aspetto conglomeratico è visibile solo localmente, poiché nell’area
della Valle di San Lucano questa formazione è costituita da arenarie
rossastre fini di ambiente costiero. Immediatamente al di sopra del
Conglomerato di Richthofen si imposta la Formazione dei Calcari Scuri di Morbiac, con un progressivo incremento della frazione calcarea. Il
Calcare di Morbiac è rappresentato da calcari abbastanza ben stratificati
con delle intercalazioni di arenarie fini e siltiti nella parte basale, dove
si possono individuare dei piccoli frammenti di vegetali. Quest’ultima
unità presenta spessori estremamente variabili, con un inspessimento
verso ovest, controllati spesso da faglie sinsedimentarie.
A partire da questo momento la sedimentazione carbonatica prosegue con le Formazioni del Contrin e dello Sciliar, che costituiscono le
maestose pareti delle Pale di San Lucano e dell’Agnèr.
Durante il Ladinico, dopo la fine della sedimentazione della Formazione dello Sciliar, queste rocce hanno subito un notevole shock termico dovuto all’intrusione nella vicina Cima Pape (SARTI & ARDIZZONI,
1984), con temperature probabilmente ben superiori ad un centinaio di
gradi; tale evento termico è documentato da numerose mineralizzazioni
peculiari (Quarzo, ecc.) e specialmente è associato alla presenza di dolomie idrotermali.
MATERIALI E METODI
Complessivamente sono stati trovati finora circa 30 frammenti di
fossili di varie dimensioni in vario stato di conservazione. La maggior
parte dei campioni sono stati individuati da uno degli autori (D. Giordano) negli ultimi anni durante uno studio geologico della zona (vedi
altro articolo in questo volume) oppure durante un sopralluogo dei tre
autori. Gli esemplari fossili provengono dalla Formazione di Agordo
La flora anisica della Valle di San Lucano
135
e sono stati contrassegnati con la sigla “VSL” e custoditi in parte nel
Museo di Scienze Naturali di Bolzano ed in parte nel Museo Geologico
del Comune di Agordo.
Oltre a questo vengono descritti anche alcuni campioni raccolti dal
Prof. Giorgio Morpurgo nella Formazione di Agordo della Valle di San
Lucano, di cui però mancano le indicazioni dettagliate delle località di
ritrovamento (acronimo MA), e sono oggi custoditi al Museo di Scienze Naturali di Bolzano.
I resti fossiliferi sono conservati in modo molto frammentario, sotto
forma di pellicole carboniose (carbonificazione), più raramente sotto
forma di impronte nella roccia. Per ora non è stato possibile estrarre delle cuticole oppure delle spore in situ, probabilmente a causa del
riscaldamento termico sopra descritto, legato all’intrusione di Cima
Pape, che ha distrutto in un secondo momento la sostanza organica che
costituiva la cuticola.
Figura 2 - A. Affioramento della Formazione di Agordo costituito da calcari dolomitici bituminosi con variabile contenuto terrigeno. B. Frammenti di legni della Formazione di Agordo. C.
Gasteropode nella parte alta del Conglomerato di Richthofen. D. Brachiopode della sovrastante formazione del Calcare di Morbiac.
136
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
LA PALEOFLORA
Nella flora fossile della Valle di San Lucano si distinguono frammenti attribuibili ai gruppi degli equiseti, delle felci, delle felci con
seme, delle cicadee e delle conifere.
Attribuibili agli equiseti sono un frammento di fusto ed un frammento di rizoma, probabilmente riferibile al genere Equisetites. Il frammento di fusto è dato dall’impronta dei fasci vascolari di un equiseto
(VSL17, Fig. 3B). Il frammento di rizoma (VSL14, Fig. 3D) di 4,3
cm di lunghezza e 2,4 cm di larghezza è caratterizzato da almeno 8
internodi di 6-8 mm di larghezza. Purtroppo questi esemplari si sono
conservati in modo molto frammentario. Nel fusto non si sono conservati i microfilli (le foglioline di dimensioni molto ridotti) tipicamente
attaccati a livello dei nodi (vedi anche Fig. 3C).
Per questo non è possibile attribuire i campioni con sicurezza ad una
delle varie specie di Equisetites STERNBERG 1838 e Neocalamites HALLE
1908 note per il Triassico Medio in Europa. In ogni caso questi equiseti
non raggiungevano tuttavia i 10 metri di altezza, valore stimato spesso
per Equisetites arenaceus (JAEGER) SCHENK 1864, equiseto più tipico del
Keuper tedesco (vedi anche MÄGDEFRAU, 1968); un valore ragionevole
di altezza per gli esemplari ritrovati è stimabile in meno di un metro.
Le felci sono rappresentate da 4 generi: Anomopteris BRONGNIART
1828, Neuropteridium SCHIMPER 1879, Scolopendrites GOEPPERT 1836 e
Cladophlebis BRONGNIART 1849.
La forma più abbondante è Neuropteridium voltzii (BRONGNIART)
SCHIMPER, 1879 con almeno 7 frammenti di foglie o di pinnule (VSL01,
VSL05, VSL07, VSL12, VSL19, VSL22a, VSL22b). I frammenti di
foglie raggiungono 12 cm di lunghezza e 5 cm di larghezza. Le pinnule
di 1,5-2,3 cm di lunghezza e 6-8 mm di larghezza si staccano in modo
perpendicolare da un rachide di circa 3-5 mm ed hanno una punta smussata ed una base ristretta (VSL020, Fig. 4A). Le nervature secondarie si
biforcano più volte e si uniscono al centro in una sorta di nervatura centrale (VSL019, Fig. 4B). Oltre alle foglie sterili, addette alla fotosintesi,
è stata trovata anche una foglia fertile attribuibile al genere Scolopendrites (VSL11, Fig. 4C). Il frammento di foglia è lungo 8 cm e largo 1,5
cm. Dal rachide di 6 mm di larghezza si staccano delle pinnule fertili di
6 mm di lunghezza e 5 mm di larghezza. Anche se attribuiti a due mor-
La flora anisica della Valle di San Lucano
137
fotaxa differenti, queste due specie rappresentano comunque le foglie
sterili e fertili della stessa specie biologica. Entrambe le specie sono
frequenti in successioni di età anisica in Francia (vedi anche SCHIMPER
& MOUGEOT, 1844), ma sono stati segnalati anche nell’Anisico delle
Dolomiti (p.es., VAN KONIJNENBURG-VAN CITTERT et al., 2006).
Anomopteris mougeotii BRONGNIART 1828 è rappresentato da quattro
frammenti di foglia (VSL10, VSL13, VSL21, VSL23). Il frammento
più grande è lungo più di 40 cm e largo 10 cm (VSL23, Fig. 5A). Da
un rachide di 1,2 cm si staccano dei frammenti di pinnule lunghi fino a
7 cm dei quali è conservato però solo il rachide della pinnula. I frammenti di dimensioni minori hanno fino a 13 cm di lunghezza e 16 cm
di larghezza. Dal rachide di 3-5 mm si staccano, in modo perpendicolare, frammenti di pinnule laterali, fino a 13 cm di lunghezza e 6
mm di larghezza. In un caso (VSL21, Fig. 5B), il frammento di foglia
risulta fertile anche se non è stato possibile estrarre delle spore in situ.
Figura 3 - A. Ricostruzione di Equisetites; B. Frammento di fusto di Equisetites (VSL17); C.
Piante di Equisetum, uno sfenofita recente; D. Frammento di rizoma di Equisetites (VSL14).
138
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
Esiste anche un frammento con tracce dell’aphlebia, tipica di questa
specie (VSL10, Fig. 5D). Anomopteris mougeotii è una specie tipica del
Buntstandstein (Anisico) della Francia e della Germania (FUCHS et al.,
1991). Sia Anomopteris che Neuropteridium/Scolopendrites appartengono alla famiglia delle Osmundaceae. Questa famiglia esiste ancora
oggi, con generi come Osmunda che sono distribuiti soprattutto nelle
zone subtropicali e temperate.
Un frammento di foglia è stato assegnato alla specie Cladophlebis
remota (PRESL) VAN KONIJNENBURG-VAN CITTERT et al. 2006 (VSL20a, b,
Fig. 5E). Questa specie è caratterizzata da delle pinnule falciformi con
una nervatura centrale marcata. I frammenti di foglia rinvenuti nella
Valle di San Lucano hanno una lunghezza di 2-5 cm ed una larghezza
di 1-2 cm. Dal rachide di 1-2 mm si staccano le pinnule di 6 x 2,5 cm.
La nervatura centrale è ben visibile, le nervature secondarie non sono
conservate bene. Questa specie è ben nota sia dal Ladinico che dal Carnico in Europa, per es. Triassico medio delle Dolomiti (p.es. LEONARDI,
1953; KUSTATSCHER & VAN KONIJNENBURG-VAN CITTERT, 2005), nel Carnico di Raibl, Lunz e Neuewelt (HEER, 1877, KRASSER, 1909).
Particolarmente interessante risulta un frammento di organo frutti-
Figura 4 - A. Frammento di foglia di Neuropteridium voltzii (VSL020); B. Frammento di foglia
di Scolopendrites (VSL11); C. Pinnula di Neuropteridium voltzii (VSL019); D. Ricostruzione
di Neuropteridium.
La flora anisica della Valle di San Lucano
139
fero che appartiene ad un gruppo di piante completamente estinto, le
felci con semi. Questo gruppo era caratterizzato da foglie pinnate simili
alle felci, ma formava degli organi fruttiferi dai quali pendevano dei
semi primitivi. In questo caso la struttura che porta i semi è simile ad un
ombrello con un raggio di 8,5 mm e viene chiamato Peltaspermum sp.
L’asse dell’“ombrello” ha un raggio di 8 mm e verso l’esterno si notano
delle estroflessioni come dei lobi.
Purtroppo il campione (VSL08, Fig. 6A) è conservato solo a metà,
ma si contano circa 8 di questi lobi il che significa che la struttura portava circa 16 semi visto che sembra che per ogni seme esisteva un lobo.
Inoltre è stato trovato anche un frammento di cicadea. Questo grup-
Figura 5 - A. Frammento di foglia di Anomopteris mougeotii (VSL23); B. Frammento di foglia
fertile di Anomopteris mougeotii (VSL21); C. Pianta di Osmunda regalis. D. Dettaglio del
rachide di Anomopteris mougeotii con resti di aphlebia (VSL10) E. Frammento di foglia di
Cladophlebis remota (VSL20).
140
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
po di piante può considerarsi quasi estinto. Oggi esistono solo 10 generi distribuiti soprattutto nelle zone tropicali ma si trovano anche negli
orti botanici (Fig. 6C). Il frammento di foglia è lungo 2,5 cm e largo
1 cm. Dal rachide largo 1,5 mm si staccano delle nervature secondarie
che hanno un andamento leggermente inclinato in avanti. Le nervature
secondarie non si biforcano mai ed hanno un andamento parallelo. Il
frammento di foglia trovato in Valle di San Lucano (VSL20, Fig. 6B) si
può attribuire al genere Taeniopteris BRONGNIART 1828.
Il gruppo più abbondante tra le piante fossili è quello delle conifere.
Tra queste si possono distinguere almeno 3 forme differenti, due specie
appartenenti al genere Voltzia BRONGNIART 1828 ed uno attribuibile al
genere Albertia SCHIMPER in VOLTZ 1836.
La forma più frequente è caratterizzata da rametti coperti da foglie
aghiformi molto sottili e falciformi (VSL24-28, MA02-06, Fig. 7A-C).
Figura 6 - A. Frammento di Peltaspermum sp. (VSL08); B. Frammento di Taeniopteris sp.; C.
Pianta di Cycas. D. Ricostruzione di Peltaspermum; E. Ricostruzione di Taeniopteris; F. Scaglie di affinità ignota; G. Semi conservati in maniera tridimensionale.
La flora anisica della Valle di San Lucano
141
I frammenti dei rami sono abbastanza ridotti, non superano i 14 cm
di lunghezza e 9 cm di larghezza. Dal ramo principale si staccano in
maniera quasi alterna i rametti laterali (VSL27, Fig. 7B). Sia i rami
che i rametti sono coperti da una spirale stretta di aghi di 5-6 mm di
lunghezza e 1-1,5 mm di larghezza (MA04, Fig. 7A; VSL28, Fig. 7C).
Questa forma non assomiglia a nessuna specie finora nota o descritta
dalle Dolomiti. Solo ritrovamenti di frammenti di dimensioni maggiori
e in buono stato di conservazione potranno, comunque permettere di
capire se si tratta veramente di una specie nuova per la scienza.
Un campione (impronta e controimpronta (VSL24/ VSL25, Fig. 8A)
di 8 cm di lunghezza e 5 cm di larghezza appartiene a Voltzia recubariensis (DE ZIGNO) SCHENK 1868, una specie tipica dell’Anisico di Recoaro.
Il frammento di ramo principale è coperto da foglie triangolari di 7 x 3
mm di dimensione. Il rametto laterale è lungo 5 cm e largo 1 cm, coperto
da foglie triangolari di 5,5 mm di lunghezza e 4 mm di larghezza. Una
terza forma, sempre attribuibile probabilmente al genere Voltzia, è dato
Figura 7 - A. Frammenti di rametti di Voltzia sp. (MA04); B. Frammento di ramo con rametti
laterali di Voltzia sp. (VSL27); C. Dettaglio di ramo di Voltzia sp. con ben visibile gli aghi falciformi (VSL28); D. Ramo di una pianta di Araucaria.
142
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
da rametti di piccole dimensioni, dove le foglie falciformi non superano i
3 mm di lunghezza e 1 mm di larghezza. Per ora esiste solo un frammento
di ramo di 3 cm di lunghezza e 4 mm di larghezza (VSL28, Fig. 8D).
Esiste anche un esemplare diverso di conifera, attribuibile al genere
Albertia (VSL26, MA03, Fig. 8E, 8F). Purtroppo i frammenti rinvenuti
sino ad ora di quest’ultimo sono troppo piccoli per permettere una determinazione specifica. Essi hanno una lunghezza massima di 7 cm e
una larghezza di 2 cm. Dall’asse di 3 mm di diametro si distaccano in
una spirale sciolta delle foglie lanceolate lunghe 8 mm e larghe 2,5-3 mm.
È stato ritrovato anche un frammento di fusto di conifera. Si tratta
di un fossile tridimensionale di 31 cm di lunghezza e 5 cm di diametro
sulla qui superficie si vede bene la struttura tipica della corteccia di una
conifera, malgrado non sia più conservato il legno (VSL15, Fig. 8C).
Figura 8 - A. Frammento di ramo di Voltzia recubariensis (VSL24); B. Ricostruzione di Voltzia
recubariensis; C. Frammento di fusto di conifera (VSL15); D. Frammento di Voltzia sp.
(VSL28); E. Frammento di foglia di Albertia sp. (VSL26); F. Frammento di foglia di Albertia
sp. (VSL26).
La flora anisica della Valle di San Lucano
143
Nella Valle di San Lucano sono stati trovati anche dei resti di scaglie che potevano appartenere ad un cono di conifera oppure di cicadea
(VSL18, Fig. 6F). Queste scaglie, ancora conservate come se fossero
arrangiate lungo una spirale, hanno una forma romboedrica, una altezza
massima di 18,5 mm e una larghezza massima di 12 mm. Un carattere
particolare sono le strie longitudinali che attraversano le stesse scaglie.
Inoltre esistono dei resti di semi di circa 4 mm di diametro (VSL02,
VSL04, Fig. 6G), quasi completamente sferici e conservati in modo
tridimensionale.
LA
FLORA DELLA VALLE DI SAN
ALTRE COEVE FLORE EUROPEE
LUCANO
AL CONFRONTO CON LE
In Europa esistono per lo più cinque aree con flore attribuibili all’Anisico. Queste si trovano nei Vosgi in Francia, in Germania, in Spagna, a Recoaro (Alpi Vicentine) e nelle Dolomiti di Braies. Le flore in Germania ed
in Francia sono molto frammentarie e con poche specie differenti, generalmente frammenti di conifere attribuibili al genere Voltzia. Per questo non
vengono prese in considerazione queste località fossilifere per il confronto.
Considerando il gruppo degli equiseti, nella Valle di San Lucano sono presenti solo dei frammenti ridotti forse attribuibili al genere
Equisetites mentre nei Vosgi e nelle Dolomiti di Braies, oltre a quel
genere, sono state rinvenute anche delle altre forme di equisetali. Nella
Valle di San Lucano mancano completamente fossili appartenenti al
gruppo delle licofite, un gruppo tipico del Triassico inferiore e medio
e molto frequente in Francia e nelle Dolomiti di Braies. Questa lacuna
potrebbe essere dovuta ad un problema di conservazione e di trasporto
dei frammenti di piante oppure alla scarsità dei ritrovamenti nella Valle
di San Lucano rispetto alla flora francese o di Braies.
Il gruppo delle felci con seme ed anche quello delle cicadee per ora
manca quasi completamente dalle flore anisiche tranne nelle Dolomiti
di Braies. Gli unici due frammenti di cicadea finora rinvenuti in Francia
(Otozamites, Zamites) sono molto discussi, mentre le ginkgofite (Baiera)
sono state rinvenute finora solo in Francia. Nella Valle di San Lucano è
stato trovato un frammento di Peltaspermum (felci con seme) e di Taeniopteris (cicadea).
Le conifere sono ben rappresentate in tutte le flore, specialmente
con il genere Voltzia. Inoltre solo in Francia sono stati rinvenuti due
144
Evelyn Kustatscher, Danilo Giordano & Alberto Riva
Tabella 1 - Confrontro tra la flora di Valle di San Lucano e le flore coeve in Europa.
altri generi, il fusto di conifera di Endolepis e i coni di Widdringtonites.
Albertia è presente, oltre che in Francia, anche nelle Dolomiti di Braies
e nella Valle di San Lucano.
CONCLUSIONI
Le prime piante fossili segnalate dalla Valle di San Lucano sono
state rinvenute nelle successioni bacinali attribuibili all’Anisico (245237 milioni anni fa). Appartengono prevalentemente alla Formazione
di Agordo (Bitinico-Pelsonico), al Conglomerato di Richthofen ed al
Calcare di Morbiac (Illirico). L’attribuzione stratigrafica dei siti di ritrovamento è talora difficoltosa a causa dell’intensa tettonica sinsedimentaria anisica che provoca repentine variazioni litologiche e di spessore
delle varie unità anisiche. Nella Valle di San Lucano queste tre unità
La flora anisica della Valle di San Lucano
145
presentano un variabile contenuto terrigeno associato ad abbondanti
frammenti di vegetali.
Nella flora della Valle di San Lucano si distinguono almeno 8 specie
attribuibili a equiseti, felci, felci con semi, cicadee e conifere. Gli equiseti sono rappresentati da frammenti di rizomi (fusti aerei) o di fusto,
forse riferibili al genere Equisetites. Tra le felci la forma più abbondante
è Neuropteridium voltzii, seguito da Anomopteris mougeotii, Scolopendrites sp. e Cladophlebis sp. Particolarmente ricche sono le conifere con
frammenti di rami attribuibili ai generi Voltzia ed Albertia. Inoltre sono
stati individuati frammenti in cattivo stato di conservazione forse attribuibili a felci con semi (Peltaspermum sp.) e cicadee (Taeniopteris sp.).
I resti mostrano evidenti segni di frammentazione a causa del trasporto subito dalla terraferma al mare. Si confida che il ritrovamento
di ulteriore materiale posso permettere di arricchire le conoscenze del
paesaggio della terraferma localizzata in alcune porzioni delle attuali
Dolomiti meridionali per quanto riguarda il periodo da 238 a 240 milioni di anni fa. Nonostante il trasporto risulta interessante l’abbondanza
delle felci, con foglie molto delicate e facilmente distruttibili durante il
trasporto. Questo fa presupporre che la flora fosse molto rigogliosa durante l’Anisico in quest’area, suggerendo un ambiente con clima caldo
e umido.
RINGRAZIAMENTI
Un ringraziamento a Barbara Aldighieri per aver organizzato il convegno “L’armonia fra uomo e natura nelle valli dolomitiche” ad Agordo. Ringraziamo tanto Mattia Guberti per le sue ricostruzioni di piante
fossili del Triassico.
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Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
PALE DI SAN LUCANO: ESEMPIO DI IMPORTANZA
MONDIALE PER GEOMETRIE DI PIATTAFORMA CARBONATICA
E PROBLEMA DELLA DOLOMITIZZAZIONE
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
Wolfgang BLENDINGER*, Alberto BERTINI** & Edwin MEISSNER*
* Technische Universität Clausthal, Institut für Geologie und Paläontologie, Leibnizstr. 10,
D-38678 Clausthal-Zellerfeld
** Viale Sommariva 38, I-32021 Agordo (BL)
e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
Le Pale di San Lucano fanno parte di una piattaforma carbonatica mediotriassica ricurva con potenza di ca. 1.5 km, che mostra molti elementi geometrici, microscopici e geochimici che risultano essere di difficile spiegazione
usando i modelli tradizionali. Mentre le geometrie a grande scala sono paragonabili a quelle di altre piattaforme, nelle Dolomiti mancano qui alti strutturali
per le varie fasi di sviluppo della piattaforma ed i centri geometrici delle fasi
stesse corrispondono sempre a sistemi di fratture.
Le Pale di San Lucano sono uno dei pochissimi esempi dove si osserva
una progradazione dell´interno della piattaforma sui clinoformi. Questa parte
progradante, con potenza < 110 m, è costituita parzialmente da calcare, parzialmente da dolomia saccaroide formanti un’alternanza primaria di questi tipi
di carbonati.
Il calcare è microscopicamente molto simile ad un travertino ed ha un equivalente dolomitico nei cosidetti “cycle caps”. La composizione quantitativa
del calcare è dominata da micrite stromatolitica e cemento calcitico e manca
la porosità, mentre la dolomia saccaroide mostra alti valori di porosità (<25%)
dovuta a vuoti paragonabili a colonie di batteri tubulari.
Un’ interpolazione della mineralogia di 12 sezioni stratigrafiche dettagliate, poste in un modello tridimensionale, mostra che sia la dolomia saccaroide
sia il calcare abbandano solo in aree ristrette, circolari. Mentre i corpi dolomitici non possono essere legati ad elementi strutturali, quelli del calcare
si trovano attorno a fratture gravitative sinsedimentarie. E’ quindi probabile
che non la distribuzione della dolomia, ma quella del calcare sia controllata
da fratture sinsedimentarie, di origine spesso molto superficiale e terminanti
nella successione bacinale.
,YDORULGHO˜13C del calcare è sistematicamente più leggero della dolomia,
PDLYDORUL˜18O suggeriscono che calcare e dolomia siano in equilibrio. Tutti i
147
148
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
carbonati sono precipitati in presenza di CO2 magmatica, ma il calcare è ristretto
ad aree dove sono stati asportati fluidi e gas, contenenti probabilmente solfati le
13C .
La dolomia saccaroide sembra essere di origine “primaria”, deposta quindi come sedimento “normale” sulla piattaforma. La deposizione carbonatica
della piattaforma a grande scala è stata controllata da fratture profonde che
asportavano fluidi e gas di origine magmatica, ma anche da acqua fresca artesiana. Nonostante l´aspetto marino generale, le Pale di San Lucano sono un
esempio di un “travertino marino”.
L´IMPORTANZA GEOLOGICA DELLE PALE DI SAN LUCANO
Le Pale di San Lucano, che costituiscono il sistema di pareti verticali
del versante settentrionale della Valle di San Lucano, sono di interesse geologico particolare per due motivi. In primo luogo costituiscono
l´unica piattaforma carbonatica medio-triassica delle Dolomiti nella
quale le geometrie sono quasi completamente preservate, in secondo
luogo sono un esempio per studiare una dolomitizzazione parziale di
importanza mondiale per i rapporti geometrici, petrografici e geochimici fra dolomia e calcare.
SCOPO DEL LAVORO
Vista l´importanza geologica delle Pale di San Lucano, lo scopo di
questo lavoro è sia la documentazione di geometrie a grande scala sia
quella dei rapporti fra dolomia e calcare.
L´analisi macro e mesoscopica è avvallata da dati petrografici, petrofisici e geochimici ed è stata comparata con dati equivalenti di altre
piattaforme come il Latemar e la Marmolada, per chiarire se la situazione delle Pale di San Lucano sia insolita e quindi arrivare a conclusioni
generali sulla natura delle piattaforme medio-triassiche delle Dolomiti.
METODI
I metodi applicati per questo lavoro sono stati i seguenti:
rilevamento geologico alla scala 1:10.000;
rilevamento mineralogico di 12 sezioni stratigrafiche;
analisi quantitativa di 243 sezioni sottili (5x5cm) usando un point
counter di fabbricazione propria (300 punti per sezione sottile,
usando il cosiddetto bulk grain method dove i vuoti nei componenti
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
149
sono numerati come componente);
510 analisi semi-quantitative di mineralogia (XRD, un campione
ad ogni cambiamento mineralogico delle 12 sezioni misurate, oppure 1 campione ogni 2 metri di sezione);
84 analisi di porosità e permeabilità;
346 analisi di isotopi stabili di O e C;
46 analisi di rapporti fra 87Sr/86Sr;
modellizzazione delle geometrie e della stratigrafia mineralogica
delle Pale di San Lucano in IRAP-RMS.
I dati originali (point counts, dati isotopici, ecc.) usati per questo
lavoro, in formato .xls, possono essere richiesti via e-mail all’autore
principale ([email protected]).
ASSETTO STRATIGRAFICO
Le Pale di San Lucano fanno parte di un sistema di piattaforme carbonatiche coerenti, allungate in direzione circa NE-SO, che si estende dalle
Pale di San Martino fino al Monte Coldai nel gruppo della Civetta (Fig. 1).
Gli affioramenti attuali rappresentano solo lembi rimasti dalla erosione
delle piattaforme. La Valle di San Lucano è incisa quasi nel centro della
piattaforma, ma ambedue i fianchi sono perfettamente conservati e comprendono anche la copertura sedimentaria, almeno parzialmente preservata, conosciuta fin dall’ Ottocento (MOJSISOVICS, 1879) (Fig.2).
Si sa da tempo che le Pale di San Lucano sono formate da “Dolomia dello Sciliar” con potenza di circa 1.5 km (LEONARDI, 1968) o
da “dolomia infraraibliana”(CASTIGLIONI, 1939). Questa denominazione
stratigrafica non è però completamente giustificata, in quanto parte del
massiccio è composto da calcare. D´altra parte, il calcare delle Pale
di San Lucano non è paragonabile a quello denominato “Calcare della Marmolada” (CASTIGLIONI, 1939). Quindi in questo lavoro non sono
stati usati questi nomi stratigrafici, sebbene in uso da lungo tempo, ma
essi sono stati sostituiti da termini legati alla geometria della piattaforma, come fianchi o clinoformi, o interno stratificato della piattaforma.
Questi elementi geometrici sono ben individuabili nelle Pale di San Lucano, come riconosciuto anche da CASTIGLIONI (1939).
La base dei carbonati di piattaforma è costituita dai cosiddetti “Strati di Braies/Pragser Schichten” dell´Anisico e da strati del Triassico
150
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
inferiore della Formazione di Werfen. Lungo la Valle di San Lucano
“l´Anisico” giace ovunque direttamente sotto i carbonati di piattaforma. Queste successioni anisiche sono la Dolomia del Serla Inferiore
(ex Dolomia di Frassenè), la Formazione di Agordo ed i calcari nodulari con nomi stratigrafici molto diversi (PISA et al., 1979), ma macroscopicamente molto simili. Lungo la Valle del Cordevole la situazione è differente. Al ponticello del sentiero per il Bivacco Bedin, sopra
Pradimezzo, mancano completamente gli “Strati di Braies” e la parte
inferiore del Membro di Val Badia della Formazione di Werfen passa gradualmente verso l’alto nella piattaforma del Contrin. Procedendo da qui verso sud-est, affiora il Membro di Cencenighe sormontato
da una potente successione conglomeratica (ca. 60 m; probabilmente
Conglomerato di Voltago anzichè di Richthofen), passante verso alto
ai calcari nodulari scuri dell’ “Anisico” e quindi nei carbonati di piat-
Figura 1 - Ubicazione delle piattaforme medio-triassiche delle Dolomiti. Le piattaforme sono
per lo più composte da dolomia, ma alcune sono costituite da calcare.
Figura 2 - Carta geologica semplificata delle Pale di San Lucano e delle aree circostanti. I due diagrammi a rosetta mostrano l´orientamento
di ciascuna delle 100 fratture riempite da calcite fibrosa. Il rettangolo nero indica il limite del modello 3D della parte progradante della
piattaforma.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
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152
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
taforma (Valle di Mezzocanale). I rapporti stratigrafici della base della piattaforma documentano così una fase di deformazione strutturale
“pre-piattaforma” che appare legata ad una deformazione dell´Anisico
inferiore o medio “pre-Contrin” (GIORDANO, 2011).
ASSETTO STRUTTURALE
La situazione strutturale attuale delle Pale di San Lucano è abbastanza
semplice a grande scala. Prevale una immersione debole degli strati di
ca. 5-7° verso NE e mancano sovrascorrimenti tranne uno di importanza
minore che taglia la Prima Pala di San Lucano: esso separa la Cima occidentale d´Ambrusogn dalla Prima Pala. Il rigetto è di solo circa 50-60 m
e la vergenza verso sud. Sono invece più notevoli le fratture morfologicamente molto evidenti, i cosiddetti “borai”, canaloni stretti con direzione
N-S (Boràl di Lagunàz) o NO-SE (Boràl di San Lucano, Boràl della Besàuzega). Il rigetto misurabile è dell’ordine di alcuni metri.
La faglia diretta più importante taglia la Terza Pala di San Lucano:
viene qui chiamata “faglia del Piano inclinato” e costituisce un accesso
alpinistico alla Terza Pala di San Lucano (DE BIASIO, 2004). La geometria di questa faglia, con andamento NE-SO, è verticale nella parte sommitale della Terza Pala e diminuisce gradualmente l´inclinazione verso
la parte inferiore. Il rigetto è di circa 50 metri. Molte altre faglie di
questo tipo listrico sono esposte nelle pareti sudoccidentali della Prima
e Seconda Pala (Fig. 3, Fig. 4). Sono però di difficile riconoscimento
avendo rigetti solo di pochi metri. Le faglie analoghe della Prima Pala
hanno rigetto cumulativo di circa 20-25 m e risultano meglio visibili di
quelle della Seconda Pala.
Il rilevamento di fratture riempite da calcite fibrosa, lunghe da pochi
metri a decine di metri e larghe tra il millimetro ed il centimetro, risulta
sempre sviluppato con un massimo attorno N-S, mentre quello parallelo
alle faglie listriche costituisce un massimo secondario (Fig. 2). Queste
fratture sono state trovate solo nei calcari e sono assenti nella dolomia
ma, alla scala di sezioni sottili, sono state osservate con riempimenti di
calcite. Una frattura larga alcuni metri e con orientamento circa NE-SO
affiora sul versante ovest del Monte San Lucano, alcune decine di metri
sotto la vetta ed è riempita con calcare rosso micritico e taglia una successione dolomitica.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
153
Figura 3 - Veduta delle Pale di San Lucano dalla vetta del Monte Agnèr. Nel disegno interpretativo sono indicate le fasi di crescita della piattaforma (linee tratteggiate) e la stratificazione.
Le linee rosse indicano le fratture più importanti.
154
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
Figura 4 - Veduta della Prima Pala di San Lucano dalla Seconda Pala di San Lucano. La parte
progradante ed i clinoformi sottostanti sono tagliati da numerose fratture listriche di origine
probabilmente gravitativa, che causano anche cambiamenti di potenza degli strati della parte
progradante.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
155
LE GEOMETRIE DELLA PIATTAFORMA DELLE PALE DI SAN LUCANO
I carbonati di piattaforma possono essere suddivisi in 5 parti differenti basate sulla geometria della stratificazione (Fig. 3). La parte
inferiore costituisce la cosiddetta Formazione del Contrin: essa è caratterizzata da un tetto quasi piatto sovrapposto da clinoformi. Questa
geometria di tetto è tracciabile attorno a tutte le Pale fino alla Valle del
Cordevole, dove si riconosce per la presenza di un ripiano alla quota di
circa 1500 m. Il Contrin quindi ha uno spessore di circa 550 m lungo il
versante nord della Valle di San Lucano, ma si assottiglia a circa 200 m
sopra Pradimezzo. La Formazione del Contrin manca completamente a
Pónt, dove è sostituita dai calcari nodulari anisici. La transizione della
piattaforma del Contrin nel bacino di Pónt non è molto evidente, ma
sotto la Quarta Pala vi sono tracce di clinoformi che suggeriscono un
pendio ripido di circa 40° ed alto circa 500 m. Poichè l´orientamento
dei clinoformi non è misurabile, rimane incerta la geometria del bacino
di Pónt. E’ poco probabile un orientamento parallelo ai clinoformi successivi (SO-NE) per la mancanza degli stessi nella parte settentrionale
delle Pale (Val Cordevole), ma appare più probabile un orientamento
circa NNO-SSE, suggerito dalla distribuzione attuale dei calcati nodulari anisici nella zona (SARTI & ARDIZZONI, 1984).
Mentre lungo il Cordevole la stratificazione è poco visibile a causa
della vegetazione, quella della Valle di San Lucano è inclinata rispetto
alla base (Fig. 3, Fig. 6). L´inclinazione è circa 10-15° verso Est e diviene
parallela sia alla base sia al tetto del Contrin solo sotto la Seconda Pala.
La parte immediatamente sopra il Contrin è costituita soprattutto da
clinoformi immergenti verso NO, che sono rilevabili in tutte le Pale.
L´interno della piattaforma correlabile con questi clinoformi è preservato solo parzialmente, ma sono rilevabili quattro tipi di geometria o
fasi di crescita. La prima fase di crescita era di tipo aggradante, con
limite fra clinoformi ed interno della piattaforma quasi verticale: infatti risulta leggermente inclinato verso la piattaforma con un angolo di
circa 70°. Mentre i clinoformi mostrano un angolo compreso tra 25°
e 35°, l´interno della piattaforma è tutt´altro che piatto, ma mostra una
geometria di sinclinale del tutto paragonabile alla geometria interna del
Contrin, seppur a scala più piccola. E’ particolarmente evidente questa geometria sullo spigolo sudest della Seconda Pala, dove l´interno
Figura 5 - Le sezioni della parte progradante della Seconda Pala, con la mineralogia determinata da analisi XRD (eccetto anfiteatro 1, solo
dati di terreno), l´ubicazione di tepee e di dolomia di tipo „cycle cap“, ed i valori degli isotopi stabili di C ed O. Per l´ubicazione delle sezioni
vedi Fig. 21. Le linee nere di correlazione sono basate sul rilevamento al livello del banco fra le sezioni A, B, H, M e Campanile.
156
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
157
della piattaforma al limite con i clinoformi è inclinato fino a 50° verso
l´interno, riducendosi a circa 10° a una distanza di 200 metri dal margine. Questa fase di crescita mostra una potenza di 450 metri circa.
Sopra l´intervallo aggradante ne segue uno che preserva solo dei clinoformi, meglio preservati al Corn del Bus della Prima Pala. I clinoformi immergono in tutte le direzioni ed hanno un centro di simmetria
nell’intaglio immediatamente a nord del Corn del Bus. Questi strati formano una cupola, o mound, potente circa 250 m.
La parte più notevole delle Pale è quella sovrastante questo mound,
mostrante una progradazione di circa 1.2 km verso NO sopra i clinoformi. Ha una potenza massima di 110 metri allo spigolo sudest della
Seconda Pala e alla Punta Margherita della Prima Pala e si assottiglia
verso NO. L´assottigliamento non è graduale: dapprima mostra un angolo di base molto basso di alcuni gradi, ma dopo circa 600 m cambia
a 45° circa accompagnato da una riduzione della potenza a circa 10
metri. L´ulteriore progradazione di questi 10 m per circa 500 m risulta
praticamente orizzontale. La massima progradazione corrisponde ad un
“marker bed” su ambedue le Pale, facilmente riconoscibile nel terreno
dal suo carattere compatto e di potenza di 1-3 metri.
Sopra la parte progradante seguono altri 120 m di carbonati stratificati, la cui transizione nei clinoformi è preservata solo in pochi punti, come
nella Valle delle Pite, al versante occidentale del Monte San Lucano. La
posizione della transizione fra piattaforma e clinoformi suggerisce che
questa parte corrisponda ad una fase di retrogradazione del margine.
Un elemento geometrico discordante rispetto alle geometrie sedimentarie sono i corpi di megabreccia della Prima Pala. Il più esteso è
quello alla base del Corn del Bus, subcircolare con diametro di circa
400 m, che forma una cospicua nicchia fortemente inclinata e coperta
da erba e mughi. La megabreccia contiene blocchi spigolosi fino al metro cubo di dolomia saccaroide, calcare e dolomia del tipo “cycle cap”.
Questi ultimi non si trovano in situ nella piattaforma a questa quota, ma
solo circa 400 m sopra l´affioramento, sulla Prima Pala stessa. Le megabrecce contengono abbondante dolomia selliforme come cemento. E
l´unica zona in tutte le Pale dove questo tipo di cemento è volumetricamente importante.
158
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
LA COMPOSIZIONE QUANTITATIVA DELLA PIATTAFORMA
Sia il calcare che la dolomia delle Pale di San Lucano sono macroscopicamente poco spettacolari. Fra i calcari prevalgono le facies compatte, nelle quali normalmente è difficile riconoscere il contrasto fra
componenti e cemento per la loro torbidità, ma il colore nella frattura
fresca è normalmente grigio chiaro.
Fra i fossili sono localmente abbondanti i gasteropodi e alghe dasicladacee, spesso con elementi coerenti. Sia in affioramento sia in sezione sottile è difficile vedere la differenza tessiturale e composizionale fra
clinoformi calcarei e l´interno della piattaforma, eccetto lo stile di stratificazione. Le brecce nei clinoformi sono solo molto circoscritte, ma
facilmente riconoscibili dalle alte quantità di cemento calcitico fibroso.
In sezione sottile si osserva che il calcare dell´interno della piattaforma
mostra transizioni fra grainstone e boundstone a piccola scala (Fig. 7).
Sia i grani sia la matrice dei boundstone sono composti da micrite
con laminazioni stromatolitiche e moltissimi piccoli pellets. I granuli possono essere definiti come “microbial lumps” (FLÜGEL, 2000), ma
raggiungono dei diametri fino a 5 cm formando degli oncoidi. Manca
completamente l´abrasione o arrotondamento dei grani, e l´irregolarità
delle superfici dei grani è notevole. E’ quasi sempre presente una grande quantità di cemento calcitico fibroso, mentre il cemento dentro la
micrite stromatolitica risulta microcristallina. Sono presenti tutte le
Figura 6 - Modello tridimensionale della Formazione del Contrin delle Pale di San Lucano,
visto da sud, e la stratificazione interna. La „piattaforma“ del Contrin non è una semplice
piattaforma aggradante, ma mostra un „mound“ sotto la Quarta Pala e passa lateralmente a
sedimenti sia bacinali che carbonatici stratificati.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
159
Figura 7 - (A) Sezione sottile di un tipico calcare della parte interna delle Pale di San Lucano. La tessitura è di tipo boundstone, ma passa localmente ad un grainstone. E’ difficile
differenziare questo tipo di microfacies da un travertino. Il campione è stato impregnato con
plastica azzurra e la metà sinistra trattata con Alizarin-red-S e K-ferricianide per visualizzare dolomia e carbonati contenenti Fe. (B) Se la calcite fibrosa è in contatto con rombi di
dolomia, i cristalli della dolomia sono sempre corrosi ai propri margini dalla calcite fibrosa.
Quest´osservazione petrografica è valida per tutte le piattaforme.
160
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
transizioni da cemento microcristallino e fibroso. Non sono state osservate evidenze per una ricristallizzazione del calcare, eccetto dei fossili
originariamente aragonitici, che sono sostituiti da calcite granulare. I
calcari attorno al marker bed (ca. 10 metri sopra e sotto) contengono
piccoli inclusi di idrocarburi in vuoti successivamente cementati oppure all’interno di calcite fibrosa.
Le dolomie sono in gran parte saccaroidi e bianche, composte da cristalli euedrali di 0.2 –2 mm non zonati, torbidi per le numerose piccolissime
inclusioni fluide costituenti un’unica fase liquida. Mancano i macrofossili,
ma in sezione sottile sono abbondanti dei vuoti tubulari con lunghezza fino
al millimetro e diametro di circa 5 micron che sono responsabili dell’alta
porosità, fino al 25% in qualche campione (Fig. 8). Non è esattamente
conosciuta l´origine di queste strutture, ma sono paragonabili a colonie
di batteri (FLÜGEL, 2000). Sono anche frequenti strutture di “ghost” come
peloidi e croste paragonabili a quelli osservati nel calcare.
In tutte le facies carbonatiche mancano completamente le strutture
sedimentarie quali stratificazione incrociata, ma sono localmente abbondanti strutture diagenetiche come tepee e brecce stratiformi. I tepee sono
più frequenti sulla Seconda Pala ed hanno altezza fino al metro e larghezza di alcuni metri. La roccia deformata in strutture antiformi è costituita
sia da calcare che da dolomia, ma è sempre presente una notevole quantità di cemento sempre calcitico e fibroso, stimato fino al 50% del volume.
Le brecce formano dei banchi fino a 2 metri di potenza e possono essere
seguite lateralmente per decine di metri. Anche questi intervalli contengono sempre alti volumi di calcite fibrosa.
Un secondo tipo di dolomia è presente nella parte progradante, facilmente riconoscibile nel terreno dal colore giallastro o bianco e tessitura
micritica, non saccaroide. E’ paragonabile ai cosiddetti “tetti di cicli”
(“cycle caps”) del Latemar. Non contengono mai dei fossili macroscopici, ma spesso dei microfossili simili a colonie di batteri e hanno odore
fetido nella frattura fresca. Solo in questa facies sono stati osservati pisoliti e ooidi asimmetrici. Normalmente questa dolomia forma dei letti con
potenza variabile dal centimetro al decimetro, ma ad est del Bivacco Bedin forma un intervallo quasi omogeneo di 30 m, non molto ben esposto,
ma di facile riconoscimento lungo il sentiero per il Boràl della Besàuzega (sezione Punta Margherita) (Fig. 4, Fig. 9). Prevalgono laminazioni
stromatolitiche ondulate e parallele alla stratificazione in sezione sottile,
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
161
formate da micrite dolomitica, con dei vuoti millimetrici, spesso riempiti
da calcite fibrosa, ma anche da dolomia saccaroide (Fig. 10).
L´analisi quantitativa delle sezioni sottili mostra che volumetricamente prevalgono la micrite (microbial crusts) ed il cemento fibroso
(Fig. 11). Tutte le altre componenti sono di importanza minore e raramente superano il 2%. Anche i gasteropodi e le alghe dasicladacee sono
molto cospicui nel terreno, ma volumetricamente non rivestono un ruolo
importante nella roccia. L´analisi dei calcari della Marmolada al Pian
dei Fiacconi mostra una composizione molto simile di quella delle Pale.
Le differenze si osservano nel contenuto di dolomia e calcite fibrosa.
DATI GEOCHIMICI E PETROFISICI
I risultati dell´analisi degli isotopi stabili di O e C mostrano rapporti
!"$'18O è quasi sempre leggermente negativo sia nel calcare che nella dolomia, ma i valori della
dolomia sono più pesanti del calcare di 2-4 ‰. E’ differente la situazio[
$'18O può anche divenire
Figura 8 - Sezione sottile di una dolomia saccaroide con numerosi piccoli vuoti, in azzurro,
dovuti all´impregnazione con plastica colorata, tubulari simili a colomie di batteri. Si noti la
perfetta preservazione della forma rotonda, di diametro minore rispetto a quello dei cristalli
di dolomia, che suggerisce che la dolomia non sia ricristallizzata dopo la „scomparsa“ dei
batteri.
Figura 9 - Le sezioni della parte progradante della Prima Pala, mostranti la mineralogia determinata da analisi XRD, l´ubicazione di tepee e
di dolomia di tipo „cycle cap“, ed i valori degli isotopi stabili di C ed O. Per l´ubicazione delle sezioni vedi Fig. 21.
162
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
163
\
$'13C è, in generale, leggermente positivo, ma in media quello delle dolomie risulta più pesante
di circa 0.8 ‰ del calcare (Tabella 1). Per il Latemar, la differenza media
è di 0.4 ‰. Le dolomie non sono quasi mai negative rispetto al calcare. I
valori negativi del calcare provengono tutti da campioni attorno al “marker bed”, e alcune dolomie con valori attorno a 0 contengono tutti inclusi
millimetrici di calcite fibrosa. Poiché sono state analizzate polveri da
superfici segate, è più probabile che si tratti di contaminazione da calcite
'13C negativo. Non si osserva alcuna correlazione lineare tra
'13]'18O, ma i cambiamenti dei valori sono indipendenti fra loro.
$
13C, sia per la dolomia sia per il calcare, sono più pesanti
al Latemar rispetto alle Pale. Un trend paragonabile a quello del Latemar si vede nei dati della Marmolada, nonostante il numero più limitato
di analisi (Tabella 1).
I rapporti del 87Sr/86Sr delle Pale sono molto variabili, con valore minimo di ca. 0.7074 e valore massimo di ca. 0.7082 (Fig. 13). E’ sorprendente che non solo la dolomia mostri variazioni notevoli, ma che queste si
osservino anche per il calcare. Esistono finora solo 5 (!) analisi di Sr per
il Latemar (WILSON et al., 1990), che non possono essere utilizzate come
termini di paragone con quelli delle Pale. I valori dalla Marmolada sono
relativamente molto variabili.
Le porosità della dolomia misurate variano fra 3.5% e 5.5%, quelle
Figura 10 - Sezione sottile di una
dolomia di tipo „cycle cap“, tagliata da una frattura verticale
riempita da dolomia saccaroide. La tessitura micritica di tipo
boundstone è molto simile a quella del calcare, anche se mancano
sempre i macrofossili. I vuoti sono
riempiti da dolomia fibrosa, ma
rimane comunque una piccola
quantità di porosità.
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Figura 11 - Composizione quantitativa delle sezioni sottili delle Pale di San Lucano e della
Marmolada (Pian dei Fiacconi, facies di piattaforma interna).
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
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1318O per le Pale di San Lucano, il Latemar e la Marmolada.
166
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del calcare, misurate da campioni della Marmolada, sono sempre inferiori a 2 % (Fig. 14). I valori del calcare sono in buon accordo con le
misure provenienti dall´analisi di sezioni sottili, mentre quelli provenienti da sezioni sottili della dolomia possono raggiungere valori fino
a 25%. Non è invece sorprendente quest´osservazione perché tutte le
analisi della dolomia provengono solo da due campioni attorno al tetto
della Formazione del Contrin del Boràl della Besàuzega. Le permeabilità della dolomia sono attorno 0.01 mD, mentre la metà delle misure
del calcare è inferiore a 0.001 mD. Anche se i dati petrofisici della dolomia sono limitati, è accertato che la dolomia attualmente ha maggiore
permeabilità rispetto al calcare.
Figura 13 - Diagramma dei valori 87Sr/86Sr delle Pale di San Lucano e la quota dei campioni,
che corrisponde all’incirca alla posizione stratigrafica. Il campo azzurro mostra la probabile
composizione dell´acqua marina triassica, calcolata utilizzando un elenco indedito di Veizer,
con valori minimi e massimi provenienti da conodonti delle zone comprese fra Nicoraella kockeli (circa base del Contrin) e Budurovignathus mungoensis (circa tetto della piattaforma)(cf.
KORTE et al., 2003). Le misure provenienti dalla Marmolada sono posizionate secondo la loro
provenienza stratigrafica relativa al campo marino e non di quota.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
167
Tabella 1 - Valori medi di isotopi stabili di O e C per 3 piattaforme medio-triassiche delle Dolomiti.
Pale di San Lucano
Latemar (Carmichael et al., 2008)
Marmolada
average limestone
average dolomite
del13C del18O
del13C
del18O
(PDB)
(PDB)
0,22
-4,66
1,03
-3,13
2,31
-4,03
2,71
-5,61
2,26
-4,09
2,51
-5,06
RAPPORTI FRA CALCARE E DOLOMIA DELLA PARTE PROGRADANTE
I rapporti fra calcare e dolomia sono facilmente rilevabili sulla Prima
e Seconda Pala. Macroscopicamente si osservano 4 tipi differenti. Il
primo e più frequente è costituito da una semplice alternanza di calcare
e dolomia seguenti la stratificazione (Fig. 15). I contatti sono spesso
netti e caratterizzati da un cambiamento di mineralogia di quasi il 100%
entro il millimetro, ma il contatto stesso è dato quasi sempre da stiloliti. Questo tipo di transizione può anche mostrare un contatto ondulato
entro un banco, con rilievo di alcuni decimetri (Fig. 16).
Il secondo tipo è dato da una transizione graduale verticale entro il
decimetro o metro, all’interno di uno o pochi banchi.
Il terzo tipo è una transizione laterale, caratterizzata da un cambiamento di mineralogia entro pochi centimetri, ma sempre limitato a livello di un banco (Fig. 17).
Il quarto tipo è costituito da alternanza di dolomie giallastre (“cycle
caps”), che mostrano altrettanti contatti netti entro i due tipi di dolomia (Fig.18) oppure, raramente, con calcare. Finora è stato osservata
solo una transizione laterale di questa dolomia alla scala di centinaia di
metri, come per l´intervallo potente di questa facies al Bivacco Bedin
(sezione Punta Margherita), ma non una transizione al livello del banco.
A tutti i fronti di dolomitizzazione si osserva un rapporto notevole
fra dolomia e calcite fibrosa alla scala della sezione sottile. Se in contatto con calcite fibrosa i rombi di dolomia sono sempre corrosi dalla
calcite, la stessa non contiene mai dei romboedri di dolomia e non è mai
corrosa da dolomia (Fig. 17C). Ciò è visibile in tutte le sezioni sottili
che contengono queste due fasi di minerali, ed è questo un fatto finora
non rilevato altrove. Nelle sezioni sottili della Marmolada si può fare la
stessa osservazione (Fig. 19), anche se in quel caso la dolomia è molto
meno abbondante che alle Pale.
Anche i rapporti fra gli isotopi stabili sono straordinari. In tutti i
168
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
Figura 14 - Diagramma dei valori di porosità e permeabilità di campioni calcarei, provenienti
dalla Marmolada, e dolomitici provenienti dalle Pale di San Lucano.
Figura 15 - Contatto netto fra un banco di dolomia saccaroide ed un calcare, perfettamente parallelo alla stratificazione. I valori degli isotopi stabili mostrano le differenze tipiche osservate
nelle Pale per i due tipi di roccia.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
169
Figura 16 - Contatto netto ma ondulato fra dolomia saccaroide e calcare dentro un banco. I
valori del 87Sr/86Sr in ambedue i tipi di roccia sono fuori dal campo marino.
Figura 17 - Transizione laterale da una dolomia ad un calcare (A), e le rispettive microfacies
13C varianno solo leggermente attraverso la tran!18O diventano gradualmente più leggeri dalla dolomia al calcare. In (C) si
vede che la calcite fibrosa non contiene dei rombi di dolomia a differenza della matrice calcarea dove i componenti sono parzialmente sostituiti da dolomia.
170
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
'18O della dolomia è più pesante
del calcare vicino, e la differenza è spesso 2-4‰, corrispondente alla
differenza teorica dovuta al frazionamento (NORTHUP & CLAYTON, 1966;
MATTHEWS & KATZ!{||}~'13C è sempre più pesante nella dolomia, con una differenza di circa 0.5-1‰. Il contrasto è più notevole
attorno al “marker bed
'13C negativo sono
'13C positivo. I rapporti fra 87Sr/86Sr delle due
facies mineralogiche sono sempre diversi in tutte le località analizzate.
LA MODELLIZZAZIONE 3D DELLA DOLOMIA E I TEPEE
Le sezioni misurate e campionate sulla Prima e Seconda Pala sono
state caricate nel programma IRAP-RMS. La geometria della parte progradante è stata definita con tre superfici principali, la base della parte
progradante, il tetto del “marker bed”, ed il tetto della successione misurata. Alcune superfici addizionali sono state introdotte per raffinare
Figura 18 - Contatto netto fra dolomie saccaroidi ed un banco giallastro di dolomia di tipo “cycle cap“.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
171
l´informazione stratigrafica per la Seconda Pala, dove alcune sezioni
sono state rilevate a livello del banco. Basata su queste superfici è stata
modellizzata una griglia con dimensioni delle celle di 0.3x10x10m. Per
il calcolo della distribuzione di dolomia sono stati interpolati i dati mineralogici delle sezioni nella griglia, usando un raggio di interpolazione
orizzontale di 2 km ed uno verticale di 1 cm. Per evitare errori di distribuzione causati dall´assottigliamento dell’ intervallo progradante, è stato effettuato dapprima l´interpolazione in una griglia con base planare e
parallela al tetto (Fig. 20A). Basati su questa griglia sono stato effettuati
calcoli quantitativi. La griglia è stata successivamente “erosa” alla base
dell´intervallo progradante e alla superficie topografica per ottenere la
geometria propriamente osservata (Fig. 20B).
I risultati della modellizzazione mostrano alcuni intervalli plurimetrici di calcare correlabili in tutto il modello. La distribuzione di dolomia è invece molto irregolare, sia quella della dolomia saccaroide sia
quella dei “cycle caps”. La distribuzione molto irregolare risulta meglio
visibile sulla mappa mostrante il valore medio per tutto l´intervallo modellizzato, con due massimi subcircolari sulla Seconda Pala e uno meno
ben distinto sulla Prima Pala, dove la base di dati è meno accurata per
la prevalenza di sezioni soltanto parziali (Fig. 21).
Le ubicazioni dei tepee sono state visualizzate in una mappa che
mostra le celle della griglia nelle quali sono rappresentati i tepee. E’
chiaramente visibile che i tepee sono abbondanti solo lungo due sezione
misurate (sezione A e H, Fig. 22) sulla Seconda Pala e non sono normalmente correlabili fra loro.
INTERPRETAZIONE
Problemi di geometria e di facies
A grande scala, le geometrie dei carbonati di piattaforma delle Pale
di San Lucano non sono insolite e, a prima vista, apparentemente completamente in accordo con i modelli convenzionali. Il Contrin forma la
base della piattaforma, come quasi ovunque nelle Dolomiti; segue una
parte puramente aggradante, come altrove nelle Dolomiti, e poi una
parte progradante, come riportato per molte altre piattaforme dell’area
dolomitica. L´ultimo punto risulta poi di fondamentale importanza per-
172
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
Figura 19 - (A) Alternanza di dolomia saccaroide (1) e calcare, a piccola scala, al Pian dei
Fiacconi, Marmolada. La dolomia si è formata prima della formazione del piccolo tepee nel
centro della foto, documentando così le stesse relazioni fra dolomia e calcare osservata alle
Pale. (B) Sezione sottile di dolomia saccaroide del Pian dei Fiacconi alla Marmolada, che
mostra un rapporto fra dolomia e calcite fibrosa identico a quello osservato nelle Pale.
Figura 20 - Modello tridimensionale per dolomie e calcari della parte progradante delle Pale di
San Lucano, visto da SSE. (A) Modello completo risultato dall´interpolazione della mineralogia e
le due facies della dolomia. (B) Lo stesso modello, ma “eroso” alla base dalla superficie di progradazione ed al tetto dalla topografia, mostrante così la distribuzione attuale.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
173
chè sovente non è preservata la parte progradante in altre piattaforme,
eccetto casi particolari come il Monte Pighera (a nord delle Pale di San
Lucano) e il cosiddetto “Capitan reef” del Permiano dell´America settentrionale (KING, 1948).
Per le Dolomiti sono stati sviluppati dei modelli negli ultimi decenni
che, nonostante alcune differenze, hanno tutti in comune l´acqua marina e i cambiamenti del livello del mare come fattori principali che controllavano posizione, crescita e geometria delle piattaforme triassiche.
Per quanto riguarda la posizione, il modello convenzionale richiede
qualche tipo di “alto strutturale” (un horst tettonico o un’area elevata)
per la nucleazione della piattaforma. Nè per il Contrin nè per la parte
aggradante tale area è però rilevabile per le Pale di San Lucano. La
Figura 21 - Mappa del valore medio di dolomia del modello tridimensionale della parte progradante, ed ubicazione delle sezioni misurate.
174
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
geometria suggerisce che il Contrin delle Pale sia un riempimento graduale di un bacino anzichè una piattaforma aggradante, al fianco est di
un mound asimmetrico attorno al Boràl di Lagunàz, con fianco ripido
verso il bacino di Pónt ed uno più debolmente inclinato verso Est. Il
“nucleo” geometrico del Contrin attorno al Boral di Lagunàz non è
strutturalmente elevato rispetto alle altre aree, e la base del Contrin,
a scala maggiore comprendendo anche il versante est della Valle del
Cordevole, forma una sinclinale ad andamento circa ENE-OSO. Il “nucleo” della piattaforma aggradante sopra il Contrin si è sviluppato sul
tetto della stessa formazione anisica perfettamente piatto, ma in una
zona dove si riconoscono molte fratture. La posizione di queste parti
della piattaforma non segue quindi neanche il modello classico. Le geometrie aggradanti, retrogradanti e progradanti della piattaforma sono
Figura 22 - Le località con tepee visualizzate nelle celle rosse del modello tridimensionale,
proiettate su una foto aerea della Seconda Pala di San Lucano. I tepee sono abbondanti solo
attorno alle fratture, di origine probabilmente gravitativa.
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
175
invece ben spiegabili con il modello classico, nella quale la velocità
dell’ innalzamento del livello marino relativo, o la subsidenza, costituisce il fattore principale per le geometrie. I carbonati di piattaforma crescerebbero fino al livello marino o poco oltre. Le geometrie sarebbero
spiegabili come una prima fase di forte subsidenza (parte aggradante),
ancora più forte subsidenza (parte retrogradante), subsidenza leggera
(parte progradante) seguita da una ultima fase di forte subsidenza (parte
retrogradante sommitale). Il problema però è costituito dal fatto che
non vi sono delle evidenze sicure che la piattaforma abbia mai raggiunto il livello del mare triassico, poichè mancano completamente
tracce di azione delle onde, di correnti e di diagenesi subaerea. I tepee,
strutture diagenetiche che rappresentano uno dei punti più importanti a
sostegno di esposizione subaerea come al Latemar (KENDALL & WARREN, 1978), sono chiaramente allungati secondo le fratture sinsedimentarie di origine probabilmente gravitativa nelle Pale di San Lucano. E’
quindi difficile l´applicazione dei modelli classici puramente marini per
le Pale di San Lucano.
Figura 23 - Modello tridimensionale per la Seconda Pala, eroso come in Fig. 20B, mostrante
la natura stazionaria del limite fra calcare e dolomia nell´anfiteatro esposto verso NNE. Il
limite corrisponde all’incirca ad una delle fratture della Fig. 3.
176
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
La composizione del calcare della piattaforma delle Pale di San Lucano, inoltre, non è particolarmente diagnostica per un ambiente esclusivamente controllato da parametri marini. Non vi sembra dubbio che
le piattaforme siano state circondate da acqua marina triassica, dato
che fossili di provenienza marina sono sempre presenti, ma rarissimi
quantitativamente, mentre la parte più importante è costituita da croste micritiche probabilmente precipitate da batteri, di cui si vedono,
sorprendentemente, le tracce migliori nella dolomia saccaroide, e da
cementi fibrosi. E’ lecito supporre che la scarsità di fauna sia dovuta
all´effetto tardivo della grande estinzione al limite Permiano-Triassico, ma l´abbondanza del cemento fibroso è in ogni caso enigmatico da
giustificare. Quest´argomento non può essere ancora affrontato per la
mancanza di dati quantitativi di altre aree.
Una chiara ciclicità come quella proposta per il Latemar non è sviluppata sulle Pale. Il fatto che le dolomie di tipo “cycle cap” non siano
correlabili e distribuite molto irregolarmente nella serie stratigrafica,
suggerisce che le alternanze di facies non siano state causate da cambiamenti regolari del livello di mare.
Problemi di dolomitizzazione
La dolomitizzazione delle piattaforme triassiche delle Dolomiti è
stata attribuita ad una fase diagenetica tardiva dopo la deposizione (BOSELLINI, 1989; WILSON et al., 1990; CARMICHAEL et al.,2008; CARMICHAEL
& FERRY, 2008) ed è basata sulla geometria di corpi dolomitici come al
Latemar. Comunque la petrografia e diagenesi dei fronti di dolomitizzazione non è mai stata analizzata precedentemente, ed i dati di questo
lavoro non sembrano avvallare la tesi di dolomitizzazione tardiva.
La dolomia della parte progradante delle Pale di San Lucano probabilmente era già costituita da dolomia durante la deposizione, nonostante la facies saccaroide, sempre attribuita ad un processo in profondità (PURSER et al., 1994), non in superficie. Gli argomenti principali a
favore dell´origine superficiale sono l´alternanza di dolomia e calcare
e l´assenza di corpi dolomitici che “tagliano” la serie stratigrafica. Ma
anche il filone sedimentario del Monte San Lucano documenta che la
dolomia sia stato formato prima rispetto al filone calcareo. L´argomento
petrografico principale è rappresentato però dal cemento fibroso. E’
probabile che questo cemento sia formato in prossimità della superfi-
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
177
cie ed è sicuramente un cemento triassico (SEELING et al., 2005) visti i
blocchi con questo cemento rimaneggiati successivamente nel vulcanoclastico. Poichè il cemento fibroso è sempre più giovane della dolomia
saccaroide, sembra trattarsi di un tipo di dolomitizzazione finora non
riportato altrove.
Le geometrie dei corpi dolomitici interpolati da dati mineralogici
non sono molto differenti dalle “isole” calcaree delle Pale. La geometria dei due corpi rotondeggianti della Seconda Pala (Fig. 21) è
paragonabile ai cosiddetti “x-mas trees”, che risultano essere tipici
di una dolomitizzazione idrotermale. Il problema di questo modello per le Pale è dato dall´assenza di mineralizzazioni, la mancanza
di evidenze per temperature elevate in quanto la dolomia selliforme è rarisssima alle Pale, eccetto che nei corpi di megabrecce, e
l´osservazione di dolomitizzazione in superficie, dove i fossili nel
calcare indicano delle temperature “normali”. Non è neanche evidente un sistema di fratture che possa essere legato chiaramente a
questi corpi dolomitici.
Il modello 3D dettagliato della Seconda Pala mostra un’ altra sorpresa. Il limite fra calcare e dolomia non è infatti curvato come suggerisce l´interpolazione mineralogica, ma stazionario e rettilineo per
decine di metri di potenza e segue una delle fratture gravitative (Fig.
23). Queste fratture terminano però in un livello molto superficiale,
nel bacino, e sicuramente non sono delle fratture profonde, anche se
sembrano aver influenzato in modo determinante la distribuzione di
dolomia e calcare, come si vedrà più sotto.
Il problema principale delle Pale è dunque se le dolomie siano
infatti dei calcari dolomitizzati. E’ molto probabile che le dolomie di
tipo “cycle cap” siano delle dolomie primarie, per la tessitura micritica e l´assenza di fauna (MASTANDREA et al., 2006), ma per le dolomie
saccaroidi è tutt´altro che chiaro se si tratti o meno di calcari trasformati in dolomia. Infatti è difficile spiegare perchè dietro i contatti fra
dolomia e calcare non vi siano mai delle tracce o isole di calcare, ma
il fronte sia sempre netto e caratterizzato da un salto mineralogico.
Se dei flussi di fluidi attraverso la roccia avessero causato la dolomitizzazione di un calcare preesistente, il contatto dovrebbe essere molto più irregolare e discontinuo, perchè la cosidetta “sweep efficiency”
non è mai al 100% a causa della non omogeneità della permeabilità
178
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
della roccia calcarea. Non è allora da escludere che i fronti di dolomitizzazione siano infatti nient´altro che una transizione laterale o
verticale fra una dolomia primaria ed un calcare, ed i veri fronti di
dolomitizzazione, la trasformazione di calcare in dolomia, misurino
solo centimetri o decimetri, ristretti solo alla matrice calcarea e non
al cemento. Il contenuto di probabili colonie di batteri, raramente
osservato nel calcare ma quasi sempre presenti nella dolomia, potrebbero indicare che l´ambiente deposizionale per la dolomia era
differente rispetto a quello del calcare.
Quindi forse si pone solo la domanda su che cosa abbia impedito
la precipitazione di dolomia nel Triassico, non tanto quale fenomeno
abbia causato la dolomitizzazione. In questo senso non sono molto
sorprendenti le osservazioni di porosità e permeabilità e la composizione quantitativa della dolomia saccaroide, altrimenti di difficile
spiegazione: nonostante la maggiore permeabilità e porosità, la dolomia quasi mai mostra degli inclusi di calcite. Se la fase carbonatica
“normale” fosse rappresentata da calcite (o aragonite), perchè questa
non ha occluso tutti i pori della dolomia come nei calcari?
L´acqua marina attuale è infatti supersaturata rispetto alla dolomia, ma la precipitazione di dolomia marina è impedita da fattori
ancora oggi poco quantificati. Il contenuto di solfati probabilmente
è uno di questi fattori, ma anche questo fenomeno è oggi ancora dibattuto (e.g., MACHEL, 2004). Nel Triassico, il sedimento “normale”
delle piattaforme delle Dolomiti era forse la dolomia saccaroide, non
il calcare, in un ambiente di acqua marina con composizione paragonabile a quella attuale, mancando allora gli inibitori attuali per la
precipitazione di dolomia.
Questo modello potrebbe contribuire a risolvere anche il problema
della provenienza del Mg. In ogni modello idraulico per la dolomitizzazione è necessaria una sorgente o una “anomalia” locale di Mg. Per
le Pale esiste solo la possibilità di una sorgente esterna, magmatica,
come ipotizzato da DAVIES & SMITH (2006), oppure l´acqua marina.
Una sorgente magmatica del Mg potrebbe essere correlata con la posizione delle piattaforme rispetto ai centri eruttivi ed il Latemar e la
Marmolada dovrebbero essere composte quindi da dolomia, non calcare. E’ allora più probabile che non fosse necessaria una sorgente
esterna del Mg per giustificarne la presenza ed il problema, almeno
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
179
per le Dolomiti, non esisterebbe se la dolomia saccaroide fosse un
sedimento essenzialmente primario.
Problemi geochimici
La composizione isotopica dei carbonati può aiutare a definire meglio le possibili composizioni di fluidi che ne causano la precipitazione
e la loro diagenesi: per le Pale di San Lucano e il Latemar vi sono abbastanza dati che permettono una discreta interpretazione. Dapprima il
'18O: poichè le dolomie sono in generale in equilibrio col calcare, cioè
2-4‰ (vs PDB) più pesanti, sembra probabile che siano state deposte
\'18€\'13C, i
fluidi da cui precipitava la dolomia erano un pò più pesanti rispetto a
‚
\\\~ƒ
'13C fra
le due mineralogie è sconosciuto. Le grandi variazioni di 87Sr/86Sr, che
non è frazionato dato che Sr sostituisce il Ca, indicano pure cambiamenti nella composizione dei fluidi. Quest´ultima osservazione è un pò
sorprendente, come si vedrà sotto. Per arrivare ad una interpretazione
genetica dei fluidi, è dapprima necessario paragonare i valori misurati
con quelli dell´acqua marina triassica, anche se questi valori non sono
esattamente conosciuti. KORTE et al. (2005) suggeriscono un valore del
'13C di +0,5 +/-1 ‰, mentre l´ossigeno era probabilmente simile al valore attuale di ca. 0 ‰ (SMOW) (RIGO & JOACHIMSKI, 2010; NÜTZEL et
al., 2010), ma i rapporti di 87Sr/86Sr sono meglio definiti da analisi di
conodonti (un elenco inedito di VEIZER, pubblicato in internet, www.
science.uottawa.ca/geology/isotope_data/ e ricaricato nel 2007, ma attualmente non esistente).
'13C delle Pale di San Lucano si trova entro o leggermente
sopra i valori dell´acqua marina proposti da KORTE et al. (2005), quelli
della Marmolada e del Latemar sono distintamente più pesanti. Non
sembra molto realistico supporre che la differenza sia l´effetto di “dislocazione metabolica” (“metabolic shift”), causata cioè dall´attività di
\
\ '13C pesante, che sono
rarissimi sia alla Marmolada sia alle Pale (e probabilmente anche al Latemar) e che sono stati osservati solo in sedimenti aragonitici attuali. E’
‚
\~
'13C dei calcari triassici non sia stato
ereditato esclusivamente dall´acqua marina, ma anche da una sorgente
'13C più pesante, variabile da una piattaforma all´altra. In un ambien-
180
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
te vulcanico come quello delle Dolomiti la più semplice soluzione è un
contributo di CO2 magmatica (WATSON et al., 2004, PENTECOST, 2005).
Meritano una breve discussione i valori negativi delle Pale, che mancano al Latemar (ed alla Marmolada). Nella interpretazione classica
‚
'18O, sarebbero interpretati
come risultato di diagenesi subaerea, ma le tracce di idrocarburi in queste rocce suggeriscono che i valori negativi siano causati da un contributo di idrocarburi, migrati lungo le fratture gravitative che terminano
nel bacino di Pónt, laddove si trovano le rocce madri per idrocarburi
(Plattenkalk o Fm. Moena o calcari nodulari anisici).
$
'18O dei calcari sono quasi sempre più leggeri rispetto a
quelli di un carbonato precipitato da un’ipotetica acqua marina triassica. Naturalmente la più semplice interpretazione sarebbe attribuire questa differenza negativa alla diagenesi, ma in primo luogo non si osserva
una ricristallizzazione ed in secondo luogo non si osserva una correla'13]'18O che indicherebbe una modificazione diagenetica. Non è quindi probabile che i valori misurati siano attribuibili a
temperature elevate durante la diagenesi. A favore di quest´argomento
sono i valori del Latemar. La piattaforma è tagliata da moltissimi filoni
basaltici (temperatura d´intrusione di ca. 1000°C) ed è stata riscaldata sicuramente a temperature >>100°C: sorprendentemente i valori del
'18O della calcite sono più pesanti rispetto a quelli delle Pale (Tabella
1), dove il riscaldamento della parte progradante della piattaforma sicuramente non superava alcuni decine di gradi (eccetto forse attorno alla
megabreccia del Corn del Bus). Le temperature elevate del Latemar
spiegano bene la dislocazione della dolomia del Latemar verso valori
negativi. La notevole porosità della dolomia è messa in relazione fra
acqua e roccia (“water-rock ratio”), facilitando la sostituzione dell’ossigeno con isotopi più leggeri, rispetto al calcare che non mostra ne porosità ne permeabilità e quindi era una roccia “inerte” già nel Triassico.
„~ƒ \ '18O della calcite
rispetto a valori marini nel senso di temperature sembra poco probabile,
l´unica alternativa è costituita da un contributo di acqua dolce che causa
'18O rispetto al segnale marino durante la
deposizione. Sorge allora il problema di come sia possibile avere acqua dolce su una piattaforma circondata da acqua marina, mancando
evidenze per emersioni e quindi di acque di provenienza pluviale. Che
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
181
l´ipotesi di acqua dolce non sia completamente impossibile è indicato
dai valori del 87Sr/86Sr. Dato che il segnale nei carbonati è probabilmente quello originale, e poichè la composizione dell´acqua marina è
ben conosciuta, come è possibile asportare dei fluidi con composizione isotopica spesso molto differente dall´acqua marina sul tetto di una
piattaforma isolata ed elevata per centinaia di metri al di sopra del fondo del mare?
Modello alternativo
Per le molte difficoltà ad interpretare la geologia delle Pale di San
Lucano nel senso dei modelli classici, è necessario allora sviluppare un
modello alternativo .
Le geometrie delle varie fasi della piattaforma sono sempre dominate da corpi sedimentari di tipo “mound”, di cui i centri geometrici
risultano essere legati ad un sistema di fratture: per il Contrin la frattura
del Boràl di Lagunàz, per la parte aggradante le fratture dello spigolo
sud-est della Seconda Pala, per il Corn del Bus le fratture della Conca
del Bus. Queste fratture possono essere considerate come le sorgenti
di piccole quantità di fluidi e di gas CO2, probabilmente sufficienti per
causare e mantenere la precipitazione di carbonati. Una nucleazione
completamente casuale non è invece molto probabile, visto il fatto della progradazione della piattaforma a grande scala, ricurva al margine
dello sprofondamento “calderico” delle Dolomiti centrali (cf. BOSELLINI, 1989). La tematica deposizionale è quindi più paragonabile ad un
travertino (PENTECOST, 2005) piuttosto che ad una piattaforma tropicale.
Le microfacies del calcare sono in ogni caso in buon accordo con quelle
di un travertino: sarebbe infatti impossibile differenziare la composizione del calcare delle piattaforme da quella di un travertino se non
fossero presenti fossili marini.
Rimane incerto stabilire per il momento se il tetto apparentemente
piatto della parte progradante delle Pale sia causato da qualche processo
marino come ad esempio la base delle onde. Per la mancanza di una
simmetria “a fungo” non è da escludere completamente che si tratti
solo di una terrazza alla base di un altro “mound”, come per esempio
l´Agnèr, che risulta distintamente sopraelevato rispetto alla parte progradante di circa 200-300 metri (cf. le sezioni di CASTIGLIONI, 1939).
Poichè tutta la piattaforma carbonatica era circondata da acqua marina,
182
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
non è affatto sorprendente che possieda un aspetto marino, ma la geochimica indica che c´erano altre sostanze che hanno lasciato tracce nei
carbonati. In primo luogo probabilmente vi era un contribuito di CO2,
di origine magmatica. Questo contributo sembra essere stato più rilevante al Latemar e alla Marmolada, e ciò non sorprende visto la loro
vicinanza ai centri eruttivi del Trias medio. Ma non solo il carbonio,
ma anche l´ossigeno erano modificato da fluidi esterni. In particolare,
i valori spesso radiogenici del rapporto 87Sr/86Sr delle Pale indicano
un lungo percorso dei fluidi attraverso corpi di roccia continentali. Il
Basamento è forse una possibilità, ma le Arenarie della Val Gardena
sembrano più probabili vista la situazione generale nel Triassico delle
Dolomiti. In una grande sinclinale le acque radiogeniche potrebbero essere state di natura artesiana e la loro risalita nel bacino delle Dolomiti
solo un fenomeno gravitativo, aiutato però da un alto gradiente termico.
I valori inferiori all´acqua marina triassica, osservati più spesso alla
Marmolada, potrebbero indicare un contributo di Sr magmatico oppure
essere derivati dalla soluzione di carbonati ed evaporiti permiane.
Sulle piattaforme il sedimento “normale” era probabilmente la dolomia, ma rimane il dubbio se si si tratti di una dolomia primaria o
di un calcare dolomitizzato istantaneamente senza lasciare tracce della
mineralogia originale. La tessitura saccaroide deve essere un fenomeno molto precoce perchè non ha modificato le forme dei microfossili
minutissimi, e non è sicuramente dovuta alla ricristallizzazione di una
dolomia tipo “cycle cap”.
Per il momento rimane anche incerto il significato di dolomia di
tipo “cycle cap”. La sua distribuzione discontinua sia lateralmente sia
stratigraficamente suggerisce che non si tratti di prodotti di cambiamenti regolari del livello di mare. Sono una facies transizionale fra calcare e
dolomia saccaroide, in un ambiente altrettanto transizionale, suggerito
dalle tessiture paragonabili a quelle del calcare, pur mancando macrofossili.
I tepee seguono le fratture gravitative e sembrano non aver niente a che fare con esposizione subaerea. Sono in ogni caso il risultato
della cristallizzazione di enormi volumi di cemento fibroso, precipitati
da fluidi asportati lungo fratture gravitative (e forse tettoniche), spesso
mostranti un segnale geochimico “marino”, oltre che tracce di idrocarburi correlabili con “anomalie” isotopiche. E’ questo un altro problema
Pale di San Lucano: esempio di importanza mondiale
183
generale e non risolto, poichè richiede che la calcite (il cemento) sostituisca il carbonato (calcite o dolomia della matrice) (BATHURST, 1971).
Le “isole” calcaree sulla piattaforma erano controllate strutturalmente, non come invece la distribuzione della dolomia. La composizione
dei fluidi che hanno causato queste anomalie calcaree rimane per ora
sconosciuta, ma queste sono sempre riflesse in un abbassamento locale
13C rispetto alla dolomia. La riduzione batterica dei solfati
provenienti dal Permiano rappresenta un’altra possibilità (vedi LAND,
!{†‡\~~
13C nel
calcare, nonchè “l´aggressività” del cemento fibroso che corrode la dolomia precedentemente formata.
Cambiano i modelli, ma rimangono i dati.
CONCLUSIONI
1. Le geometrie dei carbonati delle Pale di San Lucano sono paragonabili a quelle di altre piattaforme delle Dolomiti, ma rappresentano
uno dei pochissimi esempi al mondo dove si osserva una progradazione
dell´interno della piattaforma sopra i clinoformi. Poichè mancano “alti
strutturali” sia per il Contrin che per la piattaforma stessa, le Pale non
seguono il modello classico per piattaforme di natura tropicale. Infatti i
nuclei delle varie fasi di crescita sono sempre ubicati in corrispondenza
di fratture, anche se con rigetto minimo.
2. La composizione quantitativa del calcare delle Pale di San Lucano
è molto simile a quella della Marmolada. I componenti principali sono
la micrite stromatolitica, precipitata probabilmente da batteri, e cemento microcristallino e fibroso. Altri componenti quali organismi metazoi
sono sempre inferiori al 2%. La microfacies del calcare è paragonabile
ad un travertino, non ad un sedimento granulare marino mosso dalle
onde o da correnti prima della cementazione. Le differenze di porosità
e permeabilità fra calcare e dolomia sono circa un ordine di grandezza:
il calcare è quindi essenzialmente una roccia “inerte”.
ˆ$
'18O indicano che la dolomia è in equilibrio col calca
13C della dolomia sono sempre piu pesanti del
calcare. Il rapporto 87Sr/86Sr è solo raramente identico a valori triassici,
sia per la dolomia che per il calcare, sia per le Pale che per la Marmolada. Una modificazione dei valori da diagenesi tardiva è poco probabile.
184
Wolfgang Blendinger, Alberto Bertini & Edwin Meissner
4. La modellizzazione 3D di dolomie e calcari della parte progradante mostra “isole” calcaree ed allungamenti di tepee che suggeriscono
un controllo strutturale del calcare e calcite fibrosa, non della dolomia:
piccole faglie gravitative sinsedimentarie sono responsabili della loro
distribuzione. Il sedimento “normale” sulla piattaforma era probabilmente costituito da dolomia, e questo fa pensare che non esiste un
problema di “dolomitizzazione” o della provenienza del Mg.
5. Nel modello alternativo le piattaforme delle Dolomiti sono infatti
un travertino marino ma dolomitico, la cui deposizione è controllata
da fratture, la crescita da CO2 magmatica, con un contributo da fluidi
dalla profondità e, almeno per le Pale, da acqua fresca di natura probabilmente artesiana.
RINGRAZIAMENTI
Thilo Bechstädt ha fornito il suo contributo discutendo l´idea della
dolomia primaria, Piero Gianolla e Nereo Preto hanno dicusso pazientemente i problemi delle piattaforme, Sarah Carmichael ha fornito i
suoi dati originali di misure isotopiche del Latemar. Si ringrazia Andreas Pack per le analisi di isotopi stabili, Rob Ellam per le analisi dello
Sr, e Thomas Beckmann per le moltissime sezioni sottili. Carl-Diedrich
Sattler ha effettuato le analisi XRD. Roxar Ltd. ha fornito le licenze
gratuite del programma IRAP-RMS.
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Il monitoraggio delle risorse idriche in Veneto: l’attività di A.R.P.A.V
IL MONITORAGGIO DELLE RISORSE IDRICHE IN VENETO:
L’ATTIVITÀ DI A.R.P.A.V.
Giacomo Renzo SCUSSEL, Raffaele RAMPAZZO
Servizio Idrologico Regionale, Dipartimento Regionale per la Sicurezza del Territorio,
Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto
e-mail: [email protected]
LA RETE IDROGRAFICA IN VENETO
La rete idrografica in Veneto (18 413 km2), considerando i maggiori
Fiumi ed i loro affluenti del primo ordine (Fig. 1), ha una dimensione di
circa 3930 km; conteggiando anche tutti i corsi d’acqua fino al terzo ordine, la lunghezza complessiva della rete idrografica sale a circa 12800 km.
Alla rete idrografica naturale si affianca, nella parte montana, una ardita
rete di derivazioni a scopo idroelettrico, mentre in pianura vi è una fitta
rete di canalizzazione a scopo irriguo e anche idroelettrico. Considerando
tutti i rii, i canali e gli scoli artificiali, la lunghezza complessiva è di circa
33900 km e la conseguente densità é di 1840 m di corsi d’acqua per ogni
chilometro quadro.
L’ATTIVITÀ DI A.R.P.A.V. – S.I.R.
Una stima sempre aggiornata della disponibilità d’acqua consente di
pianificare a medio e lungo termine le attività di utilizzo della risorsa idrica nei diversi settori (agricolo, energetico, industriale, turistico). L’acqua
è, inoltre, un bene pubblico e nell’interesse della collettività deve essere
costantemente monitorata la situazione quali-quantitativa della risorsa
idrica, offrendo al pubblico un servizio di divulgazione dei dati rilevati.
Oltre che una risorsa, l’acqua spesso costituisce anche una minaccia per
molte aree residenziali e produttive che si sono velocemente sviluppate
in Veneto, per cui la rete di monitoraggio deve essere concepita anche in
modo da poter disporre di un sistema di allerta basato sui dati rilevati in
tempo reale. L’attività centrale di ARPAV-SIR concerne proprio i monitoraggi quantitativi della risorsa idrica, e si basa su diversi tipi di reti di rilevamento che si sono sviluppate nel corso degli anni come compromesso
tra le diverse esigenze.
187
188
Giacomo Renzo Scussel, Raffaele Rampazzo
RETE DI STAZIONI DI MISURA AGRO-METEOROLOGICO
La rete di rilevamento agro-meteorologico è costituita da 243 stazioni
di misura (Fig. 2). Il 70% di queste stazioni è collocato al di sotto dei 500
m di quota (corrispondente al 73% del territorio regionale), il 15% è situato
tra i 500 ed i 1000 m (9% del territorio regionale) , il 12% tra i 1000 ed i
1500 (8% del territorio), il 3% tra i 1500 ed i 2000 (6% dell’area del Vene-
Figura 1 - Il reticolo idrografico in Veneto (in evidenza Piave, Brenta, Adige e Po) e la rete di
monitoraggio idrometrico. Sono messe in evidenza le stazioni di misura delle portate (stazioni
idrometriche per le quali esiste una scala di deflusso) in bacini montani nei quali l’effetto antropico sui deflussi può essere considerato trascurabile.
Il monitoraggio delle risorse idriche in Veneto: l’attività di A.R.P.A.V
189
to), il 2% oltre i 2000 m (4% della superficie regionale). A tali stazioni, che
misurano come minimo la temperatura dell’aria, la precipitazione, l’umidità, la radiazione solare, la velocità e la direzione del vento, si aggiunge
anche la stazione meteo posta all’arrivo della funivia della Marmolada, che
misura la temperatura dell’aria, la velocità e la direzione del vento e che
risulta di particolare interesse per la quota a cui è situata (3256 m s.l.m),
in corrispondenza del bacino di accumulo del ghiacciaio della Marmolada.
Figura 2 - La rete delle stazioni di misura agro-meteorologico.
190
Giacomo Renzo Scussel, Raffaele Rampazzo
RETE DI STAZIONI DI MISURA NIVOMETRICA
Nella porzione montana del Veneto ci sono 96 punti di rilevamento della
neve (Fig. 3): 18 stazioni automatiche di misura dell’altezza della neve (alcune rilevano anche la temperatura interna delle neve ogni 20 cm di spessore, la temperatura superficiale del manto nevoso e l’albedo, Fig. 4) a cui è
associata la misura dei principali parametri dell’aria (temperatura, umidità,
velocità e direzione del vento). Vi sono poi 44 siti dove periodicamente
viene misurato l’equivalente in acqua del manto nevoso (SWE) indicativamente da inizio febbraio ad inizio giugno ogni 15 giorni. I rimanenti punti
di rilevamento si riferiscono ai 34 osservatori volontari che forniscono il
dato dell’altezza della neve al suolo e dell’altezza della neve fresca.
Figura 3 - La rete delle stazioni di misura nivometriche.
Il monitoraggio delle risorse idriche in Veneto: l’attività di A.R.P.A.V
191
A
B
Figura 4 - A: stazione meteo al Passo Falzarego (Bl) con sensore per la misura dell’altezza del
manto nevoso. B: particolare della stazione nivometeo al Passo Campogrosso (Vi) con sensori per
la misura della temperatura interna della neve a diverse profondità.
192
Giacomo Renzo Scussel, Raffaele Rampazzo
ATTIVITÀ ORDINARIE PER LA VALUTAZIONE DELLA DISPONIBILITÀ DI
RISORSA IDRICA
I dati rilevati da tali reti di monitoraggio sono utilizzati in vari settori
come ad esempio la progettazione di manufatti che interessano le sezioni
fluviali, la calibrazione di modelli idrologici, la stima del fabbisogno irriguo delle colture, la previsione del rischio di valanghe, ecc.
Oltre a queste applicazioni specifiche, una sintesi generale dei dati rilevati viene proposta periodicamente nei Rapporti idrologici mensili e nei
Bollettini idrologici pubblicati ogni 15 giorni. In essi viene riportata la
situazione generale riguardo lo stato quantitativo della risorsa idrica a livello regionale. Più in dettaglio sono riportate le mappe di precipitazione
mensile e stagionale (dall’inizio dell’anno idrologico). Il deficit o il surplus di precipitazione a diverse scale temporali è espresso tramite l’indice
SPI (Standardized Precipitation Index - MC KEE et al., 1993) per l’intero
territorio regionale e per i singoli bacini idrografici. Sono poi riportati
gli andamenti della neve fresca e della neve al suolo per alcune stazioni
rappresentative delle Dolomiti e delle Prealpi ed inoltre, per mezzo di una
spazializzazione delle misure di equivalente in acqua del manto nevoso
(SWE), viene ricavato il volume di SWE riferito al sistema idroelettrico
Piave - Boite - Maé (1358 km2). Riguardo la situazione delle falde, sono
inoltre rappresentati i livelli freatimetrici di 10 stazioni appartenenti alla
rete di monitoraggio quantitativo delle acque sotterranee del Veneto.
Gli andamenti delle portate sono riferiti a 13 sezioni di misura, delle
quali 3 nell’area dolomitica e due nell’area prealpina vicentina. I dati di
portata di queste 5 sezioni sono quelli più significativi nel delineare il
quadro della situazione idrologica in quanto si tratta di deflussi con regime nivale non alterato da manufatti (quali ad esempio invasi o grandi
derivazioni).
ESEMPIO DI UTILIZZI DELL’ACQUA IN VENETO: IL CASO DEL PIAVE
Nel bacino del Piave ci sono 13 dighe: la capacità complessiva degli
invasi generati è di poco superiore ai 200 Mm3, dei quali tuttavia ben 170
Mm3 possono essere immagazzinati nei tre laghi più grandi (Santa Croce,
Pieve di Cadore, Mis). La produzione idroelettrica è solamente uno degli
utilizzi che viene fatto del volume d’acqua immagazzinato: nel periodo estivo l’uso prioritario è quello irriguo, mentre nel periodo autunnale, in alcuni
Il monitoraggio delle risorse idriche in Veneto: l’attività di A.R.P.A.V
193
casi, sono imposti vincoli sul riempimento degli invasi al fine di assicurare
un volume disponibile per la laminazione di eventuali piene. D’estate, poi,
gli operatori turistici dei comuni rivieraschi vorrebbero che le escursioni del
livello dei laghi fossero quanto più limitate per favorire il turismo.
Considerando il bacino del Piave, l’utilizzo idroelettrico è preponderante in volume d’acqua derivata, sia nel periodo invernale (82%) che in
quello estivo (67%), mentre quello irriguo conta per il 13% nel periodo
invernale e per il 30% in quello estivo. Va evidenziato, però, che i sistemi di derivazione ed utilizzo a scopo idroelettrico restituiscono l’acqua
con caratteristiche invariate e possono creare problemi solo per le tratte
comprese tra prelievo e restituzione, ma non incidono sul bilancio idrologico del bacino, a meno che la restituzione avvenga in bacini limitrofi.
L’esempio più eclatante al riguardo è costituito dai circa 30m3/s prelevati
dal bacino del Piave che, attraverso il sistema del Fadalto, fluiscono nel
bacino del Livenza.
Le utilizzazioni irrigue ammontano a circa 100 m3/s: i principali prelievi avvengono dalla traversa di Fener (35.8 m3/s, Fig. 5), dalla traversa
di Nervesa (32.0 m3/s) e dal sistema del Fadalto (31.2 m3/s).
La somma dei prelievi ad uso industriale è di 21 m3/s: in genere le portate sono restituite al bacino subito a valle con modestissime alterazioni
quantitative e la portata complessivamente sottratta ai deflussi superficiale del Piave a Nervesa è di 3-4 m3/s.
Tra gli utilizzi a scopo idropotabile (complessivi 5.6 m3/s) l’80% viene
restituito al bacino nello stesso ambito territoriale per cui solamente poco
più di 1 m3/s viene sottratto ai deflussi superficiale del Piave a Nervesa (a
causa principalmente dei prelievi che alimentano l’acquedotto Schievenin).
Il campo d’attività di ARPAV-SIR non è quindi solo l’ambiente, ma
anche il territorio, ovvero l’ambiente così come modificato dall’intervento dell’uomo. Nel caso del monitoraggio idrologico, questo si concretizza
ad esempio nell’attività di georeferenziazione di tutte le derivazioni d’acqua presenti nella Regione (dati di concessione) e nell’acquisizione dei
dati di acqua prelevata da parte dei titolari di concessione (dati di effettivo
prelievo) al fine di poter condurre dei bilanci di massima a scala di bacino idrografico e bilanci di dettaglio a scala di singole tratte fluviali. A tal
riguardo è attualmente in forte crescita il supporto chiesto da parte di Enti
pubblici e progettisti ad ARPAV-SIR, in quanto detentore dei dati idrologici, ad esempio nell’ambito delle crescenti domande di derivazione
194
Giacomo Renzo Scussel, Raffaele Rampazzo
Figura 5 - La traversa di Fener vista da monte (in alto, in primo piano il sensore ad ultrasuono
per la misura del livello) e da valle (in basso). L’opera di presa del Consorzio Brentella è posta in
destra orografica e ortogonalmente alla traversa stessa: la portata intercettata dal Piave è immessa in una vasca di calma in cui confluiscono anche le acque scaricate dalla centrale di Quero. Da
tale vasca ha origine il canale Brentella.
Il monitoraggio delle risorse idriche in Veneto: l’attività di A.R.P.A.V
195
d’acqua per la realizzazione di piccoli impianti idroelettrici (con potenze
inferiori ad 1MW). Lo sviluppo delle fonti rinnovabili, quali l’idroelettrico, è incentivato (Dir. 2001/77/EC), ma contemporaneamente i corpi
idrici sui quali questi impianti vanno ad inserirsi sono oggetto di obiettivi
di qualità che debbono essere raggiunti entro il 2015 (Dir. 2000/60/EC).
La pianificazione dell’ubicazione dei nuovi utilizzi della risorsa idrica
non può quindi essere condotta solo a scala locale, ma deve tenere conto
dell’intero sistema di utilizzazioni a cui è già soggetta la zona in questione e degli obiettivi di qualità prefissati per quel corso d’acqua.
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196
Giacomo Renzo Scussel, Raffaele Rampazzo
Rischio idraulico nei corsi d’acqua montani: esperienze ed interventi
RISCHIO IDRAULICO NEI CORSI D’ACQUA MONTANI:
ESPERIENZE ED INTERVENTI
Alvise LUCHETTA
Genio Civile di Treviso
e-mail: [email protected]
RISCHIO IDRAULICO E IDROGEOLOGICO
Il rischio idraulico ed idrogeologico sono definiti scientificamente
dal prodotto di due fattori:
R=P*V
dove:
R è il rischio atteso
P è la pericolosità (caratteristiche dell’evento naturale)
V la vulnerabilità (valore dei beni che devo difendere)
Da questa semplice formula si evidenzia come, in linea con lo spirito del convegno, la pericolosità può essere accostata alla “Natura”
mentre la vulnerabilità all’ “Uomo”.
In ambiente montano risulta importante considerare nella realizzazione delle opere idrauliche, oltre ai dati pluviometrici, che risultano in
ogni caso importanti, i seguenti aspetti:
Caratteristiche morfologiche e geologiche del territorio-bacino,
Pendenza dell’alveo e velocità della corrente,
Presenza di abitati o infrastrutture,
Qualità dell’ambiente naturale.
Questi sono i parametri che in sintesi caratterizzano il corso d’acqua
e conseguentemente definiscono le caratteristiche delle opere di difesa
del territorio che devono essere realizzate.
Alle opere si chiederà pertanto di rispondere a requisiti che diano risposte adeguate alle problematiche che il territorio manifesta e richiede
in termini di riduzione del rischio idraulico e idrogeologico.
Di seguito vengono proposti alcuni esempi di tipologie diverse di
opere longitudinali e trasversali.
197
198
Alvise Luchetta
Figura 1 - Esempio di opera longitudinale.
Figura 2 - Esempio di opera trasversale.
Rischio idraulico nei corsi d’acqua montani: esperienze ed interventi
199
IL TRASPORTO SOLIDO
In ambiente montano risulta di particolare rilievo il fenomeno del
trasporto solido in quanto riduce e alle volte annulla la possibilità di
contenere gli eventi di piena.
Per contrastare detti fenomeni è possibile agire in due modi:
migliorare la stabilità dei versanti per ridurre gli effetti erosivi,
realizzare opere trasversali di contenimento e di selezione del trasporto di massa.
Vengono riproposti di seguito alcuni esempi di interventi su bacini
minori (T. Cordevole, Fig. 3 e 4; T. Ru de Roccia, Fig.5 e 6; T. Fiorentina, Fig. 7 e 8; T. Gavon, Fig. 9 e 10; T. Tegnas Fig.11, 12 e 13)
realizzati con lo scopo di ridurre i rischi derivanti da eventi di piena in
ambiente montano.
Dagli esempi proposti è di tutta evidenza come la necessità di contrastare gli effetti delle piene in ambiente montano porti alla realizzazione
di opere che presentano obiettive difficoltà di inserimento ambientale;
ove possibile e compatibilmente con la funzione primaria di difesa del
territorio è aumentata nel tempo la percezione della necessità di porre
in essere azioni di mitigazione dell’ impatto ambientale.
CONCLUSIONI
Le conclusioni che si possono trarre dalle esperienze maturate indicano una buona capacità della natura stessa a recuperare una naturalità
degli ambienti compromessi da opere, da un lato, ma anche la necessità
di pensare, già in fase di progettazione ed ancor più durante la realizzazione, di utilizzare materiali e tipologie che qualifichino l’opera
nell’ambiente.
200
Alvise Luchetta
Figura 3 - Bacino del T. Cordevole. Difesa di sponda in scogliera.
Figura 4 - Bacino del T. Cordevole. Tratto arginato in prossimità del ponte di Pezzé.
Rischio idraulico nei corsi d’acqua montani: esperienze ed interventi
Figura 5 - Sottobacino del T. Ru de Roccia. Briglia selettiva vista da valle.
Figura 6 - Sottobacino del T. Ru de Roccia. Briglia selettiva vista da monte.
201
202
Alvise Luchetta
Figura 7 - Bacino del T. Fiorentina. Briglia con pettine per la trattenuta di materiali in sospensione.
Figura 8 - Bacino del T. Fiorentina. Briglia e controbriglia.
Rischio idraulico nei corsi d’acqua montani: esperienze ed interventi
Figura 9 - Bacino del T. Gavon. Briglia di trattenuta con contro briglia.
Figura 10 - Bacino del T. Gavon. Briglia selettiva.
203
204
Alvise Luchetta
Figura 11 a) e b) - T. Tegnas. lavori in somma urgenza per ridare officiosità al corso d’acqua (anni
2005-2006).
Rischio idraulico nei corsi d’acqua montani: esperienze ed interventi
Figura 12 - T. Tegnas. A lavori eseguiti.
Figura 13 - T. Tegnas. Autunno 2010.
205
La conoscenza del territorio: banche dati e sistemi informativi territoriali
LA CONOSCENZA DEL TERRITORIO: BANCHE DATI E
SISTEMI INFORMATIVI TERRITORIALI
IL CENTRO SERVIZI TERRITORIALE DI BELLUNO
Giovanni PICCOLI
Consorzio dei Comuni BIM Piave di Belluno
e-mail: [email protected]
INTRODUZIONE
Il Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano del Piave appartenenti alla Provincia di Belluno (Consorzio BIM Piave di Belluno)
è un Ente di secondo grado che raggruppa 67 dei 69 Comuni della Provincia di Belluno. E’ stato costituito il 30 dicembre 1955, sulla base della
Legge 959/1953, che attribuisce ai Consorzi BIM lo scopo di perseguire
lo sviluppo equilibrato dei Comuni consorziati nel contesto del progresso
economico e sociale delle popolazioni ivi insediate attraverso l’impiego
dei sovracanoni idroelettrici, pagati dai concessionari di derivazioni idroelettriche sulla base della potenza nominale degli impianti.
In tale ambito, negli anni, il Consorzio BIM Piave di Belluno ha sostenuto lo sviluppo socio economico dei vari territori dei Comuni consorziati in vari settori, contribuendo in particolare:
alla realizzazione di opere pubbliche quali scuole, ospedali ed altre
infrastrutture;
alla realizzazione della rete provinciale del gas metano e di reti minori per il gpl;
allo sviluppo di tecniche ed impianti nelle energie rinnovabili;
alla promozione della diffusione della connettività a banda larga;
alla realizzazione del Centro Servizi Territoriale (C.S.T.), riconosciuto dalla Regione Veneto con verbale della Consulta delle Autonomie
Locali del 23.11.2005 e dal CNIPA/DigitPA a livello nazionale, che
offre servizi informatici, informativi e di innovazione tecnologica a
tutti i Comuni della Provincia;
al sostegno di iniziative nel campo sociale e del volontariato;
al sostegno di iniziative nel campo culturale e sportivo e ricreativo.
Durante i primi cinquantacinque anni di vita il Consorzio ha immesso nel
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208
Giovanni Piccoli
tessuto economico bellunese contributi e risorse per un importo complessivo di poco meno di 400 milioni di euro a sostegno degli interventi di
cui si è detto.
Con gli anni e con il supporto offerto al territorio, il Consorzio BIM Piave
di Belluno ha sempre più assunto il ruolo di incubatore e volano di iniziative,
non da ultime quelle legate all’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili nel
contesto territoriale dei 67 Comuni. Su mandato delle singole Amministrazioni sta portando avanti progetti concreti per lo sviluppo di sistemi che garantiscono il risparmio energetico e la produzione di energia pulita allo scopo
di promuovere, da un lato il benessere economico e sociale delle popolazioni
residenti e, dall’altro, perseguire un modello di sviluppo ecologicamente sostenibile, basato sull’utilizzo di fonti energetiche a ridotto impatto ambientale
e nulle o trascurabili emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra.
Nel settore dei servizi, il Consorzio BIM Piave di Belluno ha realizzato il Centro Servizi Territoriali per i Comuni della Provincia di Belluno
(CTS), basato su un’innovativa e potente infrastruttura informatica che
offre ai singoli Comuni, alle Comunità Montane e ad altri Enti, servizi di
data center (housing-hosting) (Fig.1), informativo (Sistema Informativo
Territoriale Intercomunale (Fig. 5, 6, 7 e 8), di rete (Sistema Pubblico di
Connettività SPC), di innovazione tecnologica (gestione informatizzata
delle mense scolastiche e dei cimiteri), di posta elettronica e altri.
Figura 1 - Home Page del Sistema Informativo Territoriale Intercomunale.
La conoscenza del territorio: banche dati e sistemi informativi territoriali
209
L’accesso ai vari servizi è consentito attraverso un collegamento internet veloce e sicuro per tutti i soggetti istituzionali locali, ai professionisti
(Ordini e Collegi Professionali) ed alle piccole e medie imprese. I servizi offerti, come previsto dalla legge, garantiscono ai singoli Comuni di
mantenere alti i requisiti si sicurezza informatica di affidabilità e di scalabilità dei dati gestiti, anche con riguardo a quelli sensibili, oltre ad avere
costi il più possibili contenuti per le ovvie economie di scala rispetto ad
una gestione per singolo Ente. Fra i più importati servizi spicca il Sistema
Informativo Territoriale Intercomunale, portale WebGis che, attraverso internet, previa registrazione con account e password, consente l’accesso ai
dati dei 69 sistemi informativi territoriali dei Comuni della provincia di Belluno (Fig. 2). Ad oggi sono oltre 1.000 le password abilitate per accedere al
servizio, suddiviso fra Enti locali, professionisti ed imprese.
Dal portale si accede alla consultazione di numerose banche dati territoriali relative al territorio dei singoli Comuni o all’intero territorio
provinciale che consentono di avere sempre a disposizione una fotografia aggiornata degli stessi, utile a tecnici, amministratori professionisti
Figura 2 - Web-GIS Sistema Informativo Territoriale Intercomunale: esempio visualizzazione
Mappa.
210
Giovanni Piccoli
e cittadini per le attività di propria competenza.
I dati consultabili, continuamente aggiornati per competenza dai vari
soggetti responsabili degli stessi, sono:
le cartografia di base, quali ortofotocarta, carta tecnica regionale, cartografia catastale puntualmente scaricata ogni trimestre dal portale
dell’Agenzia del Territorio;
il grafo delle vie con tutti i numeri civici georeferiti, con associata relativa documentazione fotografica di ciascun immobile;
la pianificazione urbanistica con il piano regolatore su base C.T.R.
e catastale, con associate le norme tecniche e regolamenti edilizi. In
questo ambito è possibile eseguire in automatico il calcolo delle aree
edificabili oltre al certificato di destinazione urbanistica. Sono inoltre
consultabili tutte le matrici previste per il quadro conoscitivo previsto
per il P.A.T. - P.A.T.I. dalla Legge Regionale 11/2004;
le reti tecnologiche, quali acquedotto, fognatura, gas metano, gpl, illuminazione pubblica comunale, con idonei data-base collegati ai vari
elementi che le compongono;
Figura 3 - Web-GIS Sistema Informativo Territoriale Intercomunale: esempio visualizzazione tridimensionale.
La conoscenza del territorio: banche dati e sistemi informativi territoriali
211
la viabilità comunale, provinciale, regionale, statale e, per alcuni Comuni, anche quella silvopastorale;
le colture e le pendenze di tutto il territorio provinciale nel settore agricoltura;
tutti i dati censuari per la parte catastale.
Altro importante servizio messo a disposizione dal Centro Tecnico di
Servizi per il Territorio del Consorzio Bim Piave è un applicazione che
rende ora possibile una rappresentazione dell’intero territorio provinciale in
tre dimensioni, con la sovrapposizione delle cartografie al DTM regionale.
La visualizzazione tridimensionale (Fig. 3) del territorio è utilissima, ad
esempio, per la promozione turistica (con filmati puntuali sui territori da
promuovere) per valutazioni di impatto ambientale e per le attività di soccorso. In tale ottica è stato sottoscritto un accordo per mettere a disposizione
tale sistema al Soccorso Alpino. Un discorso analogo vale per gli escursionisti. Non è un caso, infatti, se alcuni dei primi accordi per l’applicazione
di questo programma sono stati sottoscritti con il Consorzio Dolomiti e con
gli uffici turistici di alcuni Comuni del Cadore che, con il contributo del
Consorzio Bim, hanno acquistato degli schermi sui quali proiettare le immagini tridimensionali di vie, sentieri, percorsi escursionistici, insomma del
territorio.
Sempre nel settore dell’innovazione tecnologica il Consorzio BIM Piave di Belluno, per migliorare ed ampliare la gamma dei servizi offerti agli
Enti Locali, piccole e medie imprese e cittadini, sta portando avanti anche
un progetto nell’ambito delle iniziative CNIPA “A.L.I. Alleanze Locali per
l’Innovazione” che prevede lo sviluppo dei seguenti ulteriori servizi:
1- Accesso ai Servizi Catastali
2- Territorio P.R.G.
3- Supporto per acquisti di servizi ICT, telefonia compresa
4- Illuminazione pubblica e risparmio energetico
5- Servizi Cimiteriali
6- Edilizia Scolastica e diritto allo studio
Il principale risultato atteso da queste nuove applicazioni è l’aumento
delle qualità dei servizi attualmente erogati a favore dei Comuni, l’efficienza, nonché il conseguimento di standard amministrativi, procedurali,
organizzativi e gestionali tali da assicurare ai piccoli Comuni un ottimale
impiego delle risorse professionali e finanziarie, con particolare riferimento
212
Giovanni Piccoli
al contenimento dei costi, oltre a migliorare l’efficacia dei medesimi nei
confronti del cittadino, dei professionisti e delle piccole e medie imprese.
Il Consorzio dei Comuni BIM Piave è entrato, poi, a far parte della partnership di un progetto relativo ai fondi europei Spazio Alpino, denominato
“AlpEnergy” e che mette insieme partners tedeschi, francesi, svizzeri, sloveni e, per la parte italiana, il Politecnico di Milano, la Provincia di Mantova e la Regione Valle d’Aosta.
Il progetto, in particolare, riguarda lo studio e l’implementazione di sistemi locali di Virtual Power Plants - VPP (centrali elettriche virtuali) e
Virtual Power Systems - VPS (sistemi virtuali di produzione di elettricità),
basati sui principi delle Smart Grids (reti intelligenti) e volti a favorire la
produzione diffusa di energia elettrica da fonti rinnovabili agendo contemporaneamente sul fronte del consumo. Si tratta di sistemi che connettono
tra loro gli impianti di produzione diffusa e li gestiscono a livello centrale
attraverso l’impiego di tecnologie informatiche, per combinare in modo intelligente tutte le fonti, la loro gestione e l’immagazzinamento, in rapporto
al consumo.
Lo scopo è quello di ottimizzare una produzione energetica non costante
quale quella da fonte rinnovabile, studiando sistemi che permettano di far
Figura 4 - Progetto AlpEnergy: Virtual Power Systems.
La conoscenza del territorio: banche dati e sistemi informativi territoriali
213
coincidere il più possibile i momenti di maggiore produzione con quelli di
maggior consumo, consentendo altresì l’eventuale stoccaggio dell’energia.
Tali progetti ed attività vogliono essere la migliore applicazione nella
realtà attuale di un’area montana quale quella bellunese nello spirito della
L. 959/53 e nello scopo fondamentale previsto dallo Statuto del Consorzio
BIM Piave di Belluno, ovvero il perseguimento dello sviluppo equilibrato
dei Comuni consorziati nel contesto del progresso economico e sociale delle popolazioni insediate sul loro territorio.
Figura 5 - Web-GIS Sistema Informativo Territoriale Intercomunale: esempio visualizzazione Carta Tecnica Regionale.
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Giovanni Piccoli
Figura 6 - Web-GIS Sistema Informativo Territoriale Intercomunale: esempio visualizzazione Ortofotocarta e Grafo delle vie.
La conoscenza del territorio: banche dati e sistemi informativi territoriali
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Figura 7 - Web-GIS Sistema Informativo Territoriale Intercomunale: esempio visualizzazione Cartografia Catastale.
216
Giovanni Piccoli
Figura 8 - Web-GIS Sistema Informativo Territoriale Intercomunale: esempio visualizzazione Piano Regolatore Generale.
La conoscenza del territorio: banche dati e sistemi informativi territoriali
217
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
OPENALP: WEBGIS A INDIRIZZO GEO-TURISTICO
PER LA VALORIZZAZIONE
DEL PATRIMONIO NATURALE E CULTURALE
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta* e Bruno Testa
Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali - CNR, Milano
* Comunità Montana Agordina
e-mail: [email protected]
INTRODUZIONE
Il Paesaggio delle Dolomiti Bellunesi, letto come risultato dell’interazione tra processi antropici e naturali, costituisce un ricchissimo patrimonio da salvaguardare, valorizzare, e divulgare.
Il requisito chiave alla base di ogni progetto di valorizzazione culturale e ambientale è la conoscenza del territorio nei suoi molteplici aspetti.
L’analisi del patrimonio bibliografico nell’Agordino ha messo in luce
come una quantità enorme di informazioni relative alla storia, alla cultura, alle tradizioni, ai siti d’importante valenza naturale e scenografica,
ecc., sia già stata raccolta negli anni passati per venire pubblicata in varie
forme (pubblicazioni scientifiche, libri divulgativi, cartografie, opuscoli
turistici, ecc.): si tratta di materiale, spesso su supporto cartaceo e talvolta
contenuto in pubblicazioni ormai datate (non più in ristampa), collezionato con differenti obiettivi, con logiche tematiche diverse e rappresentato
utilizzando scale di dettaglio differenti.
Obiettivo del nostro progetto è rendere fruibile tutto questo immenso
bagaglio di informazioni, arricchendolo ulteriormente, per consentire la
lettura del Paesaggio, attraverso l’osservazione congiunta dei mille aspetti
che ne rappresentano la composita realtà territoriale, spesso così attraente
proprio perchè frutto della combinazione dei molteplici fattori che, nei
secoli, l’hanno modellata.
Una banca dati consente di riorganizzare e catalogare materiale bibliografico, per tradurlo in un insieme di informazioni ben aggregate, facilmente fruibili con le tecnologie attuali e future. L’integrazione delle informazioni in una banca dati, spesso, costituisce l’operazione più onerosa
in termine di tempi e costi, ma presenta molti vantaggi. Infatti i dati sono
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Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
mantenuti in una forma ordinata per cui diventa più agevole il loro recupero e aggiornamento; inoltre la modalità di utilizzo delle informazioni
può essere agilmente controllata a seconda dell’indirizzo tematico che si
vuole promuovere e differenziata a seconda dell’utente, se necessario.
In una banca dati “spaziale” i vari temi relativi alle peculiarità paesaggistiche sono ubicati nello spazio (ovvero georiferiti) e ben integrati tra loro.
Le banche dati spaziali vengono gestite con tecnologie informatiche
(GIS, WebGIS) che consentono un’analisi e una rappresentazione multiscala e multitematica di informazioni, caratterizzate da un’ubicazione
spaziale. Con il termine GIS (Geographical Information System) ci si
riferisce a un insieme di mappe tematiche che permette di interrogare
una banca dati, eseguire analisi e visualizzare o modificare informazioni
collocate nello spazio; i GIS costituiscono uno strumento per individuare,
e, in alcuni casi, scoprire, le relazioni spaziali esistenti tra gli elementi di
valore culturale, storico e naturalistico presenti sul territorio. La tecnologia WebGIS, inoltre permette di visualizzare e interrogare on-line le
informazioni georiferite e le mappe ad esse associate, senza ausilio di
software aggiuntivi, rivelandosi un prezioso strumento per la pianificazione territoriale, la fruizione e la divulgazione del patrimonio culturale e naturale. Consente la creazione di luoghi d’ ”identità collettiva”, e
diviene un punto di partenza per lo sviluppo di un turismo sostenibile,
risorsa importante nella realtà montana, le cui aree spesso sono soggette
all’abbandono per mancanza di prospettive.
OBIETTIVI
L’obiettivo principale del progetto, è quello di raccogliere e riorganizzare tutti dati territoriali significativi ai fini della valorizzazione
del patrimonio culturale e delle potenzialità paesaggistiche dell’area in
oggetto, integrarli tra di loro e renderli consultabili tramite Web.
Ciascun elemento di valenza culturale e/o naturale, viene archiviato
in una banca dati georiferita e rappresentato in livelli informativi contenenti informazioni con significato tematico affine (layer), corredati
da materiale descrittivo e illustrativo, che può essere di varia natura e
tipologia (es. filmati, foto, schede, link, ecc.).
La banca dati di partenza è costituita dal sistema informativo territoriale prodotto nell’ambito del progetto Interreg IIIA Italia-Austria
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
221
(2006-2008) Osservatorio PErmanente Naturalistico ALPino(OpenALP®),
realizzato dalla Comunità Montana Agordina, in collaborazione con il
CNR- Istituto per la Dinamica dei Processi Ambientali sez. Milano, l’Istituto Tecnico Minerario U. Follador e, come partner austriaco, TIRIS®.
Nell’ambito del presente progetto, la banca dati esistente riorganizzata secondo un modello mirato alla valorizzazione del patrimonio naturale
e culturale, relativo al territorio dolomitico bellunese, viene arricchita
con tutto il materiale presente presso enti pubblici e privati, non ancora
in formato omogeneo e fruibile.
Oltre al Sistema Informativo Territoriale, su cui risiede l’intera banca
dati, verrà progettata e realizzata un’interfaccia geografica relazionale
che consentirà una visione parziale del sistema informativo, in un formato ottimale per l’analisi e la rappresentazione delle informazioni e per
la fruizione degli aspetti naturalistici e culturali del territorio montano.
In un ambito più generale, si tratta di un sistema costruito allo scopo
di aiutare l’utente a visualizzare tra i molteplici dati, presenti nei sistemi
informativi degli enti territoriali, solo le informazioni effettivamente
utili a supportare il processo di scelta.
Quando si fornisce informazione, un punto chiave è capire “quali”
informazioni siano necessarie e soprattutto “quando”. Avere a disposizione un sistema appositamente strutturato per la visualizzazione e
l’interrogazione dei dati permette di ridurre la ridondanza, cioè la duplicazione di informazioni necessarie a prendere le decisioni, e quindi a
operare delle scelte. In questo senso, il contenuto informativo prospettato dall’interfaccia OpenALP® potrà variare nel tempo e nei luoghi, riducendo al minimo la dispersione dell’informazione, consentendo una
visualizzazione rapida degli elementi di interesse e orientando la scelta
verso le proposte più interessanti.
Un altro aspetto molto importante è che l’interfaccia OpenALP® non viene
disegnata sulla base del sistema che l’alimenta, ma sulla base dei processi delle informazioni e delle proposte che si vogliono realizzare. Questo significa
che, in presenza di cambi del sistema informativo, OpenALP® può mantenere invariata la propria struttura, fungendo quindi da collante tra i due ambienti e mantenendo l’integrità delle informazioni pre e post migrazione
verso il nuovo sistema. Questo garantisce di avere a disposizione un
ambiente quanto più stabile possibile, condizione indispensabile quando le informazioni fungono da base per un processo decisionale.
222
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
Sebbene le potenzialità di rappresentazione multiscalare e multitematica rendano i WebGIS strumenti indispensabili per la valorizzazione
e la divulgazione del patrimonio naturale e culturale montano, rimane
pur sempre essenziale la stampa di una cartografia tematica accessoria, opportunamente tarata per target diversi di volta in volta e destinata a raggiungere canali di divulgazione preclusi alla realtà virtuale.
OpenALP® diviene quindi uno strumento di immediato utilizzo per la
realizzazione di cartografia specifica finalizzata all’osservazione del
territorio Agordino da più punti di vista.
OPENALP®
OpenALP® è nato dall’esigenza di istituire una struttura di riferimento per rendere fruibili, a più livelli di dettaglio, le fonti di informazione
scientifica, turistica, naturalistica, divulgativa, culturale, nell’ambito
dell’area della Comunità Montana Agordina, intesa come “unità culturale” in territorio alpino. OpenALP® è fondamentalmente uno strumento di lavoro per i tecnici che necessitano di dati quantitativi, riportati
sulla cartografia ufficiale regionale, ma anche una risorsa per tutti coloro che cercano informazioni ambientali, geo-culturali e geo-turistiche.
La banca dati multidisciplinare OpenALP® contiene informazioni
pubblicate da Enti Territoriali (Regione Veneto, Provincia di Belluno,
A.R.P.A.V., Comunità Montana Agordina, Sovrintendenza, Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi), Istituti Pubblici e privati di ricerca e studio
del Territorio (C.A.I., Istituto Minerario, Università, CNR, ecc).
I dati comprendono la cartografia tecnica di base (topografia, ortofoto, geologia, uso del suolo, vegetazione, ecc.), la cartografia tematica e
specialistica (Parchi, Oasi, sentieri, SIC, ZPS, ecc.), la documentazione
bibliografica (pubblicazioni scientifiche e divulgative, ecc.) e i dati analitici degli indicatori ambientali.
La struttura globale del sistema informativo OpenALP®, segue le
linee tracciate dal “Repertorio interdisciplinare dei soggetti ambientali e territoriali” (RALLO F., 1997), pubblicato dalla Direzione Centrale
Attività Scientifiche del CNR, opportunamente aggiornato e riorganizzato. Ciascun documento, reperito e reso in forma digitale (fattuale,
cartografico o documentario), è stato corredato da metadati e attribuito
a uno o più soggetti delle stessa disciplina o anche di discipline diverse.
Ciascun dato di tipo documentario, è stato attribuito a un soggetto e
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
223
Figura 1 - Schema generale del Progetto OpenALP® (Testa B. & Aldighieri B. , 2006).
Figura 2 - Schema concettuale del Sistema Informativo Territoriale OpenALP® (ALDIGHIERI et
al., 2007).
224
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
agganciato ad un elemento geografico. Per la consultazione del sistema informativo è stata adottata la tecnologia WebGIS, consentendo agli
utenti di visualizzare i livelli disciplinari, organizzati in modo relazionale non gerarchico, in sei porte d’accesso (viste): aria, acque, terra,
animali, piante, uomo.
LA REALIZZAZIONE
Il modello concettuale, elaborato nell’ambito del progetto Interreg,
è stato ridefinito al fine di rendere più efficiente il sistema di consultazione da parte dell’utenza turistica, che richiede la conoscenza delle
risorse storico-culturali e naturali in ambito montano.
Da un analisi congiunta sia delle mappe tematiche di interesse,
contenute nel Sistema Informativo Territoriale creato nell’ambito del
progetto Interreg, che del patrimonio informativo presente e non ancora integrato nella banca dati, sono state definite 5 classi di oggetti in
cui, mediante processi di definizione, generalizzazione, composizione,
correlazione con vincoli sia strutturali che topologici (DAMIANI et al.,
2003), rientrano tutti gli elementi del mondo reale, connessi alla valorizzazione delle peculiarità culturali e territoriali in ambiente alpino.
Per la massima fruibilità da parte della tipologia di utenza prescelta,
le classi sono etichettate utilizzando termini chiave in ambito turistico:
cultura, natura, itinerari, territorio e ricettività. E in particolare:
“cultura”: elementi territoriali relativi alla cultura ladina, alla tradizione mineraria, alle testimonianze della Grande Guerra, ecc.
“natura”: elementi d’importante valenza naturale riconosciuti sia
in ambito locale che a livello internazionale (siti UNESCO, SIC,
ecc.)
“itinerari”: percorsi lungo siti di interesse storico, naturale, enogastronomico, escursionistico, ecc.
“ricettività”: strutture di accoglienza per il turista, strutture sportive, ecc.
“territorio”: base topografica e cartografica, livelli tematici di
base per fornire una rappresentazione completa della realtà territoriale.
Ciascun oggetto del mondo reale, opportunamente reso omogeneo
in tipologia di contenuti, formato e sistema di riferimento geografico,
viene attribuito a una delle cinque classi di oggetti definite e organizza-
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
225
to secondo una banca dati relazionale. Ogni elemento del mondo reale,
trasformato in elemento della banca dati viene inoltre corredato da un
insieme di attributi, la cui tipologia (formato e contenuto) è stata definita a priori nella modellazione delle classi.
Si introducono in questa fase anche una serie di “attributi funzionali”, non visibili all’utente, per riorganizzare gli oggetti presenti sulle mappe, secondo le variabili che esprimono e consentendo di creare
delle mappe tematiche. Ad esempio, l’introduzione di una variabile
“stagione”, consente all’utente di visualizzare mappe con un differente
contenuto, a seconda delle stagioni selezionate: selezionando “inverno”
l’utente potrà visualizzare i musei aperti in quel periodo, le località a
valenza storico culturale raggiungibili nonostante la presenza di neve,
i percorsi sci-alpinistici, ecc., mentre, selezionando “estate”, il turista
alla ricerca di mete per passeggiate troverà percorsi lungo i sentieri,
escursioni in media alta montagna.
Si è proceduto alla migrazione della banca dati territoriale OpenALP®
su piattaforma BIM, rimodellandola sul nuovo modello concettuale,
trasformando quindi l’organizzazione dei livelli tematici, attribuendo a
ciascun oggetto una delle 5 classi definite e descrivendolo secondo gli
attributi formalizzati; in questo modo l’utente può visualizzare e analizzare i livelli tematici secondo la nuova architettura.
Parallelamente, si procede a integrare nella banca dati, informazioni
originali relative alle emergenze naturali e culturali relative al territorio
della Comunità Montana Agordina, reperite presso gli Enti Territoriali
(comuni, comunità montana, scuole, istituti culturali, ecc.), molto spesso depositari di informazioni rilevanti ma non ancora fruibili. L’individuazione di fonti di dati non ancora utilizzate, l’analisi del materiale
disponibile e la selezione delle informazioni di interesse, sono operazioni di fondamentale importanza che richiedono una conoscenza approfondita del patrimonio culturale e naturale territoriale ma anche una
“memoria storica” di tutto ciò che è già stato pubblicato.
La definizione, per astrazione, delle differenti tipologie di elementi
di interesse, caratterizzate da una classe, una serie di attributi descrittivi, documenti allegati contenenti materiale illustrativo (testi, fotografie,
collegamenti web, ecc.), permette la redazione di “schede tecniche” per
la raccolta omogenea di materiale. La predisposizione di queste schede
risulta essere molto utile nella fase di ricerca e raccolta dati in quan-
226
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
to consente di valutare subito se l’elemento, che si vuole catalogare,
possiede i requisiti minimi necessari, ovvero, gli attributi che devono
essere necessariamente inseriti perché l’informazione sia significativa.
Inoltre rende possibile l’utilizzo di diversi operatori per il censimento in
quanto assicura una organizzazione delle informazioni codificata, rendendo agile la successiva fase di inserimento nella banca dati.
LA BANCA DATI A INDIRIZZO NATURALE E STORICO-CULTURALE
Base topografica
La base topografica è costituita da:
sezioni in scala 1:10 000 della Carta Tecnica Regionale: base topografica di riferimento per l’ubicazione degli elementi spaziali;
Ortofoto scala 1:10 000 della Compagnia Generale delle Ripreseaeree (2006): oltre a consentire output grafici di sicuro effetto scenico, costituisce un importante layer per la valutazione
dell’evoluzione del territorio sotto gli aspetti morfologici, vegetazionali e antropici.
Riferimento altimetrico per la visualizzazione 3D: DEM Regione Veneto.
Cartografia di corredo
Carte Turistiche Tabacco e documentazione cartografica varia,
raccolta presso gli enti turistici (bivacchi, rifugi alpini e sentieri
con la codifica assegnata loro dal CAI consentendone un’identificazione univoca).
Repository ad indirizzo naturale e storico-culturale
Il nucleo della banca-dati è costituito essenzialmente da un “giacimento” di elementi geometrici, per lo più lineari e puntuali, associati a
materiale illustrativo
Con elementi puntuali sono rappresentati tutti gli oggetti relativi alla
ubicazione di punti di interesse storico-culturale e naturalistico, nonché
le strutture ricettive (alberghi, rifugi, b&b, malghe, ecc.).
Gli itinerari, la rete viaria e sentieristica sono invece rappresentati
mediante elementi lineari identificati da un codice univoco; ciò consen-
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
227
te all’utente di scegliere la tipologia di percorso (interesse storico-culturale e/o naturalistico, ecc.) e interrogare, per ciascun tratto di interesse,
il materiale illustrativo allegato.
La bibliografia scientifica e divulgativa (pubblicazioni non più in
distribuzione, volumi rari, cartografia storica, ecc.) è rappresentata con
elementi puntuali o lineari a seconda del contenuto tematico.
Elementi areali sono utilizzati per livelli tematici relativi a vaste
aree omogenee delle quali è importante definire il limite, corredate da
un ricco repertorio documentale, come nei casi dei parchi, aree UNESCO, aree SIC e ZPS, ecc.
Il livelli tematici che coprono l’intero territorio con informazioni
quantitative o categoriali, sono mappati in formato raster e rappresentati secondo l’attributo prescelto in fase di progettazione; in questo caso
l’utente può visualizzare solo le differenti tipologie di mappe ma non
interrogare i singoli elementi cartografici.
Figura 3 - Layer “musei; selezionando il punto in corrispondenza del museo di interesse, si visualizza la scheda ad esso relativa contenente le informzioni fondamentali per accedere al museo
(orari, coordinate GPS, ecc.), corredata da immagini, link a siti web, descrizione delle collezioni
presenti.
228
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
Il contenuto informativo
Si riporta un catalogo indicativo e sicuramente incompleto del contenuto informativo della banca dati, elenco che verrà integrato in corso d’opera.
Ciascun livello tematico è corredato da materiale descrittivo (foto,
schede, riferimenti bibliografici, mp3, filmati, ecc.), coordinate utilizzabili con gps, link a siti web, ecc.
Classe “Cultura”:
musei, chiese, edifici di interesse storico ecc.
insediamenti rurali,
siti della grande guerra,
siti archeologici,
siti minerari dimessi,
malghe inteso come elemento culturale,
elementi legati alla cultura ladina: leggende, tradizioni, tabià, affreschi, ecc.
cartografie storiche: toponimi, antichi opifici, ecc.
Figura 4 - Layer “itinerari”: sono rappresentati con simboli differenti a seconda della tipologia.
Selezionando un itinerario, l’utente può visualizzare tutto il materiale cartografico e bibliografico
ad esso correlato. Nell’esempio gli Itinerari della Grande Guerra.
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
229
Classe “Natura”:
geositi, biotopi, geotopi, geomorfositi, ecc..
punti panoramici, siti osservazione enrosadira, luoghi di meditazione, ecc.
siti interesse faunistico e floristico, mineralogico e fossilifero
siti attrazione turistica: cascate, laghi, ecc.
parchi, orti botanici, alberi monumentali
Siti di Interesse Comunitario (SIC), ZPS, siti UNESCO, ecc.
Classe “Ricettività”:
malghe inteso come siti di produzione e degustazione
agriturismi, b&b, alberghi, ecc.
rifugi, bivacchi, ecc.
impianti sportivi, cinema, ecc.
palestre di arrampicata, piste ciclabili, ecc.
Figura 5 - Layer “leggende”: ogni leggenda viene associata a un punto o a un itinerario; l’utente,
selezionando l’elemento, può visualizzare la leggenda.
230
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
Classe “Itinerari”:
percorsi storico-culturali; percorsi naturalistici da percorrere
lungo le strade, sentieri in auto, a piedi, con sci, ciaspe, piste
ciclabili; percorsi enogastronomici; itinerari religiosi, ecc.
I metadati
Di fondamentale importanza è la fase di catalogazione delle sorgenti
di informazioni di interesse territoriale, siano esse prodotte a partire da
dati originali o reperite presso i vari Enti Territoriali. La scheda tecnica,
redatta per la raccolta delle informazioni, contiene anche dei campi destinati alla descrizione dei metadati, la cui assenza spesso compromette
l’attendibilità del dato e il suo corretto utilizzo.
Pertanto, parallelamente all’acquisizione delle informazioni, si procede alla compilazione dei metadati secondo gli standard in uso per
documentare, di ciascun dato, la provenienza, la scala, la data, l’autore, chi e come ha curato l’inserimento nella banca dati, ecc., fornendo
informazioni sulla qualità del dato, sull’attendibilità e l’utilizzo e assicurando la possibilità di condividere la banca dati con altre presenti di
analogo contenuto informativo.
FORNITORI MATERIALE
Gli Enti e le Istituzioni presenti sul territorio costituiscono una fonte
primaria di informazioni; in particolare:
Comunità Montane: presso gli uffici tecnici sono depositati i report
relativi a progetti Interreg, il materiale cartografico e documentario
prodotto nell’ambito delle attività della Comunità (progetti prototipali, piano di gestione malghe, piste ciclabili, progetti di valorizzazione di edifici storici e di percorsi sentieristici, report di Progetti
Interreg, ecc.)
Istituto Tecnico Industriale Minerario “U. Follador”: nell’istituto,
noto per la sua secolare esperienza mineraria, sono custodite importanti collezioni di minerali e fossili, una biblioteca ricca di materiale cartografico e documenti storici; costituisce quindi una fonte
inesauribile per quanto riguarda l’aspetto geologico-ambientale e la
tradizione mineraria presente sul territorio.
Scuole: nell’ambito delle attività scolastiche spesso vengono con-
OpenALP: WebGIS a indirizzo geo-turistico
231
dotte ricerche perché i ragazzi comprendano appieno il valore del
patrimonio culturale e naturale della propria terra e vengono prodotte, in collaborazione con esperti, interessanti pubblicazioni.
Istituti culturali: l’Istituto Ladin, l’Istituto Ladino, ecc.
Aziende turistiche: presso gli uffici è disponibile tutta la documentazione relativa alle strutture ricettive, impianti sportivi, iniziative
culturali, feste tradizionali, sagre, ecc.
I FRUITORI
Nella configurazione del portale sono stati presi in considerazione differenti scenari di utenza per garantire l’accesso a tutti.
Il portale e il WebGIS devono consentire una navigazione semplice e
immediata a differenti tipologie di utenti:
ragazzi, classi scuole primarie e secondarie; i ragazzi che intendono
utilizzare il portale per approfondire le proprie conoscenze, per la
redazione di ricerche e tesine, inventare degli itinerari
turista con interessi storico-culturali e/o naturalistici
turista e “cultore della materia” alla ricerca di materiale bibliografico ad alto contenuto scientifico
pellegrini, sempre più attratti dalla fitta rete di “percorsi mistici”
che si stanno realizzando su tutto il territorio nazionale ed europeo.
SVILUPPI FUTURI
L’obiettivo principale del progetto consiste nella realizzazione di
una banca dati completa di tutte le peculiarità storico-culturali e naturalistiche presenti, già censite in pubblicazioni preesistenti o raccolte da
rilevamenti originali, e nella creazione di un’interfaccia Web ad indirizzo turistico, per la fruizione delle informazioni semplice e immediata.
La banca dati è stata creata tenendo conto che il sistema informativo potrà essere utilizzato anche con tecnologie innovative: a breve si
potrà prevedere l’utilizzo di codici QR distribuiti sul territorio, per la
fruizione dei contenuti delle mappe e del materiale illustrativo in corrispondenza dei siti di interesse. Entro un paio di anni la tecnologia della
“realtà aumentata” darà modo all’utente di consultare la banca dati di
OpenALP®, congiuntamente a tutte le altre informazioni relative al luogo di interesse, presenti on-line.
232
Barbara Aldighieri, Luca Luchetta e Bruno Testa
BIBLIOGRAFIA
ALDIGHIERI B., TESTA B., CHIESA S. (2008). OPENALP Osservatorio PErmanente Naturalistico ALPino: modello di valorizzazione del territorio montano. Rendiconti
online Soc. Geol. It.; 2; 1-3.
ALDIGHIERI B., CHIESA S., TESTA B. (2007). Il progetto OPENALP: realizzazione, architettura, qualità ed attualizzazione dei dati. “II Workshop OpenALP:Osservatorio
Permanente Naturalistico Alpino”, 2 ottobre, Agordo.
AA.VV . La Valchiavenna: un bacino pilota per il controllo dell’ambiente alpino.
Aldighieri B. & Sfondrini G. (Eds.). Quaderni di Geodinamica Alpina e Quaternaria,
Vol. 10. Milano. (in progress).
DAMIANI M., SFONDRINI G., ALDIGHIERI B., TESTA B., SANGION D., ALVAREZ W. (2003).
La realizzazione di un datawarehouse: lo studio di un caso. III Conferenza Nazionale su informatica e pianificazione urbana e territoriale:costruzione della conoscenza,
Pisa.
RALLO F. (1997). Atlante di posizione e banca dati della cartografia tematica nel Mezzogiorno. CNR – SITMI, Roma.
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
IL RISCHIO GEOLOGICO INDOTTO DAL CARSISMO
NELLE ROCCE GESSIFERE DELLE VALLI DOLOMITICHE
BELLUNESI
Vittorio FENTI
Studio Associato di Geologia Fenti e Chiesurin, Agordo (BL)
e-mail: [email protected]
PREMESSA
Ampi settori dell’Agordino e l’intera Regione Dolomitica sono caratterizzati dalla presenza di un substrato di rocce solfatiche che inducono frequenti problemi ad abitati ed infrastrutture.
Nonostante il fenomeno sia abbastanza diffuso, non sembra trovare
sempre adeguato riscontro nei tecnici preposti pianificazione territoriale ed alla progettazione stessa delle opere edilizie.
La presente nota intende apportare un contributo, anche se modesto,
alla conoscenza di questo singolare fenomeno geologico, allo scopo di
sensibilizzare gli addetti ai lavori sui rischi ad esso connesso.
GENERALITÀ
Cenni sull’origine delle rocce solfatiche
Le rocce solfatiche sono costituite in netta prevalenza da gessi ed
anidriti, di origine evaporitica, lagunare-costiera o di bacini endoreici.
Tali minerali costituiscono frequenti sequenze di rocce, associate tra
loro o a dolomie nerastre, dolomie cariate, argille, marne, calcari marnosi, ecc.
Molto spesso le rocce associate ai litotipi solfatici sono rappresentate da argilliti scure, calcari o dolomie nerastre per la presenza di solfuri
e sostanze carboniose che caratterizzano gli ambienti riducenti della
sedimentazione originaria (Fig. 1, 2 e 3).
Un’esauriente trattazione su origine, composizione e struttura delle
rocce evaporitiche è riportata nei testi di “Sedimentologia” di F. RICCI
LUCCHI (1978) e “Rocce e successioni sedimentarie” di A. BOSELLINI et
al. (1989).
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234
Vittorio Fenti
Figura 1 - Complesso evaporitico permiano alla base del Col de Limazei (Valle del Biois).
Figura 2 - Aspetto caratteristico di una sequenza evaporitica (Col de Limazei – Valle del Biois).
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235
Caratteristiche essenziali di gesso e anidrite
GESSO: CaSO4 x 2H2O – Reticolo: prismatico-monoclino.
Peso specifico: 2,35 g/cm3
Peso di volume della roccia: ~ 2,25 t/m3
Durezza secondo Mohs: 2
Colore: biancastro, o grigiastro per impurezze varie.
Resistenza a compressione semplice: 100-200 Kg/cm2 (Fig. 4)
ANIDRITE: CaSO4 – Reticolo: bipiramidale-rombico
Peso specifico: ~ 2,93 g/cm3
Peso di volume della roccia: 2,85-2,90 t/m3
Figura 3 - Calcari bituminosi
nerastri che chiudono al tetto
la sequenza evaporitica permiana (T. Rova, Agordo).
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Vittorio Fenti
Figura 4 - Aspetto tipico del gesso saccaroide puro (Agordino).
Figura 5 - Aspetto massiccio dell’anidrite pura (Cadore).
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Durezza secondo Mohs: 3
Colore: biancastro, talora roseo-viola pallido negli ammassi ben
cristallizzati.
Resistenza a compressione semplice: 800-1000 Kg/cm2 (Fig. 5).
LE ROCCE SOLFATICHE NELL’AGORDINO E NELLA REGIONE DOLOMITICA
Come è noto, i gessi sono rocce caratteristiche della Formazione a
Bellerophon (Permiano Superiore) che affiora diffusamente nell’Agordino, ove sono accompagnati da calcari bituminosi, calcari marnosi,
marne, dolomie cariate, brecce dolomitico-gessifere, ecc.
Le aree di affioramento più note si trovano nella Valle del Biois, ove
costituiscono un orizzonte continuo, dal Passo Valles – Passo di S. Pellegrino, a Falcade, Caviola, Vallada.
Vistosi affioramenti si trovano al Passo Valles, nel T. Valles presso
Molino, lungo il Rif di Valbona, in località I Marmoi, Sasso della Palazza, lungo il Rif. Marmoladella e il T. Gavon, in loc. Le Marmolade,
a Pian di Feder, Le Foche, Val Bodin, Val delle Roe, ecc.
Nel basso Agordino le rocce gessifere permiane affiorano nei dintorni di Frassenè, Voltago ed Agordo.
Nell’alto Agordino affiorano limitatamente nei dintorni di Avoscan,
La Sala (S. Tomaso Agordino).
Nel Cadore le rocce gessifere permiane costituiscono parte del substrato di Pieve, Calalzo, Domegge, Lozzo, Vigo e Lorenzago, lungo la
Val del Piave.
Abbondanti presso l’abitato di Vallesella.
Ampi affioramenti si trovano in Val Diebba, al Passo di S. Antonio,
in Valgrande a nord di Padola (Comelico).
Le rocce solfatiche abbondano anche nella più recente Formazione
di Raibl (Carnico superiore), ove sono associate ad argille, arenarie,
conglomerati e calcari marnosi.
Nell’Agordino le facies solfatiche associate a questa seconda formazione compaiono solo sporadicamente al Passo Duran.
Altrove abbondano, come lungo la valle del T. Rite, a Perarolo di
Cadore, alla testata del Rudavoi, al Passo della Mauria, ecc.
238
Vittorio Fenti
Tettonica delle evaporiti gessifere
Come è noto, le evaporiti gessifere, di regola alternate a calcari marnosi, marne, dolomie cariate ed argilliti, costituiscono sequenze fittamente stratificate ed intensamente ripiegate, caratteristiche dei complessi rocciosi plastici o incompetenti, spesso sede di orizzonti tettonici
per scorrimento compressivo o transpressivo (Fig. 6).
EVIDENZE MORFOLOGICHE DELLE ROCCE SOLFATICHE
Gli affioramenti di rocce solfatiche sono rappresentati quasi esclusivamente da facies gessifere (solfato di calcio biidrato).
Ove i gessi affiorano in massa, originano paesaggi calanchiformi,
modellati a vallecole e ripide creste in rapida evoluzione morfologica,
perché facilmente degradabili, solubili e franosi.
Gli aspetti caratteristici di questa morfologia ruiniforme sono ben visibili in Val Diebba, a Lozzo di Cadore, a Perarolo, al Passo Valles, nei
pressi di Molino di Falcade, nel bacino delle Marmolade, in località I
Marmoi (il termine dialettale “marmo” stà ad indicare la roccia gessosa
A
B
Figura 6 - A) Evaporiti gessifere permiane ripiegate (Agordino); B) Evaporiti gessifere raibliane
ripiegate (Cadore).
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
Figura 7 - Scarpata ruiniforme modellata nei gessi permiani del T. Gavon (Valle del Biois).
Figura 8 - Degradazione a calanchi nei gessi permiani di Pian de Feder (Valle del Biois).
239
240
Vittorio Fenti
pura, bianca come il marmo di Carrara) (Fig.7 e 8).
La facile degradabilità delle rocce gessifere determina, però, la
loro più frequente presenza nei fondovalle, ove sono state facile preda
dell’attività demolitrice dei torrenti e dei ghiacciai quaternari. In tali
depressioni morfologiche le rocce gessifere sono quasi sempre ricoperte da una potente coltre di terreni sciolti quaternari, quali morene ed
alluvioni.
Ne consegue che estese aree a fondovalle, poco inclinate o sub pianeggianti, caratterizzate da terrazzi alluvionali o conoidi di deiezione
piatte, morfologicamente favorevoli per gli insediamenti, nascondono
un substrato gessifero, suscettibile di carsismo e quindi di dissesto, che
si può trasmettere in superficie, a piano di campagna.
Aree di questo genere sono frequenti nella valle del Biois, a S. Tomaso Agordino, Agordo, Voltago, Frassenè, ecc.
Nel Cadore sono frequenti a Perarolo, tra Pieve e Vigo, ad Auronzo, ecc.
Anche sui versanti le rocce gessifere sono spesso ricoperte da coltri
moreniche e detritiche, quindi difficilmente riconoscibili.
Nell’Agordino si ricordano i rilievi di Costa delle Formiche, I Zei a
nord di Falcade, Malga ai Lach, Dareronch, Sappade, Meneghina, Darecoi, Tabiadon, Costelle, Fagareda, Pisoliva, ecc., ove è difficile identificare in superficie l’esistenza di rocce gessifere (FENTI, 1978- 2010;
FENTI et al., 2001) (talora è solo la vegetazione arborea stentata che
permette di supporre l’esistenza di rocce solfatiche nel sottosuolo).
Rocce solfatiche: gessi o anidriti?
Nella letteratura geologica comune, la Formazione a Bellerophon
(Permiano Sup.) e la Formazione di Raibl (Carnico sup.) risultano costituite da gessi e rocce gessifere associate (argille, calcari, dolomie,
marne, ecc.).
Come è noto, sia i gessi che le anidriti possono avere un’origine
primaria per sedimentazione evaporitica (precipitazione chimica da una
soluzione sovrassatura), ma anche secondaria (il gesso può trasformarsi
in anidrite dopo la sua formazione, per diagenesi o per metamorfismo;
l’anidrite si può trasformare in gesso per semplice idratazione) (RICCI
LUCCHI, 1978).
Normalmente, gli affioramenti superficiali di rocce solfatiche sono
costituiti da gesso, cioè da solfato di calcio biidrato, in quanto se l’ani-
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
241
drite originaria viene a contatto con l’acqua, si idrata facilmente, trasformandosi in gesso.
Le numerose indagini effettuate nel corso degli anni nelle valli dolomitiche hanno dimostrato che le rocce solfatiche originarie, profonde,
lontano dal contatto con l’acqua, sono in netta prevalenza costituite da
anidrite e scarso gesso (FENTI, 1978-2010; FENTI, 1988-1996) (Fig. 9).
L’idratazione dell’anidrite
L’anidrite, a contatto con l’acqua, tende ad idratarsi, trasformandosi
in gesso, con reazione esotermica e con aumento di volume dal 30 al
60 %, esercitando pressioni elevatissime, incontenibili, sulle rocce al
contorno (Fig. 10, 11, 12 e 13).
Di conseguenza il gesso subisce una fatturazione e disarticolazione.
Se tra i gessi esistono intercalazioni di calcari e dolomie, anche questi
subiscono una frammentazione comminuta. La parte superficiale delle
rocce solfatiche, sia ricoperte da materiali sciolti o subaffioranti, è sempre molto fratturata.
Figura 9 - Aspetto di un banco di anidriti permiane compatte giacenti in profondità, riesumate da
recenti scavi.
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Vittorio Fenti
Figura 10 - Gessi permiani ripiegati, derivanti dall’idratazione di originarie anidriti (noduli scuri, residui).
Figura 11 - Gesso frammentario derivante da idratazione di anidrite (Agordino).
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
243
Figura 12 - Gesso frammentario derivante da idratazione di anidrite.
Figura 13 - Versante gessoso originario a monte di Lozzo di Cadore, affetto da estesi dissesti
dovuti all’idratazione di anidriti permiane.
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Le acque di circolazione sotterranea nelle rocce solfatiche
Le acque di circolazione sotterranea nelle rocce solfatiche sono spesso ricche in anidride solforosa (SO2), talora in acido solfidrico (H2S),
gas che si sviluppano presso le sorgenti, ove le acque vengono a giorno,
originando il caratteristico odore fetido.
Si osserva, anche, che le sorgenti di acque solfatiche sono spesso
accompagnate da più o meno vistosi depositi di travertino, cioè da “calcare di incrostazione”.
Esempi caratteristici sono le sorgenti di Valcozzena (Agordo), di Lagole (Calalzo), dell’Acqua Puzza in Valgrande (a Nord di Padola), ove
l’acqua minerale è accompagnata anche da evidenti depositi lattiginosi
di zolfo colloidale (FENTI, 1978-2010).
Il processo chimico per cui dalla soluzione di una roccia solfatica si
formano incrostazioni calcaree è di seguito schematizzato (a cura del
Prof. Luigi Marcuola – ITIM – Agordo).
A
B
Figura 14 A) e B)- Versante gessoso originario a monte di Lozzo di Cadore, affetto da estesi dissesti dovuti all’idratazione di anidriti permiane, il cui rigonfiamento provocava frequenti dissesti
con rischio per l’abitato.
Figura 15 - Sezione schematica degli interventi di riprofilatura del versante instabile a monte di Lozzo di Cadore.
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
245
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La presenza di anidride carbonica nelle acque di infiltrazione può causare dissolvimento del gesso e contemporanea deposizione di calcare.
Quando queste acque raggiungono i gessi ed iniziano a dissolverli, immediatamente si instaura una serie di equilibri chimici che, portando alla
deposizione di concrezioni di carbonato di calcio (sale molto meno solubile del gesso), causano anche una solubilizzazione di gesso aggiuntiva.
La solubilità in acqua del gesso è 2,2g/l e circa 100 volte superiore a
quella del carbonato di calcio e mentre la dissoluzione del calcare è un
fenomeno prettamente chimico quello del gesso è essenzialmente fisico
dovuto appunto alla sua maggiore solubilità. Il fenomeno può essere
riassunto nelle equazioni:
Figura 16 - Panoramica dell’attuale versante a monte di Lozzo di Cadore con gli interventi di
riprofilatura e rimozione delle principali masse gessose instabili, derivanti dall’idratazione e rigonfiamento di originarie anidriti.
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
247
In particolare quest’ultimo equilibrio si sposta verso destra grazie
alla minore solubilità del calcare rispetto al gesso, alla parziale evaporazione dell’acqua e alla diminuzione della solubilità dell’anidride
carbonica in seguito all’aumento della temperatura all’emersione delle
acque in superficie. Il risultato finale è quindi la dissoluzione del gesso,
la deposizione di calcare e l’acidificazione dell’acqua per produzione di
ione H+ . Tutto può essere riassunto nel seguente schema:
L’AGGRESSIVITÀ DELLE ACQUE SELENITOSE
La schematizzazione chimica di cui sopra evidenzia anche un altro
aspetto: le acque derivanti dalla soluzione delle rocce solfatiche sono
sempre più o meno “selenitose”, cioè aggressive dei cementi normali
perché acide per la presenza degli ioni H+ e SO4-- (COLLEPARDI et al.,
2010; DESIO, 1973).
Se queste acque vengono a contatto prolungato con opere in calcestruzzo normale (fondazioni di edifici, ponti, rivestimenti di gallerie,
ecc.) le possono gravemente danneggiare (COLLEPARDI et al., 2010) in
quanto il cemento si può trasformare progressivamente in una poltiglia
incoerente (il rimedio consiste nell’adozione di cementi antiaggressivi).
Figura 17 - Sezione geologica schematica di un versante in area cadorina affetto da deformazione gravitativa profonda, indotta da idratazione di
originarie anidriti carniche, rigonfiamento per trasformazione in gesso e successiva soluzione per fenomeni carsici.
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Vittorio Fenti
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
Figura 18 - Esempi di cavità da dissoluzione in gessi permiani (Val del Biois).
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FRANE DOVUTE AL RIGONFIAMENTO DI ANIDRITI
Sono noti numerosi casi di frane su versanti gessosi dovute al rigonfiamento indotto da idratazione di originarie anidriti.
Il caso più eclatante è quello di Lozzo di Cadore ove, intorno agli
anni ‘90, fu riprofilato il versante franoso incombente sull’abitato, con
asportazione di oltre 600.000 m3 di gessi instabili (Fig. 14, 15 e 16).
Altre aree franose per analoghe cause si trovano sui versanti del T.
Boite, a monte di Perarolo di Cadore ed altrove.
IL CARSISMO NEI GESSI
Come già affermato, i gessi sono normalmente affetti da un’intensa
fatturazione, causata dalle forti pressioni indotte dall’idratazione delle
rocce anidritiche preesistenti.
La fratturazione permette un’attiva circolazione idrica che allarga
le fessure, per soluzione e per erosione. Si vengono così a creare innumerevoli cavità carsiche e cavernosità, ubicate a varie profondità nel
substrato, lungo le direttrici di maggiore circolazione idrica.
L’evoluzione delle cavernosità dipende dal regime idrogeologico,
dal complesso andamento delle vie idriche sotterranee, dall’abbondanza locale di rocce meno solubili associate ai gessi (argilliti, arenarie,
dolomie, calcari, ecc.).
Quando il gesso giace al di sotto della falda acquifera, si può verificare una soluzione laminare, con asportazione di massa generalizzata
(Fig. 18).
Date le scadenti caratteristiche di resistenza geomeccanica dei gessi, in genere non si formano grandi cavernosità, ma piuttosto un fitto
reticolo di piccole cavità, che progressivamente cedono, o crollano improvvisamente, sotto il peso della volta.
Se la copertura sciolta è assente o presenta uno spessore modesto,
in superficie si formano vere e proprie doline di sprofondamento. Casi
di questo genere sono numerosissimi al di fuori delle aree urbane (ad
esempio Costa dei Zei e I Lac a Nord di Falcade, Darecoi presso Sappade, Costelle e Forzela a nord di Feder, dintorni di Lagazzon, Passo di
S. Antonio, versante a nord di Padola, ecc.) (FENTI V., 1988-1996; FENTI
V. et al., 2001).
Se la zona presenta una spessa copertura sciolta, questa viene in-
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251
Figura 19 - Grande vecchia dolina sul versante sud del M. Zucco, sulla verticale della nuova
galleria ferroviaria di Perarolo.
Figura 20 - Vecchia dolina a Forchiade (S. Tomaso Agordino).
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Vittorio Fenti
ghiottita dalla cavità in modo progressivo, originando talora solo un
lieve avvallamento del piano di campagna.
Molto spesso si forma un vero e proprio “sfornellamento” o crollo rimontante fino in superficie, ove si viene a creare un inghiottitoio localizzato, subverticale, tronco-conico, rovesciato, o subcilindrico
verticale. (Le differenti geometrie sono conseguenti anche alle diverse
caratteristiche geotecniche dei terreni di copertura) (Fig. 19, 20 e 21).
La fenomenologia è, comunque, assai variabile da luogo a luogo.
Sono noti innumerevoli casi di sprofondamento, di dimensioni e velocità diverse, in numerosi punti della conca agordina (Agordo, Voltago, Frassenè), della Valle del Biois (Falcade, Caviola, Pisoliva, Andrich, ecc.), del Cadore (Vallesella, Domegge).
In genere, ove la copertura sciolta mostra un rilevante spessore, non
si intravedono direttamente in superficie i segni del cedimento delle
cavità carsiche, perché il lento assestamento del materiale su un’estesa
zona di forma tronco-conica può mascherare il fenomeno, limitandone
gli effetti superficiali.
Un attento esame della morfologia locale, se non troppo alterata dal
Figura 21 - Subsidenze doliniformi nell’abitato di Agordo.
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
253
rimodellamento antropico, permette, spesso, di percepire il fenomeno.
Sono, però, noti molti casi in cui anche con rilevante spessore della
copertura (ad esempio ad Agordo, con oltre 70 m di copertura sciolta)
si vengono a creare veri e propri “camini di collasso” circoscritti in
superficie (“Sinkhole”).
La velocità dei fenomeni
La velocità di soluzione dei gessi con formazione di cavernosità sotterranee è bassa e di solito comporta tempi lunghi dell’ordine di decenni o secoli.
La velocità di sprofondamento è, però, variabilissima, dipendendo anche da altri fattori (spessore e consistenza della copertura, presenza di
altre rocce lapidee associate ai gessi).
Normalmente il cedimento di cavità doliniformi avviene nell’ordine
dei centimetri all’anno.
Sono, però, noti allo scrivente numerosi casi di sprofondamento improvviso (nel corso di qualche ora) di centinaia di metri cubi di terreno
precedentemente indisturbato (Vallada, Andrich, Rio delle Roe, Canes di
Figura 22 - Sprofondamento improvviso di cavità carsica nei gessi permiani (Canes di Falcade il
30/04/1986).
254
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Falcade, Pisoliva, ecc.)
Numerose grandi doline si formarono in pochi anni a Vallesella in seguito alla formazione del bacino lacustre artificiale di Pieve di Cadore.
Uno sprofondamento improvviso si formò il 2 gennaio 1916 sulla conoide alluvionale del T. Ostera, nell’abitato di Villapiccola ad Auronzo
(CASATI et al., 1982).
Da segnalare l’improvvisa scomparsa (il 13/07/1980) del laghetto carsico di Cestella nei pressi del Passo del Zovo, corrispondente al ristagno
idrico sul fondo di una dolina in gessi con copertura di morene limosoargillose.
Uno sprofondamento di circa 200 m3 di terreno per cedimento improvviso di una cavità carsica nei gessi si verificò la notte del 30/04/1986
sulla strada comunale Canes-Le Coste a Falcade (Fig. 22).
Evoluzione dei camini di collasso e delle doline
Nell’Agordino sono noti alcuni camini di collasso abbastanza circoscritti, ubicati in aree urbane, la cui evoluzione è continua da decenni,
anche se piuttosto lenta.
Le depressioni a piano di campagna talora non subiscono apprezza-
Figura 23 - Vecchio edificio di Andrich (Vallada Agordina) recentemente abbattuto perché pericolante da cedimento carsico.
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
255
bile evoluzione, perché vengono periodicamente colmate con inerti dai
proprietari dei fondi.
Il richiamo del terreno al contorno del camino tende progressivamente ad allargare la cavità che assume una forma tronco-conica a piano di campagna. La tendenza evolutiva in superficie è naturalmente
l’allargamento delle cavità, con rischio per eventuali edifici vicini. In
presenza di vere e proprie doline tronco-coniche vegetate, talora con
piante d’alto fusto erette, senza distorsioni apprezzabili, si ha la sensazione di un’apparente stabilità e di un esaurimento del fenomeno di
cedimento carsico.
Pur tuttavia in tutti i casi in cui tali zone sono state oggetto di edificazione, gli edifici hanno subito danni, a volte irreversibili, innescati
talora anche decenni dopo la loro costruzione (FENTI , 1978-2010).
Ciò testimonia la continua evoluzione del fenomeno carisco e la sua
pericolosità.
Danni indotti dai dissesti carsici ad abitati e infrastrutture
In letteratura esistono alcuni casi di gravi danni indotti dal cedimento carsico del substrato solfatico su edifici ed infrastrutture.
Al riguardo è d’obbligo ricordare l’inservibilità della diga del lago
Kastel in Val d’Ossola, nel 1955, causata dalla soluzione di gessi ed
anidriti del substrato metamorfico (DESIO, 1973).
Limitandosi al territorio bellunese è importante ricordare la subsidenza della centrale idroelettrica di Pelos di Cadore sul greto del Piave
negli anni ’70 ed i gravi dissesti dell’abitato di Vallesella indotti dai
gessi incarsiti della Formazione a Bellerophon, in seguito alla formazione del bacino artificiale di Pieve di Cadore1 (1949).
Nell’Agordino sono noti i dissesti di Andrich (Vallada Agordina)
ove numerosi edifici sono fessurati e distorti per cedimento della coltre
alluvionale che ricopre i gessi permiani incarsiti.
Ivi frequentemente si formano inghiottitoi e camini di collasso. Un
vecchio edificio è stato recentemente abbattuto perché le ampie lesioni
ne minavano la stabilità (Fig. 23).
Numerosi edifici lesionati si trovano a Canes di Falcade ove si re1
Il contenzioso che ne seguì fu oggetto di un’abbondante documentazione
scritta da parte dei tecnici incaricati dalle parti in causa.
Figura 24 - Sezione geologica schematica, ricostruita sulla base di sette sondaggi, che evidenzia l’ampia cavità carsica nel sottosuolo di un condominio a Falcade.
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Vittorio Fenti
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257
gistrano anche alcuni improvvisi sprofondamenti del terreno per cedimento di cavità carsiche.
A Marmolada di Falcade i sondaggi effettuati nei terreni di fondazione di un condominio deformato e lesionato hanno rivelato l’esistenza di
un’ampia cavità carsica, in evoluzione attiva, soggiacente ad una spessa
coltre alluvionale (il volume stimato della cavità era ben superiore al
volume dell’edificio sovrastante) (FENTI, 1978-2010) (Fig. 24).
Recenti edifici lesionati da cedimento carsico si trovano a Pisoliva
(Canale d’Agordo) e ad Agordo.
Alcuni decenni fa una casa d’abitazione è stata abbattuta perché resa
pericolante dalle lesioni indotte da cedimento carsico a Voltago Agordino. L’elenco potrebbe dilungarsi (Fig. 25).
LA PREVENZIONE DEL RISCHIO ATTRAVERSO LE CONOSCENZE GEOLOGICO-TERRITORIALI
I dissesti sopra ricordati testimoniano l’importanza che dovrebbe assumere la prevenzione del rischio da cedimento carsico nella stesura dei
Piani di Assetto Territoriale (PAT).
a
b
c
d
Figura 25 a), b), c) e d) - Esempi di gravi lesioni ad edifici recenti, affetti da dissesti per cedimento
carsico.
Figura 26 - Esempio di studio geologico per un Piano regolatore con indicazione delle aree soggette a dissesto carsico in terreni gessosi.
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Vittorio Fenti
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Giacchè molte aree morfologicamente favorevoli a fondovalle sono
caratterizzate dalla presenza di un substrato di rocce gessifere incarsite,
spesso senza evidenza alcuna dei fenomeni a piano di campagna, è necessario svolgere indagini geologiche con il dettaglio e la diligenza che il caso
richiede per evitare o contenere l’edificabilità nelle aree più pericolose.
In verità alcuni strumenti di pianificazione a livello provinciale riportano, anche se in modo incompleto, le principali aree a rischio di
cedimento carsico (AA.VV. PROVINCIA DI BELLUNO, 2008), e così alcuni studi geologici per i Piani Regolatori Comunali (FENTI, 1978-2010).
(Fig. 26). Ma al riguardo resta ancora molto da fare.
Il problema non è di facile soluzione: sono necessari rilievi geologici
di dettaglio, ricostruzione di sezioni stratigrafiche e tettoniche realistiche, possibilmente documentate da indagini geognostiche e dal catasto
storico dei dissesti carsici e di altre conoscenze pregresse (sondaggi,
scavi, interventi di consolidamento, ecc.).
Le indagini consigliabili sui terreni di fondazione dei nuovi edifici o
di altre opere edilizie in progetto
Alla luce delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (DM
14/01/2008), per ogni opera edilizia è richiesta la ricostruzione dettagliata del Modello geologico e del Modello geotecnico del sottosuolo.
In particolare, il progetto delle opere si articola nelle seguenti fasi:
1. Caratterizzazione e modellazione geologica del sito;
2. Scelta del tipo di opera o d’intervento e programmazione delle indagini geotecniche;
3. Caratterizzazione fisico-meccanica dei terreni e delle rocce e definizione dei modelli geotecnici di sottosuolo;
4. Descrizione delle fasi e delle modalità costruttive;
5. Verifiche della sicurezza e delle prestazioni;
6. Piani di controllo e monitoraggio.
Tutto ciò considerato, nei casi in cui le opere edilizie in progetto
ricadano nelle aree ove è documentata o solo presunta la presenza di
rocce solfatiche nel sottosuolo, sono consigliabili le seguenti fasi di indagine:
Analisi geomorfologica di dettaglio per identificare eventuali tracce di
camini di collasso o di subsidenze generalizzate. (Il buon senso consi-
260
Vittorio Fenti
Figura 27 - Aspetti superficiali di sink-hole in copertura sciolta spessa oltre 70 m con substrato
gessoso incarsito (Agordo).
Figura 28 - Esempio di sondaggi con ricostruzione della resistenza geotecnica da prove SPT in foro su terreni affetti da cedimento carsico (Comune
di Canale d’Agordo).
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
261
262
Vittorio Fenti
glia di mantenersi ad una adeguata distanza di sicurezza da tali zone).
Esecuzione di sondaggi geognostici a carotaggio continuo, spinti fino ad intercettare il substrato roccioso ed attraversarlo su uno
spessore tale da poter verificare la natura del sottosuolo e l’esistenza o meno di cavità carsiche. In qualche caso l’indagine può essere
assai impegnativa perché la copertura sciolta quaternaria può avere
spessori rilevanti (ad Agordo sono noti cedimenti carsici in gessi
con oltre 70 m di copertura sciolta) (Fig. 27).
È consigliabile che il carotaggio nei terreni sciolti di copertura venga accompagnato da prove penetrometiche dinamiche in foro (tipo
SPT) allo scopo di verificare la variazione dello stato di addensamento con la profondità (normalmente nei terreni sciolti indisturbati la resistenza penetrometrica aumenta in profondità all’aumento
del carico litostatico. Nei casi ove, invece, sia in atto un cedimento
carsico profondo, i terreni sciolti di copertura risultano allentati. Il
fenomeno può essere identificato dalla riduzione della resistenza
penetrometrica all’aumentare della profondità) (Fig. 28).
Si ricorda che il solo adempimento formale alle norme, con l’esecuzione di indagini geognostiche di limitata profondità in aree ove nel
sottosuolo è presunta l’esistenza di gessi incarsiti, può essere inutile o
deviante. Infatti sono frequenti i casi in cui i gessi incarsiti a rischio di
cedimento sono ricoperti da una spessa coltre di terreni sciolti dotati di
buone caratteristiche geotecniche e ciò può indurre i progettisti a sottovalutare o del tutto ignorare il rischio di dissesti, in quanto il pericolo
latente è localizzato a profondità superiore a quella indagata.
ESEMPI DI INTERVENTI PREVENTIVI
È necessario ricordare che i fenomeni di soluzione carsica e conseguente cedimento non si verificano uniformemente in tutte le aree
dotate di un substrato gessoso. Il fenomeno è variabilissimo, sia nello
spazio che ne tempo, e con geometrie differenti. È tuttavia consigliabile
adottare le precauzioni tecniche più corrette in tutti i casi in cui un edifico sia previsto si una zona genericamente caratterizzata dalla presenza
di un substrato gessoso, in assenza di manifestazioni superficiali di dissesto o con lievi tracce di subsidenza diffusa.
In questi casi sono da attendersi cedimenti differenziali dei terreni di
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
263
fondazione, con lesioni più o meno gravi all’edificio.
Per ridurre il rischio di tale dissesto, o evitarlo, è necessario predisporre strutture di fondazione indeformabili, tipo platea o telaio di travi
rigide in cemento armato, in modo che l’assestamento dell’edificio avvenga in blocco, senza lesioni.
Nel caso di strutture edilizie piuttosto grandi o complesse, è consigliabile frazionare l’opera in corpi di fabbrica contenuti, separati da
giunti tecnici, in modo che gli assestamenti differenziali avvengano tra
blocchi distinti , senza lesioni.
(La realizzazione di fondazioni indeformabili è un intervento preventivo di costo contenuto e buona efficacia).
Nei casi in cui a piano di campagna siano ben visibili inghiottitoi,
vecchie doline o depressioni doliniformi circoscritte, è consigliabile realizzare l’opera in progetto a congrua distanza da tali fenomeni, perché
a
c
b
Figura 29 (a, b, c) - Esempi di edifici costruiti
in seguito al riempimento di doline (Pisoliva Caviola).
264
Vittorio Fenti
la normale evoluzione del dissesto è accompagnata spesso anche da un
ampliamento planimetrico della subsidenza (che può pericolosamente
coinvolgere l’opera stessa).
(Purtroppo, numerose volte si è assistito allo sciagurato riempimento
di intere doline ed alla costruzione di edifici sul riporto, con le prevedibili conseguenze del caso (FENTI, 1978-2010) (Fig. 29 a, b, c).
ESEMPI DI INTERVENTO DI CONSOLIDAMENTO
Nei casi in cui i tecnici siano chiamati a predisporre interventi di
consolidamento di edifici affetti da lesioni riconducibili a cedimento
carsico, è necessaria una indagine dettagliata della natura del sottosuolo
a mezzo di sondaggi geognostici a carotaggio continuo, spinti fino al
substrato incarsito, in modo da verificare stratigrafie, geometrie e modalità del dissesto.
Talora è opportuna la predisposizione di fessurimetri sulle lesioni
per un adeguato periodo di monitoraggio, in fase pre-operativa, operativa e post-operativa.
Il consolidamento di edifici lesionati da cedimento carsico è un problema di non facile soluzione e comunque assai differente da caso a caso.
A puro titolo esemplificativo si riportano alcuni esempi di tecniche
adottate, non sempre risolutive del dissesto.
Costruzione di un anello continuo di sottofondazione rigido. In qualche caso l’anello di sottofondazione è stato integrato da un’”ala” in
c.a. per meglio distribuire il carico dell’edificio al contorno.
Idem, come sopra, integrato da micropali molto inclinati (oltre i
45°) in modo da trasmettere il carico dell’edificio ai terreni indisturbati al contorno (tecniche costose, praticabili solo in presenza
di un contorno di terreni stabili).
Iniezioni di cementi antiaggressivi nelle cavità carsiche profonde.
L’intervento è difficilmente attuabile in considerazione dell’incognita dello sviluppo e delle dimensioni delle cavità carsiche (in genere ragguardevoli).
Iniezioni di resine espansive nei terreni di fondazione allo scopo di
ricostruire una “soletta” di sottofondazione poco deformabile. L’intervento potrebbe avere risvolti positivi se realmente si riuscisse a
ricostruire una soletta continua poco deformabile e durevole per un
tempo accettabile. Ma ciò è assai difficile, se non improbabile.
Il rischio geologico indotto dal carsismo nelle rocce gessifere
265
Consolidamento tramite micropali verticali, profondi, intestati sul
fondo stabile delle cavità carsiche. L’intervento, molto impegnativo, può essere realizzato, previa ricostruzione dettagliata del modello del sottosuolo, a mezzo di numerose indagini geognostiche.
Altre tecniche, ibride tra quelle sopra riportate, possono essere attuate. In genere i costi sono elevati e le garanzie di successo variabili
da caso a caso.
Normalmente si ottiene solo un rallentamento del regime delle deformazioni indotte dal cedimento carsico. (Questo, però, può tradursi in
un fatto assai positivo per la committenza).
CONCLUSIONI
Sono state descritte le caratteristiche essenziali del fenomeno dello sprofondamento carsico in rocce gessifere, dissesto molto frequente
nell’area dolomitica, abbastanza conosciuto, ma spesso sottovalutato,
che induce rischio e danni agli edifici.
La presente nota vuole solo apportare un modesto contributo alla
conoscenza dei problemi ad esso connessi, con l’auspicio che si possa
arrivare ad una perimetrazione corretta delle aree pericolose, così da
prevenire o contenere i danni conseguenti.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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Carta geologica d’Italia (1977), scala 1:50.000, F° 028 Marmolada.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
LA CADUTA MASSI NELL’AGORDINO: L’ESEMPIO DEL
CROLLO DI LISTOLADE
Ennio CHIESURIN
Studio Associato di Geologia Fenti e Chiesurin, Agordo (BL)
e-mail: [email protected]
PREMESSA
Il territorio Agordino, come buona parte della Provincia di Belluno è
costituito da una geologia complessa e varia, da cui derivano lineamenti
morfologici altrettanto complessi ed elevata energia del rilievo.
Tale ambiente è caratterizzato da fenomeni geodinamici molto attivi,
che si manifestano periodicamente sottoforma di frane e dissesti di vario genere, inducendo rischio e danni ad abitati ed infrastrutture.
In particolare, nell’Agordino parte degli abitati e delle infrastrutture
viarie sono ubicati al piede di pareti rocciose e versanti soggetti a periodico distacco e caduta massi.
L’esempio del crollo di Listolade, anche se eccezionale riguardo alcuni aspetti, documenta la pericolosità del fenomeno e l’importanza di conoscenze territoriali più dettagliate riguardo questa tipologia di dissesto.
IL RISCHIO GEOLOGICO DELLE PARETI ROCCIOSE
Il rischio geologico delle pareti rocciose è legato eminentemente alla
caduta di massi, fenomeno che si verifica con varia frequenza su qualsiasi scarpata esistente al mondo, ma in modo particolarmente pericoloso
nell’area dolomitica, diffusamente urbanizzata, geologicamente attiva e
dotata di rilievi con grande sviluppo verticale.
Approfondendo il problema attraverso una analisi storica si nota, una distribuzione assai uniforme delle frane di roccia, ed in particolare dei crolli,
negli ultimi tre secoli. Ciò sta a significare che le frane di roccia sono la naturale manifestazione dell’evoluzione geomorfologica delle pareti rocciose,
che è sempre avvenuta in passato, in rapporto all’andamento climatico, e
che si verificherà sempre in futuro, con regime variabile, non prevedibile.
Giacchè il territorio montano è caratterizzato da numerosi abitati, lunghi tratti stradali e numerose altre infrastrutture, ubicati al piede delle pareti rocciose, ne consegue che il rischio da caduta massi è molto elevato.
267
268
Ennio Chiesurin
LA CADUTA MASSI DI LISTOLADE
Un esempio di caduta massi assai particolare per modalità dell’evento e dimensioni dei massi che hanno raggiunto il fondovalle, è costituito
dai crolli di Listolade del giugno 2002 e dell’agosto 2005.
Inquadramento topografico
L’area in esame è ubicata sul versane montuoso in destra idrografica
del T. Cordevole, presso l’abitato di Listolade nel Comune di Taibon
Agordino (BL).
In particolare la zona di interesse si sviluppa lungo il fianco est del
Corno del Bus (Prima pala di S. Lucano), tra q. 666 m s.l.m. (fondovalle) e 1400 m s.l.m (coronamento della nicchia di distacco).
Inquadramento geologico e geomorfologico
I lineamenti morfologici generali dell’area in esame sono principalmente connessi all’esarazione glaciale würmiana, ai quali si sono
sovrimposte le attività morfogenetiche postglaciali, quali frane sui ver-
Figura 1 - Panoramica del versante di Listolade ove sono avvenute le frane in esame. La macchia
bianca è la cicatrice del distacco del 2002.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
269
santi, erosione torrentizia di versante, attività erosiva ed alluvionale nel
fondovalle da parte del T. Cordevole.
La morfogenesi glaciale è meglio conservata sulla parte alta del versante in esame, mentre la parte intermedia è stata interessata da processi
morfogenetici postglaciali, quali grandi frane per dislocazione in massa
della roccia ed accumulo di depositi detritici grossolani in forma di falda e conoide in seguito sia a fenomeni di crollo, sia ad attività erosiva
occasionale.
La morfologia del fondovalle è modellata dall’attività fluviale del
T. Cordevole.
In particolare si possono distinguere le seguenti fasce geomorfologiche:
La parte alta del versante tra q. 2069 m s.l.m. (Corno del Bus) e
q. 1600 m s.l.m.: è caratterizzata da pareti rocciose subverticali di
Dolomia dello Sciliar (Ladinico).
Da q. 1600 m s.l.m. si sviluppa un solco erosivo occasionale, che
in parte è origine della conoide detritica che ricopre il versante fino
al fondovalle.
Figura 2 - Panoramica dell’area in esame vista dal satellite. Si distingue la traccia bianca nel
bosco corrispondente alla nicchia di distacco ed all’accumulo principale del detrito. Sulla piana
alluvionale si può osservare il grande masso rotolato nell’evento del 2002.
270
Ennio Chiesurin
A nord la direttrice erosiva è delimitata dalla dorsale rocciosa di Zei
de Forca, caratterizzata da un ammasso roccioso grossolanamente
disarticolato per antico scoscendimento in massa postglaciale, fino
a q. 850 m s.l.m. Al piede delle scarpate rocciose il raccordo con la
piana alluvionale del T. Cordevole avviene tramite una falda detritica, mediamente inclinata.
Sulla parte alta di questa dorsale rocciosa è ubicata la nicchia di
distacco della frana in esame.
Lungo il solco erosivo ed a sud dello stesso si sviluppa una falda
detritica, localmente a forma di conoide, ad andamento piuttosto
regolare, inclinata di circa 28°, costituita da grossi massi ciclopici,
blocchi e ghiaia, accumulati per antiche frane di crollo. Il materiale
più fine (blocchi, ciottoli e ghiaia) è stato in parte rimaneggiato dalla periodica attività erosiva della direttrice di drenaggio.
Al piede della falda detritica si sviluppa il fondovalle alluvionale
del T .Cordevole.
Sul versante ed al piede dello stesso sono presenti massi ciclopici in
parte di trasporto glaciale (erratici morenici) ed in parte accumulatisi in
seguito ad antichi crolli (Fig. 3).
Lungo la falda detritica si sono sviluppati la frana del 2002 ed il successivo evento di crollo isolato del 2005.
L’attività morfologica è vivace solo lungo il solco erosivo ove è possibile osservare una fascia detritica non vegetata, fino a q. 850 m s.l.m.
Al contorno del solco erosivo ed a valle di q. 850 m le condizioni
di stabilità risultano complessivamente buone, come testimoniato dalla
fitta vegetazione aroborea, matura e dall’assenza storica di eventi di
frana (esclusi quelli recenti del 2002 e del 2005) (Fig. 4).
Geologia
Il substrato roccioso dell’area in esame è costituito dalla Dolomia
dello Sciliar (Ladinico), caratterizzata da dolomie e calcari dolomitici
massicci o grossolanamente stratificati, a segmentazione suborizzontale, malamente distinguibile.
Come sopra descritto l’ammasso roccioso risulta indisturbato oltre quota 1600 m s.l.m., mentre al di sotto risulta grossolanamente suddiviso da
fratture per antica dislocazione in massa, successivamente al ritiro glaciale.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
Figure 3 - Massi arrestati in passato sulla falda detritica boscata.
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Ennio Chiesurin
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
Figura 4 - Carta geologica schematica e legenda.
273
Figura 5 - Sezione geologica schematica.
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Ennio Chiesurin
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
275
Dal rilievo geostrutturale eseguito in corrispondenza della zona di
distacco della frana del 2002, risultano ben evidenti n° 3 sistemi di
discontinuità, tra cui gli strati, corrispondenti ai giunti a franapoggio,
disposti in giacitura assai differente rispetto all’ammasso roccioso in
posto.
La falda detritica è costituita da massi ciclopici, blocchi, ciottoli e
ghiaia, con poca sabbia, ad elementi spigolosi, accumulatisi in seguito
ad antichi eventi di crollo e frana, soprattutto della parte di ammasso
roccioso disarticolato per franamento in blocco.
Il fondovalle è ricoperto dai depositi alluvionali del T. Cordevole,
costituiti da blocchi, ciottoli e ghiaia in abbondante matrice sabbiosa,
talora limosa.
Il materiale è soffice, grossolanamente stratificato (Fig. 5).
DESCRIZIONE DEL DISSESTO 2002
Parametri geometrici
Area di distacco:
q = 1400 m s.l.m.
'H = ~ 40 m
L = ~ 20 m
Spessore: ~ 5-10 m (Fig. 6)
Zona di accumulo principale:
Dislivello 'H = 350 m
Lunghezza planimetrica di propagazione del corpo di frana: 350400 m (Fig. 7).
Traiettorie dei grandi massi che hanno raggiunto il fondovalle:
Dislivello 'H = 734 m (da q. 1400 m a 666 m s.l.m.)
Lunghezza planimetrica delle traiettorie : 1100-1200 m
Inclinazione media della parte alta del versante: ~ 40°
Inclinazione media della parte bassa del versante: ~ 30°
276
Ennio Chiesurin
Descrizione dell’evento
In data 15 giugno 2002, intorno alle 5-6 del mattino dal costone
roccioso di Zei de Forca, presso quota 1400 m s.l.m., si staccò una
porzione di roccia disarticolata del volume stimabile pari a ~ 5-6000
m3, tramite meccanismo di scivolamento piano-composito, variamente
articolato su superficie a gradini.
Il materiale si propagò lungo uno stretto canalone di faglia, (Fig. 9)
in direzione SE, scaricandosi nell’ampio compluvio del locale solco
erosivo, ove gran parte del corpo di frana si arrestò ricoprendo una superficie di ~ 3000 m2 (Fig. 7 e 8).
Figure 6 - Panoramica della nicchia di distacco della frana del 2002.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
Figure 7 - Accumulo detritico principale della frana del 2002, da monte.
Figura 8 - Accumulo detritico principale della frana del 2002, da valle.
277
278
Ennio Chiesurin
Figura 9 - Canalone impostato su faglia, lungo cui si è sviluppato il movimento della frana. Il
canalone ha comportato una deviazione locale del percorso del materiale in caduta dalla linea di
massima pendenza del versante.
Figura 10 - Particolari degli impatti del masso caduto nel 2002 e punto di arresto, sulla piana
alluvionale. Alla sinistra il rustico adiacente alla traiettoria del masso.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
279
Alcuni tra i massi più grandi proseguirono la loro corsa fino al piede
del versante attraverso la copertura boschiva.
Un masso del volume di ~ 100 m3 raggiunse il ripiano alluvionale di
fondovalle, passando lateralmente ad un rustico agricolo (lato sud), ed
arrestandosi ~ 20 m più ad est dello stesso.
Altri massi del volume di 3-5 m3, seguendo linee di massima pendenza, lasciarono traccia del loro passaggio nel bosco più a sud del
precedente, raggiungendo anche l’alveo del T. Cordevole.
In data 20/08/2005 un secondo evento franoso, di volume assai inferiore a quello del 2002, comportò la caduta di alcuni massi, di cui uno
del volume di ~50 m3 che raggiunse il fondovalle alluvionale, con una
traiettoria che passò sul fianco nord del rustico agricolo, di cui al precedente, arrestandosi ~30 m più ad est.
a
b
Figura 11 - Parte finale del percorso del masso, visto da est. Si notano gli impatti (a) ed il “corridoio” operato nel bosco maturo (b).
280
Ennio Chiesurin
I grandi massi che si sono arrestati sul fondovalle sono passati attraverso una fitta copertura boschiva di piante mature, provocandone il
ribaltamento o la troncatura, con conseguente apertura di un corridoio
nel bosco, caratterizzato da da piante schiantate e congerie varie.
Raggiunto il piede del versante, entrambi i massi hanno terminato il
moto in seguito a due-tre rimbalzi su terreno organico, dello spessore di
~ 0,5-1 m, lasciando dei solchi di impatto lunghi fino a ~12 m e profondi ~1 m (Figure 12, 13 e 14).
RILIEVO GEOSTRUTTURALE
Allo scopo di definire con la precisione che il caso richiede le caratteristiche geostrutturali dell’ammasso roccioso in corrispondenza della
zona di distacco, è stato effettuato un rilievo geostrutturale raccogliendo i dati più significativi per il problema in esame, tra quelli specificati
dal metodo della “Scan line”1, a cui si fa riferimento.
In particolare, sono stati definiti lo stato di fratturazione, le caratteristiche
geometriche e meccaniche dei giunti dell’ammasso roccioso dislocato.
I parametri delle discontinuità rilevati in campagna, che consentono
di caratterizzare l’ammasso sono i seguenti:
orientamento (giacitura): definita come direzione dell’immersione
e inclinazione;
spaziatura (distanza tra due giunti di una stessa famiglia);
persistenza (o continuità - lunghezza della traccia della discontinuità osservata in affioramento);
apertura (distanza tra le pareti di un giunto);
riempimento (materiale che riempie il giunto).
Risultati del rilievo geomeccanico
I dati delle giaciture rilevati sono stati riportati come poli dei piani su
diagramma equatoriale equiangolare.
Con i dati geostrutturali è stata effettuata l’analisi delle maggiori
frequenze con il metodo delle isodense (aree di uguale densità dei poli,
distinte per colori).
Dall’analisi delle isodense, tramite individuazione di “set” di giaci1
Metodo di indagine geomeccanica definito dalle norme ISRM (International
Society of Rock Mechanics)
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
281
Figura 12 - Impatti del masso caduto nel 2005. Sulla destra il masso caduto nel 2002 e lo spigolo
del rustico.
Figura 13 - Particolare degli impatti del masso caduto nel 2005 sulla piana alluvionale in adiacenza al rustico risparmiato dalla caduta dei massi.
282
Ennio Chiesurin
Figura 14 - Particolare del masso caduto nel 2005.
Figura 15 - Panoramica dell’area ove si sono arrestati i massi caduti nel 2002 e 2005 e del rustico
risparmiato. Si notano le grandi dimensioni dei massi in confronto al rustico.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
283
ture, è stato possibile definire le aree di maggiore concentrazione dei
poli. Ivi è stato localizzato il polo rappresentativo della famiglia tramite
una media pesata delle giaciture del set. (I valori riportati nelle descrizioni seguenti corrispondono ai poli medi di ogni famiglia).
Le varie famiglie di fratture K sono state distinte anche con un numero progressivo (K1-K2) che non ha un significato gerarchico.
In particolare si distingue una famiglia di fratture subverticali K1
con direzione NW-SE a cui appartengono le fratture parallele alla grande faglia su cui si è impostato il canalone immediatamente a est della
nicchia di distacco, ove si è propagata la frana.
Tale faglia fa parte del sistema di fratture parallele al versante vallivo in cui si è imposta localmente la valle del Cordevole.
È stata distinta una famiglia di fratture subverticali K2, ortogonali
alle precedenti, con direzione NE-SW.
Tale sistema appartiene alla famiglia di faglie su cui si è impostata la
Val Corpassa che si sviluppa verso NE sul versante sinistro della valle
del Cordevole.
Figura 16 - Panoramica dell’area ove si sono arrestati i massi caduti nel 2002 e 2005 e del rustico
risparmiato. Si notano le grandi dimensioni dei massi in confronto al rustico.
284
Ennio Chiesurin
Figura 17 - Particolare dell’ammasso roccioso residuo sulla nicchia di distacco della frana.
Si notano i principali sistemi di discontinuità che suddividono i grandi volumi rocciosi.
Figura 18 - Parte basse della nicchia di distacco vista da monte. In secondo piano sulla destra la
strada SR 203 presso Listolade.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
285
Un terzo sistema ben evidente è quello disposto a franapoggio, rispetto al versante, verosimilmente corrispondente ai piani di strato.
Va ricordato che l’orientazione rappresentativa di ciascuna famiglia
ha un significato statistico; è normale che si possano riscontrare dispersioni, anche sensibili, dal valore più frequente.
Per effettuare questo tipo di analisi statistica è stato utilizzato un
programma di archiviazione ed interpretazione dei dati geomeccanici
(DIPS della “Rocscience”).
Per l’analisi della distribuzione delle giaciture (poli), è stato utilizzato il reticolo polare equiangolare, emisfero inferiore.
Sistemi di discontinuità individuati e loro principali caratteristiche
Nella Tabella 1 si riportano i valori più frequenti dei dati osservati
con l’analisi dei diagrammi cumulativi.
Il Volume Roccioso Unitario medio stimato dalle osservazioni di
campagna e risultante dalle spaziature dei principali sistemi di discontinuità è molto variabile e compreso tra ~0,5 e ~100 m3, con valore
frequente intorno a 5-10 m3 (Fig. 20).
Figura 19 - Panoramica dalla nicchia di distacco della frana, del versante e della piana alluvionale ove si è arrestato il masso del 2002 (punto bianco nel prato).
286
Ennio Chiesurin
Tabella 1: dati geostrutturali sintetici.
Tipo
S
K1
K2
Giacitura media
Dir. imm./incl.
86/50
38/78
322/73
Persistenza
(m)
3-4
10-15
1-2
Spaziatura
(m)
4-5
0,5-1
1-2
Apertura
(mm)
1-5
1-10
1-10
Rugosità
Molto rug.
rugosi
Molto rug.
Verifica grafica di predisposizione all’instabilità
Per verificare il cinematismo che ha provocato il movimento della frana è stata effettuata un’analisi grafica su diagrammi equatoriali
equiangolari.
Note le giaciture dei poli delle principali famiglie di discontinuità
sopra descritte, sono stati tracciati i relativi grandi cerchi sullo stereodiagramma unitamente a quello della locale giacitura del versante.
Osservando il rapporto grafico tra i grandi cerchi è possibile definire
i cinematismi che hanno indotto il distacco.
Dall’analisi è risultato che il cinematismo corrisponde ad uno scivolamento piano lungo le superfici S, su struttura a gradini. Le fratture
K1 e K2 delimitano rispettivamente a tergo e lateralmente la nicchia di
distacco.
PROPOSTA
DI STUDIO PER DEFINIRE LE AREE A RISCHIO DI CADUTA
MASSI NELLE AREE MONTANE TRAMITE UN METODO A MATRICE
Generalità
La caduta massi è definibile, genericamente, come una frana complessa, in cui avviene il distacco di una massa da una parete rocciosa,
con un iniziale moto in aria ed uno successivo lungo versante. (La caduta può avvenire anche per rimobilizzazione su pendio detritico di massi
caduti antecedentemente).
Secondo la recente Classificazione delle frane di CRUDEN & VARNES
(1996), facendo riferimento alle caratteristiche del distacco, la caduta
massi è definibile come “crollo complesso”, del tipo scorrimento-crollo
o ribaltamento-crollo.
Il moto del masso lungo il versante risulta assai complesso in funzione delle caratteristiche geologiche e geomorfologiche locali.
Le frane da caduta massi prevedono lo studio di due fenomenologie
contemporaneamente: i cinematismi di distacco e il moto di caduta.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
287
Per lo studio della caduta massi è necessario effettuare un’analisi delle
condizioni geostrutturali dell’ammasso roccioso in esame.
Ciò può essere effettuato tramite i moderni metodi della geomeccanica.
I versanti rocciosi affetti da processi di crollo sono normalmente costituiti da litotipi tenaci, dotati di buone caratteristiche tecniche.
Si evidenzia che in genere i crolli sono delle tipiche frane superficiali, cioè coinvolgono spessori relativamente modesti della compagine
rocciosa.
La limitata profondità dei processi di crollo è dovuta all’allentamento dell’ammasso roccioso che si traduce in giunti più aperti e alterati
sulla porzione superficiale.
Una condizione particolarmente gravosa si verifica quando nell’ammasso roccioso sono presenti discontinuità molto spaziate, molto continue, con riempimento argilloso-terroso e quindi molto deboli, in genere
sub-parallele al versante.
In seguito al distacco, le masse rocciose cadono lungo il versante con
moti piuttosto complessi.
Figura 20 - Stereodiagramma dei poli e dei cerchi delle famiglie di discontinuità.
288
Ennio Chiesurin
In genere, in seguito al distacco, si verifica un primo tratto di caduta
libera in aria, che può essere interrotta da eventuali impatti su sporgenze rocciose che comportano deviazioni delle traiettorie e rimbalzi.
Successivamente i massi impattano sul versante al piede della parete ed ivi possono proseguire il loro moto di tipo roto-traslatorio e/o di
saltazione.
Le caratteristiche del moto di scendimento lungo il versante dipendono essenzialmente dai due seguenti fattori fondamentali:
Morfologia/topografia: il fattore morfologico è fondamentale in
quanto è evidente che più il versante è ripido e più si propagherà il
moto del masso.
Inoltre, sono fondamentali le asperità presenti sul versante e le irregolarità morfologiche, anche a piccola scala, che possono deviare
la traiettoria del masso o far variare il moto di caduta.
Geologia: La composizione del terreno su cui si propaga il moto del
masso è fondamentale in quanto da questa dipende il coefficiente
di restituzione dell’energia di impatto. Infatti, se il terreno su cui
impatta il masso è soffice, il coefficiente di restituzione è basso e
quindi l’energia assorbita è alta, rallentando molto il cinematismo.
Mentre se il terreno è duro, costituito da substrato roccioso subaffiorante o detriti grossolani (massi ciclopici), il coefficiente di restituzione è elevato ed il masso riduce di poco la sua energia e velocità
Copertura vegetale: la vegetazione arborea presente sul versante
in cui si propaga il moto del masso può costituire un ostacolo che
rallenta o arresta il masso, oppure ne devia le traiettorie.
Solo quando sono note tutte le caratteristiche geologiche, geomeccaniche, geomorfologiche e ambientali sopra descritte, è possibile effettuare simulazioni verosimili ed attendibili, tramite programmi di calcolo specifici, che permettono di analizzare in modo statistico il moto dei
massi sul versante.
Considerazioni sulla frequenza e sulla prevedibilità dei fenomeni
Anche in seguito ad indagini dettagliate sull’intensità e diffusione dei
fenomeni di instabilità sulle pareti rocciose predisposte alle frane di roccia,
permane il problema, irresolubile, della prevedibilità temporale degli eventi.
È di fatto del tutto impossibile prevedere quando e con quale fre-
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
289
quenza possono manifestarsi gli eventi di caduta massi.
Per quanto riguarda gli aspetti legati alla frequenza della caduta massi, sono importanti le seguenti fasi di indagine:
Indagine storica degli eventi.
Osservazioni di dettaglio sulla presenza di massi crollati in passato,
giacenti al piede delle pareti rocciose.
Gli eventi di caduta massi di Listolade sono un esempio eclatante di
queste difficoltà.
Infatti, in un’area ove storicamente non erano noti eventi di caduta
massi, sono avvenuti due distacchi nel periodo di soli 3 anni.
Classificazione del pericolo da caduta massi
Allo scopo di verificare la prevedibilità del pericolo da caduta massi
dell’area ove è presente il rustico agricolo ove sono arrivati i grandi
massi, è stato applicato il metodo a matrice di CHIESURIN E FENTI (2002),
scientificamente riconosciuto e già favorevolmente applicato in altri
settori montani.
Per valutare il pericolo di caduta massi su infrastrutture antropiche in
generale (con particolare riferimento alle zone urbane o potenzialmente
urbanizzabili), è stata ideata una matrice che considera n° 11 fattori ai
quali sono assegnati n° 5 indici di pericolo crescente, con valore diverso in funzione del peso con cui può influire tale parametro sul moto di
caduta massi.
Parametri geomeccanici:
A – Indice di instabilità della zona di distacco
B – Volume possibile del crollo per evento
C – Volume del masso in rotolamento (VRU)
Parametri geomorfologici:
D – Altezza della scarpata rocciosa
E – Lunghezza del pendio
F – Inclinazione media del pendio
G – Andamento topografico del pendio
Parametro geolitologico - geotecnico:
H – Tipo di materiale esistente sul pendio
290
Ennio Chiesurin
Tabella 2: Tabella di specificazione dei parametri che descrivono le caratteristiche dell’ammasso
roccioso per la definizione dell’indice di instabilità (I, ….V): parametro A
I
II
III
Masse rocciose
delimitate da
fessure chiuse,
con giaciture che
non inducono
instabilità.
Massi su
versante detritico
rimobilizzabili
per cause
particolari o
eventi poco
probabili e
particolarmente
intensi.
Masse
rocciose
delimitate
da
fessure chiuse o
poco aperte, con
giaciture
che
possono
predisporre
instabilità: poli poco
frequenti
che
inducono
crolli,
scivolamenti
o
ribaltamenti.
Massi su versante
detritico
rimobilizzabili
per
cause o eventi poco
frequenti.
Masse rocciose
delimitate da
fessure aperte da
1 mm a 1 cm, con
giaciture che
predispongono
instabilità: poli
mediamente
frequenti che
inducono crolli,
scivolamenti o
ribaltamenti.
Massi su versante
detritico
rimobilizzabili per
cause semplici o
eventi a media
frequenza.
IV
V
Masse rocciose
Masse rocciose
delimitate da
delimitate da
fessure aperte da fessure aperte
1 a 10 cm, con
>10 cm con
giaciture che
giaciture che
predispongono
predispongono
instabilità: poli
instabilità: poli
piuttosto frequenti molto frequenti
che inducono
che inducono
ribaltamenti,
ribaltamenti,
scivolamenti o
scivolamenti,
crolli.
crolli.
Massi su versante Massi su versante
detritico
detritico in
facilmente
condizione di
rimobilizzabili per equilibrio limite.
cause normali o
eventi ad elevata
frequenza.
Parametri ambientali:
I – Tipo di copertura vegetale
L – Condizioni climatiche
Indagine storica:
M – Frequenza storica di caduta massi
Classe di pericolosità
Dalla somma dei vari indici sono state ricavate n° 5 classi di pericolosità crescente (si tratta di classi di “pericolosità” e non di “rischio” in
quanto la classificazione, nella sua agilità, non tiene conto dell’insieme
complesso della popolazione, delle infrastrutture e delle attività economiche del territorio a cui è applicata) .
Sulla base di numerose esperienze, per ciascuna classe sono proposti
gli interventi orientativi, consigliabili, per la mitigazione del pericolo.
È evidente che dove viene riscontrata una pericolosità da media a
molto elevata sono necessarie analisi di dettaglio sul terreno e specifiche verifiche di rotolamento, allo scopo di definire correttamente e
puntualmente il moto di caduta massi.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
Tabella 3 - Classificazione del pericolo da caduta massi. (Tratta da CHIESURIN-FENTI, 2002)
STUDIO ASS. DI GEOLOGIA FENTI e CHIESURIN - Via Pragrande - 32021 Agordo (BL)
Tabella 1 - CLASSIFICAZIONE DEL PERICOLO DA CADUTA MASSI
(Chiesurin-Fenti, 2002)
Sono riservati i diritti d'Autore (L. 22/4/41 n° 633 e L. istituita dall'Ordine Professionale dei Geologi 3/2/63 n° 112)
ZONA: Prà e Lagunaz
A
B
C
D
E
Indice di pericolo crescente
CATEGORIA
Indice di instabilità
I
II
della zona di distacco
3
6
SXQWHJJLR
Volume possibile del
3
3
<5 m
5-10 m
crollo per evento
3
6
SXQWHJJLR
Volume del masso
(volume roccioso
<0,5 m 3
1-1,5 m 3
unitario)
3
6
SXQWHJJLR
Altezza della scarpata
<10 m
10-30 m
rocciosa
2
4
SXQWHJJLR
Lunghezza del pendio
SXQWHJJLR
Inclinazione media del
F pendio
SXQWHJJLR
Andamento
topografico (rugosità
G
del pendio)
SXQWHJJLR
H
Tipo di materiale
SXQWHJJLR
I
Vegetazione
(copertura del
versante)
SXQWHJJLR
Condizioni climatiche
L e idrogeologiche
SXQWHJJLR
Frequenza storica di
M caduta massi
SXQWHJJLR
Totale punteggio
Classe di
pericolosità
Interventi
>300 m
200-300 m
III
IV
V
9
12
15
10-30 m
3
30-50 m
3
>50 m
3
9
12
15
1,5-3 m 3
3-10 m 3
>10 m 3
9
12
15
30-60 m
60-100 m
>100 m
6
8
10
100-200 m
50-100 m
<50 m
2
4
6
8
10
<15°
15-25°
25-35°
35-45°
>45°
3
6
9
12
15
con piccoli gradini
poco scalinato,
irregolare
Liscio, regolare
terrazzato
a gradini
0
6
9
12
15
VDEELDHOLPR
JKLDLDHFLRWWROL
EORFFKLHRVFDUVD
URFFLDVXEDIILRUDQWH
JURVVLEORFFKLHR
URFFLDVXEDIILRUDQWH
URFFLDDIILRUDQWH
2
4
6
8
10
HUEDFHDFRQWLQXDR
DUEXVWLYDGLVFRQWLQXD
DVVHQWH
8
10
ERVFRDGDOWRIXVWR
FRSHUWXUD
2
SLDQWHJLRYDQLR DUEXVWLHQRYHOODPHR
ERVFRDGDOWRIXVWR
ERVFRDGDOWRIXVWR
FRSHUWXUD
FRSHUWXUD
4
6
3LRJJHPROWRLQWHQVH
3LRJJHLQWHQVHOXQJKL 3LRJJHPROWRLQWHQVH
3LRJJHGDVFDUVHD
3LRJJHPRGHUDWH
HVFXUVLRQLWHUPLFKH
SHULRGLFRQIRUWL
OXQJKLSHULRGLFRQIRUWL
PRGHUDWHDVVHQ]DGL
EUHYLSHULRGLGLJHOR
VRSUDHVRWWRƒ&
HVFXUVLRQLWHUPLFKH
HVFXUVLRQLWHUPLFKH
SHULRGLGLJHORGLVJHOR
GLVJHORVFDUVD
JUDQGHYDULDELOLWjGHOOD
VHQVLELOHHGLVFRQWLQXD
VLFFLWjDOWHUQDWHDG
DVVHQ]DGL
FLUFROD]LRQHLGULFD
FLUFROD]LRQHLGULFD
FLUFROD]LRQHLGULFDQHOOH DEERQGDQWHFLUFROD]LRQH FLUFROD]LRQHLGULFDQHOOH
QHOOHIHVVXUH
IHVVXUH
LGULFDQHOOHIHVVXUH
VXSHUILFLDOH
IHVVXUH
2
4
6
8
10
QHVVXQR
3RFKLHYHQWL
HYHQWLRFFDVLRQDOL
PROWLHYHQWL
HYHQWLULSHWXWL
IUHTXHQWL
1
2
3
4
5
103
<35
molto scarsa
35-55
scarsa
56-76
media
77-100
elevata
>100
molto elevata
&RQWUROOLLQSDUHWH
'LVJDJJLRHSXOL]LDGHOOD
'LVJDJJLRHSXOL]LDGHOOD
GLVJDJJLR
SDUHWHFRQVROLGDPHQWR
1RQVRQRQHFHVVDUL 1HFHVVLWjGLSXQWXDOL FRQVROLGDPHQWRLQVLWR SDUHWHFRQVROLGDPHQWRLQ
LQVLWRGHOOHPDVVHD
SDUWLFRODULLQWHUYHQWLGL YHULILFKHHFRQWUROOL GHOOHSULQFLSDOLPDVVH VLWRGHOOHPDVVHDULVFKLR
ULVFKLRQRQUHPRYLELOL
FRQVROLGDPHQWRRGL
VXOODSDUHWH
LQVWDELOL9HULILFKHGL QRQUHPRYLELOLYHULILFKHGL
YHULILFKHGLURWRODPHQWR
SURWH]LRQH
HYHQWXDOHGLVJDJJLR
URWRODPHQWRPDVVL URWRODPHQWRPDVVLRSHUH
PDVVLRSHUHSDUDPDVVL
SDUDPDVVL
HYHQWXDOLRSHUH
VSHFLDOLLQSLRUGLQL
SDUDPDVVL
291
292
Ennio Chiesurin
Applicazione del metodo all’area a rischio di Listolade
Confrontando la matrice allegata (vedi tabella riportata in Tabella
3) l’indice di pericolosità valutato risulta pari a 90. Ciò definisce una
classe di pericolosità “elevata” a cui corrispondono i seguenti interventi
di pertinenza: “Disgaggio e pulizia della parete, consolidamento in sito
delle masse a rischio non removibili, verifiche di rotolamento massi,
opere paramassi”.
I risultati della matrice evidenziano che in seguito ad un’indagine
dettagliata come quella eseguita per il presente studio ed applicando
correttamente il metodo a matrice di CHIESURIN E FENTI (2002), è possibile ottenere informazioni molto utili ed importanti sul pericolo che, in
questo caso, è definito “elevato”.
SIMULAZIONE DI CADUTA MASSI TRAMITE PROGRAMMA DI CALCOLO
BIDIMENSIONALE APPLICATO ALLA FRANA DI LISTOLADE
Giacchè è risultato assai particolare il moto di caduta dei grandi massi che hanno raggiunto il piede del versante, è stata eseguita una simulazione del moto di caduta tramite i metodi numerici normalmente in uso.
La simulazione si configura quale back analysis dell’evento, per ricostruire i parametri che hanno condizionato il moto e verificare l’attendibilità o i limiti dei normali programmi di calcolo in commercio,
nei confronti di eventi di caduta paragonabili a questi.
L’evento di caduta dei massi da 100 m3 (2002) e 50 m3 (2005), ha le
seguenti caratteristiche fondamentali:
Distacco della massa da q. 1400 m s.l.m.
Rotolamento e saltazione lungo il versante regolare, inclinato di
28°, per una lunghezza di oltre 1000 m
In corrispondenza del piede, su terreno organico e alluvionale, definibile soffice, i massi hanno terminato il moto in seguito a n° 3 rimbalzi con voli di ~15 m, formando solchi lunghi ~12 m e profondi
~1 m ad ogni impatto a terra.
Il moto dei grandi massi lungo il versante non è particolarmente
sorprendente, se non per l’evidente inefficacia allo smorzamento delle
energie da parte della vegetazione arborea.
Ciò che risulta sorprendente sono le traiettorie al piede del versante.
Infatti, qualsiasi esperto del settore, avrebbe previsto un arresto per
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
293
punzonamento del terreno soffice, al raccordo tra versante e piana alluvionale, o al più un breve tratto in rotolamento dei massi che comunque
si sarebbero dovuti arrestare entro pochi metri.
Invece, nella parte terminale del moto, i massi hanno saltato prima
dell’arresto, facendo voli anche piuttosto lunghi.
Back analysis della caduta massi
Allo scopo di conseguire adeguate informazioni sui moti di caduta
dei massi, sono state eseguite numerose simulazioni tramite programma
di calcolo tipo “lumped mass” (bidimensionale) su una sezione rappresentativa tracciata lungo il percorso dei massi.
La sezione è stata ricostruita sulla base della Carta Tecnica Regionale 1:10.000 ed integrata tramite rilievo con strumento topografico (clisimetro e distanziometro laser).
Si ricorda che la sezione è necessariamente schematica e discretizzata per tratti omogenei.
Per le simulazioni dei moti di caduta dei massi è stato utilizzato il
programma di calcolo “Rocfall 4” della Rocscience, che può simulare
migliaia di cadute contemporaneamente, permettendo un’attendibile
analisi statistica.
Taratura del modello di caduta massi
Parametri del terreno
I parametri principali del terreno che condizionano il moto del masso
(angolo d’attrito e coefficiente di restituzione dell’energia) sono quelli
più probabili, risultanti dal rilievo di campagna (tipo di terreno, sua
densità, spessore della copertura sciolta, continuità, presenza, densità
della copertura boschiva, ecc.).
I valori sono stati riferiti a quelli indicativi contemplati in bibliografia (MAZZALAI, VUILLERMIN 1995; BROILI 1979; COCCO 1991) e successivamente variati nella sezione fino ad ottenere risultati consoni alle
osservazioni locali relativamente alle zone di arresto dei massi ed al
loro moto di scendimento.
I parametri assunti non hanno un valore assoluto, in quanto le numerose variabili che intervengono a modificare il moto di un masso sono
difficilmente o affatto schematizzabili; pertanto sono state effettuate
Figura 21 - Sezione di caduta massi con indicazione delle caratteristiche del terreno.
294
Ennio Chiesurin
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
295
numerose analisi simulando 1000 cadute cadauna ed ottenendo così valori statistici (in allegato sono state riportate solo le più significative).
Per ogni parametro del terreno è stata considerata una deviazione standard adeguata (Fig. 21).
Parametri del blocco roccioso
Per queste simulazioni è stato considerato un volume del blocco roccioso pari a quello dei grandi massi che hanno raggiunto la piana alluvionale.
In ogni caso, il VRU più probabile è stato confermato anche dall’analisi geostrutturale precedentemente descritta.
Giacché il peso di volume della roccia in esame è J = ~2,7 t/m3, il
peso del masso di progetto usato nelle simulazioni è pari a 270.000 Kg
(~100 m3).
Punto di distacco del masso
Il punto di distacco del masso è stato considerato nella parte alta
della sezione.
Significato e limiti delle analisi
I risultati di seguito riportati hanno un valore “statistico – probabilistico”, non assoluto e certo, e sono conseguenti ai parametri utilizzati
nelle verifiche, che sono i più verosimili relativamente al caso in esame
in quanto ricavati tramite analisi di taratura della sezione di scendimento.
Risultati
Dalle simulazioni è stato possibile osservare quanto segue:
Nelle simulazioni tipo lumped mass, il masso è considerato puntiforme, quindi il volume del blocco e di conseguenza la sua massa,
rientrano solo nei calcoli dell’energia di caduta.
La schematizzazione delle masse rocciose in movimento, approssimate a sfere indeformabili, ha evidenziato, nel caso specifico dei
limiti che dipendono dal fatto che le masse reali non sono di solito
simili a sfere e non si mantengono inalterate durante il moto. D’altro canto, nella modellazione è impossibile tenere conto di tutte le
variabili, dato il carattere aleatorio dei processi.
296
Ennio Chiesurin
Parametri del terreno
Detrito non vegetato:
Rn = 0,35 (dev. standard = 0,1)
Rt = 0,8 (dev. standard = 0,1)
Angolo attrito masso-terreno = 30° (dev. standard = 4).
Detrito vegetato:
Rn = 0,3 (dev. standard = 0,1)
Rt = 0,8 (dev. standard = 0,1)
Angolo attrito masso-terreno = 35° (dev. standard = 4).
Suolo con vegetazione:
Rn = 0,3 (dev. standard = 0,1)
Rt = 0,8 (dev. standard = 0,1)
Angolo attrito masso-terreno = 30° (dev. standard = 2). (Fig. 18)
Le simulazioni hanno rappresentato abbastanza fedelmente quanto
avvenuto.
Infatti, la zona di accumulo (maggiore probabilità di arresto dei massi) corrisponde alle quote del principale corpo di frana.
Solo poche traiettorie (scarsa probabilità di avvenimento) raggiungono il piede del versante e solo una evidenzia un salto prima dell’arresto.
Come è possibile osservare dai risultati sopra riportati, per poter ottenere un moto del masso paragonabile a quanto realmente avvenuto, è
stato necessario attribuire al detrito vegetato parametri poco differenti
dal detrito non vegetato e soprattutto, valori dei parametri del suolo
soffice simili a quelli del detrito.
Volendo attribuire ai terreni locali i parametri sperimentali noti in
bibliografia, i massi non avrebbero mai raggiunto il piede del versante
o comunque non avrebbero effettuato alcun salto finale.
CONCLUSIONI
Lo studio ha dimostrato che le dimensioni e la forma dei massi condizionano molto il moto di caduta, anche indipendentemente dal terreno
su cui si muovono.
Ciò è dovuto sia all’inerzia della massa che tende a mantenere inalterato il moto, sia al moto volvente del masso. Infatti, nel caso specifico,
i massi erano dotati, oltre che da una grande massa rimasta inalterata,
297
Figura 22- Sezione di caduta massi: traiettorie di caduta.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
Figura 23 - Sezione di caduta massi: istogramma degli arresti e sezione comparativa deformata in Y.
298
Ennio Chiesurin
Figura 24 - Sezione di caduta massi: inviluppo delle traiettorie e sezione comparativa deformata in Y.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
299
Figura 25 - Sezione di caduta massi: inviluppo delle energie e sezione comparativa deformata in Y.
300
Ennio Chiesurin
Figura 26 - Sezione di caduta massi: inviluppo delle velocità e sezione comparativa deformata in Y.
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
301
Figura 27 - Sezione di caduta massi: particolare delle traiettorie al piede del versante, zona di arresto dei due grandi massi.
302
Ennio Chiesurin
La caduta massi nell’agordino: l’esempio del crollo di Listolade
303
rato il moto, sia al moto volvente del masso. Infatti, nel caso specifico,
i massi erano dotati, oltre che da una grande massa rimasta inalterata,
anche di una elevata velocità rotazionale. Quest’ultimo è certamente un
fattore fondamentale per il mantenimento del moto e delle traiettorie.
Quindi se all’effetto della elevata velocità rotazionale si somma l’effetto inerziale della grande massa, si giustificano i percorsi lunghi ed i
moti di saltazione nella parte finale dell’evento.
Pur tuttavia risulta difficile considerare adeguatamente questi fattori
con gli attuali strumenti di calcolo.
Infatti, anche se nella back analysis è stato possibile individuare la
traiettoria che rappresenta il moto dei massi, in realtà essa costituisce 1
probabilità su 1000 nell’analisi statistica.
Pertanto in fase previsionale, risulterebbe assai difficile considerarla
attendibile. Infatti, nella prassi comune tale evento sarebbe considerato
quale un’anomalia di calcolo, pur rientrando nell’analisi statistica.
BIBLIOGRAFIA
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del pericolo da caduta massi. Geologia Tecnica e Ambientale n° 4/02. Roma.
HOEK E. & BRAY J.W. (1991). Rock slope engineering. Institution of mining and metallurgy. Elsevier applied science. London.
HOEK E. (2007). Rock Engineering. Course notes.
HOEK E. & MARINOS P. (2000). Predicting tunnel squeezing problems in weak heterogeneous rock masses. Pubblished in Tunnels and Tunnelling.
HOEK E., CARRANZA C., CORKUM B. (2002). “Hoek-Brown failure criterion – 2002
edition”
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ISRM - COMMISSION OF TERMINOLOGY, SYMBOLS AND GRAPHIC RAPRESENTATION (1975).
Terminology.
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PARONUZZI P. (2006). Processi caratteristici e classificazione delle frane di crollo.
Geologia Tecnica e Ambientale n° 1-2/06. Roma.
TANZINI M. (2001). Fenomeni franosi e opere di stabilizzazione. Dario Flaccovio.
La miniera di rame del Sasso Negro
LA MINIERA DI RAME DEL SASSO NEGRO
(VALLE DI GARÉS):
STUDIO PRELIMINARE E PRIME IMPLICAZIONI STORICHE
Paolo NIMIS, Paolo OMENETTO, Gilberto ARTIOLI
Dipartimento di Geoscienze, Università di Padova
(con il contributo del Gruppo Archeologico Agordino, Agordo)
e-mail: [email protected]
INTRODUZIONE
Nell’area compresa tra l’alta Valle di Garés e la Valle di S. Lucano, presso il margine nord-orientale del gruppo delle Pale di S. Martino
(Dolomiti orientali), si ritrovano alcune manifestazioni metallifere con
minerali di rame (Fig. 1). Nella scarsa letteratura scientifica esistente,
esse sono descritte esclusivamente come mineralizzazioni a pirite (marcasite), più o meno cuprifera, ospitate nelle rocce vulcaniche mediotriassiche (piuttosto abbondanti in questo settore dell’area dolomitica)
o nei calcari, immediatamente sottostanti, appartenenti alla Formazione
di Livinallongo (OMENETTO, 1968; CAVINATO, 1968)1. Si tratta invariabilmente di giacimenti di piccole o piccolissime dimensioni, che non hanno
mai presentato interesse economico in tempi moderni, ma che potevano
risultare appetibili in tempi storici o preistorici, quando era molto più
stringente la necessità di fonti di approvvigionamento locali.
Effettivamente, numerose sono le documentazioni che testimoniano
di antiche attività minerarie legate alla ricerca ed estrazione del rame in
questi luoghi a partire almeno dal XVI secolo, fino probabilmente alla
metà del XVIII secolo (DELLA GIACOMA & FIOCCO, 2007, e riferimenti
ivi citati). I documenti storici, tuttavia, presentano in genere indicazioni
sommarie sulla tipologia di minerale utile e sulla sua ubicazione. Col
tempo, inoltre, buona parte delle antiche vestigia minerarie è andata perduta. L’effettiva corrispondenza tra le indicazioni storiche e le evidenze
scientifiche di terreno rimane quindi spesso congetturale.
Recentemente, è stata da noi esplorata un’antica galleria mineraria lo1
CAVINATO (1968, p. 53) indica erroneamente tali rocce carbonatiche come
“calcari raibliani”.
305
306
Paolo Nimis, Paolo Omenetto, Gilberto Artioli
Figura 1 - Carta geologica dell’area compresa tra l’alta Valle di Garès e l’alta Valle di S. Lucano,
con ubicazione delle mineralizzazioni accertate sulla base degli studi di CAVINATO (1968) e del presente lavoro. Ridisegnata sulla base della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, Foglio
“Feltre”, e dei rilevamenti di SARTI & ARDIZZONI (1984). Crono-litostratigrafia rivista in accordo
con NERI et al. (2007).
La miniera di rame del Sasso Negro
307
Malga Valbona, alla testata della V. di Garés. Questa galleria, discussa
da un punto di vista storico da DELLA GIACOMA & FIOCCO (2007), ma
mai citata espressamente nella letteratura scientifica esistente, presenta
tracce evidenti di un’interessante mineralizzazione a rame, che viene qui
descritta per la prima volta.
IL RAME TRA V. DI GARÉS E V. DI S. LUCANO NELLA STORIA
L’antico interesse minerario per la zona compresa tra la Valle di Garés e
la Valle di S. Lucano è testimoniato da una decina di investiture concesse
dalla Repubblica di Venezia tra il 1666 e il 1730, e da svariati altri documenti quali richieste di investitura, notifiche e relazioni dei Deputati alle
miniere prodotti nel periodo 1561–1775 (si veda DELLA GIACOMA & FIOCCO, 2007, per un’utile revisione critica della documentazione esistente).
Si riporta qui a titolo di esempio tre di tali investiture che fanno esplicito
riferimento all’area considerata, così come riportate nello studio storico
di Oreglia (1915):
28 giugno 1672: «Nella Regola di Garés, nel monte detto Stornol nella Val Bona porta nei Beni Comunali. Al N. H. Ser Gio. Batta. Vanassel – Miniera di rame.»
21 luglio 1672: «Nel territorio di Agordo, montagna di Malgonera –
Alla N.D. Andreina Crotta e Compagni – Busa sive minera, confina a
mattina la stia di val di Gardes1 , a mezzodì il monte di Valzere, a sera
il Larese, a settentrione luogo detto Dapè.»
25 agosto 1673: «Ad Agostin Nodal di Taccon e Compagni – Minera
dimostrante vena di rame. Confina a mattina il Pian di Garés, a sera
la Rocca Bianca, a mezzodì di sotto del Coston di Sasso Negro, a sera
l’acqua di Garés.»
Esistono almeno due ordini di problemi quando si analizzano documenti come quelli sopra riportati. Il primo problema deriva dal fatto che
le indicazioni sulla natura del minerale utile sono generiche, forse non
sempre pertinenti (un banale affioramento di pirite poteva suscitare in
taluni la speranza, non necessariamente ben riposta, di recuperarne del
rame), e di scarsa utilità per un confronto con le evidenze di terreno. Le
1
Quella di Gardes, da non confondersi con Garés, è una valle minore che
limita a nord-ovest le Pale di S. Lucano (Fig. 1).
308
Paolo Nimis, Paolo Omenetto, Gilberto Artioli
indicazioni geografiche sono pure piuttosto vaghe, talora apparentemente
contraddittorie, e fanno spesso riferimento a toponimi vecchi di difficile
individuazione. Il secondo problema deriva dal fatto che un’investitura
poteva essere concessa anche semplicemente a scopo di ricerca e non
è generalmente dato a sapere se tale ricerca abbia effettivamente avuto
buon esito e se ad essa sia poi realmente corrisposta un’attività estrattiva.
Che un’attività mineraria per il rame sia effettivamente esistita, con
alterne fortune, in particolare nella zona del Sasso Negro è comunque
comprovato da diverse notifiche e relazioni dei Deputati alle miniere della Repubblica di Venezia redatte nel periodo 1678–1775. Più tardi, JERVIS (1873) afferma, sulla base di fonti imprecisate e probabilmente non
del tutto corrette, che nella V. di Garés esiste «una miniera abbandonata
di calcopirite, anticamente lavorata da Remondini e Crotta», senza per
altro fornire dettagli circa la sua esatta ubicazione. Più recentemente, anche Fusina (1944) riporta che nel XVIII secolo «la ditta Morandini2 di
Bassano [coltivò] una miniera di calco-pirite sita a circa 1200 metri dal
villaggio [di Garés] … essa doveva essere molto redditizia, giacchè la
ditta concessionaria fece costruire a proprie spese la chiesetta di Gares,
in segno di gratitudine per i profitti conseguiti3» . Lo stesso autore aggiunge che «varie sono state le ricerche per rintracciare la miniera ma
senza alcun risultato». CAVINATO (1968) riporta successivamente una vecchia ricerca per pirite nella parte alta della Valle di Garés, presso Casere
Cesurette, fornendo la sua ubicazione e una planimetria di una galleria da
lui parzialmente esplorata4. Tale galleria si trova proprio a 1200 m in linea
d’aria dal villaggio di Garés e potrebbe quindi teoricamente corrispondere alla miniera citata da FUSINA (1944), anche se la natura del minerale,
essenzialmente piritosa secondo CAVINATO (1968), non suggerirebbe un
elevato potenziale per l’estrazione del rame. Lo stesso CAVINATO (1968)
riporta anche che, poco più a monte, «…in prossimità di Malga Valbona
2
Evidentemente, il nome corretto è in realtà “Remondini”.
3
L’indicazione data da Fusina (1944) è sostanzialmente conforme a quanto
riportato in un antico documento dell’Archivio di Stato di Venezia (Deputati alle
miniere, Lettere responsive, Agordo, 1772–1775), citato e trascritto da Della Giacoma & Fiocco (2007, p. 127), nel quale però non si fa menzione della natura del
minerale di rame né della distanza della miniera dal villaggio di Garés.
4
Sezioni e planimetrie dettagliate di questa galleria (nota come “Bus de Stol”)
e delle altre due gallerie qui di seguito citate sono riportate in DELLA GIACOMA &
FIOCCO (2007, pp. 159–161).
La miniera di rame del Sasso Negro
309
è stata scavata nelle porfiriti una galleria di una quindicina di metri che
non ha incontrato la minima traccia di minerale». Una galleria aperta
nelle vulcanoclastiti ladiniche alla base della parete del Sasso Negro a q.
1865 m s.l.m. è in effetti ben visibile da Malga Valbona (Fig. 2). Tale galleria non è stata riesplorata nel corso del presente lavoro. L’antica galleria
qui studiata si trova poco più a nord alla base della stessa parete, a q. 1880
m s.l.m. (Fig. 2)5.
5
Tale galleria è la stessa attribuita con beneficio del dubbio da DELLA GIACOMA
& FIOCCO (2007) all’investitura concessa al N.H. Vanaxel (Vanassel) nel 1672. Si
noti che in questa pubblicazione, l’ubicazione della galleria (cfr. Fig. 1 a p. 130) è
imprecisa ed è posta più a monte di quella reale.
Figura 2 - Vista da Malga Valbona (in primo piano) verso la dorsale del Sasso Negro (est), con
ubicazione della galleria di q. 1880 esplorata nel corso del presente lavoro e della galleria, priva
di mineralizzazione, di q. 1856. La linea gialla marca il limite tra le rocce di piattaforma carbonatica (fm. dello Sciliar) e le rocce vulcanoclastiche ladiniche. La linea bianca marca l’andamento
della faglia di direzione N20°W, in corrispondenza della quale sembra essersi impostata la mineralizzazione.
310
Paolo Nimis, Paolo Omenetto, Gilberto Artioli
LA MINERALIZZAZIONE
La galleria, seminascosta dietro un piccolo risalto roccioso determinato
da una faglia subverticale di direzione N20°W che disloca la parete occidentale del Sasso Negro (Fig. 2), è facilmente percorribile per una trentina
di metri fino ad un abbassamento allagato. Le pareti della galleria presentano tracce evidenti di una mineralizzazione a rame, sottolineata dalla
presenza di incrostazioni verdi di ossidati e da disseminazioni di solfuri.
Per quanto visibile, la mineralizzazione appare concentrata in vicinanza
della suddetta faglia, la cui direzione corrisponde sostanzialmente a quella
della galleria (Fig. 3). In prossimità della faglia, ed anche oltre la zona mineralizzata a rame, le vulcanoclastiti mostrano evidenze di una brecciatura
tettonica e sono attraversate da numerose vene di calcite (Fig. 3). Rocce
mineralizzate a solfuri di rame e calcite con caratteristiche del tutto ana-
Figura 3 - Miniera del Sasso Negro. Si noti il liscione di faglia
sulla destra e le evidenti vene di
calcite (bianca) che attraversano
le vulcanoclastiti. Le patine verdi
qui visibili sono dovute alla presenza di licheni.
La miniera di rame del Sasso Negro
311
Figura 4 - Macro- e microfoto in luce riflessa di campioni rappresentativi della mineralizzazione
a solfuri di rame del Sasso Negro. Dove non specificato, i campioni provengono dall’interno della
galleria di q. 1880. (a) Breccia di roccia vulcanica cementata e in parte sostituita da calcite, con
vena a solfuri di rame parzialmente ossidati (freccia). Campione tagliato proveniente dal detrito
alla base della parete occidentale del Sasso Negro. (b) Calcopirite (gialla) interstiziale a calcite
drusiforme. (c) Bornite (rossastra) con fini essoluzioni di calcopirite, parzialmente sostituita da
calcopirite (gialla), con covellina secondaria (blu), in ganga di calcite (grigia). (d) Bornite (rossastra) che sostituisce parzialmente calcopirite microcristallina (gialla), contenente microinclusioni
di pirite (bianca) e tetraedrite (piccolissimi granuli grigi, poco visibili nella foto), in ganga di
calcite (grigia). Presente covellina secondaria (blu). (e) Coccarda con deposizione alternata di
calcopirite e bornite, nucleata su cristallo di calcite (grigia). Presenti microinclusioni di pirite
(bianca). (f) Concrescimenti mirmechitici di bornite (violacea) e calcocite (grigio azzurra), in
ganga di calcite (grigio scura). La calcite ha sostituito parzialmente i minerali di rame.
312
Paolo Nimis, Paolo Omenetto, Gilberto Artioli
loghe a quelle osservate in galleria si rinvengono anche nel detrito alla
base della parete (Fig. 2).
La mineralizzazione utile si ritrova in forma di venette e disseminazioni in una breccia costituita da frammenti di roccia vulcanica cementati e in parte sostituiti da calcite e subordinato quarzo (Fig. 4). Laddove
la mineralizzazione ha sostituito la roccia vulcanica, il quarzo contiene
frequenti microinclusioni di rutilo. All’esame minerografico su sezione
lucida, l’associazione metallifera appare costituita da calcopirite e bornite
prevalenti, con minori quantità di calcocite, tetraedrite e galena, e con
sfalerite, pirite e magnetite in quantità decisamente minoritaria (Fig. 4).
In un campione sono state osservate tracce di solfuri e solfoarseniuri di
nichel (millerite e gersdorffite). La bornite e la calcopirite compaiono sia
in plaghe di forma irregolare, spesso parzialmente cariate dalla calcite
(Fig. 4b,c,d,f), sia in aggregati globulari colloformi a bande concentriche (Fig. 4e). Alcune calcopiriti mostrano fini essoluzioni di bornite. Fini
essoluzioni di calcopirite sono altresì presenti in alcune borniti (Fig. 4c).
I vari solfuri mostrano talora parziali alterazioni in carbonati di rame,
crisocolla e ossidi di ferro (a spese di calcopirite), covellina (a spese soprattutto di bornite) e cerussite (a spese di galena). Le caratteristiche della
mineralizzazione indicano una deposizione da fluidi idrotermali di temperatura relativamente bassa, ricchi in rame, e caratterizzati da frequenti
oscillazioni composizionali e, probabilmente, termiche.
CONCLUSIONI
Il carattere della mineralizzazione del Sasso Negro non trova riscontro
nelle manifestazioni piritose più o meno cuprifere presenti nella medesima area (Cesurette, Valle di Reiane) e in aree limitrofe e costituisce
pertanto una tipologia distinta di giacimento idrotermale, di temperatura
moderata, forse geneticamente legata al vulcanesimo triassico.
La natura del minerale attualmente ancora osservabile, caratterizzato
dalla presenza di solfuri particolarmente ricchi in rame e spesso parzialmente sostituiti dalla calcite, suggerisce che la mineralizzazione originariamente coltivata potesse avere tenori in metallo abbastanza elevati,
tali da consentire, nonostante le scarse dimensioni del giacimento, uno
sfruttamento piuttosto redditizio in tempi storici o preistorici. La diffusa
presenza di bornite e la sostanziale consanguineità tra il minerale rinve-
La miniera di rame del Sasso Negro
313
nuto in galleria e quello presente nel detrito sottostante non supportano
l’ipotesi avanzata da DELLA GIACOMA & FIOCCO (2007), i quali, ritenendo
la mineralizzazione della galleria a q. 1880 costituita essenzialmente da
calcopirite, proponevano la possibile esistenza di una terza galleria, non
più rintracciabile, quale fonte della bornite ritrovata nel detrito.
È interessante notare come l’analisi degli isotopi del piombo del minerale del Sasso Negro abbia evidenziato una composizione isotopica
distinta da quella dei principali giacimenti cupriferi dell’area dolomitica, incluso quello vicino, decisamente più importante dal punto di vista
economico, di Valle Imperina (NIMIS et al., in prep.). Un’eventuale provenienza diretta del metallo utilizzato per la produzione di manufatti antichi
dalla miniera del Sasso Negro (o da altre eventuali mineralizzazioni non
ancora identificate, ma geologicamente analoghe a quella qui descritta)
potrebbe quindi essere verificata mediante il confronto tra le composizioni isotopiche dei manufatti e quelle del minerale della miniera.
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- Pale di Sanson (Dolomiti Bellunesi). Mem. Sci. Geol. 36:353-370 (1 carta
geologica scala 1:15000).
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