ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO (L') Regia: Agostino Ferrente Interpreti: Mario Tronco, Agostino Ferrente, Dina Capozio, Mohammed Bilal, Houcine Ataa, Carlos Paz, Rahis Bharti, Ziad Trabelsi, Omar Lopez Valle, Raul Schebba, Pap Yeri ,Samb, John Maida, Pino Pecorelli, Peppe D'Argenzio, Marian Serban, Amrit Hussain, Giuseppe Smaldino, Evandro Dos Reis, Gaia Orson, Awalys, Ernesto Lopez, Eszter Nagypal Genere: Documentario/Musicale - Origine: Italia - Anno: 2006 - Soggetto: Agostino Ferrente, Massimo Gaudioso, Francesco Piccolo, Mariangela Barbanente - Sceneggiatura: Agostino Ferrente, Massimo Gaudioso, Francesco Piccolo, Mariangela Barbanente - Fotografia: Alberto Fasulo, Greta De Lazzaris, Simone Pierini, Giovanni Piperno, Sabrina Varani - Musica: "L'orchestra di Piazza Vittorio" - Montaggio: Jacopo Quadri, Desideria Rayner - Durata: 90' Produzione: Lucky Red, Pirata M.C., Bianca Film - Distribuzione: Lucky Red (2006) Dalla prima idea al primo concerto, il lavoro documenta una iniziativa che ha inteso far emergere una parte delle ricchezze rappresentate dagli immigrati a Roma, soprattutto da paesi extra europei. Nella formazione finale ci sono infatti rappresentanti di oltre dieci Paesi, dall'Africa al Sud America all'India. Se l'iniziativa é senza dubbio lodevole, meno riuscito sembra questo prodotto per immagini. Troppo spesso infatti un certo tono politico interviene a supportare quello che si vede fino a sconfinare nella demagogia. L'atteggiamento sentenzioso e di parte smorza il genuino entusiasmo per l'operazione, che dovrebbe essere finalizzata ad unire più che a dividere. Il risultato é la perdita di vivacità e della capacità di arrivare ad un coinvolgimento il più ampio possibile. Resta l'idea di base, da condividere, che la musica é u sicuro collante per fare incontrare ppopoli diversi tra loro e per superare le barriere. Dal punto di vista pastorale, il film é da valutare come discutibile e nell'insieme ambiguo. Discutibile/Ambiguo Valutazione - È un documentario, ma racconta una storia che figurerebbe bene in un film di fiction. Persino in una di quelle favole hollywoodiane di riscatto sociale dove situazioni difficili e addirittura drammatiche si risolvono magicamente con un happy end. Salvo che in "L'orchestra dì Piazza Vittorio" il lieto fine è vero, come testimonia l'esistenza dell'orchestra stessa. Prima di proseguire però, sarà opportuno precisare per i non romani che l'enorme piazza del titolo si trova nel quartiere Esquilino a ridosso della stazione Termini. Zona piccolo borghese in epoca umbertina e sede di un famoso mercato, è ora abitata prevalentemente da extra comunitari o da studenti e artisti italiani, in cerca di affitti convenienti e di un clima culturale alternativo. Come il regista Agostino Ferrente, nativo di Cerignola, che nel rione sì è trovato subito a suo agio perché da bravo meridionale l'emigrazione ce l'ha nel Dna. E come il casertano Mario Tronco, affermato pianista e compositore degli Avion Travel, che un bel giorno ha avuto l'idea di provare a mettere insieme un gruppo di musicisti ruspanti e professionisti provenienti da ogni parte del mondo, fondendo le diverse sonorità di appartenenza in un tutto unico. Seguita con partecipazione e umorismo da Ferrente sull'arco di cinque anni, l'impresa si rivela meno semplice del previsto. A parte i cinesi, che dovendo proteggere i loro traffici con i lavoratori clandestini si tirano subito fuori, scovare gente che, fra Senegal e India, Marocco e Cuba, Romania e Brasile, conosca davvero la musica e accetti di far parte di un'orchestra 'che non c'è', proprio come l'isola di Peter Pan, richiederà lunghe peregrinazioni e un paziente lavoro di diplomazia. Inutile dire che alla fine sotto l'ispirata guida di Tronco, l'orchestra diventa una realtà e con le sue entusiasmanti, coloratissime esibizioni dal vivo conquista le simpatie di un pubblico prima romano e poi internazionale. Un piccolo miracolo di integrazione nel nome dell'arte da assumere a modello di una società futura che, il film lo proclama a suon di musica, solo se multirazziale sopravviverà. La Stampa - Alessandra Levantesi Kezich - 22/09/2006 Giornalisti e critici hanno, fino ad oggi, parlato di "L'orchestra di piazza Vittorio" di Agostino Ferrente (passato all'ultimo Festival di Locarno) più dal punto di vista contenutistico, per la storia favolosa che racconta, ovvero del sogno divenuto realtà di una orchestra multietnica nel cuore esquilino di Roma. Vorremmo sottolineare che i documentari non si fanno da soli: Agostino Ferrente, pur nella difficoltà dei pochi mezzi a disposizione, ha seguito per cinque anni il sogno di questa Orchestra e l'ha 'messo in scena' trasmettendo tutto il senso di una operazione non comune. L'Unità - Dario Zonta - 15/09/2006 Ecco una possibile risposta alla geniale domanda posta da Fellini nel '79 in "Prova d'orchestra": come nasce dalla somma di tanto persone diverse l'armonia della musica? Forse proprio dalla disarmonia, in questo caso sociale e politica, geografica, oltre che musicale. Perché nel bel documentario di Ferrente si racconta la nascita di un'orchestra oggi popolare, creata dall'ex tastierista degli Avion Travel Mario Tronco anche come atto di volontariato per proteggere dalla legge Bossi-Fini gli immigrati. Storia che nasce per salvare un locale, ma finisce per essere la testimonianza di un sogno di tolleranza e di solidarietà, qualunque sia lo spartito che si suoni. Il Corriere della Sera - Maurizio Porro - 13/10/2006 Accade tutti i giorni di incrociare per strada dei suonatori ambulanti, nostrani o stranieri, balcanici o di colore. Alcuni sono della categoria che in gergo si chiamano 'finti', cioè varianti aggiornate del 'Povero suonatore' di Grillparzer: persone che sanno a malapena cavare qualche nota dallo strumento, adoperato come ingenua copertura dell'accattonaggio. Altri, invece, sono bravi o bravissimi, tanto che la gente sosta per ascoltarli, li applaude e lascia volentieri qualche spicciolo nel loro cappello. Sicché vien da chiedersi, ogni volta: come mai un simile talento si esibisce in mezzo alla strada anziché sul podio di un concerto? Le risposte possono essere varie, legate a storie di vita e decadenza personale, ma ormai riguardano soprattutto vicende di emigrazione. Nel cuore di Roma, quartiere Esquilino, la piazza Vittorio Emanuele (che nella parlata popolare ha perso il secondo nome) è un vastissimo rettangolo di palazzoni a portici eretti verso la fine dell'800. Fino a qualche tempo fa la piazza era la sede del megamercato dove l'operaio di De Sica va a cercare la bicicletta che gli hanno rubato. Negli anni è diventata il luogo d'incontro di gente d'ogni razza e paese, che vi ha fatto il nido. Dalla contemplazione dell'incomparabile crogiolo due immigrati meridionali, il musicista casertano Mario Tronco e il cineasta pugliese Agostino Ferrente hanno tratto ispirazione per l'impresa raccontata giorno per giorno nel film-verità "L' orchestra di Piazza Vittorio". Siamo di fronte a una specie di versione moderna e neorealista della favola dei Grimm 'I suonatori di Brema', dove l'asino, il cane, il gatto e il gallo si mettono insieme per emanciparsi dai padroni formando un'orchestra. Da una parte è nata questa utopia di formare un complesso musicale riunendo i musicisti di varia origine ed estrazione, dilettanti e no, gravitanti intorno alla piazza; dall'altra si è profilata l'urgenza di salvare il fatiscente cinema Apollo, importante centro di aggregazione della zona, dal diventare una sala di bingo. Le due iniziative parallele sono confluite in un terzo progetto, quello di raccontare il tutto in un film che ha avuto il suo trionfale battesimo in agosto al festival di Locarno. Per valutare la colonna sonora ci vorrebbe un musicologo in grado di analizzare l'impasto, gradevole quanto bizzarro, suggestivo quanto discutibile, di voci e strumenti derivante dalla collaborazione di una trentina di musicisti provenienti da tutte le parti del mondo. Al cinecritico spetta soltanto di constatare che presentandosi come un musicalverità quella di Ferrente è in realtà una metafora politica. La puntuale e animata descrizione di un'avventura multietnica che è una lezione sull'unica strada da intraprendere per salvare un mondo in via di rapida trasformazione confusionale: l'integrazione e la valorizzazione dei talenti e delle culture, la contromisura per ciò che Danilo Dolci ha chiamato 'lo spreco' degli esseri umani. Ben presto lo capiranno anche i fomentatori della 'paura del diverso', i profeti delle guerre etniche: il mondo di domani sarà in grande l'orchestra di Piazza Vittorio, o non sarà. Più o meno tutti i popoli sono rappresentati nel complesso, tranne i cinesi: i quali, rintanati nei laboratori clandestini della piazza, pensano solo (come si vede nel film) a sfruttare la mano d' opera che lavora in nero per fabbricare prodotti scadenti a buon mercato e griffe false. L' impresa di Tronco e Ferrente può essere vista come la versione ruspante dell'iniziativa del maestro Daniel Barenboim, che dal 1999 fa suonare insieme 78 musicisti israeliani e arabi nella West-Eastern Divan Orchestra. Il monito che emerge delle due operazioni parallele, anche se in piazza Vittorio regna la musica varia e Barenboim propone la Nona sinfonia, è assolutamente lo stesso: fate l'orchestra e non la guerra. Il Corriere della Sera - Tullio Kezich - 22/09/2006 Scene da un film diverso da tutti. Due cinesi allacciati in un tango a Piazza Vittorio sulle note della tromba suonata da un cubano. Un argentino che improvvisa un trascinante assolo di percussioni, poi accompagna gentile i visitatori verso la porta di casa che però è la saracinesca di un garage, perché una casa vera non ce l'ha ('anzi, se conoscete qualcuno che ha un buco da affittare...'). Un ecuadoregno che canta accompagnandosi con la chitarra una nenia ammaliante anche se del tutto priva di parole. Un 'tablista' indiano mai uscito prima dal suo villaggio nel Rajastan che contempla a bocca aperta Roma by night dal finestrino del taxi ('Certo che è bella. E' nella categoria delle città più belle del mondo' spiega il cugino immigrato che lo ha trascinato lì per suonare con lui; 'è anche la città di Romeo e Giulietta, sai quelli morti per amore...'). Evviva: ci sono voluti quattro anni, ma alla fine Agostino Ferrente ce l'ha fatta. "L'orchestra di piazza Vittorio" non è più solo un'utopia realizzata, un sogno concepito con Mario Tronco degli Avion Travel e lentamente, testardamente trasformato in realtà. La nascita di quell'orchestra multietnica e transculturale dove suonano e cantano tutti insieme indiani e brasiliani, ungheresi e argentini, senegalesi e americani, tunisini e rumeni, è diventata anche un film che racconta molte cose insieme. Racconta con ironia e complicità l'ostinazione, il coraggio, l'invidiabile candore con cui Tronco e Ferrente hanno setacciato la città cercando musicisti di ogni parte del mondo nelle strade, nei ristoranti e perfino nei vagoni della metropolitana. Racconta una piccola e insieme immensa vittoria dell'iniziativa individuale sulle inerzie e le inevitabili lentezze della mano pubblica (tutto nasce dall'idea di riconvertire in laboratorio multidisciplinare l'Apollo, ex-sala di quartiere decaduta in locale a luci rosse e poi comprata dal Comune, che però ci mette anni a ristrutturare e riaprire, sicché Ferrente, Tronco e gli amici dell'Apollo 11 decidono di autofinanziarsi per andare avanti). Racconta con fraseggio a sua volta sapientemente musicale il divertimento e la sfida, le sorprese, l'eccitazione continua di un progetto che prende corpo fra mille difficoltà. Perché anche se Monique Veaute, direttrice di RomaEuropa, invita la costituenda orchestra a debuttare nel suo festival, anche se le comunità arabe, latinoamericane e poi indiane si mobilitano per convogliare su Roma cantanti e strumentisti, non sempre è facile armonizzare artisti così lontani per temperamento e provenienza. Ma la musica è il mezzo migliore per avvicinare i mondi: e quella prodotta da quest'orchestra che poteva nascere solo a Roma, così esotica e insieme così familiare, è davvero il simbolo di una fiducia nella diversità, nella tolleranza e nella curiosità reciproca, che oggi più che mai dobbiamo coltivare ad ogni costo. Il Messaggero - Fabio Ferzetti - 15/09/2006 Uno dei pochi documentari (italiani) che accedono all'utopia della (piccola) distribuzione in sala. Il film, oltre la sua rumorosa forma di 'docu-musical', è più ma anche meno di quello che dice di essere. Innanzitutto non è solo il diario del curioso esperimento messo in piedi da due migranti tra i migranti. È anche il manifesto, la bandiera, il premio di partecipazione di tutto un gruppo: quello di coloro che negli ultimi anni si sono raccolti attorno all' 'Apollo 11' (l'associazione nata in vista dell'acquisizione del cinema Apollo), tra i quali, sopra tutti, la piccola 'confraternita' di documentaristi e filmaker che presidiano il variopinto (e spesso pittoresco) territorio dei festival e delle rassegne sparsi per tutto lo stivale, isole comprese; e che finalmente, in qualche modo, entrano in sala pure loro. Nel più c'è poi anche l'essere una via promozionale (e di finanziamento) per l'orchestra; ma questo non c'entra molto. Il film è dinamico, rapido e fluido. Forse anche troppo. E qui si viene al meno. I personaggi sfilano, chi intonando un ritornello esotico, chi mettendo in scena amene tranche de vie, chi non avendo neppure il tempo per mostrare alla macchina il proprio volto. La narrazione del progetto finisce per travolgere i suoi protagonisti principali e del loro incontro non resta che qualche aneddotico cliché: la macchina da presa non aspetta nessuno di loro, soltanto ne trae risate e lacrime tante quante gliene servono per riempire e rafforzare. Il tempo dell'intera pellicola è quello del fare e si sente forte la mancanza del tempo dell'essere, cioè del senso. Cosa fa stare uniti in un gruppo tutti quanti questi uomini? Cosa permette loro di trovare un comune tempo d'espressione? Di fondere le proprie individualità tanto distanti in unica armonia coerente, ricca della ricchezza di ciascuno di loro, della loro lingua, cultura, religione, musica? Utile e interessante sarebbe stato tentare una risposta, ma ancor di più sarebbe (stato) necessario porsi seriamente domande come queste. Film - Silvio Grasselli - 2007-85-3 Agostino Ferrente, come in un diario, filma la formazione di questa band e i suoi primi spettacoli: trenta persone di 15 nazionalità diverse, ciascuno con il proprio bagaglio culturale e di esperienze di vita da confrontare e da condividere. Sembra tutto facile, ma non lo è: l'orchestra riproduce un microcosmo di paure, prove, delusioni, successi, tentativi, come nella quotidianità. E ancora: gli ostacoli della burocrazia, la richiesta dei permessi per suonare, la mancanza di soldi: l'orchestra diventa lo specchio dell'Italia di oggi. Nato da un'idea di Mario Tronco tastierista degli Avion Travel gruppo musicale ora è una realtà, ma ci è voluto un grande sforzo per metterlo insieme, così come è stata necessaria una grande volontà per realizzare il documentario. Prodotto e distribuito dalla Lucky Red, in collaborazione con la Regione Lazio, il film ha visto all'opera 5 tecnici di ripresa, 4 fonici, 4 montatori, 3 videocamere: un laboratorio sociale, una commedia umana, un mix di note, di facce, di linguaggi e di storie. Presentato a Locarno in Piazza Grande durante la serata di chiusura del Festival, il documentario e il concerto dal vivo dopo la proiezione hanno trascinato il pubblico che per due ore ha battuto le mani e ballato al ritmo della musica indiana, tunisina, cubana, napoletana. Musica che, come dovrebbe accadere più spesso, è diventata elemento di aggregazione. Anche perché il miglior modo per raccontare le storie, forse, è proprio quello di cantarle. Vivilcinema - Alessandra Montesanto - 2006-4-40 _ Vivilcinema - - 2006-4-40 La storia dell'Orchestra di Piazza Vittorio, iniziata con l'opposizione alla realizzazione di una sala bingo in un ex cinema del quartiere Esquilino di Roma, trascende il contesto musicale per trasformarsi in un'esperienza sociale unica, modello di tolleranza e incrocio tra culture di tutto il pianeta. Artefici dell'operazione il tastierista degli Avion Travel, Mario Tronco, e il regista del film Agostino Ferrente, che hanno riunito 30 musicisti di ogni provenienza in quel crocevia multietnico che è l'omonima piazza. La band è giunta al secondo disco in quattro anni, "Sona", ed ha accompagnato il documentario in Piazza Grande a conclusione del Festival di Locarno, e poi in fortunate anteprime in giro per l'Italia, come al Teatro Verdi di Firenze. Il disco è un efficace esempio di world music, di contaminazioni sonore e di impegno civile, per la gran parte con composizioni originali. Le voci del gruppo vengono da Tunisia, Ecuador, Senegal. Le influenze principali sono maghrebine, cubane, brasiliane, indiane, con innesti jazz, il suono della kora e diversi brani trascinanti come 'Laila', 'Fela' ed 'Helo', in una coinvolgente esperienza sonora. Da regalare all'ex ministro Calderoli. Vivilcinema - Mario Mazzetti - 2006-5-54 Nel 2006 sono usciti in Italia due piccoli (per il costo di produzione, non certo per la consistenza) film indie, come li chiamerebbero al Sundance, prodotti indipendenti ma di (diversa) qualità, sugli immigrati in Italia. Uno è "Le ferie di Licu" di Vittorio Moroni, che con 'pedinamento' neorealistico del protagonista, indaga sulle contraddizioni culturali di un operaio, in nero, che ritorna a Roma dal Bangladesh con una moglie prescelta dalla famiglia. Al limite del documento anche l'apprezzato film di Ferrente che è sfuggito a molti per via della limitata distribuzione in sala, compensata da una buona disponibilità in home video, sia pur non a noleggio. Ripresentato ad Alba International Film Festival lo scorso marzo con la presenza dell'autore, ha confermato la sua carica di trascinante vitalismo interculturale, partendo da là, la popolare piazza romana nel quartiere Esquilino, dove l'italiano è una minoranza etnica in patria. Da un'iniziativa durata cinque anni di Mario Tronco, tastierista degli Avion Travel, e di Agostino Ferrente, documentarista formatosi nel gruppo 'Ipotesi Cinema' di Ermanno Olmi, nasce questo gran bel documusical: salvare dalla chiusura il cinema Apollo per aprire un'orchestra composta da musicisti di ogni origine etnica. Scoperti e contattati girando in Vespa per tutta Roma, come Nanni Moretti di "Caro diario", il film si popola di volti, voci, suoni dall'India a Cuba, dalla Tunisia e dall'Ecuador, europei ed extra in un appassionato melting pot che supera lo spirito di tolleranza e solidarietà e diventa un autentico esempio di integrazione fattiva e progettuale. E insieme uno spicchio significativo di storia nostra nel suo divenire; tante esperienze umane, comunicate con un senso di immediatezza e naturalezza straordinarie, tradotte in musica coinvolgente, carica di energia con ritmi sostenuti. Per Jovanotti, 'è bello come "Buena Vista Social Club", ma ancora di più perché vicino a noi, forse nel nostro stesso cortile'. Fuori concorso a Locarno 2006. Nastro d'argento 2007 come Migliore documentario. Letture - PierMario Mignone - 2008-648-111 Dov'era il Cinema Apollo destinato a sala Bingo… oggi c'è un cinema in rovina ma non un Bingo. Le idee corrono più delle ristrutturazioni e il Comitato Apollo 11 ha sostenuto fino in fondo quella del musicista Mario Tronco di creare un'orchestra che fondesse le voci e gli strumenti del mondo intero e quella del regista Agostino Ferrente di filmare dal vivo, per due anni diventati cinque, questa esperienza. Vuoi uscire con me? Un'ombra di imbarazzo (gli scappa persino un mezzo no) passa sul volto, raggiante da quando per la prima volta ha lasciato il lontano Rajasthan e ha visto Roma dal finestrino di un taxi, del baffuto Mohammed alla domanda dell'insegnante di lingua che non tenta di circuirlo ma solo di renderlo edotto su come invitare una ragazza a bere un'aranciata, ammesso che tale opportunità prima o poi si presenti. La breve scena (non so se e quanto 'rubata' dal vivo) che apre il primo lungometraggio (in pellicola formato Super8) di Agostino Ferrente confermando l'acutezza e l'immedesimazione comprovate dai suoi lavori precedenti, anticipa il 'sentire' del film, cronaca per lo più 'live' di un esperimento comunicativo tra 'altri' che lascia loro la libertà di rimanere tali e nello stesso tempo di conseguire la classica rivincita del fare (insieme) nei confronti del dire (al vento) e del vano promettere. Tutto ciò, naturalmente, prescinde dai manuali di conversazione. Quest'ultima, in tutte le accezioni del termine inclusi i deludenti rapporti istituzionali e le discussioni di lavoro, è ridotta all'essenziale con buon risparmio di sottotitoli, e al naturale, con tanto di equivoci (chiedere d'incontrare musicisti e ritrovarsi in un fornitissimo negozio di Cd), di gaffe (mai nominare le caste a un indiano ... ), di testi incomprensibili mandati a memoria (la cantante greca che non ce la fa è rispedita al mittente), con ampio ricorso ai gesti e, da parte di Mario Tronco, alla lingua anglocampana. La macchina da presa, troppo inquieta scentrata obliqua e fuori fuoco per posizionarsi su lunghi resoconti 'da documentario' sulla vita e le peripezie di ciascuno, non si lascia invece sfuggir, gesti e occhiate, scenette da 'candid camera', brevi incontri, che raccontano abitudini e nostalgie, solitudini e matrimoni, la difficoltà trovare casa e l'orgoglio di essere qualcuno, l'insofferenza per il gruppo e la voglia di riconoscersi, soprattutto professionalmente, in esso. Istantanee di varia e vera umanità che illustrano, come fotografie un po' sgranate appiccicate sulle pagine di un diario, il percorso di questa avventura. Anni caldi, il 2001-2002, una storia vera dove l''happy end' è solo un lieto inizio anche se il film, derogando dal suo statuto di cinecronaca, si concede in coda un 'upgrade' in odore di (legittima) autopromozione. Dalla presa di posizione di un gruppo di volonterosi abitanti dell'Esquilino, tra cui i non romani Ferrente & Tronco, per salvare dall'estremo insulto quello che, a luci rosse o no, era pur sempre un cinema, al progetto fallito sotto il profilo edilizio, di farne un centro di cultura musicale plurietnica, alla nascita, con l'impegno del debutto nei tempi strettissimi imposti dalla direttrice di Roma Europa Festival, della proteifoerme creatura del geniale, tecnicamente perfetto, insonne e a tratti ombroso maestro. Lo sguardo attento, non convenzionale, insonne e mai ombroso del 'filmmaker' ha fatto il resto, con grande moderazione e nessuna retorica, concedendo alla fantasia, forse all'utopia, solo la visione di una coppia di cinesi che balla il tango, con Omar Lopez Valle alla tromba, proprio in Piazza Vittorio (Emanuele). Il perfetto monumentale rettangolo-mercato dal nome sabaudo come le geometrie e le vestigia architettoniche che conserva, è non diversamente da altre aree a ridosso delle stazioni delle nostre metropoli il luogo della non diversità di fatto, dove tutti sono stranieri ma nessuno è strano e persino le manifestazioni e i comizi di segno opposto si svolgono in una pacifica indifferenza, nella consapevolezza (per dirla con parole dello stesso Tronco, estrapolate da un'intervista) di un presente 'che dura poco e domani è già vecchio'. Nessuno, infatti, sembra far caso a 'quei due' che in Vespa percorrono in lungo e in largo la zona, a volte seguiti da un cane, a caccia di musicisti. Musicisti veri, non 'poveri suonatori'. Nel quartiere, la cui vita disaggregata e pulsante è resa come attraverso la soggettiva di questo andare in cerca, sono 'poco più della metà di zero' (è il titolo del primo corto di Agostino Ferrente, Gabbiano d'Argento a Belluria '94) i risultati ottenuti. Ricca invece e di variopinta ambientazione la collezione dei no: negazioni frettolose, scuotimenti del capo, mani che si protendono a coprire l'obiettivo. Gli esiti non migliorano di molto nemmeno quando la ricerca si allarga all'intera Roma, almeno fino al momento in cui l''ensemble' virtuale è ufficialmente fondato da un gruppetto di italiani: tra loro, punto fermo nell'intero progetto, il contabbassista Pino Pecorelli. Argentina, Cuba, India, Senegal, Tunisia, Romania persino Stati Uniti, adesso rispondono all'appello. La trentina, forse più, di personaggi (l'OPV è attualmente composta di 15 elementi), tutti uomini fino ai più recenti ingressi, che in varia misura hanno condiviso lo spazio di prove del Piccolo Apollo, la fatiscente enorme sala seminterrata dell'omonimo cinema, bonificata (sembra proprio la trama di un film ... ) col sudore e i pochi soldi dei volontari, oggi finalmente attrezzato a sala di registrazione, non si presta a rappresentare l'extraeuropeo-tipo ad uso della propaganda mediatica: le voci modulate su scale insolite, le canzoni in una lingua ignota, 'tablas congas dumdum oud' in armonia con gli strumenti classici, portano con prepotenza sul palcoscenico le singole individualità, ciascuna espressione di una ben precisa, spesso coltivata in famiglia da generazioni, cultura sonora. Il lavoro di Mario Tronco è squisitamente tecnicoteorico: vuole creare un'orchestra, non per forza un'accolita di fratelli. E se l'amicizia c'è, non è detto che debba diventare sceneggiatura. Le immagini, con l'accompagnamento discreto della voce 'off', si posizionano gradualmente sugli sviluppi di un vero intreccio quando illustrano, sul canovaccio tipico del musical, le gioie e i dolori dell'allestimento dello spettacolo come realizzazione di un sogno impossibile. Senza con questo barare, magari alludendo a legami o incroci tra i personaggi o a una coesione da assumere a simbolo di convivenza universale. Come nei migliori copioni, si arriva alla prima sul filo del rasoio, e si raccolgono unanimi consensi. Ognuno, al momento della prova, ha dato tutto se stesso, pur rimanendo strettamente ancorato a un esistere lontano anni luce di cui lo spettatore (del film e, credo, del concerto) ha colto soltanto il bel 'rumore'. Segnocinema - Adelina Preziosi - 2007-143-51 Girato nell'arco di 5 anni, è una sorta di diario/documentazione della nascita dell'ormai famosa orchestra romana, nata per iniziativa del musicista Mario Tronco e di Agostino Ferrente. E' un documentario, ma racconta una storia, quasi una commedia di costume, seguendo, telecamera a spalla, il farsi dell'idea di due persone che, con sofferta caparbietà, entusiasmo, e momenti di umorismo, non si fermano di fronte a nessun ostacolo. Nel quartiere Esquilino di Roma (quello di "Ladri di biciclette") gli italiani sono ormai una minoranza etnica e si respira un clima di cultura alternativa. Qui nasce un sogno: salvare una sala cinematografica e creare un'orchestra fondendo 30 musicisti, professionisti e non, provenienti da 15 Paesi diversi, e sonorità di tutto il mondo. E una storia vera dal vero lieto fine, un caleidoscopio di suoni, volti, incontri, storie di vita. Una testimonianza positiva sull'immigrazione, che rappresenta lo specchio dell'Italia di oggi e la strada maestra da percorrere per l'umanità del futuro. Ritmo spigliato del montaggio, quasi musicale, buon livello formale, ma al di là di ogni valutazione estetica, è da ammirare lo sforzo, premiato, di due persone, ricche solo della propria curiosità, capacità d'iniziativa e fiducia negli altri. Segnocinema - Carla Delmiglio - 2007-147-52 _ Segnocinema - - 2007-143-51 E' una pellicola piena di punti periferici "L'orchestra di Piazza Vittorio". A prima vista, già dal titolo, c'è un luogo stabilito, Piazza Vittorio, che si trova nel quartiere Esquilino, il più multietnico di Roma. Si entra progressivamente nella sua storia (è qui che è stato girato "Ladri di biciclette"), nella sua dimensione economica (un po' di anni fa qui le case costavano poco perché il quartiere era nei pressi della Stazione Termini), nella sua trasformazione (le numerose attività commerciali gestite da abitanti cinesi). Eppure "L'orchestra di Piazza Vittorio", malgrado la centralità dello spazio filmato, non dà mai un'impressione di chiusura. Al contrario, questo documentario-musical possiede invece delle continue aperture. Oltre alle immagini del documentarista Ferrente e del tastierista degli Avion Travel Tronco a bordo di un motorino nei pressi del Colosseo - attraverso una traiettoria di distanza/avvicinamento rispetto al set principale - vengono mostrate anche la stazione e l'aeroporto. Sono proprio questi gli estremi di un'opera in continua mutazione, fatta di partenze e arrivi, di allontanamenti e ritorni. Piazza Vittorio diventa così un luogo attraversato continuamente, popolato da personaggi di nazionalità diverse, dove si svolge la manifestazione contro la legge Bossi-Fini ma anche quella di abitanti del posto che hanno creato il Comitato Difesa Esquilino. Quindi in "L'orchestra di Piazza Vittorio" c'è intanto la tradizione, la metamorfosi e l'anima di un luogo che rappresenta, già di per sé, un importante spaccato urbanistico che ha una consistenza simile a quello del primo episodio di "Caro diario" di Moretti quando venivano mostrati i palazzi dei diversi quartieri di Roma. Basta vedere, per esempio, il modo in cui viene raccontata la vicenda del cinema-teatro Apollo. Questo edificio viene mostrato non solo come un simbolo del quartiere, ma di tutta la città di Roma. "L'orchestra di Piazza Vittorio", però, è soprattutto il diario soggettivo di un'esperienza unica, un percorso umano e musicale in cui il cinema serve soprattutto a renderne la testimonianza. Come in "Buena Vista Social Club" le vicende umane private si incrociano con questo folle e straordinario sogno collettivo: quello di costituire un gruppo eterogeneo con musicisti provenienti da diverse nazionalità. "L'orchestra di Piazza Vittorio" è nata nell'estate del 2002, nel 2003 ha girato l'Italia in tourné, nel 2004 ha pubblicato il primo album (chiamato appunto 'L'orchestra di Piazza Vittorio') mentre il secondo ('Sona') è uscito nel 2006. Nella pellicola di Wenders e in quella di Ferrente è presente un forte legame tra l'ambiente e i personaggi. Le due opere poi sono accomunate dalla capacità di lasciar emergere sonorità nascoste, di creare quella continua interazione tra 'ciò che si sente' e 'ciò che si vede'. In "L'orchestra di Piazza Vittorio" si ha l'impressione che la colonna sonora sia inarrestabile. La pellicola già si apre con un ballo sui titoli di testa che, sin da subito, cattura e avvolge con la stessa intensità di 'Pizzicata' e 'Sangue vivo' di Winspeare. I suoni dell'opera di Ferrente, documentarista che in passato ha frequentato il gruppo Ipotesi Cinema di Ermanno Olmi ed è stato aiuto regista di Silvano Agosti, sono però composti anche dai rumori della strada e dalle voci delle persone provenienti da diverse parti del mondo. La struttura di "L'orchestra di Piazza Vittorio" può essere anche simile a quei documentari sul cinema in cui, per esempio, il regista e il produttore vanno alla ricerca di attori non professionisti per il loro film. Ma c'è di più. Si ha l'impressione che Ferrente abbia voluto catturare tutti i momenti decisivi di un progetto nato nell'autunno del 2001 e dentro però ci siano finiti anche autentici frammenti di vita vissuta collettiva, ripresi proprio all'istante. Forse per questo, più che il percorso artistico, resta soprattutto quello umano, mostrato in modo istintivo e passionale. Ed è anche per questo che "L'orchestra di Piazza Vittorio" è un frammento di memoria da conservare a tutti i costi. Cineforum - Simone Emiliani - 2006-458-75 _ Cineforum - - 2006-458-75 _ Ragazzo Selvaggio - - 2006-60-39 Un documentario, un diario. Un equadoregno che canta, accompagnandosi con la chitarra, una dolce melodia, priva di parole, un indiano che contempla a bocca aperta la città di Roma by night, un argentino che improvvisa un trascinante assolo di percussioni. Agostino Ferrente ha filmato la formazione de "L'Orcherstra di Piazza Vittorio" e i suoi primi spettacoli: trenta persone di 15 nazionalità diverse, ciascuna con il proprio bagaglio culturale e di esperienze di vita da confrontare e da condividere. La band riproduce un microcosmo di paure, prove, delusioni, tentativi come nella quotidianità. Ci sono voluti quattro anni: gli ostacoli della burocrazia, la richiesta dei permessi per suonare, la mancanza di soldi: l'orchestra diventa lo specchio dell'Italia contemporanea ma, alla fine, i musicisti ce l'hanno fatta. L'idea nasce da Mario Tronco - ex tastierista degli Avion Travel - e, grazie al suo coraggio e alla sua ostinazione, il gruppo musicale multietnico e transculturale oggi è una realtà ed è stato possibile anche realizzare il documentario di Ferrente, targato Lucky Red, in collaborazione con la Regione Lazio. Il film ha visto all'opera 5 tecnici di ripresa, 4 fonici, 4 montatori, 3 videocamere: tutto questo per riprendere parole, suoni e colori ungheresi, brasiliani, senegalesi, americani, italiani, ecc., in un mix di facce, linguaggi e storie. Presentato a Locarno in Piazza (sullo schermo più grande d'Europa) - con una parte dei musicisti che, dopo la proiezione, ha suonato dal vivo alcuni brani - i protagonisti hanno visto ballare e battere le mani a ritmo migliaia di persone e, per un paio d'ore, come in una gioiosa partitura, si sono riaffermati i valori dell'amicizia, della condivisione e dei rispetto. Ragazzo Selvaggio - A M - 2006-60-24 Si fa presto a dire documentario quando è tornato di moda anche tra il cinema mainstream. Capita a volte che sia soprattutto una necessità, e allora ha un altro significato. Corri con qualunque cosa tu abbia a disposizione per cercare di non perdere l'attimo: una videocamera digitale, per assurdo anche un videofonino. Con questo spirito (ma senza videofonino) il regista Agostino Ferrente ha per cinque anni cercato di carpire, a volte anticipare, il work in progress della realtà che in Piazza Vittorio a Roma vola alla velocità della luce. C'era da salvare un cinema, l'Apollo, destinato a diventare un Bingo (ahinoi, Veltroni, qui casca l'asino!), e nello stesso tempo da coinvolgere i migranti - in quel luogo più numerosi dei romani - in un forte progetto comune. Perché non una band, o meglio un'orchestra? Spezzoni degli Avion Travel, in particolare Mario Tronco, ci mettono del loro; il resto è sudore, entusiasmo, fatica, voglia di stare insieme, tanta musica e una Roma che non ti aspetti. Non il solito ritratto retorico e politicamente corretto di un'utopia di integrazione, ma vero e proprio cinema di quartiere, anche traballante se volete ma capace di restituire verità. All'ombra di una sala cinematografica che fu si forma dunque l'Orchestra di Piazza Vittorio, dove suonano rom e arabi, cinesi e cubani, italiani e americani come fosse la cosa più normale del mondo. Film TV - Mauro Gervasini - 2006-40-14 Per tutti gli amanti di musica e multiculturalismo, ecco il documentario su una delle più originali band degli ultimi tempi: l'orchestra di piazza Vittorio, nata sulla spinta (fra gli altri) di Mario Tronco degli Avion Travel e composta da una trentina di musicisti provenienti da ogni parte dei mondo, ma con l'unica caratteristica di essere finiti a vivere a Roma. La rievocazione prende il via nel 2001, quando, per salvare un cinema di quartiere, un gruppo di anime intraprendenti si mette a cercare fra gli immigrati persone che sappiano suonare e cantare, ciascuno secondo le proprie tradizioni e la propria i lingua. A poco a poco, vengono cosí riuniti un argentino, un cubano, un ecuadoriano che insegnava musica ai ragazzi di periferia, un suonatore di cimbali della metropolitana, un musicista tunisino di navi da crociera, e poi marocchini, egiziani, senegalesi, altri indiani... Tutto raccontato con una semplice videocamera e tanto entusiasmo: l'importante, in questi casi, più dei risultato è la partecipazione. La Repubblica - Renato Venturelli - 28/09/2006 Il quartiere Esquilino di Roma e la sua centrale piazza Vittorio significavano fino a non molti anni fa due cose. L'eredità architettonica e urbanistica, a imitazione torinese, della calata negli ultimi decenni del secolo XIX della nuova classe dirigente sabauda. E la popolarità del più grande mercato alimentare della città. Poi quartiere e piazza sono diventati sinonimo di immigrazione, i vecchi negozi sono stati sostituiti da insegne indiane o (soprattutto) cinesi e la popolazione originaria si è avviata a diventare, non senza contraccolpi, minoranza etnica. Questo documentario racconta la storia degli ultimi cinque anni. Storia iniziata con una mobilitazione contro la chiusura del vecchio cinema Apollo, proseguita con la costituzione dell'associazione 'Apollo 11' e culminata con la scommessa riuscita di creare un'orchestra (e un sound meticcio) fatta di indiani e cubani, africani e sudamericani, arabi e rom ma anche italiani, americani del nord, altri europei. Giudicare la qualità del documentario è a conti fatti marginale, mentre una volta tanto bisogna togliersi il cappello di fronte al messaggio che nel suo piccolo ha un valore storico. E che, proposto senza nascondersi ostacoli e contraddizioni, offre un possibile modo di affrontare l'incerto futuro della convivenza tra diversi. Tra i tanti animatori dell'impresa spiccano il musicista Mario Tronco della Piccola Orchestra Avion Travel e il regista Agostino Ferrente. La Repubblica - Paolo D'Agostini - 15/09/2006 _ Duellanti - - 2006-29-21 La storia - Cinque anni fa, in risposta alla legge Bossi-Fini, Mario Tronco, pianista degli Avion Travell, ha l'idea di costituire una formazione musicale che raggruppi le identità etniche presenti nella capitale. Rari sono i documentari italiani che trovano una distribuzione nel circuito delle sale: ogni new entry va dunque salutata come un momento importante. Se poi il film in questione non presenta un soggetto scabroso, non fa schiamazzo con uno stile da reporter d'assalto o non sbatte in faccia il fatidico mostro della globalizzazione, l'evento acquista contorni ancora più meritevoli. "L'orchestra di Piazza Vittorio" è un film che fin dal titolo denuncia la sua origine: essere il riflesso di un'esperienza che si è concretizzata in un'attività permanente, un'orchestra per l'appunto. L'orchestra in questione è oggi un gruppo che conta più di trentacinque elementi, ognuno rappresentante di una cultura musicale diversa e autonoma (dall'Algeria al Sud America, dall'India a Cuba). Sentirli suonare è un'esperienza unica, non solo per la qualità dei singoli, ma soprattutto per l'energia e la vitalità che il loro raggruppamento provoca: segno di un'utopia che si è fatta musica e che come il pifferaio di Hamelin seduce anche il più refrattario degli spettatori dal suo torpore catodico. Agostino Ferrente, giovane regista impegnato anche nel difficile compito di diffondere il cinema documentario in Italia, ha seguito e preso parte passo dopo passo alla genesi, avventurosa e avvincente, dell'orchestra. Ritmato da un vivace senso dello humour ma sempre nel rispetto assoluto delle realtà umane incontrate, e accompagnato da una voce di commento a tratti un po' ingombrante, "L'orchestra di Piazza Vittorio" vuole essere un omaggio alla ricchezza di un tessuto umano che troppo spesso viene letto solo in senso negativo. La cosa più sorprendente è che talvolta il viaggio porta a incontrare personaggi che sembrano usciti da un film americano impegnato a difendere il concetto di melting pot: invece siamo in pieno tiburtino, in uno dei quartieri più malvisti della capitale. Da un punto di vista formale e linguistico il film è molto semplice, a volte persino naif, ma non è questo il punto. Abdicando a ogni pretesa autoriale, Ferrente ha realizzato un film onesto e coraggioso, che punta dritto al suo obiettivo: rendere testimonianza di un percorso che racchiude un alto valore umano e politico. Duellanti - Carlo Chatrian - 2006-29-21