DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
E LOTTA ALLA CORRUZIONE
S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi
Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Premessa
La parola «corruzione»1, nel significato che le attribuiscono le scienze sociali e per
come la assumono le ricerche empiriche, appare molto raramente nel Magistero pontificio.
La Sollicitudo rei socialis non adopera questa parola, ma definisce «corrotti» i regimi che
frenano lo sviluppo di alcuni Paesi poveri (n. 44). Sembra anche riferirsi a fenomeni
riconducibili alla corruzione quando parla di un’economia, come quella di tanti Paesi in via
di sviluppo o meno avanzati, «soffocata dalle spese militari, come dal burocratismo e
dall’intrinseca inefficienza» (n. 22), o quando si occupa del traffico di armi o dell’uso
improprio dei prestiti internazionali (n. 23), oppure quando ricorda che «ingenti somme di
danaro, che potrebbero e dovrebbero esser destinate a incrementare lo sviluppo dei popoli,
sono invece utilizzate per l’arricchimento di individui o di gruppi» (n. 10).
La Sollicitudo rei socialis accenna al problema della corruzione nell’ambito delle
sue riflessioni sullo sviluppo, riscontrando in essa una delle cause del sottosviluppo, la
Centesimus annus, invece, collega questo grave fenomeno con il sistema politico. Essa si
riferisce implicitamente anche alla corruzione quando lamenta che, venendo meno il fine del
bene comune, «Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo
criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei
gruppi che le sostengono» (n. 47). La stessa Enciclica, considerando il «ruolo dello Stato nel
1
Sui concetti definitori della corruzione vedi: M. ARNONE-E. ILIOPULOS, La corruzione costa. Effetti
economici, istituzionali e sociali, Vita e Pensiero, Milano 2005, pp. 17-18.
settore dell’economia» (n. 48),
denuncia apertamente «La mancanza di sicurezza,
accompagnata dalla corruzione dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di
arricchimento e di facili profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative» (ivi) e
«l’enorme crescita delle spese» (ivi) di uno Stato assistenziale dominato da logiche
eccessivamente burocratiche.
Sulla linea della Sollicitudo rei socialis e della Centesimus annus si pone il
Compendio della dottrina sociale della Chiesa che conferma - ai nn. 192, 447, 450 - l’analisi
delle due Encicliche sul perverso rapporto tra corruzione e mancato sviluppo. Più articolato il
contributo del Compendio in tema di corruzione politica a cui dedica l’intero numero 411. La
corruzione viene definita una deformazione del sistema democratico perché tradisce al
tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale.
Credo, tuttavia, che non faremmo un lavoro utile se ci proponessimo di cercare in
questo o quel luogo del Magistero sociale un riferimento più o meno esplicito al fenomeno
della corruzione. Piuttosto dobbiamo chiedere alla dottrina sociale della Chiesa i criteri per
impostare il problema, le coordinate dei principi e dei valori che ci permettono di illuminare
il fenomeno, di spiegarlo non nei suoi dati empirici – compito questo della ricerca sociale –,
ma nella sua connotazione etico-sociale ed etico-politica e di prospettare quindi dei possibili
percorsi per una efficace lotta alla corruzione. Per questa lotta, infatti, c’è bisogno di
conoscere il fenomeno in tutta la sua complessa fenomenologia empirica, ma anche – e ancor
prima - di muoversi dentro un quadro di natura etica sufficientemente organico.
Nasce ora un problema di metodo. In questo caso, come in altri analoghi, e più in
generale, ogni volta che si vuole mettere in relazione una problematica sociale con
l’insegnamento sociale della Chiesa, si deve partire dall’esame della questione – in questo
caso da una analisi sociologica del fenomeno della corruzione – oppure dai principi esposti
nella dottrina sociale? Il primo comportamento potrebbe essere accusato di positivismo, il
secondo di astrattezza. Il mio giudizio a questo proposito è molto netto: il problema
prospettato è in realtà un falso problema. Esiste, infatti, una circolarità tra storia e dottrina
sociale2 . L’analisi della situazione è già opera di discernimento, in quanto tiene conto sia
delle ricerche empiriche sia della luce teologica che proviene dalla dottrina sociale. Partire
dalla situazione storica non vuol dire esaminare i fatti in modo positivistico e con una specie
di induttivismo ingenuo; significa, invece, esaminare e valutare un complesso fenomeno alla
luce dei principi teologici e filosofici contenuti nella dottrina sociale. In questo modo
l’orizzonte interpretativo è già tutto impegnato nell’analisi e i dati empirici mantengono tutta
la loro valenza significativa.
Questo è il percorso che mi propongo di fare in questo mio intervento. Partirò
quindi non dalla dottrina sociale, ma dal fenomeno della corruzione, inteso però già nella
luce del Magistero. Così facendo potrò utilizzare e valorizzare i dati, le osservazioni, le
riflessioni che gli esperti che mi hanno preceduto ci hanno già fornito e non rischierò di dare
l’impressione che la dottrina sociale della Chiesa sia un prontuario per interventi mirati, in
questo caso un «manuale di anticorruzione» in cui si possono trovare soluzioni
immediatamente praticabili.
Quattro criteri per la lotta alla corruzione oggi
1)
La corruzione, per l’aspetto che ci interessa, è un fenomeno «recente». Di
corruzione si parla nelle sedi internazionali solo da una decina di anni. Si può dire quindi che
solo tra la fine degli anni Novanta e il primo lustro del nuovo millennio il fenomeno della
corruzione è salito alla ribalta3 e viene studiato e affrontato come un insieme di dinamiche
dalle caratteristiche ormai ben definite.
2
Ho affrontato questi problemi di metodo in: G. CREPALDI-S.FONTANA, La dimensione interdisciplinare
della dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2006.
3
La messa a punto del Corruption Perceptions Index da parte di Trasparency International risale solo al
2001. La Convenzione anticorruzione dell’ONU è del 29 settembre 2003. Nello stesso anno viene firmata la
dichiarazione contro la corruzione dai Paesi del G8 riuniti ad Evian (Francia). Certamente ci sono state anche
Gli studiosi si sono chiesti le cause di questa emersione del fenomeno corruzione in
questi ultimi anni e, abbastanza concordemente, lo hanno spiegato con la fine dei blocchi
politico-militari, la globalizzazione e la maggiore trasparenza dell’informazione mondiale.
«Ciascuno dei due blocchi tende ad assimilare o ad aggregare intorno a sé, con diversi gradi
di adesione o partecipazione, altri Paesi o gruppi di Paesi» (n. 20). In questo clima, descritto
efficacemente dalla Sollicitudo rei socialis, si riteneva che la guerra fredda giustificasse la
corruzione; l’opinione pubblica mondiale non ne veniva a conoscenza. La globalizzazione e
la maggiore informazione che ne è seguita hanno messo in crisi il vecchio sistema, ma hanno
anche aperto la possibilità di nuove forme di corruzione, dato che si sono moltiplicate, spesso
al di fuori di ogni controllo, le comunicazioni tra le persone e gli scambi – anche illeciti - di
denaro e di beni. Inoltre la globalizzazione permette agli Stati o alle corporations che
praticano la corruzione di diffondere il loro comportamento, potremmo dire di esportare
corruzione.
Da queste brevi osservazioni sui motivi per cui la corruzione globale sia da
considerarsi un fenomeno recente, si ricava un criterio valutativo molto importante: i
fenomeni che hanno fatto emergere la corruzione e che rischiano di diffonderla sono gli stessi
che possono combatterla. Ciò che ha fatto esplodere il fenomeno può essere utilizzato anche
per limitarlo. Se accortamente adoperate, certe leve che possono incentivare la corruzione,
possono anche diminuirla e combatterla, prima fra tutte la globalizzazione.
iniziative precedenti. Per esempio, contro il riciclaggio del denaro sporco – fenomeno almeno collegato con la
corruzione – i Paesi del G7 hanno costituito nel 1989 la Financial Action Task Force on Money Laundering
(FATF), con la collaborazione del Fondo Monetario Internazionale. La Banca Mondiale porta vanti progetti
di assistenza contro la corruzione fin dal 1996 e conduce operazioni sia investigative sia operative. Come si
vede, però, anche in questi casi, non si va molto indietro nel tempo. Per farlo occorre risalire al U.S. Foreign
Corrupt Practices Act, la legge statunitense del 1977 contro la corruzione di ufficiali stranieri da parte delle
multinazionali americane. Ma si era solo agli inizi. Altre importanti convenzioni e programmi di azione di
Organismi internazionali si collocano dopo il 1996. Ricordiamo qui le principali: 1996: Convenzione
dell’Organizzazione degli Stati Americani; Dichiarazione contro la Corruzione della Assemblea delle Nazioni
Unite – 1997: Convenzione per la Lotta contro la Corruzione delle Comunità Europee, sottoscritta dal
Consiglio d’Europa ed entrata in vigore nel 2002; Convenzione contro il pagamento di tangenti dell’OCSE –
1999: Convenzione di legge penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa e istituzione del Group of States
against Corruption; Convenzione di legge civile sulla corruzione del Consiglio d’Europa – 2003:
Convenzione anti-corruzione dell’Unione Africana.
2)
Oltre che come recente, la corruzione si configura anche come un fenomeno
globale. Intendo la parola «globalità» sia in modo estensivo, come sinonimo di realtà
internazionale o mondiale, sia in senso intensivo, ossia come sinonimo di connessione tra i
vari problemi sociali contemporaneamente presenti in un dato contesto sociale in un certo
momento. La corruzione, se vista in orizzontale, ha a che fare con il superamento dei confini
ed è ormai un fenomeno internazionale che coinvolge l’intera scena mondiale. Nello stesso
tempo, se vista in verticale, essa è un fenomeno che attraversa il sistema morale, giuridico,
politico, amministrativo di un determinato Paese. Molte ricerche empiriche hanno dimostrato
che c’è una relazione negativa tra corruzione e crescita economica4, tra corruzione e indice di
sviluppo umano 5, tra corruzione e funzionalità del sistema istituzionale, tra corruzione e lotta
alle ingiustizie sociali. In altri termini, una società maggiormente corrotta tende a crescere
meno dal punto di vita economico, ad essere meno promotrice della persona, meno aperta e
meno giusta.
Questo aspetto di globalità è molto importante, perché ci fornisce un altro criterio
per valutare il fenomeno della corruzione e per rispondervi: la corruzione si combatte in
modo olistico, ossia agendo contemporaneamente su molte leve, dato che la corruzione è
fenomeno che attraversa i diversi sottosistemi sociali.
3)
La corruzione è un fenomeno immateriale e come tale ha a che fare con
l’«ecologia umana» di cui parla la Centesimus annus (n. 38). La corruzione è un insieme di
relazioni, atteggiamenti, complicità, oscuramento delle coscienze, ricatti, minacce, patti non
scritti, connivenze. Certamente essa muove ingenti risorse materiali, ma nella sua essenza è
qualcosa di immateriale. Questa caratteristica rende la corruzione particolarmente conforme
4
La corruzione aumenta il rischio per gli investitori e disincentiva gli investimenti diretti esteri, produce un
aumento del costo del credito, frena l’apertura al commercio internazionale (Cf ARNONE-ILIOPULOS, La
corruzione costa cit., pp. 63-86).
5
Dato che l’Indice di sviluppo umano riguarda soprattutto l’accesso all’istruzione, l’uguaglianza di genere e
la speranza di vita, è chiaro che si possono stabilire nessi circolari causali tra ognuno di questi ambiti e la
corruzione. In altre parole, la corruzione è un fenomeno che frena non solo la crescita economia, ma anche lo
sviluppo umano.
alla società di oggi. Perfino l’incertezza o la discrezionalità, caratteristiche tipiche di una
società molto flessibile, pluralista e destrutturata, costituiscono un terreno adatto alla
corruzione. Le società rigide erano senz’altro meno esposte.
Anche questa terza indicazione è di capitale importanza per la lotta alla corruzione.
Essa dovrà avvalersi di interventi sicuramente di tipo materiale, ma soprattutto di azioni che
si collocano a livello immateriale: una «ecologia umana» fatta di buone leggi, sani legami
sociali, valida educazione e istruzione, giustizia e solidarietà, tenuta della moralità di base,
formazione delle coscienze è un potente antidoto contro la corruzione così come le necessarie
operazioni di investigazione e repressione del fenomeno.
4)
Un quarto criterio si ricava direttamente dal paragrafo 25 della Centesimus annus:
«L’uomo tende verso il bene ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse
immediato e, tuttavia, rimanere a esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto
più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel
suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione». Si tratta di un
criterio realistico molto interessante. Esso ci dice di puntare sui tratti virtuosi dell’uomo, ma
anche di incentivarli; di pensare che la lotta alla corruzione è un valore, ma è anche un
bisogno; che la corruzione è un male, ma è anche un costo; che il rifiuto della corruzione è un
bene, ma è anche un vantaggio; che l’abbandono di pratiche corrotte può generare sviluppo e
benessere; che i comportamenti onesti vanno incentivati e quelli disonesti puniti.
Tutti questi quattro criteri, e non solo l’ultimo, sono perfettamente in linea con la
dottrina sociale della Chiesa e, nello stesso tempo, esprimono le esigenze concrete della lotta
alla corruzione oggi.
Lotta alla corruzione e sistema politico
Le indagini empiriche pongono in relazione negativa i comportamenti corrotti e il
buon funzionamento del sistema politico. La democrazia autentica, che è possibile solo in
uno «Stato di diritto» (cf. Centesimus annus, n. 46), è meno aperta alla corruzione rispetto ai
sistemi chiusi, autoritari o dittatoriali. Nei sistemi politici in cui è presente una legislazione
chiara e trasparente, in cui le leggi sono stabili e far valere i propri diritti è abbastanza
agevole, là dove c’è un reciproco controllo tra gli organi del potere pubblico 6, la corruzione è
minore. Quando gli organi di controllo, nel settore finanziario o in altri, non sono funzionali
o non ci sono strumenti di supervisione, le possibilità per la corruzione aumentano. Quando il
sistema giudiziario è troppo lento e non garantisce una giustizia efficace, l’intero sistema
della legalità finisce per subire un discredito che alimenta le pratiche corrotte. La dottrina
sociale della Chiesa concorda su tutto ciò, aggiungendo tuttavia la necessità di collegare tra
loro legalità, socialità e moralità. Un sistema politico è fisiologicamente orientato al bene
comune e quindi capace di rintuzzare fenomeni di corruzione se utilizza la legalità come
espressione della socialità e se fonda ambedue – legalità e socialità - su una concezione etica
del bene comune. È bene approfondire questo punto.
C’è uno stretto legame tra legalità e socialità: il non rispetto della legge, l’impunità
e la corruzione inducono ad atteggiamenti di sfiducia nella società, provocano chiusure nel
privato con la tentazione di costruirsi percorsi individuali più che passare con pazienza
attraverso politiche condivise. La notizia di ampi fenomeni di corruzione demoralizza il
cittadino. Nello stesso tempo però, il non rispetto della legge nasce dall’individualismo, dalla
sfiducia e dalla rassegnazione, dalla mancanza di un’etica sociale. La corruzione produce
omertà e disimpegno, ma nasce anche dalla omertà e dal disimpegno.
Legalità e socialità richiamano poi la moralità. Senza la condivisione di valori
ritenuti «di tutti», senza un potere politico moralmente autorevole oltre che legittimamente
detentore di autorità, senza una percezione dell’azione politica dei governi e di quella
legislativa dei parlamenti come eticamente qualificata si corrodono i legami sociali e la
tenuta della legalità diventa problematica. Leggi contrarie al bene dell’uomo, come quelle
6
Del rapporto tra legalità e corruzione si è occupata nel 1991 la Commissione ecclesiale Giustizia e Pace
della Conferenza episcopale italiana con il Documento «Educare alla legalità».
che prevedono l’aborto, leggi che permettono la trasgressione morale minano la legalità,
diffondono una cultura antisociale, perdono la valenza educativa. La dottrina sociale della
Chiesa pone chiaramente in relazione tra loro questi tre aspetti intendendo la giustizia
inseparabilmente in senso legale, in senso sociale e in senso morale. Questi tre aspetti
vengono considerati inseparabili, poiché li deve tenere insieme il principio di sussidiarietà
come modalità di articolazione del bene comune.
Anche questo fatto ha un riflesso notevole sul tema della corruzione. L’esistenza di
apparati statali che, come afferma la Deus caritas est pretendano di provvedere a tutti i
bisogni impedendo od ostacolando l’assunzione di responsabilità delle persone e dei gruppi
intermedi creano situazioni favorevoli alla corruzione, a meno che non siano compensati da
una forte moralità negli amministratori pubblici e da una forte tradizione al servizio al bene
comune. Viceversa, quando le persone e i gruppi intermedi siano eccessivamente lasciati a se
stessi, senza un insieme di regole comuni e di controlli, in ugual modo la corruzione può
allignare e svilupparsi. Quando la dottrina sociale della Chiesa richiama questo principio non
lo fa per demonizzare lo Stato e idealizzare la società civile né, viceversa, per idealizzare lo
Stato e demonizzare la società civile. Sa bene che la corruzione può egualmente svilupparsi
nel privato, nel privato sociale e nella pubblica amministrazione. Lo fa per collocarli nel loro
giusto rapporto, dato che, se non ci sono sovrapposizioni e invadenze, si matura un capitale
sociale che opera in senso contrario alla corruzione. Non c’è dubbio che tanto la
«privatizzazione del pubblico» quanto la «pubblicizzazione del privato» innescano
meccanismi perversi nei rapporti tra i privati, i corpi intermedi e le istituzioni, meccanismi
che fomentano fenomeni complessi di corruzione. La sussidiarietà è di notevole importanza
per collocare i vari attori al loro posto e in rapporti fisiologici reciproci; lo è ancora di più per
suscitare partecipazione e assunzione di responsabilità, senza le quali si ha un burocratismo
cieco che favorisce la corruzione; ma essa stessa dipende dal principio del bene comune che
lega tra loro i diversi attori – privato, società civile, Stato – evitando così i moti centrifughi e
le collusioni pericolose.
Di grande importanza nella lotta alla corruzione mi sembra l’applicazione del
principio di sussidiarietà all’autorità. Pio XI, che nella Quadragesimo anno si era occupato
non direttamente della corruzione, ma dei fenomeni di speculazione e pirateria dell’economia
e della finanza internazionale, aveva dichiarato che «molte cose non si possono più compiere
se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole» (n. 80). Egli
anticipava così il concetto di Giovanni XXIII secondo il quale c’è ormai bisogno di una
autorità mondiale. Subito dopo, però, Pio XI enunciava il principio di sussidiarietà espresso
nella sua formulazione classica e diventata quasi canonica. Questo significa qualcosa anche
per la corruzione. Si tratta di un fenomeno globale che va combattuto a tale livello, ma
articolando le autorità che se ne occupano in modo sussidiario, coordinandole in vista del
principio del bene comune mondiale da raggiungere.
Lotta alla corruzione e sistema economico
Per la dottrina sociale della Chiesa il problema dello sviluppo non è solo problema
economico e materiale, ma prima di tutto umano e immateriale. La corruzione, come
fenomeno immateriale, è alla radice anche di povertà e sottosviluppo. La sua negatività,
prima ancora di distogliere risorse alla crescita e pesare sul sistema con costi molto pesanti,
consiste nel fatto che essa contribuisce a creare un contesto etico, sociale e culturale di freno
allo sviluppo. Abbiamo accennato all’enciclica di Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis
che configura appunto la corruzione tra le cause del sottosviluppo di tanti Paesi. È però vero
anche il contrario, e cioè che una situazione di degrado e di povertà, di carenze di istruzione e
di lavoro può favorire, anche se non determinare, fenomeni di corruzione.
La dottrina sociale della Chiesa crede nell’economia e le affida un grande ruolo
nello sviluppo umano; contemporaneamente crede che il vero sviluppo sia frutto di un’
economia «pulita» e che l’attività imprenditoriale richieda per propria natura delle virtù che
contraddicono la corruzione: «la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell’assumere i
ragionevoli rischi, l’affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza
nell’esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie» (Centesimus annus, n. 32).
Un’economia «pulita» risponde sia alle esigenze dell’etica sia a quelle dell’economia stessa:
da ambedue infatti proviene all’economia una «domanda di qualità» (ivi, n. 36).
Tra le conclusioni delle indagini empiriche e i principi della dottrina sociale della
Chiesa si nota a questo proposito una consonanza significativa. I mercati dominati dalla
corruzione favoriscono gli operatori meno capaci; nei mercati corrotti prevalgono le rendite
parassitarie; i mercati non possono sussistere senza la presenza di regole scritte e non scritte,
che di fatto la corruzione invece elimina; il mercato non vive senza una circolazione di
informazioni, che invece la corruzione inquina; un mercato distorto dalla corruzione
impedisce l’ingresso di nuove imprese; la corruzione si alimenta di eccessi di burocrazia che
frenano la dinamicità dei mercati; la connessione tra economia e politica, con la
partecipazione di uomini politici ai consigli di amministrazione delle imprese, alimenta la
corruzione e frena contemporaneamente l’efficienza produttiva ed economica. Ho fatto solo
alcuni esempi di come l’evidenza empirica continuamente attesti quanto la dottrina sociale
della Chiesa afferma circa il rapporto tra etica ed economia, rapporto che la corruzione,
invece, tende ad eliminare.
Per la lotta alla corruzione, in altre parole, servono mercati aperti ma regolati, sia
giuridicamente che moralmente. Facciamo l’esempio dell’apertura al commercio
internazionale. Quando un’economia nazionale si apre ai commerci internazionali, i soggetti
che praticano la corruzione trovano maggiori spazi per i propri comportamenti illeciti. In
questo caso, quindi, l’apertura tenderebbe a dare maggiori possibilità ai corrotti. Tuttavia, le
persone e i centri di corruzione tendono a frenare l’apertura dei mercati per vari motivi: per
non moltiplicare gli attori e quindi i soggetti da corrompere, per limitare i controlli, per poter
mantenere i vecchi e consolidati rapporti clientelari. Facendo un bilancio delle due tendenze
si vede comunque che l’apertura è un dato favorevole in quanto si dà un rapporto negativo tra
essa e la corruzione. Mercati aperti sono meno intaccabili dalla corruzione rispetto a quelli
chiusi. Questa regola vale sia per i mercati internazionali sia per i mercati interni ad una
Nazione. Chiusure, monopoli, oligopoli, rendite di posizione favoriscono la corruzione.
Apertura, concorrenza, democrazia economica, dinamicità del mercato la rendono più
difficile. Ma ad un patto: che tutto questo sia regolato e che cresca, assieme alle regole e ai
controlli, anche la competenza etica degli operatori. I mercati più competitivi sono quelli in
cui vige una concorrenza efficientemente regolata.
La solidarietà della lotta alla corruzione
Se quanto abbiamo detto è vero, appare allora chiaro che c’è oggi un nuovo fronte
della solidarietà, quello di aiutare sussidiariamente a liberarsi dalla corruzione. Si tratta di un
nuovo fronte anche per la cooperazione. Questa nuova dimensione della solidarietà va intesa
sia all’interno delle Nazioni sia nella cooperazione internazionale.
La solidarietà, scriveva Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis «non è un
sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone,
vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il
bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente
responsabili di tutti» (n. 38). Come forma di applicazione di una simile solidarietà, Giovanni
Paolo II indicava nella medesima Enciclica anche la riforma del sistema internazionale di
commercio, la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale, la revisione degli
scambi delle tecnologie, la revisione delle strutture delle Organizzazioni internazionali (n.
43). Il Papa ne parlava in rapporto al problema dello sviluppo, ma non credo sia una forzatura
parlarne anche in rapporto al nostro tema, quella della corruzione, dato il suo collegamento,
di cui abbiamo ampiamente parlato, con lo sviluppo. Le quattro riforme di cui parlava
Giovanni Paolo II andrebbero anche finalizzate a migliorare le relazioni internazionali sul
tema della lotta alla corruzione. La Chiesa ha sempre riposto grande fiducia negli Organismi
internazionali; Paolo VI scrisse: «Questa collaborazione internazionale a vocazione mondiale
richiede delle istituzioni che la preparino, la coordinino e la reggano, fino a costituire un
ordine giuridico universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo le
organizzazioni che hanno preso in mano questa collaborazione» (Populorum progressio, n.
78). Come allora anche oggi la Chiesa incoraggia queste organizzazioni nel loro lavoro di
coordinamento, assieme ai governi, alla società civile internazionale e ai soggetti economici
transnazionali e nazionali, per azioni sempre più efficaci contro la corruzione.