DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA E LOTTA ALLA CORRUZIONE S. E. Mons. Giampaolo Crepaldi Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace Premessa La parola «corruzione»1, nel significato che le attribuiscono le scienze sociali e per come la assumono le ricerche empiriche, appare molto raramente nel Magistero pontificio. La Sollicitudo rei socialis non adopera questa parola, ma definisce «corrotti» i regimi che frenano lo sviluppo di alcuni Paesi poveri (n. 44). Sembra anche riferirsi a fenomeni riconducibili alla corruzione quando parla di un’economia, come quella di tanti Paesi in via di sviluppo o meno avanzati, «soffocata dalle spese militari, come dal burocratismo e dall’intrinseca inefficienza» (n. 22), o quando si occupa del traffico di armi o dell’uso improprio dei prestiti internazionali (n. 23), oppure quando ricorda che «ingenti somme di danaro, che potrebbero e dovrebbero esser destinate a incrementare lo sviluppo dei popoli, sono invece utilizzate per l’arricchimento di individui o di gruppi» (n. 10). La Sollicitudo rei socialis accenna al problema della corruzione nell’ambito delle sue riflessioni sullo sviluppo, riscontrando in essa una delle cause del sottosviluppo, la Centesimus annus, invece, collega questo grave fenomeno con il sistema politico. Essa si riferisce implicitamente anche alla corruzione quando lamenta che, venendo meno il fine del bene comune, «Le domande che si levano dalla società a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralità, ma piuttosto secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono» (n. 47). La stessa Enciclica, considerando il «ruolo dello Stato nel 1 Sui concetti definitori della corruzione vedi: M. ARNONE-E. ILIOPULOS, La corruzione costa. Effetti economici, istituzionali e sociali, Vita e Pensiero, Milano 2005, pp. 17-18. settore dell’economia» (n. 48), denuncia apertamente «La mancanza di sicurezza, accompagnata dalla corruzione dei pubblici poteri e dalla diffusione di improprie fonti di arricchimento e di facili profitti, fondati su attività illegali o puramente speculative» (ivi) e «l’enorme crescita delle spese» (ivi) di uno Stato assistenziale dominato da logiche eccessivamente burocratiche. Sulla linea della Sollicitudo rei socialis e della Centesimus annus si pone il Compendio della dottrina sociale della Chiesa che conferma - ai nn. 192, 447, 450 - l’analisi delle due Encicliche sul perverso rapporto tra corruzione e mancato sviluppo. Più articolato il contributo del Compendio in tema di corruzione politica a cui dedica l’intero numero 411. La corruzione viene definita una deformazione del sistema democratico perché tradisce al tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale. Credo, tuttavia, che non faremmo un lavoro utile se ci proponessimo di cercare in questo o quel luogo del Magistero sociale un riferimento più o meno esplicito al fenomeno della corruzione. Piuttosto dobbiamo chiedere alla dottrina sociale della Chiesa i criteri per impostare il problema, le coordinate dei principi e dei valori che ci permettono di illuminare il fenomeno, di spiegarlo non nei suoi dati empirici – compito questo della ricerca sociale –, ma nella sua connotazione etico-sociale ed etico-politica e di prospettare quindi dei possibili percorsi per una efficace lotta alla corruzione. Per questa lotta, infatti, c’è bisogno di conoscere il fenomeno in tutta la sua complessa fenomenologia empirica, ma anche – e ancor prima - di muoversi dentro un quadro di natura etica sufficientemente organico. Nasce ora un problema di metodo. In questo caso, come in altri analoghi, e più in generale, ogni volta che si vuole mettere in relazione una problematica sociale con l’insegnamento sociale della Chiesa, si deve partire dall’esame della questione – in questo caso da una analisi sociologica del fenomeno della corruzione – oppure dai principi esposti nella dottrina sociale? Il primo comportamento potrebbe essere accusato di positivismo, il secondo di astrattezza. Il mio giudizio a questo proposito è molto netto: il problema prospettato è in realtà un falso problema. Esiste, infatti, una circolarità tra storia e dottrina sociale2 . L’analisi della situazione è già opera di discernimento, in quanto tiene conto sia delle ricerche empiriche sia della luce teologica che proviene dalla dottrina sociale. Partire dalla situazione storica non vuol dire esaminare i fatti in modo positivistico e con una specie di induttivismo ingenuo; significa, invece, esaminare e valutare un complesso fenomeno alla luce dei principi teologici e filosofici contenuti nella dottrina sociale. In questo modo l’orizzonte interpretativo è già tutto impegnato nell’analisi e i dati empirici mantengono tutta la loro valenza significativa. Questo è il percorso che mi propongo di fare in questo mio intervento. Partirò quindi non dalla dottrina sociale, ma dal fenomeno della corruzione, inteso però già nella luce del Magistero. Così facendo potrò utilizzare e valorizzare i dati, le osservazioni, le riflessioni che gli esperti che mi hanno preceduto ci hanno già fornito e non rischierò di dare l’impressione che la dottrina sociale della Chiesa sia un prontuario per interventi mirati, in questo caso un «manuale di anticorruzione» in cui si possono trovare soluzioni immediatamente praticabili. Quattro criteri per la lotta alla corruzione oggi 1) La corruzione, per l’aspetto che ci interessa, è un fenomeno «recente». Di corruzione si parla nelle sedi internazionali solo da una decina di anni. Si può dire quindi che solo tra la fine degli anni Novanta e il primo lustro del nuovo millennio il fenomeno della corruzione è salito alla ribalta3 e viene studiato e affrontato come un insieme di dinamiche dalle caratteristiche ormai ben definite. 2 Ho affrontato questi problemi di metodo in: G. CREPALDI-S.FONTANA, La dimensione interdisciplinare della dottrina sociale della Chiesa, Cantagalli, Siena 2006. 3 La messa a punto del Corruption Perceptions Index da parte di Trasparency International risale solo al 2001. La Convenzione anticorruzione dell’ONU è del 29 settembre 2003. Nello stesso anno viene firmata la dichiarazione contro la corruzione dai Paesi del G8 riuniti ad Evian (Francia). Certamente ci sono state anche Gli studiosi si sono chiesti le cause di questa emersione del fenomeno corruzione in questi ultimi anni e, abbastanza concordemente, lo hanno spiegato con la fine dei blocchi politico-militari, la globalizzazione e la maggiore trasparenza dell’informazione mondiale. «Ciascuno dei due blocchi tende ad assimilare o ad aggregare intorno a sé, con diversi gradi di adesione o partecipazione, altri Paesi o gruppi di Paesi» (n. 20). In questo clima, descritto efficacemente dalla Sollicitudo rei socialis, si riteneva che la guerra fredda giustificasse la corruzione; l’opinione pubblica mondiale non ne veniva a conoscenza. La globalizzazione e la maggiore informazione che ne è seguita hanno messo in crisi il vecchio sistema, ma hanno anche aperto la possibilità di nuove forme di corruzione, dato che si sono moltiplicate, spesso al di fuori di ogni controllo, le comunicazioni tra le persone e gli scambi – anche illeciti - di denaro e di beni. Inoltre la globalizzazione permette agli Stati o alle corporations che praticano la corruzione di diffondere il loro comportamento, potremmo dire di esportare corruzione. Da queste brevi osservazioni sui motivi per cui la corruzione globale sia da considerarsi un fenomeno recente, si ricava un criterio valutativo molto importante: i fenomeni che hanno fatto emergere la corruzione e che rischiano di diffonderla sono gli stessi che possono combatterla. Ciò che ha fatto esplodere il fenomeno può essere utilizzato anche per limitarlo. Se accortamente adoperate, certe leve che possono incentivare la corruzione, possono anche diminuirla e combatterla, prima fra tutte la globalizzazione. iniziative precedenti. Per esempio, contro il riciclaggio del denaro sporco – fenomeno almeno collegato con la corruzione – i Paesi del G7 hanno costituito nel 1989 la Financial Action Task Force on Money Laundering (FATF), con la collaborazione del Fondo Monetario Internazionale. La Banca Mondiale porta vanti progetti di assistenza contro la corruzione fin dal 1996 e conduce operazioni sia investigative sia operative. Come si vede, però, anche in questi casi, non si va molto indietro nel tempo. Per farlo occorre risalire al U.S. Foreign Corrupt Practices Act, la legge statunitense del 1977 contro la corruzione di ufficiali stranieri da parte delle multinazionali americane. Ma si era solo agli inizi. Altre importanti convenzioni e programmi di azione di Organismi internazionali si collocano dopo il 1996. Ricordiamo qui le principali: 1996: Convenzione dell’Organizzazione degli Stati Americani; Dichiarazione contro la Corruzione della Assemblea delle Nazioni Unite – 1997: Convenzione per la Lotta contro la Corruzione delle Comunità Europee, sottoscritta dal Consiglio d’Europa ed entrata in vigore nel 2002; Convenzione contro il pagamento di tangenti dell’OCSE – 1999: Convenzione di legge penale sulla corruzione del Consiglio d’Europa e istituzione del Group of States against Corruption; Convenzione di legge civile sulla corruzione del Consiglio d’Europa – 2003: Convenzione anti-corruzione dell’Unione Africana. 2) Oltre che come recente, la corruzione si configura anche come un fenomeno globale. Intendo la parola «globalità» sia in modo estensivo, come sinonimo di realtà internazionale o mondiale, sia in senso intensivo, ossia come sinonimo di connessione tra i vari problemi sociali contemporaneamente presenti in un dato contesto sociale in un certo momento. La corruzione, se vista in orizzontale, ha a che fare con il superamento dei confini ed è ormai un fenomeno internazionale che coinvolge l’intera scena mondiale. Nello stesso tempo, se vista in verticale, essa è un fenomeno che attraversa il sistema morale, giuridico, politico, amministrativo di un determinato Paese. Molte ricerche empiriche hanno dimostrato che c’è una relazione negativa tra corruzione e crescita economica4, tra corruzione e indice di sviluppo umano 5, tra corruzione e funzionalità del sistema istituzionale, tra corruzione e lotta alle ingiustizie sociali. In altri termini, una società maggiormente corrotta tende a crescere meno dal punto di vita economico, ad essere meno promotrice della persona, meno aperta e meno giusta. Questo aspetto di globalità è molto importante, perché ci fornisce un altro criterio per valutare il fenomeno della corruzione e per rispondervi: la corruzione si combatte in modo olistico, ossia agendo contemporaneamente su molte leve, dato che la corruzione è fenomeno che attraversa i diversi sottosistemi sociali. 3) La corruzione è un fenomeno immateriale e come tale ha a che fare con l’«ecologia umana» di cui parla la Centesimus annus (n. 38). La corruzione è un insieme di relazioni, atteggiamenti, complicità, oscuramento delle coscienze, ricatti, minacce, patti non scritti, connivenze. Certamente essa muove ingenti risorse materiali, ma nella sua essenza è qualcosa di immateriale. Questa caratteristica rende la corruzione particolarmente conforme 4 La corruzione aumenta il rischio per gli investitori e disincentiva gli investimenti diretti esteri, produce un aumento del costo del credito, frena l’apertura al commercio internazionale (Cf ARNONE-ILIOPULOS, La corruzione costa cit., pp. 63-86). 5 Dato che l’Indice di sviluppo umano riguarda soprattutto l’accesso all’istruzione, l’uguaglianza di genere e la speranza di vita, è chiaro che si possono stabilire nessi circolari causali tra ognuno di questi ambiti e la corruzione. In altre parole, la corruzione è un fenomeno che frena non solo la crescita economia, ma anche lo sviluppo umano. alla società di oggi. Perfino l’incertezza o la discrezionalità, caratteristiche tipiche di una società molto flessibile, pluralista e destrutturata, costituiscono un terreno adatto alla corruzione. Le società rigide erano senz’altro meno esposte. Anche questa terza indicazione è di capitale importanza per la lotta alla corruzione. Essa dovrà avvalersi di interventi sicuramente di tipo materiale, ma soprattutto di azioni che si collocano a livello immateriale: una «ecologia umana» fatta di buone leggi, sani legami sociali, valida educazione e istruzione, giustizia e solidarietà, tenuta della moralità di base, formazione delle coscienze è un potente antidoto contro la corruzione così come le necessarie operazioni di investigazione e repressione del fenomeno. 4) Un quarto criterio si ricava direttamente dal paragrafo 25 della Centesimus annus: «L’uomo tende verso il bene ma è pure capace di male; può trascendere il suo interesse immediato e, tuttavia, rimanere a esso legato. L’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione». Si tratta di un criterio realistico molto interessante. Esso ci dice di puntare sui tratti virtuosi dell’uomo, ma anche di incentivarli; di pensare che la lotta alla corruzione è un valore, ma è anche un bisogno; che la corruzione è un male, ma è anche un costo; che il rifiuto della corruzione è un bene, ma è anche un vantaggio; che l’abbandono di pratiche corrotte può generare sviluppo e benessere; che i comportamenti onesti vanno incentivati e quelli disonesti puniti. Tutti questi quattro criteri, e non solo l’ultimo, sono perfettamente in linea con la dottrina sociale della Chiesa e, nello stesso tempo, esprimono le esigenze concrete della lotta alla corruzione oggi. Lotta alla corruzione e sistema politico Le indagini empiriche pongono in relazione negativa i comportamenti corrotti e il buon funzionamento del sistema politico. La democrazia autentica, che è possibile solo in uno «Stato di diritto» (cf. Centesimus annus, n. 46), è meno aperta alla corruzione rispetto ai sistemi chiusi, autoritari o dittatoriali. Nei sistemi politici in cui è presente una legislazione chiara e trasparente, in cui le leggi sono stabili e far valere i propri diritti è abbastanza agevole, là dove c’è un reciproco controllo tra gli organi del potere pubblico 6, la corruzione è minore. Quando gli organi di controllo, nel settore finanziario o in altri, non sono funzionali o non ci sono strumenti di supervisione, le possibilità per la corruzione aumentano. Quando il sistema giudiziario è troppo lento e non garantisce una giustizia efficace, l’intero sistema della legalità finisce per subire un discredito che alimenta le pratiche corrotte. La dottrina sociale della Chiesa concorda su tutto ciò, aggiungendo tuttavia la necessità di collegare tra loro legalità, socialità e moralità. Un sistema politico è fisiologicamente orientato al bene comune e quindi capace di rintuzzare fenomeni di corruzione se utilizza la legalità come espressione della socialità e se fonda ambedue – legalità e socialità - su una concezione etica del bene comune. È bene approfondire questo punto. C’è uno stretto legame tra legalità e socialità: il non rispetto della legge, l’impunità e la corruzione inducono ad atteggiamenti di sfiducia nella società, provocano chiusure nel privato con la tentazione di costruirsi percorsi individuali più che passare con pazienza attraverso politiche condivise. La notizia di ampi fenomeni di corruzione demoralizza il cittadino. Nello stesso tempo però, il non rispetto della legge nasce dall’individualismo, dalla sfiducia e dalla rassegnazione, dalla mancanza di un’etica sociale. La corruzione produce omertà e disimpegno, ma nasce anche dalla omertà e dal disimpegno. Legalità e socialità richiamano poi la moralità. Senza la condivisione di valori ritenuti «di tutti», senza un potere politico moralmente autorevole oltre che legittimamente detentore di autorità, senza una percezione dell’azione politica dei governi e di quella legislativa dei parlamenti come eticamente qualificata si corrodono i legami sociali e la tenuta della legalità diventa problematica. Leggi contrarie al bene dell’uomo, come quelle 6 Del rapporto tra legalità e corruzione si è occupata nel 1991 la Commissione ecclesiale Giustizia e Pace della Conferenza episcopale italiana con il Documento «Educare alla legalità». che prevedono l’aborto, leggi che permettono la trasgressione morale minano la legalità, diffondono una cultura antisociale, perdono la valenza educativa. La dottrina sociale della Chiesa pone chiaramente in relazione tra loro questi tre aspetti intendendo la giustizia inseparabilmente in senso legale, in senso sociale e in senso morale. Questi tre aspetti vengono considerati inseparabili, poiché li deve tenere insieme il principio di sussidiarietà come modalità di articolazione del bene comune. Anche questo fatto ha un riflesso notevole sul tema della corruzione. L’esistenza di apparati statali che, come afferma la Deus caritas est pretendano di provvedere a tutti i bisogni impedendo od ostacolando l’assunzione di responsabilità delle persone e dei gruppi intermedi creano situazioni favorevoli alla corruzione, a meno che non siano compensati da una forte moralità negli amministratori pubblici e da una forte tradizione al servizio al bene comune. Viceversa, quando le persone e i gruppi intermedi siano eccessivamente lasciati a se stessi, senza un insieme di regole comuni e di controlli, in ugual modo la corruzione può allignare e svilupparsi. Quando la dottrina sociale della Chiesa richiama questo principio non lo fa per demonizzare lo Stato e idealizzare la società civile né, viceversa, per idealizzare lo Stato e demonizzare la società civile. Sa bene che la corruzione può egualmente svilupparsi nel privato, nel privato sociale e nella pubblica amministrazione. Lo fa per collocarli nel loro giusto rapporto, dato che, se non ci sono sovrapposizioni e invadenze, si matura un capitale sociale che opera in senso contrario alla corruzione. Non c’è dubbio che tanto la «privatizzazione del pubblico» quanto la «pubblicizzazione del privato» innescano meccanismi perversi nei rapporti tra i privati, i corpi intermedi e le istituzioni, meccanismi che fomentano fenomeni complessi di corruzione. La sussidiarietà è di notevole importanza per collocare i vari attori al loro posto e in rapporti fisiologici reciproci; lo è ancora di più per suscitare partecipazione e assunzione di responsabilità, senza le quali si ha un burocratismo cieco che favorisce la corruzione; ma essa stessa dipende dal principio del bene comune che lega tra loro i diversi attori – privato, società civile, Stato – evitando così i moti centrifughi e le collusioni pericolose. Di grande importanza nella lotta alla corruzione mi sembra l’applicazione del principio di sussidiarietà all’autorità. Pio XI, che nella Quadragesimo anno si era occupato non direttamente della corruzione, ma dei fenomeni di speculazione e pirateria dell’economia e della finanza internazionale, aveva dichiarato che «molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole» (n. 80). Egli anticipava così il concetto di Giovanni XXIII secondo il quale c’è ormai bisogno di una autorità mondiale. Subito dopo, però, Pio XI enunciava il principio di sussidiarietà espresso nella sua formulazione classica e diventata quasi canonica. Questo significa qualcosa anche per la corruzione. Si tratta di un fenomeno globale che va combattuto a tale livello, ma articolando le autorità che se ne occupano in modo sussidiario, coordinandole in vista del principio del bene comune mondiale da raggiungere. Lotta alla corruzione e sistema economico Per la dottrina sociale della Chiesa il problema dello sviluppo non è solo problema economico e materiale, ma prima di tutto umano e immateriale. La corruzione, come fenomeno immateriale, è alla radice anche di povertà e sottosviluppo. La sua negatività, prima ancora di distogliere risorse alla crescita e pesare sul sistema con costi molto pesanti, consiste nel fatto che essa contribuisce a creare un contesto etico, sociale e culturale di freno allo sviluppo. Abbiamo accennato all’enciclica di Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis che configura appunto la corruzione tra le cause del sottosviluppo di tanti Paesi. È però vero anche il contrario, e cioè che una situazione di degrado e di povertà, di carenze di istruzione e di lavoro può favorire, anche se non determinare, fenomeni di corruzione. La dottrina sociale della Chiesa crede nell’economia e le affida un grande ruolo nello sviluppo umano; contemporaneamente crede che il vero sviluppo sia frutto di un’ economia «pulita» e che l’attività imprenditoriale richieda per propria natura delle virtù che contraddicono la corruzione: «la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell’assumere i ragionevoli rischi, l’affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell’esecuzione di decisioni difficili e dolorose, ma necessarie» (Centesimus annus, n. 32). Un’economia «pulita» risponde sia alle esigenze dell’etica sia a quelle dell’economia stessa: da ambedue infatti proviene all’economia una «domanda di qualità» (ivi, n. 36). Tra le conclusioni delle indagini empiriche e i principi della dottrina sociale della Chiesa si nota a questo proposito una consonanza significativa. I mercati dominati dalla corruzione favoriscono gli operatori meno capaci; nei mercati corrotti prevalgono le rendite parassitarie; i mercati non possono sussistere senza la presenza di regole scritte e non scritte, che di fatto la corruzione invece elimina; il mercato non vive senza una circolazione di informazioni, che invece la corruzione inquina; un mercato distorto dalla corruzione impedisce l’ingresso di nuove imprese; la corruzione si alimenta di eccessi di burocrazia che frenano la dinamicità dei mercati; la connessione tra economia e politica, con la partecipazione di uomini politici ai consigli di amministrazione delle imprese, alimenta la corruzione e frena contemporaneamente l’efficienza produttiva ed economica. Ho fatto solo alcuni esempi di come l’evidenza empirica continuamente attesti quanto la dottrina sociale della Chiesa afferma circa il rapporto tra etica ed economia, rapporto che la corruzione, invece, tende ad eliminare. Per la lotta alla corruzione, in altre parole, servono mercati aperti ma regolati, sia giuridicamente che moralmente. Facciamo l’esempio dell’apertura al commercio internazionale. Quando un’economia nazionale si apre ai commerci internazionali, i soggetti che praticano la corruzione trovano maggiori spazi per i propri comportamenti illeciti. In questo caso, quindi, l’apertura tenderebbe a dare maggiori possibilità ai corrotti. Tuttavia, le persone e i centri di corruzione tendono a frenare l’apertura dei mercati per vari motivi: per non moltiplicare gli attori e quindi i soggetti da corrompere, per limitare i controlli, per poter mantenere i vecchi e consolidati rapporti clientelari. Facendo un bilancio delle due tendenze si vede comunque che l’apertura è un dato favorevole in quanto si dà un rapporto negativo tra essa e la corruzione. Mercati aperti sono meno intaccabili dalla corruzione rispetto a quelli chiusi. Questa regola vale sia per i mercati internazionali sia per i mercati interni ad una Nazione. Chiusure, monopoli, oligopoli, rendite di posizione favoriscono la corruzione. Apertura, concorrenza, democrazia economica, dinamicità del mercato la rendono più difficile. Ma ad un patto: che tutto questo sia regolato e che cresca, assieme alle regole e ai controlli, anche la competenza etica degli operatori. I mercati più competitivi sono quelli in cui vige una concorrenza efficientemente regolata. La solidarietà della lotta alla corruzione Se quanto abbiamo detto è vero, appare allora chiaro che c’è oggi un nuovo fronte della solidarietà, quello di aiutare sussidiariamente a liberarsi dalla corruzione. Si tratta di un nuovo fronte anche per la cooperazione. Questa nuova dimensione della solidarietà va intesa sia all’interno delle Nazioni sia nella cooperazione internazionale. La solidarietà, scriveva Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis «non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (n. 38). Come forma di applicazione di una simile solidarietà, Giovanni Paolo II indicava nella medesima Enciclica anche la riforma del sistema internazionale di commercio, la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale, la revisione degli scambi delle tecnologie, la revisione delle strutture delle Organizzazioni internazionali (n. 43). Il Papa ne parlava in rapporto al problema dello sviluppo, ma non credo sia una forzatura parlarne anche in rapporto al nostro tema, quella della corruzione, dato il suo collegamento, di cui abbiamo ampiamente parlato, con lo sviluppo. Le quattro riforme di cui parlava Giovanni Paolo II andrebbero anche finalizzate a migliorare le relazioni internazionali sul tema della lotta alla corruzione. La Chiesa ha sempre riposto grande fiducia negli Organismi internazionali; Paolo VI scrisse: «Questa collaborazione internazionale a vocazione mondiale richiede delle istituzioni che la preparino, la coordinino e la reggano, fino a costituire un ordine giuridico universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo le organizzazioni che hanno preso in mano questa collaborazione» (Populorum progressio, n. 78). Come allora anche oggi la Chiesa incoraggia queste organizzazioni nel loro lavoro di coordinamento, assieme ai governi, alla società civile internazionale e ai soggetti economici transnazionali e nazionali, per azioni sempre più efficaci contro la corruzione.