• La figura umana nell'arte antica
La rappresentazione della figura umana ha sempre suscitato l'interesse degli artisti nell'arco della storia
dell'arte. Sin dall'antichità sono stati a lungo studiati ed analizzati il movimento del corpo, la proporzione,
l'espressione perché l'uomo ha sempre avuto il desiderio di conoscere se stesso e la propria potenzialità.
Già nei Graffiti rupestri l'uomo viene rappresentato in modo semplice e stilizzato, con le braccia rivolte
verso il cielo. Nel Paleolitico superiore si sviluppa un tipo di statuetta a tutto tondo definita Venere, in
quanto rappresenta un'immagine femminile con fianchi, seni e ventre accentuati e tondeggianti e le altre
parti del corpo solo accennate: si pensa che possa essere un'immagine propiziatrice, simbolo di fecondità.
Nelle statue egizie la figura umana assume un carattere soprattutto simbolico: deve esprimere il senso del
sacro e del potere assoluto. Questo modo di rappresentazione dà alle figure un carattere maestoso,
emblema di una società immutabile e immortale. Tutte le statue egizie erano rigorosamente dipinte: da
quelle in legno a quelle di calcare o alabastro. Solo quelle in granito venivano lasciate senza colore. La
scultura egizia era inoltre soggetta alla legge della frontalità: la statua doveva essere necessariamente vista
di fronte. I visi delle statue egizie non lasciano trapelare alcun sentimento, ma solo un sorriso lievemente
accennato. Inizialmente piuttosto ridotte di dimensioni, le statue egizie divennero sempre più imponenti
fino a raggiungere le dimensioni colossali delle architetture di Luxor e di Karnak. Anche nella pittura egizia
la figura assume delle caratteristiche particolari: la parte centrale del corpo è rappresentata frontalmente,
mentre la testa e le gambe sono viste di profilo per indicare il movimento. Inoltre i pittori egizi utilizzavano
un canone per rappresentare la figura umana: il foglio di papiro veniva diviso in 19 parti, ognuna delle quali
corrispondeva alla lunghezza del dito medio. I primi tre quadrati contenevano la testa fino alla base del
collo, gli altri dieci il busto dalle spalle fino al ginocchio, e infine gli ultimi sei le gambe dal ginocchio fino alla
base del piede.
Nell'arte cicladica furono ritrovate all'interno di corredi funerari statuette marmoree che raffigurano figure
umane realizzate con gusto geometrico e molto stilizzate, in tre tipi ricorrenti: figure femminili, dal collo
lungo, torso trapezoidale , braccia conserte e attributi femminili sottolineati; idoli a forma di violino, con
testa e collo ridotti a un cilindro e parte inferiore arrotondata. E infine figure di suonatori di flauto o arpa,
tra cui il Suonatore di lira proveniente da Keros, seduto su una sedia e di imponente forza espressiva. Negli
affreschi del Palazzo di Cnosso le figure umane sono rappresentate di profilo, con gli occhi grandi e allungati
e con abbigliamenti raffinati e atteggiamenti vivaci: ricordiamo il famoso Principe dei Gigli, figura a
bassorilievo in stucco dipinto dall'elegante disegno lineare che presenta, secondo lo schema egiziano, la
testa e le gambe di profilo e il busto frontale, e La Parigina, raffinatissima immagine femminile realizzata
con pochi rapidi tocchi. Nell'arte greca arcaica la figura umana veniva ritratta in scultura in forme massicce
e squadrate, per poi raggiungere la perfezione dell'età classica, dove veniva rappresentata secondo regole
precise: l'uomo nel pieno della giovinezza e del vigore che comunica l'idea di bellezza, di perfezione nel
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corpo e nello spirito, la volontà di raggiungere questi ideali che sono alla base della cultura greca. In tale
periodo lo scultore greco Policleto stabilì il canone per la realizzazione della figura umana, dove la testa è
1\8 del corpo. Basandosi su questa regola scolpì il Doriforo (portatore di lancia). Successivmente, in età
ellenistica, le composizioni di figure umane si fecero più complesse, ricche di scenografia e di effetti
spettacolari.
Con gli etruschi la scultura assume un realismo fisionomico e un gusto per la descrizione vivace, con volti
fortemente caratterizzati come si può notare nel Sarcofago degli sposi. Partendo dal realismo descrittivo
degli etruschi, la ritrattistica romana sviluppa i suoi caratteri di riproduzione fedele dei tratti fisionomici e di
descrivere la personalità dell'individuo per conservare la memoria delle sue opere, come nella statua
equestre di Marco Aurelio, in cui l'atteggiamento pacato dell'imperatore contrasta con l'incedere nervoso
del suo cavallo.
La figura umana tra realismo, idealizzazione e deformazione espressiva
La riproduzione del corpo dell’uomo ha sempre comportato notevoli difficoltà tecniche per gli artisti, poiché
tale soggetto è caratterizzato da una grande varietà di forme, proporzioni e atteggiamenti. Per facilitare la
rappresentazione della figura umana, gli artisti hanno elaborato griglie geometriche e canoni (insiemi di
regole), in modo da individuare i rapporti matematici e proporzionali che legano tra loro le varie parti del
corpo.
Questi sistemi di rappresentazione rispecchiano le caratteristiche di fondo dello stile e della cultura del tempo
in cui sono stati sviluppati. Di conseguenza, l’analisi di tali sistemi ci permette di comprendere come l’uomo in
ogni epoca o cultura abbia considerato se stesso e il proprio ruolo nella storia.
Tra le infinite rielaborazioni della figura umana sperimentate dagli artisti, è possibile individuare almeno tre
tendenze fondamentali che si sono alternate nel corso della storia dell’arte: quella realistica, quella
idealizzante e quella espressiva.
Gli artisti che si rifanno alla tendenza realistica partono dall’osservazione della realtà, che cercano di riprodurre
in modo fedele, evitando generalmente di abbellire o nobilitare i loro soggetti. La riproduzione esatta del vero,
pur avendo costituito assai raramente un obiettivo per gli artisti, è stata raggiunta in epoche diverse con esiti
particolarmente efficaci. Essa esprime generalmente l’intenzione di descrivere una particolare realtà sociale e
culturale, come è avvenuto, ad esempio, nei dipinti di Caravaggio, di molti altri artisti del Seicento e nelle
opere del naturalismo ottocentesco. Il massimo livello di fedeltà al vero è stato però raggiunto, a partire dagli
anni Settanta del Novecento, dagli iperrealisti americani, che hanno realizzato sculture a tutto tondo
raffiguranti esseri umani talmente simili al loro modello da risultare sconcertanti. In alcuni casi, tale perfetta
imitazione della realtà ha voluto esprimere anche una forte critica alla società contemporanea.
Gli artisti, però, hanno spesso preferito rielaborare le forme e le proporzioni delle figure umane che potevano
osservare nella quotidianità, al fine di esprimere la loro particolare concezione del mondo, piuttosto che
riprodurle in modo fedele. Infatti, nelle opere riconducibili alla tendenza idealizzante, l’artista presta
solitamente scarsa attenzione alle particolarità del singolo individuo o ai suoi caratteri somatici, e rappresenta
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figure schematiche, geometrizzate nelle forme e negli atteggiamenti, per comunicare attraverso di esse dei
contenuti o dei significati simbolici.
In alcune fasi della storia, il corpo umano è stato perciò rappresentato utilizzando degli schemi geometrici, atti
anche a semplificare il lavoro del’artista: essi permettono, come nel caso dell’arte dell’antico Egitto e di quella
bizantina e medievale, di costruire con facilità le figure, senza studiarne le proporzioni e le forme reali, e di
esprimere così la loro lontananza dalla realtà quotidiana.
In altre fasi della storia dell’arte, quali l’età classica greca, il Rinascimento italiano e il Neoclassicismo, gli artisti
sono invece partiti dallo studio dei corpi reali per giungere alla rappresentazione di figure umane idealizzate
grazie all’aiuto di canoni basati su rapporti proporzionali armonici. Queste figure, se da una parte sono
caratterizzate dal naturalismo che
deriva dall’osservazione diretta della realtà, dall’altra sono ricondotte aforme ideali, regolari,
geometrizzando e perfezionando le forme presenti in natura.
ottenute
Artisti come Policleto, Fidia, Leonardo e Michelangelo hanno infatti dato vita a opere caratterizzate da una
forma di «naturalismo idealizzato», ossia da un grande equilibrio tra naturalismo e astrazione delle forme.
• La bellezza nell’arte
La storia dell’arte ci permette di osservare più da vicino certi aspetti della società in cui è stata prodotta
l’opera. Attraverso un’opera d’arte possiamo entrare in diretto contatto con la visione dell’epoca; il
concetto di bellezza fisica è uno dei tanti argomenti che potrebbero essere trattati in questo modo.
Cos’è la bellezza estetica? La bellezza estetica, inscindibile dalle tendenze e dal gusto, è un concetto molto
labile. Nei secoli, questo concetto è stato ampiamente sviluppato, la bellezza nell’arte è sempre stata
motore di molte opere e di molte riflessioni da parte degli artisti.
Già nell’ antico Egitto, le donne, ma anche gli uomini, utilizzavano unguenti e cosmetici,non solo nella
mummificazione, ma anche per detergere il corpo, profumarlo e preservarlo dagli effetti della sudorazione.
L’arte di quel tempo ci mostra abiti ed acconciature di schiavi, faraoni e regine. Tra queste Nefertari,
ritratta nelle splendide e raffinatissime decorazioni che sono state ritrovate nella sua tomba. Le ricche vesti,
impreziosite da ricami e trasparenze, denotano lo status regale; mentre il volto di profilo, l’acconciatura e
gli occhi bistrati, riflettono il gusto e l’idea di bellezza predominanti in quel periodo.
Nella Grecia del V secolo, invece, la scultura di Fidia, Policleto e Mirone raggiunse gradi elevatissimi per
quanto riguarda la canonizzazione della bellezza. L’atleta, infatti, era considerato il soggetto preferito per la
scultura, tanto da diventare anche modello per le rappresentazioni degli dèi. La figura umana nell’arte
doveva riflettere non solo le qualità fisiche ma anche quelle morali come coraggio e volontà raffigurate
tramite proporzioni e prestanza fisica. Questo concetto viene identificato con l’espressione bello e buono
(καλὸς καὶ ἀγαθός), principio che coinvolge le sfere dell’estetica e dell’etica. Un corpo è bello quando ogni
sua parte ha una dimensione proporzionata all’intera figura. (Fidia)
• Il canone estetico nell'arte
Proseguendo nel tempo, arriviamo al Medioevo, dove bisognerà arrivare in epoca feudale per ritrovare un
canone estetico. La bellezza è ora quella degli Svevi e dei Normanni: biondi, con gli occhi chiari e la
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carnagione eterea. Le madonne sacre e profane riportano questi tratti e le donne preparano cosmetici per
sbiancare il colorito e schiarire i capelli, sebbene la morale cristiana e la satira condannino questi costumi.
Il Rinascimento riporta in auge il gusto classico della bellezza del corpo come simbolo di prosperità, grazia
ed eleganza.
È un momento artistico e culturale molto florido e tutto ciò si riscontra nei corpi ben torniti e nelle curve
abbondanti dei soggetti raffigurati. Si dice che gli uomini e le donne di questo periodo (ovviamente
appartenenti alle fasce sociali più alte) ricorressero addirittura a delle diete ingrassanti pur di essere “alla
moda”.
Ma è il ‘700 a far da padrone nel campo dell’uso dei cosmetici e dei “belletti”, damine tutte pizzi e crinoline
vengono dipinte da Boucher, Fragonard e Watteau (ma non solo); tutte intente in attività ricreative o nelle
loro stanze affollate di ninnoli, cagnolini da compagnia e leziosi decori. Questa figura femminile, delicata e
aggraziata, verrà invece contrapposta, nei secoli successivi, dalla figura della femme fatale: dominatrice,
lussuriosa, in grado di portare l’uomo alla rovina e perfino alla morte. Artisti come Klimt ritrarranno questo
tipo di donna, bellissima e ammaliatrice.
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Il concetto di bellezza (armonia) per gli Egizi
Si può affermare che con questa civiltà si comincia ad esplorare la bellezza e l’ armonia femminile nei
termini che conosciamo tutt’oggi.
L’ approccio positivo nei confronti del sesso fu sicuramente un fattore che contribuì a creare un forte culto
per l’ estetica. Le donne Egizie erano pioniere nell’ arte del miglioramento: le pratiche cosmetiche erano
molto sofisticate nelle tecniche di applicazione e negli ingredienti utilizzati, tra cui le piante che crescevano
lungo il Nilo, minerali come malachite e grassi animali. Molti dei reperti rinvenuti da siti egiziani antichi, in
particolare nelle aree di sepoltura, sono antiche versioni di pennelli da trucco, tavolozze di miscelazione,
contenitori di argilla per profumi, nonché per rasoi rudimentali per la pulizia della cute.
Di certo la pulizia era considerata sinonimo di bellezza, oltre che di prosperità: la pelle bisognosa di
protezione dal clima torrido, veniva protetta con degli unguenti profumati, tra cui il miele, spalmati in viso e
sul corpo. Le donne egiziane erano anche molto attente alle rughe: per stendere la pelle e ringiovanirla,
venivano creati unguenti appositi in grado di distendere le cellule epidermiche.
Il trucco, utilizzato per sottolineare gli occhi, le vene delle tempie e del seno, si usava per conferire alla
figura femminile sensualità, fascino, grazia, magnetismo e seduzione, tutti caratteri tipici dell’ ideale
estetico del luogo.
Celebre per avvenenza ed eleganza, i canoni egizi richiedevano che la donna fosse snella nella figura e
femminile nelle curve, con vita alta, spalle strette e viso simmetrico.
• ll concetto di bellezza (armonia) per i Greci
ll concetto di bellezza per i Greci è ben diverso da quello delle altre civiltà.
Infatti per i Greci un corpo è bello quando ogni sua parte ha una dimensione proporzionata alla figura
intera. L’atleta è il soggetto preferito dagli scultori classici e diventa il modello per rappresentare anche la
divinità; nell’atleta e nel dio le qualità morali come l’autocontrollo, il coraggio, l’equilibrio interiore e la
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volontà concorrono a farne la misura, il canone della perfezione: sono gli esseri superiori con cui devono
misurarsi i comuni mortali.
Nel mondo greco le divinità hanno forma umana: il loro corpo, rappresentato nel pieno della giovinezza e
del vigore, comunica l'idea di una bellezza perfetta, incorruttibile nel tempi, immortale. La figura umana è il
soggetto più rappresentato nella scultura greca infatti la rappresentazione della figura umana testimonia
desiderio di perfezione nel corpo e nello spirito, volontà di raggiungere l'ideale dell'uomo eroico e
vittorioso, protetto ed amato da un dio che guida le sue azioni.
• ll concetto di bellezza (spiritualità) nel Medioevo
ll Medioevo, negativamente giudicato come età oscura e buia, denigrato durante l’Illuminismo e rivalutato
con il Romanticismo, dà origine ad una visione mistica della natura e dell’arte,ad un senso di amore e di
pietas, e quindi di misticismo. La spiritualità dell’estetica medievale, secondo la quale Dio è l’eterna
bellezza, è ravvisabile nel linguaggio simbolico-trascendentale dell’arte paleocristiana, nella ieraticità
dell’arte bizantina, nella semplicità per le forme dell’arte barbarica, nella mistica atmosfera di riflessione e
raccoglimento interiore dell’arte romanica, e nell’arte gotica, che con le cattedrali, edificate secondo
l’armonia delle proporzioni, ha voluto rappresentare la Civitas Dei.
L’universo di immagini creato dagli artisti medievali può risultare, strano e inquietante; l’osservatore
moderno potrebbe attribuire al “primitivismo” o all’ingenuità il fatto che, negli affreschi e nei dipinti
romanici e gotici, gli artisti sembrano ignorare l’esistenza dell’ambiente entro cui gli uomini vivono, la realtà
del paesaggio, delle montagne, degli alberi, e che non “sappiano” rappresentare il volume di un oggetto o
la profondità spaziale. Tali considerazioni derivano da un accostamento al mondo figurativo medievale
erroneo, basato su criteri totalmente estranei al principi che lo informarono.
La cultura, e con essa l’arte romanica e – in parte – gotica, non rispondevano alle leggi della logica visuale. Il
simbolismo permeava la vita in tutti i suoi aspetti, e ogni forma, oggetto o realtà, acquistava valore in
quanto, direttamente o indirettamente, avvicinava l’uomo all’infinito, alla perfezione, all’ideale divino; il
mondo visibile non era altro che il riflesso di quello invisibile.
Nel campo dell’estetica, la forma era considerata perfettamente bella solo se veniva intesa come simbolo
della perfezione ideale e divina; una perfezione estranea ai sensi, alla mutevole quotidianità, allo spazio e al
tempo, categorie proprie degli esseri umani. Da ciò derivava che la forma non possedeva una bellezza
intrinseca, ne aveva in se stessa la propria ragion d’essere. La bellezza, nell’arte romanica e gotica, non fu
concepita come una bellezza temporale, ma come simbolo di una realtà mistica e trascendente
irraggiungibile dall’uomo; una bellezza che non era creata perché l’uomo la desiderasse di per se stessa, ma
come mezzo attraverso il quale il suo spirito potevano raggiungere la purezza.
Tuttavia, il godimento spirituale, premessa dell’arte medievale, nasceva anche da un piacere estetico. Il
compito precipuo dell’arte doveva essere quello di sollecitare le emozioni e che la contemplazione di
un’opera non si risolvesse in una percezione soltanto visiva, ma fosse strettamente legata alla realtà
concreta, capace persino di condurre all’estasi (*).
• Il concetto di bellezza (idealizzazione) nel Rinascimento
Il Rinascimento fu una rivoluzione culturale che da Firenze, nel 1400, si diffuse in tutta Italia e nel resto
d'Europa. Il suo impulso era la filosofia dell'Umanesimo, che cercava di far risorgere e di emulare la
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letteratura e l'arte degli antichi greci e romani. Gli artisti, in precedenza, erano stati limitati a realizzare solo
iconografia religiosa, col Rinascimento si cominciarono a riprodurre dipinti classici e copiare le statue
antiche che erano state riscoperte di recente.
La percezione della bellezza, da parte dell'artista rinascimentale, è stata quindi determinata dal suo
ambiente filosofico, dalla sua esperienza visiva, dalle esigenze dei suoi committenti e dai tentativi di
migliorare il suo status professionale nella società, ponendosi alla pari con quello dei poeti e degli architetti.
L'immagine di Venere ritratta da Botticelli come la idealizzazione della bellezza, nella Firenze del
Rinascimento, è significativamente diversa da quella di Venere ritratta dall'artista tedesco Lucas Cranach. La
Venere nord-europea è molto meno voluttuosa, rispetto alla sua controparte italiana, ma è ancora ispirata
da principi umanisti e mantiene una considerevole sensualità. I dipinti di Raffaello incarnano l'idealizzazione
della bellezza femminile di questo periodo ma, per sua stessa ammissione, sono raramente basati su
modelli reali. Spesso lo stesso tipo facciale è stato ripetuto in molti dipinti diversi. Infatti i ritrattisti del
Rinascimento tendevano ad evitare l'interpretazione realistica, sottolineando invece gli attributi positivi dei
loro soggetti, sia fisici che politici.
La percezione di un artista di ciò che è 'bello' è determinata da molti fattori, non ultimi i desideri del suo
mecenate. Gli artisti, pertanto, nel loro lavoro tendevano a riprodurre i riferimenti noti ed usuali, come ad
esempio i tipi di viso o i paesaggi, che i loro clienti erano in grado di riconoscere e trovare piacevoli e
familiari.
Confrontiamo, ad esempio, gli sfondi di montagna nelle opere degli artisti tedeschi con le verdi colline
toscane di Raffaello e Michelangelo. Non è un caso che l'arte della prospettiva sia stata sviluppata a Firenze
con le sue strade dritte ed edifici alti e angolari, o che il colore fosse così importante per gli artisti veneziani
che lavoravano all'interno di una laguna ricca di luci riflesse.
L'implicazione è che la percezione di ciò che è bello cambi nel tempo e da luogo a luogo, come può essere
illustrato dallo studio delle opere artistiche.
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Evoluzione del concetto di bellezza femminile nell'arte e nella società
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