“IL ‘DANNO DIRETTO‘ NELL’ART. 2395 C.C.” Parte 1 Cass., sez. I, 23 giugno 2010, n. 15220 Avv. Adolfo Tencati 4 ottobre 2010 Questioni. Il danneggiato non può invocare l’art. 2395 c.c. quando il pregiudizio lamentato è il riflesso del danno subito dal patrimonio sociale. Anche se gli amministratori hanno gestito «in maniera pessima», od il capitale sociale è andato interamente perduto per perdite, il danno al valore della partecipazione è riflesso del pregiudizio subito dal patrimonio sociale. Il danno è, invece, diretto quando le falsità contenute nel bilancio (o nei documenti similari) sono state idonee a suggerire un finanziamento, o l’acquisto di un pacchetto azionario, che altrimenti non sarebbe avvenuto. In tal caso, la responsabilità degli amministratori è aquiliana, ma una corrente dottrinale minoritaria sostiene la qualificazione contrattuale della responsabilità stessa. Orientamenti giurisprudenziali. Cass., sez. I, 5 agosto 2008, n. 21130, MFI, 2008, 1203 - L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, secondo la previsione dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi, come si evince, fra l’altro, dall’utilizzazione dell’avverbio «direttamente», la quale esclude che detto inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità. Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13766, GI, 2007, 2761 - Costituisce danno diretto, che legittima la proposizione di un’azione individuale di responsabilità nei confronti degli amministratori, quello risentito nella propria sfera patrimoniale da chi, per effetto di una inveritiera rappresentazione di bilancio, abbia acquistato per un determinato prezzo azioni di una società aventi, in realtà, valore nullo. Cass., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, MFI, 2007, 641 - La responsabilità prevista dall’art. 2395 c.c., per la cui ricorrenza non rileva che il danno sia stato arrecato al socio o al terzo dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ha natura extracontrattuale, costituendo un’applicazione dell’ipotesi disciplinata dall’art. 2043 c.c. Cass., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10271, FI, 2005, I, 816 - Fin quando l’assemblea non disponga la distribuzione degli utili in favore dei soci, l’asserita sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore di società a responsabilità limitata lede il patrimonio sociale e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull’interesse pag. 1-2 economico del singolo socio, cui non compete pertanto l’azione contemplata dall’art. 2395 c.c. Cass., sez. I, 8 gennaio 1999, n. 97, DPS, (9), 56 - L’azione di responsabilità contemplata dall’art. 2395 c.c. non può essere esperita al fine di ottenere il risarcimento del danno subito dal socio in conseguenza del compimento di atti di mala gestio da parte degli amministratori della società (nella specie, cessione di partecipazione azionaria detenuta in altra società per un prezzo notevolmente inferiore al valore di essa, così come risultante dal bilancio, o al valore da attribuirsi a tale partecipazione, così come risultante a seguito di aumento di capitale di codesta società) in quanto il danno lamentato dal socio non è prodotto direttamente dall’atto contestato ma si pone soltanto come risultato indiretto del depauperamento del patrimonio». App. Milano 23 giugno 2004, GCo, 2006, II, 1049 - Gli amministratori di società sono tenuti a rispondere ai sensi dell’art. 2395 c.c. del danno ingiusto da loro cagionato direttamente ai soci od ai terzi a seguito del compimento di un atto illecito nell’esercizio delle proprie funzioni, mentre rispondono ai sensi dell’art. 2043 c.c. qualora il danno ingiusto sia stato da loro cagionato a terzi al di fuori della propria attività gestoria. Trib. Firenze 16 giugno 2008, GI, 2009, 875 - Presupposto non espresso della responsabilità diretta degli amministratori ex art. 2395 c.c., ma coessenziale alla stessa, è l’avvenuta violazione del principio di parità di trattamento fra i soci (nell’ipotesi di falsità in comunicazioni sociali per via di asimmetrie informative create a vantaggio di quelli fra i soci — attuali o anche futuri — di cui gli amministratori sono espressione), al cui rispetto la società potrebbe risultare nell’immediato indifferente o interessata di riflesso, per via della illegittima prevalenza data alla considerazione dell’interesse di alcuni fra i soci a diretto danno degli altri. Trib. Milano, sez. X, decr. 30 agosto 2004, DResp, 2005, 755 - Danneggiati dai reati di bancarotta addebitati ad amministratori, sindaci […] e concorrenti possono essere anche gli azionisti della società fallita, allorché abbiano riportato danni ulteriori e diversi rispetto a quelli derivanti dalla svalutazione delle azioni che è effetto indiretto e riflesso rispetto al pregiudizio subìto dal patrimonio sociale. SOMMARIO Questioni. Orientamenti giurisprudenziali. Capitolo 1.1 Le ragioni del commento a Cass. n. 15220/2010. - 1.1.1 «Danno diretto» e fallimento di s. r. l. Capitolo 1.2 Al capolinea del dibattito sul «danno diretto». - 1.2.1 «Danno diretto» e prescrizione del’azione. pag. 1-3 Capitolo 1.3 Rapporti con l’azione sociale di responsabilità. - 1.3.1 «Danno diretto» del socio di s. p. a.: profili fallimentari. Capitolo 1.4 Attività istituzionale degli amministratori e «danno diretto». Capitolo 1.5 La «diretta incidenza» del danno sul patrimonio individuale. - 1.5.1 La nozione del «danno diretto». - 1.5.2 Uno sguardo alla casistica. - 1.5.2.1 Operazioni immobiliari e «danno diretto». - 1.5.2.2 Investimenti mobiliari e «danno diretto». - 1.5.2.3 Inadempimenti contrattuali e «danno diretto». - 1.5.2.4 Mala gestio della società e «danno diretto». Capitolo 1.6 Il carattere aquiliano della responsabilità per «danno diretto». - 1.6.1 L’inutilità del «contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi». - 1.6.2 L’inutilità dell’«obbligazione senza prestazione». Bibliografia. pag. 1-4 Capitolo 1.1Le ragioni del commento a Cass. n. 15220/2010. L’importanza di Cass. 15220/2010 (attualmente esaminata) deriva dall’essere una tra le rare pronunce che, dopo la riforma societaria del 2003, hanno analizzato il «danno diretto», pretesamente recato dagli amministratori ai soci di s. r. l. Riguardo a tali società la materia è così regolata: «le disposizioni dei precedenti commi (che regolano l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori : N.d.A.) non pregiudicano il diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori» (art. 2476, 6º co., c.c.). Rispetto alle s. p. a., invece, l’art. 2395 c.c. così si esprime: «le disposizioni dei precedenti articoli» 2393, 2393 bis, 2394 e 2394 bis, dedicati all’azione sociale di responsabilità ed a quella dei creditori sociali, ciascuna nelle sue varie forme, «non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori ». Dal raffronto tra le riferite disposizioni emerge una sostanziale identità di linguaggio, con la conseguenza di condividere l’interpretazione giurisprudenziale in forza della quale «l’azione regolata per la s. r. l. dall’art. 2476, 6º comma, c.c. è la medesima azione prevista dall’art. 2395 c.c. a tutela del singolo socio o del singolo terzo nella società per azioni» (Trib. Udine, ord. 11 febbraio 2005, DF, 2005, II, 808. Sul provvedimento cfr. Bianca M. 2005, 808). Il richiamato provvedimento è prezioso per il seguito della trattazione. Alla sua luce, infatti, i soci di s. p. a. e di s. r. l. hanno posizione identica a fronte del «danno diretto» pretesamente sofferto. Perché, allora, il legislatore ha quasi letteralmente ripetuto, per le s. r. l., la disciplina da sempre vigente per le s. p. a.? «La mera reiterazione del contenuto della norma risponde […] ad una precisa volontà legislativa tesa ad estendere a soci e terzi di società a responsabilità limitata, direttamente danneggiati da fatti di mala gestio orditi dagli amministratori, le stesse garanzie e gli stessi strumenti di tutela previsti in tema di società per azioni» (Franzini 2008, 490). pag. 1-5 Così ragionando ci si pone in sintonia con le scelte adottate dalla riforma societaria: la s. r. l. non è più «una piccola s. p. a.», bensì una «forma societaria» alla quale è apprestato un autonomo corpo di regole. Conseguentemente, per parificare i soci dei vari modelli di società di capitali nella protezione contro le malefatte degli amministratori, è stato necessario riprodurre (all’art. 2476, 6º co., c.c.) la disposizione ex art. 2395 c.c. Le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali — stante la vigenza di quest’ultima norma da maggior tempo — si sono particolarmente sviluppate riguardo all’art. 2395 c.c., ma ciò non toglie importanza a «danno diretto» lamentato dai soci di s. r. l. 1.1.1 «Danno diretto» e fallimento di s. r. l. L’intervenuto fallimento della s. r. l. non trasferisce all’organo della procedura concorsuale la legittimazione attiva all’azione risarcitoria per «danno diretto», sottraendola al singolo socio o terzo. L’art. 146, 2º co., lett. b), l. fall. richiama invero l’art. 2476, 7º co., c.c., il quale (a sua volta) richiama «i precedenti commi», ivi compreso il trascritto 6º. Ma dal descritto «gioco ad incastri» delle norme non è dato trarre che il curatore (o l’equivalente organo della procedura concorsuale) subentra al singolo socio (o terzo) che lamenta un «danno diretto». Ciò per «la dirimente osservazione che la lettera della disposizione, sebbene non perspicua, non è stata tuttavia ritenuta bisognevole di modifica, in considerazione della chiarezza della norma codicistica, e del pacifico principio generale, in virtù del quale il curatore si sostituisce nell’esercizio delle sole azioni dirette ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati al patrimonio del debitore» (Guglielmucci 2005, 287; idee simili in Salvato 2009, 1087). Il «debitore», al quale l’organo della procedura concorsuale subentra, è tuttavia la società. L’amministratore, invece, risponde per un titolo diverso, ossia la sua condotta antigiuridica, produttiva di «danno diretto» all’attore. Capitolo 1.2Al capolinea del dibattito sul «danno diretto». Cass. n. 15220/2010, attualmente esaminata, corona un dibattito dottrinale e giurisprudenziale avviatosi all’inizio del secolo XX. Le tappe fondamentali di tale dibattito sono: (1) Le contrapposte sentenze della Corte d’appello (App. Roma 8 luglio 1911, RDCo, 1911, II, 663) e della S.C. che, nei primi anni del Novecento, iniziarono la pag. 1-6 discussione sul «danno diretto», da imputare agli amministratori. Ribaltando il verdetto d’appello, i supremi giudici diedero particolare rilievo alla «funzione ‘esterna‘ del bilancio […], avente per iscopo di assicurare il pubblico mercato dello stato reale ed effettivo della società con la quale si contratta o voglia contrattarsi: per cui, se le condizioni economiche della società sono in realtà del tutto diverse da quelle che dal bilancio apparivano, e le azioni acquistate (dal ricorrente) avevano in realtà un valore molto minore, niuno potrà negare che l'acquirente, il quale si crede leso da questi artifizi, possa avere un'azione contro gli autori. E questa azione non può essere altra che quella (per responsabilità extracontrattuale). […] Il titolo dell'azione di risarcimento è il bilancio infedele, e non […] l'acquisto di azioni ad un prezzo insostenibile, che rappresenta solo il danno: il fatto costitutivo della responsabilità è dunque anteriore all'acquisto della qualità di socio. Inoltre l'azione promossa dal terzo danneggiato non riguarda un danno prodotto alla società (la quale, anzi, resta avvantaggiata dal comportamento degli amministratori), ma riguarda il danno che al terzo venne direttamente ed esclusivamente dall'operato degli amministratori: e perciò si tratta di azione individuale» (Cass. Roma 24 maggio 1912, RDCo, 1912, II, 945. Le parole tra parentesi sono dello scrivente). (2) L’art. 2395 c.c. nella stesura anteriore alla riforma societaria, che si è posto in sintonia con le ormai remote statuizioni della Corte di legittimità. Come emerge dal riferito brano, essa applicò agli amministratori — colpevoli del «danno diretto» — «il diritto comune della responsabilità civile» (Carnevali 1988, 83). L’inquadramento della responsabilità stessa nel paradigma aquiliano non era tuttavia pacifico, vigenti i codici ottocenteschi. Sicché redattore del c.c. oggi in vigore diede voce normativa all’insegnamento giurisprudenziale; (3) L’art. 2395 c.c. nella formulazione vigente a seguito della riforma societaria. «Il primo comma è immutato, onde le interpretazioni precedenti conservano piena utilità. In particolare, non è stato modificato il presupposto tipico della necessità che la condotta abbia ‘direttamente‘ danneggiato il socio o il terzo, leso nel suo diritto e non quale mera conseguenza o riflesso del depauperamento del patrimonio sociale» (Nazzicone 2003, 218). 1.2.1 «Danno Diretto» e prescrizione Del’azione. La riforma societaria del 2003 ha inserito nell’ormai tradizionale testo dell’art. 2395 c.c. il 2º co., che recita: «l'azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell'atto che ha pregiudicato il socio o il terzo». Questa, ovviamente, non è la sede dove discutere se la riferita norma contiene un termine di decadenza o di prescrizione (v. amplius Ambrosini S. 2004, 1480). pag. 1-7 Tuttavia non va trascurata l’esistenza dei «danni lungo latenti», ossia che diventano evidenti quando sono ormai passati oltre 5 anni dall’illecito. In tale evenienza l’interpretazione rigorosa dell’art. 2395, 2º co., c.c. precluderebbe ogni azione risarcitoria al danneggiato: • • «prima della verificazione del danno, perché manca un elemento della fattispecie della responsabilità; dopo la verificazione del danno, perché è decorso il termine quinquennale dal compimento dell'atto da parte dell'amministratore (in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.)» (Nazzicone 2003, 220. L’esposizione per punti è dello scrivente). L’unica interpretazione che armonizza l’art. 2395, 2º co., c.c. con le disposizioni costituzionali testé richiamate è allora quella secondo cui «la prescrizione non inizia a decorrere che dal momento in cui il danno risulti conosciuto, o comunque conoscibile attraverso l'ordinaria diligenza, da parte del singolo socio o terzo» (Ambrosini S. 2004, 1482; Zamperetti 2004, 833). Le precedenti considerazioni tuttavia non riguardano le s. r. l., in quanto la prescrizione dell’azione risarcitoria per «danno diretto» non è espressamente disciplinata dall’art. 2476, 6º co., c.c. Non potendosi d’altra parte applicare per analogia l’art. 2395, 2º co., c.c., stante il suo carattere eccezionale, «la decorrenza del termine non coincide con la data ‘del compimento dell’atto‘ […], bensì (con il : N.d.A.) momento in cui si è verificato l’evento dannoso, ovvero dal momento in cui il danneggiato ne ha avuto reale cognizione» (Silvestrini 2003, 510). Rispetto ai «danni lungolatenti», la soluzione è quindi identica a quella presentata dalla dottrina riguardo alle s. p. a. Nonostante la ricordata «volontà legislativa» di separare nettamente le norme relative alle s. p. a. ed alle s. r. l., le considerazioni svolte riguardo ai vari tipi di società di capitali non sono così distanti come appare a prima vista. Capitolo 1.3Rapporti con l’azione sociale di responsabilità. Bisogna prima di tutto chiarire i rapporti tra l’azione prevista da tale norma e quella sociale di responsabilità (artt. 2393 o 2393 bis) c.c.). pag. 1-8 L’art. 2395, 1º co., c.c. suggerisce (con la sua semplice lettura) l’autonomia tra le varie di responsabilità spettanti alla società ed al singolo socio o terzo. Piace tuttavia evidenziare che la giurisprudenza si è recentemente allineata alla normativa, così pronunciando: «la responsabilità risarcitoria dell’amministratore di una società di capitali nei confronti dei soci e dei terzi non è in alcun modo dipendente, sul piano logico, da quella, di natura contrattuale, eventualmente fatta valere nei confronti della società, così come questa seconda non presuppone l’accertamento di quella; ne consegue che, promossa una causa in primo grado nei confronti sia dell’amministratore che della società, e deceduto nelle more l’amministratore, la mancata integrazione del contraddittorio, in grado di appello, relativamente ad uno degli eredi di questo, non si traduce in conseguente inammissibilità del gravame proposto contro la società, non configurandosi una situazione di inscindibilità delle cause, ai sensi dell’art. 331 c.p.c.» (Cass., sez. I, 30 maggio 2008, n. 14558, MFI, 2008, 837). 1.3.1 «Danno diretto» fallimentari. del socio di s. p. a.: profili La miglior prova che le azioni previste dagli artt. 2393 e 2395, 1º co., c.c. sono autonome si ha nella sede concorsuale. Emblematica (ancorché speculare a quella discussa nella presente sede) è la ben nota vicenda della «concessione abusiva di credito». Una banca ha continuato ad assicurare risorse finanziarie ad un’impresa ormai decotta, facendola apparire florida. Sopraggiunto il fallimento, i creditori hanno promosso l’azione risarcitoria, il cui profilo processuale consiste nella legittimazione attiva del curatore. La fattispecie è giunta dinanzi alle Sezioni Unite della S.C., le quali hanno abbracciato «la interpretazione […] coerente con la linea di tendenza che emerge dalle recenti riforme nella materia fallimentare […]. Mentre infatti le finalità recuperatorie della azione revocatoria risultano ribadite, viene ulteriormente rafforzata la opinione oramai risalente che sostiene lo sganciamento dell´istituto dalle forme di tutela nei confronti dell’illecito, e dunque viene ulteriormente sottolineata la differenza con la azione ordinaria. Cosicché pare di dovere concludere che ogni pretesa che, pur riguardando il patrimonio del fallito, allega a fondamento un illecito da questi subito, sfugge alla logica della universalità e della concorsualità, tipiche delle azioni esecutive di massa» (Cass., sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7030, GI, 2006, 1193). Esula da questo commento l’approfondita analisi della pronuncia (e delle coeve Cass, sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7029, GI, 2006, 1194; Cass., sez. Un., 28 marzo 2006, n. 7031, GI, 2006, 1194), anche perché illustri Autori vi hanno ormai provveduto (cfr. Esposito 2006, 1128; Fauceglia 2006, 646); Spiotta 2006, 1193). pag. 1-9 Preme piuttosto sottolineare che i creditori, delusi dal fatto che la banca ha continuato a sovvenzionare chi non meritava il credito, dovranno agire individualmente contro la banca. La responsabilità dell’ente finanziatore per l’indebita elargizione di tesoreria può paragonarsi a quella sanzionata dalla «azione disciplinata dall’art. 2395 c. c. […]. In particolare, è stata messa in luce l’analogia che sussiste tra una delle ipotesi paradigmatiche di applicabilità dell’art. 2395 c. c. (quella in cui la redazione e pubblicazione di un bilancio non veritiero abbiano indotto un terzo a concedere un mutuo alla società oppure ad acquistare e sottoscrivere azioni ad un prezzo superiore al loro effettivo valore) e la concessione abusiva di credito: in entrambi i casi la società, lungi dal subire un danno, risulterebbe avvantaggiata» (Spiotta 2006, 1195). [Per considerazioni e citazioni, anche della tesi contraria, la cui esistenza ha giustificato l’intervento delle Sezioni Unite, si veda Nigro 2007, 155]. Dal proposto paragone discende che— indipendentemente dal considerare il creditore leso dall’abusivo finanziamento od il socio (o terzo) che lamenta un «danno diretto» ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. — «l’azione non si trasmette al curatore fallimentare, poiché mira […] ad ottenere il ristoro di un danno subito dal socio o dal terzo, non dalla società e/o dalla massa. Dunque, non è ammissibile che (gli attori: N.d.A.) possano essere privati della azione, in virtù di un evento, il fallimento, che non incide sulla pretesa da essi vantata» (Salvato 2009, 1077. Si veda pure Ambrosini S. 2008, 346). Capitolo 1.4Attività istituzionale degli amministratori e «danno diretto». È «ormai superata» l’opinione secondo cui l’azione ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. risarcirebbe il «danno conseguente all’atto illecito compiuto dall’amministratore al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni» (Stolfi 1984, 295). A siffatto orientamento ha tuttavia aderito l’autorevole parte della giurisprudenza, ad avviso della quale «non importa […] che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze» (Cass., sez.I, 28 marzo 1996, n. 2850, FI, 1997, I, 235; Cass., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, GI, 2007, 2761. Su Cass. n. 2850/1996 cfr. La Rocca 1997, 240). Il fondamento teorico di quest’affermazione risiede nel ritenere 2476, 6º co.), c.c. pag. 1-10 l’art. 2395, 1º co. (o «applicabile (anche : N.d.A.) ai casi in cui l’atto doloso o colposo fosse estraneo all’attività gestoria, come se il danno avesse dovuto risultare cagionato direttamente dall’amministratore in qualità di privato cittadino e non quale organo della società» (App. Milano 23 giugno 2004, GCo, 2006, II, 1053). [Il giudice così espone l’opinione di Murtula 1967, 348]. La «formula» — usata dalla giurisprudenza e dalla dottrina che con essa concorda — è però «non del tutto felice» (Rordorf 2008, 1332, nota 55). Infatti è preferibile sostenere: «che la norma si riferisca, pur non precisandolo espressamente, all’attività compiuta dagli amministratori nell’esplicazione delle loro funzioni gestorie,enonaldifuori di esse, deriva […] sia dal riferimento espresso, contenuto nell’art. 2395 c.c., alle ‘disposizioni dei precedenti articoli‘(che riguardano appunto la responsabilità degli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni), sia dalla considerazione logica che, altrimenti, la norma non avrebbe altro significato che quello di ribadire che una persona fisica, la quale assuma la veste di amministratore di società, continua ad essere soggetta all’applicazione dell’art. 2043 c.c. qualora, agendo per proprio conto, abbia posto in essere un atto illecito dannoso. Ne consegue che gli amministratori rispondono ex artt. 2395 e 2476, comma 6, c.c. per il danno derivante da fatti attinenti alla gestione sociale; rispondono, invece, ex art. 2043 c.c. per il danno direttamente cagionato al di fuori dell’esercizio di tale attività» (Trib. S. Maria Capua Vetere, sez. III, 10 ottobre 2006, Soc, 2008, 489). [L’argomento è frequente sia in giurisprudenza (ad es., App. Milano 23 giugno 2004, GCo, 2006, II, 1053), sia in dottrina (a puro titolo esemplificativo cfr. Giannattasio 1963, 439; Bonelli 1991, 451). Ad avviso di scrittori e giudici, l’art. 2395 c.c. sarebbe una «norma pleonastica» (o «superfluo doppione») se interpretato come disposizione che si limita a trasporre l’art. 2043 c.c. nell’ambito societario]. Nel caso giudicato da Cass. n. 15220/2010, attualmente commentata, si all’amministratore di aver gestito la società in modo rovinoso. Ma, così l’amministratore stesso ha svolto l’attività istituzione, ancorché con esiti addebitabili a sue colpe. Dunque la disciplina applicabile è solo quella ex artt. co. (o 2476, 6º co.), c.c. contesta facendo, negativi 2395, 1º Astraendo dal caso specifico, le argomentazioni finora presentate hanno notevole importanza per l’avvocato: proposta infatti l’azione ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c., non è consentito prospettare, in subordine,l’azione ex art. 2043 c.c. L’atto di citazione imputa, invero, ai convenuti«condotte contrarie ai doveri d’ufficio» (secondo il linguaggio penalistico della corruzione), mentre l’art. 2043 c.c. riguarda la diversa fattispecie in cui l’amministratore agisce fuori dalla sua veste istituzionale. pag. 1-11 Capitolo 1.5La «diretta incidenza» del danno sul patrimonio individuale. Accertato che gli amministratori hanno commesso (per dolo o per colpa non importa) fatti illeciti, ai quali il pregiudizio lamentato si lega con il nesso causale, il requisito che ha maggiormente tormentato interpreti e giudici è ‘direttamente‘, che figura sia nell’art. 2395, 1º co., c.c., sia nell’art. 2476, 6º co., stesso codice. Bisogna tuttavia guardarsi dall’interpretare queste norme con i criteri che, nell’art. 1223 c.c., definiscono la causalità «immediata e diretta». «La formulazione dell’art. 2395 c.c. indica infatti — chiaramente — che quanto ivi espressamente previsto attiene all’an del risarcimento, non al quantum debeatur […]. L’avverbio direttamente è elemento che pertiene alla titolarità del diritto ed alla legittimazione attiva della relativa azione; pertanto rientra tra i requisiti dell’an debeatur. Nel contesto della disposizione […] la locuzione non pare possa invece attenere il profilo quantitativo del risarcimento; non sembra, in altre parole, possa avere la funzione di determinare l’entità del pregiudizio risarcibile (lucro cessante e danno emergente) in presenza di un evento lesivo già considerato fonte di responsabilità nei confronti del singolo socio o del terzo; funzione che, viceversa, deve essere assegnata al disposto dell’art. 1223 c.c.» (Cassottana 1983, 530). 1.5.1 La nozione del «danno diretto». Quando l’illecito degli amministratori incide direttamente sulle sostanze del socio (o del terzo), l’unica azione che gli spetta è quella ex art. 2395, 1º co. (o2476, 6º co.), c.c. Così si dà voce ad «una consapevole scelta del legislatore che […] ha voluto sottrarre al terzo la possibilità di intervenire per reprimere» le malefatte degli amministratori indirettamente incidenti sul suo patrimonio. A tale ultimo fine sono infatti volte le azioni spettanti alla società od ai creditori sociali (App. Milano 23 giugno 2004, GCo, 2006, II, 1054). Ma non sono solo i giudici di Milano a pensarla così. Ormai da tempo, infatti, il S.C. insegna: «l’azione individualmente concessa dall’art. 2395 c.c. ai soci per il risarcimento dei danni loro cagionati dagli atti dolosi o colposi degli amministratori […] presuppone che i danni non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano direttamente cagionati al socio, come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori e dei sindaci che tale comportamento abbiano reso possibile violando i loro doveri di controllo» (Cass., Sez. I, 7 settembre 1993, n. 9385, AC, 1994, 297). pag. 1-12 [Argomentazioni simili in Cass., sez. I, 3 aprile 2007, n. 8359, GI, 2007, 2761; Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13766, GI, 2007, 2763]. Il concetto si specifica dicendo che, «alla stregua del tenore letterale dell’art. 2395 c.c., […] l’avverbio ‘direttamente‘ qualifica una speciale inferenza causale relativa al danno-evento, nel senso che ai fini risarcitori il danno deve risultare essersi ‘immediatamente‘ prodotto nella sfera del ‘terzo‘» (App. Milano 23 giugno 2004, GCo, 2006, II, 1054. In tal senso anche Cass., sez. I, 28 marzo 1996, n. 2850, FI, 1997, I, 238). Si incontrano tuttavia inconvenienti particolarmente gravi nell’applicare queste giuste affermazioni ai casi concreti. I ricordati inconvenienti giustificano anzi l’ormai vastissima produzione giurisprudenziale fiorita attorno all’art. 2395, 1º co., c.c. Cass. n. 15220/2010, attualmente esaminata, non si pone quindi (come precedentemente evidenziato) al capolinea dell’evoluzione normativa, ma costituisce pure l’ultimo traguardo della giurisprudenza. 1.5.2 Uno sguardo alla casistica. Dalla complessiva lettura della giurisprudenza e dei relativi commenti emerge «un quadro articolato per varietà casistica e disomogeneità di criteri utilizzati, in dottrina e in giurisprudenza, per delineare l’ambito di esperibilità dell’azione» ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. (così Lofredo 2006, 1058). Donde l’impossibilità di analizzare con assoluta completezza le fattispecie postesi all’attenzione degli studiosi e dei giudici. Vi sono tuttavia alcuni casi emblematici, che è utile passare in rassegna. 1.5.2.1 Operazioni immobiliari e «danno diretto». Il «danno diretto» del socio è stato riconosciuto nel caso dove «il liquidatore di una cooperativa edilizia […] utilizza per l’estinzione parziale di un mutuo stipulato dalla cooperativa, dopo il suo frazionamento tra gli assegnatari degli alloggi, somme versate da un socio per il pagamento di una propria rata di mutuo, esponendolo ad un nuovo pagamento per evitare l’azione esecutiva sul proprio immobile» (Cass., sez. I, 17 novembre 1982, n. 6154, GCo, 1983, II, 873). pag. 1-13 1.5.2.2 Investimenti mobiliari e «danno diretto». Tra le pronunce significative — che hanno condannato gli amministratori a risarcire il «danno diretto» ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. — si segnala quella del Trib. Milano sul «caso Ferruzzi». I giudici milanesi rilevano innanzi tutto (ed in maniera condivisibile) che «solo la lesione di un diritto soggettivo proprio del singolo socio (o del terzo) costituisce il titolo in forza del quale questo è legittimato ad agire in giudizio con l´azione individuale di responsabilità, salvo poi verificare, una volta introdotta l´azione, se il danno dedotto sia anche risarcibile e cioè se effettivamente abbia inciso, in via diretta e non meramente mediata, sul patrimonio personale pregiudicandolo; ne consegue che il socio deve provare, per un verso, che gli amministratori hanno posto in essere atti dolosi o colposi da cui sia derivata la violazione di un suo diritto soggettivo […]. Per altro verso (poiché non ogni lesione del diritto soggettivo produce un danno al patrimonio e dunque un danno che sia anche risarcibile), che la lesione di tale diritto abbia inciso direttamente sul patrimonio personale» (Trib. Milano 21 ottobre 1999, GI, 2000, 1641). Tra i diritti soggettivi dell’investitore sicuramente rientra quello all’«informazione societaria», ossia a ricevere «notizie complete e veritiere» sulla «situazione economica, patrimoniale e finanziaria» della società nei cui titoli vuole investire il denaro. Tali notizie, anche per gli investitori professionali (com’era l’attrice nel «caso Ferruzzi») si ricavano dai bilanci e dai relativi allegati. L’esposizione di dati mendaci in tali documenti, pertanto, lede certamente il diritto dell’investitore «al consapevole investimento» del proprio denaro. La violazione di tale diritto produce tuttavia un pregiudizio meritevole di risarcimento «solo se la medesima condotta illecita degli amministratori abbia determinato — oltre o accanto al pregiudizio al patrimonio sociale e a prescindere da questo — un distinto pregiudizio al patrimonio del singolo sulla base di una serie causale autonoma, il che si verifica allorché la mancata o falsa informazione sulla complessiva situazione economica e patrimoniale della società abbia indotto il singolo a fare o a mantenere un investimento (poi risultato negativo) che non avrebbe fatto qualora fosse stato a conoscenza dei fatti omessi o falsamente rappresentati nei documenti ufficiali» (Trib. Milano 21 ottobre 1999, GI, 2000, 1641). Sulla stessa linea ideale si è posta anche la S.C. quando ha analizzato una fattispecie simile a quella giudicata a Milano. L’interessato rimproverava alla sentenza impugnata di aver confuso le azioni rispettivamente spettanti alla società ed al singolo socio contro i medesimi convenuti, amministratori della stessa. Tuttavia i supremi giudici hanno respinto l’addebito, così insegnando: pag. 1-14 «tanto poco il giudice d´appello ha confuso le due situazioni, che nella liquidazione del danno […] ha distinto il prezzo pagato […] per l´acquisto delle […] azioni, aventi valore nullo, il cui esborso ha costituito un danno risentito nella sfera patrimoniale dell’acquirente in via assolutamente diretta, ed il pregiudizio riferito al valore che le stesse azioni avrebbero avuto se il bilancio […] fosse stato veritiero, rilevando come — così identificato — il danno verrebbe a ricomprendere anche il valore negativo, ‘vale a dire le azioni con il carico di passività‘, laddove il passivo sociale rappresenta non un danno diretto del terzo acquirente, ma un effetto depauperativo del patrimonio sociale, che solo indirettamente si riflette sul patrimonio del socio o del terzo» (Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13766, GI, 2007, 2765). 1.5.2.3 Inadempimenti contrattuali e «danno diretto». L’illecito degli amministratori fa da sfondo: (1) Ai «contratti di investimento», che non sarebbero stati stipulati se l’investitore avesse conosciuto ex ante la falsità dei dati contabili esposti dai convenuti. La «fattispecie» — che «costituirebbe (quella: N.d.A.) tenuta in considerazione nel momento della redazione dell’art. 2395 c. c.» (Minervini 1956, 363) — è stata ormai analizzata. Pertanto non sono necessarie ulteriori riflessioni; (2) All’inadempimento di ogni altro contratto. Il caso paradigmatico è giudicato da app. Milano 23 giugno 2004 (GCo, 2006, II, 1049). L’amministratore di una società segnala ad una finanziaria l’«interesse al finanziamento» di un nominativo che mai l’aveva chiesto. La finanziaria — ignara della’illecito — eroga il finanziamento, ma l’importo viene illecitamente trattenuto dall’amministratore. Scoperto l’inganno, la finanziaria agisce contro chi l’ha raggirata ex art. 2395, 1º co., c.c. In primo grado la fattispecie è considerata un inadempimento contrattuale della società, sicché l’amministratore non viene condannato. Il verdetto così sintetizzato è riformato in appello sulla premessa secondo cui la condotta del convenuto è sicuramente illecita, oltre che pacifica in causa. Dalla condotta stessa «non è certo derivato un danno diretto per la società, che si è semmai arricchita di tale importo non dovuto, ma certamente si è verificato un danno (solo) per la terza creditrice […], che ha dovuto rimborsare il detto importo alla sua mandante, perdendo un valore corrispondente. Il danno si è quindi verificato, ed ha inciso in modo immediato e diretto, sul patrimonio della […], per effetto ed a causa dell’illecito comportamento dell’amministratore […]. Alla luce di tali considerazioni risultavano dunque integrati tutti i presupposti della dedotta responsabilità ex art. 2395 c.c., così come richiamato dall’art. 2487 c.c. (oggi art. 2476, 6º co., c.c.: N.d.A.) per le società a responsabilità limitata (qual era la […])» pag. 1-15 (App. Milano 23 giugno 2004, GCo, 2006, II, 1056). La riferita motivazione va condivisa «per evitare che gli illeciti degli amministratori, lesivi per il singolo socio o terzo: N.d.A.) si trasformino in obblighi risarcitori per la società, la quale finirebbe per risponderne a titolo di responsabilità oggettiva» (Lofredo 2006, 1063). Pur non potendola, ratione temporis, conoscere, il giudice di Milano si è adeguato al più recente insegnamento del S.C. A suo avviso, infatti, non basta che la società sia inadempiente ad un contratto a fondare la responsabilità dell’amministratore ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. Infatti, «il riferimento all'incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art. 2395 c.c., importa un esame rigoroso del nesso di causalità adeguata tra il pregiudizio subito dal creditore ed il comportamento dell'amministratore, così come in generale in ogni ipotesi di tutela aquiliana del credito» (Cass., sez. I, 5 agosto 2008, n. 21130, FICDRom, 2/2010. Sulla sentenza cfr. Spiotta 2009, 879, dove l’autrice commenta pure Trib. Firenze 16 giugno 2008, GI, 2009, 875. Anche questa pronuncia riguarda l’art. 2395, 1º co., c.c.). Neppure qualificando contrattuale (salve le obiezioni proposte nella competente sede) la responsabilità in esame, tuttavia, si sovvertirebbe l’insegnamento della S.C., nonché dei giudici di merito e degli studiosi con la stessa concordi. Infatti la società non ha assolto un’obbligazione diversa da quella alla quale gli amministratori non hanno adempiuto. La società è obbligata verso la propria controparte, mentre l’obbligo degli amministratori stessi sorge verso i soci od i restanti terzi. 1.5.2.4 Mala gestio della società e «danno diretto». Alle ipotesi finora considerate, dove il risarcimento per «danno diretto» ai soci od ai terzi è stato riconosciuto ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c., si contrappone la casistica in cui rientra Cass. n. 15220/2010, attualmente in esame. Le fattispecie ora considerate sono accomunate dal fatto che il socio — non conseguendo utili (od addirittura vedendo fallire la società) — imputa le vicende economiche negative alle condotte colpevoli, e talora criminose, degli amministratori.. La considerazione di comportamenti costituenti altrettanti reati, oltre che illeciti civili, è suggerita da un caso giunto dinanzi al Trib. di Milano. Lo scenario sul quale il caso stesso si svolge consiste nel noto default del Vecchio Banco Ambrosiano. Le malefatte ascritte ai managers di tale banca costituiscono bancarotta fraudolenta, in relazione alla quale è intervenuta condanna penale. Dall’azione penalmente illecita (che presuppone il fallimento dell’imprenditore: cfr. art. 216 l. fall.) può tuttavia nascere pag. 1-16 «una pretesa risarcitoria da parte di soggetti che, pur non essendo creditori concorsuali, siano pregiudicati dai fatti di bancarotta costituenti reato. Tale conclusione trova, a monte, argomenti nella distinzione, nel rapporto fallimento ?? reato concorsuale, del pregiudizio economico collegato all’insolvenza fallimentare — che deriva dall’inadempimento da parte dell’imprenditore dichiarato fallito di obbligazione ex contractu — dal pregiudizio derivante da obbligazione ex delicto su cui può fondarsi l’azione civile per ottenere il ristoro dei danni morali e dei c.d. danni patrimoniali supplementari derivanti dai fatti costituenti le singole fattispecie incriminatrici. […] Ciò a conferma della necessità di individuare la parte lesa del reato di bancarotta secondo i criteri generali. E secondo i criteri generali, danneggiati dai reati di bancarotta, addebitati ad amministratori, sindaci […] e concorrenti, possono essere allora anche gli azionisti, allorché abbiano riportato danni ulteriori e diversi rispetto a quelli derivanti dalla svalutazione delle azioni che è effetto indiretto e riflesso rispetto al pregiudizio subito dal patrimonio sociale» (Trib. Milano, sez. X, decr. 30 agosto 2004, DResp, 2005, 756. Sul provvedimento cfr. Maccaboni 2005, 760, che peraltro lo commenta rispetto a problemi non rilevanti in questa sede). Pur senza espressamente richiamarlo, il giudice milanese si allinea all’ormai pacifico insegnamento del S.C. (per citazioni v. Nazzicone 2005, 818). A suo avviso, «essendo gli utili parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, è di assoluta evidenza che l’asserita sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore lede appunto il patrimonio sociale» (Cass., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10271, FI, 2005, I, 817). Il «singolo socio», invece, vede soltanto indirettamente danneggiata «la sua aspettativa di reddito e» limitato «il valore della sua quota». Tamto basta «ad escludere che al socio competa, in simili casi, l’azione contemplata dal citato art. 2395, la quale presuppone invece l’esistenza di un danno subìto dal medesimo socio direttamente: non cioè come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società, tramite gli organi a ciò abilitati e con il procedimento a tal fine prescritto dal precedente art. 2393, può chiedere il risarcimento all’amministratore» (Cass., sez. I, 28 maggio 2004, FI, 2005, I, 817). [Si veda pure Cass., sez. I, 8 gennaio 1999, n. 97, DPS, (9), 56. Sulla sentenza — la cui massima è riprodotta neli «Orientamenti giurisprudenziali» — v. Manzini 1999, 56]. Integrando peraltro la «distrazione degli utili» a profitto degli amministratori l’appropriazione indebita, prevista e punita dall’art. 646 c.p., il socio è comunque pag. 1-17 legittimato a pretendere, ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c., il risarcimento di dei pregiudizi non patrimoniali, nonché dei danni patrimoniali non ristorati mediante la condanna generica, eventualmente emessa dal giudice penale. Capitolo 1.6Il carattere aquiliano della responsabilità per «danno diretto». L’avvicinamento della responsabilità ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. a quella predicata dall’art. 2043 stesso codice è frutto dell’idea per cui gli amministratori rispondono «direttamente» verso i soci od i terzi a titolo extracontrattuale. La maggior parte delle sentenze afferma peraltro il concetto senza particolare approfondimento. Giova allora svolgerlo, giustificando la natura aquiliana della responsabilità in esame con il fatto che questa discende «da comportamenti lesivi della persona e del patrimonio tenuti in difetto di un obbligo di prestazione del danneggiante verso il danneggiato. (Il) socio (è infatti estraneo) al vinculum iuris che affetta l'azione dei gestori» (Pinto 2006, 901. Le parole tra parentesi sono dello scrivente). La difficoltà di provare gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana fa tuttavia sorgere il dubbio se il danneggiato stesso può trovare migliore tutela grazie alla «ormai prevalente concezione del rapporto obbligatorio come Organismus complesso (che: N.d.A.) ha condotto la dottrina civilistica ad ampliare il perimetro della responsabilità ‘contrattuale‘ oltre i limiti dell'inadempimento di una preesistente obbligazione di prestazione» (Mengoni 1988, 1072). L’estensione della responsabilità contrattuale (con le conseguenti facilitazioni probatorie) oltre i suoi tradizionali confini è avvenuta trasportando nell’ordinamento italiano i risultati raggiunti dalla dottrina tedesca (ampie citazioni della stessa in Pinto 2006, 901905) in ordine: (a) Al «contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi»; (b) All’«obbligazione senza prestazioni». Nessuno dei richiamati concetti è però idoneo a sovvertire l’ormai usuale configurazione aquiliana della responsabilità ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. 1.6.1 l’inutilità Del «contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi». Non può invocarsi il «contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi», atteso che la fattispecie ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. è antitetica a quella sottostante all’istituto entro il quale dovrebbe inquadrarsi. Esso è invero utile allorché l’«interesse» tutelato dall’azione ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. pag. 1-18 «si presenta quale ‘riflesso‘ della protezione dovuta tra i diretti contraenti, essendo incongruo predicare una ‘protezione‘ che nasca per la prima volta, quasi a titolo originario, in favore di terzi estranei al contratto. Ne discende un evidente impedimento a riconnettere al rapporto di amministrazione effetti protettivi della sfera del socio ‘direttamente‘ danneggiato» (Pinto 2006, 902. Il carattere diverso è nel brano). [L’Autore condivide le giuste critiche che Castronovo 1976, 168 e Di Majo 2000, 23 formulano, in termini generali, al «contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi»]. Ed invero (come evidenziato dalla richiamata vicenda decisa da App. Milano 23 giugno 2004) non necessariamente le condotte «direttamente» pregiudizievoli al socio od al terzo danneggiano il patrimonio sociale. Il seppur non meritevole interesse della società a conservare il frutto dell’illecito e quello del danneggiato al risarcimento sono dunque contrapposti (così Allegri 1979, 93, dove l’Autore parla di «otenziale conflitto») Sicché non c’è spazio per considerare la protezione della parte lesa come riflesso del contratto che vincola gli amministratori alla società (quasi testualmente Pinto 2006, 902. Il corsivo è dell’Autore). 1.6.2 l’inutilità Dell’«obbligazione senza prestazione». Applicando al diritto societario un istituto che ha trovato particolare fortuna nell’ambito della «responsabilità medica» (v. Trib. Nocera Inferiore 26 marzo 2003, CSal, 2006, 344, sulla quale si veda Alpini 2006, 354), gli amministratori assumono [ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c.] un’«obbligazione senza prestazione». Essa si fonda sull’«affidamento che si verrebbe ad ingenerare nel socio in ragione della posizione dei gestori nell'ambito dell’organizzazione sociale» (Guerrera 2004, 248; Sambucci 2004, 718. Il pensiero di questi Autori è così riassunto da Pinto 2006, 902). La pur interessante interpretazione dell’art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. va tuttavia respinta. Infatti «tra amministratori e soci non si rileva di per sé alcuna situazione relazionale in grado di giustificare obblighi degli amministratori, la cui violazione darebbe vita a responsabilità contrattuale, in quanto quello degli amministratori è un agire per la società — e questo è l'aspetto relazionale — che può avere soltanto effetti riflessi per i soci» (Castronovo 1995, 240, nota 184). Quest’osservazione si collega all’altra, di portata generale, secondo cui l’esistenza «di un mero ‘contatto sociale‘, (fa crollare: N.d.A.) ogni parametro che possa consentire di definire la situazione di responsabilità in base a comportamenti promessi, pattuiti o comunque dovuti» (Di Majo 2000, 27). pag. 1-19 Inoltre gli amministratori assumono [ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c.] una responsabilità aquiliana verso i soci od i creditori potenziali della società, in quanto individuabili solo ex post, ossia quando l’illecito è già avvenuto. Configurare anche quest’ultima responsabilità in termini contrattuali — attesa la normale sua estensione ai soli danni prevedibili quand’è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c.) — significa peraltro superare difficili problemi di «dominio della responsabilità»: quando è «ragionevolmente prevedibile», alla luce di criteri oggettivi, che il danneggiato ha ispirato la sua condotta soltanto alle informazioni fornite (attraverso bilanci o documenti similari) dagli amministratori convenuti, perciò responsabili per «danno diretto» nei suoi confronti? (così Cariello 2002, 343-347). La risposta non è ancora stata fornita in termini soddisfacenti. Trovarla (superando i problemi di «eccessiva deterrenza», insiti nell’esagerata estensione dei possibili danneggiati) costituisce tuttavia il modo per fare dell’azione ex art. 2395, 1º co. (o 2476, 6º co.), c.c. un valido strumento protettivo dei risparmiatori. pag. 1-20 Bibliografia Allegri V. 1979 Contributo allo studio della responsabilità civile degli amministratori. Milano: Giuffrè. Alpini A. 2006 Responsabilità medica e «obbligazione senza prestazione». In CSal, 354. Ambrosini S. 2004 Il termine per l’esercizio delle azioni di responsabilità: prescrizione o decadenza?, In Soc, 1480. 2008 Le azioni di responsabilità. In S. Ambrosini (A cura di), Le nuove procedure concorsuali - Dalla riforma «organica» al decreto «correttivo», Bologna: Zanichelli, 346. Bianca M. 2005 La responsabilità degli amministratori nella s. r. l.. in DF, II, 808. Bonelli F. 1991 La responsabilità degli aministratori. In G. E. Colombo & G. B. Portale (A cura di), Trattato delle società per azioni. Torino: UTET, IV, 445. Cariiello V. 2002 Sulla c.d. responsabilità da affidamento nella capogruppo. in RDC, II, 321. 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